Considerazioni in tema di Forze Armate, del Generale Marco Bertolini

La crisi delle Forze Armate italiane non è cosa recente, ma affonda le sue radici nella storia degli ultimi tre quarti di secolo. Fino alla fine del millennio, in particolare, l’Italia aveva Forze Armate a coscrizione obbligatoria, con pochissime componenti professionali pure. Anche tra gli Ufficiali, vale a dire tra coloro che rappresentano la struttura portante dell’Istituzione, il ricorso a personale di complemento, o dal complemento passato in servizio permanente (il cosiddetto “Ruolo Speciale”- RS) previo superamento di un concorso, era generalizzato. Si trattava comunque di personale preparato, non essendo il superamento di tale concorso una bazzecola. In ogni caso, solo per le figure destinate ad assumersi, con la carriera, responsabilità dirigenziali, si ricorreva ad Ufficiali del “Ruolo Normale”, vale a dire passati attraverso l’iter selettivo e formativo dell’Accademia Militare, e poi della Scuola d’Applicazione e della Scuola di Guerra.  L’Ufficiale d’Accademia era, così, quasi una mosca bianca anche in molti reparti operativi, nei quali molte minori unità (plotoni e compagnie) erano comandate da Ufficiali di complemento o comunque del RS, a conferma della loro sostanziale validità.

Quanto alla truppa, era costituita da giovani chiamati alle armi con una preparazione all’impiego operativo piuttosto superficiale, per forza di cose dato il breve tempo a disposizione per affrontare attività comunque complesse.

Ma un problema ulteriore era rappresentato dalla percezione dell’importanza dello strumento militare da parte dell’opinione pubblica, condizionata a ritenerlo marginale, se non a supporto di altre istituzioni per affrontare situazioni critiche per lo più “interne”. Questo stato delle cose ha portato ad una continua diminuzione delle risorse per una realtà che si riteneva sostanzialmente poco utile, riducendo sempre più le possibilità di addestramento per il quale venivano negati fondi, poligoni, aree addestrative in un vero e proprio crescendo rossiniano.

Arriviamo così all’inizio del millennio ad un punto di svolta: come in tutti i paesi occidentali si decide di trasformare l’Esercito[1] in senso professionale per far fronte ad una nuova missione: l’esportazione della democrazia all’estero e non semplicemente la difesa della soglia di casa. Da Esercito di coscritti, insomma, ad Esercito di professionisti, nel malinteso che la qualità possa sostituirsi alla quantità per un impiego nel quale tra i principi dell’”Arte della Guerra” che si insegnano in tutto il mondo la Massa continua ad avere un ruolo primario. Venne così stabilito, al termine di un processo di ridimensionamento durato anni, che le FA italiane dovessero arrivare ad assommare 150 mila uomini di cui solo 90 mila per l’Esercito, la Forza Armata di riferimento. Quest’ultima, inoltre, veniva privata dell’Arma dei Carabinieri in ossequio al principio bufala della priorità dell’impiego di Polizia rispetto a quello militare puro, mentre l’Arma veniva portata, da sola, ad oltre 120 mila uomini che, in aggiunta ad altrettanti della Polizia di Stato e circa 60 mila della Finanza, e senza contare altre polizie minori e locali, assicurano all’Italia una componente di Ordine Pubblico estremamente importante. Il mito della corruzione italiana e della nostra criminalità congenita che non ci dovrebbe lasciare il tempo di curare i nostri interessi all’estero (con le Forze Armate, quindi) è così servito.

Con tale provvedimento, insomma, si buttò il bambino con l’acqua sporca, arruolando infatti per un impiego che richiede energia ed una certa dose di spregiudicatezza giovanile, personale destinato ad “invecchiare” col fucile in mano. Personale che, contemporaneamente e conseguentemente, era destinato ad un progressivo imborghesimento dovuto all’età che avanza, alle esigenze della famiglia che si costituisce e ai problemi connessi con un menage casalingo che non può adattarsi più di tanto ad un’attività che presuppone trasferimenti, lunghi periodi di impiego lontano dai propri cari, ecc. Le conseguenze di questa situazione assurda le vediamo oggi con la pretesa di sindacalizzare le Forze Armate, con un provvedimento ideologico di portata epocale che tende a snaturarle. Forse non inconsapevolmente.

Insomma, quanto sopraindicato vuole semplicemente evidenziare quale è stato il sostrato sul quale si sono innestati successivamente molti dei provvedimenti che ci portano alla situazione attuale, alla quale si deve certamente porre rimedio, nella consapevolezza che non c’è Sovranità che tenga senza uno strumento militare che la rappresenti e la difenda.

Ma si tratta di un problema molto serio e complesso, che richiederebbe interventi a giro d’orizzonte impossibili da trattare prescindendo da analisi tecniche che devono essere affrontate dagli addetti ai lavori. In linea di principio, invece, quello che credo sia possibile a livello concettuale è individuare i macro-problemi da risolvere, avendo però chiaro che non sono di facile soluzione anche per l’impatto sociale che potrebbero avere.

Uno di questi riguarda la già citata esiguità dello strumento, con particolare riferimento all’Esercito. 90 mila uomini sono pochini, tenuto conto che a differenza delle forze di Polizia una Forza Armata è, per esigenze operative e per la complessità delle funzioni ad essa destinate, una struttura molto gerarchizzata e sfaccettata, nella quale buona parte del personale è destinato a funzioni di Comando e controllo, Comunicazioni, logistiche, scolastiche, addestrative, incomprimibili. Anzi.

In sostanza, in un Esercito di 90 mila uomini quelli materialmente impiegabili sul campo in ruoli esecutivi (col fucile in mano, per intenderci) non possono superare 1/3, 1/4 del totale. E il tutto dovrebbe essere sostenibile nel lungo periodo, fino alla fine dell’emergenza, cosa impossibile in caso di impieghi onerosi in termini di risorse utilizzate, tra cui le vite dei militari.

Ad integrazione di tale componente, quindi, una limitata componente di leva, per tre o quattro Brigate (15-20 mila uomini), da impiegare in compiti meno impegnativi come quelli di supporto alle Forze dell’Ordine o per alimentare la componente professionale con personale già scremato, a questo punto, potrebbe essere quindi opportuna; ma non si può ignorare che per una funzione che implica selezione, chiamata, ricezione, vestizione, accasermamento, vettovagliamento di personale sempre nuovo servono strutture e strumenti che abbiamo in buona parte perso, a partire dai Distretti Militari. E dalle caserme, molte delle quali ormai dismesse ed inutilizzabili. Insomma, non credo che sia possibile procedere ad una ripresa della leva senza investimenti significativi.

Una soluzione ottimale, per integrare in un primo tempo e poi per rimpolpare la componente “professionale” dell’Esercito, ma difficile da percorrere in un paese che aborrisce ogni accenno al precariato, è quello di una ferma limitata a tre, massimo sei anni, per chi ne faccia domanda. Una soluzione del genere potrebbe essere percorribile anche a fronte della presumibile crisi occupazionale dei prossimi anni, offrendo ai giovani che lo vogliano un impiego a tempo determinato, e non rinnovabile a meno di casi eccezionali da valutare di volta in volta. Con i giovani in uscita da questo impiego, si potrebbero così ricostituire delle riserve effettivamente operative, da richiamare per periodici aggiornamenti ed alle quali assicurare  alcuni dei pochi benefit rimasti ai militari in servizio, come la fruizione dei pochissimi circoli sopravvissuti alla furia iconoclasta dei moralizzatori antimilitaristi che ha dato il peggio di sé negli ultimi tre decenni.

Ciò detto, riterrei quindi prima di tutto necessario invertire urgentemente l’attuale decremento dell’Esercito portandolo ad una forza decisamente superiore all’attuale, auspicabilmente dell’ordine delle 120 mila unità circa, almeno. Ma si tratta di un argomento che non può essere affrontato a colpi d’accetta e deve soprattutto tenere conto di esigenze di fattibilità che non si possono banalizzare. Tra queste, la necessità – di segno contrario – di “smaltire” (si perdoni il termine crudo) molti dei militari di truppa più anziani di cui accennerò oltre. E poi, ci sarebbe la necessità di rendere più attrattiva la professione militare, per incentivare domande di arruolamento che, da quando ha cominciato a venire meno l’impiego impegnativo e rischioso in Afghanistan per essere sostituito da quello ripetitivo e frustrante di Strade Sicure, è in drammatico calo.

Nella componente più operativa, dovrebbe poi essere potenziata la componente corazzata e pesante, ridotta al lumicino con la scusa delle “operazioni di pace” e si dovrebbero ripristinare le scorte, letteralmente “mangiate” da decenni di operazioni fuori area senza finanziamenti sufficienti a sostenerle.

Sarebbe necessario inoltre rivitalizzare capacità trascurate negli ultimissimi decenni e fondamentali, come la componente sanitaria militare, che si è dimostrata fondamentale in Afghanistan e che si conferma importantissima ancorché sottodimensionata con l’esplodere dell’epidemia del coronavirus. In sostanza, all’unico Policlinico Militare del Celio ritengo che dovrebbero aggiungersi altri 2 o 3 Ospedali militari con le stesse potenzialità nel resto del territorio, almeno nelle maggiori città. Si tratterebbe, insomma, di un parziale ma necessario ritorno all’antico.

Un altro argomento importante riguarda la Riserva, strumento indispensabile per assicurare sostenibilità a impieghi prolungati nel tempo e “usuranti”. Infatti, la riserva che ci era assicurata ai tempi della Leva da un complesso meccanismo che consentiva di tracciare i congedati, di richiamarli per addestramento e anche di farli avanzare nei gradi, non esiste più se non nella cosiddetta “riserva selezionata” finalizzata però ad assicurare professionalità non militari per compiti non operativi (giornalisti, laureati in scienze politiche, avvocati, laureati in economia, ecc..) nelle cosiddette operazioni “di pace”. Per assicurare invece il ricambio o il rinforzo delle componenti operative vere e proprie è necessaria una riserva diversa, prevalentemente fatta da giovani già addestrati e selezionati. In questo, il ricorso alla leva o alla forma di servizio “precario” citato in precedenza dai quali trarli è imprescindibile.

Quanto al modello della Nazione Armata al quale molti fanno riferimento, come quello svizzero o dell’ex Jugoslavia, si tratta di un’idea seducente ma difficile da attuare. Non si potrebbe trattare di un’alternativa all’Esercito attuale, ma di una realtà ad esso complementare, stante la necessità comunque di una componente professionale idonea ad utilizzare procedure e mezzi sempre più complessi. Insomma, si dovrebbero avere due linee di comando, due strutture di formazione, logistiche, di comunicazione.  Si tratterebbe anche qui di partire da zero per realizzare quello che non c’è, ma non sarebbe né facile né a buon mercato: a meno che non si pensi che basti un po’ di addestramento al tiro e qualche lezione di ordine chiuso in cortile per avere un’unità moderatamente affidabile, ancorché per compiti di basso livello. E’ certamente un’idea seducente, dicevo, ma deve essere sfrondata dalla tentazione, da parte di molti non-militari invaghiti della militarità, di ritagliarsi un ruolo con le stellette al quale dedicare il proprio tempo libero. Insomma, non deve essere lasciato spazio a quella specie di “grillismo” trasversale che porta anche molti dei favorevoli alle Forze Armate a ritenere che “la guerra sia una cosa troppo seria per lasciarla fare ai Generali”, propendendo per un approccio dilettantesco destinato a non rappresentare molto più di un hobby di lusso.

Detto questo, un problema molto difficile da risolvere è poi quello del complessivo invecchiamento dello strumento. Un errato riferimento alle forze di Polizia, già basate su personale “professionale”, nonché femminile, al momento della professionalizzazione dell’Esercito ha portato infatti al transito nel “servizio permanente” anche gli incarichi della truppa, nell’intesa che per fare le “operazioni di pace” anche un 50enne con lo schioppo sarebbe stato sufficiente. Ma questo non è vero, come si è visto parzialmente nelle nostre operazioni e come fa presagire lo scenario conflittuale che ci circonda. Il Soldato, insomma, deve essere giovane e scavezzacollo. E rassegnato ad una sobria e decorosa precarietà, a meno di diventare immancabilmente un peso quando la pancetta avanza. Quindi è necessario cercare di smaltire i più anziani, tentativo intrapreso anche da qualche governo precedente (non gli ultimi due che sono di quanto più a-militare possa essere concepito), ma si tratta di uno sforzo inutile se la consapevolezza di tale esigenza non è unanimemente accettata. Si tratterebbe infatti di dirottare in altre amministrazioni, dove un 50enne affidabile potrebbe dare ancora molto, chi non è più nell’età e nelle condizioni fisiche di fare il passo del leopardo. Ma appunto, è questo un problema non indifferente, per il quale non esistono soluzioni facili e a buon mercato.

Insomma, le Forze Armate fanno quello che possono in un paese che non brilla per attenzione per le stesse e per la disponibilità di una politica estera matura che ne motivi l’esistenza. Normalmente, anzi sistematicamente, si fanno apprezzare in ambito internazionale per efficienza e per una serietà e disponibilità all’impiego che contraddicono molti degli stereotipi che come Italiani ci portiamo nello zaino, ma hanno bisogno di essere aiutate a ripristinare capacità e risorse che negli ultimi lustri si sono assottigliate pericolosamente. Chi le ama e ne vuole approfondire vulnerabilità e punti di forza per migliorarle deve però esercitare prudenza e buonsenso, partendo dal presupposto che in una materia di tale complessità i sogni pindarici di chi crede che si possa partire da un foglio bianco per tracciare la rotta del futuro commette un errore madornale. Le Forze Armate sono prima di tutto, infatti, uomini, con i loro sogni, le loro aspirazioni e le loro capacità, delle quali è necessario tenere conto.  E sono come un treno in movimento, che non può fermarsi per sostituire una ruota o per rinnovare un vagone sgarrupato. Sono interventi che devono quindi essere effettuati in corsa, con tutte le difficoltà del caso, tra cui quella di evitare un deragliamento del quale pagherebbe lo scotto tutta l’Italia.

*Il Generale di Corpo d’Armata (ris.), Marco Bertolini, è nato a Parma il 21 giugno 1953. Figlio di Vittorio, reduce della battaglia di El Alamein, dal 1972 al 1976, Marco Bertolini ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione d’Arma di Torino. Nel 1976, con il grado di Tenente, è stato assegnato al il IX Battaglione d’Assalto Paracadutisti Col Moschin – una delle unità di elite delle Forze Armate italiane – del quale, per ben due volte (dal 1991 al 1993 e dal 1997 al 1998), è stato comandante.

Già comandante, dal 1999 al 2001, del Centro Addestramento Paracadutismo, dal 2002 al 2004 è stato posto al comando della Brigata Paracadutisti Folgore per poi assumere il comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) e, successivamente, quello del Comando Operativo di vertice Interforze (COI). Dal luglio del 2016 Marco Bertolini ha cessato il suo servizio attivo nelle Forze Armate. Attualmente è Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.


[1] Quanto riferito all’Esercito è parzialmente sovrapponibile alle altre due Forze Armate (Marina e Aeronautica), fatti i debiti distinguo per la maggiore componente tecnologica del loro impiego.

https://www.ordinefuturo.it/2020/04/14/considerazioni-in-tema-di-forze-armate/?fbclid=IwAR1-mMCh4_OTj74yS8-gPHsw7oYi9qHcsfmTY3iVCmX_dpwd0N9CbGnDYcY

Chi se ne sta andando!?, di Fulvio Marcellitti

Se ne vanno.
Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze

Due,tre cose che so sul coronavirus, di Max Bonelli

Due,tre cose che so sul coronavirus

 

Nell’ambiente dei patrioti sovranisti sono conosciuto per il mio impegno per la causa dei russi dell’est Ucraina,su cui ho scritto il libro Antimaidan , e per  vari articoli su quel mostro imperialista denominato Nato ma non sono uno scrittore di professione ne tanto meno un giornalista, vivo (per fortuna) di altro.

Ho alle spalle 30 anni di attività nel campo farmaceutico con svariati incarichi in diverse multinazionali del settore  in vari paesi europei (attualmente faccio consulenze in Scandinavia) e prima ancora quando ero ancora laureando in Farmacia ho prestato servizio come ufficiale nel 1 battaglione NBC Etruria come istruttore di difesa chimica e biologica. Fui mandato li perché avevo tanti esami in chimica, l’esercito cercava un laureato ma in mancanza si accontentarono di un laureando, il sottoscritto.

Mi diedero una settimana per prepararmi ed una serie di sinossi da digerire che divorai con facilità, niente di difficile per chi aveva superato chimica biologica, fisiologia etc.

Passai gli 11 mesi di servizio istruendo sottufficiali su come difendersi dagli attacchi chimici e biologici, come indossare le tute di difesa chimica e biologica, l’uso di autoclavi e l’immancabile maschera antigas.

 

Quando si seppe dei primi casi in Cina a Wuhan il germoglio della curiosità crebbe velocemente in me grazie ai miei trascorsi militari e professionali e trovai subito l’ottima pagina della università di Johns Hopkins che in tempo quasi reale aggiornava l’evoluzione del COVID-19.

https://coronavirus.jhu.edu/map.html

 

Capii subito già nella seconda metà di gennaio che il virus per le sue caratteristiche era inarrestabile nella diffusione e che l’unica forma di strategia di difesa era provare a limitare i danni ma seguendo questo invisibile parassita ho avuto delle interessanti ed istruttive lezioni di vita.

 

Primo:            Non farsi prendere dalla sindrome di Gesù

 

Seguendo l’evoluzione dell’invisibile nemico, incominciai  ben presto ad elaborare un piano di difesa biologica, ci pensavo continuamente me lo ripetevo nelle varie fasi mentre lavoravo, ne affinavo i particolari, poi mi feci coraggio e lo condivisi con persone che stimavo del partito sovranista in cui milito Vox Italia. Pensavo che me lo avrebbero buttato giù ed invece riscontrai entusiasmo ed incoraggiamento. Un ingegnere economico ed un medico collaborarono a strutturare un progetto articolato ed a sviluppare un calcolo degli oneri economici. Il risultato fu sorprendente con il mio piano che verteva sul principio di mettere gli anziani in strutture tenute asettiche od in alternativa di obbligarli ad una prolungata quarantena a casa supportati da personale che fornisse loro la logistica necessaria ad affrontare l’isolamento, si sarebbe continuato a tenere aperta l’azienda Italia, anche se con il freno a mano tirato in tanti settori. Il raffronto rispetto all’attuale sistema era di un risparmio di 170 miliardi di euro su un periodo di 3 mesi. Forte di tutto questo bussai alla protezione civile, alla sanità della regione Lazio. Risposte ? Nessuna, e nello stesso tempo giorno dopo giorno i morti aumentavano e  il paese era additato a “lebbrosario di Europa”. La cosa mi lasciava basito ancor più che gli unici due paesi che hanno adottato strategie simili alla mia proposta ottenevano dei risultati di letalità di molto migliori dell’Italia e mi riferisco a Russia ed Israele. La prima ha imposto agli anziani di rimanere in casa fino alla fine dell’emergenza insieme ad un moderata chiusura delle attività e la seconda ha scelto la via di focalizzare la protezione biologica sulle strutture che si prendono cura degli anziani più esposti. I risultati li lascio alla curiosità del lettore che può essere soddisfatta sul sito già messo in evidenza.

Avevo la conferma che il mio progetto stava in piedi ma non interessava a nessuno in Italia; parlai con un giornalista di Sputnik news ed ebbi da lui un intervista, articolo pubblicato fatto girare sui social; tanti like ma di concreto niente ed intanto il mio paese affondava.

Ad onor del vero anche nel Nord Europa  ho provato a proporre in ambiti delle grandi catene di distribuzione farmaceutiche micro progetti per salvaguardare dal contagio le “case per gli anziani” come le chiamano li. In teoria avevo il compito facilitato in quanto il virologo di riferimento locale, Anders Tegnall, aveva indicato che la priorità delle risorse e  delle attenzioni dovevano andare alla protezione biologica di queste strutture e nello stesso tempo si doveva evitare di fermare completamente l’economia. Tutto giusto solo che il governo svedese non ha avuto la forza di dare chiare direttive in tal senso, quindi trasformare la teoria in pratica. Risultato, tutto il mondo sanitario che gravitava intorno agli anziani si preoccupava più di perseguire il guadagno che di mettere in pratica costose ed onerose misure di prevenzione con il risultato che ai primi di aprile si contava 1 ospizio su 3 sotto contagio. In questo caso ho avuto la soddisfazione personale di vedermi scodinzolare intorno le stesse persone che 2 mesi prima mi avevano riso in faccia quando ai primi di febbraio dissi loro che il coronavirus si sarebbe diffuso anche in Svezia. All’epoca erano cosi fieri di avere solo casi isolati, perché stare a sentire un consulente italiano?

In sintesi puoi avere il piano migliore del mondo, la buona volontà ma di fronte all’inerzia dei comportamenti di gregge anche Gesù ebbe i suoi problemi ed io cosa pensavo di fare? Salvare il mondo?

 

Secondo:       Le persone molto intelligenti in situazione di stress perdono la loro qualità migliore

 

Basterebbe che i nostri governanti ma non solo loro, anche gran parte della classe politica mondiale si soffermasse ad osservare la cartina mondiale di diffusione del COVID-19.

Balzerebbe agli occhi che il nostro virus odia le alte temperature. Si diffonde con una velocità irrefrenabile nei climi temperati ma fatica nei climi equatoriali. Nei primi 13 posti per numero di contagiati ci sono 12 paesi con climi temperati ed 1 solo l’Iran con un clima parzialmente caldo. In realtà è stato colpito nella stagione “invernale” quando le temperature medie sono di 10-15 gradi; man mano che si riscaldava  il clima è stato superato in numero di contagi da paesi con sistemi sanitari migliori ma con un clima più

adatto al virus. L’OMS scrisse che la capacità di sopravvivenza su oggetti inanimati poteva essere intorno ai 3 giorni, una enormità di tempo se questo lasso scema notevolmente con il rialzo delle temperature ecco spiegato perché Malaysia, Filippine ed Indonesia sono sotto i 5 000 contagiati a testa in data 12 aprile o vogliamo pensare che il loro sistema sanitario sia migliore di quello dei paesi più avanzati?

Per finire vi invito a dare un’occhiata all’Australia: 6315 contagiati il 12 aprile del 2020, stesso sistema sanitario, stesse misure, quasi tutti i contagiati vivono nella parte temperata che guarda l’antartico, praticamente assenti nel nord caldo e secco.

 

In sintesi :il mondo è in mano a gente che non può essere stupida se ha fatto una carriera cosi brillante nella società ma non sono stati selezionati per fare analisi sotto stress e prendere decisioni coraggiose; la mancanza di questa dote, il coraggio sta diventando il maggior responsabile di una delle più grandi catastrofi economiche della storia dell’umanità.

 

 

Terzo: Il megafono di una stampa asservita al potere in crisi isterica

seppellisce definitivamente il senso critico del popolo sotto il

peso della paura.

 

La paura annebbia le menti ed il nostro virus è riuscito a risvegliare dei comportamenti seppelliti nel nostro DNA. La maggior parte di noi discende da chi è sopravvissuto alla peste del 1300. Pur con una letalità ufficiale intorno al 3,6% con punte nel bel paese che arrivano al 12% il coronavirus è ben lontano dalle letalità dei suoi parenti stretti SARS o MERS. Ha un’alta ospedalizzazione che mette in ginocchio i sistemi sanitari e che incide sul numero di morti ma siamo lontani dal 50% ed oltre della peste nera che colpì i nostri antenati per altro privi di un sistema sanitario in loro soccorso. I nostri media hanno fomentato con piacere l’asservimento delle menti impaurite, sentivano che con gli anni lo scetticismo della gente aumentava di giorno in giorno e non poteva che essere altrimenti di fronte a chi propugnava e propugna l”’accoglienza infinita in un mondo finito”. Questa pestilenza benigna gli ha ridato il potere che avevano perso; quello di poter ottenebrare le menti. Da qui una riflessione:

Solo il pensiero chiaro e limpido aiuta il raggiungimento della verità ed il valore degli uomini è dato da quanta verità riescono a tollerare

 

 

Max Bonelli

 

 

 

 

 

 

ANCORA SUL COLPO DI EXTRASTATO (DALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU AL CORONAVIRUS A COLAO AL BEHEMOTH NAZISTA) Di Massimo Morigi

 

ANCORA SUL COLPO DI EXTRASTATO (DALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU AL CORONAVIRUS A COLAO AL BEHEMOTH NAZISTA)

Di Massimo Morigi

 

Molto acutamente osserva Vincenzo Cucinotta in Emergenza e Regime (https://italiaeilmondo.com/2020/04/11/emergenza-e-regime-di-vincenzo-cucinotta/#disqus_thread, Wayback Machine : https://web.archive.org/web/20200412091927/https://italiaeilmondo.com/2020/04/11/emergenza-e-regime-di-vincenzo-cucinotta/): «Cosa non va in questa questione della task force? Non certo che il governo acquisisca pareri tecnici da competenti, potremmo perfino tollerare che si tratti di un organismo  collegiale che pure già modifica il senso della sua funzione, ma la cosa ben più grave, è costituita dal fatto che venga pubblicizzato, svolgendo così una funzione indipendente. Conte avrebbe potuto benissimo dotarsi di un comitato di persone che godono della sua personale fiducia, sarebbe stata cosa saggia, ma se dichiara urbi et orbi la sua costituzione, allora conferisce a questo organismo una sua autonomia. Non si tratterà quindi di un comitato interno che comunica soltanto in via più o meno riservata con il governo, ma diventa una specie di secondo governo. In questo senso, si viene ad alterare il delicato equilibrio istituzionale previsto dalla carta costituzionale, e come in queste settimane vediamo Borrelli andare in TV a tenere la quotidiana conferenza stampa, ci dovremo domani aspettare di vedere il sig. Colao al quale nessuno di noi ha delegato alcun potere colloquiare con noi, ovvero prendere decisioni su di noi. Purtroppo, abbiamo evidenze dello scarso spirito democratico esistente nel nostro paese come osservato ampiamente nel caso del governo Monti che ha ricevuto un’amplissima fiducia perfino dallo stesso Berlusconi all’uopo defenestrato, e il cammino irresistibile della modifica costituzionale con l’obbligo di pareggio di bilancio che è stata approvata in pieno clima bulgaro, e i Bulgari non se l’abbiano a male. Stavolta, stiamo messi ancora peggio, non c’è alcuna procedura costituzionale che presieda alla costituzione di questa task force che ci dovrà dettare i nuovi termini di convivenza sociale, determinare quindi la nostra vita senza che si capisca in che senso siamo ancora in democrazia. Il secondo aspetto è quello che vado dicendo da parecchie settimane, e cioè che le misure anti-coronavirus sono in linea di principio permanenti (e li stabilisce un Colao qualsiasi). Riassumendo, noi stiamo cambiando la natura stessa del sistema politico della nostra patria e i connessi diritti individuali garantiti senza porre scadenze e conferendo poteri non meglio definiti a organismi improvvisati che Conte ha deciso di costituire con un meccanismo di composizione del tutto opaco, così che siamo autorizzati a credere che questi novelli sacerdoti gli siano stati segnalati per telefono da suoi sodali.» A settembre, a proposito delle (purtroppo giustificate) aspettative in merito ai pronunciamenti della piattaforma Rousseau in merito alle alleanze che i Pentastellati avrebbero dovuto cercare di stringere per formare il nuovo governo, avevo scritto sull’ “Italia e il Mondo” alcune considerazioni imperniate sul concetto di “colpo di estrastato”, con ciò denunciando che nel nostro paese era in atto sia un progressivo degrado e svuotamento sia delle istituzioni politiche c.d. democratiche sia un degrado del diritto tout court. Qualche ben intenzionato dall’alto di un’altissima scienza  trasmessa ovviamente dalla presente italica Accademia fortissima notoriamente nelle scienze giuridiche e in quelle sociali (altissima Accademia il cui culmine scientifico può essere riassunto nel concetto che la nostra “è la Costituzione più bella del mondo”) tacciò il concetto di “colpo di extrastato” di vuotaggine ed insensatezza. Ed è talmente vuoto ed insensato che oggi, supermanager Colao a parte, si può venire fermati per strada non tanto perché si è violata la legge sulla quarantena, ma perché il povero tutore dell’ordine di turno ha fatto una sua esegesi personale di una legge sulla quarantena assolutamente iincomprensibile e contraddittoria. E non bisogna essere certo dei finissimi giuristi per comprendere che quello che stiamo attualmente vivendo è sì uno stato d’eccezione ma uno stato d’eccezione che per la maniera sregolata ed anarchica del suo concepimento non è foriero ad un successivo ritorno ad una normalità giuridica ma è pronubo ad un ulteriore degrado e svuotamento delle istituzioni politiche e del diritto nel suo complesso. Insomma quella che l’attuale presidente del Consiglio sta de facto instaurando (de facto sottolineo e non per volontà sua perché attribuire un qualsiasi proposito politico, tranne la sua permanenza nella carica, al personaggio è come accusare una fiera di malvagità perché si nutre di altri animali) non è, schmittianamente esprimendoci, una dittatura commissaria volta a ristabilire l’ordine minacciato ma una sorta di dittatura sovrana ma il cui principio basilare non è tanto costruire un nuovo ordine migliore rispetto a quello messo in crisi ma bensì una totale anarchia giuridica e politica. Colpo di extrastato ed anarchia totalitaria di cui la storia del Novecento non è certo avara di esempi, e con questo lascio il campo ma anche la traccia alle altrui riflessioni:  solo chi abbia studiato un po’ più a fondo i fenomeni totalitari ed in particolare il nazismo avrà sentito parlare di Franz Neumann e del suo Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo

Massimo Morigi – Pasqua di Risurrezione del Signore 2020

 

PIERO VISANI ci ha lasciati

Piero Visani ci ha improvvisamente lasciati. Ci mancherà la sua immensa e disincantata intelligenza; un concentrato di acume, esperienza, elaborata da successi e delusioni. Un grande navigatore che ha saputo non farsi trascinare dai flutti e dalle blandizie. Siamo vicini a suo figlio Umberto e alla sua famiglia. Gli rendiamo omaggio con l’ultima sua intervista a Italia e il Mondo_ Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni, la redazione tutta

L’Europa è una religione?, di Donika Chiaramonte

L’Europa è una religione?

 

Se c’è qualcosa che può spiegare l’ostinazione italiana di continuare a far parte dell’Unione Europea, questo qualcosa ha di certo a che fare con la sfera dei sentimenti e non della ragione.

È pacifico, lo dicono e scrivono tutti, che la pandemia da Covid 19[1] è una guerra, che chi è in prima linea sta combattendo con poche armi e scarse munizioni e che avremmo risparmiato tempo e morti, se fossimo stati più attrezzati[2]. Se si aggiunge la conta mediatica giornaliera dei tamponi positivi e dei decessi, si ha tutta la gamma dei contenuti della narrazione giornalistica italiana di queste settimane.

La gestione europea del virus Covid 19 sta mostrando i limiti dell’istituzione Europa, oltre ai danni che la sua legislazione ha perpetrato in anni di austerity e di pesanti limitazioni alla spesa pubblica[3]. Purtroppo, l’opinione pubblica non viene chiamata a riflettere sulla causa da cui originano gli attuali problemi; in altre parole, stimolare negli italiani la logica induttiva non è tra le finalità dell’informazione di questo tempo. Si preferisce invece dedicare tutto lo spazio possibile a fornire, in dettaglio, dati e circostanze sul  contagio (ancorché approssimativi o addirittura errati[4]), per alimentare quella giusta dose di paura che renda accettabile, se non addirittura acclamata, la limitazione della libertà personale e le restrizioni poliziesche che, come in ogni stato di emergenza che si rispetti, sono comminate attraverso la decretazione d’urgenza.

Non stupisce, anzi conferma il buon cuore degli italiani, il fatto che essi stiano accettando di buon grado tali restrizioni, avvertendo la necessità di proteggere sé stessi e soprattutto gli altri[5], ma sconforta il pensiero che questo impegno civico resti, in questo particolare momento storico, la principale occupazione della coscienza pubblica che, concentrandosi sui bisogni contingenti, non è chiamata a riflettere sul come e perché siamo arrivati a questo punto.

Non è difficile collegare i tagli alla Sanità – la principale voce di spesa del nostro Paese, essendo la Sanità in Italia pubblica – con le richieste di spending review che l’Europa chiede al nostro paese ogni anno, da 10 anni. Il settore sanitario non è il solo ad aver beneficiato dell’efficace ricetta europea che si chiama, in linea con gli edulcorati neologismi di matrice europea,  Patto di Stabilità[6]; l’elenco è lungo e certamente ne fanno parte l’Istruzione Scolastica e Accademica, la Ricerca, il Mercato del Lavoro. Moltissimi sono gli italiani che, direttamente o indirettamente, fanno esperienza della difficoltà, se non addirittura dell’impossibilità, di trovare un’occupazione e, quando la trovano, essa è per lo più precaria e sottopagata; molti giovani istruiti e volenterosi emigrano; chi resta, per il proprio sostentamento, trova conforto nel risparmio dei genitori se non addirittura dei nonni[7].

Eppure gli italiani, quel sistema statale che ha consentito di poter fare quel risparmio tanto vitale oggi, non lo ricordano più; gli italiani non pensano che quello Stato può ancora esistere; che il benessere, la prosperità e la piena occupazione dipendono dalle scelte economiche di un ordinamento e che, da una ricetta economica sbagliata, possono scaturire malessere sociale, conflittualità, inoccupazione e … morte.

Al contrario, gli italiani difendono l’appartenenza all’Europa, ne riconoscono dogmaticamente i vantaggi e pronunciano frasi enfatiche, come “fuori dall’Europa saremmo morti”, “da soli siamo troppo piccoli”, “non saremmo in grado di sostenere da soli la globalizzazione”, “se usciamo dall’euro, la nostra moneta sarebbe carta straccia” anche se, in pochi, si avventurano a sostenere gli argomenti a favore di tali, astrattamente legittime, considerazioni.  Preoccupa osservare come, attraverso un vero e proprio ribaltamento della realtà, taluni definiscano fatale l’uscita dell’Italia dall’Europa e dall’Euro, ma non considerano quanto dannoso sia stato, e continua ad essere, applicare i dettami dell’Europa.

Questo è il dilemma: cosa può essere così potente, da far superare la forza dell’evidenza, la consapevolezza del disagio sociale, la visione della povertà, il senso di precarietà che sperimentiamo?

Esistono diverse possibili risposte: molte attingono dalla psicologia, le altre dall’ “arte” della comunicazione.

Non c’è dubbio che la cooperazione e la pace fra gli Stati usciti dalla seconda guerra mondiale, siano le finalità che gli europeisti più ortodossi attribuiscono all’Europa. Ed in effetti, l’Europa trae origine dai postumi della guerra: la minaccia sovietica, che ha contribuito alla coesione fra i paesi europei; la spinta americana, favorevole all’integrazione e, soprattutto, la debolezza degli Stati nazionali, in particolare della Germania e dell’Italia, che escono dal secondo dopoguerra prostrate dalle rispettive dittature e, consapevoli degli errori commessi, più disponibili ad abbandonare le posizioni nazionali, per favorire la creazione di istituzioni sovranazionali. La nascita della Comunità Europea accrebbe, nell’immaginario degli italiani, l’idea in base alla quale, la limitazione di sovranità dello Stato Italiano, fosse a ragione ripagata dalla partecipazione ad un organismo sovranazionale, che avrebbe significato protezione, un sicuro argine di fronte a spinte nazionalistiche, la possibilità che persone e merci potessero, liberi da frontiere e dogane, liberamente circolare, in uno spazio comune e amico[8].

Tuttavia, con l’Unione Europea e l’Euro, cominciarono a manifestarsi, sin da subito, i limiti e i grossi pericoli di tenuta di un’area monetaria comune tra Paesi centrali e periferici, proprio in ragione delle diverse velocità delle rispettive economie[9].

La bontà dell’Euro e dell’Unionismo Europeo si sono radicati con la stessa forza della fede per un credente, come un dogma incontrovertibile; l’adesione è totale e rafforzata da un sentimento di inevitabile necessità che rende impari la battaglia con la ragione. Ed è così che l’italiano, plagiato dalla politica nazionale (di tutti i colori) e dall’Informazione, fedele ancella delle forze dominanti, accetta i sacrifici imposti in nome dell’austerity, come si accettano le penitenze. I peccati sono quelli che i Paesi Centrali, di impostazione calvinista, imputano a quelli periferici cattolici[10]: l’avere esagerato con la spesa pubblica e generato un deficit che va drasticamente ridotto. Così l’Italia, con i politici assurti a burattini, in nome dell’Europa unita, comincia a tagliare, anno dopo anno, le pensioni, la Ricerca  (generando l’effetto noto come “fuga dei cervelli”), l’Istruzione a tutti i livelli (ormai insegnante è diventato sinonimo di “precario”), il Mercato del Lavoro (più tasse, meno investimenti pubblici = deflazione) e la Sanità, come ormai tristemente noto.

L’italiano accetta la purga nella convinzione, neanche troppo sotterranea, di meritarsela perché “i politici sono incompetenti” e “stiamo pagando per la loro corruzione”.

Ancora una volta gli organi di informazione mainstream fanno la loro parte e concorrono nello spostare il focus dell’opinione pubblica su qualche faccenda interna o di natura microeconomica, quindi ben lontano dai veri interrogativi[11]. Perché, per uno Stato è sano fare austerity? Perché la spesa pubblica, se serve a fare investimenti, a vantaggio dei cittadini, va contenuta nei limiti del Patto di Stabilità?

Sono interrogativi che non parlano alla ragione, scalzata dall’ideale immaginario e impoverita dall’ignoranza. Si,  perché la partita vera con l’Europa si dovrebbe giocare sul piano della legislazione e delle regole economiche previste nel suo ordinamento. Peccato però che tale legislazione rimanga sconosciuta ai più. Un tempo, in tutte le case degli italiani, accanto alla Bibbia non mancava la Costituzione Italiana, e i principi fondanti dallo Stato venivano spiegati nelle scuole. Ci veniva insegnato che essi rappresentano i valori a cui lo Stato e i cittadini si ispirano, per orientare il comportamento di ciascuno. Oggi, buona parte di quei principi fondamentali è stata tradita dallo Stato, per asservirsi alle regole dell’Europa, i cui trattati, oltre a non essere stati sottoposti al referendum popolare[12], sono ignoti alla maggioranza dei cittadini europei.

Il bisogno di protezione, l’illusione ingannevole di un’unione tra Stati, che esiste solo come ideale immaginario, e l’ignoranza alimentata dai mezzi di informazione, espressione delle forze dominanti di questo tempo, sono le ragioni profonde che impediscono il disvelamento della verità. Ma c’è un altro aspetto da considerare, di cui tutti noi nella nostra esistenza facciamo spesso esperienza. Si tratta del mantenimento dello status quo, l’istinto ancestrale dell’essere umano di essere conservativo, anche quando versa in una situazione sfavorevole, per paura di avventurarsi nel cambiamento e nell’ignoto che esso porta con sé[13]. Siamo conservativi nel rapporto di coppia, quando decidiamo di non voler vedere il fallimento di un progetto comune o persino un tradimento; è conservativa la vittima di una violenza che ha paura di denunciare e spera che l’aguzzino possa ravvedersi. Si tratta di una dinamica istintiva frequente nel mondo animale: la gazzella, sotto il mirino del leone, rimane immobile e tremante, accettando la fine inevitabile, anche se la separano parecchi metri dal suo predatore e, con il suo scatto, potrebbe salvarsi.

In una società liquida, mutevole, delocalizzata e globale, dove la politica e i mezzi di informazioni ci forniscono messaggi contrastanti e si assiste ad una totale assenza di codici di comportamento univoci, il pensarci dentro l’Unione Europea ci fornisce certezza e stabilità; al contrario ipotizzarne l’uscita ci procura una percezione inconscia di pericolo che ci impedisce di prendere in considerazione, in modo razionale, i vantaggi che una soluzione di questo tipo potrebbe avere[14].

A ciò si aggiunge la sempre più pervasiva sfiducia per la Politica che si percepisce come assente o distante dai bisogni della società, presenzialista solo in fase elettorale, ma incapace di garantire spazi protettivi di statalità che costruiscano, attorno al cittadino – uomo contemporaneo, un argine di socialità garantita. In un mondo globalizzato, che ha scardinato la certezza del lavoro e della famiglia, l’uomo fa i conti con una progettualità precaria e fragile che, se da un lato, lo inducono a intraprendere nuove formule di socialità, dall’altro, lo fanno sentire solo e disorientato. Ciò determina la difficoltà, per la persona, di sentirsi parte di una comunità stabile, orientata al bene comune e, al contrario, ne limita gli orizzonti alla propria dimensione privata, producendo bisogni sempre più individualistici ed egoistici[15].

Ed è così che gli italiani reagiscono esterrefatti alle parole della Lagarde, senza capirne il valore di “smascheramento” che quella “gaffe” ha avuto sul vero ruolo della BCE[16]; sperano che l’Europa accetti l’emissione di Eurobond, ma constatano l’amaro veto che gli stati centrali dell’Unione vi hanno posto e adesso attendono, come chiede il Capo del Governo, ancora 10 giorni per verificare l’esito degli ulteriori negoziati con l’Europa che sarebbe disposta ad aprire una linea di credito (con relativo piano di rientro e interessi) tramite il MES e le sue condizionalità.

Tutto questo accade mentre il Covid 19 continua a fare le sue vittime; mentre gli Stati Centrali d’Europa, in barba ai vincoli europei, inondano di liquidità i loro Paesi, per fronteggiare l’emergenza e arginare già i danni del post pandemia e, intanto,  Stati sovrani , come USA e Hong Kong, con il così detto elycopter money, fanno giungere denaro direttamente sui conti correnti di aziende e privati, disastrati dalla crisi economica che è e sarà forse più grave di quella sanitaria, se non la si saprà affrontare rapidamente.

Se usassimo la ragione, invece della paura, capiremmo di essere al capolinea di questa unione illusoria. La pandemia costituisce  la grande occasione – “divina” o “satanica” chi può dirlo – per un cambiamento necessario, guidato da una nuova consapevolezza. Perché, solo la consapevolezza è in grado di illuminare le coscienze, indirizzando le menti all’analisi e alla valutazione, per imprimere una svolta epocale alla storia ed illuminare il futuro con la luce del progresso[17].

Diversamente, ci aspetterà un nuovo lungo periodo in cui, ancora per un po,’ ci tureremo naso e occhi; poi, cominceremo a sentire i morsi della fame e quando, solo quando avremo perso tutto, allora arriverà il cambiamento, attraverso una rivoluzione, una rivoluzione cieca e manipolabile[18].

 

Pavia, 6 aprile 2020

 

 

 

[1]  Il COronaVIrus Disease 19 o COVID 19 è una malattia dell’apparato respiratorio causata dal virus SARS-CoV-2. Le prime manifestazioni della malattia si fanno risalire agli inizi del dicembre 2019 nella città di Wuhan, capoluogo della provincia cinese dell’Hubei, da cui si è successivamente diffusa in diverse nazioni del mondo. In Italia, l’inizio dell’epidemia si attesta il 31 gennaio 2020, quando due turisti cinesi sono risultati positivi al SARS-CoV-2 a Roma ed il Presidente del Consiglio Conte, sospesi tutti i collegamenti diretti con la Cina, ha dichiarato lo stato di emergenza. Tuttavia questo intervento non è stato sufficiente a fermare la corsa del virus che si è velocemente diffuso in tutto il Paese, con focolai e picchi particolarmente violenti in Lombardia ed Emilia Romagna. Inizialmente le città e le regioni più colpite sono state poste in quarantena, ma dal 9 marzo 2020 la quarantena è stata estesa a tutta l’Italia e tutte le attività pubbliche nonché le attività produttive sono state sospese, al di fuori dei negozi di generi alimentari , farmacie e attività fornitrici di beni di prima necessità. Le misure di contenimento del contagio hanno ridotto al minimo le possibilità di spostamento dei cittadini, ai quali è stato chiesto di restare presso le proprie abitazioni e di uscire esclusivamente per necessità primarie, e paralizzato l’economia del Paese.

[2]      Il Report dell’Osservatorio GIMBE n. 7/2019 documenta come nel decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti, al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) siano stati sottratti circa € 37 miliardi, mentre il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) è aumentato di soli € 8,8 miliardi (https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf). Inoltre, il Documento di Economia e Finanzia (DEF) 2019 ha certificato che gli aumenti del FSN previsti per il 2020 e 2021 sono utopistici sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021 http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2019/01/Rapporto-politica-di-bilancio-2019-_persito.pdf). In questo scenario, da un lato il Ministro della Salute non può offrire alcuna garanzia sull’aumento delle risorse previste per il 2020-2021, dall’altro per esigenze di finanza pubblica il Governo sarà libero in qualsiasi momento di operare tagli (o mancati aumenti) alla sanità.

[3] Nel 2018 l’Italia ha speso per il Sistema Sanitario Nazionale il 6,5% (investimenti pubblici). In numeri assoluti ciò si traduce in un esborso per lo Stato di 2.326 euro a persona (2000 euro meno della Germania) e complessivamente 8,8 miliardi più rispetto al 2010. Una tasso di crescita in circa 10 anni dello 0,90% annuo, che compensato da un aumento dell’inflazione (ndr leggasi: diminuzione del potere di acquisto) media annua all’1,07%,  si traduce in un definanziamento di 37 miliardi. La Fondazione Gimbe calcola che il grosso dei tagli sia avvenuto tra il 2010 e il 2015 (governi Berlusconi e Monti), con circa 25 miliardi di euro trattenuti dalle finanziarie del periodo, mentre i restanti 12 miliardi sono serviti per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica tra il 2015 e il 2019 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte). Nella sua relazione annuale per il 2019 (dati 2018), la Corte de Conti documenta che nel 2018 “l’Italia ha versato all’Unione, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 17 miliardi (+23,1% rispetto all’anno precedente) . Ciò porta l’ammontare dei versamenti italiani al secondo valore più alto dal 2012, con una notevole differenza rispetto all’importo registrato nell’anno 2017”. Osservando invece le risorse che l’Europa destina all’Italia, “l’Unione ha accreditato complessivamente al nostro Paese nel 2018 la somma di 10,1 miliardi. Come si nota, la forbice tra contributi ed accrediti è significativa (17 miliardi a fronte dei cennati 10,1) (omissis). Il “saldo netto negativo” si accentua quindi sensibilmente: il valore cumulato dei saldi netti negativi per l’Italia, nel settennio 2012-2018, è pari a -36,3 miliardihttps://www.corteconti.it/Download?id=7d88336e-1125-487a-988b-f6b6bf8120a3. Come si legge nell’annuale relazione della Corte dei Conti, la frenata più importante è arrivata dagli investimenti degli enti locali (-48% tra il 2009 e il 2017) e dalla spesa per le risorse umane (-5,3%), una combinazione che in termini pratici si ripercuote sulla quantità e sull’ammodernamento delle apparecchiature, oltre che sulla disponibilità di personale dipendente, calato nel periodo preso in considerazione, di 46mila unità (tra cui 8mila medici e 13mila infermieri). I mancati investimenti si fanno sentire soprattutto nel sud Italia, dove tutte le regioni spendono meno della media nazionale.

[4]  Dalle colonne del New York Times in un articolo dal titolo  “We’re Reading the Coronavirus Numbers Wrong” pubblicato il 18 febbraio 2020, il matematico John Allen Paulos, docente della Temple University di Philadelphia avverte che seppure le cifre fornite ogni giorno sono importanti per le autorità sanitarie e gli epidemiologi, che devono valutare l’efficacia delle politiche di contenimento dei contagi, esse possono risultare fuorvianti per l’opinione pubblica, soprattutto se sono presentante con poche informazioni di contesto. La principale causa di incertezza dei dati è dovuta al fatto che i test non vengono effettuati a tappeto, pertanto, il numero dei contagiati rispetto al quale si misura la percentuale di mortalità, si riferisce a coloro che sono risultati positivi al tampone, anche se è noto che vi è un’estesa platea di Covid positivi con sintemi lievi o assenti ai quali il test non viene somministrato.  Se ci ponessimo in una condizione fattuale ex ante e il numero totale degli infetti, inclusi i puacisintomatici,  aumentasse osserveremmo diminuire la percentuale di decessi. Questo diverso calcolo matematico non cambierebbe il numero dei morti, ma di certo allieverebbe la percezione della letalità del virus (https://www.nytimes.com/2020/02/18/opinion/coronavirus-china-numbers.html).

[5] Con i decreti di marzo (2020), il Governo Italiano ha prescritto ai cittadini forti limiti agli spostamenti, consentiti esclusivamente in presenza di giustificazioni tipiche, pena l’applicazione di sanzioni pecuniarie e/o personali. Sono allo studio anche in Italia forme tecnologiche di controllo già adottate in altri paesi, come la Corea del Sud, in particolare la società valtellinese Webtek  sta per avviare la sperimentazione di un’applicazione che consentirà di tracciare, tramite tecnologia Gps, gli spostamenti degli utenti e di avvertirli in caso di contatto con soggetto positivo al virus. L’assessore della Regione Umbria, Michele Fioroni, dove questa sperimentazione verrà effettuata, ne ha già illustrato i vantaggi, più che nel brevissimo periodo, nel post emergenza, quando la gente ricomincerà a circolare e i dati verranno trasmessi all’Autorità Sanitaria per contenere eventuali contagi. Non sfugge ai più saggi il timore che le restrizioni alla libertà personale introdotte e accettate in nome del buon senso e dello stato di necessità durante l’emergenza Covid 19 possano radicarsi nell’ordinamento degli Stati; questo per effetto dell’opportunità che il Potere intravede nei contesti emergenziali di legittimare l’aumento di controllo sui cittadini. Un esempio è l’USA Patriot Act, la legge federale che George W. Bust, nell’ottobre successivo al crollo delle Twin Towers (11 settembre 2001), istituì con la finalità di rafforzare il potere dei corpi di polizia e di spionaggio statunitensi, CIAFBI e NSA, e il dichiarato scopo di ridurre il rischio di attacchi terroristici negli Stati Uniti. Le misure, nate per fronteggiare l’emergenza e che consistevano, fra l’altro, nel potenziamento del ricorso alle intercettazioni telefoniche, l’accesso a informazioni personali e il prelevamento delle impronte digitali nelle biblioteche, sono state confermate; quattordici disposizioni su sedici sono tuttora in vigore e costituiscono un vulnus permanente alla privacy dei cittadini americani. Sull’argomento, lo storico israeliano Yuval Noah Harari ha rilasciato al Financial Times del 20 marzo 2020 un interessante contributo dal titolo “The world after coronavirus: this storm will pass. But the choices we make now could change our lives for years to come”. Per Harari il Potere tende a strumentalizzare la paura delle persone, ponendole davanti ad un aut aut tra l’interesse alla protezione (tutela della salute evitando il contagio) e la difesa della propria libertà personale (tutela della privacy) facendo apparire inevitabile e primario per coscienza dell’individuo  scegliere il primo interesse a scapito del secondo. Tuttavia, secondo Harari, il governo di decisioni che coinvolgono beni parimenti essenziali non può essere affidato ad una scelta binaria, ma richiede il bilanciamento di entrambi gli interessi al fine di non determinare mai la rinuncia ad uno di essi con l’effetto di condannare questa scelta all’irreversibilità e quell’interesse all’oblio  https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75, pubblicato in italiano dalla rivista Internazionale: https://www.internazionale.it/notizie/yuval-noah-harari/2020/04/06/mondo-dopo-virus

[6] Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) è un accordo internazionale sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell’Unione Europea, che si prefigge come finalità il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona). Il PSC, richiamandosi agli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea, così come modificato dal trattato di Maastricht (1992) e dal trattato di Lisbona (2008), si attua attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché attraverso un particolare tipo di procedura di infrazione, la “procedura per deficit eccessivo” (PDE). In particolare, i parametri di  Maastricht  prevedono i seguenti vincoli: 1) un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL (rapporto deficit/PIL < 3%); 2) un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro; rapporto debito/PIL < 60%). Il PDE è previsto all’articolo 104 del Trattato e consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione: se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso può essere sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo,  pari a una componente fissa dello 0,2% del PIL ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%.

[7] In base alla Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto (omissis)” (art. 4); “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Neppure un’interpretazione programmatica della Costituzione basterebbe a giustificare lo scenario esistente in Italia, con una disoccupazione per la fascia d’età compresa tra i 15 e i 34 anni del 17, 8 % e una media nazionale (15 – 64 anni) del 9,8% (dati Istat trimestre luglio – settembre 2019 https://www.istat.it/it/files/2019/12/Nota-Trimestrale-Occupazione-III.pdf#page=6. Tra le fila degli occupati, che non figurano nelle statistiche, i lavoratori con voucher (Deliveroo, Glovo, Just Eat, Foodora, Amazon), gli stagionali, i precari come gli assegnisti e gli eterni collaboratori coordinati e continuativi.

[8] La Comunità Economica Europea (CEE) istituita con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, soppressa con l’adozione nel 2009 del Trattato di Lisbona e confluita nell’Unione Europea,  aveva nei suoi obiettivi principalmente l’unione economica dei suoi membri (BelgioFranciaItaliaLussemburgoPaesi Bassi, e Germania Ovest) ed in secondo luogo, quale conseguenza di ciò, un’eventuale unione politica. La CEE infatti si adoperò moltissimo per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l’abolizione dei cartelli e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo dell’agricoltura, dei trasporti, del commercio estero. Per queste ragioni più di un economista ed intellettuale definisce già dalle sue origini l’Unione Europea come una tecnocrazia: con essa si è generato un apparato di rigide regole economiche, commerciali e, con l’avvento dell’euro, anche monetarie, inadatte ad essere applicate a Paesi con economie, storia e culture profondamente differenti,  con l’effetto che l’Europa non ha prodotto un unione di intenti politici, ma un coacervo di forze sparse ad alto tasso di competitività.

[9] Che obbligare Paesi diversi ad adottare la stessa moneta, peraltro agganciandola ad un tasso di cambio fisso, fosse una scelta, potremmo dire, non intelligente lo aveva, con altre parole, sostenuto anche Mario Draghi, già Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) negli anni 2011 – 2019, il quale, prima di abbandonare la visione keynesiana per sposare la corrente liberistica, aveva persino dedicato la propria tesi di laurea all’argomento. Nella tesi intitolata “Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio” Draghi,  come ammetterà in seguito nel libro della Tamburello (Il Governatore, Rizzoli, 2011, pag. 23), sosteneva “che la moneta unica era una follia, una cosa assolutamente da non fare”. E se le considerazioni di Draghi possono apparire relegate al passato adolescenziale, faranno allora comodo alla comprensione le opinioni di una serie di premi Nobel dell’Economia (di tutte le correnti), come il neo-liberista Milton Friedman, il keynesiano Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Amartya Sen, che sono sinteticamente riportati nell’articolo di Alessandro Montanari pubblicato il 13 novembre 2017 alla pagina https://www.interessenazionale.net/blog/leuro-e-follia-diceva-anche-draghi-dicono-tutti, dalle quali emerge una sostanziale concordanza di contenuto: l’eurozona è un progetto fragile e destinato a fallire.

[10] La pervicacia manifestata in queste settimane di crisi pandemica, dagli Stati del Nord Europa e soprattutto dall’Olanda nel porre il veto alle richieste avanzate dai paesi del Sud Europa (Italia, Spagna e Portogallo) che chiedono di fronteggiare la terribili crisi economica causata dal Covid 19 ottenendo strumenti di finanziamento garantiti direttamente dalla Banca Centrale, come gli eurobond, e non invece attraverso prestiti a interessi e altre condizionalità come sarebbe invece il Fondo Salva Stati (anche conosciuto come Meccanismo Europeo di Stabilità, MES), ha riportato alla luce un antico dibattito, nato a seguito della pubblicazione nel 1905 del testo di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” sulle origine calvinistiche o meno del capitalismo. Questa tesi è stata smentita sulla scorta dell’evidenza storica dell’esistenza di forme di capitalismo precedenti a Calvino e geograficamente collocabili nell’Italia del ‘500. Tuttavia, ciò che è utile dell’analisi weberiana è quanto lui stesso scriveva: esistono delle “affinità elettive” tra l’etica protestante e il capitalismo, non intendendo con ciò attribuire una connotazione negativa a questa circostanza. In altre parole,  il pensiero di Calvino, a differenza di quello di Lutero, avrebbe per Weber contribuito allo sviluppo di una nuova concezione della vita terrena, secondo la quale il successo nel lavoro e l’arricchimento personale possono essere interpretati come un segno della benevolenza e del favore di Dio. Per entrambi i pensatori protestanti l’uomo riceve una predestinazione da Dio e a nulla vale il libero arbitrio perché l’l’umanità, colpevole del peccato originale, è sottoposta all’insindacabile giudizio del Creatore. A differenza di Lutero, però, Calvino propone più convintamente una visione dell’esistenza basata sul concetto di “ascetismo mondano”: ogni uomo, pur essendo predestinato, riesce comunque a instaurare un rapporto con Dio (ascesi) se, e solo se, nella vita terrena (cioè nella mondanità) si impegna a diventare uno strumento attivo dei programmi e dei disegni divini. Calvino trasferisce dunque alla mondanità il concetto di vocazione, che nel cattolicesimo è riservato soltanto a coloro che scelgono di entrare a far parte dell’ordine religioso. Per l’etica calvinista e protestante, invece, ogni individuo può seguire la propria vocazione professionale con lo stesso rigore e ascetismo che caratterizzano l’esistenza monacale. Inoltre, mentre per i cattolici il prestito di denaro con interessi costituiva usura e dunque peccato, Calvino si dimostrò più aperto allentando le prescrizioni morali dell’epoca e giustificando il pagamento degli interessi.  Certamente, gli aspetti teologici non bastano da soli a spiegare il passaggio da un capitalismo industriale al capitalismo finanziario dei nostri giorni, né a collegare le origini di quest’ultimo necessariamente ad un Paese o ad un gruppo di Paesi piuttosto che ad altri giacché il mondo globalizzato odierno sembra essere pervaso tutto della stessa impostazione. Ma se si considerano quei fattori ereditari stabili di Le Bon-niana memoria che informano la storia e il sentire di un popolo, è possibile affermare che si assiste in Europa a due visioni del mondo: uno realista fino al darwinismo  – il “sopravviva il migliore” o, di questi tempi,  l’”immunità di gregge” di Boris Johnson –  pragmatico fino al cinismo. L’altro, su cui si avverte forte l’influenza del Vaticano, solidale fino all’assistenzialismo e derogatorio delle regole.

[11] Già nel 1928, Edward Bernays in Propaganda, rilevava che la manipolazione cosciente, intelligente delle opinioni e delle abitudini organizzate delle masse gioca un ruolo importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo impercettibile meccanismo sociale formano un governo indivisibile che dirige veramente il paese.

[12] L’Italia non ha mai sottoposto a referendum l’adesione ai trattati Europei, ancorché nel trattato di Maastricht del 1999 sia stata ceduta parte della sua sovranità nazionale e con il trattato di Lisbona, ratificato nel 2008, siano state rafforzate le “deleghe” all’Unione Europea, includendo anche la ripartizione diseguale di poteri fra gli Stati aderenti. Giova qui ricordare che anche nei pochi Paesi in cui il referendum è stato fatto ed è stato sfavorevole alla ratifica, l’approvazione finale sia stata in ogni caso ottenuta ripetendo una seconda volta il referendum. È il caso della Danimarca (referendum sfavorevole al Trattato di Maastricht nel 1992, poi favorevole nel 1993), dell’Irlanda (referendum sfavorevole al Trattato di Lisbona nel 2008, poi favorevole al secondo che si tenne lo stesso anno, esattamente stesso iter che nel 2001 era già accaduto per il Trattato di Nizza), della Francia e dell’Olanda che nel 2003 votarono “no” alla Costituzione Europea, le cui previsioni vennero poi fatte confluire nel Trattato di Lisbona e infine accettate nel 2008.

[13] Noto nelle scienze psicologiche come Bias o Pregiudizio dello Status Quo. Si tratta di un errore cognitivo che consiste nella preferenza per la situazione attuale rispetto ad altre possibili ed è determinato da una istintiva resistenza al cambiamento: il cambiamento spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose.

[14] Per il sociologo e filosofo polacco, Zygmunt Bauman, noto per aver coniato la definizione di “società liquida” e per la capacità di condensare in concetti vividi i cambiamenti della società di cui si ha ancora una percezione confusa, il presente è schiavo della paura. Per Bauman l’origine delle paure che percorrono il nostro presente è il declino, la scomposizione e la scomparsa dell’organizzazione sociale, politica ed economica che andava sotto il nome di «fordismo», da intendersi come il sostrato industriale che reggeva l’intero edificio. Questa base irradiava sicurezze e solidità nel corpo sociale. E ciò avveniva, sì, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza ad opera di uno Stato capace di provvedere alla copertura di molti bisogni, ma il «nucleo centrale» di quella forza irradiante era sopra ogni altra cosa la «protezione» che esso forniva, in forma di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali.

[15]Oggi i lavoratori, imprenditori di sé stessi, sono dominati da forze psichiche inconsce, installate dalla propaganda neoliberista, che agiscono da virus del pensiero, da truppe di occupazione, che distorcono in modo sistematico la lettura della realtà interna ed esterna. Questa distorsione produce alienazione dal vero sé relazionale e sociale, e costruisce un falso sé insocievole con sé stesso e con gli altri, competitivo, arrogante, individualista, narcisista. (omissis). Il narciliberismo si genera, non solo in famiglia, ma soprattutto socialmente collettivamente, nelle pubbliche scuole e nelle università, attraverso l’interiorizzazione di idee mitiche sotterranee, implicite in modo pervasivo nella propaganda mediatica e nelle pratiche disciplinari di controllo sociale, che sfuggono ad ogni analisi critica da parte dell’io che governa la personalità. Queste idee contaminano non solo l’inconscio, amplificando la propensione al conflitto tra pulsioni aggressive e socievoli, ma l’io stesso che dovrebbe gestire il conflitto” (Prof. Mauro Scardovelli, Economia e Psiche, 13).

[16] Ci si riferisce alla frase shock pronunciata dalla neo Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Christine  Lagarde che, intervistata il 12 marzo 2020 sugli strumenti che la BCE avrebbe attivato per fronteggiare la gravissima crisi economica causata dalla pandemia, rispondendo a una domanda a proposito dell’Italia, ha affermato: “Non siamo qui per ridurre gli spread, non è compito nostro”.

[17] “Dobbiamo ammetterlo, dobbiamo riconoscerlo: siamo stati distratti, superficiali, assenti. Dove eravamo quando ci hanno sottratto giorno dopo giorno quei diritti e libertà che erroneamente davamo ormai per acquisite e naturali, ma che naturali non sono affatto? Ci eravamo dimenticati che dietro quelle libertà c’erano i corpi mutilati. Torturati e uccisi di tanti resistenti (omissis). Scoraggiarsi, chiudersi in sé stessi, deprimersi fa solo il gioco dell’avversario. La storia ci insegna che nessuno può continuare ad opprimere un popolo che si fa consapevole e che progressivamente si unisce nella dedizione al bene comune e alla giustizia” (Prof. Mauro Scardovelli, Economia e Psiche, 28-29). “ I cittadini, per tutelare i loro diritti costituzionali, così gravemente messi in pericolo, oggi devono impegnarsi in una estrema difesa. Difesa che non può prescindere da una diffusa consapevolezza culturale dei presupposti storici e socio – economici della forma di repubblica democratica prevista dalla Costituzione del ‘48” (Luciano Barra Caracciolo, citato in  Economia e Psiche, 29, Prof. Mauro Scardovelli),

[18] Torna attuale l’osservazione che Gustave Le Bon in Psicologia delle folle fa a proposito dello sradicamento delle idee fondamentali di un popolo o, come le definisce anche Le Bon, delle credenze stabili. Queste si posso definire come l’insieme dei fattori ereditari, dei sentimenti, delle opinioni e degli orientamenti di una razza (ndr leggasi: nazione) che difficili e lunghe a radicarsi, sono altrettanto difficili ad essere abbandonate. Di norma, osserva Le Bon, questo accade con una violenta rivoluzione, tuttavia avverte il fondatore della Psicologia Sociale, “ le rivoluzioni acquisiscono un vero potere solo quando la credenza ha perso quasi del tutto la sua presa sulle anime. Le rivoluzioni servono allora a eliminare definitivamente ciò che era praticamente già abbandonato del tutto. Le rivoluzioni che cominciano sono in realtà credenze che finiscono (omissis). Il giorno preciso in cui una credenza è destinata a morire è quello in cui si comincia a discuterne il valore”(pag. 126).

EMERGENZA E REGIME, di Vincenzo Cucinotta

Il discorso di Conte ha a parer mio tolto ogni residuo dubbio sulla portata delle decisioni che il sopraggiungere della COVID-19 comporterà nella struttura decisionale delle società e nell’ambito delle libertà individuali.

Gli stolti che purtroppo abbondano, guardano nel frattempo al dito, cioè al sacrificio dei settori produttivi pretendendo che sia questo il centro della questione. In questa descrizione caricaturale delle scelte che si vanno definendo oggi sulla base dell’infuriare degli effetti della pandemia, l’alternativa starebbe tra la sacra difesa della salute delle persone e gli interessi produttivistici dei capitalisti.

A partire da questa cecità problematica da combattere come è problematico descrivere un colore a un cieco, non v’è evidenza che basta. Costoro non sentono ragioni, se tu parli contro le misure di isolamento, sei un nemico della loro incolumità e contemporaneamente un alleato degli Agnelli e della loro avidità predatoria. La descrizione dei fatti è così rozza che seppure facilmente confutabile su un piano logico, diventa non scalfibile su un piano emotivo, tutto ciò che riduce l’isolamento è nemico della mia vita, e posta così la questione, diventa impossibile far cambiare opinione.

Dall’inizio dello scoppio di questa pandemia, mi sono sempre dichiarato contrario alle misure di isolamento non perchè non capisca come l’esposizione a questo agente infettivo possa risultare pericolosa, ma valutando l’alternativa, perchè alla fine dobbiamo comprendere se un’alternativa c’è e quale sia.

Credo che da questo punto di vista, come dicevo, il discorso di ieri sera di Conte sia illuminante.

A parte la questione della UE che ho affrontato separatamente, vengono in evidenza due aspetti.

L’uno è l’istituzione di una task force, espressione inglese che permette di mantenere una certa ambiguità sulle sue caratteristiche e compiti e quindi preferita a un suo analogo in italiano, formata dai fatidici tecnici dei quali a quanto pare non ci libereremo più almeno da Monti in poi.

Cosa non va in questa questione della task force? Non certo che il governo acquisisca pareri tecnici da competenti, potremmo perfino tollerare che si tratti di un organismo  collegiale che pure già modifica il senso della sua funzione, ma la cosa ben più grave, è costituita dal fatto che venga pubblicizzato, svolgendo così una funzione indipendente. Conte avrebbe potuto benissimo dotarsi di un comitato di persone che godono della sua personale fiducia, sarebbe stata cosa saggia, ma se dichiara urbi et orbi la sua costituzione, allora conferisce a questo organismo una sua autonomia. Non si tratterà quindi di un comitato interno che comunica soltanto in via più o meno riservata con il governo, ma diventa una specie di secondo governo. In questo senso, si viene ad alterare il delicato equilibrio istituzionale previsto dalla carta costituzionale, e come in queste settimane vediamo Borrelli andare in TV a tenere la quotidiana conferenza stampa, ci dovremo domani aspettare di vedere il sig.Colao al quale nessuno di noi ha delegato alcun potere colloquiare con noi, ovvero prendere decisioni su di noi. Purtroppo, abbiamo evidenze dello scarso spirito democratico esistente nel nostro paese come osservato ampiamente nel caso del governo Monti che ha ricevuto un’amplissima fiducia perfino dallo stesso Berlusconi all’uopo defenestrato, e il cammino irresistibile della modifica costituzionale con l’obbligo di pareggio di bilancio che è stata approvata in pieno clima bulgaro, e i Bulgari non se l’abbiano a male.

Stavolta, stiamo messi ancora peggio, non c’è alcuna procedura costituzionale che presieda alla costituzione di questa task force che ci dovrà dettare i nuovi termini di convivenza sociale, determinare quindi la nostra vita senza che si capisca in che senso siamo ancora in democrazia.

Il secondo aspetto è quello che vado dicendo da parecchie settimane, e cioè che le misure anti-coronavirus sono in linea di principio permanenti (e li stabilisce un Colao qualsiasi).

Riassumendo, noi stiamo cambiando la natura stessa del sistema politico della nostra patria e i connessi diritti individuali garantiti senza porre scadenze e conferendo poteri non meglio definiti a organismi improvvisati che Conte ha deciso di costituire con un meccanismo di composizione del tutto opaco, così che siamo autorizzati a credere che questi novelli sacerdoti gli siano stati segnalati per telefono da suoi sodali.

Ma per i nostri stolti, se non ci facciamo togliere le garanzie costituzionali, se non assecondiamo questa nuova ed anticostituzionale struttura dei poteri decisionali, siamo soltanto dei nemici della salute del popolo e al servizio dei capitalisti.

A questa descrizione rozza e fantasiosa delle questioni che abbiamo di fronte, e che derivano da motivi ideologici che è difficile far riconoscere agli interessati, non abbiamo da opporre né giornali, né TV, né il nostro numero, lottiamo usando le mani come chi non può fare altrimenti e sa che è l’ultima barriera prima che si costituisca un regime orwelliano, e lo faremo anche scontandone l’esito negativo perchè non sapremmo che fare altrimenti, difendere almeno la lucidità mentale magari per le generazioni che ci succederanno.

http://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-conte/14450

Coronavirus ridetermina l’economia globale: il Giappone finanzia le aziende Giapponesi, a cura di Gianfranco Campa

Riportiamo qui sotto la traduzione di un articolo del periodico International Business Times (IBTimes) che rivela la spinta offerta dalla crisi pandemica del coronavirus ad un radicale cambiamento del sistema di relazioni economiche, parte integrante di quello delle relazioni geopolitiche. Il Giappone, sulla scia degli Stati Uniti pur tra mille contraddizioni e contrasti politici, è tra i primi paesi ad assecondare questa strategia. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Coronavirus ridetermina l’economia globale: il Giappone finanzia le aziende Giapponesi per spostare la produzione fuori dalla Cina

 

https://www.ibtimes.com/coronavirus-reshapes-global-economy-japan-fund-companies-shift-production-out-china-2956336

 

PUNTI CHIAVE

 

  • Abe ha annunciato un piano economico da 990 miliardi di dollari per aiutare l’economia a superare la crisi. Di questi 990 miliardi, 2,2 sono destinati alle aziende Giapponesi che sposteranno la loro produzione fuori dalla Cina

 

  • Le compagnie giapponesi da tempo volevano ridurre la propria dipendenza dalla Cina

 

  • Le speranze della Cina per un ritorno alla normalità dopo la crisi potrebbero essere mal poste

 

 

Le aziende giapponesi che già da molto tempo avevano in programma di ridurre la dipendenza dalla Cina dovrebbero essere soddisfatte della sostanziosa misura economica di 2,2 miliardi di dollari varata dal primo ministro Giapponese Shinzo Abes. soldi messi a disposizione delle aziende per aiutarli a trasferire le attività produttive. Queste aziende, ancor prima della crisi del Coronavirus, erano già preoccupate di non farsi  travolgere e diventare esse stesse vittime della sempre più acuta guerra commerciale USA-Cina.

 

Abe ha annunciato un pacchetto di incentivi di quasi $ 990 miliardi per aiutare l’economia a superare la crisi e l’esborso può modificare enormemente la scena dell’industria post-pandemica.

 

Il pacchetto di stimolo economico prevede 220 miliardi di yen;  2,2 miliardi, come già detto alle aziende che riportano la produzione in Giappone e 23,5 miliardi di yen per coloro che vogliono spostare la produzione in altri paesi.

 

La Cina è stata il principale partner commerciale del Giappone fino a quando il coronavirus non ha colpito, portando a un sostanziale ridimensionamento del commercio. La battuta d’arresto nei rapporti Giappone-Cina ha portato alla cancellazione della visita del presidente cinese Xi Jinping a Tokyo prevista per l’inizio di questo mese. La visita è stata rinviata a causa della crisi del Coronavirus, ma una nuova data non è stata ancora pianificata. La somma assegnata alle aziende Giapponesi per facilitare lo spostamento delle produzioni fuori dalla Cina potrebbe ulteriormente acuire la distanza tra i due giganti economici asiatici nonostante gli sforzi , fino ad ora a parole, di Abe per avvicinare i due tradizionali rivali.

 

Secondo un rapporto governativo Giapponese, il governo di Tokyo ritiene che le aziende debbano mantenere una base produttiva in Cina solo per merci destinate al mercato cinese. Lo scorso mese un gruppo di studio governativo sui futuri investimenti ha discusso della necessità di manifatturare prodotti ad alto valore aggiunto e strategico in Giappone. La produzione di altri beni, meno importanti, potrebbe essere diversificata in tutto il sud-est asiatico; una mossa che andrà a beneficio dei centri di produzione a basso costo come il Vietnam e la Cambogia e alcune altre economie asiatiche.

 

Ci sarà una sorta di svolta“, scrive nel suo rapporto Shinichi Seki, economista del Japan Research Institute, aggiungendo che alcune aziende giapponesi che fabbricano merci in Cina per l’esportazione stavano già prendendo in considerazione l’idea di uscire. “Avere questo stimolo economico nel budget fornirà sicuramente uno ulteriore slancio“. Alcune aziende, come le case automobilistiche, che fabbricano per il mercato interno cinese, probabilmente rimarranno dove sono, ha dichiarato Seki

 

Secondo il rapporto del Tokyo Shoko Research; circa un migliaio di aziende giapponesi avevano già lo scorso Febbraio iniziato a diversificare l’acquisto di componenti per la loro produzione, abbandonando i fornitori cinesi. Il Giappone esporta in Cina una quota molto più importante di parti e merci parzialmente finite rispetto alle altre nazioni industrializzate del mondo. La Tokyo Shoko Research ha rilevato che il 37% delle oltre 2.600 aziende hanno dichiarato che stanno diversificando i propri approvvigionamenti in luoghi diversi rispetto alla Cina.

 

Dopo la crisi, la Cina aspirerebbe tornare a uno scenario normale, pre-coronavirus. “Stiamo facendo del nostro meglio per riprendere lo sviluppo economico“, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian. “In questo processo, speriamo che altri paesi agiscano come la Cina e prendano le misure adeguate per garantire che l’economia mondiale sarà modificata il meno possibile e per garantire che le catene di approvvigionamento siano influenzate il meno possibile“.

 

Il fatto che molti a Tokyo condividono l’opinione degli Stati Uniti secondo cui la Cina ha nascosto al mondo la gravità della pandemia, soprattutto all’inizio, può indurre a stabilire legami molto più ridotti tra i due paesi, nonostante l’apparente distensione nelle relazioni avvenuta nei primi giorni dell’epidemia quando il Giappone ha inviato aiuti sanitari alla Cina.

 

I due paesi sono anche coinvolti in una disputa territoriale sulle isole del Mar Cinese Orientale, che tuttora continua ad alimentare tensioni sino a trascinarli vicino a uno scontro militare nel 2012.

 

per trenta denari, a cura di Giuseppe Germinario

Intanto la Romania ha bloccato le esportazioni di prodotti agricoli. Dovessero seguire altri paesi dell’Europa Orientale si rischia grosso. In Romania e Ungheria gravi disordini duramente repressi. La gente tenta di rientrare in patria. Pompeo per la seconda volta ha ribadito la volontà americana di assistenza e aiuto ad un amico fedele come l’Italia. Sta aspettando evidentemente quale segnale concreto. Chi ha orecchie per intendere, intenda. Nel frattempo si continua a pescare naufraghi volontari in acque internazionali. Una crisi sanitaria tutto sommato controllabile che si sta rivelando un detonatore in una polveriera. Abbiamo deciso di rimanere servi; ma non sappiamo nemmeno scegliere il padrone giusto. Il 1940 non ci ha insegnato nulla. Ancora qualche giorno e gli italiani non reggeranno più ad un blocco senza prospettive; si rischia seriamente un aggravamento della crisi sanitaria, uno stallo socioeconomico e una caduta di autorevolezza. Un mix esplosivo. Si attende qualche spiraglio che modifichi la rotta_Giuseppe Germinario

Tratto da facebook:

https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/?fbclid=IwAR2v7gqF4GfI4kjuLAhBXtRCdyNFz43L-R-3wyYo3BewDzxk5-bDUGNfzTk

CARLO GIORGETTI

Il comunicato stampa al termine dell’Eurogruppo è disponibile solo in inglese. Comunque, da esso risulta che Gualtieri ha dato l’assenso all’utilizzo delle ECCL del MES (linee di credito a condizionalità rafforzata, Enhanced Conditionality Credit Lines). La condizione sarebbe che i fondi vengano utilizzati solo per spese sanitarie e fino al 2% del PIL. A quel punto però sei entrato nel MES, e quindi:

1) hai dato il segnale che temi di perdere accesso al mercato, allarmando gli speculatori;

2) ti sei messo in mano a un creditore privilegiato, il che spingerà i creditori non privilegiati (tutti gli altri detentori di Btp) a chiedere un premio per il rischio (perché se le cose vanno male loro potrebbero essere penalizzati), e quindi avrai un extra-spread;

3) le condizioni potrebbero essere modificate in seguito, ai sensi dell’art. 7 par. 5 del Regolamento 472/2013, con decisione a maggioranza qualificata del Consiglio Europeo su proposta della troika (http://www.asimmetrie.org/…/mes-rischio-di-condizionalita-…/).

E tutto questo, nota bene, per il 2% del Pil, cioè 36 miliardi al massimo, che da una parte sono esorbitanti per lo scopo cui DEVONO essere destinati, la spesa sanitaria, e dall’altro sono troppo pochi per quello di cui abbiamo bisogno, mettere in sicurezza l’economia del Paese.

Ci sono ampi margini per chiedere la sfiducia.

GIUSEPPE MASALA

Qualcuno non ha capito che Mes + Sure + Bei e un inizio di trattativa su eventuali recovery bond (ma chiamateli come vi pare) che si avranno in un tempo futuro incerto cioè mai ma anche credendo ai miracoli e dunque che arrivino tra un anno il risultato è il seguente: il vero piano dei ricovery bond consiste nella spoliazione dell’Italia, dei suoi beni, delle sue aziende, delle sue infrastrutture, delle sue banche e dei suoi risparmi oltre che dei beni comuni, delle aziende di stato e dei beni paesaggistici. Noi siamo nelle intenzioni il fiero pasto con il quale gli altri paesi europei si rafforzano ed evitano di vedere il proprio livello di vita abbassarsi a causa del ciclo economico in corso. L’Europa si fonda sul principio della competitività, ovvero sul fatto che il più debole, chi cade, verrà sbranato dagli altri senza pietà alcuna.
L’unica cosa positiva di questa situazione è che a questo giro le classi garantite, vero zoccolo duro dell’europeismo pagheranno dazio: pagheranno anche dipendenti pubblici e pensionati. Eccome se pagheranno, pagheranno caro e pagheranno tutto. Poi li voglio vedere dire che l’Europa ci ha dato settanta anni di pace e che bisogna insistere (tanto fino ad ora s’è sempre insistito con le terga altrui)

Anche Clerichetti si è improvvisamente unito al partito dei fascisti. O forse l’accusa di fascismo a chi dice semplicemente che il PD è un partito di svendipatria, giuda e traditori è caduta. Ecco come inizia:<<L’accordo raggiunto dall’Eurogruppo su come affrontare la crisi sanitaria ed economica è per l’Italia una disfatta paragonabile a quella di Caporetto.>>. Una sconfitta rovinosa è una sconfitta rovinosa, non importa se il traditore si è autoiscritto al partito dei buoni e canta bela sciao.

https://clericetti.blogautore.repubblica.it/2020/04/10/la-caporetto-di-gualtieri/?fbclid=IwAR1oQBAYVv_hIZtyUS4luPKdnZDJjioknC6TstYjeKdyy2EJtgL8hW9OJ-M

FF

“La posizione del governo è chiara: no al Mes, né ora né mai”. Lo afferma il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. “Sarà necessario approvare gli Eurobond emessi direttamente dalla Commissione europea, ma dal suo canto la Bce dovrà agirà come una banca centrale impegnandosi ad acquistare illimitatamente i titoli di Stato. Queste sono le uniche proposte che l’Italia accetterà, non il Mes. Punto. La nostra battaglia nell’interesse esclusivo dei cittadini prosegue£.
A quanto sembra all’interno del governo e della stessa maggioranza c’è chi la pensa diversamente da Gentiloni e Gualtieri. Ora si devono sentire le dichiarazioni di Conte.

Gualtieri ha affermato che grazie all’iniziativa italiana, l’agenda europea è cambiata: Mes con condizionalità leggere, 200 miliardi dalla Bei, 100 miliardi del nuovo programma Sure.
L’Eurogruppo è d’accordo a lavorare ad un Recovery Fund per sostenere la ripresa, è scritto nel documento conclusivo nel quale non ci sono gli Eurobond.
“Messi sul tavolo i bond europei, tolte dal tavolo le condizionalità del Mes. Consegniamo al Consiglio europeo una proposta ambiziosa. Ci batteremo per realizzarla”. Così il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, dopo che si è concluso l’Eurogruppo, il consiglio dei ministri finanziari dell’Eurozona.
In pratica, si è trovato un accordo che altro non prevede se non quello che chiedevano tedeschi e olandesi, ma ci si accontenta del fatto che si continua a trattare. Ma, ammesso e non concesso che si dovesse trovare l’accordo sul MES, a questo accordo non si doveva giungere dopo avere raggiunto un accordo almeno sugli Eurobond?

GIANNI CANDOTTO

Un sobrio articolo dell’importante (e filogovernativo) quotidiano tedesco Die Welt.
Dopo aver affermato che è la mafia italiana che sta aspettando i soldi europei, anzi “una nuova pioggia di soldi per l’Italia da Bruxelles”, dichiara che ci vuole un rigoroso controllo tedesco ed europeo su come viene speso dall’Italia ogni singolo euro che arriva dalla UE. Quindi che ci vuole il MES.
Peccato che fino ad adesso l’Italia abbia solo dato soldi a Bruxelles e ricevuto sempre la metà o poco più di quanto versato. Che abbia salvato, con soldi italiani, le banche tedesche dal fallimento per la crisi greca e che abbia sempre subito regole europee dettate dalla Germania e dalla Francia a loro favore e contrarie agli interessi degli italiani.
Spero che Conte (anche se sono convinto che lo farà, ma spero di essere smentito) non si azzardi a firmare il MES o ad accedere a quei fondi, se non per ritirare i miliardi italiani ivi tenuti.

https://www.welt.de/debatte/kommentare/article207146171/Debatte-um-Corona-Bonds-Frau-Merkel-bleiben-Sie-standhaft.html?wtrid=onsite.onsitesearch&fbclid=IwAR1_LkRTyO0PGbcGo0YLVqRoUyCmeXzWB9VMRF9mvEk1EJmR6g2fHbhqV_c

EUROPA: 27 MORTO CHE PARLA, di Antonio de Martini

EUROPA: 27 MORTO CHE PARLA

Guido Camprini all’annunzio dell’accordo tra i 27 ha avuto ragione a dire «chi vivrà vedrà «.

Vediamo su cosa posare lo sguardo.

Il fatto che i dettagli « sono da negoziare » e che a questo pozzo si abbevereranno in 27 e che nessuno abbia pensato a stanziamenti per la politica di prossimità, mi fa pensare che l’iniziativa sarà – a dir poco – deludente.

L’autistica Greta avrebbe suggerito di meglio.

Gli Stati Uniti, con istituzioni federali collaudate ,metà degli abitanti, frontiere difese da oceani, e la predisposizione ad abbandonare i poveri al loro destino, hanno stanziato – per adesso- il doppio dei fondi.

I 27 da Lisbona in poi avevano posizionato l’Unione Europea con la caratterizzazione della « civiltà della conoscenza » ( complementare alla tecnologia USA e al manpower cinese).

Non hanno stanziato un centesimo per la ricerca di un rimedio o posto le basi di linee guida comuni.

Hanno ignorato l’esistenza dei paesi contigui e di quelli mediterranei, coi loro flussi di profughi di guerra e di lavoro cui potrebbero aggiungersi quelli per salute.

Chi oserà fare il corpo a corpo con i malati alla frontiera?
Chi avrà il coraggio di aprire il fuoco su una torma di malati per fermarli ?

Non una parola sulla cooperazione con l’Inghilterra, almeno nel campo della salute. Sono felici che se ne sia andata portandosi via praticamente tutti i funzionari pratici della ricerca scientifica ( la dirigenza di quest’area era in massima parte inglese).

I ventisette – la loro élite isterilita dagli odi reciproci – sono stati polarizzati dal terrore di una rivolta interna contro i rispettivi governi e hanno stanziato quanto basta per placare per una invernata i meno abbienti di casa badando all’economia e non alle persone. Non a noi. Non ai nostri figli.
La maggior parte di loro non ne ha.

Per una risposta tanto riduttiva bastavano i ministri economici.

Con la riunione dei capi di governo, ci hanno fatto credere che avessimo a che fare con statisti che avevano chiari i termini del problema. Ci hanno illuso.

Aveva ragione « Der Spiegel « a dire che non servono miliardi ma trilioni e che siamo in presenza di gretti vigliacchi .

Si è calcolato che un paziente impegna un patrimonio complessivo di 19 milioni.
Siamo mezzo miliardo. Anche dividendo la cifra per cinque, contate i bruscolini.

Siamo in presenza di una versione pop della Santa Alleanza. Non vogliono l’Europa, vogliono l’Eurovisione.

Vogliono solo mantenere l’ordine e il potere. Non riusciranno.

COSA AVREBBERO DOVUTO FARE E DIRE

1 Dichiarare onestamente non prevedibili gli stanziamenti necessari e pronunziare la formula salvifica « watever it takes « .
Avrebbero dovuto rinnovare la Commissione Europea con elementi delle altre famiglie politiche del Parlamento Europeo per assicurare la coesione del Continente.

Avrebbero dovuto invitare i singoli paesi a fare altrettanto a casa loro.

Predicano « uniti ce la faremo « ma continuano nella autotutela dei loro interessi particolari.

2 Avrebbero dovuto proporre all’Inghilterra una momentanea « comunità europea della ricerca anti COVID « coinvolgendo i grandi gruppi farmaceutici che si trovano in UK

3 Avrebbero dovuto creare una cabina di regia – se preferite un « gabinetto di guerra al COVID » che duri quanto l’epidemia e non un giorno di più e che come primo atto decidesse la redazione – entro trenta giorni- di una Carta dei princìpi cui l’Unione si atterrà per questa lotta.

Mantenere in questo frangente e su questo specifico punto del COVID il criterio delle scelte unanimi a 27 non ha solo del surreale. É un suicidio.

Abbiamo la possibilità di creare il nuovo modello di civiltà per cui era nata l’Europa, per cui si è battuta la mia generazione.
Ma l’aver posto il centro a Bruxelles ci ha fornito una dirigenza con una mentalità da cioccolatai.

Mettere allo studio l’adozione della Sterlina inglese diventa una opzione conveniente da percorrere. Ci farebbero ponti d’oro e la borsa di Londra collocherebbe il necessario. E il superfluo.
L’Europa é sfatta. Bisogna rifarla.
Senza lavandaie.

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