Cittadinanza: Concetto e conseguenze, di Vladislav B. Sotirović

Cittadinanza: Concetto e conseguenze

La cittadinanza come concetto

Il termine “cittadinanza” è solitamente utilizzato in ambito accademico o giornalistico come sinonimo di nazionalità e appartenenza nazionale (nella prospettiva anglosassone e dell’Europa occidentale seguita dal Nuovo Mondo, in realtà, come sinonimo di Stato). Tuttavia, la “cittadinanza” come concetto è essenzialmente un prodotto e un uso della filosofia politica e della giurisprudenza. In pratica, la maggior parte dei governi del mondo che si occupano di dare o non dare la cittadinanza a qualcuno seguono i cosiddetti:

1) modello francese, basato sul “diritto di suolo” (ius soli) o
2) il modello tedesco, fondato sul principio del “diritto di sangue” (ius sanguinis).
In realtà, la “cittadinanza” non fa parte della terminologia stabilita dalla sociologia e dall’antropologia, poiché in questi due campi accademici di ricerca la nozione di cittadinanza è emersa solo di recente, sostanzialmente con le ricerche di Roger Brubaker, Louis Dumont o Immanuel Todd. La nozione di cittadinanza è particolarmente interessante per i sociologi e gli antropologi in quanto fenomeno che struttura le rappresentazioni collettive e le relazioni sociali tra individui e gruppi (avere determinati diritti e doveri).

Lo status di cittadino è deciso dalla legge. Nelle tradizioni legate alle caratteristiche politiche repubblicane, le qualifiche per avere o meno la cittadinanza sono state collegate a particolari diritti e doveri dei cittadini, nonché a un impegno per l’uguaglianza tra i cittadini compatibile con una notevole esclusività nelle condizioni di qualificazione (l’antica Grecia, Roma e le repubbliche italiane escludevano dal concetto di cittadinanza le donne e alcune classi di lavoratori).

Negli ultimi decenni, sostanzialmente dalla fine della Guerra Fredda 1.0 nel 1989, ci sono tre ragioni cruciali per la popolarità della questione della cittadinanza:

1) La ricostituzione degli Stati nazionali nell’Europa centro-orientale, orientale e sud-orientale;
2) Il riemergere del problema dello status delle minoranze storiche, etniche e territoriali;
3) Il problema della condizione degli immigrati (ad esempio, in Europa occidentale).
In linea di principio, le scienze sociali si occupano del concetto di cittadinanza soprattutto come “costruzione immaginaria” che viene applicata nella vita sociale. Secondo una breve definizione e comprensione della cittadinanza, si tratta di uno status giuridico che conferisce una serie di diritti e doveri ai membri di una specifica entità politica (Stato). Per quanto riguarda la questione dei diritti e dei doveri legali, si può possedere 1) la cittadinanza (partecipazione alle elezioni statali per il presidente e il parlamento); 2) il permesso di residenza permanente (partecipazione solo alle elezioni locali per l’assemblea); 3) il permesso di residenza temporanea (nessun diritto elettorale).

Storicamente, durante l’epoca del feudalesimo, ad esempio, la piena cittadinanza spettava solo all’aristocrazia, che aveva diritti politici seguiti da alcuni doveri nei confronti dello Stato. In epoca moderna, la cittadinanza è intesa come un pilastro di uno Stato moderno/contemporaneo che assomiglia, di fatto, alla fedeltà all’unità politica che concede la cittadinanza (comprende soprattutto il servizio militare obbligatorio/la coscrizione per difendere la “madrepatria” – un Paese di cittadinanza). Tuttavia, in passato, esisteva una nozione comunemente accettata di cittadinanza molto simile a quella contemporanea (come la polis nell’antica Grecia, la Roma repubblicana o i comuni/comunità medievali italiani).

Oggi esistono anche nozioni di cittadinanza sovranazionale/transnazionale, come ad esempio nell’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (doppia cittadinanza: della repubblica e della federazione jugoslava, ma con un unico passaporto) o nell’UE (doppia cittadinanza: dello Stato nazionale e dell’UE con un unico passaporto). Ciononostante, esistevano/esistono problemi di identità sovranazionale e di cittadinanza transnazionale come nella Jugoslavia socialista, nell’URSS o oggi nell’UE, dove una stragrande minoranza di abitanti sostiene l’identità sovranazionale (di essere jugoslavi, sovietici o europei) ma ha una cittadinanza transnazionale (di Jugoslavia, URSS o UE).

È molto importante sottolineare che la nozione di cittadinanza (moderna) è diversa dalla nozione di sottomissione (feudale). In altre parole, possedere la cittadinanza significa essere un membro di un’entità politica con determinati diritti, mentre essere un suddito significa essere sottoposto alla sovranità (governante) senza diritti, con solo pesanti obblighi. La nozione di cittadinanza implica una relazione di lealtà reciproca tra un’istituzione impersonale (lo Stato) e i suoi membri (ma non i sudditi). La nozione di soggezione, infatti, implica una relazione personalizzata di obbedienza e sottomissione dei sudditi al sovrano. Tuttavia, a partire dall’epoca moderna (antifeudale), diversi tipi di diritti (civili, sociali, politici, di minoranza… ecc.) hanno differenziato la cittadinanza dalla sudditanza, storicamente fondata su privilegi (per l’aristocrazia) e obblighi (per i contribuenti).

Secondo i weberiani (seguaci di Maximilian Karl Emil Weber, 1864-1920), la cittadinanza è un fenomeno tipico dei sistemi politici giuridico-burocratici. Secondo loro, la sottomissione appartiene ai sistemi politici e alle relazioni sociali tradizionali (feudali) e carismatiche. Inoltre, il concetto di cittadinanza si adatta allo “Stato istituzionalizzato”, mentre l’assoggettamento si adatta allo “Stato personalizzato”.

Diritti di cittadinanza

Il concetto di cittadinanza comprende quattro diritti per i titolari della cittadinanza:

1) Diritti civili che riguardano le libertà individuali (libertà personale, libertà di pensiero e libertà di religione) e il diritto a una giustizia giusta e uguale per tutti. Nascono dall’ascesa della classe media nel XVIII secolo;
2) Nel XIX secolo sono stati istituiti i diritti politici relativi all’esercizio e al controllo del potere politico, al voto e alla creazione di partiti politici;
3) Nel XX secolo sono stati garantiti i diritti sociali (diritti che assicurano un certo grado di benessere e sicurezza attraverso servizi di assistenza e istruzione);
4) i diritti culturali (diritti di mantenere e tramandare ai propri discendenti l’identità culturale, l’appartenenza etnica e il background religioso) sono stati introdotti negli anni Settanta.
È essenziale affrontare il concetto di cittadinanza, le relazioni tra cittadinanza, politica di riconoscimento e multiculturalismo. La cittadinanza è un processo sociale che si svolge in condizioni storiche specifiche. Dobbiamo tenere presente che il concetto di cittadinanza implica sia i diritti che i doveri.

La cittadinanza come concetto si fonda nel mondo occidentale sul principio della staatsnation (ein sprache, ein nation, ein staat), un termine tedesco di origine francese. Questo principio ha caratterizzato la storia dei vecchi contenuti a partire dal XIX secolo. Secondo il principio della staatsnation = ogni nazione (gruppo etnico-linguistico) deve avere il suo Stato con il suo territorio e ogni Stato deve comprendere una nazione. Secondo il senso comune e la maggior parte delle rappresentazioni teoriche, una staatsnation è, in realtà, una kulturnation, ossia una comunità i cui membri condividono gli stessi tratti culturali.

Il concetto di kulturnation corrisponde a entrambi:

1) l’idea herderiana di “volk”/popolo (la cui caratteristica principale è una lingua condivisa da tutti i suoi membri); e a
2) al concetto originale francese di nazione, in cui anche il criterio linguistico è una caratteristica importante.
Il concetto originale francese di nazione fu definito nel 1694 dall’Académie Française. In sostanza, il modello romantico tedesco si basa sulla formula lingua-nazione-stato, mentre il modello francese moderno dopo la Rivoluzione del 1789-1794 si fonda sulla formula opposta Stato-nazione-lingua (questa formula, tuttavia, nella pratica in molti casi si traduce nell’assimilazione e persino nella pulizia etnica delle minoranze).

Il principio della staatsnation postula la formazione di spazi territoriali monoculturali e/o monoetnici politicamente sovrani. Questo principio si basa sulla purezza culturale e/o etnica. Dal XIX secolo in poi, cioè da quando il principio di staatsnation è stato applicato in Europa, ci sono stati ripetuti sforzi per rendere i singoli territori nazionali etnicamente e culturalmente più omogenei. La politica di ricomposizione etnoculturale in nome del principio di staatsnation ha influenzato in alcuni casi 1) la pulizia etnica, 2) la revisione dei confini, 3) l’assimilazione forzata, 4) i bandi, 5) l’immigrazione pianificata, 6) le deportazioni, ecc.

Affrontando la questione della cittadinanza, oggi si ha a che fare con i diritti e la tutela delle minoranze (in molti casi con lo Stato e la società civile). A livello globale, i diritti umani sono stati accettati dopo il 1945, mentre i diritti delle minoranze dopo il 1989. Il fatto è che lo Stato nazionale è stato troppo spesso inteso esclusivamente come espressione geografica. Inoltre, lo Stato nazionale è un’associazione politica di cittadini che vi appartengono anche per i loro tratti culturali, spesso non considerati.

Noi e gli altri

Non tutti possono appartenere indistintamente a uno specifico Stato nazionale. Secondo Max Weber, lo Stato nazionale è un’associazione parzialmente aperta all’esterno. In molti casi, storicamente, ci sono stati esempi di apertura limitata verso gli “altri” o gli stranieri (come il Giappone fino al 1867). Tale visione comporta la creazione di meccanismi istituzionali di selezione sociale che regolano l’affiliazione e l’esclusione. Va sottolineato che sia la cittadinanza che la nazionalità rappresentano gli strumenti fondamentali che definiscono chi ha il pieno diritto di appartenere a uno Stato nazionale e chi ne è escluso.

Un esempio drastico della politica di cittadinanza su base etnica può essere citato nel caso dell’Estonia e della Lettonia (per eliminare l’influenza sulla politica interna della minoranza russa locale) subito dopo lo smembramento dell’URSS, ma contrariamente al caso della Lituania (nel caso lituano solo perché la minoranza russa non era così numerosa rispetto ai casi estone e lettone). In altre parole, nel 1991 l’Estonia e la Lettonia hanno introdotto un modello di cittadinanza secondo la dottrina della staatsnation, che tende a cancellare ogni forma di differenza culturale all’interno del territorio nazionale. Tuttavia, la vicina Lituania dopo il periodo sovietico o la Malesia dopo la fine della dominazione coloniale britannica nel 1956, si sono date un modello di cittadinanza multiculturale, che si basa sulle differenze tra le varie componenti etniche del Paese.

Vengono create istituzioni specifiche per sostenere una logica rigida di inclusione o esclusione dallo Stato nazionale secondo il principio della staatsnation. Ad esempio, secondo la costituzione post-sovietica della Lituania, infatti, solo i lituani di etnia etnica possono essere eletti come presidente del Paese (paragrafo 78: “Respublikos prezidentu gali būti renkamas lietuvos pilietis pagal kilmę…” [Per il Presidente della Repubblica possono essere eletti solo cittadini lituani in base all’origine…]).

Tuttavia, queste istituzioni restrittive sono:

1) la naturalizzazione
2) Assimilazione;
3) Nazione titolata;
4) Minoranze.
In pratica, uno straniero può ottenere la cittadinanza attraverso la naturalizzazione e l’assimilazione. Bisogna però tenere presente che in molti Paesi del mondo la doppia cittadinanza non è ammessa (come in Germania o in Austria). Il processo di acculturazione comporta un cambiamento di appartenenza culturale. Si tratta di un processo più o meno volontario. Di solito, lo straniero deve rinunciare alla sua precedente cittadinanza. Tuttavia, oggi la doppia cittadinanza sta diventando giuridicamente più diffusa come opzione più democratica. Tuttavia, in molti casi è ancora considerata pericolosa per la conservazione delle identità nazionali (ad esempio, il dibattito controverso in Germania).

In pratica, nella maggior parte degli Stati esiste il problema della cittadinanza delle minoranze basata sulla differenza tra la nazione avente diritto e il resto della popolazione (minoranze) (casi della Slovenia e della Croazia). Questo atteggiamento implica un’asimmetria strutturale e nasconde una parziale esclusione e una demarcazione tra cittadinanze di prima e seconda classe con i relativi diritti di minoranza (esempio della Jugoslavia socialista). In molti casi, la cittadinanza è orientata in modo etnocentrico, il che solleva la questione della cittadinanza e della pluralità culturale. Un’altra questione collegata è il rapporto tra cittadinanza e diritto alla differenza.

Domande focali sulla cittadinanza:

1) La cittadinanza ha una funzione unificante e inclusiva?
2) La cittadinanza come espressione di una comunità politica armoniosa?
Dal punto di vista sociologico, la cittadinanza deve essere percepita come un processo agonistico con competizione, tensioni, conflitti, negoziati permanenti e compromessi tra i gruppi coinvolti nella lotta per il riconoscimento dei propri diritti.

Parole finali

Il concetto di cittadinanza è nella maggior parte dei casi inteso come un tema di ricerca nell’ambito della scienza politica. Pertanto, la definizione abituale di cittadinanza è fornita in termini politici, in quanto si riferisce alle condizioni di appartenenza allo Stato-nazione che assicurano determinati diritti e privilegi a coloro che adempiono a particolari obblighi. La cittadinanza è un concetto politico, ma non è una teoria sviluppata e riconosciuta a livello accademico. Tuttavia, formalizza le condizioni per la piena partecipazione a una certa comunità (di fatto, uno Stato-nazione). Originariamente, la definizione politica di cittadinanza sottolinea la natura inclusiva del termine (concetto), in quanto implica che chiunque, all’interno del territorio di uno Stato-nazione, soddisfi determinati obblighi, possa essere incluso come cittadino, con i relativi diritti e privilegi.

Le qualifiche per la cittadinanza, infatti, riflettono una concezione degli scopi della comunità politica e una visione su quali persone sono autorizzate a godere dei benefici dei diritti (e dei doveri) dell’unità politica (Stato). In breve, il concetto di cittadinanza ha applicato determinati diritti e obblighi morali e legali a coloro che la possiedono. Dobbiamo sempre tenere presente che la cittadinanza, da un lato, conferisce determinati diritti, ma dall’altro, richiede anche determinati obblighi.

Dr. Vladislav B. Sotirović
Ex professore universitario
Vilnius, Lituania
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com
© Vladislav B. Sotirović 2024
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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IL SUPER MALUS, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL SUPER MALUS

Sul super bonus si è scatenato un dibattito, che non tiene conto tuttavia di una circostanza di rilievo decisivo, applicata ad una fattispecie per certi aspetti nuova, o almeno non abituale.

Andiamo per ordine.

Milton (e Rose) Friedman scrivevano sull’errore dello Stato assistenziale (in Liberi di scegliere), che consisteva in un fatto fondamentale, ovvero che “Quando si spende, si può spendere il proprio denaro o quello altrui; e si può spendere per se stessi o a favore di qualcun altro. Combinando queste due coppie di alternative si ottengono quattro possibilità”. Se si spende denaro proprio a proprio favore la scelta è la migliore possibile perché “si ha un forte incentivo sia a economizzare sia a ottenere tutto il valore possibile da ogni dollaro che si spende”. Quando si spende  a favore di qualcuno denaro proprio “si ha lo stesso incentivo a economizzare della I categoria, ma non lo stesso incentivo a ottenere il pieno valore del proprio denaro, almeno secondo il giudizio del destinatario” anche perché non si hanno tutte le relative informazioni. Se si spende a proprio favore denaro altrui, non si ha alcun incentivo ad abbassare il costo, ma solo quello ad ottenere il valore.

Quando poi si spende per altri denaro di altri  “si ha poco incentivo sia a economizzare sia a cercare di dare al proprio ospite ciò al quale egli può attribuire il massimo valore”.

Normalmente le ultime due categorie di spese sono quelle praticate dalle pubbliche amministrazioni, secondo il modello usuale che l’amministratore (ma anche il legislatore) spende denaro di altri (i governati-contribuenti).

Nel super bonus invece il modello è invertito. È il contribuente-committente che decide la spesa, attribuita poi (come sempre) alle pubbliche finanze, cioè ai contribuenti. Il che ha, come si legge sui giornali, portato a ristrutturare il 4% degli immobili, la cui spesa è stata pagata dal 100% dei contribuenti.

Il meccanismo è perciò inusuale ma presenta lo stesso inconveniente di quello generalmente praticato, e che sta a “monte” della distinzione tra pubblico e privato, governanti e governati: che chi spende quattrini degli altri è portato a spenderli male.

Perché per fare un calcolo corretto costi/benefici occorre che ambedue siano sopportati dalla stessa persona. Anche quando si finanzia, con vari sistemi un’impresa privata, con quattrini pubblici – che è il caso più vicino a quello del super bonus e spesso praticato – il risultato può (e spesso è) lo stesso: a un profitto privato corrisponde un esborso pubblico, di guisa che, a valutarli entrambi, risulta un cattivo affare.

Questo al di là delle considerazioni, spesso fatte dai politici: ritorni fiscali (ma sono solo parte delle spese pubbliche), inefficienza della p.a. (verissimo, ma da curare altrimenti), corruzioni (non manca mai), “giustizia contributiva” e così via.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Smettere di costruire senso, di AURELIEN

Smettere di costruire senso.

Non ci sono “perché” nel nostro mondo.

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Ora, allora.

Forse ricorderete la satira: un tempo era una forma d’arte culturale. Il suo scopo era quello di mettere in ridicolo le mancanze degli individui e della società e trae le sue origini dalle commedie di Aristofane (che pare fosse raccomandato da Platone come la migliore guida per comprendere la politica ateniese) e dai poeti romani Orazio e Giovenale. Ha avuto una lunga e ricca storia in diverse forme e le ragioni per cui oggi sembra inutile tentare la satira hanno molto a che fare con l’incoerenza e l’apparente inutilità del mondo moderno.

Questo perché la satira presuppone un quadro di riferimento ragionevolmente comune tra l’autore e il lettore o lo spettatore, in modo tale che ciò che si intende intendere come eccessivo e ridicolo venga riconosciuto come tale. La satira migliore è una questione di giudizio fine: la rappresentazione di individui e circostanze che sono sufficientemente lontani dalla realtà attuale per essere sorprendenti e divertenti (anche se non necessariamente divertenti), ma anche abbastanza vicini alla realtà attuale che gli eventi e gli individui mantengono una plausibilità di superficie. In molti casi, la satira consiste nel prendere le forme culturali e le idee politiche attuali e nel dare loro un tocco in più, in modo da renderle ridicole. Così ,Brave New World è una satira sull’utopismo scientifico wellsiano, così come 1984 è in parte una satira sulle teorie del manageriale americano James Burnham. Il dottor Stranamore è una satira della letteratura e del cinema apocalittici e seriosi degli anni Cinquanta, con generali pazzi e tecnologia fuori controllo. Nel 1982, la serie televisiva britannica Whoops, Apocalypse! poteva satireggiare l’incipiente boom di storie di disastri nucleari verso la fine della Guerra Fredda.

Come dimostrano alcuni di questi esempi, la satira non deve necessariamente essere divertente, anche se può esserlo. Non ci sono molte risate in 1984, così come in Wedi Zamyatin, una delle sue fonti principali. Ma ci sono una serie di idee satiriche portate all’estremo del ridicolo. Orwell sapeva che il valore scioccante di 1984 sarebbe aumentato notevolmente se fosse stato ambientato non in un Paese immaginario, ma nell’ambiente più improbabile a cui potesse pensare, cioè la sua Inghilterra; e se la non-ideologia del Partito fosse stata mascherata nella terminologia della forma di socialismo democratico molto inglese per cui Orwell stesso aveva combattuto. Così Orwell riprese ed esagerò satiricamente alcune delle paure popolari dell’epoca (polizia paramilitare in uniforme nera a Londra, televisioni che guardavano chi guardava, tentativi di controllo dei pensieri della gente, controlli di fedeltà, cambiamenti improvvisi e violenti di linea di partito, guerre senza fine, un unico Partito) riconoscendo che, sebbene il lettore sapesse che queste cose non sarebbero potute accadererealmente in Inghilterra, tuttavia lo shock di una loro apparizione nell’ambiente familiare di Londra sarebbe stato ancora maggiore.

Pertanto, una satira efficace presuppone un certo grado di consenso su ciò che è o non è reale e su ciò che è o non è possibile. L’ambizione di Molière di ” corriger les vices des hommes en les divertissant (“correggere le mancanze degli uomini divertendoli”) presuppone un ampio consenso su comportamenti accettabili e inaccettabili e la necessità di evitare di portare all’estremo idee e convinzioni (anche religiose). È per questo che la satira funziona meglio in ambienti politicamente e socialmente strutturati, dall’Inghilterra della Modesta proposta di Swift alla Vienna dell Uomo senza qualità di Robert Musil dove la satira è intesa come satira. Così, negli anni Settanta i Monty Python potevano prendere in giro molti aspetti dell’establishment britannico (di cui facevano parte), compresa la religione organizzata in The Life of Brian, perché anche coloro che si sentivano offesi dalla satira riconoscevano e accettavano il mondo che i Python satireggiavano, e che si trattava di satira. Al contrario , latrilogiaIlluminatus di Robert Anton Wilson , inizialmente scritta come satira sulla letteratura cospirazionista degli anni Sessanta, è stata assorbita senza soluzione di continuità da quella stessa cultura, e oggi è spesso vista come una sua espressione.

Sempre più spesso negli ultimi anni si è cominciato a dire che “non si può inventare” e a suggerire che non ha più senso fare satira, perché la realtà la supera inevitabilmente. Non è un’idea nuova, naturalmente. Sebbene il satirico Tom Lehrer, autore di alcune tra le canzoni satiriche più ferocemente divertenti di tutta la storia, abbia in seguito smentito di aver smesso di scrivere dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Henry Kissinger, è vero che sarebbe stato giustificato a farlo. (Ma è anche vero che a quel punto aveva detto praticamente tutto quello che c’era da dire: “La cosa bella di una canzone di protesta è che ti fa sentire bene” rimane il commento definitivo sull’azione politica performativa sessant’anni dopo che l’ha detto).

Tuttavia (e finalmente arriviamo al tema di questo saggio) la maggior parte delle persone ha la sensazione di vivere in un mondo in cui la satira è irrilevante e per molti versi impossibile, in cui ogni telegiornale o feed RSS mattutino porta non solo nuovi orrori, ma anche svolte completamente inspiegabili e surreali, in un mondo in cui nulla ha senso e nulla sembra essere logicamente collegato. In realtà simpatizzo e condivido in gran parte questo punto di vista, perché penso che sia ampiamente vero. Viviamo in un mondo che non possiamo più fingere abbia senso e non sappiamo come affrontarlo.

A titolo di esempio, si consideri una proposta fatta a Hollywood negli anni ’70 per un film in cui centinaia di migliaia di vite, e il futuro stesso del Medio Oriente, sono in ostaggio dei disperati tentativi di due anziani politici corrotti di diversi Paesi di rimanere aggrappati al potere e di non finire in galera, e dell’esatta tempistica di un’elezione in un Paese, e del peso finanziario e politico di varie circoscrizioni elettorali. Immaginate inoltre che i membri religiosi estremisti del governo di un Paese credano di essere vicini al ritorno del loro Messia, che sarà provocato da un attacco nucleare contro l’antico nemico Persia, come indicato nella loro Bibbia, e che altri estremisti religiosi nel secondo Paese pensino che la seconda venuta di Cristo sarà provocata dagli stessi eventi. E poi c’è la storia del tempio sacro e della giovenca rossa. Potete immaginare la reazione di un presunto produttore, anche se al giorno d’oggi siamo arrivati ad accettare questo tipo di eventi come scontati. Siamo molto lontani dai tempi in cui si credeva che le forze economiche profonde strutturassero i principali eventi del mondo.

La distopia è la cugina di primo grado della satira e spesso si sovrappone ad essa, e in realtà non c’è nulla di più affascinante e divertente delle distopie del passato, perché queste storie sono limitate nella loro terribilità da ciò che gli scrittori possono immaginare del futuro, basandosi sulle norme del loro tempo. La violenza urbana di Arancia meccanicadi Anthony Burgess , per quanto sembrasse una scioccante satira distopica sessant’anni fa, e anche un decennio dopo quando Stanley Kubrick ne realizzò la versione cinematografica, oggi sembra pittoresca e molto legata ai suoi tempi più civilizzati. La vera violenza urbana oggi ci spaventa perché è al di fuori di qualsiasi contesto concordato e compreso: non sembra nemmeno distopica, ma semplicemente incomprensibile.

Mentre scrivo, i media francesi riportano la notizia (non molti, a dire il vero) di un alterco a Bordeaux tra un afgano e un’afgana. rifugiato, richiedente asilo e una coppia di giovani immigrati algerini che aveva trovato a bere birra. Rimproverandoli per aver bevuto alcolici alla fine del Ramadan, li ha aggrediti con un coltello e ha ucciso uno di loro. Di recente si sono verificati numerosi episodi di violenza di questo tipo, per lo più tra adolescenti e soprattutto all’interno e nei pressi delle scuole. Alcuni sembrano legati alle bande, altri sono solo il prodotto di una cultura importata in cui i litigi di qualsiasi tipo finiscono spesso in violenza estrema e spesso fatale. C’è poi la quindicenne di origine algerina picchiata quasi a morte da alcuni compagni di classe perché vestiva con abiti “troppo occidentali”.

Non è solo che il sistema francese non ha idea di cosa fare in questi casi: non ha nemmeno idea di cosa pensare. Non ha un quadro di riferimento in cui cercare di collocare questi atti (sempre più frequenti). Il massimo che è stato in grado di fare è cercare di ridurre la pubblicità che attirano, perché tale pubblicità “stigmatizza le comunità vulnerabili” (che sono in realtà le vittime) e “rafforza l’estrema destra”. (In effetti, da anni il sistema francese guarda all’intero fenomeno della violenza religiosa e dell’immigrazione come a un pesce rosso: la bocca continua ad aprirsi, ma non esce nulla di sensato. L’ironia della sorte vuole che i critici più accaniti dell’IdiotPol nei confronti della laicità sancita dalla Costituzione non siano essi stessi credenti religiosi, né vogliano realmente concedere alla religione organizzata il potere sulla politica e sulla società. In astratto, sono ferocemente laici come coloro che criticano, se non di più. Per loro la religione non è una questione di fede, ma semplicemente un marcatore di identità culturale, indossato da comunità “svantaggiate” e “vulnerabili” che si ritiene siano “soggette a discriminazione” e che devono essere “protette” dalle critiche.

È impossibile per queste persone, che dominano la Casta Professionale e Manageriale (PMC) del mondo occidentale, capire che altre persone di altre società credono davvero che i precetti della loro religione siano letteralmente veri e che i comandi della loro religione, così come interpretati da alcuni dei suoi leader, siano operativi, e che quindi siano giustificati dall’uccisione di massa di uomini e donne non sposati che socializzano insieme, o dalla persecuzione, dalle percosse e dallo stupro di ragazze che non rispettano i codici di abbigliamento islamici nelle strade delle città europee. Qualsiasi cosa, letteralmente qualsiasi cosa, dall'”emarginazione” alla “violenza della polizia” alle “avventure militari occidentali” alle attività dei servizi segreti occidentali, è preferibile come modo di spiegare la violenza islamista all’ingrosso e al dettaglio, perché sono cose che capiamo, o almeno di cui siamo abituati a sentire parlare, nella cultura popolare, in TV e al cinema.

Quest’ultimo punto è importante, perché le ricerche in psicologia dimostrano che ciò che le persone credono è molto più legato al numero di volte che si sentono ripetere le cose, che alla coerenza intrinseca di ciò che viene proposto. La pura ripetizione crea familiarità e la familiarità ci fornisce una spiegazione e un quadro di riferimento che ci esonera dalla necessità di ulteriori riflessioni. Di conseguenza, eventi che potrebbero sembrare strani, e di conseguenza spaventosi, possono essere assimilati in un discorso familiare e di conseguenza ci sentiamo meno spaventati. Quando accadono fatti che non possono essere incasellati in un paradigma esistente, ma che sono troppo drammatici per essere ignorati, vengono semplicemente riportati frettolosamente e senza commenti. Il fatto è che la stessa PMC non è assolutamente in grado di comprendere questi atti di violenza, perché sono completamente al di fuori dei limiti della loro esistenza intellettualmente confortevole. Si limita quindi a squittire di virtuosismi e di irrilevanza.( Questa settimanaLe Monde ha pubblicato un lungo articolo sull’assassino afghano, interamente dedicato alla questione tecnica se l’omicidio potesse essere classificato come atto di terrorismo se non fosse stato premeditato. Come se a qualcuno importasse).

Molto di questo, ovviamente, è legato all’ego. L’idea che nel mondo accadano cose che non possiamo capire senza fare uno sforzo particolare; che ci siano eventi in cui l’Occidente non gioca un ruolo dominante, nel bene e nel male; che anche nella nostra società accadano cose che non possiamo incasellare nel nostro tradizionale quadro di riferimento: tutto ciò minaccia la capacità del nostro prezioso ego di afferrare, spiegare e quindi controllare il mondo; più il mondo sembra inspiegabile, più sembra spaventoso e più forte è il desiderio di trovare un modo, un modo qualsiasi, di assimilarlo alle idee che abbiamo già sentito. L’alternativa è il silenzio.

Ad esempio, il monumento che commemora la morte e il ferimento di centinaia di persone negli attacchi dello Stato Islamico del 13 novembre 2015 a Parigi non contiene una sola parola sull’identità o sulle motivazioni degli attentatori. È facile avere l’impressione che le morti siano dovute a una sorta di disastro naturale. In realtà, mentre la Francia ha una grande conoscenza dello Stato Islamico, per averlo combattuto in Siria e in Africa, oltre che in patria, le montagne di studi, le infinite testimonianze di ex membri, di esperti delle regioni e le testimonianze ai processi non possono essere convertite in una semplice storia che segue direttamente da ciò che la gente “sa” (o almeno pensa di sapere) sull’Islam e sul Medio Oriente. Il risultato è quindi il silenzio di fronte a ciò che sembra essere inspiegabile.

È sorprendente come questo appaia anche nella copertura di Gaza. È ormai routine, sulle pagine dei giornali sopravvissuti o nei successivi feed RSS dello stesso sito, vedere immagini orribili e resoconti terrificanti da Gaza stessa, accompagnati da lamenti da Washington che chiedono a Netanyahu di essere un po’ più gentile e discriminante nelle uccisioni. Non è possibile scrivere un’unica notizia che comprenda entrambi gli elementi in modo soddisfacente, per cui l’impressione generale è quella di due storie che non hanno alcun legame causale o tematico, ma che per coincidenza sono state riportate nello stesso momento. Ancora una volta, il silenzio è così forte da urlare. Per trent’anni, fino all’Ucraina compresa, è stato ripetutamente messo in campo l’intero armamentario ideologico del militarismo della PMC: intervento militare, no-fly zone, attacchi aerei, intervento militare sul terreno, sanzioni applicate dall’esercito se necessario. E la più amara delle ironie è che questa è l’unica crisi politica degli ultimi trent’anni in cui l’intervento militare potrebbe porre fine alle sofferenze in mezz’ora.

Ma l’idea di un intervento militare non viene chiaramente in mente ai governi occidentali, perché l’uso della violenza contro uno Stato allineato all’Occidente è impensabile, nel senso letterale del termine. Non rientra nel quadro di riferimento in cui si sta ragionando. Tale quadro di riferimento è in grado di ricevere ed elaborare solo alcuni tipi di input: così, sfogliando alcuni feed RSS questa mattina mi sono imbattuto in una storia su come potremmo alleviare le sofferenze dei palestinesi, parti innocenti, in una guerra tra Israele e Hamas. Queste interpretazioni, per quanto possano apparire bizzarre ai ben informati, rappresentano la massima misura in cui il PMC e le classi politiche e mediatiche ad esso associate possono effettivamente elaborare ciò che vedono in modo da non destabilizzare la loro visione del mondo. Dopotutto, trent’anni fa qualsiasi autore satirico o scrittore di SF distopica avrebbe osato scrivere una storia in cui, nella stessa settimana, venivano imposte sanzioni alla Cina per aver venduto beni alla Russia, mentre Israele veniva fustigato con un pezzo di spaghetti bagnati? Non è nemmeno chiaro come si possa iniziare ad assimilare questi due eventi a una visione del mondo coerente, ed è per questo che non avrebbero mai potuto avere successo come racconto satirico.

Gli esempi potrebbero essere moltiplicati, ma credo che il punto sia stato chiarito. Se l’idea di vivere in un mondo caotico e privo di significato non è certo nuova, uno dei tanti cambiamenti apportati da Internet è l’aumento massiccio della quantità di dati grezzi disponibili sulle crisi odierne, senza necessariamente aumentare il livello di comprensione. Anche trent’anni fa, agli albori della televisione satellitare, il massimo che si poteva ottenere era una trasmissione di pochi minuti in diretta da un luogo di crisi da parte di un giornalista riconosciuto. Un decennio prima si trattava di filmati, sviluppati negli studi in patria. Ora, dopo un incidente come l’attacco missilistico iraniano contro Israele, siamo bombardati da video per smartphone che possono o meno mostrare incidenti reali che possono o meno essere collegati all’episodio in questione, e da più commenti di quanti se ne possano assorbire. Sarebbe una cosa se tutte queste immagini e tutti questi commenti tendessero nella stessa direzione, ma in pratica molti di essi sono sconnessi e apertamente contraddittori.

Questo produce una situazione che, a mio avviso, non ha precedenti nella storia dell’umanità. Si pensi che fino a un secolo fa le notizie dal mondo esterno erano difficili e costose da reperire e arrivavano in piccoli pacchetti da corrispondenti specializzati. Le persone erano consapevoli delle confusioni e delle contraddizioni della vita, delle cose terribili che potevano accadere, delle crisi inspiegabili che si sviluppavano, ma per lo più in un contesto locale e domestico che comprendevano in larga misura. Solo di recente i notiziari sono pieni di eventi inspiegabili, inaspettati e terribili, perpetrati in luoghi di cui non abbiamo mai sentito parlare, da persone di cui non riusciamo nemmeno a pronunciare il nome.

Ciò ha coinciso con un effetto di livellamento provocato da Internet, che assimila tutto a un unico discorso. Paradossalmente, Internet ha ristretto e semplificato enormemente la nostra visione del mondo. Quando ero giovane, le altre parti del mondo, anche quelle europee, erano accettate come diverse. Le narrazioni degli esploratori africani con cui sono cresciuto, le storie di gesta dei ragazzi in Medio Oriente, i documentari della BBC di David Attenborough, tutto risuonava con un senso di quanto fossero diverse le altre culture. La fine degli imperi europei ha significato, tra l’altro, la fine dell’interazione quotidiana con civiltà completamente diverse, in quanto i ministeri delle Colonie sono stati ripiegati e sono diventati appendici minori dei ministeri degli Esteri, e la competenza in culture veramente straniere è diventata molto meno apprezzata. (A questo proposito, gran parte del successo iniziale dei romanzi di James Bond era dovuto alla loro collocazione in luoghi esotici e diversi come la Giamaica o il Giappone, che solo pochi lettori potevano aspettarsi di visitare). Al giorno d’oggi, mentre la gente posta video di se stessa fuori da McDonald’s a Ho Chi Minh City o a metà strada sul Monte Everest, ci illudiamo che il mondo sia finalmente diventato solo una proiezione del nostro ego, e che ora abbiamo un quadro concettuale che può assimilare e interpretare ampiamente qualsiasi cosa, anche se discutiamo furiosamente sui dettagli. Da qui la paura quando l’ego si trova di fronte a qualcosa che non riesce a far rientrare nel contesto che crede di capire.

Naturalmente, l’idea che viviamo in un mondo confuso, irrazionale e spaventoso non è nuova. Per i nostri antenati era probabilmente peggio, almeno nella loro vita quotidiana. Ma ci sono state due tradizioni intellettuali che hanno funzionato come palliativi e spiegazioni almeno parziali. Una, ovviamente, è stata la religione. Nelle società panteistiche come quella descritta nell’Iliade, la questione non si poneva: gli dei facevano quello che volevano ai mortali e basta. Non c’era un sistema etico generale, né la necessità di razionalità. Il monoteismo è sempre stato in grado di proporre una soluzione a questo problema: i disegni di un Dio creatore onnipotente sono tali da non poter essere compresi dagli esseri umani. Esiste infatti un’intera scuola di scrittura mistica, presente sia nel Cristianesimo che nell’Islam, nota come teologia “apofatica”, che sostiene che non possiamo avere alcuna conoscenza di Dio e che è inutile provarci. (Tra l’altro, Kant pensava la stessa cosa).

Il problema di questo argomento è che richiede un certo grado di umiltà, che non è una virtù molto in voga oggi e che tende a minare la nostra visione del mondo guidata dall’ego, in cui tutto deve essere comprensibile per noi e in grado di essere giudicato da noi. (L’argomento non dipende dall’esistenza o meno di Dio per la sua forza, è un argomento sui limiti di ciò che gli esseri umani possono realisticamente aspettarsi di conoscere). L’idea dell’esistenza di forze che non possiamo comprendere è più di quanto il nostro ego possa accettare, quindi, dal XVIII secolo, abbiamo ridefinito Dio come un essere “ragionevole” che possiamo comprendere, e gran parte del sentimento ateo deriva dall’incapacità dell’ego di accettare il concetto stesso di una figura divina le cui caratteristiche non possiamo intrinsecamente cogliere. A un estremo si sostiene che credere in un unico Dio è irragionevole, all’altro si sostiene che l’idea di un Dio che condanna le anime alla perdizione eterna è inaccettabile e non può essere vera. Ma è ovvio che un essere soprannaturale non ha alcun obbligo di accettare gli standard razionali e morali degli occidentali del terzo decennio del XXI secolo. È anche ovvio che nel corso della storia la stragrande maggioranza dei cristiani, almeno, non ha avuto difficoltà ad accettare l’idea della perdizione eterna, proprio come fanno oggi centinaia di milioni di musulmani. Tuttavia, il rifiuto egoistico di tutto ciò che va oltre le nostre capacità di discernimento (come i pesci rossi che decidono che nessuno li stava nutrendo, ma che il cibo arrivava naturalmente nell’acqua) non ci ha lasciato alternative se non quelle umane puramente riduttive per spiegare i paradossi, le crudeltà, le ingiustizie e l’incoerenza generale del mondo.

L’alternativa principale, ovviamente, era il marxismo, o per essere più precisi il marxismo-leninismo istituzionalizzato, come rappresentato e diretto per tre quarti di secolo dal Partito Comunista Sovietico. L’idea che l’umanità si stesse muovendo, anche se in modo irregolare, in una certa direzione sotto la tutela del CPSU forniva allo stesso tempo un quadro analitico per vedere il mondo e un modo per accettare e razionalizzare eventi terribili. Anche i presunti errori – la collettivizzazione forzata, ad esempio – potevano essere spiegati come casi individuali in cui il Partito aveva deviato dal comportamento corretto, ma si era rimesso in carreggiata. Era la destinazione e non il viaggio che contava, anche se questo viaggio passava attraverso le purghe di Stalin e il patto Molotov-Ribbentrop.

Entrambi questi sistemi di pensiero hanno perso gran parte del loro potere politico ed etico, ma le abitudini di pensiero che hanno inculcato rimangono comunque influenti. Il declino della religione formale ha prodotto… beh, stavo per dire teorie del complotto, ma forse è esagerato, perché una teoria è un costrutto intellettuale che genera proposizioni verificabili, e poche o nessuna “teoria del complotto” lo fa. Piuttosto, ha prodotto una visione del mondocospiratoria in cui nulla è come sembra e tutto è il risultato delle macchinazioni di individui e organizzazioni che investiamo di poteri francamente sovrumani. (Gli esponenti di questa visione del mondo, come gli gnostici di un tempo, credono di avere una conoscenza istintiva della verità di ogni situazione, senza bisogno di prove.

All’altra estremità dello spettro, se il marxismo formale ha perso molta della sua influenza, il marxismo volgare, con la sua enfasi miope sulle spiegazioni puramente materiali ed economiche di ogni cosa, rimane estremamente potente come metodo di analisi universale in qualsiasi contesto, relegando fattori come la storia, la geografia, la politica e la cultura a un ruolo subordinato. In molti casi, le due forme di pensiero degenerate riescono a coesistere, a volte nella stessa serie di affermazioni. Naturalmente, una volta che si ha in testa un modello di funzionamento del mondo, questo può essere applicato senza modifiche ovunque. Ricordate il volo della Malaysian Airlines scomparso dopo il decollo qualche anno fa e mai più rivisto? Si è scoperto che sono stati gli americani ad abbatterlo. Beh, probabilmente. Possibilmente.

In teoria, il liberalismo potrebbe fungere da teoria globale sostitutiva per spiegare le miserie e le incoerenze del mondo, ma è troppo incoerente nella sua pratica e persino nella sua teoria (quanti devoti rawlsiani conoscete?) per svolgere un ruolo del genere. Una teoria politica e sociale basata sull’egoismo e sull’egocentrismo generalizzato deve solo accettare i mali e le contraddizioni del mondo dei vincitori e dei vinti come inevitabili, magari da migliorare con una più rigida adesione all’ortodossia liberale. Anche se può identificare i mali, per definizione non può agire in prima persona per alleviarli, perché è una teoria transazionale del mondo. Con tutti i loro difetti, i credenti religiosi e i comunisti andavano a combattere e a morire per le cose in cui credevano: I liberali vogliono solo pagare qualcun altro per morire per le cose in cui credono. È la differenza tra “devo fare qualcosa” e “qualcosa deve essere fatto”.

Ma sto divagando. Beh, un po’. Il punto è che la moderna distruzione liberale della religione e delle idee politiche che mirano a un futuro migliore ha creato un enorme vuoto nella nostra capacità di razionalizzare il mondo, che il liberismo stesso non può colmare. E il liberalismo è impegnato a distruggere tutti gli altri parametri con cui eravamo soliti giudicare e interpretare le azioni: l’interesse nazionale, il bene collettivo, la difesa delle famiglie e delle comunità, e così via. Infine, il liberalismo stesso si è frantumato in fazioni impegnate a mordersi e a scannarsi l’un l’altra per differenze ampiamente immaginate e dettate dall’ego.

È questo, credo, che spiega il tono isterico di gran parte di ciò che oggi passa per discorso politico, per non parlare del dibattito. Le nostre opinioni e le nostre valutazioni del mondo sono in definitiva solo estensioni del nostro ego, senza punti di riferimento esterni concordati, e scegliamo le nostre opinioni e le nostre ideologie come scegliamo una squadra di calcio o una pop star da seguire: essenzialmente per pura emozione. Una sfida alle nostre opinioni è quindi una sfida alla solidità del nostro ego e una sensazione di incertezza su come interpretare un evento ci spaventa. Scegliamo opinioni e punti di vista che troviamo emotivamente soddisfacenti e che rafforzano il nostro ego e, poiché sono generati internamente, anziché essere tratti da schemi comunemente accettati, un punto di vista diverso dal nostro viene percepito come un attacco alla forza del nostro ego.

Lo si è notato nella bagarre seguita a due recenti incidenti: l’attacco alla sala concerti Crocus in Russia e la distruzione del ponte del porto di Baltimora negli Stati Uniti. Ciò che mi ha colpito – e non intendo addentrarmi in speculazioni sostanziali, dal momento che in entrambi i casi sono ancora disponibili poche prove concrete – è che nel giro di pochi minuti dai primi annunci dei media gli opinionisti si sono riversati su Internet con elaborate spiegazioni cospiratorie degli eventi, sebbene non si tratti, come ho suggerito, di teorie del complotto in quanto tali. Questo in un momento in cui persino i fatti fondamentali non erano chiari. Il punto, ovviamente, era quello di intrappolare e addomesticare immediatamente questi eventi in un quadro concettuale che non fosse impegnativo per l’ego, perché già familiare, e che ci facesse sentire di capire il mondo. Anche se pochi di noi sono ingegneri navali, specialisti nella progettazione di ponti portuali, esperti della complessa e violenta storia dello Stato Islamico, specialisti nell’interazione delle reti terroristiche o qualificati per parlare di sabotaggio di grandi navi da carico, tutti noi abbiamo familiarità con i tropi della cultura popolare sulle operazioni “false flag”, sulle misteriose forze di operazioni speciali, sulle oscure azioni dei servizi segreti, sugli ingegnosi mezzi tecnici di sabotaggio e su molte altre cose. Ricorriamo a cose “come” quella serie di Netflix che non abbiamo mai finito di guardare sui russi (o erano i cinesi) che sabotano un ponte (o era un tunnel) perché ci fornisce qualcosa a cui aggrapparci. Poiché selezioniamo le spiegazioni che ci piacciono in base a criteri essenzialmente emotivi ed estetici, siamo incapaci di discutere serenamente le questioni di fondo con qualcuno i cui criteri sono diversi. Finiamo per cercare di cavarci gli occhi a vicenda.

Come ho suggerito, oggi sono disponibili molti più dati (non diciamo “informazioni”) sui principali eventi del mondo di quanti ne possiamo elaborare, eppure la capacità della nostra cultura di dare un senso a ciò che vede è in continuo declino, anche a livello di decisori e influencer. Questo spiega, forse, il distacco di questi ultimi dalla realtà per quanto riguarda l’Ucraina. L’affermazione “non si deve permettere alla Russia di vincere” deve essere completata con la formula “o l’ego strategico occidentale subirà un danno irreparabile, e questo è inaccettabile”. Il pensiero di una sconfitta occidentale e di una vittoria russa è così distruttivo per l’ego che non può essere contemplato, tanto meno permesso di discuterne. La satira, se ne avesse voglia, potrebbe davvero prendersi gioco di questo scollamento dalla realtà: a pensarci bene, forse lo ha fatto molto tempo fa, in Monty Python e il Santo Graal.

Questo diventerà un vero problema negli anni a venire, quando la narrativa che tiene insieme il complesso di sicurezza occidentale comincerà a disintegrarsi e diventerà chiaro non solo che l’influenza occidentale su molti dei problemi del mondo è limitata ora, ma che è sempre stata molto più limitata di quanto l’ego strategico occidentale sia mai stato disposto a contemplare. Una cosa che univa i più ferventi sostenitori del rovesciamento di Gheddafi e del tentativo di rovesciamento di Assad ai loro più acerrimi critici era la convinzione dell’importanza fondamentale delle azioni occidentali. Temo che sia il momento dell’acqua fredda, e l’acqua sarà ancora più fredda in futuro.

Le strutture di potere in declino ancora aggrappate a idee gonfiate della propria importanza sono sempre state un buon materiale per i satirici, ma mi aspetto che in questo caso abbiamo qualcosa di più fondamentale della fine dell’Impero asburgico con cui confrontarci e vivere. Ma d’altra parte, la disintegrazione di quell’Impero e il più ampio caos che seguì la Prima Guerra Mondiale non sono esattamente un buon auspicio per il nostro futuro (nota per me: scrivere un saggio su questo).

Come vivere, dunque, in questa cultura post-satirica e schizofrenica, in cui la verità è qualsiasi cosa ci faccia sentire bene e ci permetta di fingere di capire davvero il mondo? Penso che abbiamo due scelte, che tra loro equivalgono a decidere se pensiamo che il mondo sia intrinsecamente semplice o intrinsecamente complicato, e se possiamo effettivamente affrontare le conseguenze se decidiamo a favore della seconda ipotesi.

Per fortuna, alcuni sono stati qui prima di noi? Esiste un’intera tradizione letteraria e filosofica dell’Assurdo, per lo più in lingua francese (Céline, Sartre, Camus, Ionesco), che guardava essenzialmente al paradosso della ricerca di un senso in un mondo che evidentemente non ne aveva e, cosa interessante, spesso adottava un tono decisamente satirico nel descrivere quel mondo. Il suo esponente più noto, Albert Camus, si chiese se, in un mondo del genere, non fosse meglio uccidersi. La risposta dell’Assurdista (e soprattutto dell’Esistenzialista) fu: “No, andare avanti, senza speranza ma senza disperazione”. Sebbene Camus abbia presentato la sua argomentazione in termini di condizione umana nel suo complesso, non è difficile vedere l’Assurdismo come un prodotto della Prima guerra mondiale e degli eventi degli anni Trenta e Quaranta, che potrebbero essere letti come un suggerimento del fatto che l’umanità ha perso le sue rotelle. La Prima guerra mondiale, in particolare, ha distrutto molte più fondamenta della società (compresa la religione) di quanto si pensi. Forse non è un caso che l’Assurdismo, come l’Esistenzialismo, fosse in declino nei prosperi e pacifici anni Sessanta e Settanta. L’allegra distruzione delle ultime strutture di significato e rilevanza da parte del liberalismo negli ultimi quarant’anni ci ha riportato, senza sorpresa, alla stessa disperante sensazione che nulla sia collegato e nulla abbia senso. Inoltre, a mio avviso, ci suggerisce le stesse possibili risposte: o la ricerca nevrotica di una grande teoria unificante di forze occulte che spieghi tutti gli eventi del mondo, o un più calmo riconoscimento del fatto che il mondo è effettivamente fondamentalmente privo di significato, ma questo non significa che non ci siano ancora cose utili e importanti da fare.

Primo Levi, scienziato e scrittore italiano, fu arrestato nel 1943 per le sue attività di resistenza e alla fine finì ad Auschwitz, dove vide non solo che chi viveva e chi moriva era in gran parte una questione di fortuna, ma anche che il comportamento delle autorità SS che gestivano il campo era completamente imprevedibile e inspiegabile. Utilizzando il tedesco che aveva imparato (una delle cose che lo aiutarono a sopravvivere), un giorno chiese a una guardia del campo perché gli avesse gratuitamente strappato un ghiacciolo che aveva preso per dissetarsi. Hier ist kein warum fu la risposta. “Qui non ci sono perché”. Anche se pochi di noi si troveranno mai in circostanze così estreme, alla fine tutti viviamo in un mondo in cui non ci sono perché, e sarebbe meglio se ci abituassimo.

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Scattata la ritorsione di Israele all’Iran_Aggiornamenti

Come prevedile la ritorsione di Israele contro l’Iran è partita. Si tratta della risposta alla replica dell’Iran, la quale se dal punto di vista dell’efficacia nei danni non ha raggiunto risultati visibili, ammesso che sia stato questo l’obbiettivo, ha rivelato la dipendenza estrema di Israele dal sostegno diretto occidentale. Colpisce il sostegno scontato di buona parte del mondo occidentale e di parte dei regimi del mondo arabo; ancora di più il silenzio, ancora più spettrale rispetto a quello subito dalla chiamata alla crociata antirussa, del resto del mondo. Tutte fratture che si allargano. Si tratta di una iniziativa del Governo di Israele e di Netanyhau, confidando sulla debolezza e insignificanza di Biden e della libertà di azione dei centri più avventuristi ed oltranzisti della sua amministrazione. Una decisione che lascerà, nell’immediato, ampia libertà di azione al Governo e all’esercito israeliano dentro e fuori il proprio territorio e imporrà ulteriore chiarezza negli schieramenti internazionali, soprattutto ai paesi arabi sunniti. Sarà, però, un ulteriore duro colpo alla credibilità strategica degli Stati Uniti nell’agone internazionale, sempre più in difficoltà nella sua veste di arbitro delle dinamiche geopolitiche e di “pacificatore”.

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08:12

Iran

Non c’è stato alcun “attacco dall’estero”, affermano i media iraniani. I droni sarebbero partiti dall’interno (L’orient le jour)

08:01

Guerra di Gaza  Esplosioni nell’Iran centrale, possibile attacco israeliano (Haaretz)

07:55

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha suggerito in un post di venerdì mattina X che l’attacco aereo israeliano contro l’Iran era una risposta troppo limitata allo sbarramento che gli iraniani hanno lanciato contro Israele dalla notte alla domenica. Fonti militari israeliani affermano invece che l’operazione deve ritenersi conclusa (Haaretz)

07:40

Funzionario israeliano al Washington Post: “Lo sciopero intende segnalare all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del paese” (Haaretz)

07:28

L’ambasciata americana in Israele annuncia la limitazione dei viaggi del proprio personale (L’orient le jour)

07:02

Attacchi israeliani su postazioni militari nel sud della Siria (OSDH) (L’orient le jour)

06:42

Iran  I voli sono ripresi dagli aeroporti di Teheran (L’orient le jour)

06:00

USA: Solo Israele ha partecipato all’attacco.

Al momento sembra che sia l’Iran che Israele pretendono di far finta che l’attacco di rappresaglia di questa notte non sia mai avvenuto, anche se Israele rilascia una dichiarazione ufficiale, l’Iran sarà probabilmente costretto a riconoscere che almeno un qualche tipo di azione ha avuto luogo.

Questo attacco potrebbe essere stato “uno e veloce” Si spera che la situazione si sia tranquillizzata, anche se provocare la risposta delle difese aeree dell’Iran e ottenere cosi l’ordine di battaglia e le tracce aggiornate, prima di un attacco molto più grande, è una tattica reale usata in guerra, specialmente verso esche piu`vulnerabili…

05:35

I media di Stato iraniani hanno dichiarato che i siti nucleari iraniani hanno la massima sicurezza e non hanno subito danni dall’attacco di stanotte da parte di Israele.

FOX – Gli attacchi israeliani all’Iran sono “limitati”.

CNN- L’obiettivo in Iran “non è nucleare”.

NBC- Le forze israeliane hanno allertato i funzionari statunitensi prima dell’attacco di oggi.

Una confusione totale e dichiarazioni contraddittorie. Di sicuro sembra che l’attacco all’Iran sia stato limitato nella portata e nell’azione. Stareme a vedere…

05:31

Segnalazioni di attacchi informatici contro i siti web dello Stato iraniano

05:30

Alti funzionari degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e dell’Arabia Saudita avrebbero detto agli Stati Uniti di aver bisogno delle stesse garanzie di sicurezza che gli Stati Uniti hanno con Israele se vogliono aumentare la loro partecipazione all’Alleanza regionale.

05:25

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ATTACCO CON RAZZI E DRONI SUL NORD DI ISRAELE

05:22

Sinceramente, fino ad ora questa risposta di Israele e molto “sottotono…”

05:20

Israele ha lanciato un attacco all’Iran nel giorno del compleanno della Guida Suprema Khamenei.

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05:18

L’Iran ha avvertito che se Israele avesse colpito il suo territorio, la risposta sarebbe stata più forte e immediata.

Vedremo cosa succederà nelle prossime ore.

05:11

I funzionari e gli organi di informazione iraniani affermano che tutte le esplosioni udite questa notte sono dovute a intercettazioni e che non si sono verificate esplosioni “a terra”.

05:06

I funzionari e gli organi di informazione iraniani affermano che tutte le esplosioni udite questa notte sono dovute a intercettazioni e che non si sono verificate esplosioni “a terra”.

L’Agenzia spaziale iraniana (ISA) sostiene che le batterie di difesa aerea sono state in grado di intercettare almeno 3 obiettivi ostili questa mattina sopra la provincia di Isfahan, nell’Iran centrale.

04:55

L’agenzia di stampa Fars riferisce che tre esplosioni sono state udite nei pressi di una base militare a nord-ovest di Isfahan. Fars aggiunge che potrebbe essere stato preso di mira un sito radar.

04:49

Secondo quanto riferito dai funzionari israeliani, gli Stati Uniti avrebbero comunicato all’inizio di oggi la loro intenzione di lanciare attacchi di rappresaglia contro l’Iran entro le prossime 24-48 ore.

04:36

L’aeroporto internazionale Imam Khomeini (IKA) di Teheran comunica ai passeggeri che tutti i voli sono stati cancellati e che devono uscire dall’aeroporto.

04:35

I luoghi finora presi di mira dagli aerei da guerra nella campagna di Daraa, in Siria:

– Aeroporto agricolo di Izraa
– Battaglione radar tra Izraa e Qarfa
– Aeroporto militare di Al-Thalaa, a ovest di Suwayda

I media statali iraniani riferiscono che l’attacco aereo di questa notte da parte dell’aviazione israeliana potrebbe aver preso di mira l’ottava base aerea tattica all’interno dell’aeroporto internazionale di Isfahan.

La base, che ospita diverse squadriglie di caccia F-14 “Tomcat”, è ora un punto focale del conflitto in corso.

04:32

L’IRGC dichiara lo stato di massima allerta in tutte le sue basi e campi in tutto l’Iran.

ABC News conferma che le forze israeliane hanno colpito un sito in Iran.

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04:10

Israele ha lanciato attacchi missilistici contro il programma nucleare iraniano

Sono state segnalate esplosioni nei pressi delle città di Isfahan e Natanz, nel centro dell’Iran, entrambe contenenti importanti strutture del programma nucleare iraniano.

Attacchi anche in Siria (sito radar a Suwayda) e in Iraq.

Meglio fare il pieno di benzina, il petrolio sta per salire alle stelle. L’Iran probabilmente chiuderà lo stretto di Hormuz.

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03:49

L’Iran ha sgomberato il suo spazio aereo.

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03:33

Esplosioni segnalate in Iran. Siamo in onda con le notizie dell’ultima ora.

Israele sta bombardando contemporaneamente Iran, Siria e Iraq.

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LA NATO (GLI USA) E’ UN PERICOLO PER LE POPOLAZIONI E I TERRITORI EUROPEI E MONDIALI, di Luigi Longo

LA NATO (GLI USA) E’ UN PERICOLO PER LE POPOLAZIONI E I TERRITORI EUROPEI E MONDIALI.

di Luigi Longo

La retorica sui 75 anni dalla creazione della NATO è stata degna di quella che Costanzo Preve definiva una “menzogna sistematica”. A tale riguardo riporto sia la dichiarazione del pre-dominante USA, tramite il Presidente Joe Biden, sia la dichiarazione del sub-dominante Italia, tramite il Presidente Sergio Mattarella.

Così Joe Biden << […] Questa […] è la più grande alleanza militare nella storia del mondo. Ma non è successo per caso, né era inevitabile. Generazione dopo generazione, gli Stati Uniti e i nostri compagni alleati hanno scelto di unirsi per difendere la libertà e respingere l’aggressione, sapendo che quando lo facciamo siamo più forti e il mondo è più sicuro”. “Lo abbiamo visto – aggiunge – durante la Guerra Fredda, quando eravamo uniti contro le forze del totalitarismo sovietico. Lo abbiamo visto di nuovo quando l’America è stata attaccata l’11 settembre 2001 e i nostri alleati hanno invocato l’Articolo 5 della Nato – un attacco contro uno, è un attacco contro tutti – per la prima e unica volta nella storia. E lo abbiamo visto negli ultimi due anni, quando gli alleati si sono fatti avanti per sostenere il coraggioso popolo ucraino di fronte alla feroce invasione della Russia, la più grande guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale >>. (1).

Così Sergio Mattarella << L’attuale contesto internazionale, drammaticamente segnato dal riemergere di pulsioni belliche e da minacce alla sicurezza, rende particolarmente opportuna una riflessione circa la ricorrenza odierna: settantacinque anni fa, infatti, un gruppo di Paesi reduci – a vario titolo – dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale conclusero il Trattato dell’Atlantico del Nord. […] Oggi, con il ritorno della guerra nel continente europeo, e di fronte a una diffusa instabilità nelle regioni a noi più prossime, si comprende appieno la lungimiranza di quella scelta. La recente adesione di Finlandia e Svezia alla NATO conferma che permane intatto l’anelito alla libertà, all’indipendenza, alla pace e alla sicurezza. […] Nei settantacinque anni trascorsi da allora la Repubblica, in piena fedeltà al dettato costituzionale, non ha cessato di partecipare con serietà e dedizione alla vita dell’Alleanza. Orgogliosa fondatrice di questo patto tra Stati liberi e sovrani, essa vi contribuisce in spirito di generosa e solidale collaborazione, assicurando che le sfide provenienti da ogni area geografica ricevano adeguata attenzione, senza alcun atteggiamento di aggressività, rimasta sempre estranea all’Alleanza >> (2).

Sulla ferocia della invasione della Russia ricordata dal Presidente Joe Biden, cito quanto affermato dal Presidente Vladimir Putin << Nel 2022 gli Usa hanno speso per la difesa 811 miliardi di dollari e la Federazione russa 72 miliardi: la differenza è evidente, più di 10 volte. Il 39% della spesa globale per la difesa è degli Usa, quella russa è il 3,5%. E (…) noi combatteremmo contro la Nato? È una sciocchezza. Inoltre cosa stiamo facendo adesso con la nostra operazione militare speciale? Proteggiamo la nostra gente che vive nei nostri territori storici. Se dopo il crollo dell’Unione Sovietica, come proposto dalla Russia, si fossero costruite relazioni di sicurezza completamente nuove in Europa, non sarebbe successo niente di simile a oggi: terremmo semplicemente conto dei nostri interessi nel campo della sicurezza, di cui parliamo anno dopo anno, da decennio a decennio: ma solo completa ignoranza. Sono arrivati direttamente ai nostri confini. Ci stavamo forse muovendo verso i confini dei Paesi del blocco Nato? Non abbiamo toccato nessuno. Si stavano muovendo verso di noi. Abbiamo attraversato l’oceano fino ai confini Usa? No, si stanno avvicinando a noi, e si sono avvicinati. Che cosa stiamo facendo? Proteggiamo solo la nostra gente nei nostri territori storici. Pertanto ciò che dicono sul fatto che attaccheremo l’Europa dopo l’Ucraina è una totale assurdità. Intimidiscono la loro popolazione al solo scopo di estorcerle denaro (…). La loro economia si sta contraendo e il tenore di vita sta calando (…): hanno bisogno di giustificarsi, quindi spaventano la loro popolazione con una possibile minaccia russa (…). La Nato è l’organizzazione del blocco nord-atlantico: dove sta andando ora? Si sta diffondendo nell’Asia del Pacifico, nel Medio Oriente, in altre regioni e sta già entrando in America Latina. E tutto con vari pretesti (…) trascinando i loro satelliti europei. Quelli credono che tutto ciò corrisponda in qualche modo ai loro interessi nazionali. Hanno paura di una Russia grande e forte, anche se lo fanno invano. Noi non abbiamo intenzioni aggressive nei confronti di questi Stati. Non avremmo mai fatto nulla in Ucraina se non ci fosse stato un colpo di Stato e poi le operazioni militari nel Donbass. Hanno iniziato la guerra nel 2014, hanno usato semplicemente l’aviazione, tutti hanno visto questi bombardamenti quando hanno colpito Donetsk, una città pacifica, con missili dal cielo. Ciononostante abbiamo accettato gli accordi di Minsk. Poi si scopre che ci hanno imbrogliati ritardando di otto anni e alla fine ci hanno costretti a passare a un’altra forma di protezione dei nostri interessi e della nostra gente. Pertanto è una totale assurdità la possibilità di un attacco ad altri Paesi, alla Polonia, agli Stati baltici e stanno spaventando pure i cechi. Sciocchezze. Un altro modo per ingannare la propria popolazione ed estorcerle spese aggiuntive. Null’altro. Domanda: i Paesi Nato stanno pianificando di fornire i caccia all’Ucraina: i media stanno discutendo del fatto che gli F-16 saranno utilizzati nella zona dell’operazione militare speciale contro truppe e strutture russe, anche dal territorio dei Paesi della Nato. Ci sarà permesso di colpire questi obiettivi negli aeroporti della Nato? Se consegnano gli F-16, e pare che stiano addestrando i piloti, questo non cambierà la situazione sul campo di battaglia e distruggeremo i loro aerei come ora distruggiamo i loro carri armati, i veicoli corazzati e altre attrezzature compresi i sistemi di razzi a lancio multiplo. Naturalmente se partono da aeroporti di Paesi terzi, diventano per noi un obiettivo legittimo, non importa dove si trovino; e gli F-16 sono anche portatori di armi nucleari, e dovremo tenerne conto anche quando organizzeremo l’opera di combattimento. >> (3).

Sull’aggressività rimasta sempre estranea all’Alleanza, come sottolineato da Sergio Mattarella, ricordo con le parole di Manlio Dinucci che << Venticinque anni fa la NATO sotto comando USA demoliva con la guerra ciò che restava della Federazione Jugoslava, lo Stato che ostacolava la sua espansione ad Est verso la Russia. Nei successivi vent’anni la NATO si è allargata da 16 a 30 paesi e, con la guerra in Ucraina iniziata nel 2014, si è estesa a 32. Determinante, nella guerra del 1999, è il ruolo del Governo italiano, presieduto da Massimo D’Alema e dal vicepresidente Sergio Mattarella. Come possiamo ascoltare dalla registrazione audio ufficiale, è il vicepresidente Mattarella ad annunciare al Senato l’inizio della guerra la sera del 24 marzo 1999 e a spiegarne le ragioni secondo la versione ufficiale. >> (4). Inoltre sottolineo con Mahdi Darius Nazemroaya che << […] Gli anni Novanta non furono altro che un periodo di transizione in vista della globalizzazione della NATO e dei conflitti dei due decenni che sarebbero seguiti. Gli Stati Uniti si stavano adoperando per tracciare la tabella di marcia di quella che sarebbe stata la loro “lunga guerra” nel cuore dell’Eurasia e dell’Isola del Mondo (cioè la massa continentale eurasiatica e quella africana), approfittando del vuoto geopolitico che la fine dell’URSS avrebbe prevedibilmente lasciato. E’ su questa base che si svilupparono gli interventi bellici della NATO contro l’Iraq nella Guerra del golfo e successivamente in Jugoslavia. Gli strateghi militari presero atto delle operazioni della NATO e realizzarono che essa potesse costituire un’arma potentissima e uno strumento per rimodellare Paesi e intere regioni. >> (5).

A questo punto una domanda si pone: che fare a 75 anni dalla creazione della NATO? Un periodo che ha visto il passaggio dalla fase monocentrica coordinata dagli USA (prima nel campo Occidentale e dopo con l’implosione dell’URSS in quello mondiale) all’attuale fase multicentrica dove si è avviato lo scontro tra potenze per l’egemonia mondiale e, per dirla con Manlio Dinucci, << […] Si apre così la sfida del nuovo periodo storico, quella di costruire un mondo multipolare formato da diversi poli statuali sovrani, in cui i popoli abbiano reali libertà democratiche e reali diritti economici e sociali, in cui le diverse identità etniche, culturali, religiose e altre, createsi nel corso della Storia, siano considerate una ricchezza comune da valorizzare, senza pretesa che l’una prevalga sull’altra ma creando un intreccio di reciproci rapporti. >> (6).

Occorre, a mio avviso, eliminare il pericolo della NATO per le popolazioni. La NATO ribadisco è uno strumento degli Stati Uniti per le sue strategie di dominio, una potenza che è per un mondo monocentrico e non per un mondo multicentrico come sono la Cina e la Russia. Come pensarlo? Bisogna creare la possibilità di costruire una forza organizzata (un nuovo principe-progetto) (7) che abbia come obiettivo strategico quello di uscire realmente dalla NATO e dall’Unione Europea, per tre questioni: 1) ri-costruire una sovranità e un’autodeterminazione nazionale come condizione per pensare ad un progetto di una Europa delle nazioni libere e popolari; 2) riconvertire i territori-NATO in sistemi valoriali alternativi che ruotino intorno alle città e ai territori; questa riconversione renderebbe inutile l’attacco distruttivo dei missili nucleari russi. I russi, infatti, non vogliono attaccare le basi militari in Italia e in Europa per invadere i rispettivi territori, ma come risposta difensiva alla strategia guerrafondaia degli USA-NATO (8); 3) considerare nuove relazioni internazionali con le nazioni-potenze che sono per un mondo multicentrico e che “trattano i Paesi come soggetti legittimi, con esigenze e aspirazioni legittime”.

Mano a mano che la fase multicentrica avanza si incominciano a delineare i poli dello scontro risolutivo (ammesso e non concesso che vi sarà sopravvivenza umana) e si fa sempre più pressante la possibilità di trovare una strada che mantenga il conflitto strategico tra le potenze mondiali (con i loro poli di alleanze) nella fase multicentrica che significa trovare un equilibrio dinamico che scongiuri la fase policentrica ovvero la terza guerra mondiale (9).

Ho avanzato le suddette riflessioni considerando i Paesi capitalistici (sia in Occidente sia in Oriente) con le loro peculiarità storiche e territoriali (la rivoluzione dentro il capitale, inteso come rapporto sociale complessivo della società). Altro è pensare ad una società con diversi rapporti sociali, che tenga conto della maggioranza della popolazione e che costruisca la sensatezza della vita sia a livello nazionale sia a livello mondiale (la rivoluzione fuori dal capitale). Così scriveva Massimo Bontempelli << […] Il mondo attuale, dove si pretende di flessibilizzare, senza riguardo per gli scopi della vita, ogni aspetto dell’esistenza, dal lavoro (per chi lo ha) alle abitudini quotidiane, dove la circolazione del denaro, delle merci e delle informazioni è così vorticosa e priva di limiti da far mancare ogni stabile punto di riferimento esterno e interno, dove innumerevoli individui ansiosi e stupidamente competitivi, immersi in un incessante e insensato rumore di fondo, non fanno altro che produrre e consumare (da cui il mito demente della società funzionante a pieno ritmo di notte come di giorno, in modo che il consumatore notturno inebetito dai tanti canali televisivi e siti informatici, possa ordinare la pizza per telefono prima di darsi il sonno con il consumo di qualche pasticca), in questo mondo, dicevamo, non può durare a lungo: gli squilibri antropologici che genera fanno dubitare che possa rimanere un minimo ordinato oltre il XXI secolo. La conoscenza del bene è allora, molto concretamente, niente altro che la conoscenza delle condizioni di una vita sociale ordinata e sensata. Tutto sta a renderla possibile, risalendo a ritroso, con il pensiero, la corrente nichilista che ci ha condotti fino a questo punto. >> (10).

 

 

NOTE

 

  1. 1. Redazione ANSA, Biden, abbiamo il “sacro impegno” di difendere ogni centimetro dell’Alleanza, ansa.it, 4/4/2024.
  2. 2. Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione del 75° anniversario del Trattato dell’Atlantico del Nord, quirinale.it, 4/4/2024.
  3. 3. Vladimir Putin ha parlato a braccio ad un incontro coi piloti dell’aeronautica militare nella regione occidentale di Tver della Russia. La trascrizione letterale del discorso è riportata in Raniero La Valle, Era prebellica? Allarmi siamo polacchi, ilcomunista23.blogspot.com, 3/4/2024.
  4. 4. Manlio Dinucci, Jugoslavia 24 marzo 1999: la guerra fondante della nuova Nato, voltairenet.org, 27/3/2024.
  5. 5. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag. 100.
  6. 6. Manlio Dinucci, La guerra. E’ in gioco la nostra vita, Byoblu Edizioni, Milano, 2022, pag. 213.
  7. 7. Massimo Bontempelli, Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000, pp. 223-254.
  8. 8. Marco Della Luna, Morire di NATO, marcodellaluna.info, 11/3/2024.
  9. 9. Sul conflitto strategico tra le potenze nella zona grigia tra guerra e pace, si veda Peter L. Hickman, Guerre fredde, zone grigie e competizione strategica: applicazione delle teorie della guerra alla strategia del XXI secolo, comedonchisciotte.org, 13/4/2024.

10.Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, Editrice C.R.T., Pistoia, 1998, pp. 138-139.

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L’inferiorità della “via occidentale alla guerra” viene lentamente alla luce, di Simplicius The Thinker

L’inferiorità della “via occidentale alla guerra” viene lentamente alla luce

Analisi di due nuove interessanti scoperte in ambito militare sia negli Stati Uniti che in Ucraina.

Da parte ucraina c’è stata un’altra serie di trasmissioni molto rivelatrici che senza dubbio passeranno inosservate. Esse fanno luce su alcuni aspetti tematici chiave della guerra, in particolare, in questo caso, sul rapporto tra la NATO e l’AFU e sulla sua filosofia militare dottrinale, il che ci permette di capire meglio come e perché il conflitto si stia svolgendo nel modo in cui si sta svolgendo.

Il primo elemento è l’ultimo video del popolare canale YouTube Red Effect, che molti di voi conoscono, che si concentra principalmente sui video dei carri armati durante il conflitto, con un taglio pro-ucraino:

Inizialmente ero pronto a scartare il video, ma alla fine sono rimasto sempre più incuriosito da ciò che veniva detto. Si intitola “Gli ucraini usano male il carro armato Abrams?” e consiste in un’intervista a un comandante di carro armato Abrams dell’esercito americano in servizio attivo.

Non rivela il suo vero nome, ma sembra informato, conosce il gergo e il suo grado di sergente maggiore corrisponde a quello che sarebbe il livello più basso di comandante di carro armato al di sotto del capo plotone. Dichiara di avere 10 anni di esperienza, 4 schieramenti, e di aver prestato servizio per diversi anni in ogni posizione del carro armato Abrams, cioè artigliere, caricatore, pilota e comandante, e quindi conosce il sistema dentro e fuori.

Inizia con risposte piuttosto generiche e poco interessanti. Tuttavia, leggendo tra le righe, lascia trapelare non poche rivelazioni tacite.

Il primo di questi è intorno al minuto 4, quando afferma che la sua unità, attualmente in fase di addestramento, ha iniziato solo ora a “inserire i droni” nell’equazione. La parte più impressionante è che i tipi di droni che stanno usando sono quelli che lanciano granate dall’alto sui carri armati. Chiunque abbia seguito la guerra in Ucraina non può non notare una svista così dilettantesca da parte dell’esercito americano, apparentemente sprovveduto.

È ampiamente noto che i droni lanciagranate non sono nemmeno lontanamente il problema degli attuali combattimenti corazzati. Anche il filmato di repertorio che viene proiettato in questo segmento dell’intervista sottolinea il punto: questi tipi di droni sono tipicamente utilizzati per “finire” i carri armati che sono già stati disabilitati da tempo. Ciò significa che non si tratta di droni da combattimento attivo, ma piuttosto della pulizia che setaccia un campo di desolazione post-battaglia, andando opportunisticamente a caccia di veicoli o feriti da finire. Che utilità avrebbero i comandanti di carri armati a perdere tempo nell’addestramento contro di loro?

Il problema sono gli FPV che volano ad alta velocità con cariche cumulative, non i droni lenti che lanciano granate. Le sue parole successive sono per molti versi ancora più stridenti, perché il suo modo di discutere dei droni sembra così “verde” e, francamente, fuori dal mondo.

Ha riferito che il suo comando “presumibilmente” introdurrà “più addestramenti di questo tipo” – ammettendo di non essere nemmeno sicuro che andranno oltre l’affettazione superficiale e totalmente inutile di lanciare alcune granate dall’alto. Ammette poi che “l’intero concetto di droni è assolutamente folle [per noi]”, rivelando in sostanza che l’Esercito degli Stati Uniti è in ritardo rispetto agli sviluppi dei droni, tanto da essere ancora in effetti solo un po’ a spasso con il bastone, incapace anche solo di fare i conti con le basi nel modo in cui è diventato una seconda natura sia per la parte ucraina che per quella russa da due anni a questa parte.

Ciò è confermato dai suoi ulteriori commenti: ogni volta che parla della minaccia dei droni, si ha sempre più l’impressione che l’esercito americano sia davvero fuori dal mondo e tratti i droni come una sorta di novità con cui informare vagamente i carristi, come se contasse ancora sulla magia intangibile della mitica “Might” statunitense per occuparsi della minaccia.

Questo è in realtà un comportamento tipico delle forze armate statunitensi, a cui molti hanno accennato in passato, come il dottor Phillip Karber nel suo discorso a West Point. Ogni branca militare degli Stati Uniti si aspetta tranquillamente di passare la responsabilità a “qualche altra” branca che si sente sicura che “si prenderà cura del problema”. Per esempio, i carristi potrebbero pensare che: “Non sono preoccupato, sono sicuro che le nostre unità EW si occuperanno di quei fastidiosi droni al posto nostro se mai dovessimo schierarci”, pensando che solo una familiarità di base con il problema dovrebbe essere sufficiente a mitigare ogni potenziale danno.

Ma non sanno che non ci sarà nessun’altra unità o branca a salvarli miracolosamente. Le capacità EW di prima linea degli Stati Uniti non sono sviluppate nemmeno in minima parte come quelle della Russia – e si può vedere come la Russia stessa stia lottando contro questa persistente minaccia dei droni. Il fatto che il sergente nel video continui a riferirsi agli FPV come se stessero lanciando “granate” sembra implicare che non comprenda veramente la minaccia specifica che gli FPV rappresentano, che non ha nulla a che fare con le granate o con il lancio di qualcosa. È come se un “vecchio” discutesse delle mode della generazione Z: si percepisce che non hanno capito la vera essenza delle cose.

Mi chiedo anche se il comandante non stia interpretando male i video che sta guardando dall’Ucraina. Questo sarebbe indicativo e si ripercuoterebbe sull’esercito americano stesso. Potrebbe vedere il lancio di granate in botole aperte, interpretando i bersagli come se fossero ancora vivi in combattimento, cosa che non accade quasi mai.

Poi, ammette che le “gabbie per i poliziotti” sono l’unica vera protezione possibile contro i droni – un fatto che forse non ci sorprende, ma che potrebbe sorprendere chiunque conservi ancora una sorta di visione idealizzata dell’esercito americano come una forza superiore che è “al di sopra” dell’uso di soluzioni così rozzamente improvvisate. Naturalmente ora abbiamo visto anche il tanto celebrato IDF ricorrere a queste gabbie a Gaza, come sarebbero costretti a fare gli Stati Uniti. A 5:45 il comandante dichiara apertamente che le sue unità non hanno mai “pensato” a misure di mimetizzazione pesante, mettendo ulteriormente in luce la compiacenza dell’esercito americano per gli anni di lotta contro i beduini disarmati.

Quando questo modo di pensare diventa istituzionalizzato su scala di massa, come lo è diventato nell’Esercito degli Stati Uniti, non può essere risolto in modo rapido. Non si può semplicemente schioccare un dito e aspettarsi che questa mostruosità ingombrante, composta da centinaia di unità disparate e da strutture gerarchiche bizantine, sia in grado di conformarsi fluidamente a una revisione totale delle sue dottrine operative più basilari e dei suoi “riflessi” organizzativi intrinseci. L‘Esercito degli Stati Uniti impiegherebbe anni per adattarsi strutturalmente a gran parte di questi cambiamenti moderni in modo composito e su larga scala.

Ma la seconda metà del video è quella in cui le cose si fanno davvero interessanti e si collegano all’arco tematico principale di questo articolo, che sarà supportato dai pezzi successivi.

Questa sezione viene avviata da Red Effect che chiede al sergente informazioni sulle tattiche e se l’AFU sta usando correttamente i carri armati Abrams. Il sergente fa alcune concessioni estremamente rivelatrici.

Inizia dicendo che ha discusso la questione con i suoi ufficiali e che si riduce sempre all’idea di “dottrina”, e qual è la dottrina degli Stati Uniti quando si tratta di combattere con i carri armati, esattamente?

Spiega che, in sostanza, la dottrina corazzata statunitense si basa sull’utilizzo dei veicoli corazzati in sezioni o gruppi che si sostengono a vicenda, cioè insieme, piuttosto che uno o due veicoli che agiscono individualmente, come spesso accade in Ucraina. Egli individua correttamente che la principale conseguenza della moderna proliferazione dei droni è la capacità di concentrare il fuoco con estrema rapidità. Ciò significa che qualsiasi unità di carri armati composta da più veicoli che si trovano raggruppati sarà molto rapidamente presa di mira ed eliminata in un modo che non ha precedenti nell’addestramento e nelle dottrine di quasi tutti i Paesi del mondo.

In questo caso l’americano dimostra una consapevolezza della situazione impressionantemente competente. La cosa più notevole è che, contrariamente alle aspettative, non critica mai una volta l’esercito russo o il suo modo di fare la guerra, ma per lo più è implicitamente d’accordo con il modo in cui la Russia conduce le sue operazioni a causa di queste peculiarità uniche della moderna guerra centrata sui droni.

Intorno alle 11:45 conferma qualcosa di cui ho scritto specificamente quando afferma che: “L’esercito degli Stati Uniti è passato dalla COIN (Counter Insurgency) alla guerra tra pari nel 2016”, sottintendendo che gli Stati Uniti hanno iniziato a pensare di combattere guerre realistiche piuttosto che azioni di insurrezione su piccola scala solo relativamente di recente. È in effetti ironico come gli Stati Uniti abbiano altezzosamente strombazzato le proprie “operazioni speciali” militari minori, come la guerra in Iraq, come “guerre” a tutto campo, mentre la Russia, che sta combattendo una vera e propria guerra in stile Seconda Guerra Mondiale, la sminuisce al contrario come una semplice “operazione speciale”.

Ma al ritorno, il sergente americano ammette che l’esercito statunitense non ha modo di affrontare tali droni (~13:00) e poi fa la più grande ammissione del video: che, secondo lui, la NATO ristrutturerà totalmente le proprie tattiche per riflettere quelle della Russia nel conflitto in corso. In altre parole, ritiene che la NATO passerà da un’idea di “grande battaglia” a uno stile di “carri armati individuali” e “elementi più piccoli con iniziativa per raggiungere un obiettivo più grande” di cui la Russia è pioniera:

“All’esercito degli Stati Uniti piace operare in senso macro, come una compagnia di 14 carri armati in ogni momento. Operiamo come battaglioni di circa 50 veicoli da combattimento e non siamo abituati a operare da soli… Penso che ci sarà una spinta verso le competenze individuali e di compagnia in combattimento. Invece di inviare più carri armati a farsi distruggere, ne manderemo uno a occuparsi delle cose. Ci si affiderà maggiormente ai singoli equipaggi di carri armati e alla loro letalità individuale più di ogni altra cosa. Credo che questa sarà una spinta. Per evitare perdite di massa, dobbiamo tornare a combattere come individui che si sostengono a vicenda, invece di raggrupparsi. Credo che questa sarà la grande spinta”.

Questo è sorprendente per una moltitudine di motivi, non ultimo il fatto che è stato proprio uno dei miei temi principali portati avanti in vari articoli strategici su come il combattimento moderno sia stato evoluto dalla Russia in uno stato in cui la grande battaglia strategica sta diventando obsoleta a causa dell’onnipresente ISR che bandisce la nebbia della guerra, a favore di uno stile “a spizzichi e bocconi” di operazioni su piccola scala, che cercano di raggiungere un obiettivo operativo più grande attraverso un accumuloquasi invisibile ma persistente di piccoli guadagni tattici appena percettibili, simili a un gruppo di piccole perdite che riempiono gradualmente un serbatoio.

Per esempio, pezzi come questi due:

La nuova analisi del think tank di West Point sull’evoluzione militare della Russia

21 GIUGNO 2023
Dissecting West Point Think-tank's New Analysis of Russia's Military Evolution

Il Modern War Institute di West Point – una sorta di think tank presieduto da Mark Esper e che fa parte del Department of Military Instruction – ha pubblicato un’interessante analisi approfondita delle innovazioni russe sul campo di battaglia dell’SMO, intitolata: IL MODO RUSSO DI FARE LA GUERRA IN UCRAINA: UN APPROCCIO MILITARE IN CORSO DI REALIZZAZIONE DA NOVE DECENNI.

E:

Il BTG è morto, lunga vita al BTG!

1 MARZO 2023
The BTG Is Dead, Long Live The BTG!

Un ufficiale delle riserve ucraine ha scritto un thread molto interessante su Twitter, che è stato poi ripreso da una serie di altri analisti, da DailyKos a un maggiore generale in pensione dell’esercito australiano. Il testo riporta i dettagli di un presunto cambiamento dottrinale nella struttura dei gruppi di combattimento russi in Ucraina, che è stato scoperto attraverso …

Ma qui la cosa si fa doppiamente interessante. Il comandante del carro armato finisce qui, ma abbiamo una nuova intervista del Telegraphbritannico con un acuto tenente colonnello di una “brigata presidenziale” d’élite dell’AFU che riprende e sottolinea molte delle parole del comandante del carro armato americano di cui sopra.

Ecco l’articolo di accompagnamento. E l’intervista completa :

L’intervista vera e propria inizia intorno al minuto 28:00, con il tenente colonnello Pavlo Kurylenko, comandante della Brigata presidenziale ucraina.

In primo luogo, sembra piuttosto esperto di tattica e strategia militare, come si addice al suo rango, ed enumera astutamente le differenze tra l’approccio dottrinale alla tattica della NATO e quello “sovietico”. Fornirò i codici temporali del video qui sopra, ma inserirò anche le piccole porzioni di audio per comodità.

La prima sezione interessante inizia intorno al minuto 31:30. Gli viene chiesto se l’addestramento degli ucraini nei Paesi della NATO sia all’altezza. Risponde che ritiene che il futuro del pensiero militare sarà basato in Ucraina e che, viceversa, sarà la NATO a imparare e ad addestrarsi in Ucraina.

Poi distingue tra i due sistemi contrastanti delle scuole NATO e sovietica, di cui l’Ucraina utilizza un ibrido. L’implicazione è che l’AFU prende il meglio da entrambi e che la NATO non ha l’ultima parola sulle tattiche/strategie militari come comunemente si crede.

Qui spiega in dettaglio queste precise differenze, che è un ascolto affascinante:

Ascoltate attentamente ciò che dice. Per molti versi sta descrivendo i famosi stili di comando “push contro pull”, con la “via russa” – secondo l’Occidente – che è il rigido “push” diretto dal comando, mentre la NATO si dice che impieghi una filosofia “pull”. Ma qui delinea le chiare debolezze del metodo NATO in quanto:

  1. Richiede una cauta mentalità difensiva, che non è sempre l’ideale, anzi può portare alla perdita dell’iniziativa di combattimento e dare al nemico l’opportunità di superarvi.

  2. Richiede una quantità sproporzionata di equipaggiamenti avanzati, come gli elicotteri di cui parla; l’implicazione è che, senza una ricognizione iniziale con risorse pesanti, una forza NATO è di fatto paralizzata nell’avanzare e nel prendere gli obiettivi.

Per quanto riguarda il secondo punto, egli afferma che la NATO non ha una risposta quando non ha il lusso di avere l’equipaggiamento necessario per operare in questo modo – quindi la paralisi di cui ho parlato.

Per molti versi, ciò introduce il ben noto stereotipo della NATO come forza metodica e prevedibile, che resta in attesa mentre l’aviazione si “occupa delle cose” prima di andare avanti. Quello che sta dicendo è che la dottrina della NATO non consente una vera strategia di avanzamento o di manovra sotto il fuoco in ambienti contestati e a bassa informazione spaziale, dove la ricognizione e l’ISR non sono onnipresenti.

A ~40:38 gli viene chiesto cosa succederà se gli aiuti americani non arriveranno mai:

Non solo dichiara apertamente: “Saremo assaliti da un’offensiva russa su larga scala e prepotente verso l’estate”. Ma che la Russia attaccherà sia da Zaporozhye che da Kharkov, respingendo le forze ucraine fino al fiume Dnieper.

“Perderemo il territorio dell’Ucraina fino al fiume Dnieper”.

Si tratta di un’ammissione enorme, che si accorda con tutte le prospettive di “scenario peggiore” a cui i media occidentali ci hanno lentamente abituato negli ultimi tempi, comprese le tardive concessioni dello stesso Zelensky sulla possibilità che l’Ucraina perda la guerra se non arrivano gli aiuti.

Per esempio, da un articolo recente:

“L’Ucraina non avrà la possibilità di vincere la guerra senza l’aiuto degli Stati Uniti. Attualmente, il rapporto di artiglieria al fronte è di 1 a 10, e per gli aerei è di 1 a 30. Con queste statistiche, la Federazione Russa ci respingerà ogni giorno. Con queste statistiche, la Federazione Russa ci respingerà ogni giorno; l’Ucraina ha completamente esaurito i missili per proteggere il Trypil TPP a causa della mancanza di assistenza da parte degli alleati”, ha dichiarato Zelensky.

In seguito, alla Kurylenko viene posta una domanda che mette ulteriormente a nudo la totale ignoranza degli “esperti militari” occidentali e, in questo caso, dei giornalisti. L’intervistatore britannico caratterizza la difesa russa come statica “che assorbe i danni”, mentre la NATO è la quintessenza della varietà mobile. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità: La Russia ha dimostrato con la durata della SMO – in particolare durante la grande “controffensiva” dell’AFU dello scorso anno – che il suo stile caratteristico è in realtà la “difesa attiva”, che implica una difesa mobile che non sta mai ferma, ma che contrattacca continuamente per depistare il nemico dal suo piano di gioco, esaurendolo e facendogli perdere l’iniziativa.

Ma nonostante la domanda idiota, la risposta di Kurylenko è ancora una volta istruttiva. Spiega che l’Ucraina utilizza una struttura a due divisioni per la difesa, dove una “divisione” si concentra interamente sulla difesa, mentre un’altra totalmente separata, quella delle “forze speciali”, si concentra sulla difesa attiva, ovvero sul contrattacco e sul lancio di piccoli assalti.

Sebbene possa sembrare complicato per un ascoltatore non esperto, in realtà ciò che spiega è assolutamente conforme a quanto visto sul fronte. Ad Avdeevka, ad esempio, le TDF, o Forze di Difesa Territoriale, meno addestrate e meno equipaggiate, erano il principale “scudo di carne” per l’AFU. Brigate come la 116esima e la 129esima Territoriale sedevano nelle posizioni e nelle trincee rinforzate e scavate, mentre le unità di tipo “forze speciali” manovravano e contrattaccavano intorno a loro. In questo caso, si trattava notoriamente della 47ª Meccanizzata con Bradley, Leopard e infine Abrams, anche se ce n’erano altre come la 67ª Jaeger, ecc.

Si tratta naturalmente di uno stile di difesa molto logico. Lasciate che le vostre truppe peggiori agiscano come “guardie” di primo livello, senza dover svolgere attività di alto coordinamento come la manovra, mentre le vostre truppe altamente addestrate – il 47° in questo caso – usano tattiche meccanizzate ad armi combinate per colpire il nemico che avanza sui fianchi, utilizzando imboscate, contrattacchi e altro.

La Russia, ovviamente, utilizza la stessa tattica. Durante la controffensiva della scorsa estate, i “regolari” russi, come la 291esima e la 70esima Brigata di Fucilieri a Motore, hanno assorbito il peso principale dell’assalto dell’AFU, mentre nell’ombra e sui fianchi operavano vari gruppi speciali d’élite, come i reggimenti d’assalto aereo russi, gli Spetsnaz, i VDV, eccetera, in questo caso la 76esima aviotrasportata, la 22esima Spetsnaz e altri ancora.

Ma la parte successiva è di gran lunga la più ricca per i veri appassionati di militari e per coloro che sono interessati ai meccanismi tattici avanzati del conflitto. È iniziata con la domanda, al minuto 42:40 del video di YouTube, sulla “mentalità” dell’esercito ucraino. Ne presento la parte più saliente.

Ascoltate attentamente:

Il tenente colonnello Kurylenko afferma qualcosa che coincide esattamente con quanto spiegato da Jacques Baud nell’intervista dettagliata di cui ho parlato qui. Ricordiamo che l’affermazione principale di Baud era che la NATO non ha alcun concetto di metodi operativi e strategici a lungo termine e si concentra solo su una pianificazione miope e a breve termine di singole missioni. Qui Kurylenko afferma esattamente questo:

“Dalla guerra del Vietnam, gli Stati Uniti hanno iniziato a introdurre un sistema di operazioni, per cui pianificano le missioni. Non hanno un concetto di combattimento a lungo termine, o di guerra prolungata. Ecco perché questo approccio della NATO non è del tutto praticabile in tempo di guerra”.

Incuriosito, l’intervistatore gli chiede di approfondire questo pensiero e di spiegare meglio ciò che intende per un pubblico di militari.

È qui che entra nel vivo dell’argomento.

Inizia lanciando la bomba più grande di tutte, che ci ricollega finalmente al precedente video del comandante americano dei carri armati. Kurylenko dice che ad Avdeevka hanno sopportato 40-50 bombe sganciate ogni giorno sulle loro posizioni, e che le dottrine della NATO non sarebbero mai state in grado di sopportare un livello di operazioni così intenso perché:

“La NATO non sa come lavorare in piccoli gruppi tattici, sotto la guida diretta di un comandante di battaglione”.

Aspettate, cosa? Non è questo il totale contrario di ciò che la NATO ci fa credere? Che la dottrina della NATO è specializzata nella guida di piccole unità, facilitata dal loro impareggiabile corpo di sottufficiali, e tutto il resto? In realtà, sembra che le cose stiano esattamente come ho sempre detto: cioè che è l’esatto contrario; le tattiche russe – che l’AFU copia, perché per avere una chance bisogna adattarsi a ciò che funziona – consentono un’autonomia molto maggiore alle piccole unità rispetto alle loro controparti NATO.

Questo per una serie di ragioni: una di queste è che si è evoluta in questo modo per necessità in questo conflitto, dato che – come ha detto prima il comandante americano dei carri armati – nell’attuale ambiente omni-ISR dominato dai droni, la nebbia di guerra cessa di esistere e i gruppi più grandi sono semplicemente bersagli facili per catene di uccisioni time-on-target senza precedenti da entrambe le parti, facilitate da distribuzioni di dati network-centriche di nuova concezione che permettono ai droni di fornire immediatamente obiettivi alle unità/batterie zonali appropriate.

Ed è proprio questo il punto che sottolinea quanto premesso dal comandante dei carri armati. Ricordiamo che nella sua intervista a Red Effect, egli afferma di ritenere che siano laNATO e gli Stati Uniti a dover adattare le proprie tattiche a questo conflitto, operando in gruppi più piccoli, cosa che, ammette, al momento non conoscono o non sono in grado di fare. Ha ammesso apertamente che non solo l’esercito americano si è riorientato solo relativamente di recente dall’addestramento COIN a quello più incentrato sulla guerra, ma ha anche detto quanto segue, che incollo di nuovo:

“All’esercito degli Stati Uniti piace operare in senso macro, come una compagnia di 14 carri armati in ogni momento.Operiamo come battaglioni di circa 50 veicoli da combattimento e non siamo abituati a operare da soli…Penso che ci sarà una spinta verso le competenze individuali e di compagnia in combattimento. Invece di inviare più carri armati a farsi distruggere, ne manderemo uno a occuparsi delle cose. Ci si affiderà maggiormente ai singoli equipaggi di carri armati e alla loro letalità individuale più di ogni altra cosa. Credo che questa sarà una spinta. Per evitare perdite di massa, dobbiamo tornare a combattere come individui che si sostengono a vicenda, invece di raggrupparsi. Penso che questa sarà la grande spinta”.

Quindi, cisarà una spinta – che non c’è ancora stata; il che significa che gli Stati Uniti non sono nemmeno nello stesso campo di gioco di quello descritto dall’ufficiale dell’AFU per quanto riguarda le reali tattiche dilavoro nella guerra moderna. Il fatto che entrambe le fonti, totalmente estranee, arrivino alla stessa conclusione la dice lunga sullo stato delle cose.

Kurylenko continua con altre interessanti informazioni sulla specializzazione e su come prevede l’evoluzione dell’attuale formazione delle unità ucraine e dell’ORBAT che ruota attorno a battaglioni specializzati, piuttosto che a “fanti di tutti i mestieri” annacquati, che non sono altrettanto efficaci. L’attuale carenza di personale dell’AFU è tale che le posizioni vengono comunemente scambiate, con i carristi che diventano truppe d’assalto, ecc.

L’ultima parte semi-interessante arriva intorno al minuto 51:40, quando a Kurylenko viene chiesto di descrivere le forze russe. Non c’è molto da scrivere qui, se non che dice essenzialmente di essersi reso conto nel 2015 che l’Ucraina stava combattendo contro uno “specchio”. A suo avviso, le forze russe e ucraine non sono troppo diverse l’una dall’altra e non considera i russi molto migliori o peggiori dell’AFU. Naturalmente, è sempre difficile capire quanto di queste affermazioni sia una postilla “diplomatica” per il pubblico di riferimento, ma secondo lui sono solo i vantaggi materiali e di manodopera che la Russia ha a essere degni di nota.

Il problema di questa riduzione è che la Russia ha iniziato con meno uomini dell’Ucraina, dato che Zelensky ha affermato che l’AFU aveva più di 1 milione di uomini subito dopo l’inizio della guerra, mentre la Russia è entrata nel conflitto con meno di 100.000 uomini. Pertanto, caratterizzare le truppe russe come niente di speciale mentre si ammette che ora hanno un’enorme superiorità di uomini è piuttosto contraddittorio. Il fatto è che i russi non avrebbero un presunto vantaggio in termini di manodopera se non dimostrassero anche un vantaggio qualitativo nel logoramento delle truppe ucraine in percentuali massicciamente sproporzionate. Ma, naturalmente, Kurylenko difficilmente lo saprebbe, dato che è discutibile che abbia affrontato vere truppe russe, piuttosto che i mediocri regolari della DPR che gli si sono opposti ad Avdeevka. È vero che i regolari della DPR sono uno “specchio” delle truppe dell’AFU e si può dire che siano di qualità equivalente nella maggior parte dei casi, ma le vere truppe russe sono un livello superiore.

L’unica altra dichiarazione degna di nota che fa è la frase in cui ricorda di aver partecipato alle battaglie dell’aeroporto di Donetsk, nel 2015. Dice che allora la battaglia fu paragonata alla battaglia di Stalingrado. Ora, in modo piuttosto evocativo, dice che quella battaglia era un “combattimento infantile” in confronto a quello che sta vedendo oggi.

Aggiungo che i suoi brontolii sui vantaggi russi in termini di manodopera coincidono con ciò che le fonti occidentali mainstream hanno recentemente ammesso per la prima volta. Dopo quasi due anni in cui hanno sostenuto che l’esercito russo è stato completamente distrutto, ora sono passati a rimangiarsi comicamente le parole:

Anche il capo del Comando europeo degli Stati Uniti, il generale Christopher Cavioli, lo ha affermato nell’ultimo articolo di Politico:

In una dichiarazione scritta, Cavoli ha anche lanciato l’allarme sul fatto che l’esercito russo ha ancora più uomini rispetto a quando ha lanciato la sua invasione completa nel febbraio 2022. Mosca ha anche aumentato la forza delle sue truppe di prima linea da 360.000 a 470.000 soldati, ha osservato.

Egli afferma:

“La Russia sta ricostituendo queste forze molto più velocemente di quanto le nostre stime iniziali suggerissero”, ha scritto Cavoli. “L’esercito è ora più grande – del 15% – di quanto non fosse quando ha invaso l’Ucraina”.

Ma ecco la parte più sorprendente:

Il generale a quattro stelle ha dichiarato ai senatori che la Russia ha anche reintegrato le perdite di carri armati pesanti sul campo di battaglia e ora opera in Ucraina con lo stesso numero di carri armati che aveva all’inizio del conflitto.

Ma come può essere? La cosiddetta lista di Oryx sostiene che la Russia ha perso qualcosa come 4000 carri armati. Vuole dirci che la Russia li ha già sostituiti tutti?

Anche un recente articolo del Kiev Independent conferma che le unità russe sono ancora al completo:

E come conferma finale delle precedenti proiezioni che l’Occidente ha cercato disperatamente di soffocare sotto una coltre di velleità, abbiamo l’ultimo rapporto dell’ISW che suona il campanello d’allarme ammettendo finalmente che tutte le affermazioni di “stallo” sono delle balle e che, se non si forniscono aiuti, la Russia è di fatto destinata a ottenere una vittoria totale:

Concludono poi che la Russia respingerà l’AFU fino al confine con la NATO in Polonia:

In modo sorprendente, abbandonano persino la finzione della vecchia “guerra posizionale” e ammettono che la Russia ha ristabilito la guerra di manovra, che è solo un’altra parola in codice ingannevole per i progressi della svolta:

Per continuità, ecco il resto del loro allarmante rapporto:

3/ L’Ucraina non può mantenere le attuali linee senza una rapida ripresa dell’assistenza statunitense, in particolare della difesa aerea e dell’artiglieria, che solo gli Stati Uniti possono fornire rapidamente e su larga scala.

4/ La mancanza di difesa aerea ha esposto le unità ucraine di prima linea agli aerei russi che, per la prima volta in questa guerra, stanno sganciando migliaia di bombe sulle posizioni difensive ucraine.

5/ Lacarenza di artiglieria ucraina permette ai russi di utilizzare colonne corazzate senza subire perdite proibitive per la prima volta dal 2022.

6/ I russi stanno sfruttando il loro vantaggio e avanzano lentamente ma costantemente in diversi settori del fronte. Dall’inizio di quest’anno, le forze russe si sono impadronite di oltre 360 chilometri quadrati, un’area grande quanto Detroit.

7/ I progressi russi si accelereranno in assenza di un’azione urgente da parte degli Stati Uniti. I responsabili politici statunitensi devono interiorizzare la realtà che ritardare ulteriormente o interrompere l’assistenza militare americana porterà a drammatici guadagni russi nel 2024 e nel 2025 e, in ultima analisi, alla vittoria russa.

In particolare, si noti la nota #5 in cui si ammette – contrariamente alla propaganda pro-UA di “perdite russe non calcolabili” – che la Russia sta in realtà subendo le perdite più leggere della guerra al momento, un fatto che è facilmente corroborato anche dal conteggio delle vittime di MediaZona, che continua a mostrare medie di vittime estremamente basse.

Infine, si noti la parte evidenziata del punto #7. È interessante notare che fornisce una tempistica completa degli eventi previsti: senza l’aiuto degli Stati Uniti ci saranno guadagni drammatici nel 2024 e nel 2025, seguiti da una vittoria totale della Russia, che è un altro modo per esprimere la resa dell’Ucraina, il che sembra proprio in linea con le nostre previsioni di fine guerra del 2025.

Pensieri finali

Per collegare le cose, dirò che, man mano che il conflitto si trascina, diventa lentamente più chiaro che la NATO si sbagliava su gran parte della sua valutazione, non solo dello stile di combattimento russo, ma della guerra moderna in generale. Ciò è dimostrato chiaramente dalla totale sottovalutazione da parte dell’Occidente della guerra di produzione e dell’importanza delle infrastrutture produttive e delle dimensioni economiche per vincere i conflitti tra pari.

Ma la cosa più interessante è la lenta curva di apprendimento che viene svelata riguardo alle tattiche delle piccole unità e alla necessità di affidarsi all’iniziativa e all’autonomia delle singole unità, di cui la NATO pensava di essere il campione designato, mentre in realtà la guerra ha definito un livello totalmente diverso di operazioni di piccole unità che andava ben oltre tutto ciò che la NATO aveva mai immaginato o era in grado di fare .

Una delle ragioni è che questa rivoluzione delle piccole unità non riguarda solo la dottrina e le tattiche da manuale, come discusso in questo articolo. Essa ruota anche intorno alle strutture fisiche e agli ORBATS delle unità stesse, come sottolineato nel mio precedente articolo intitolato Lunga vita ai BTG, in cui discutevo dei manuali russi segretamente recuperati che dettavano nuovi tipi di piccole unità create al volo per assalti specifici in condizioni moderne di ISR-heavy.

È la prova che la Russia continua a evolvere queste dottrine al volo e sta costruendo unità appositamente intorno al concetto di autonomia su piccola scala. Ciò significa dotarle di una serie di elementi propri di armi combinate, come droni, mortai, armi pesanti e altri accessori speciali, che consentono loro di operare efficacemente da sole. Questo è il motivo per cui la NATO è in ritardo di anni, in quanto sta appena iniziando a comprendere il significato e le implicazioni del mero aspetto didottrinatattica degli sviluppi in corso, e non è nemmeno lontanamente vicina all’effettiva implementazione e integrazione a livello di ORBAT fisico.

Ciò si estende alla relazione simbiotica tra le evoluzioni dottrinali militari e la collaborazione a livello industriale necessaria per coordinare i miglioramenti e gli sviluppi effettivi. Le flessibili industrie russe della difesa hanno risposto in modo adattivo e dinamico agli sviluppi in corso, collaborando con il Ministero della Difesa a monte della catena per effettuare riprogettazioni immediate e accelerare l’invio di componenti essenziali direttamente in prima linea; il caso emblematico è il lancio in corso di cupole EW per i blindati, come il “Volnorez” (Wavecutter) e altri nuovi. Le industrie della difesa occidentali non hanno ancora dimostrato una capacità concomitante di tale efficienza adattativa e flessibile nell’elaborazione di nuove scoperte attraverso il ciclo di sviluppo.

La totalità di questo articolo corrisponde a un altro aspetto importante che avrei voluto trattare, ma che probabilmente riserverò all’articolo successivo, forse alla fine di questo mese. Si tratta di un’estensione naturale di tutto quanto detto sopra e si concentra sulla tardiva presa di coscienza da parte della NATO e dell’Occidente delle altre importanti considerazioni della guerra moderna che ruotano attorno alla produzione e alla guerra di distruzione di massa, e cioè le dimensioni economiche cruciali e impreviste, che entrano in gioco nelle economie di scala, e le argomentazioni più importanti che ho fatto fin dall’inizio sulle differenze nel metodo russo di “guerra totale”.

Ma, come ho detto, la questione è andata oltre lo scopo di questo articolo già lungo, quindi rimanete sintonizzati per il sequel che verrà pubblicato prossimamente.

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Il lancio di un razzo mette in luce le lacune tecnologiche della Russia, di Ekaterina Zolotova

Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Uno strabismo che impedisce di vedere e porre i guai di casa propria (es. la corruzione, la carenza di cervelli) in rapporto a quelli altrui. Un articolo interessante, ma troppo interessato; condito per altro da qualche involontaria confessione sul reale atteggiamento occidentale nei confronti della dirigenza russa negli anni ’90, in un clima di apparente disgelo e sulla inquietudine provocata dalla intraprendenza sino-russa. Giuseppe Germinario

Il lancio di un razzo mette in luce le lacune tecnologiche della Russia

L’industria spaziale è un indicatore dello sviluppo tecnologico di Mosca e degli sforzi di sostituzione delle importazioni.

Di: Ekaterina Zolotova

Giovedì la Russia ha testato con successo un razzo pesante chiamato Angara-A5, il suo primo razzo spaziale sviluppato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Sebbene il Cremlino lo abbia pubblicizzato come un successo, l’evento è stato afflitto da diversi contrattempi. Il lancio al cosmodromo di Vostochny era inizialmente previsto per dicembre 2023, ma è stato rinviato. È stato riprogrammato per il 9 aprile ma annullato all’ultimo minuto. (I funzionari hanno affermato che si è verificato un guasto al sistema di pressurizzazione del serbatoio ossidante del blocco centrale del razzo.) L’operazione è stata nuovamente rinviata il giorno successivo, a causa di problemi tecnici, prima che il razzo fosse finalmente lanciato l’11 aprile. Questo caso evidenzia le sfide di Mosca nel campo di fronte alle sanzioni occidentali, soprattutto nei settori ad alto contenuto tecnologico come l’industria spaziale.

Per Mosca, l’industria spaziale è fondamentale non solo per mantenere lo status della Russia come potenza spaziale, ma anche per garantire il continuo progresso dei suoi settori della difesa e della tecnologia. Le tecnologie spaziali sono fondamentali per garantire la sicurezza delle comunicazioni, di Internet e dei sistemi di navigazione globale, che hanno scopi sia civili che militari. Sin dall’era sovietica, l’Occidente ha ripetutamente cercato di ostacolare i progressi russi in queste tecnologie. Ad esempio, le restrizioni furono imposte negli anni ’90, quando i razzi russi entrarono nei mercati commerciali, e dopo il 2014 , quando la Russia annetté la Crimea. Il 24 febbraio 2022, il primo giorno dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, gli Stati Uniti hanno limitato la vendita di alcune tecnologie avanzate alla Russia, il che ha portato a carenze di approvvigionamento, all’annullamento dei lanci e alla sospensione dei programmi scientifici.

Lanci di razzi russi, 2018-2024
(clicca per ingrandire)

Da quando le sanzioni sono entrate in vigore, l’industria spaziale è diventata un indicatore dello sviluppo tecnologico della Russia e degli sforzi di sostituzione delle importazioni, non solo nello spazio ma anche nelle industrie correlate, dall’estrazione mineraria alla produzione fino ai trasporti. Il Cremlino ritiene che il successo dei lanci missilistici possa dimostrare che, nonostante le sanzioni, la Russia può sviluppare nuove tecnologie e mantenere il suo programma spaziale, continuando allo stesso tempo a rifornire la sua campagna militare in Ucraina e a stimolare la sua economia.

Il Cremlino non ha molta scelta se non quella di sviluppare tecnologie più avanzate che possano aiutare il suo sforzo bellico e garantire l’accessibilità a Internet per tutte le regioni del paese. Il razzo Proton-M di epoca sovietica, che Angara-A5 è stato progettato per sostituire, sarà in funzione solo fino al 2025. Angara-A5 presenta diversi vantaggi chiave rispetto al suo potenziale predecessore, incluso il fatto che è a base di cherosene e non utilizza sostanze tossiche. componenti del carburante. Inoltre è prodotto solo con componenti russi e può essere lanciato dai cosmodromi russi, a differenza del Proton-M, che viene lanciato dal cosmodromo di Baikonur, uno spazioporto gestito dalla Russia in Kazakistan. La Russia non vuole fare affidamento su un paese straniero per condurre le proprie operazioni spaziali, soprattutto considerando che il Kazakistan ha recentemente sottolineato la sua neutralità, temendo che potrebbe essere colpito da sanzioni secondarie se fosse visto dall’Occidente come un aiuto allo sforzo bellico della Russia.

Il lancio di prova di questa settimana è stato il primo per questo particolare razzo al cosmodromo di Vostochny, nella regione dell’Estremo Oriente russo. I lanci precedenti hanno avuto luogo al cosmodromo di Plesetsk, nella regione nordoccidentale di Arkhangelsk, nel 2014, 2020 e 2021. Sono stati spostati a Vostochny per motivi finanziari e di sicurezza. Secondo il Cremlino, Vostochny consentirà inoltre al Paese di effettuare lanci più frequenti alle proprie condizioni, senza dover fare affidamento su una struttura straniera.

Lanci russi ai cosmodromi, 2023-2024
(clicca per ingrandire)

Oltre ad Angara-A5, la Russia spera di produrre satelliti per comunicazioni completamente gestiti a livello nazionale entro il 2026, dopo che le società straniere avranno smesso di fornire servizi satellitari. Tuttavia, l’industria spaziale di Mosca ha subito molti ostacoli a causa della continua dipendenza da tecnologie e componenti stranieri, nonostante i suoi tentativi di incrementare la produzione e l’innovazione nazionali. L’azienda che produce motori per i razzi della famiglia Angara ha dichiarato che doveva trovare analoghi russi, o almeno analoghi provenienti da paesi amici, delle parti necessarie per fabbricare i motori per soddisfare l’ordine. La Russia dipende ancora anche dall’importazione di componenti microelettronici , il che ha influito soprattutto sul programma spaziale. Anche lo sviluppo del sistema di navigazione russo Glonass si è bloccato a causa della dipendenza da componenti di fabbricazione straniera. (Il satellite utilizza 6.000 tipi di componenti elettronici importati.) Nel 2023, le importazioni russe di stazioni base di comunicazione e relativi componenti sono aumentate del 15%. Queste parti sono prodotte principalmente dalle aziende tecnologiche straniere Huawei, Ericsson e Nokia e fornite molto probabilmente attraverso il programma di importazioni parallele della Russia piuttosto che tramite contratti diretti, il che significa che sono probabilmente acquistate al dettaglio e a prezzi più alti rispetto al passato.

Chiaramente, ci sono molte lacune nel programma di sostituzione delle importazioni di Mosca a causa della mancanza di personale, attrezzature e tecnologie moderne. Nel settore energetico, la Russia resta quasi completamente dipendente dalle fonti estere di catalizzatori, utilizzati nella produzione di vari combustibili, tra cui il cherosene utilizzato dai razzi Angara. Tagliare completamente le forniture dall’estero avrebbe un effetto a catena, chiudendo potenzialmente la produzione in settori che vanno dall’automotive all’alimentare. Nel 2024, nell’ambito del Piano d’azione di Mosca per la sostituzione delle importazioni nel settore dell’ingegneria del petrolio e del gas, la Russia mira ad aumentare l’autosufficienza nella categoria dell’esplorazione geologica, delle attrezzature geofisiche e delle attrezzature sismiche fino a solo il 40%; macchine per il taglio dei metalli al 33%; pompe al 55%; attrezzature e materiali per la perforazione, la cementazione dei pozzi e la revisione dei pozzi al 45%; e reattori e camere di coke al 55%. Le sanzioni hanno anche causato ritardi nella riparazione delle raffinerie di petrolio, costringendo la quarta raffineria più grande del paese a ridurre la produzione di benzina del 40%. In aggiunta a queste carenze, gli impianti di produzione sono ora preoccupati anche per gli attacchi di droni ucraini, che sono diventati più frequenti dall’inizio di quest’anno. Questi attacchi hanno preso di mira le raffinerie di petrolio, che hanno già ridotto la produzione di circa il 10%, e gli impianti concentrati sul mercato interno.

L’industria spaziale russa sta affrontando altri problemi a lungo termine, come la corruzione e la fuga dei cervelli. Una carenza di competenze ingegneristiche e scientifiche crea rischi per la qualità dei servizi e l’affidabilità della flotta satellitare. Inoltre, lo sviluppo di costose tecnologie avanzate richiede fondi ingenti, che potrebbero attirare la corruzione. Nel 2019, il procuratore generale russo ha affermato che più di 1,6 miliardi di rubli (17 milioni di dollari) per modernizzare la base di produzione del paese e l’industria delle armi sono stati rubati alle aziende statali Roscosmos e Rostec.

Sembra che Mosca si renda conto ora che la transizione verso la sostituzione delle importazioni sarà lenta, complicata da problemi strutturali e complessità derivanti da sanzioni e sconvolgimenti geopolitici. Ma il tempo stringe, soprattutto quando si tratta di settori critici come quello spaziale. La mancanza di fondi e la crescente difficoltà nell’attuazione del sistema di importazioni parallele si aggiungono agli ostacoli e, con l’avvicinarsi delle scadenze, il Cremlino cercherà maggiori finanziamenti esterni e cooperazione da parte dei restanti partner internazionali. Nel frattempo, pubblicizza i suoi pochi successi – incluso il lancio di prova dell’Angara-A5 – per distrarsi dai suoi fallimenti.

da: https://t.me/InfoDefITALY

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UN MISSILE ASSOLUTAMENTE NUOVO

⚫️È da notare che i giri del missile russo, lanciato ieri, sono stati visti non solo vicino al sito di lancio, ma anche negli Urali e oltre gli Urali (a Ekaterinburgo). Anche in Daghestan e persino in Iran, all’estremità meridionale del Mar Caspio. I luoghi approssimativi del volo del missile sono segnati sulla mappa. Dopo questo lancio, tutto il mondo si chiede che tipo di missile sia stato.

⚫️Gli esperti hanno notato che la parte separata dal primo stadio del razzo, accendendo il suo motore, ha iniziato a compiere virate non balistiche molto regolari.

🔴Cioè, non si tratta assolutamente del volo di un missile balistico convenzionale. E nemmeno di un Avangard in manovra. È evidente che il missile ha compiuto diverse virate molto ripide e ha volato per almeno 7000 km “solo nella zona di osservazione visiva in aree popolate”.

⚫️E ovunque assomigliava a una “cometa” che manovrava a quote piuttosto elevate (km 40-60) (nell’ultimo video, le sue manovre nella parte meridionale del Mar Caspio).

🔴Insomma, si tratta di un’arma molto strana e assolutamente nuova che la Russia stava testando (https://t.me/yurasumy/14472).

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Russia Ucraina, il conflitto 56a puntata Trappole per topi Con Max Bonelli

Proseguiamo il lavoro di informazione sul conflitto russo-ucraino con particolare attenzione alla situazione den fronte a nord di Donetsk e alla conduzione di particolari tattiche legate all’uso dei droni. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Per motivi precauzionali, legati a possibili pretestuose censure, riproduciamo solo parzialmente il video sul canale YouTube. La sua visione integrale è possibile sul canale omonimo di rumble al link seguente:
https://rumble.com/v4pknrw-russia-ucraina-il-conflitto-56a-puntata-trappole-per-topi-con-max-bonelli.html

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Notizie su Israele, domenica 14.04.2024, da Haaretz quotidiano

Vicenda aperta a diversi sviluppi. Probabile che, di fronte alle incertezze della amministrazione statunitense, il Governo Netanyhau spingerà per una risposta dura entro breve termine con la possibilità di innescare un allargamento del conflitto. Giuseppe Germinario
Notizie su Israele, domenica 14.04.2024
L’Iran ha lanciato un attacco senza precedenti contro Israele dalla notte alla domenica, lanciando più di 350 missili e droni dal suo territorio, mentre le forze filo-iraniane si sono unite da Libano, Iraq, Siria e Yemen. L’IDF ha affermato che il 99% dei lanci è stato intercettato con l’aiuto di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giordania. Biden avrebbe avvertito il Primo Ministro Netanyahu che gli Stati Uniti non prenderanno parte ad alcuna controffensiva israeliana contro l’Iran. Hamas ha respinto l’ultima proposta per un accordo di cessate il fuoco/rilascio degli ostaggi con Israele, ha detto il Mossad.

Ecco cosa devi sapere a 191 giorni dall’inizio della guerra

Cosa è successo oggi
Aereo da caccia israeliano, sabato.
■ ATTACCO DELL’IRAN A ISRAELE: l’Iran ha lanciato un attacco senza precedenti contro Israele nella notte fino a domenica, lanciando più di 350 missili balistici e da crociera e attaccando droni dal territorio iraniano, nonché da Libano, Iraq, Siria e Yemen.

  • Le sirene hanno suonato nel nord, nel sud di Israele, nell’area di Gerusalemme e in Cisgiordania. Una base militare nel sud di Israele, Nevatim, ha subito lievi danni, e una bambina beduina di sette anni nel sud di Israele è stata gravemente ferita da schegge. Le sue condizioni rimangono instabili .
  • L’IDF ha affermato che il 99% dei missili e dei droni lanciati contro Israele sono stati intercettati. Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania hanno tutti confermato di aver contribuito alle intercettazioni.
  • Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha consigliato a Israele e ai suoi alleati di “apprezzare questa azione responsabile e proporzionata “. L’Iran ha avvertito Israele che qualsiasi ritorsione avrebbe portato a un attacco molto più grande , aggiungendo che le basi statunitensi sarebbero state prese di mira se Washington avesse sostenuto qualsiasi risposta israeliana contro l’Iran.
  • L’Iran ha informato in anticipo la Turchia della sua operazione pianificata contro Israele, ha detto a Reuters una fonte diplomatica turca, aggiungendo che gli Stati Uniti hanno comunicato all’Iran attraverso Ankara che la sua operazione deve essere ” entro certi limiti “.
  • Hamas ha difeso l’attacco dell’Iran contro Israele, definendolo “un diritto naturale”.
  • Rivolgendosi alla TV di stato iraniana, il capo del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, Hossein Salami, ha affermato che Teheran è entrata in una nuova equazione in cui qualsiasi attacco israeliano ai suoi interessi, beni, funzionari o cittadini inviterebbe un attacco iraniano sul suo territorio.
  • Israele, Giordania, Iraq e Libano hanno ora riaperto il loro spazio aereo . Diversi aeroporti iraniani, tra cui l’Imam Khomeini International di Teheran, hanno cancellato i voli fino a lunedì, hanno riferito i media statali iraniani.

“Anche se Netanyahu riuscisse a resistere alle richieste di una punizione immediata e sfrenata, non riuscire a dare seguito al sostegno che Israele ha appena ricevuto dai suoi vicini con una risposta che includa anche elementi diplomatici sarà uno spreco di un’opportunità storica di organizzare un accordo molto più efficace. fronte contro l’Iran ” – Anshel Pfeffer

■ ATTACCO ALL’IRAN – RISPOSTA USA: Il presidente americano Biden ha parlato con il primo ministro Netanyahu dopo l’attacco, affermando che Israele “ha dimostrato una notevole capacità di difendersi e sconfiggere anche attacchi senza precedenti – inviando un chiaro messaggio ai suoi nemici che non possono minacciare efficacemente la sicurezza del paese. Israele.”

  • Secondo la CNN e il Wall Street Journal, Biden ha detto al primo ministro Netanyahu che gli Stati Uniti non parteciperanno ad alcuna controffensiva israeliana contro l’Iran.
  • NBC News ha riferito che alti funzionari statunitensi temono che Israele si affretterà a rispondere all’attacco senza considerare le possibili ricadute, aggiungendo che il presidente Biden ha espresso in privato preoccupazione che Netanyahu stia cercando di trascinare gli Stati Uniti sempre più in un conflitto più ampio , secondo tre persone che hanno familiarità con la questione.
  • Il segretario di Stato Antony Blinken ha affermato che ” l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele è ferreo “, ribadendo i recenti commenti del presidente Biden.
  • Il presidente Biden ha detto che discuterà con i leader del G7 la formulazione di una risposta diplomatica unificata all’attacco. Domenica, su richiesta di Israele, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU terrà una sessione d’emergenza .
  • Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha affermato che gli Stati Uniti “continueranno a collaborare” e a “consigliare” il primo ministro Netanyahu in merito a una potenziale risposta all’attacco iraniano, aggiungendo che “il presidente è stato chiaro: non vogliamo vedere questa escalation. Noi non stiamo cercando una guerra più ampia con l’Iran , penso che le prossime ore e i prossimi giorni ci diranno molto”.

■ ATTACCO ALL’IRAN – RISPOSTA INTERNAZIONALE: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Corea del Sud, il presidente della Commissione Europea e il segretario generale delle Nazioni Unite hanno condannato l’attacco dell’Iran .

  • Spagna, Arabia Saudita e Cina hanno espresso preoccupazione per una possibile escalation in Medio Oriente e hanno chiesto moderazione .
  • Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha condannato l’attacco dell’Iran, dicendo: “Noi in Ucraina conosciamo molto bene l’orrore di attacchi simili da parte della Russia, che usa gli stessi droni ‘Shahed’ e missili russi, le stesse tattiche di attacchi aerei di massa… l’ovvia collaborazione tra l’Iran due regimi che diffondono il terrore devono affrontare una risposta risoluta e unita da parte del mondo.”

“Dal punto di vista strategico, la situazione di stallo rimane intatta. L’Iran ha dimostrato di avere capacità, ma anche di essere suscettibile di deterrenza. La minaccia iraniana non andrà da nessuna parte. La sponsorizzazione da parte dell’Iran del terrorismo e della destabilizzazione continuerà senza dubbio. Ma in questo momento, prevenire L’escalation ha richiesto a Biden di invertire i ruoli. Il “Non fare” è stato ora applicato a Israele ” – Alon Pinkas

■ ISRAELE: Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito per discutere una risposta all’attacco iraniano dopo che i ministri del gabinetto di sicurezza hanno autorizzato il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant e il ministro Benny Gantz a decidere quale risposta dare.

  • Il membro del gabinetto di guerra Gantz ha affermato che Teheran ha ” affrontato la potenza del sistema di difesa israeliano “, aggiungendo che “il mondo è stato clamorosamente al fianco di Israele di fronte al pericolo”. Ha definito gli eventi della notte “un risultato strategico che dobbiamo sfruttare per il bene della sicurezza di Israele”. Il ministro della Difesa Gallant ha affermato che esiste l’opportunità di formare un’alleanza contro la minaccia iraniana.
  • Il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha dichiarato che l’Iran dovrà pagare un prezzo per l’attacco di ieri sera, sollecitando che “il prezzo iniziale deve essere l’immediata dichiarazione delle Guardie Rivoluzionarie come organizzazione terroristica”.
  • Il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha affermato che Israele ” deve impazzire ” nella sua risposta per “creare deterrenza in Medio Oriente”. Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha affermato che “se la nostra risposta risuonerà in tutto il Medio Oriente per le generazioni a venire, vinceremo”.

■ OSTAGGI/CESSATE-IL-FUOCO: Hamas ha respinto un accordo di tregua-ostaggio proposto da Stati Uniti, Qatar ed Egitto, secondo una dichiarazione rilasciata domenica dal Mossad. “Rifiutando l’accordo, nel quale Israele ha mostrato flessibilità, [il leader di Hamas Yahya] Sinwar ha dimostrato di non volere un accordo umanitario e la restituzione degli ostaggi”, ha affermato il Mossad in un comunicato .

■ GAZA: secondo rapporti palestinesi, l’ IDF ha sparato contro i civili sfollati che si dirigevano verso il nord della Striscia di Gaza su una strada principale lungo la costa di Gaza, uccidendo cinque persone.

  • Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, dall’inizio della guerra almeno 33.729 palestinesi sono stati uccisi e 76.371 feriti.

■ LIBANO: L’IDF ha affermato che aerei da combattimento dell’aeronautica israeliana hanno colpito una fabbrica di armi Hezbollah nel sud del Libano.

  • Un razzo lanciato dal Libano è atterrato nel villaggio di Katzrin, nel nord di Israele, provocando danni alla proprietà.
Un murale che raffigura il presidente degli Stati Uniti Joe Biden come un supereroe, domenica a Tel Aviv.
Israele ha dichiarato guerra dopo che Hamas ha ucciso almeno 1.200 israeliani e ne ha feriti più di 3.300 il 7 ottobre. A Gaza, il ministero della sanità controllato da Hamas riferisce che almeno 33.729 palestinesi sono stati uccisi. Hamas e la Jihad islamica palestinese tengono in ostaggio più di 129 soldati e civili , vivi e morti, compresi cittadini stranieri.

La guerra arriva dopo dieci mesi della più significativa crisi politica e sociale interna degli ultimi decenni, a causa della legislazione promossa dal governo Netanyahu volta a indebolire drasticamente il sistema giudiziario israeliano e potenzialmente a salvare Netanyahu dai tre processi per corruzione che deve affrontare – e nel mezzo di un’escalation di violenza. tra i palestinesi della Cisgiordania e i coloni israeliani, a questi ultimi conferiti il ​​potere dal governo israeliano più di destra di sempre.

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L’Iran viola le difese anglosioniste in un attacco storico: Una ripartizione, di SIMPLICIUS THE THINKER

L’Iran viola le difese anglosioniste in un attacco storico: Una ripartizione

Ieri l’Iran ha fatto la storia lanciando l'”Operazione Vera Promessa”. Nel nostro consueto stile, cerchiamo di tagliare tutti i rumori che attualmente intasano i social network e di dimostrare in modo incisivo e il più possibile esauriente i fatti, sottolineando al contempo come si sia trattato di un evento storico che ha cambiato le carte in tavola e che ha portato l’Iran sulla scena mondiale in grande stile.

In primo luogo, come stabilito, l’obiettivo dichiarato dell’Iran per l’operazione era di colpire le basi da cui è stato lanciato l’attacco consolare israeliano il 1° aprile:

L’IRGC ha elencato gli obiettivi dell’attacco missilistico della scorsa notte: Le basi aeree di Ramon e Nevatim (da dove è stato condotto l’attacco al consolato iraniano). Il quartier generale dell’aviazione israeliana a Tel Aviv (da dove era stato pianificato l’attacco al consolato iraniano) e il degrado dei radar e dei mezzi di difesa aerea israeliani.

Il filmato riprende il quartier generale dell’intelligence che viene colpito. Non ho ancora visto prove di un’intercettazione del 99%. Ramon è stato duramente colpito. Nevatim è stata colpita da più di 7 missili. Il quartier generale dell’intelligence dell’aeronautica è stato completamente raso al suolo. Altri attacchi alle installazioni di difesa aerea non sono ovviamente vicini ai centri abitati e non sono visibili, ma sono sicuro che le informazioni satellitari mostreranno l’entità dei danni.

E un altro:

NevatimBase aerea di, nel sud della Palestina occupata.

RamonBase aerea di, nel sud della Palestina occupata.

Labase top-secret israeliana di intelligence-spia a Jabal al-Sheikh (Monte Hermon), nel nord del Golan occupato.

Va notato che il resto delle esplosioni o dei colpi in altre aree dei territori occupati sono legati allo scontro dei sistemi di difesa aerea israeliani con i proiettili nel cielo o alla caduta dei rottami dei missili intercettori o dei rottami dei missili iraniani.

Passiamo ora ai dettagli.

Questo attacco è stato senza precedenti per diverse ragioni importanti. In primo luogo, si è trattato del primo attacco iraniano al territorio israeliano direttamente dal suolo iraniano, invece di utilizzare proxy da Iraq, Siria, Libano, Yemen, ecc. Questa è stata una grande pietra miliare che ha aperto ogni sorta di potenziale di escalation.

In secondo luogo, si è trattato di uno degli scambi di tipo peer-to-peer più avanzati e a più lungo raggio della storia. Anche in Russia, dove ho notato che abbiamo assistito al primo vero e proprio conflitto moderno quasi alla pari, con scene mai viste prima, come quando i missili avanzatissimi Storm Shadow della NATO sono volati verso la Crimea mentre, letteralmente negli stessi istanti, i Kalibr avanzati russi li superavano nella direzione opposta: uno scambio del genere non era mai stato visto prima, visto che negli ultimi decenni ci siamo abituati a vedere la NATO che si accanisce su avversari più deboli e disarmati. Ma no, ieri sera l’Iran ha alzato ulteriormente la posta. Perché anche in Russia, tali scambi avvengono almeno direttamente oltre il confine russo, verso il suo vicino, dove la logistica e l’ISR sono, per ovvie ragioni, molto più semplici.

Ma l’Iran ha fatto una cosa senza precedenti. Ha condotto il primo assalto moderno, potenzialmente ipersonico, a un nemico con SRBM e MRBM in un vasto spazio multidominio che copre diversi Paesi e fusi orari, e potenzialmente fino a 1200-2000 km.

Inoltre, l’Iran ha fatto tutto questo con potenzialmente armi ipersoniche, il che ha portato a un ulteriore livello di sofisticazione che comprendeva possibili tentativi di intercettazione endoatmosferica con i missili ABM Arrow-3 israeliani.

Ma facciamo un passo indietro per affermare che l’operazione iraniana in generale è stata modellata sul sofisticato paradigma impostato dalla Russia in Ucraina: è iniziata con il lancio di vari tipi di droni, tra cui alcuni Shahed-136 (Geran-2 in Russia) e altri. Lo si può vedere dai filmati rilasciati da Israele di alcune intercettazioni di droni:

Al minuto 0:49 si può vedere quello che sembra uno Shahed, anche se sembra simile alla varietàShahed-238dotata di motore a reazione.

Dopo un certo lasso di tempo prestabilito, l’Iran ha poi rilasciato missili da crociera in modo che potessero colpire all’incirca in una finestra simile a quella dei droni. Un video di ieri sera ha confermato la presenza di missili da crociera a bassa quota:

Non si sa con certezza, ma sembra che possa trattarsi del nuovo missile Abu Mahdi, che ha una gittata di circa 1000 km. Ecco altre possibilità:

Poi, dopo l’intervallo di tempo appropriato, l’Iran ha lanciato il colpo di grazia, i suoi vantati missili balistici. Ecco il filmato rilasciato dall’Iran dell’inizio dell’Operazione True Promise, che include il lancio dei missili balistici:

Come detto, tutti e tre gli strati dell’attacco sono stati programmati in modo da coincidere, con il più lento (i droni) che andava per primo, poi il successivo più veloce (i missili da crociera), seguito dal più veloce time-to-target, i missili balistici.

Gli Stati Uniti hanno inviato una vasta coalizione per abbattere le minacce, che comprendeva gli stessi Stati Uniti, il Regno Unito che volava da Cipro, la Francia e, in modo controverso, la Giordania, che ha permesso a tutti loro di utilizzare il proprio spazio aereo e ha persino partecipato all’abbattimento.

Decine di immagini proclamavano l’abbattimento “riuscito” di missili balistici iraniani, come la seguente:

Il problema è che tutti questi sono gli stadi di lancio espulsi di razzi a due stadi. Non c’è alcuna prova definitiva che i missili balistici siano stati abbattuti, anzi tutte le prove indicano il contrario: filmati diretti dei missili che penetrano la rete AD e colpiscono gli obiettivi. Ma ci arriveremo.

Tipi di missili

Primo: quali tipi di missili balistici ha usato l’Iran?

Ci sono speculazioni e poi c’è quello che può essere doverosamente confermato.

Per quanto riguarda la conferma, con i miei occhi, dal video di lancio rilasciato più a lungo, possiamo vedere quanto segue:

Che sembra corrispondere a quello che probabilmente è loShahab-3 qui sotto:

Ecco un’altra foto di un test dello Shahab-3:

Nella foto del lancio, l’ogiva della testata superiore appare leggermente più corta e potrebbe corrispondere Sejjil meglio al razzo . Il Sejjil è infatti un’evoluzione e un aggiornamento molto più recente dello Shahab, che ha sia una varietà a due stadi che a tre stadi per un raggio d’azione estremamente lungo, di oltre 2500 km. Alcuni sostengono anche che potrebbe trattarsi del Ghadr-110, ma anche questo è un’evoluzione e un “aggiornamento” simile del sistema Shahab-3, che allo stesso modo sembra quasi identico.

Ci sono altri video di lancio che sembrano mostrare possibili sistemi Zolfagher o Dezful anche aggiornati .

Poi c’è la ripresa più ravvicinata del video del lancio, che ci dà la conferma più precisa di uno dei tipi di missili:

Sulla fusoliera si può vedere quella che sembra essere una scritta EMA, e lo stesso si può vedere in questa foto di oggi di un “missile abbattuto” da qualche parte in Iraq:

Questo dato si avvicina di più alla conferma che il missile in questione è un Emad, come riportato nel grafico precedente, uno dei più avanzati dell’Iran e che può essere dotato di una testata MaRV (Maneuverable Re-entry Vehicle). A questo punto la questione si fa interessante, perché i colpi che abbiamo visto in Israele sembravano potenzialmente utilizzare una qualche forma di MaRV o di veicolo di planata ipersonico, il che significherebbe che l’Iran potrebbe aver fatto la storia anche al di là di quanto pensassimo.

Quindi, per arrivare a questo punto, citiamo prima l’altra affermazionecontroversa , secondo la quale l’Iran potrebbe aver utilizzato il suo nuovo sistema ipersonico Fattah-2, il più avanzato:

In nessuno dei video di lancio era visibile, ma ciò non esclude necessariamente che l’Iran abbia segretamente lanciato e testato alcuni dei suddetti. Un accademico iraniano ha dichiarato quanto segue:

“L’Iran non ha sparato i suoi missili ipersonici. In realtà, la maggior parte dei droni e dei missili che sono stati lanciati erano droni e missili più vecchi. Erano molto economici e venivano usati come esche. L’Iran ha speso un paio di milioni di dollari per costringere gli israeliani a spendere 1,3 miliardi di dollari in missili antimissile, il che è stato di per sé un grande risultato per gli iraniani. E poi un certo numero di altri missili lanciati dagli iraniani… sono stati tagliati e hanno colpito i loro obiettivi”, ha dichiarato a Sputnik il commentatore accademico e di affari geopolitici.

Infine, alcuni esperti ritengono che l’Iran abbia utilizzato il suo sfuggente ipersonico Kheybar Shekan missile , dotato anche di un MaRV altamente manovrabile .

Queste sono due riprese del video di lancio di ieri sera:

Ed ecco una foto di repertorio del nosecone e della testata del Kheybar:

Questo è il punto più interessante e il motivo per cui l’ho preceduto così accuratamente.

In breve: mentre Israele e gli Stati Uniti sostengono di aver abbattuto il 100% di tutto, e mentre è possibile che le esche dei droni e dei missili da crociera siano state in gran parte abbattute – anche se non abbiamo prove certe in un senso o nell’altro – do abbiamo le prove che i missili balistici sono passati in gran parte inosservati, tagliando quella che si dice essere la più fitta difesa aerea del mondo. Non solo quella israeliana, composta da una difesa stratificata di David Slings, Arrow-3, Patriot e Iron Dome, ma anche quella delle forze aeree alleate già menzionate, nonché quella che, secondo quanto riportato, è una nave da guerra statunitense Arleigh Burke che sta sparando più di 70 missili SM-3 dalle coste del Mediterraneo.

I colpi che abbiamo visto sono stati spettacolari per un aspetto profondo: la velocità terminale dei missili balistici iraniani è apparsa incredibilmente veloce. Rivediamo alcuni dei video più esemplari.

Ecco quello di gran lunga più rivelatore, che confuta totalmente le affermazioni israeliane di abbattimenti al 100%. Si noti il massiccio sciame di missili di difesa aerea che si alza all’inizio, poi, a metà, si osservi come la balistica iraniana si schianti ad alta velocità attraverso la rete dell’AD, totalmente non contrastata, sbattendo al suolo:

Per inciso, il video successivo è stato sostenuto da molti che mostra i missili israeliani Arrow-3 che abbattono la balistica iraniana nell’esoatmosfera, cioè nello spazio:

Ma in realtà, tutto ciò che mostra è la separazione degli stadi dei missili Arrow mentre salgono verso la zona esoatmosferica. Non mostra alcuna intercettazione effettivamente riuscita, né vi è alcuna prova dell’abbattimento di un singolo missile balistico.

Ma è qui che si entra nel vivo. Il prossimo video è quello che apre maggiormente gli occhi in termini di capacità di questi missili. Le due cose più importanti da notare sono: 1) la velocità terminale prima dell’impatto e 2) il modo in cui alcuni missili colpiscono con precisione lo stesso punto in gruppi.

Primo video, notare la velocità del terminale:

Qui si nota la velocità ma anche la precisione di raggruppamento:

In particolare, al minuto 0:31 si può vedere quella che sembra una pista di decollo sul lato destro dello schermo, che potrebbe indicare che si tratta della base aerea di Nevatim, nel deserto del Negev, dove vivono beduini di lingua araba, il che spiega l’arabo del video.

Non tutti gli impatti mostrano l’alta velocità di un veicolo di rientro potenzialmente ipersonico. Ad esempio, questo video mostra missili forse un po’ più lenti che tuttavia aggirano facilmente la rete AD congiunta israelo-occidentale:

Ma torniamo alla questione ipersonica. Ecco un video che mostra uno dei test missilistici dell’Iran, che sembra mostrare una delle testate ipersoniche del missile Ghadr:

È stato pubblicato un nuovo video del momento in cui uno dei missili balistici dell’IRGC è stato colpito durante l’esercitazione solare dello scorso anno nei pressi di Chabahar, con 60 fotogrammi al secondo, in cui si vede chiaramente l’impatto della testata del missile Ghadr per la prima volta. Questa testata ha anche un’ottima velocità finale intorno a Mach 7 e sarà molto strategica. Il corpo a tre coni di questa testata è completamente e gravemente fuso, e si possono anche vedere i segni di bruciatura sulle piccole parti di questa testata nel primo fotogramma di ingresso nell’inquadratura.

Foto:

La velocità sembra coincidere con i video degli attacchi più rapidi, e si può vedere che il veicolo sembra essere incandescente, il che potrebbe spiegare il fatto un po’ strano che in tutti i video degli attacchi, i missili iraniani appaiono “rossi” come se stessero ancora bruciando i loro motori. Ma sappiamo che la maggior parte dei missili balistici come l’Iskander hanno una fase di burn-out dopo la quale il motore smette di bruciare. Pertanto, la natura rovente degli attacchi could potrebbe potenzialmente indicare non un motore in fiamme, ma piuttosto il calore della pelle esterna del veicolo a causa del rientro ipersonico.

Inoltre, la maggior parte dei colpi balistici avviene su una discesa piuttosto ripida o rettilinea, mentre molti dei colpi iraniani hanno una traiettoria meno profonda che potrebbe indicare un veicolo di tipo planare, anche se nel “test” di cui sopra si vede chiaramente che scende con un angolo di 90 gradi, quindi è probabile che sia in grado di fare entrambe le cose.

Detto questo, potrebbe non essere un veicolo di planata non alimentato, ma uno dei veicoli di rientro con capacità di spinta come questo:

Purtroppo, non conosciamo i dettagli esatti, come ad esempio il materiale di costruzione, che ci permetterebbero di confermare pienamente la sua velocità terminale. Tuttavia, sulla base di un’osservazione visiva, alcuni dei colpi sembrano atterrare a una velocità minima di Mach 3,5-5, se non superiore, che secondo alcuni è addirittura superiore alla velocità terminale dell’Iskander.

Detto questo, mentre gli MRBM iraniani sono dotati di sistemi di propulsione molto complessi, dato che sono a due o addirittura tre stadi per un raggio d’azione extra-lungo, mentre la Russia e gli Stati Uniti ne sono privi a causa della loro precedente adesione al Trattato sui missili balistici a raggio intermedio, l’aspetto della guida degli MRBM iraniani rimane un punto interrogativo. Non sappiamo quanto siano precisi e, alla fine, quanto siano stati efficaci gli attacchi nel colpire i loro obiettivi. Questo perché, al di là del generale macro-obiettivo di “colpire la base aerea di Nevatim”, per esempio, non sappiamo che cosa esattamente all’interno di abbia mirato quella gigantesca base aerea.

Tuttavia, Israele ha confermato che la base è stata colpita più di 7 volte, ma sostiene che i danni sono stati minori. In effetti, ora hanno rilasciato un filmato che li mostra mentre riparano una delle piste colpite:

Sono state diffuse alcune foto satellitari che mostrano quelli che sembrano essere possibili danni da attacco in tutta la base:

E un altro timelapse prima e dopo, anche se poco chiaro, mostra possibili danni a un hangar. Si tenga presente che questa è la base che ospitava gli F-35:

Israele potrebbe minimizzare i danni gravi rilasciando il video di un foro minore sulla pista? Per esempio, hanno pubblicato un altro video di un atterraggio di un F-35 alla base di Nevatim per dimostrare che la base non ha subito danni, ma alcuni hanno affermato che si tratta di un vecchio filmato:

Per non parlare del fatto che l’account ufficiale israeliano ha cercato di spacciare vecchi filmati di lanci di MLRS russi dall’Ucraina come lanci di balistici iraniani la scorsa notte:

È quindi chiaro che la verità non è un ostacolo per Israele, il che significa che non possiamo certo fidarci della loro parola su tutto ciò che riguarda l’operazione della scorsa notte .

Conclusione?

Cosa possiamo concludere sulla notte scorsa? Non abbiamo alcuna “parola finale” definitiva sull’efficacia degli attacchi iraniani:

  1. Non conosciamo gli obiettivi granulari esatti dell’Iran

  2. Non conosciamo le esatte intenzioni dell’Iran

Per quanto riguarda la seconda, ciò che intendo dire è che molti ora credono che l’Iran abbia semplicemente cercato di fornire una “dimostrazione di forza”, come dice Will Schryver. Una dimostrazione che servisse solo come “avvertimento” a Israele e per creare un deterrente contro future escalation israeliane. Infatti, i funzionari iraniani hanno ora avvertito che l’Iran risponderà in modo simile a tutti i futuri attacchi israeliani:

La chiamano la Nuova Equazione. Ogni volta che Israele li attacca, l’Iran intende ora colpirli “frontalmente”, cioè direttamente dal proprio territorio, come hanno dimostrato di saper fare di recente.

Al di là di questo, l’Iran ha aperto nuove strade stabilendo nuove pietre miliari per la tecnologia missilistica e la guerra moderna, come detto all’inizio. L’Iran ha dimostrato la capacità di aggirare i più potenti e avanzati sistemi antimissile del mondo, che non hanno scuse incorporate come nel caso dell’Ucraina. In Ucraina, la scusa è che i Patriot e gli altri sistemi sono gestiti da ucraini poco addestrati e non sono rinforzati e integrati completamente nei sistemi occidentali stratificati come lo sarebbero in mani occidentali.

Ma la scorsa notte, l’Iran ha penetrato ogni scudo missilistico presidiato e gestito dalla stessa NATO, con tutti gli orpelli e le avanzate capacità C4ISR e SIGINT inerenti all’intera alleanza occidentale; dal THAAD, al Patriot, al David’s Sling, all’Arrow-3, all’SM-3, all’Iron Dome, e persino al “C-Dome” delle corvette israeliane – per non parlare dell’intero complemento delle più avanzate difese A2A dell’Occidente, pilotate dagli F-35, dai Typhoon, dagli Eurofighter, e probabilmente da molto altro ancora.

Bisogna capire che i missili balistici sono proprio l’apice del predatore che questi avanzatissimi sistemi di AD occidentali sono stati creati per gestire – e ieri sera hanno fallito in modo spettacolare, proprio come avevano fatto i Patriot nella precedente Desert Storm:

Questo invia il segnale che l’Iran è ora veramente in grado di colpire qualsiasi obiettivo di alto profilo e di alto valore dell’Occidente, nell’intera sfera del Medio Oriente, entro un raggio di 2000-4000 km. Si tratta di una capacità significativa, che supera persino quella della Russia o degli stessi Stati Uniti, in termini di efficienza. Certo, la Russia può inviare missili Avangard (pochissimi e molto costosi) e missili da crociera a lunga gittata molto più lenti, ma a causa del Trattato, nessun altro Paese può eguagliare la capacità missilistica balistica economica e immediata dell’Iran. Gli Stati Uniti dovrebbero inviare un carico di aerei lenti e fare i tradizionali attacchi di stand off a lungo raggio con munizioni lente per colpire obiettivi a tali distanze.

Come ho detto, l’unica questione che rimane è l’efficacia in termini di precisione. Una cosa è sviluppare razzi a lunga gittata con il lusso di un’indennità a due stadi, ma c’è molta più tecnologia per rendere tali oggetti criticamente precisi – esospetto che in questo caso l’Iran possa essere inferiore alle capacità della Russia e degli Stati Uniti, dato che c’è tutta una serie di elettronica speciale (potenziamento del segnale, riflessione EW, ecc.) e ridondanze di guida che sono necessarie per una precisione estrema. È qui che i sistemi russi brillano. I missili iraniani hanno dimostrato di essere abbastanza precisi durante i test in Iran in condizioni ideali, ma in ambienti EW altamente contestati, quando i segnali GPS/Beidou/Glonass sono disturbati, potrebbe essere una storia completamente diversa. Inoltre, la scienza che sta alla base della ritenzione del segnale nelle bolle di plasma ipersoniche è piuttosto estrema e nessun Paese ha ancora dimostrato di essere in grado di farlo in modo costante, ma per il momento non ci addentreremo in questo argomento, che potrebbe essere trattato in un prossimo articolo incentrato sullo Zircon russo.

L’ottica di vedere i missili iraniani sorvolare la Knesset israeliana fa sicuramente venire i brividi a Israele, perché dice: avremmo potuto facilmente distruggere la vostra Knesset, e molto altro, ma abbiamo scelto di essere indulgenti, per ora:

Chi ne è uscito vincitore?

Ora ci sono due “prese di posizione” principali in competizione tra loro sulla situazione.

Uno dice che l’Iran è stato “umiliato” perché Israele ha intercettato tutto e, cosa ancora più importante, che l’Iran ha mandato all’aria l’unico vantaggio della sorpresa e dell’incertezza/ambiguità strategica, “mostrando la mano” e non ottenendo grandi risultati. Essi sostengono che l’unico vero vantaggio dell’Iran su Israele era la minaccia di poter effettuare un lancio di massa dei suoi temuti missili balistici, spazzando via vaste aree di Israele. Ma ora che il “danno” percepito dall’attacco è stato basso, l’Iran si è dimostrato più debole del previsto, il che potrebbe infondere a Israele ancora più coraggio e motivazione per continuare a colpire e provocare l’Iran, poiché potrebbe vedere che non ha nulla da temere dai missili iraniani a lungo vantati.

Questo è certamente un ragionevole argomento . Non sto dicendo che sia del tutto sbagliata: semplicemente non lo sappiamo per certo, per le ragioni già citate:

  1. In realtà non sappiamo quanti danni abbiano causato gli attacchi, a causa delle evidenti menzogne di Israele sul “100% di intercettazioni” e dei falsi smentiti.

  2. Non sappiamo se l’obiettivo dell’Iran fosse solo quello di fare una dimostrazione “leggera” nell’interesse della “gestione dell’escalation”. In altre parole, potrebbe non aver voluto provocare deliberatamente troppi danni, semplicemente per inviare un messaggio e non provocare Israele a rispondere in modo troppo aggressivo.

Si dice che l’Iran disponga di migliaia di missili di questo tipo, quindi ovviamente il fatto di averne lanciati solo più di 70 non è probabilmente indicativo di un grande attacco con l’obiettivo di distruggere seriamente le infrastrutture israeliane.

Poi c’è il rovescio della medaglia: l’Iran ne è uscito vincitore dimostrando tutte le capacità precedentemente descritte di aggirare gli scudi AD più fitti dell’Occidente.

Ecco perché ritengo che, per certi versi, questa conclusione sia la più corretta a lungo termine.

In primo luogo, una delle controargomentazioni comuni è che Israele possiede armi nucleari, che in ultima analisi superano qualsiasi cosa l’Iran possa lanciare contro di loro. Ma in realtà, ora che l’Iran ha dimostrato la capacità di penetrare in Israele, anche l’Iran può causare una devastazione nucleare colpendo la centrale nucleare israeliana di Dimona. Gli impianti nucleari distrutti produrrebbero molto più caos radioattivo delle armi nucleari moderne, relativamente “pulite”. Inoltre, Israele è molto più piccolo del relativamente gigantesco Iran. L’Iran può subire molti colpi nucleari e sopravvivere; ma un singolo evento nucleare di massa in Israele potrebbe irradiare l’intero Paese, rendendolo inabitabile.

In secondo luogo, ricordiamo il timore principale degli Scarabs e degli Scuds iracheni: che potessero contenere testate chimiche/biologiche. Anche l’Iran potrebbe tecnicamente caricare i suoi missili con tutti i tipi di oggetti nocivi di questo tipo: sia chemio-bio che persino uranio non arricchito – di cui dispone in abbondanza – per creare una “bomba sporca”. Ora che sappiamo che può penetrare facilmente in Israele, l’Iran potrebbe davvero spazzare via il Paese con un attacco di massa nucleare, chimico o biologico non arricchito con questi ormai comprovati missili iper- o quasi-ipersonali. Questa minaccia, da sola, rappresenta una spada di Damocle psicologica che agirà da deterrente asimmetrico o da contraltare a qualsiasi minaccia israeliana dell’Opzione Sansone.

In terzo luogo, questa è stata la prima incursione dell’Iran in un attacco diretto di questo tipo. Si può sostenere che l’Iran abbia acquisito dati e parametri critici sulle capacità difensive dell’intera alleanza occidentale e sulle vulnerabilità difensive di Israele. Ciò significa che c’è una minaccia implicita che qualsiasi attacco futuro di questa portata potrebbe essere molto più efficace, in quanto l’Iran potrebbe ora “calibrare” tale attacco per massimizzare ciò che ha visto come eventuali mancanze o debolezze da parte sua la scorsa notte. La Russia ha lanciato attacchi di questo tipo per due anni e solo di recente ha calibrato e messo a punto le tempistiche precise del sofisticato attacco a tripla minaccia a più livelli, drone-ALCM-balistico. L’Iran può anche migliorare ad ogni iterazione e massimizzare/streamizzare l’efficacia ad ogni tentativo.

In quarto luogo, c’è l’ormai confermata discrepanza di massa dei costi operativi:

Si stima che la difesa di Israele dall’attacco missilistico e di droni iraniani della scorsa notte sia costata oltre 1,3 miliardi di dollari in carburante per jet, intercettori missilistici terra-aria, missili aria-aria e altre attrezzature militari utilizzate dallo schieramento di difesa aerea israeliano; un missile anti-balistico ipersonico “Arrow 3”, da solo, sarebbe costato tra i 5 e i 20 milioni di dollari.

Una fonte non confermata ha affermato che l’attacco iraniano è costato appena 30 milioni di dollari, mentre la cifra indicata per le intercettazioni dell’Occidente si aggira tra 1 e 1,3 miliardi di dollari.

Dato che il prezzo medio di un missile intercettore va da un minimo di circa 1 milione di dollari a un massimo di 15-20 milioni di dollari per gli SM-6, questo prezzo totale è plausibile. Dato che l’Iran avrebbe sparato un totale di oltre 350 droni/missili e che la procedura standard prevede il lancio di 2 intercettori contro ogni minaccia, è chiaro che i conti tornano: 350 x 2 = 700 x 1-15 milioni di dollari.

Il punto è che, così come gli Houthi hanno dimostrato la totale incapacità dell’Occidente di difendersi da sciami di droni persistenti e di massa, anche l’Iran potrebbe aver appena dimostrato l’incapacità assolutamente letale di Israele e dell’Occidente di difendersi da una potenziale campagna d’attacco iraniana di lunga durata, vale a dire perseguita per giorni o settimane, con bombardamenti di massa quotidiani. Una campagna di questo tipo probabilmente esaurirebbe in modo critico la capacità dell’Occidente di abbattere anche la minaccia di un drone Shahed su scala minima. Basta guardare all’Ucraina, che sta vivendo la stessa lezione mentre parliamo.

Infine, che cosa significa?

Una conseguenza trascurata è che l’Iran è ora in grado di sconvolgere completamente lo stile di vita economico di Israele. Se l’Iran si impegnasse in una campagna di attacchi di massa, potrebbe paralizzare completamente l’economia israeliana rendendo inabitabili intere aree, causando migrazioni di massa, proprio come l’attacco di Hamas ha portato migliaia di israeliani a fuggire.

A differenza del barbaro e selvaggio genocidio di Israele, rivolto principalmente ai civili, l’attacco iraniano della scorsa notte ha preso di mira esclusivamente siti militari. Ma se l’Iran volesse, potrebbe lanciare attacchi di massa alle infrastrutture, come la Russia ha fatto ora alle reti energetiche dell’Ucraina, aggravando ulteriormente il danno economico. In breve: l’Iran potrebbe impantanare Israele in un malessere economico lungo mesi e anni o in una vera e propria devastazione.

Non dimentichiamo che questo attacco era ancora relativamente limitato al solo Iran. Certo, gli Houthi e persino Kata’ib Hezbollah avrebbero inviato alcuni droni, ma si è trattato di un’azione minore. Ciò significa che in futuro, se Israele dovesse decidere di intensificare l’attacco, l’Iran si riserva ancora diversi livelli del proprio vantaggio di escalation. Se si dovesse arrivare al dunque, immaginate Hezbollah, Ansar Allah, Hamas, la Siria e l’Iran che lanciano tutti attacchi contro Israele in una guerra totale. Forse è proprio questo che Israele vuole, direbbe qualcuno. Dopo tutto, ci sono echi delle varie guerre arabo-israeliane in cui Israele ha “trionfato” contro coalizioni arabe così ampie. Ma i tempi sono cambiati, il calcolo è leggermente diverso. A parte l’uso di armi nucleari, come potrebbe Israele sopravvivere a una guerra su larga scala contro Hezbollah nel nord, mentre l’Iran fa piovere quotidianamente missili ipersonici, droni e quant’altro sulle industrie israeliane, paralizzando la sua economia?

Naturalmente, a quel punto viene sollevata la questione dell’intervento degli Stati Uniti, ma, evidentemente alla ricerca di un’uscita di scena, Biden si limita a dichiarare:

Un importante punto trascurato

L’ultimo aspetto da considerare è che tutti gli eventi precedenti e successivi potrebbero benissimo far parte del piano israeliano. Ricordiamo che Israele non ha scelto di far saltare in aria l’ambasciata iraniana – una manovra enorme e senza precedenti – e di massacrare i generali iraniani solo per la sua salute. Questo è apparso come parte di una chiara strategia di escalation volta ad attirare l’Iran in una spirale di escalation, presumibilmente con l’obiettivo finale di attirare gli Stati Uniti in una guerra su larga scala per ridurre l’Iran una volta per tutte.

Alla luce di ciò, alcuni esperti ipotizzano che l’Iran sia scioccamente “caduto nella trappola”. Tuttavia, come detto in precedenza, si può dire che l’Iran abbia saggiamente “gestito” l’escalation proprio per questo motivo: mostrare la propria forza senza spingersi troppo oltre, in modo tale da invitare una più ampia risposta americana – o anche israeliana, se è per questo.

Ma mi limito a menzionare questo fatto per temperare qualsiasi grido “celebrativo” proveniente dalla sfera della resistenza. Sebbene gli attacchi dell’Iran possano ispirare un certo sciovinismo, in realtà potrebbero aver fatto il gioco di Israele. Tuttavia, la riluttanza degli Stati Uniti a sostenere Israele in un’ulteriore escalation potrebbe sgonfiare gli obiettivi di Netanyahu e lasciare Israele con le uova nel paniere e l’Iran che ne esce vincitore.

Dovremo aspettare e vedere dove ci porterà: al momento in cui scriviamo, la storia è cambiata tre volte; le ultime due sono state che Israele ha deciso di non rispondere, mentre ora le notizie sostengono che Israele non solo ha scelto di rispondere, ma lo farà addirittura stasera, forse entro pochi minuti o ore dalla pubblicazione di questa pubblicazione. Se questo dovesse essere il caso, dovremo vedere se Israele sceglierà il proprio attacco “salva-faccia”, “light touch”, solo per limitare i danni, o se intende davvero continuare a salire la scala dell’escalation in forze. Qualsiasi azione importante senza il sostegno americano è rischiosa: non solo perché potrebbe fallire e gli aerei israeliani potrebbero essere abbattuti, ma anche perché l’Iran potrebbe mantenere la parola data e scatenare un altro attacco molto più devastante.

Pensieri finali

Perché ora? Perché Israele ha fatto abboccare l’Iran ad un’azione del genere in questo preciso momento?

L’indizio della risposta si trova nella notizia di alcuni giorni fa che Israele ha ritirato completamente le sue forze da Khan Younis:

Sospetto che Israele – o Netanyahu in particolare – si trovi di fronte a un fallimento, dopo non aver raggiunto nessuno degli obiettivi dichiarati, e quindi cerchi disperatamente di creare una nuova distrazione come vettore per continuare la guerra in qualche modo che possa impedire al mondo, e agli israeliani, di giungere alla conclusione che la guerra è stata completamente persa.

Avete visto l’ultima notizia bomba di Haaretz?

Abbiamo perso. La verità va detta. L’incapacità di ammetterla racchiude tutto ciò che c’è da sapere sulla psicologia individuale e di massa di Israele. C’è una realtà chiara, nitida e prevedibile che dovremmo iniziare a scandagliare, elaborare, comprendere e da cui trarre conclusioni per il futuro. Non è divertente ammettere di aver perso, quindi mentiamo a noi stessi.

Alcuni di noi mentono maliziosamente. Altri innocentemente. Sarebbe meglio trovare conforto in qualche carboidrato arioso con una crosta da vittoria totale. Ma potrebbe essere solo un bagel. Quando la consolazione finisce, il buco rimane. Non c’è modo di evitarlo. I buoni non vincono sempre.

Il sorprendente articolo, che corrisponde ai sentimenti di molti israeliani, prosegue:

Dopo un anno e mezzo, avremmo potuto essere in una situazione completamente diversa, ma siamo tenuti in ostaggio dalla peggiore leadership della storia del Paese – e un discreto concorrente per il titolo di peggiore leadership di sempre. Ogni impresa militare dovrebbe avere un’uscita diplomatica: l’azione militare dovrebbe portare a una realtà diplomatica migliore. Israele non ha un’uscita diplomatica.

L’articolo conclude che il calcolo è cambiato e che gli israeliani potrebbero non essere più in grado di tornare al confine settentrionale, data la situazione con Hezbollah .

Un’altra battuta classica:

Nessun ministro del governo ci restituirà il senso di sicurezza personale. Ogni minaccia iraniana ci farà tremare. La nostra posizione internazionale è stata colpita. La debolezza della nostra leadership è stata rivelata all’esterno. Per anni siamo riusciti a far credere che fossimo un Paese forte, un popolo saggio e un esercito potente. In realtà, siamo uno shtetl con un’aeronautica militare, e questo a condizione che si risvegli in tempo.

L’autore concentra poi la sua condanna sull’imminente “operazione Rafah”:

Rafah è il nuovo bluff che i portavoce stanno mettendo in atto per ingannarci e farci credere che la vittoria sia a un passo. Quando entreranno a Rafah, l’evento reale avrà perso significato. Potrebbe esserci un’incursione, magari minima, prima o poi – diciamo a maggio. Dopodiché, spargeranno la prossima menzogna, che tutto ciò che dobbiamo fare è ________ (riempire lo spazio vuoto), e la vittoria sarà in arrivo. La realtà è che gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti. Hamas non sarà sradicato. Gli ostaggi non saranno restituiti attraverso la pressione militare. La sicurezza non sarà ristabilita.

In breve: ecco perché Netanyahu aveva bisogno di un’escalation. Per distogliere l’attenzione dalla catastrofe in corso della potenziale sconfitta di Israele contro Hamas, dalla catastrofica perdita di prestigio dell’immagine di Israele nella comunità mondiale, dalla completa rivolta contro Israele da parte del mondo intero. Piuttosto che ammettere la sconfitta e affrontare la fine della sua carriera, nonché i prossimi processi e tribunali che porterebbero Bibi in prigione, ha scelto di prendere l’unica opzione rimasta: continuare l’escalation nella speranza che una guerra su larga scala possa lavare i suoi peccati e cancellare gli errori del passato. Purtroppo, proprio come lo sfortunato Zelensky, il piano fallimentare di Netanyahu sembra destinato a coincidere con il declino storico degli Stati Uniti, che raggiunge il suo apice proprio in questo anno cruciale, il 2024.

Nel momento critico in cui Israele aveva bisogno dell’America più forte possibile, ha ottenuto l’America più debole della sua storia. Questo è l’errore di Israele, che potrebbe essere la sua definitiva e calamitosa rovina. Ma Bibi probabilmente non avrà altra scelta che continuare l’escalation, o almeno mantenere una strategia di tensione come presenza costante per sopravvivere.

Un’ultima rapida nota postuma è che gli eventi successivi potrebbero influenzare il disegno di legge sugli aiuti all’Ucraina, dato che ora si parla di far passare un pacchetto di aiuti d’emergenza per Israele, alla luce degli eventi, che potrebbe avere anche gli aiuti all’Ucraina; ma bisognerà vedere cosa succederà, dato che c’è ancora una forte opposizione tra alcuni repubblicani.

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