Un manifesto e alcune risposte, le quali più che precisazioni sembrano parziali rettifiche, di una realtà editoriale piuttosto circoscritta dalla quale questo sito ha attinto in qualche caso. Ciononostante rivela una notevole importanza più che per le motivazioni di una svolta editoriale, per altro già di per sé significative, per un appello al rispetto del richiamo della patria nel caso di un coinvolgimento in un conflitto. Il manifesto indica chiaramente chi sono gli avversari; rivendica la assoluta indipendenza della Francia, ma per lo strabismo di cui è vittima non farà che riportare una parte politica dissenziente nell’ovile in cui la Francia e la quasi totalità dell’Europa si sono rinchiuse. L’indizio, più inquietante di tanti fatti e dichiarazioni acclarate, che veramente le attuali leadership ci stanno trascinando irreversibilmente verso una tragedia in assenza di reali forze ideologicamente e politicamente attrezzate ad opporre una seria resistenza. Lo spostamento della linea editoriale del “courrier des stratèges” rappresenta un indizio inquietante; i passi futuri faranno chiarezza. Alcuni dubbi espressi nel manifesto, a cominciare dal probabile epilogo della presidenza di Trump, appaiono verosimili; altri riguardanti la cieca tifoseria in astratto condivisibili. Del tutto capzioso aver additato i tre nemici esistenziali e il silenzio sospetto sul restante panorama politico, primo responsabile dell’attuale situazione_Giuseppe Germinario
Con la partenza di Édouard Husson, Le Courrier volta pagina nella sua storia. Inizia a rimettere a fuoco i suoi valori iniziali di indipendenza e rigore giornalistico. Il seguente manifesto inaugura questo ritorno alla tradizione.
Un organo di stampa, come una nazione, non può procedere senza una direzione. Non può prosperare nell’ambiguità, né servire i suoi lettori nella confusione. Negli ultimi mesi, il Courrier des Stratèges ha attraversato un periodo di turbolenza ideologica che potrebbe aver turbato molti di voi, e giustamente. È giunto il momento della chiarezza. Questo testo non è una giustificazione, ma una dichiarazione. È la riaffermazione della nostra identità e il rinnovo del contratto di lettura che ci lega.
Chi siamo: sovranità e libertà come uniche guide
Le Courrier des Stratèges è nato nel 2020 da un duplice imperativo: la difesa delle nostre libertà individuali di fronte alla crescente ingerenza statale e la promozione della sovranità francese in un mondo sempre più instabile. Questi due pilastri non sono concetti astratti: sono il DNA del nostro progetto.
Per noi, la libertà è il diritto di ogni cittadino a pensare, esprimersi e agire senza costrizioni arbitrarie. È il rifiuto della sorveglianza, dell’indottrinamento e della sottomissione a un unico pensiero, sia esso amministrativo, mediatico o politico.
Per noi, la sovranità è il diritto inalienabile del popolo francese all’autodeterminazione. È la convinzione che la Francia, in quanto potenza di equilibrio, abbia un ruolo storico da svolgere, una voce unica da far sentire e interessi strategici da difendere. La nostra bussola non è né a Washington né a Bruxelles. È e rimarrà a Parigi.
La nostra convinzione: l’incompatibilità fondamentale tra libertà e autoritarismo
È in nome di questi principi che oggi dobbiamo trarre una conclusione chiara e inequivocabile. La difesa della sovranità dei popoli e delle libertà individuali è, per sua stessa natura, incompatibile con qualsiasi forma di compiacimento o sostegno a regimi che le negano . Non possiamo, in tutta coerenza, difendere la sovranità della Francia e applaudire un regime che la viola in patria o tra i suoi vicini. Non possiamo avere a cuore la libertà di espressione e ammirare coloro che intimidiscono i giornalisti e imbavagliano l’opposizione.
Questa contraddizione è diventata insostenibile. Per questo motivo affermiamo oggi che il nostro impegno per la sovranità e la libertà è incompatibile, in particolare, con il sostegno al regime di Vladimir Putin, che sta minando i principi della democrazia liberale all’interno dei propri confini. Non diremo nulla di diverso sulla Cina, né sulle tentazioni che esistono nell’America di Trump. Condanniamo l’intolleranza religiosa ovunque si manifesti, a Teheran come a Tel Aviv. Condanniamo il rifiuto israeliano del popolo palestinese.
Il nostro impegno: illuminare, non indottrinare
Di conseguenza, il Courrier des Stratèges si impegna a garantire una completa chiarezza editoriale. Non troverete più nelle nostre rubriche contenuti compiacenti o apologetici nei confronti di regimi autoritari o illiberali. La nostra missione, così come la intendiamo, è quella di illuminare i lettori sulle complessità del mondo, non di rafforzare la loro visione dogmatica. Si tratta di fornire strumenti di analisi critica, non di fungere da tramite per la propaganda, da qualunque parte provenga.
Per quanto riguarda la Russia, in previsione di un probabile conflitto in cui il nostro Paese potrebbe essere coinvolto, la nostra linea sarà inequivocabile: quella del sostegno alla Francia e ai suoi interessi fondamentali. Ciò non esclude un’analisi critica delle decisioni prese, né un dibattito strategico, né sfumature, ma esclude qualsiasi atteggiamento di disfattismo o simpatia per quello che potrebbe diventare un avversario.
Il nostro futuro: un appello ai nostri lettori
Questo necessario chiarimento porterà inevitabilmente all’abbandono di una parte dei nostri abbonati, coloro che si sono rivolti a noi in cerca di una convalida della “putinolatria” o di una preferenza data alla Russia piuttosto che alla nostra sovranità, che non possiamo più sostenere. Rispettiamo la loro scelta, ma restiamo fedeli alla nostra.
È al resto dei nostri lettori, a quella maggioranza dell’80% che si è unita a noi per il nostro pensiero critico, la nostra indipendenza e il nostro impegno per la Francia, che ci rivolgiamo oggi. Vi invitiamo a partecipare a questa rifondazione. Il Courrier des Stratèges , che vogliamo costruire con voi, è un organo di stampa coraggioso, coerente e lucido. Un organo di stampa che non ha paura di scontentare i potenti, ma si rifiuta di assecondare i tiranni. Un organo di stampa la cui unica fedeltà è ai suoi lettori e a una certa idea di Francia.
È questa la strada della chiarezza, del coraggio e della coerenza che scegliamo oggi. Speriamo di incontrarvi lì, per costruire insieme il futuro del Courrier des Stratèges .
Oltre al Manifesto pubblicato oggi, rispondo qui ad alcune domande del tutto naturali e legittime che molti si porranno. Domande difficili e risposte trasparenti che le accompagnano.
1) Sei pro-NATO?
Il Corriere è, è sempre stato e rimarrà a favore della sovranità francese. In questo contesto, l’adesione alla NATO, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, è incompatibile con l’alta opinione che ho della Francia e della sua indipendenza.
Ripeto: credo nella sovranità dell’io, e questa sovranità non può esistere in un regime autoritario, né in un'”alleanza” che dà tutto il potere agli Stati Uniti, presieduti o meno da Trump, per depredare i propri alleati o coinvolgerli in conflitti che servono solo agli interessi americani.
È chiaro che l'”alleanza” è un inganno. Non impedisce agli Stati Uniti di condurre guerre ibride contro i propri alleati ( la vicenda del Ruanda, del resto , come abbiamo scritto e descritto, ha costituito la prima guerra per procura anglosassone condotta contro un alleato, in questo caso la Francia), e mira a indebolire la Russia invece di formare con essa un nuovo ordine internazionale sostenibile ed equilibrato.
Personalmente, credo che la NATO non abbia più ragione di esistere dopo la caduta del Muro di Berlino. Spero che la Francia la lasci.
2) Sei anti-Putin?
Non sono né a favore né contro, anzi, è proprio il contrario.
Non condivido la putinofobia dominante nei media sovvenzionati, che è in gran parte dettata dalla strategia di influenza che i servizi anglosassoni impongono più o meno direttamente in quelli che considerano organi di propaganda responsabili di addomesticare le opinioni occidentali.
Considero Putin un capo di Stato straordinario, perfettamente razionale e cinico nel senso politico del termine, l’opposto del maniaco sanguinario che ci viene dipinto. Difende abilmente gli interessi del suo Paese, che è riuscito a modernizzare con reale efficacia. Molti dei nostri leader, in termini di performance politica, non reggono nemmeno il confronto.
Non condivido, tuttavia, la putinolatria che dipinge questo capo di Stato impassibile come una sorta di cavaliere bianco in grado di salvarci dalla decadenza morale, o che incarna valori tradizionali dimenticati dall’Occidente. Non mi lascio ingannare da questa “narrazione” del “salvatore”, che serve a manipolare le menti deboli.
Considero Putin un despota che agisce nel quadro della cultura e del patrimonio russo, un terreno fertile non molto favorevole alla democrazia liberale alla quale sono fermamente legato.
3) Cosa pensi della guerra in Ucraina e della strategia di Macron?
La guerra in Ucraina illustra perfettamente i pericoli di ciò che è diventato l’atlantismo. Fin dalla sua nascita, la NATO ha mirato a indebolire la sfera russa, prima sotto la bandiera sovietica, poi sotto la bandiera russa stessa.
Al crollo del blocco comunista, l’Occidente avrebbe dovuto ricercare un nuovo equilibrio internazionale, rispettoso degli interessi fondamentali della potenza russa. Vladimir Putin era probabilmente pronto a questo. Pochi contestano che la NATO sia stata lo strumento della strategia opposta.
L’Ucraina, in particolare, ha rappresentato il terreno fertile per destabilizzare la Russia, in modo del tutto cinico. Non intendo ripercorrere la storia dell’Ucraina dalla rivoluzione colorata, controllata dai servizi segreti anglosassoni. Ma era chiaro che l’adesione dell’Ucraina alla NATO e la nuclearizzazione del territorio voluta da Zelensky rappresentavano una linea rossa che la Russia non poteva accettare.
L’invasione dell’Ucraina non era solo inevitabile, ma anche del tutto prevedibile. Sono fermamente convinto che i servizi segreti americani la volessero e abbiano fatto tutto il possibile per garantirne l’attuazione.
In questo conflitto la Russia esige garanzie di sicurezza in cambio della pace, il che presuppone una sorta di nuovo Trattato di Vienna, come quello del 1815.
Invece di ricercare questo grande equilibrio, in cui gli interessi fondamentali della Russia devono essere tutelati, Emmanuel Macron sta perseguendo una strategia aggressiva che evidenzia la sua mancanza di visione globale. Sta giocando col fuoco e alimentando gli errori della NATO che ho descritto sopra. Un presidente non dovrebbe correre questi rischi.
4) Pensi che la Francia e l’Europa dovrebbero riarmarsi contro la Russia?
Pur non condividendo l’idea prevalente secondo cui la Russia sarebbe un orso che sogna di divorarci, non sono un seguace di nessuna ingenuità.
Sulla questione del riarmo, ho una dottrina semplice: la Francia ha un’influenza storica che la obbliga . A mio parere, non si può amare la Francia senza credere nella sua grandezza naturale, che richiede capacità militare operativa.
La Francia è grande non solo per la sua cultura, ma anche per il suo esercito e la sua capacità di vincere. Il riarmo francese è una necessità, Russia o no.
Aggiungerei che la potenza militare francese è destinata a dominare l’Europa e a costituire una forza deterrente “universale”. Non deve scoraggiare solo la Russia, ma anche Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania.
5) Sei antisionista?
In quanto libertario, sono a favore della tolleranza religiosa e contro il bigottismo.
L’ebraismo è una religione complessa, ma come ogni religione, credo che debba rimanere una questione privata e non possa diventare una componente della geopolitica internazionale.
Il principio del Ritorno, fondamento del sionismo, potrebbe benissimo rimanere compatibile con uno Stato laico aperto a tutti, come proposto dalla Carta dell’OLP. La creazione di uno Stato basato sull’ebraismo è una violazione del principio di laicità, che mi sembra assolutamente incompatibile con i principi di laicità a cui aderisco.
Questa posizione non mi condanna ad alcuna forma di ingenuità nei confronti del mondo palestinese. L’Autorità Nazionale Palestinese è corrotta e priva di coerenza democratica, e condanno senza esitazione le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Allo stesso tempo, condanno la sistematica negazione del popolo palestinese da parte di molti israeliani o di molti dei loro sostenitori in tutto il mondo.
6) Sei favorevole alla Frexit?
Considero questo un falso problema. Sono a favore di una Francia indipendente e prospera. Sono convinto che, per ritrovare la sua prosperità e la sua influenza, la Francia debba arrestare il declino che la sta trascinando verso il declino e la povertà.
L’Unione Europea è la risposta a un progetto federale di stampo germanico, la cui principale motivazione storica è l’indebolimento della Francia. L’intelligenza della Germania, dopo la caduta del Muro, consisteva nel comprare il consenso del popolo francese a questo progetto introducendo l’euro.
L’euro ci consente di sovraindebitarci a basso costo grazie alla firma del risparmiatore tedesco. Denuncio regolarmente questo declino attraverso il comfort e l’obesità di Stato. Sono quindi a favore di una Frexit, ma allo stesso tempo di un ritorno al pareggio di bilancio. I francesi devono smettere di impoverirsi alimentando l’inflazione burocratica. Devono ridurre drasticamente la spesa pubblica e riconquistare la loro indipendenza uscendo dall’eurozona.
Credo nell’io sovrano. Sono a favore della libertà. Sono quindi a favore di una Frexit virtuosa, che non consisterà nel sostituire la tirannia tedesco-bruxellesiana con una tirannia francese, in cui il nostro governo nazionale si comporterebbe nei confronti dei francesi come la Commissione Europea si comporta oggi nei confronti degli Stati nazionali. Sono fermamente contrario al controllo statale sull’emissione monetaria, che è la leva fondamentale della tirannia e della predazione statale.
Sono favorevole alla competizione tra valute.
Inoltre, non sono chiuso verso un’altra Europa, che sarebbe dominata dalla Francia.
7) Siete stati finanziati da interessi stranieri?
Mai. Il Courrier vive esclusivamente dei suoi abbonamenti. Non riceve aiuti o finanziamenti esterni.
Le Courrier è una SAS i cui conti sono archiviati e trasparenti.
Il suo statuto prevede esplicitamente l’indipendenza editoriale. Pertanto, i redattori devono essere trasparenti in merito alle loro relazioni e alla loro situazione finanziaria. Qualsiasi ambiguità comporterà l’esclusione.
8) Perché questo cambiamento ora?
Un’azienda non è mai un letto di rose. Partenze, conflitti, divergenze e persino disaccordi di opinione fanno parte della sua normale esistenza. Un’azienda non è una setta: sei sempre libero di andartene.
Questo riorientamento del Courier è anche un inevitabile adattamento al mondo stesso in continua evoluzione. Quando fu fondato nel 2020, il Courier viveva in un mondo ristretto, dove l’esercito russo non era in Ucraina, dove l’esercito israeliano non era a Gaza, dove Trump aveva appena perso le elezioni.
Dal 2020, gli oceani sono passati sotto i ponti e le “intersezioni” tra libertari e conservatori giacciono ora sotto spessi strati di acqua e fango. La frattura tra Donald Trump ed Elon Musk ne è la migliore dimostrazione.
La mia profonda convinzione è che siamo solo all’inizio di un cambiamento tettonico in cui il prevedibile fallimento del trumpismo manderà in frantumi la dinamica populista, quella che a volte viene chiamata “resistenza”, e accelererà il suo ” adattamento ” a un’ideologia conservatrice binaria che diventerà rapidamente insopportabile per i libertari.
La rifocalizzazione del Courrier rientra in questa dinamica.
9) Rinneghi i tuoi ex collaboratori?
Assolutamente no. Abbiamo ritenuto, a un certo punto, di avere delle convergenze che giustificavano la collaborazione. Il mondo è cambiato, le circostanze sono cambiate, e la diluizione di questa “affectio societatis” si è imposta, perché le ragioni della collaborazione sono diminuite.
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È altamente sospetto che Zelensky abbia semplicemente affermato, senza alcuna prova, che siano stati lanciati da petroliere russe e abbia successivamente chiesto all’Europa di chiudere lo stretto al suo traffico marittimo in risposta.
Droni sconosciuti hanno recentemente sorvolato le vicinanze degli aeroporti danesi e norvegesi, suscitando speculazioni tra alcuni sul fatto che si trattasse di una ritardata rappresaglia ibrida della Russia contro la NATO per aver sostenuto i voli dei droni ucraini in prossimità degli aeroporti russi negli ultimi anni. Non sono emerse prove a sostegno di tale ipotesi, ma Zelensky ha comunque presentato in modo disonesto tali affermazioni come fatti durante il suo discorso all’ultimo Forum sulla sicurezza di Varsavia.
Secondo lui, “ci sono prove crescenti che la Russia possa aver utilizzato navi cisterna nel Mar Baltico per lanciare droni, gli stessi droni che hanno causato gravi disagi nel Nord Europa. Se le petroliere utilizzate dalla Russia fungono da piattaforme per i droni, allora tali petroliere non dovrebbero essere libere di operare nel Baltico. Si tratta di fatto di un’attività militare della Russia contro i paesi europei, quindi l’Europa ha il diritto di chiudere gli stretti e le rotte marittime per proteggersi”.
La sua proposta alla NATO di chiudere lo stretto danese alle navi russe con questo pretesto, che equivarrebbe a un blocco illegale che potrebbe quindi legittimare un’azione offensiva da parte della Russia per autodifesa, era prevedibile dato l’interesse dell’Ucraina e di alcuni dei suoi sostenitori nell’escalation delle tensioni del blocco con la Russia. In realtà, potrebbe anche essere che questa fosse la falsa bandiera che il Servizio di intelligence estero russo due volteaveva avvertito che avrebbe potuto essere presto messa in atto dal Regno Unito e dall’Ucraina, anche se alla fine avrebbe assunto una forma diversa.
Hanno valutato che questi due potrebbero orchestrare potenziali provocazioni nel Baltico, che verrebbero poi attribuite alla Russia per giustificare un giro di vite sul suo commercio energetico soggetto a sanzioni, che l’Occidente descrive drammaticamente come condotto da una “flotta ombra” che transita in quel mare. Sebbene nessuna nave statunitense sia stata presa di mira dai siluri sovietici/russi trasferiti dall’Ucraina né siano state recuperate mine di questo tipo dal Mar Baltico, la paura dei droni russi in Scandinavia svolge comunque lo stesso ruolo.
Gli scettici potrebbero insistere sul fatto che la Russia abbia fatto ricorso a una “ritorsione ibrida plausibilmente negabile” contro la NATO, ma è illogico che la Russia rischi qualcosa che potrebbe giustificare la stessa escalation che la moderazione di Putin ha finora evitato, lo stesso vale per il precedente incidente con il drone in Polonia. Lo stesso vale per l’accusa associata di aver violato lo spazio aereo marittimo dell’Estonia. Tutti questi incidenti sono stati presentati dall’Occidente come provocazioni deliberate da parte della Russia e hanno preceduto proposte di escalation erroneamente descritte come “ritorsioni”.
Quelli polacchi ed estoni sono stati sfruttati per convincere Trump a dare il via libera alla NATO nell’abbattere i jet russi con la motivazione che violavano lo spazio aereo dell’alleanza, il che potrebbe incoraggiare alcuni a tentare di farlo con falsi pretesti, mentre quelli scandinavi sono stati sfruttati per chiedere la chiusura dello stretto danese alla navigazione russa. Entrambi riguardano escalation nel Baltico, che potrebbero equivalere a un blocco illegale che ostacola la libera circolazione degli aerei e delle navi russe in quella zona, esercitando così una pressione senza precedenti su Kaliningrad.
Questa intuizione suggerisce fortemente che l’allarme per i droni russi in Scandinavia fosse in realtà una falsa bandiera per giustificare un giro di vite sulla “flotta ombra” russa, anche se al momento non è chiaro se qualche membro della NATO attraverserà il Rubicone compiendo seriamente una mossa del genere, come chiudere lo stretto danese al suo traffico marittimo. In ogni caso, la proposta di Zelensky dimostra che sta cercando di manipolare Trump per provocare un disastro di proporzioni epiche insieme ad alcuni dei suoi sostenitori della NATO che la pensano come lui, ma si spera che Trump non ci caschi.
Non c’è dubbio che l’Ucraina abbia interesse ad aumentare le tensioni tra NATO e Russia attraverso questi mezzi, anche impiegando cittadini russi e bielorussi antigovernativi in questo presunto complotto, ma è discutibile se la Polonia sia coinvolta in questo e in quale misura potrebbe esserlo, in tal caso.
Il Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha avvertito che il GUR ucraino e i servizi segreti polacchi (nessuno dei numerosi servizi segreti esistenti è stato specificato) stanno progettando un attacco sotto falsa bandiera in Polonia, che potrebbe “comportare un attacco simulato a infrastrutture critiche”, per incolpare Russia e Bielorussia. Secondo loro, “Kiev spera di incitare i paesi europei a rispondere alla Russia con la massima forza possibile, preferibilmente militarmente”. La veridicità di queste drammatiche affermazioni sarà ora valutata.
In ordine inverso, sembra davvero che Kiev voglia manipolare i membri della NATO affinché inizino a usare la forza militare diretta contro la Russia, sia in modo speciale zona operativa o altrove, come sul territorio del suo alleato di mutua difesa bielorusso o nella sua exclave di Kaliningrad. Questo spiega perché Zelensky abbia ribadito le sue richieste di no-fly zone dopo il sospetto incidente con un drone russo in Polonia e abbia chiesto la chiusura dello Stretto di Danimarca alle navi russe dopo incidenti altrettanto sospetti in Scandinavia .
È rilevante che l’SVR abbia affermato che il suddetto incidente polacco e un altro romeno correlato fossero provocazioni ucraine, sebbene non sia ancora chiaro cosa sia successo esattamente. In ogni caso, è anche rilevante menzionare le notizie amplificate dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova secondo cui l’Ucraina starebbe preparando una provocazione con droni sotto falsa bandiera contro la NATO, nonché la parziale responsabilità di Zelensky per il voltafaccia di Trump sull’Ucraina, tutti elementi che danno credito ai sospetti sulle motivazioni dell’Ucraina.
Proseguendo, la parte del loro rapporto su come “militanti della ‘Legione della Libertà di Russia’ e del ‘Reggimento K. Kalinovsky’ bielorusso” siano stati selezionati per questa prossima provocazione potrebbe anche essere vera, poiché è noto che sono delegati ucraini, quindi i cittadini di ciascuno di loro potrebbero effettivamente essere implicati in questo complotto. Ciò a sua volta renderebbe più probabile che la NATO, compresi gli Stati Uniti, venga fuorviata sui responsabili. Quanto alla loro affermazione sul coinvolgimento congiunto della Polonia nell’orchestrazione di tutto ciò, tuttavia, è molto più discutibile.
Il presidente polacco conservatore-nazionalista Karol Nawrocki e il suo Ufficio per la Sicurezza Nazionale non sono stati informati dal governo del primo ministro liberal-globalista Donald Tusk che il danno subito da un’abitazione durante l’incidente con un drone del mese scorso era stato causato da un missile polacco fuori controllo. Lo hanno scoperto solo dopo che una fonte ha fatto trapelare la notizia alla stampa, dopo che il governo di Tusk aveva attribuito la responsabilità del danno alla Russia durante una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, suggerendo così che volesse manipolare Nawrocki e i suoi alleati.
Come valutato qui , lo scopo era quello di ingannarlo e convincerlo ad autorizzare la partecipazione polacca a una no-fly zone sull’Ucraina, al fine di aumentare le tensioni tra NATO e Russia, e questi mezzi contorti sono stati impiegati a causa della sua riluttanza a coinvolgere ulteriormente la Polonia nel conflitto. Tornando al rapporto dell’SVR, o la loro fonte sul coinvolgimento congiunto della Polonia in quest’ultimo complotto è errata, oppure i sovversivi all’interno del suo “stato profondo” stanno agendo alle spalle di Nawrocki, ma il punto è che è irrealistico immaginare che lui ne sia coinvolto.
Ricordiamo che alcuni rapporti dell’SVR non hanno avuto seguito, come quelli sui piani degli Stati Uniti per sostituire Zelensky, criticati qui nell’estate del 2024. Va anche da sé che la Russia non ha davvero motivo di rischiare un’escalation delle tensioni con la NATO attaccando la Polonia, come spiegato qui , qui e qui nell’estate del 2023. Tuttavia, data la possibilità credibile che l’Ucraina stia pianificando un attacco sotto falsa bandiera contro la Polonia, Nawrocki e i suoi alleati dello “stato profondo” dovrebbero avviare urgentemente un’indagine.
Si tratta del Triangolo di Lublino del 2020 (Ucraina, Polonia e Lituania), dell’alleanza di fatto del 2022 tra Ucraina, Polonia e Regno Unito e del Triangolo di Odessa di inizio agosto con Romania e Moldavia.
Negli ultimi anni la Russia ha costantemente accusato l’Occidente di trasformare l’Ucraina in un “anti-Russia” per scopi di contenimento, in risposta alla quale Putin ha autorizzato l’attuale specialeoperazione . Un anno e mezzo prima del suo inizio, Polonia, Lituania e Ucraina formarono il “Triangolo di Lublino”, che prevede la cooperazione militare e continua a vacillare cinque anni dopo la sua creazione. Esattamente una settimana prima dell’inizio dell’operazione speciale, Regno Unito, Polonia e Ucraina formarono un’alleanza di fatto .
Questi due triangoli hanno facilitato gli sforzi del Regno Unito per sabotare i colloqui di pace della primavera del 2022, per i quali la Polonia merita pari responsabilità, come spiegato qui , perpetuando così il conflitto fino ad ora. Subito dopo la notizia che Putin e Trump avrebbero tenuto il loro primo incontro di persona dal ritorno di quest’ultimo al potere, avvenuto poi ad Anchorage , l’Ucraina ha annunciato la formazione di un altro triangolo con Romania e Moldavia . Il loro ” Triangolo di Odessa ” è quindi il terzo incentrato sull’Ucraina per contenere la Russia.
Si prevede che questi tre triangoli interconnessi svolgeranno un ruolo significativo nel futuro post-conflitto. Il primo, il Triangolo di Lublino, include la Lituania, che ora ospita la prima base permanente della Germania all’estero . Per quanto riguarda il secondo, coinvolge in modo significativo il Regno Unito, che ha sempre operato per un’Europa divisa et impera. Infine, la Francia ha una base in Romania e un patto di sicurezza con la Moldavia, che potrebbero portare Parigi a sfruttarli come trampolini di lancio per rafforzare la sua presenza segreta a Odessa, recentemente segnalata .
I sette partner associati dell’Ucraina (cinque dei quali sono formali mentre gli altri due – Germania e Francia – sono informali) potrebbero quindi continuare a immettere armi nel Paese per prolungare il conflitto o proseguire la militarizzazione dell’Ucraina in seguito e/o prepararsi a schierarsi lì in futuro. Anche Polonia , Regno Unito , Francia e Germania hanno concluso patti di sicurezza con l’Ucraina nel corso dell’anno scorso, che questa analisi sostiene equivalgano già a una forma di garanzie simili all’articolo 5.
Come è stato scritto, “[l’articolo 5] obbliga i membri ad assistere i loro alleati che subiscono un attacco, anche se ciascuno di loro ‘lo ritiene necessario’. Sebbene venga menzionato l’uso della forza armata, in ultima analisi la decisione se avvalersi o meno di questa opzione spetta ai singoli membri. L’Ucraina ha probabilmente beneficiato di questo principio negli ultimi tre anni, pur non essendo membro della NATO, poiché ha ricevuto dall’alleanza tutto il necessario, tranne le truppe”.
È quindi discutibile se l’Ucraina aderisca formalmente alla NATO, poiché ciò non garantirebbe che i suoi alleati inviino truppe a suo supporto qualora scoppiasse un altro conflitto. Più realisticamente, probabilmente riprenderebbero e poi aumenterebbero gli aiuti che già forniscono solo per evitare un conflitto potenzialmente apocalittico con la Russia. La rapida militarizzazione dell’UE, unita ai progressi nello ” Schengen militare ” per facilitare la logistica correlata, potrebbe creare minacce post-conflitto durature alla sicurezza della Russia.
Da Polonia e Romania, gli altri cinque partner dell’Ucraina potrebbero quindi schierare un gran numero di truppe, immagazzinare grandi quantità di equipaggiamento militare e, eventualmente, continuare a far affluire armi e munizioni oltre confine, sia per prolungare il conflitto, sia per proseguire la militarizzazione dell’Ucraina in seguito. La Russia terrà certamente in considerazione queste minacce credibili quando deciderà il modo migliore per porre fine al conflitto, nel rispetto dei propri interessi nazionali, così come si sono evolute nei 3 anni e mezzo trascorsi dall’inizio dell’operazione speciale.
Anche se, nel migliore dei casi, le tensioni dovessero rimanere gestibili, la NATO consoliderà comunque la sua presenza lungo il fianco sud-occidentale dell’Ucraina, che funge anche da fianco nord-occidentale del Mar Nero, raddoppiando così i potenziali problemi che il blocco potrebbe un giorno rappresentare per la Russia.
Il “Partito d’Azione e Solidarietà” (PAS), al potere in Moldavia e fondato dalla presidente liberal-globalista Maia Sandu, ha perso alcuni seggi alle ultime elezioni parlamentari, ma ha comunque ottenuto la maggioranza di misura . Questo risultato è stato ottenuto tramite sospetti brogli, la messa al bando di due partiti di opposizione conservatori-nazionalisti, l’apertura di soli due seggi elettorali in Russia per la loro diaspora di mezzo milione di persone e la creazione di ostacoli per gli elettori della regione separatista della Transnistria. Ecco cinque motivi per cui queste elezioni sono importanti:
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1. L’Occidente ha perfezionato il suo modello di “rafforzamento del regime”
Il referendum sull’UE dello scorso autunno e la rielezione di Sandu sono stati ottenuti attraverso i mezzi sopra menzionati, che hanno preceduto il primo turno delle elezioni presidenziali rumene, i cui risultati sono stati poi annullati con falsi pretesti di ingerenze straniere dopo che il risultato aveva deluso l’UE. La ripetizione ha poi prevedibilmente portato alla vittoria del candidato preferito , nonostante la squalifica del suo rivale. Il modello occidentale di “rafforzamento del regime” è stato ora perfezionato dopo le ultime elezioni moldave e sarà quindi probabilmente applicato altrove in Europa.
2. La NATO completerà la cattura di fatto della Moldavia
La Moldavia è uno Stato costituzionalmente neutrale, ma la situazione potrebbe presto cambiare se la PAS dovesse indire un altro referendum sul modello di quello imperfetto dell’UE. Anche senza modificare la Costituzione, si prevede che la NATO completerà di fatto la sua conquista della Moldavia, probabilmente basandosi sui legami speciali della Moldavia con la Romania e sul patto di difesa stipulato lo scorso anno con la Francia. Come è stato valutato qui , la Francia prevede di utilizzare Romania-Moldavia come trampolino di lancio per intervenire apertamente in Ucraina, prima o dopo la fine della guerra.
3. La Moldavia sarà trascinata ancora più in profondità nel fenomeno della migrazione
Approfondendo la seconda conseguenza di queste elezioni, il Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha avvertito a metà luglio che ” la NATO sta trasformando la Moldavia in un nuovo ariete militare contro la Russia “, aggiungendo che i suoi cittadini potrebbero persino essere usati come carne da cannone in Ucraina. Che la Moldavia venga coinvolta direttamente nel conflitto o si limiti a facilitare il flusso di armi e forse un giorno anche di truppe occidentali/francesi, il Paese è comunque trascinato sempre più in profondità in un’invasione di missioni, il che comporta gravissimi rischi per la sicurezza.
4. È possibile un attacco congiunto moldavo-ucraino alla Transnistria
Le due conseguenze precedenti si collegano alla penultima, ovvero il sostegno della NATO a un attacco congiunto moldavo-ucraino alla Transnistria, un evento su cui l’SVR aveva messo in guardia lo scorso inverno, partendo dal presupposto che si sarebbe trattato di una vittoria a basso costo ma altamente simbolica sulla Russia, le cui forze di peacekeeping sono ancora dispiegate lì. Questo scenario pericoloso potrebbe provocare una rappresaglia russa contro la Moldavia, trascinandola direttamente nel conflitto, e forse anche la Romania, membro della NATO, se le sue truppe si scontrassero con le forze di peacekeeping russe.
5. La causa principale delle tensioni tra NATO e Russia rimane intatta
Infine, tutto ciò dimostra che la NATO continua a espandersi verso est a scapito degli interessi di sicurezza della Russia, confermando così che la causa principale delle tensioni rimane intatta. Queste ultime mosse aumentano le probabilità che la NATO intensifichi la sua espansione di fatto anche in Ucraina, durante o dopo la guerra, il che a sua volta aumenta le probabilità di un ulteriore peggioramento delle tensioni tra NATO e Russia. La nuova normalità che si sta delineando tra i due Paesi è quindi quella di tensioni più intense nel prossimo futuro.
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Alla luce di quanto sopra, è chiaro che le ultime elezioni moldave sono state molto più importanti di quanto osservatori occasionali avrebbero potuto immaginare, soprattutto considerando quanto si prevede che il loro esito peggiorerà ulteriormente le tensioni tra NATO e Russia. Anche se, nel migliore dei casi, dovessero rimanere gestibili, la NATO consoliderà comunque la sua presenza lungo il fianco sud-occidentale dell’Ucraina, che funge anche da fianco nord-occidentale del Mar Nero, raddoppiando così i potenziali problemi che il blocco potrebbe un giorno rappresentare per la Russia.
Hanno dei debiti storici da spartire con la Russia, dopo che il suo predecessore imperiale fu responsabile della fine della loro età dell’oro come grandi potenze.
Polonia e Svezia hanno appena condotto la loro prima “esercitazione a breve termine” (SNEX) nel Baltico, in seguito alla firma di un accordo di cooperazione militare all’inizio di settembre. Ciò coincide con l’ avvertimento del Ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski , secondo cui la Polonia abbatterà qualsiasi drone, missile o aereo russo che entri nel suo spazio aereo. Le sue parole seguono quelle di alcuni droni russi, che avrebbero fatto lo stesso all’inizio del mese, e le accuse della Polonia ai jet russi di aver violato la zona di sicurezza di una piattaforma di perforazione poco dopo.
Il primo incidente è stato probabilmente causato da un disturbo della NATO, mentre il secondo – se vero – potrebbe essere stato causato dalla raccolta di informazioni su apparecchiature di sorveglianza clandestine presenti in loco, a seguito di segnalazioni secondo cui la Polonia avrebbe iniziato a installarne durante l’estate su infrastrutture offshore come i parchi eolici. Le tensioni tra Polonia e Russia si stanno quindi chiaramente intensificando e il Baltico sta diventando sempre più un teatro significativo sul fronte NATO-Russia della Nuova Guerra Fredda, soprattutto dopo che l’Estonia ha accusato la Russia di aver violato il suo spazio aereo in quella zona.
La prima esercitazione congiunta polacco-svedese dovrebbe quindi essere vista come un rafforzamento del contenimento della Russia da parte della NATO. Il presidente Karol Nawrocki ha dichiarato nel suo discorso inaugurale di agosto: “Sogno che a lungo termine i Nove di Bucarest diventino gli Undici di Bucarest, insieme ai paesi scandinavi. Sì, noi, come polacchi, nell’Europa centrale e nell’Europa orientale, siamo responsabili della costruzione della forza del fianco orientale della NATO. E questa dovrebbe essere anche la direzione geopolitica internazionale della mia presidenza”.
In questo contesto, la Scandinavia si riferisce ai nuovi membri della NATO, Finlandia e Svezia, il primo dei quali ha visitato all’inizio di settembre durante l’ultima tappa del suo primo viaggio all’estero, mentre il secondo è il più forte dei due e quello con cui la Polonia ha appena condotto la sua prima esercitazione militare congiunta. Ha anche ribadito quanto detto in precedenza sulla prevista sfera di influenza regionale del suo Paese durante un’intervista con i media lituani, in cui ha rivendicato la responsabilità polacca per la sicurezza degli Stati baltici.
L'” Iniziativa dei Tre Mari ” , informalmente guidata dalla Polonia, include ufficialmente gli ex membri comunisti dell’UE, Austria e Grecia, ma ora è concettualizzata da Varsavia, sotto la guida di Nawrocki, come un’espansione di fatto verso la Scandinavia (Finlandia e Svezia) a causa dei loro interessi comuni nel contenere la Russia. I crescenti legami tra Polonia e Svezia, odiati rivali durante il XVII secolo dopo l’invasione svedese (” Diluvio “) che uccise circa un terzo della popolazione polacca, convergeranno maggiormente nel Baltico.
Così come ci si aspetta che la Polonia svolga un ruolo più importante nel Mar Baltico in collaborazione con la Svezia, ci si aspetta che anche la Svezia svolga un ruolo più importante nella sicurezza degli Stati baltici in collaborazione con la Polonia, con il duopolio baltico polacco-svedese che aspira a contenere congiuntamente la Russia su tutto questo fronte. Potrebbero seguire basi nei rispettivi territori (forse una base aeronavale polacca sull’isola svedese di Gotland ?) ed esercitazioni multilaterali tra Polonia, Svezia, Stati baltici e forse anche Finlandia, Regno Unito e Stati Uniti.
Polonia e Svezia hanno un conto in sospeso storico con la Russia, dopo che il suo predecessore imperiale fu responsabile della fine della loro età dell’oro come grandi potenze. Hanno anche una storia comune di influenza sugli Stati baltici: la Svezia esercitava principalmente sull’Estonia, la Polonia principalmente sulla Lituania e, per periodi variabili, sulla Lettonia (molti ignorano che parte di essa rimase sotto il controllo di Varsavia fino alla Terza Spartizione del 1795). Ciò rappresenta una minaccia emergente per la Russia, che aumenta il rischio di una guerra con la NATO.
Fico non può realisticamente aspettarsi alcun sollievo dalle pressioni dell’UE su di lui se ha minacciato di ostacolare la spedizione di armi destinate all’Ucraina attraverso la Slovacchia dopo la fine del conflitto.
Il ritorno di Robert Fico alla presidenza della Slovacchia, quasi due anni fa, ha visto il suo Paese invertire la propria politica nei confronti dell’Ucraina, passando dal sostegno al bellicismo occidentale all’emulazione della politica del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán, che chiedeva una rapida fine delle ostilità. Alcuni potrebbero quindi sorprendersi nell’apprendere che Fico si sia impegnato, all’inizio di settembre, a sostenere le garanzie di sicurezza occidentali per l’Ucraina, anche se solo per quanto riguarda l’utilizzo delle infrastrutture di trasporto slovacche in relazione a ciò.
Sebbene nessun leader occidentale abbia confermato esattamente cosa ciò potrebbe comportare, né è chiaro se vi sia consenso su come procedere al riguardo, questa analisi fa riferimento a precedenti rapporti che suggeriscono che potrebbero essere previste più armi, truppe sul terreno e forse persino una no-fly zone. Fico ha dichiarato che “la Slovacchia non invierà soldati in Ucraina”, ma facilitare l’invio di altri soldati potrebbe vanificare la sua ritrovata neutralità, così come ospitare jet e difese aeree per una no-fly zone ucraina.
Tuttavia, probabilmente non accetterà se ciò verrà fatto unilateralmente senza l’approvazione della Russia, poiché ha anche aggiunto che “Dobbiamo negoziare garanzie di sicurezza per l’Ucraina, dobbiamo negoziare garanzie di sicurezza per la Russia. Questo dovrebbe essere un pacchetto unico”. In assenza della sua approvazione come parte di una soluzione politica al conflitto ucraino , la Slovacchia probabilmente non svolgerà alcun ruolo logistico nelle garanzie di sicurezza dell’Occidente per l’Ucraina, poiché ciò violerebbe la sua promessa elettorale di tenerla fuori da questa guerra .
Allo stesso tempo, il motivo per cui Fico si è impegnato a fornire assistenza alle suddette condizioni è probabilmente dovuto alla pressione a cui è stato sottoposto dall’UE, che, come ha affermato il Ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto a fine agosto, ha cercato di deporre Orbán e Fico per le loro politiche pro-pace. La sua dichiarazione mirava quindi probabilmente ad alleviare parte di questa pressione, dimostrando che la Slovacchia coopererà con Bruxelles – sia l’UE che la NATO – sul dossier ucraino una volta che la pace sarà finalmente tornata.
Potrebbero non limitare la loro campagna, e lui potrebbe sempre imporre limiti a questa cooperazione, come rifiutarsi di ospitare jet e difese aeree per una no-fly zone ucraina, ma il significato risiede nella sua affermazione di fatto della Slovacchia come membro leale dell’Occidente che non si è “ribellato”. La politica estera del suo paese, proprio come quella dell’Ungheria, è in ultima analisi vincolata dal fatto che è un membro senza sbocco sul mare sia dell’UE che della NATO. Anche se volesse “ribellarsi”, cosa che non vuole, non c’è molto che possa fare.
Fico e Orbán stanno semplicemente esprimendo un dissenso di principio sulla politica da adottare entro i limiti legali loro imposti dall’adesione all’UE e alla NATO, a causa della politica occidentale nei confronti dell’Ucraina che danneggia i loro interessi nazionali. Una volta raggiunto un accordo di pace, e se le garanzie di sicurezza concordate includeranno almeno una maggiore fornitura di armi all’Ucraina, allora svolgeranno il ruolo che ci si aspetta da loro nello ” Schengen militare “. Se consentiranno il transito di truppe occidentali in Ucraina e/o ospiteranno risorse nella no-fly zone è un’altra questione.
Nel complesso, l’impegno della Slovacchia a contribuire alla garanzia di sicurezza occidentale per l’Ucraina è pragmatico dal punto di vista dei suoi interessi nazionali. Fico non può realisticamente aspettarsi alcun sollievo dalle pressioni dell’UE su di lui se minacciasse di ostacolare la spedizione di armi destinate all’Ucraina attraverso la Slovacchia dopo la fine del conflitto. Anche se la sua dichiarazione politica non cambia nulla a questo proposito, dissipa comunque la falsa percezione che il suo Paese sia “diventato un canaglia”, screditando così la continua campagna di pressione dell’UE.
Dopo aver catturato droni russi e bombardato i centri logistici della NATO in Polonia e Romania tramite un moderno “incidente di Gleiwitz”, l’Ucraina potrebbe raggiungere l’obiettivo di scatenare una guerra accesa tra NATO e Russia.
La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha sollevato l’attenzione mondiale sulle notizie riportate dai media ungheresi su un piano di provocazione ucraino con droni sotto falsa bandiera contro la NATO nel suo post su Telegram di venerdì. Ha linkato il sito di una delle testate, Pesti Srácok , poco più di due ore dopo la pubblicazione del suo editoriale. L’editoriale si è concluso citando post di Telegram non specificati sui piani dell’Ucraina di bombardare hub logistici in Polonia e Romania con droni russi catturati per poi incolpare Mosca.
Di conseguenza, non ci sono dati di intelligence attendibili al riguardo, solo resoconti sui social media ripresi dal Ministero degli Esteri russo e amplificati dalla sua portavoce. Tuttavia, ciò non significa che tale scenario non sia credibile, soprattutto considerando il contesto più ampio. Trump ha appena dato il via libera alla NATO per l’abbattimento dei jet russi che violano lo spazio aereo dell’Unione, il che potrebbe probabilmente incoraggiare alcuni membri a tentare l’abbattimento con falsi pretesti, rischiando così una grave escalation delle tensioni tra NATO e Russia, esattamente come auspicato dall’Ucraina.
Allo stesso modo, se i più zelanti anti-russi lungo la frontiera orientale dell’alleanza dovessero ricredersi per timore che Trump possa lasciarli a bocca asciutta, l’Ucraina potrebbe spingerli verso operazioni offensive contro la Russia mascherate da “ritorsione reciproca” attraverso questo complotto sotto falsa bandiera. La sostanza è simile a ciò che il Servizio di Intelligence Estero russo aveva messo in guardia due volte durante l’estate riguardo ai complotti congiunti britannico-ucraino per mettere in atto provocazioni sotto falsa bandiera nel Mar Baltico.
Secondo le loro fonti, ciò comporterebbe che siluri sovietici/russi trasferiti dall’Ucraina colpiscano una nave statunitense o che esplodano nelle sue immediate vicinanze e/o recuperino mine sovietiche/russe trasferite dall’Ucraina, il che potrebbe bastare a spingere Trump a una missione più aggressiva. Potrebbero anche giustificare falsamente azioni offensive sulla base di “ritorsioni reciproche”, anche se in mare in questi scenari, mentre l’ultimo scenario di cui ha parlato Zakharova potrebbe includere droni, attacchi aerei e/o una no-fly zone.
La Russia continua a guadagnare gradualmente terreno nella speciale zona di operazione e, sebbene non si sia ancora verificata alcuna svolta, le dinamiche militare-strategiche sono chiaramente a suo favore e decisamente contro quelle dell’Ucraina. Portata alle sue estreme conseguenze, questa tendenza porterà inevitabilmente la Russia a controllare tutto il territorio conteso, consentendo così a Mosca di porre fine al conflitto alle sue condizioni. L’Ucraina vuole scongiurare questo scenario e sta disperatamente cercando di progettare la svolta decisiva di un intervento diretto della NATO a tal fine.
Solo attraverso uno sviluppo così drammatico le dinamiche sopra menzionate potrebbero essere alterate, almeno per congelare il conflitto , cosa che l’Ucraina e l’Occidente hanno inutilmente chiesto alla Russia, poiché ciò lascerebbe insoddisfatti molti dei suoi obiettivi nel conflitto, ergo le motivazioni sotto falsa bandiera dell’Ucraina. Aver catturato droni russi e bombardato gli hub logistici della NATO in Polonia e Romania attraverso un moderno “incidente di Gleiwitz”, come Zakharova ha descritto i presunti piani dell’Ucraina, potrebbe facilmente raggiungere questo obiettivo.
Pertanto, sebbene non vi siano prove a sostegno dell’affermazione che l’Ucraina stia preparando una provocazione sotto falsa bandiera con droni contro la NATO, questa ipotesi non può essere esclusa. Il post di Zakharova aveva lo scopo di smascherare questo complotto e quindi scoraggiare l’Ucraina, ma nel caso in cui ciò dovesse ancora accadere, Trump non dovrebbe lasciarsi manipolare da Zelensky per provocare un disastro di proporzioni epiche, coinvolgendo gli Stati Uniti nella falsa “ritorsione reciproca” della NATO o promettendo di difendere il blocco prima che la Russia gli impartisca probabilmente una lezione dolorosa e indimenticabile.
La Germania potrebbe sovvenzionare il complesso militare-industriale polacco come forma di risarcimento.
Il partito polacco “Diritto e Giustizia” (PiS), che ne è la principale forza nazionalista conservatrice (ma molto imperfetta), negli ultimi anni ha rilanciato la questione delle riparazioni tedesche alla Polonia per la Seconda Guerra Mondiale. Questa questione era stata sostenuta con entusiasmo e senza successo quando controllavano la presidenza e il parlamento, ma oggi mantengono il controllo della prima solo attraverso Karol Nawrocki, il loro alleato nominalmente indipendente. È stato proprio lui a sollevare nuovamente la questione durante il suo viaggio in Germania a metà settembre.
Ha proposto creativamente che “la Germania potrebbe iniziare a pagare le riparazioni sviluppando il potenziale dell’industria bellica polacca e rafforzando il fianco orientale della NATO. Questa non è una ricetta definitiva, ma un inizio”. Per quanto riguarda il contesto , la Germania considera la questione chiusa dopo che la “Repubblica Popolare Polacca” rinunciò al suo diritto alle riparazioni nel 1953 in cambio del riconoscimento del suo nuovo confine, ma il PiS sostiene che ciò fosse illegittimo a causa di quella che la Polonia post-comunista considera essere stata l’occupazione sovietica di allora.
Indicano anche in modo più convincente i risarcimenti tedeschi ai sopravvissuti all’Olocausto e alla Namibia (per il genocidio dell’era coloniale) come prova di un doppio standard che, sperano, metterà la Germania in imbarazzo a sufficienza da spingerla a pagare finalmente i risarcimenti anche alla Polonia. Il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski, rappresentante della “Coalizione Civica” liberal-globalista, ha lamentato che “sebbene moralmente la Polonia meriti un risarcimento per i crimini tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, dal punto di vista legale la questione è purtroppo senza speranza”.
Ricordiamo che circa 6 milioni di polacchi furono uccisi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, pari a circa 1/5 della popolazione prebellica, la percentuale più alta di qualsiasi altro Paese. I polacchi furono anche le prime vittime dei genocidi nazisti, essendo stati presi di mira per lo sterminio fisico anche prima della guerra lampo del 1° settembre 1939, come dimostrato dal Libro Speciale dell’Accusa – Polonia , che portò all’Operazione Tannebnerg e all’Intelligenzaktion . Queste azioni precedettero la ” Soluzione Finale ” per il genocidio degli ebrei.
Mentre alcuni sostengono che la cessione da parte della Germania di quelli che la Polonia considera i “Territori Recuperati” fosse una forma di risarcimento, in realtà fu concordata dagli Alleati a Potsdam come compensazione per la perdita da parte della Polonia di quelli che considerava i “Kresy”, o “Terre di Confine Orientali”. Questa metà della Polonia tra le due guerre era divisa tra le ex repubbliche sovietiche di Lituania, Bielorussia e Ucraina. Fu la patria di molti re, leader militari e personalità culturali che plasmarono la civiltà-stato polacca.
Tornando al presente, la soluzione creativa di Nawrocki alla controversia polacco-tedesca sulle riparazioni, riaccesa dai suoi alleati del PiS nel 2022, mira a far sì che la Germania ridistribuisca alla Polonia parte della ricchezza destinata alla rimilitarizzazione , modernizzando così più rapidamente il complesso militare-industriale del suo Paese. Il riferimento al fianco orientale della NATO intende suggerire che la Germania abbia un interesse strategico-militare condiviso (almeno secondo la sua élite ) nel rafforzare il ruolo della Polonia come avanguardia anti-russa del blocco.
Ora comanda il terzo esercito più grande della NATO dopo la sua militarizzazione e spende più PIL per la difesa di qualsiasi altro membro, ma questo potrebbe essere finanziariamente oneroso da mantenere, da qui la proposta della ben più ricca Germania di sovvenzionarlo con il pretesto delle riparazioni. La Germania potrebbe ancora rifiutare per ragioni di prestigio nazionale, ma se Nawrocki convincesse il suo alleato Trump che la Polonia può guidare il contenimento della Russia in Europa dopo la fine del conflitto ucraino , allora gli Stati Uniti potrebbero costringerla ad adeguarsi.
Benjamin Netanyahu ha già rettificato quanto dichiarato da Trump sulla costruzione di uno stato palestinese. Intanto riemergono nuovi attori con Netanyahu che inizia a perdere l’esclusiva_Giuseppe Germinario
Lunedì 29 settembre, alla Casa Bianca, Donald Trump ha presentato le sue proposte per un piano di pace per la Striscia di Gaza, in vista di una dichiarazione congiunta con Benjamin Netanyahu.
Trasmesso su diversi media internazionali , questo progetto ha ricevuto l’approvazione del Primo Ministro israeliano.
Ecco la traduzione del piano in 20 punti per porre fine alla guerra a Gaza:
1-Gaza sarà una zona deradicalizzata, libera dal terrorismo e non rappresenterà una minaccia per i suoi vicini.
2-Gaza verrà riqualificata a beneficio della popolazione di Gaza, che ha già sofferto abbastanza.
3- Se entrambe le parti accettano questa proposta, la guerra terminerà immediatamente. Le forze israeliane si ritireranno sulla linea concordata per preparare il rilascio degli ostaggi. Durante questo periodo, tutte le operazioni militari, compresi i bombardamenti aerei e di artiglieria, saranno sospese e le linee del fronte rimarranno congelate fino a quando non saranno soddisfatte le condizioni per un ritiro completo e graduale.
4- Entro 72 ore dall’accettazione pubblica del presente accordo da parte di Israele, tutti gli ostaggi, vivi o deceduti, saranno restituiti.
5- Una volta rilasciati tutti gli ostaggi, Israele rilascerà 250 ergastolani e 1.700 cittadini di Gaza detenuti dopo il 7 ottobre 2023, comprese tutte le donne e i bambini detenuti in questo contesto. Per ogni ostaggio israeliano le cui spoglie saranno restituite, Israele rilascerà le spoglie di 15 cittadini di Gaza deceduti.
6- Una volta che tutti gli ostaggi saranno stati restituiti, ai membri di Hamas che si impegneranno per la coesistenza pacifica e il disarmo verrà concessa l’amnistia. A coloro che desiderano lasciare Gaza verrà garantito un passaggio sicuro verso i paesi ospitanti.
7- Una volta accettato il presente accordo, tutti gli aiuti saranno immediatamente inviati alla Striscia di Gaza. Come minimo, i volumi di aiuti corrisponderanno a quelli previsti dall’accordo del 19 gennaio 2025 sugli aiuti umanitari, compresa la riabilitazione delle infrastrutture (acqua, elettricità, fognature), degli ospedali e dei panifici, nonché l’invio delle attrezzature necessarie per la pulizia e la riapertura delle strade.
8- L’ingresso e la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza saranno effettuati senza interferenze da entrambe le parti, attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, nonché la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali neutrali. L’apertura del valico di Rafah in entrambe le direzioni seguirà lo stesso meccanismo stabilito dall’accordo del 19 gennaio 2025.
9-Gaza sarà amministrata da una governance transitoria temporanea affidata a un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, incaricato della gestione quotidiana dei servizi pubblici e dei comuni. Questo comitato sarà composto da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, supervisionato da un nuovo organismo internazionale di transizione, il “Consiglio per la Pace”, presieduto da Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da annunciare, tra cui l’ex Primo Ministro Tony Blair. Questo organismo definirà il quadro e gestirà il finanziamento della ricostruzione di Gaza fino a quando l’Autorità Nazionale Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme, come previsto in diverse proposte, tra cui il piano di pace di Trump del 2020 e la proposta franco-saudita, e sarà in grado di riprendere effettivamente il controllo di Gaza.
10- Verrà elaborato un piano di sviluppo economico guidato da Trump per ricostruire e rivitalizzare Gaza, con un gruppo di esperti che hanno contribuito alla creazione di città moderne e prospere in Medio Oriente. Le proposte di investimento e le idee di sviluppo esistenti saranno integrate per attrarre e facilitare investimenti che creino posti di lavoro, opportunità e speranza per il futuro di Gaza.
11-Sarà creata una zona economica speciale con tariffe preferenziali e accordi di accesso negoziati con i paesi partecipanti.
12- Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza e coloro che lo desiderano saranno liberi di farlo e di tornare. L’obiettivo è incoraggiare i residenti a rimanere e costruire una Gaza migliore.
13- Hamas e altre fazioni si impegnano a non avere alcun ruolo nella governance di Gaza, direttamente o indirettamente. Tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi tunnel e fabbriche di armi, saranno distrutte e non potranno essere ricostruite. Sarà attuato un processo di smilitarizzazione, supervisionato da osservatori indipendenti, per rendere le armi permanentemente inutilizzabili, con un programma di riacquisto e reintegrazione finanziato a livello internazionale, verificato da questi osservatori.
14-I partner regionali garantiranno che Hamas e le sue fazioni rispettino i propri obblighi e che la “nuova Gaza” non rappresenti una minaccia per i suoi vicini o per la sua popolazione.
15- Gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e internazionali per istituire una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) temporanea da dispiegare immediatamente a Gaza. L’ISF addestrerà e supporterà determinate forze di polizia palestinesi, in coordinamento con Giordania ed Egitto. Garantirà la sicurezza interna a lungo termine, collaborerà con Israele ed Egitto per proteggere i confini e impedire l’ingresso di armi, facilitando al contempo il flusso rapido e sicuro di beni per la ricostruzione.
16- Israele non occuperà né annetterà Gaza. Man mano che le IDF ne ristabiliranno il controllo e la stabilità, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) si ritireranno secondo criteri, fasi e calendari relativi alla smilitarizzazione, concordati tra le IDF, le IDF, i Garanti e gli Stati Uniti. Le IDF cederanno gradualmente i territori occupati alle IDF fino al completo ritiro, fatta eccezione per una presenza di sicurezza periferica finché Gaza non sarà protetta da qualsiasi minaccia terroristica.
17-Se Hamas ritarda o respinge questa proposta, le misure di cui sopra, tra cui l’intensificazione delle operazioni di aiuto, saranno attuate nelle zone libere dal terrorismo trasferite dalle IDF alle IDF.
18-Sarà avviato un processo di dialogo interreligioso, basato sulla tolleranza e sulla coesistenza pacifica, al fine di cambiare le mentalità e le narrazioni di palestinesi e israeliani, evidenziando i benefici concreti della pace.
19-Con il progredire della ricostruzione di Gaza e il raggiungimento del programma di riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese, si potranno finalmente creare le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la creazione di uno Stato palestinese, aspirazione del popolo palestinese.
20-Gli Stati Uniti avvieranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico di coesistenza pacifica e prospera.
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Chiedo scusa per la sovraesposizione. Al mio precedente post l’amico Ernesto ha posto un commento talmente condivisibile da richiedere su di un punto una replica estesa, soprattutto per far capire il tornante geopolitico che , purtroppo, ci siamo lasciati dietro questa estate .
Partirò quindi da questa affermazione di Ernesto
“A questo punto il condor ha ancora la possibilità di tirarsene fuori abbandonando i topolini al loro destino” .
Su questo io penso di no. Il Condor non sopravviverà ai suoi topolini.
Forse, sottolineo forse, c’ è stato un tempo che Trump voleva davvero ciò che raccontava ai suoi elettori, ma anche a quel primo Trump le “leggi ferree della geopolitica” non hanno dato scampo.
Gli USA che sono stati non torneranno più e gli U$A che ci sono adesso non hanno altra speranza de ” o la va o la spacca” . Gli U$A andranno avanto con il LORO “piano B”, ma contrariamente a quello che sperano ancora molti sostenitori di Trump gli U$A non potranno NON essere coinvolti nel destino dei loro “topolini “.
E adesso lo spiegherò meglio esplicitando il “piano B” della NATO già rivelato nella sue modalità dai “topolini” più eccitati.
Come infatti è innegabile il “piano A” russo è fallito. Non è stato possibile indurre una qualche resipiscenza nel regime NATO -nazista di Kiev. Non so se al Kremlino ci sperassero veramente ma era sicuramente una cosa da tentare, fallita la quale alla Russia non è restato che il “piano B”: liquidare la NATO-ucraina attraverso il suo esaurimento sul campo di battaglia grazie alle superiori forze della Russia
La cosa però procede lentamente grazie alle continue “trasfusioni” occidentali. Male per tutti ma soprattutto per l’ Ucraina che alla fine in un modo o nell’ altro non esisterà più.
Ma specularmente anche il “piano A” della NATO è fallito.
Il “piano A” della NATO era portare la Russia in un Afganistan 2.0. La Russia doveva impantanarsi in Ucraina e poi spezzarsi sotto una enorme pressione “occidentale”.
Ma la Russia è ancora solidamente lì nel mentre la loro Ucraina scricchiola sotto il piano B russo.
Quale è allora il nuovo piano B della NATO? Replicare il piano B russo partendo dall’assunto che la Russia è un “nano” rispetto a “l’ occidente”
Ma come evitare che un conflitto DIRETTO NATO-Russia non vada fuori controllo?
Usando l’ arma della “narrazione”, l’ unica arma in cui l’occidente ha un vantaggio incolmabile.
La “ narrazione” serve per mobilitare tutte le ( supposte) maggiori risorse de “ l’ occidente” per una “guerra di usura” a “bassa intensita” che alla lunga logori la Russia, provocandone il “ crollo interno” come in Germania-1918 , o un disperato avventurismo come in Germania-1941.
Ma anche sorvolando sulla faciloneria di questo schema (ad esempio come mandare milioni di idioti a morire in Russia ? ), la vera incognita resta evitare il “fuori controllo”, essendo che la Russia lotta per la PROPRIA sopravvivenza mentre l’ €uropa dovrebbe immolarsi per la LORO.
E’ quindi chiaro che gli U$A hanno un “piano C” che in sostanza sembra lo stesso di sempre e su cui contano le €uroelites come propria ciambella di salvataggio : entrare in guerra DIRETTAMENTE con tutto il proprio peso quando la Russia sarà logorata ben bene .
Ma anche questo è avventurismo perché questo la Russia la sa bene e anche la Cina lo sa.
Quindi il vero “ piano C” americano è NON entrare MAI direttamente in guerra , accendendo la guerra in tutto il mondo e restando a guardarla al riparo di due oceani.
Ma è altrettanto avventurismo perché Russia e Cina sanno bene anche questo.
Quindi la conclusione resta la stessa che scrissi fin dall’inizio : la Russia NON si farà logorare e nel momento che la Russia giudicherà inevitabile far finire questa finzione della NON-guerra NATO-Russia, vedremo subito i “fuochi d’artificio”. Altro che “logoramento” !
Insomma stiamo andando alla cieca verso una guerra nucleare.
Per questo i russi sono disposti ad “una cattiva pace” ma non al prezzo di una “sconfitta strategica”; quella se la devono imprimere chi questa guerra l’ ha voluta, e Trump ha perso l’ attimo magico per cui poteva ancora dire “ questa guerra non è la mia”.
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Si può perdonare il discorso del 15 settembre del Presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi al vertice straordinario convocato all’indomani dell’attacco di Israele al Qatar. C’è troppo rumore nella cacofonia di voci generata dalla metastasi della campagna di vendetta di Israele a Gaza e, a dire il vero, Sisi non è noto per fare discorsi consequenziali.
Ciononostante, il presidente egiziano ha tenuto quello che potrebbe essere il discorso più importante di un leader egiziano, anzi di un governante arabo, dopo l’epocale discorso di Anwar Sadat davanti alla Knesset di Israele a Gerusalemme, quasi mezzo secolo fa.
Le osservazioni pionieristiche di Sadat hanno stabilito i parametri dello storico impegno israelo-egiziano che ora sono minacciati. Con tutti i suoi difetti e le sue inadeguatezze, la pace tra Egitto e Israele ha inaugurato una nuova era, anche se tutt’altro che pacifica, negli affari israelo-arabi e regionali, con al centro la diplomazia a guida americana.
“Se Dio mi ha destinato ad assumermi la responsabilità per conto del popolo egiziano”, dichiarò Sadat dal podio della Knesset;
uno dei compiti principali di questa responsabilità è quello di non lasciare nulla di intentato per risparmiare al mio popolo arabo egiziano gli orrori strazianti di un’altra guerra distruttiva, la cui portata solo Dio può conoscere. Dopo aver riflettuto a lungo, sono giunto alla conclusione che la responsabilità che mi assumo davanti a Dio e al popolo mi impone di andare in qualsiasi parte del mondo, anche a Gerusalemme, per esporre ai membri della Knesset – rappresentanti del popolo israeliano – tutti i fatti. Vi lascio quindi liberi di decidere, e sia fatta la volontà di Dio….
Oggi vi dico, e dichiaro al mondo intero, che accettiamo di vivere con voi in una pace duratura e giusta. Non vogliamo circondarci l’un l’altro con razzi pronti a distruggere o con missili di faide e odi….
Vi chiedo oggi – attraverso la mia visita a voi – perché non tendiamo le mani con fede e sincerità, per infrangere insieme questa barriera? … L’espansione non vi farà guadagnare nulla. …
Per quanto riguarda la causa palestinese, nessuno può negare che sia il nocciolo dell’intero problema. Nessuno in tutto il mondo oggi può accettare slogan sollevati qui in Israele, che ignorano l’esistenza del popolo palestinese e si chiedono addirittura: “Dov’è questo popolo? La causa del popolo palestinese e i suoi legittimi diritti non sono più ignorati o negati da nessuno.
Ero a Gerusalemme al momento della visita di Sadat, insieme a decine di giornalisti di tutto il mondo riuniti nel Teatro di Gerusalemme, per registrare questa nuova, drammatica e, in effetti, speranzosa svolta degli eventi;
Quel mondo è scomparso.
La strada così eloquentemente immaginata da Sadat è diventata un vicolo cieco, che minaccia l’esistenza stessa del popolo palestinese (per non parlare della creazione di uno Stato palestinese) e la distruzione della struttura diplomatica e di sicurezza costruita dagli Stati Uniti dopo la guerra del giugno 1967, con al centro il riavvicinamento Israele-Egitto.
A Doha, Sisi, l’erede di Sadat e della sua eredità, ha lanciato un avvertimento senza precedenti. Ha descritto Israele come un “nemico”, avvertendo che le politiche israeliane “non porteranno a nuovi accordi di pace, ma potrebbero annullare quelli esistenti”. Ha sollecitato “un’azione decisa e sincera” contro quelle che ha definito “le ambizioni del nemico”, affermando che solo misure decise potrebbero scoraggiare “ogni aggressore e avventuriero sconsiderato”.
“Israele”, ha dichiarato Sisi, “cerca di trasformare [la regione] in un’arena di aggressione, che minaccia la stabilità dell’intera regione e costituisce una grave violazione della pace e della sicurezza internazionale e delle regole stabili dell’ordine internazionale”.
Ha proseguito,
Le pratiche israeliane hanno superato ogni logica politica o militare e hanno oltrepassato tutte le linee rosse.
Al popolo di Israele dico: Ciò che sta accadendo ora mina il futuro della pace, minaccia la vostra sicurezza e quella di tutti i popoli della regione, ostacola qualsiasi possibilità di nuovi accordi di pace e addirittura annulla gli accordi di pace esistenti con i Paesi della regione. Le conseguenze saranno disastrose, con il ritorno della regione all’atmosfera di conflitto e la perdita degli sforzi storici di costruzione della pace e delle conquiste ottenute grazie ad essi, un prezzo che pagheremo tutti senza eccezioni.
Ci troviamo di fronte a un momento cruciale che richiede la nostra unità come fulcro fondamentale per affrontare le sfide della nostra regione, in modo da evitare di scivolare in ulteriori caos e conflitti e prevenire l’imposizione di accordi regionali che contraddicono i nostri interessi e la nostra visione comune.
Sisi non sta aspettando gli arabi e le nazioni islamiche. Sta prendendo misure militari concrete e minacciose nel punto di potenziale conflitto armato – la linea Philadelphi che separa l’Egitto da Gaza – e nel Sinai in generale, per scoraggiare le mosse israeliane di spostare i palestinesi oltre la frontiera.
Dall’ottobre 2023, l’Egitto ha aumentato significativamente la sua presenza militare nel Sinai settentrionale, in particolare lungo il confine con Gaza. The Middle East Eye ha riferito nell’agosto 2025 che l’Egitto ha dispiegato circa 40.000 soldati nel Sinai settentrionale, il doppio del numero consentito dal trattato di pace con Israele del 1979 e ben oltre gli aumenti negoziati negli ultimi 15 anni.
Questi dispiegamenti nel Sinai includono anche armi pesanti e sistemi avanzati di difesa aerea HQ-9B di fabbricazione cinese, simili agli S-400 russi.
Questa rimilitarizzazione del Sinai mette alla prova la pertinenza delle limitazioni del trattato alla base dell’accordo di pace israelo-egiziano, compresa la MFO guidata dagli Stati Uniti con sede a Sharm al Sheikh, istituita per monitorare il rispetto del trattato ma apparentemente del tutto assente nell’attuale crisi.
Le immagini satellitari disponibili nei primi mesi dopo l’inizio della guerra (ma non attualmente) hanno rivelato che l’Egitto ha costruito un recinto di sicurezza murato nel Sinai, lungo la linea Egitto-Gaza, per prepararsi a un afflusso di massa di rifugiati palestinesi da Gaza. Questa costruzione comprende muri alti 7 metri intorno a un’area di 20 chilometri quadrati destinata ad accogliere più di 100.000 sfollati.
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Le conseguenze di una decisione israeliana di fomentare l’esodo di massa dei palestinesi attraverso la linea Philadelphi verso l’Egitto non possono essere sopravvalutate. Un esodo palestinese verso l’Egitto è infatti al centro delle preoccupazioni egiziane per l’aggressione di Israele a Gaza. Già nel novembre 2023, Sisi descriveva tale esodo come una “linea rossa” che avrebbe trasformato il Sinai in una base per attacchi contro Israele.
Una simile calamità potrebbe produrre un momento del 1948, mettendo in luce l’impotenza degli arabi in generale di fronte alla potenza militare israeliana e minacciando la stessa sopravvivenza del regime di Sisi.
Per una questione di autoconservazione sulla scia dell’implosione del vecchio ordine, il leader egiziano sta avvertendo Israele che la guerra è un’opzione.
L’autore
Geoffrey Aronson
Geoffrey Aronson è uno scrittore, analista e consulente americano specializzato in questioni mediorientali, con particolare attenzione al conflitto israelo-palestinese.. Ha partecipato agli sforzi diplomatici Track II tra gruppi israeliani e palestinesi e ha ospitato un impegno tra Israele e Siria nel 2005. Aronson è autore di diversi libri, tra cui Creare fatti: Israele, i palestinesi e l’Intifada e Da contorno a palcoscenico: La politica degli Stati Uniti verso l’Egitto.
Non volevo scrivere questo commento. Preciso: l’ho scritto di getto e poi ho pensato a quanto sia inutile ed antipatico fare la Cassandra, cosa che peraltro è tutta la vita che faccio.
Ho però pensato che tacere su ciò che riteniamo sia il male è vigliaccheria e siccome non sono un vigliacco, se essere “cassandra” è la mia natura, ne sopporterò le conseguenze .
Simplicius qui descrive bene la deriva politica €uropea esprimendo quella grande meraviglia ed incredulità che francamente sarebbero anche le mie . Avevo già da tanto tempo individuato questa deriva; eppure nel mio profondo non ci volevo veramente credere e quindi anch’io oggi dico: ma davvero? Di già?
Chiarisco: lo sapevo, ma non avrei mai pensato che tale mutazione fosse così tanto spudoratamente veloce.
Eppure lo diceva già Aristotele: “motus in fine velocior” e ho già spiegato che noi “molecole umane” è proprio la “velocità” l’ unico dato certo con cui possiamo stimare i tempi della “ trasformazione” a cui siamo sottoposti.
Facciamo tuttavia bene attenzione a non confondere i veri “dante causa” con il LORO strumento operativo; non confondiamo “i cani” che ci azzannano alle caviglie con i padroni che li hanno allevati.
Le “nostre” élites che sottoscrivono la nostra “ trasformazione” non sono i veri decisori, ma solo un compiacente strumento; l’abisso in cui si sta avvitando la “governance” €uropea non è una loro ” disperazione strategica” ma pura STRATEGIA dei loro padroni. Anche il più stupido burattino messo a (s)governarci capirebbe che così operando l’ €uropa e quindi anche lui e la sua ghenga ne uscirebbero completamente distrutti.
Al di là della loro utilissima immoralità e delle loro particolari psicopatologie per cui sono stati accuratamente selezionati a “l’ incarico”, questi “cani” sono solo “agenti”; esattamente come certi killer delle bande mafiose, loro possono solo “uccidere”, cosa che per altro li gratifica non solo economicamente. Sono psicopatici che godono a fare del male.
Ed è stupido chi tra noi si aspetti da costoro una qualche minima resipiscenza o un qualche minimo spirito di autoconservazione che, al caso, consisterebbe solo nel darsela a gambe nelle loro ville in giro per il “mondo libero” dove godersi “il gruzzoletto”.
Sono TUTTI “Zelensky” e ve ne accorgerete a” tempo debito”!
E anche questa storia della sorveglianza digitale per cui NOI SOLI, non certo i LORO coloni afroislamici …, non potremo vivere senza sottometterci a LORO, è perfettamente finalizzata alla LORO STRATEGIA: costringerci in un cammino verso un abisso di povertà e privazioni, oltre che essere uno strumento tattico per spingere i nostri giovani più idioti ad andare “spintaneamente “ a morire per LORO in Russia attratti da un “ottimo ingaggio”.
“Ottimo”, del tipo quello che già abbiamo visto usare in Ucraina, con il quale, come recitava una apposita pubblicità, gli eventuali volenterosi avrebbero potuto mangiare “migliaia di hamburger al Mcdonald “, evidentemente colà considerata la suprema aspirazione di vita di una gioventù sapientemente rimbecillita.
Perché , e lo ripeto : €uropa,” de te fabula, Ucraina, narrat”.
E come si potrebbe resistere a questa deriva? Come può un gregge di “pecore matte” difendersi da un ” cattivo pastore”?
Beh, oramai c’ è ben poco da fare! Come spiega profeticamente Dante ( paradiso canto V 72-78) un ” gregge” avrà sempre bisogno di un “pastore” e dovrebbe sempre stare molto accorto a farsi convincere da “un “lupo vestito da agnello “ a cambiarlo o, peggio ancora , farsi convincere di poterne fare a meno.
I “paesi dei balocchi ” NON esistono !
E siccome ora siamo nelle mani di ” cattivi pastori” non è certo con “l’apatia politica” che ne verrà uno “migliore” , né tantomeno utile credere che a fermare quello che abbiamo adesso basti il solo ” mugugno passivo” aka “astensione elettorale” .
Ma chi tra voi sarà arrivato a questo punto vorrà sapere : ma insomma che cosa è questa supposta, consideratelo aggettivo e sostantivo, STRATEGIA? Ma soprattutto dove ci vuole portare ?
Beh “ci sono cose che, se potessero essere comprese, non andrebbero spiegate” . Se non sentite i belati sempre più forti e non vedete i recinti sempre più stretti, è inutile che ve lo spieghi .
L’ unica cosa che posso dire agli increduli è : “buon per voi che non capite niente”, come dicono in Toscana, perché in sostanza avete “ragione” voi: “per ora tutto bene” , no?
Quindi godiamoci “il volo” , finché dura.
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Le elezioni moldave si sono concluse con i risultati “democratici” previsti. Maia Sandu consolida il proprio potere come ennesima ex dirigente bancaria (“Sandu ha ricoperto il ruolo di consulente del direttore esecutivo della Banca Mondiale”) alla guida di una nazione occidentale.
Ora che i tentacoli del controllo sull’Europa stanno cadendo al loro posto per la cabala, stanno intensificando la macchina da guerra per portare il conflitto alla sua naturale fase successiva, che includerà necessariamente un aumento massiccio delle forze militari e provocazioni contro la Russia, al fine di costringere i vassalli dell’UE a un “punto di non ritorno” militare.
La nuova direttiva che sta prendendo piede è che l’Europa è “già in guerra”, il cui scopo è quello di trasformare gradualmente l’intera UE in un blocco militare a tutti gli effetti. Abbiamo già commentato la scorsa volta come la retorica di Ursula von der Leyen abbia dimostrato che le sue uniche priorità come leader rimangono la guerra e l’allarmismo sulla crisi sanitaria globale. Ora, lentamente ma inesorabilmente, queste élite stanno cercando di trasformare l’UE in una sorta di super-NATO, dove l’autorità centrale ha effettivamente il potere di costringere queste nazioni a militarizzarsi e andare in guerra, al contrario della struttura più flessibile e “suggestiva” della NATO.
Come al solito, il messaggio è coordinato e preciso:
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ex ministro della difesa tedesco, ha promosso una discussione senza precedenti al vertice sulle capacità militari dell’UE, andando ben oltre il tradizionale focus del blocco su commercio, antitrust ed economia. Tra le opzioni proposte vi è la creazione di un “muro di droni”, un sistema in grado di rilevare, tracciare e abbattere i droni, nonché progetti volti a garantire una rapida risposta agli aerei che violano lo spazio aereo europeo.
Come visto sopra, l’articolo sottolinea che von der Leyen sta spingendo surrettiziamente il blocco in una direzione per cui non è mai stato progettato.
L’articolo riconosce che i leader europei stanno manifestando in privato molta apprensione riguardo alla direzione che stanno prendendo le cose:
Eppure questa fase più pericolosa della politica europea è costellata di potenziali disastri. In privato, i funzionari governativi hanno espresso preoccupazione per la prospettiva di un “momento Franz Ferdinand”, in cui un’improvvisa escalation minaccia di trascinare il continente in un conflitto, come l’assassinio dell’arciduca nel 1914 che scatenò la prima guerra mondiale.
Il primo ministro polacco Donald Tusk ha appoggiato la campagna informativa concertata, affermando che, che piaccia o no, questa guerra è «la nostra guerra»:
L’Europa è in guerra, ed è un nuovo tipo di guerra, ha dichiarato il primo ministro polacco Tusk.
Il compito più grande e importante per i nostri opinion leader oggi è quello di far capire agli altri, all’intera comunità transatlantica occidentale, che questa è una guerra. Non la volevamo, a volte è strana, è un nuovo tipo di guerra, ma è pur sempre una guerra”, ha affermato Tusk.
Egli utilizza persino una citazione attribuita a Tucidide nel tentativo di giustificare e normalizzare il continuo bellicismo del suo odioso blocco:
«La pace è solo un breve intermezzo in uno stato naturale di conflitti e guerre.»
Tusk legge il suo copione in modo chiaro e forte:
Secondo lui, la cosa più importante che tutti i leader europei devono fare – piuttosto che governare i propri paesi, risolvere i problemi sociali dei propri cittadini, ecc. – è quella di far accettare ai propri cittadini la “realtà” che l’Europa è in guerra con la Russia.
Questo è il motivo per cui vengono condotte operazioni psicologiche una dopo l’altra, per creare tutte le condizioni tipiche di un “periodo di guerra”, come l’ultima notizia secondo cui la Danimarca ha richiamato i riservisti dopo le “minacce dei droni”.
La campagna informativa coordinata è amplificata da tutti gli attori istituzionali:
È sorprendente quanto siano simili le propagande prestabilite. Nell’articolo sopra riportato, si noti come il “capo dell’MI5” ripeta quasi alla lettera ciò che Tusk aveva detto in precedenza riguardo al “nuovo tipo di guerra”:
“È un tipo di guerra diverso, ma l’ostilità, gli attacchi informatici, gli attacchi fisici, il lavoro di intelligence sono molto estesi.”
Questi strani “slogan” vengono coniati da qualche parte nei corridoi di Bruxelles e poi somministrati a tutti i burattini affinché li ripetano a pappagallo, come si vede continuamente quando queste sciocchezze memetiche vengono ripetute a comando; anche gli Stati Uniti hanno la loro parte, ricordiamo il tormentone della campagna “joy” di Kamala.
Ma sembra che non tutti siano d’accordo. Il quotidiano tedesco Berliner Zeitung ha deciso di andare controcorrente e mettere in discussione il senso di queste nuove iniziative propagandistiche discutibili:
Hanno anche identificato un altro dei bizzarri slogan coordinati utilizzati insieme al “nuovo tipo di guerra” citato in precedenza: guerra ibrida. Si tratta di un altro termine che diversi funzionari dell’UE hanno iniziato a utilizzare in modo puramente “casuale”:
Cosa hanno in comune Polonia, Estonia e Danimarca? A prima vista, non molto. Tutti e tre i paesi appartengono all’UE e alla NATO, ma geograficamente e politicamente sono molto distanti tra loro. Tuttavia, ultimamente vengono spesso citati insieme come esempi della “guerra ibrida” che la Russia sta conducendo contro l’Europa.
L’Economist ha illustrato tutti gli attacchi di guerra ibrida che la Russia avrebbe compiuto:
Berliner lo dice chiaramente:
L’Occidente sta cedendo all’allarmismo: pericolo di guerra!
Se Putin fosse dietro a tutto questo, cosa per cui finora non ci sono prove, il suo “test” avrebbe dimostrato soprattutto una cosa: quanto siano impotenti e isteriche le reazioni dell’Occidente. Invece di verificare con calma i fatti ed esaminare il contesto, i media e i politici ipotizzano immediatamente lo scenario peggiore: il pericolo di una guerra! Questo è preoccupante.
Per inciso, va ricordato che il Berliner Zeitung ha fatto centro con un altro articolo che svela come la cricca dell’UE rubi le elezioni ai propri membri “sovrani”:
Anche Victor Orban ha chiaramente compreso la situazione. Nel suo ultimo discorso, ha definito l’Unione Europea un progetto bellico e ha affermato che l’UE ha apertamente dichiarato che il suo obiettivo principale per il prossimo decennio è la sconfitta della Russia:
In breve, in linea con quanto affermato nell’introduzione, l’UE si sta lentamente trasformando in un blocco puramente militare il cui unico orientamento operativo, principio e obiettivo ruota attorno alla sconfitta della Russia. E non solo la sconfitta, ma anche la totale distruzione della stessa, dato che l’erede designata dell’UE Kaja Kallas ha recentemente dichiarato apertamente che la Russia dovrebbe essere balcanizzata in molti piccoli Stati più deboli.
Ora c’è molto clamore intorno alla presunta autorizzazione da parte di Trump di attacchi a lungo raggio e alla pianificazione della consegna di missili Tomahawk all’Ucraina. Per ora, penso che si tratti per lo più di sciocchezze, dato che la notizia degli attacchi a lungo raggio è stata diffusa dal famigerato imbroglione Keith Kellogg, che ama “interpretare” le indicazioni di Trump secondo la sua visione neoconservatrice e che in passato si è dimostrato in errore praticamente in tutte le sue previsioni simili.
Per quanto riguarda i Tomahawk, sembra trattarsi ancora una volta di una sciocchezza, dato che l’Ucraina non ha la capacità di lanciarli dall’aria o dal mare, e i lanciatori terrestri non esistono ancora in versioni completamente operative. Si dice che i sistemi Typhon dovrebbero essere consegnati alla Germania forse nel 2026, a quel punto la Germania potrebbe “teoricamente” fornire uno o due di questi sistemi all’Ucraina.
Dato che i missili Tomahawk sono in grado di trasportare testate nucleari, ovviamente un tale inasprimento risulterebbe estremamente pericoloso per la Russia, poiché quest’ultima dovrebbe sempre presumere che qualsiasi sistema occidentale lanciato contro di essa trasporti testate nucleari e agire di conseguenza, motivo per cui la probabilità che ciò accada è bassa.
Putin condivide le sue riflessioni:
Anche Dmitry Medvedev si sintonizza con lo spirito del tempo e aggiunge il suo contributo:
In Europa si parla incessantemente di una guerra con la Russia entro i prossimi cinque anni.
Questo non succederà.
Perché?
Perché è contrario ai nostri interessi nazionali.
1. La Russia non ha bisogno di una guerra con nessuno, men che meno con quella vecchia megera gelida che è l’Europa. Non ci guadagniamo nulla. L’economia europea è debole e dipendente dagli Stati Uniti, e la sua cultura sta degenerando nell’oblio. L’Europa sta perdendo la sua identità, dissolvendosi in un flusso di migranti bellicosi.
2. La priorità fondamentale per il popolo russo è lo sviluppo del proprio Paese, compresa la ricostruzione dei territori che sono tornati sotto il suo controllo. Non è né facile né economico.
3. La Russia è sempre arrivata in Europa come liberatrice, mai come invasore.
Perché l’Europa non inizia una guerra?
Ecco perché:
1. I paesi europei sono vulnerabili e divisi tra loro. Possono solo perseguire i propri interessi, lottando per rimanere a galla nell’attuale turbolenza economica. Non possono permettersi una guerra con la Russia.
2. I leader europei sono dei degenerati patetici, incapaci di assumersi la responsabilità di qualsiasi impresa seria. Mancano di pensiero strategico, per non parlare dell’energia (in Russia la chiamano “passionarità”) necessaria per prendere decisioni militari vincenti.
3. La maggior parte degli europei è debole e apatica; non è disposta a lottare per ideali comuni o persino per la propria terra.
Perché la guerra è ancora possibile?
La possibilità di un tragico incidente è sempre presente. E anche i pazzi iperattivi dal grilletto facile rimangono un fattore da considerare. Questo tipo di conflitto comporta il rischio reale di degenerare in una guerra con armi di distruzione di massa.
Quindi non dobbiamo abbassare la guardia.
Riassume accuratamente il succo della situazione.
Nel frattempo, Zelensky cerca di fomentare gli animi sostenendo che le navi cisterna della “flotta ombra” russa siano responsabili del lancio dei droni che stanno “terrorizzando” l’Europa pallida:
Il piano per prendere due piccioni con una fava è chiaro: fomentare la militarizzazione e allo stesso tempo portare avanti il programma volto a paralizzare l’economia russa incastrando le sue petroliere legali per cose con cui non hanno nulla a che fare.
Uno dei motivi principali dell’isteria in corso è che, dopo alcune settimane di tregua, le linee ucraine hanno ricominciato a crollare su diversi fronti.
Nell’ultima settimana, le forze russe hanno ottenuto progressi apparentemente significativi in tre aree chiave: l’oblast di Dnipro, Kupyansk e la linea Seversk-Lyman. Diamo un’occhiata a tutte e tre.
Il motivo per cui il fronte del Dnipro è stato il più ingannevole è perché sembra il meno significativo dal punto di vista operativo. Non ci sono grandi città chiave in pericolo di essere circondate, e solo una vasta distesa di terra senza nome sembra estendersi fino a Pavlograd o addirittura al Dnieper.
L’aspetto “selvaggio” della zona l’ha resa poco attraente agli occhi della maggior parte degli osservatori profani, ma i progressi qui compiuti sono stati tra i più costanti e impressionanti degli ultimi tempi. Per contestualizzare, stiamo parlando di questa vasta area che comprende le vecchie linee di Ugledar e Velyka Novosilka:
In particolare, la regione più centrale è stata quella più attiva. Praticamente tutto ciò che si trova intorno alle linee arancioni sottostanti è stato recentemente conquistato, con un’espansione del territorio verso ovest:
Ecco la mappa di DeepState che mostra i numerosi fronti di avanzamento:
Come si può vedere, più recentemente, l’insediamento di Verbove è stato invaso e in parte conquistato. L’insediamento adiacente di Kalynivske è stato conquistato solo pochi giorni fa.
Una mappa di Suriyak mostra i progressi compiuti solo negli ultimi due giorni:
Un altro punto di vista per contestualizzare.
Circa un anno e mezzo fa i russi hanno conquistato Marinka e Ugledar, indicate di seguito con un cerchio rosso:
Il territorio che hanno conquistato da allora è quasi pari a quello che rimane fino al fiume Dnieper, e l’avanzata russa sta solo accelerando. Non sto dicendo che finora l’avanzata sia stata rapida, ma è ipotizzabile che tra altri due anni, se il conflitto durerà così a lungo, le forze russe potrebbero trovarsi alle porte della città di Dnipro, dopo aver conquistato gran parte del Donbass.
Per quanto riguarda i prossimi sviluppi su questo fronte, lungo il fiume Yanchur si estende una fascia di insediamenti verso cui si stanno avvicinando le forze russe, indicata in arancione nella mappa sottostante:
Ma l’area colorata di azzurro dopo quegli insediamenti non è altro che campi aperti, che saranno rapidamente conquistati. Dopodiché, le forze russe circonderanno Gulyaipole, la prossima città strategica della regione a cadere.
Come breve nota aggiuntiva, più a ovest sulla linea Zaporozhye lungo il fiume, le forze russe sono penetrate più in profondità sia a Stepnogorsk che a Plavni-Primorsk:
Non c’è molto di interessante da segnalare a Pokrovsk, poiché la Russia sta attualmente utilizzando il fronte solo per assorbire e logorare le unità ucraine “d’élite” provenienti da altre zone, mentre i russi avanzano in quelle regioni indebolite.
A Konstantinovka, le forze russe si stanno lentamente avvicinando alla città, conquistando tutte le zone periferiche. Da una fonte ucraina:
Più a nord, ci sono stati importanti progressi sul fronte di Seversk, con le forze russe che hanno ripulito gli accessi sud e sud-est della città:
Come si può vedere a nord di quella zona, l’area forestale di Serebriansky è stata conquistata dalle forze armate ucraine, con i russi che avanzano ancora di più attraverso Yampil. Suriyak ha anche l’intera area a nord di Seversk sotto il controllo parziale dei russi, da qui la designazione con colori chiari:
Il famoso analista ucraino Myroshnykov interviene:
Non mi piace affatto la situazione nelle direzioni di Sieversk e Kupiansk.
Non voglio dirlo apertamente, ma lì c’è qualcosa che puzza.
La difesa della foresta di Serebrianske è terminata.
Anche la difesa del villaggio di Serebrianka è praticamente finita. Ci sono ancora battaglie di retroguardia, ma nel complesso è già tutto chiaro.
La situazione a Kupiansk non è migliore.
Nei prossimi giorni fornirò aggiornamenti dettagliati sugli eventi relativi a ciascuna di queste direzioni.
Uno sguardo più attento mostra che Zarichne è stata ormai quasi completamente conquistata: ricorderete che l’ultima volta solo alcuni dei quartieri centrali erano stati occupati dalle truppe russe:
Sopra, Shandrygolov è stata completamente conquistata e ora le città vicine di Novoselivka e Derylove sono sotto l’assalto delle forze russe, che stanno lentamente circondando Krasny Lyman da nord.
Filmato della cattura di Shandrygolove, con informazioni aggiuntive:
Shandrigolovo è come una chiave che apre le porte d’ingresso a ovest verso il fiume Oskol e a sud verso il Seversky Donets e il Krasny Liman.
Shandrigolovo si estende lungo il fiume Nitrius e dispone anche di vie di rifornimento da più lati. Considerando queste difficoltà, le nostre truppe hanno bloccato il villaggio da nord e da sud, schiacciando i resti delle forze armate ucraine intrappolate e premute contro i corsi d’acqua. Ci è voluto solo un mese dall’arrivo delle prime unità della 144ª divisione fucilieri motorizzati della 20ª armata del distretto militare occidentale per liberare il villaggio.
L’importanza dell’insediamento è dimostrata anche dal fatto che le forze armate ucraine hanno regolarmente cercato di riconquistare Shandrigolovo, conducendo più di dieci contrattacchi senza successo in questa zona e seppellendo oltre un centinaio di militanti.
Infine, Kupyansk ha registrato un importante avanzamento lungo il confine occidentale, sempre da Suriyak:
Non solo la città viene lentamente circondata da ovest, ma le truppe russe continuano a penetrare nell’interno dal saliente settentrionale.
Patrick T. Brown sostiene che i sostenitori del reddito di cittadinanza universale (UBI) dovrebbero rinunciarvi fin da ora.E se vi state chiedendo dove andrà a parare il mondo del lavoro organizzato nell’era Trump e nel contesto di radicali cambiamenti tecnologici, guardate o ascoltate Sean M. O’Brien, presidente generale dell’International Brotherhood of Teamsters, nell’ultimo episodio di The American Compass Podcast.Chris Griswold: per chi lavora la macchinaGli alti salari e il potere dei lavoratori sono in conflitto con l’innovazione tecnologica e la forza industriale?Chris Griswold28 settembre∙Post di un ospite LEGGI NELL’APP
Nota dell’editore: questo saggio è tratto dall’omonima raccolta di saggi di American Compass intitolata “Fare in modo che il progresso tecnologico funzioni per i lavoratori”. Leggi la raccolta completa qui .
Nel corso del 1821, David Ricardo, membro del Parlamento e padre fondatore dell’economia classica, cambiò idea.
La questione era se l’impiego massiccio di macchinari industriali fosse dannoso per i lavoratori britannici. Il decennio precedente aveva visto gravi disordini sindacali, tra cui il più noto fu la distruzione industriale da parte dei luddisti e l’invio di truppe in risposta. Dopo che la rottura di macchinari fu dichiarata un reato capitale e due dozzine di lavoratori furono sommariamente impiccati per questo nel 1813, la violenza diminuì. L’ansia dell’opinione pubblica nei confronti della tecnologia no.
Così, nel 1819, Ricardo era intervenuto in Parlamento per esprimere la sua opinione: quasi per definizione, l’uso di nuovi macchinari non poteva portare a una riduzione dell’occupazione. Nel 1820, sulle pagine dell’Edinburgh Review,rispose ai suoi critici affermando che “l’impiego di macchinari… non diminuisce mai la domanda di lavoro: non è mai causa di un calo del prezzo del lavoro, ma l’effetto del suo aumento”. Rifiutare il progresso tecnologico avrebbe significato eliminare proprio ciò che guida la prosperità nazionale, compresi i lavoratori. La stampa riportò che Ricardo “non avrebbe mai potuto pensare che i macchinari potessero arrecare danno a nessun paese, né nel suo effetto immediato né in quello permanente”.
La pubblicazione della terza edizione dei suoi seminali Principi di Economia Politica nel 1821 fu quindi un tremendo shock sia per gli alleati che per gli oppositori. Conteneva un nuovo capitolo, “Sulle Macchine”, che offriva un’opinione rivista – e un mea culpa . Sì, le nuove tecnologie aumentano sempre la ricchezza nazionale e stimolano la crescita. Ma sul fatto che nel frattempo avvantaggiassero i lavoratori, il grande economista aveva ora una nuova visione: dipende. Dopo “ulteriori riflessioni”, era ormai “convinto che la sostituzione del lavoro umano con le macchine sia spesso molto dannosa per gli interessi della classe operaia”. Se “l’uso estensivo delle macchine” immettesse un gran numero di lavoratori sul mercato senza determinare un corrispondente aumento della domanda di lavoro, avvertì il Parlamento poco prima di morire, “avrebbe operato a danno delle classi lavoratrici”.
La questione degli effetti della tecnologia sui lavoratori rimane oggi tanto delicata quanto lo era allora e rappresenta una sfida urgente per i decisori politici. Salari elevati, potere dei lavoratori e prosperità ampiamente condivisa sono compatibili con la forza industriale nazionale e il rapido progresso tecnologico?
Molte persone in tutto lo spettro politico americano sembrano credere che la risposta sia “no”. Alcuni attivisti sindacali trattano l’innovazione tecnologica principalmente come una minaccia per prevenire… . Libertari e tecnologi spesso considerano il potere dei lavoratori un ostacolo all’innovazione e al dinamismo. Gli economisti sostengono che gli sforzi per sostenere gli standard del lavoro e proteggere il mercato interno da pratiche commerciali sleali portano principalmente a perdite secche.
Si sbagliano, sia in teoria che in pratica. Di fronte all’ansia dell’opinione pubblica nei confronti dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie, mentre l’America cerca di riconquistare la leadership tecnologica e rivitalizzare l’industria americana, spiegare perché si sbagliano è un compito fondamentale.
Un mercato del lavoro ben funzionante in cui il potere dei lavoratori e il potere tecno-industriale si rafforzino a vicenda è del tutto possibile. Il rapido progresso tecnologico è esattamente la formula per l’aumento della produttività e del dinamismo economico. Il potere dei lavoratori, opportunamente impiegato, costringe il capitale a investire di conseguenza, migliora il rendimento di tale investimento e garantisce che i lavoratori ne traggano la loro quota. La protezione del mercato interno è stata un principio fondamentale della strategia economica americana per decenni e ha garantito che i lavoratori americani raccogliessero i frutti dell’innovazione americana e dell’espansione del mercato americano; quando l’abbiamo abbandonata, altri ci hanno rivendicato la leadership economica e tecnologica.
Ma questa situazione non è garantita. Se un capitalismo americano ricostruito funziona correttamente, è orientato alla produzione e delimitato in modo ragionevole, allora il potere operaio e il potere tecno-industriale possono rafforzarsi a vicenda. In altre condizioni, come direbbe Ricardo, opereranno in modo pregiudizievole per gli interessi dei lavoratori americani.
Lavoro dignitoso e scopo dell’economia
In un discorso del marzo 2025, volto a colmare il divario tra tecno-ottimisti e populisti – in altre parole, tra chi promuove la tecnologia e chi difende i lavoratori americani – il vicepresidente J.D. Vance si è espresso direttamente su questo punto. “Il ruolo che la tecnologia gioca nel mercato del lavoro”, ha spiegato Vance, “e se accogliamo le innovazioni con entusiasmo o con trepidazione dipende innanzitutto dallo scopo del nostro sistema economico”. Aveva ragione.
Un approccio sano all’economia deve accettare il principio fondamentale che il lavoro è importante. Alcune visioni di un futuro tecnologizzato immaginano che l’intelligenza artificiale renderà il lavoro obsoleto – o, più positivamente, che innovando usciremo dalla necessità di lavorare – e che i trasferimenti di denaro (ad esempio, un reddito di cittadinanza universale) forniranno a tutti le risorse di cui hanno bisogno. Questo non può essere il fondamento di un’economia o di una società sane. È una versione dello stesso errore commesso con la globalizzazione: che smantellare le condizioni economiche che offrono un lavoro dignitoso sia accettabile, purché i lavoratori siano compensati per la loro perdita.
Il sociologo americano Musa al-Gharbi, rifacendosi a George Orwell, spiega il fallimento di questa visione:
I socialisti spesso propugnano quello che oggi è noto come ” comunismo di lusso completamente automatizzato “, in cui le macchine hanno ampiamente eliminato non solo privazioni e malattie, ma anche la necessità pratica di lavorare. Orwell sostiene che questo stato di cose non sarebbe un’utopia. Sarebbe un inferno. Possiamo vederlo, sosteneva, nei lavoratori che non sono in grado di lavorare ma i cui bisogni materiali sono soddisfatti: non sono felici. Sono spesso piuttosto infelici. E la ragione per cui sono infelici è che il desiderio di essere utili, di produrre, di trasformare, di aggiungere valore – questi sono impulsi umani fondamentali che le persone soddisfano attraverso varie forme di lavoro…
[Senza un lavoro mirato] le persone avrebbero probabilmente un vuoto nella loro vita, laddove prima c’era un significato e uno scopo. Cercherebbero di colmarlo drogandosi o ubriacandosi, attraverso la gola, la licenziosità sessuale e altre forme di edonismo, o giocando o consumando sempre più intrattenimento solo per riempire le loro ore. Ma trascorrere la propria vita semplicemente ammazzando il tempo in questo modo è un modo orribile di vivere: vuoto e insoddisfacente. Ancora una volta, possiamo osservarlo facilmente nel mondo contemporaneo. Lo possiamo vedere nel fatto che anche le persone ricche che non devono lavorare in genere lo fanno – e quelle che non lo fanno soffrono spesso di ansia, depressione, abuso di sostanze e problemi correlati nonostante (forse a causa) della loro ricchezza.
Un capitalismo sano, ovviamente, soddisfa la domanda umana non solo di consumi crescenti, ma anche di lavoro significativo. Come sottolineano Daron Acemoglu e Simon Johnson, “l’ingrediente segreto della prosperità condivisa nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale” è stato in gran parte “un orientamento tecnologico che ha creato nuovi compiti e posti di lavoro per lavoratori di tutti i livelli di competenza” abbastanza rapidamente da sostituire rapidamente quelli vecchi, resi inefficaci dall’innovazione tecnologica.
Ma questa dinamica non è inevitabile. Pensare diversamente fu l’errore che scosse Ricardo all’inizio del XIX secolo. Riguardo all'”applicazione delle macchine a qualsiasi ramo della produzione”, in precedenza aveva affermato:
…pensavo che non si sarebbe verificata alcuna riduzione dei salari, perché il capitalista avrebbe avuto il potere di richiedere e impiegare la stessa quantità di lavoro di prima, sebbene si trovasse nella necessità di impiegarla nella produzione di una merce nuova, o comunque di una merce diversa. Se, grazie a macchinari migliorati, con l’impiego della stessa quantità di lavoro, la quantità di calze potesse essere quadruplicata e la domanda di calze solo raddoppiata, alcuni lavoratori sarebbero stati necessariamente licenziati dal settore delle calze; ma poiché il capitale che li impiegava era ancora in essere, e poiché era interesse di coloro che lo possedevano impiegarlo produttivamente, mi sembrava che sarebbe stato impiegato nella produzione di qualche altra merce, utile alla società… mi sembrava che ci sarebbe stata la stessa domanda di lavoro di prima, e che i salari non sarebbero stati inferiori.
Questa ipotesi cambiò quando Ricardo si rese conto che la nuova tecnologia poteva mantenere i livelli di profitto di un dato capitalista senza dover impiegare altrove i lavoratori ormai in esubero, e che in tali casi “sarebbe stato dannoso per la classe operaia”.
Questo è esattamente il risultato che l’economia americana attualmente incentiva le aziende a raggiungere. Come scrive Oren Cass in “Two Cheers for Automation”:
L’implementazione della tecnologia per aumentare la produttività lascerà sempre una scelta tra utilizzare la maggiore produttività per lavoratore per aumentare la produzione o utilizzarla per eliminare posti di lavoro. Uno sfortunato effetto collaterale della finanziarizzazione in generale, che incoraggia manager e azionisti a trattare le aziende come asset finanziari per generare liquidità piuttosto che come organizzazioni di persone che esistono per creare valore, è che la riduzione del personale è diventata un fine in sé e un segno di efficacia.
Altrettanto importante della disponibilità del lavoro è la sua qualità. Nuovi sistemi di “efficienza” possono essere facilmente utilizzati per degradare la qualità di un compito e il salario per esso pagato. Matthew Crawford osserva che quando i nuovi principi di “gestione scientifica” furono applicati alla catena di montaggio all’inizio del XX secolo, l’obiettivo primario non era l’efficienza in sé . La separazione tra pensiero e azione “può o meno portare a estrarre più valore da una data unità di tempo di lavoro . La questione è piuttosto il costo del lavoro “. Frederick Winslow Taylor, il padre della gestione scientifica, era chiaro sul fatto che le possibilità del suo approccio “non saranno realizzate finché quasi tutte le macchine in officina non saranno gestite da uomini di calibro e competenze inferiori, e che quindi sono più economici di quelli richiesti dal vecchio sistema”.
La bassa qualità del lavoro in America dimostra che trarre maggiori profitti da salari più bassi rimane una caratteristica standard dell’attuale economia americana. Questo è anche il collegamento tra il modo in cui i decisori politici dovrebbero comprendere lo scopo dell’economia e il modo in cui innovatori e datori di lavoro dovrebbero comprendere lo scopo della tecnologia. Cass conclude : “Se la tecnologia servisse a migliorare la produttività dei lavoratori e la qualità del lavoro, anziché semplicemente ad aumentare i profitti, gli sviluppatori prenderebbero decisioni molto diverse riguardo agli strumenti e alle applicazioni che creano e commercializzano”.
Lavoro, produttività e salari
Per raggiungere il predominio tecnologico e la prosperità dei lavoratori è quindi necessario orientare l’economia americana lontano dalla ricerca finanziarizzata e globalizzata del profitto, separata dall’occupazione dei lavoratori americani, e verso gli investimenti nella produzione nazionale, condizione sine qua non sia per gli aumenti di produttività che incrementano i salari, sia per la creazione di nuove opportunità per i lavoratori sostituiti da quelli vecchi.
Quando viene loro offerta questa possibilità, i lavoratori stessi possono contribuire a spingere la traiettoria tecnologica in una direzione più sana. Come hanno sottolineato Michael Lind, Acemoglu, Simon e molti altri , è così che funzionava il dopoguerra. L’innovazione dinamica ha prodotto contemporaneamente un aumento di salari, produttività e occupazione, sostenuto in parte dall’elevata densità sindacale. La voce dei lavoratori ha spinto lo sviluppo tecnologico verso la creazione di nuovi compiti, eliminando quelli vecchi, e ha rassicurato i lavoratori sul fatto che avevano abbastanza diritto ai benefici della produttività da giustificarne il perseguimento.
È certamente vero che gli eccessi e l’intransigenza del lavoro organizzato hanno ostacolato il progresso tecnologico in alcuni casi. I lavoratori avevano bisogno di essere convinti, come il sindacato degli scaricatori portuali, che (in una straordinaria anticipazione di futuri conflitti) inizialmente si oppose fermamente all’avvento dei container negli anni ’50. Una volta persuasi dalle opportunità che la nuova tecnologia avrebbe creato, “ogni scaricatore portuale iniziò a parlare di cosa si potesse fare con la meccanizzazione”. Il modello del dopoguerra non offre una soluzione miracolosa. Si trattava di un accordo negoziato in corso d’opera, esattamente il tipo di soluzione che il libero mercato sa offrire meglio, quando i suoi partecipanti godono di pari dignità nella piazza del mercato.
Sono assolutamente necessarie nuove vie per la voce dei lavoratori se l’economia americana vuole tornare a quel sano equilibrio, in cui i lavoratori comprendono che i loro interessi devono allinearsi ai guadagni di produttività che la tecnologia può offrire. Come sostiene Marty Manly in “Worker Power in the Age of AI”, in assenza di una riforma radicale del diritto del lavoro statunitense, meccanismi creativi come la rappresentanza dei lavoratori nei consigli di amministrazione e nei comitati aziendali collaborativi possono migliorare la capacità dei lavoratori di partecipare alle decisioni rilevanti in materia di tecnologia e contribuire a prevenire l’intransigenza sindacale. La proprietà dei dipendenti si rivela molto promettente come mezzo alternativo per allineare lavoro e capitale nell’adozione della tecnologia, come dimostra Jack Moriarty in “Don’t Rage Against the Machine—Own Them”. I sindacati tradizionali possono e devono svolgere un ruolo in buona fede, come sottolinea Sean O’Brien, Presidente Generale dell’International Brotherhood of Teamsters, in una conversazione con Oren Cass. Possono perseguire nuovi modelli di contrattazione, orientati al miglioramento della produttività e alla successiva condivisione dei benefici che ne conseguono (vedi “The Productivity Paradox: New Models for Worker Organizing”).
Se strutturata con saggezza, la voce dei lavoratori può, e lo fa, far progredire la tecnologia anziché frenarla, spingendola verso la creazione di nuovo lavoro e garantendo ai lavoratori la possibilità di beneficiare dei benefici della crescita della produttività. Con la creazione di nuove opportunità da parte delle nuove tecnologie, anche uno sviluppo della forza lavoro ripensato può svolgere un ruolo fondamentale nell’allineare le esigenze di lavoratori e datori di lavoro, come discutiamo in “What AI Might Mean for Workers” (Cosa potrebbe significare l’intelligenza artificiale per i lavoratori) e come delineano Ashwin Lalendran e Brent Parton in “An Industrious Workforce for the AI Age” (Una forza lavoro industriosa per l’era dell’intelligenza artificiale).
Come per la voce, così per i salari. Come mostra Michael Lind in “High Wages and Technological Innovation: There Is No Alternative”, il corretto rapporto tra lavoratori e produttività è un circolo virtuoso che si autoalimenta. Gli alti salari esercitano pressione sui datori di lavoro affinché perseguano la produttività, stimolando al contempo una maggiore domanda di innovazione e produzione interna; se la pressione diminuisce da una parte o dall’altra, il motore della crescita vacilla. La storia americana successiva dimostra esattamente questo fenomeno, come spiegano Daniel Kishi e Paul Cupp in “The (Other) Southern Strategy: Domestic Labor Arbitrage and the Road to Globalization”. Nella seconda metà del XX secolo, una corsa al ribasso dei salari era una strategia che alcuni stati trovavano attraente per attrarre investimenti industriali. Nel lungo periodo, tuttavia, ciò non si tradusse in un aumento della produttività e aprì la strada a una strategia di riduzione del costo del lavoro ancora più radicale: delocalizzare completamente la produzione in giurisdizioni come la Cina, dove i salari avrebbero potuto scendere ulteriormente.
La Cina, da parte sua, sta scoprendo che entrambi i lati dell’equazione contano. Incanalare sussidi governativi in settori che vanno oltre ciò che aumenta la produttività, sopprimendo deliberatamente i salari dei lavoratori e i consumi delle famiglie, è un’ottima strategia per conquistare quote di mercato nel breve termine. Non è una ricetta per una crescita della produttività a lungo termine, come sottolinea Mark DiPlacido in “Mutual Disadvantage: Why Predatory Investment and Labor Suppression are a Poor Growth Strategy”. Gli Stati Uniti stanno iniziando a rendersi conto che qualsiasi strategia di reindustrializzazione americana richiederà di disimpegnarsi da questa dinamica, che ha perversamente favorito la fallimentare strategia americana di primato degli azionisti a breve termine, basata su bassa produttività e salari stagnanti.
Il compito che ci attende
Se i lavoratori sono semplicemente fattori produttivi in competizione con altri potenziali fattori produttivi (tecnologici), intrappolati in un gioco a somma zero per preservare la propria sicurezza economica in un modello economico in declino, allora combattere con le unghie e con i denti contro l’automazione può essere razionale. Se l’arbitraggio del lavoro è il mezzo principale per raggiungere la competitività industriale, i lavoratori hanno ragione ad avere paura.
Ma una dinamica positiva in cui il potere dei lavoratori e il dinamismo tecnologico si rafforzano a vicenda è realizzabile e, come dimostra la storia economica americana, è l’unica scelta praticabile. L’America deve recuperare la sua forza industriale, la sua capacità produttiva e la sua leadership tecnologica. Deve anche offrire ai lavoratori un lavoro dignitoso, salari dignitosi e una voce nel mondo del lavoro. Lungi dal rappresentare un compromesso, l’America deve perseguire entrambi, altrimenti non ci ritroveremo con nessuno dei due.
Sviluppi preoccupanti hanno evidenziato la continua discesa dell’Europa verso il tumulto politico e il totalitarismo. Come abbiamo discusso l’ultima volta, l’UE non ha altra scelta che agitarsi energicamente per la guerra al fine di mantenere intatte le sue fragili strutture politiche, perché i tamburi di guerra soffocano le grida organiche di cambiamento e liberazione dal dominio dispotico dell’UE. È la vecchia tattica usata dai tiranni più e più volte, più recentemente da Netanyahu in Israele.
Nel frattempo, nuove misure antidemocratiche vengono “introdotte di soppiatto” mentre la popolazione è distratta dall’isteria; un esempio lampante è l’improvvisa spinta verso le carte d’identità digitali nazionali nel Regno Unito e in altri Paesi. O il nuovo sistema di sorveglianza di massa Chat Control proposto dall’UE per acquisire la capacità di scansionare tutta la corrispondenza privata alla ricerca di materiale “problematico”.
Un altro esempio calzante è che appena due settimane fa, in un discorso al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha affermato che il mondo era “sull’orlo” di un’altra “grave crisi sanitaria globale”:
Tra la sua frenesia per la guerra e l’isteria sanitaria, sembra che l’unico compito della regina della corruzione, a capo di un’UE in decadenza morbosa, sia quello di alimentare la paura, il panico e di riversare una crisi dopo l’altra sui cittadini creduloni per strappare loro le ultime vestigia di una qualsiasi resistenza.
Anche lì, il completo degrado del “processo democratico” è una tendenza crescente. Mentre il colosso in difficoltà dell’UE scivola nell’abisso, l’urgenza con cui i suoi corrotti leader fantoccio si aggrappano a ciò che resta del loro potere aumenta vertiginosamente, con ogni mezzo. Ora, praticamente ogni elezione che minaccia la loro presa viene annullata con falsi pretesti.
In Germania, ad esempio, l’ultimo grottesco fallimento della “democrazia” si è verificato nello stato federale della Renania-Palatinato, dove al candidato sindaco dell’AfD per la città di Ludwigshafen, Joachim Paul, è stato vietato di candidarsi a sindaco in base al rapporto dell’agenzia di intelligence interna tedesca (BfV), che includeva affermazioni oltraggiose secondo cui Paul rappresentava una sorta di minaccia alla Costituzione, sulla base di attività “antipatriottiche”, tra cui il suo elogio per il Signore degli Anelli. A quanto pare, la sua convinzione che la trilogia del Signore degli Anelli di Tolkien riflettesse “valori conservatori” era una sorta di “pericoloso” richiamo nazionalista; non c’è più limite alle assurde bassezze a cui si scenderà nel mettere in difficoltà e insabbiare i candidati legittimi che rappresentano una minaccia per l’Ordine Basato sugli Astuti.
La sconvolgente conclusione di questa saga ha visto quasi il 75% degli elettori stipati in una categoria “grigia” di non partecipazione, quando le elezioni si sono finalmente tenute giorni fa:
Le precedenti elezioni hanno registrato un’affluenza superiore al 60%, il che dimostra la totale disillusione degli elettori dopo che i candidati “scomodi” vengono semplicemente cancellati dalla scheda elettorale per qualsiasi assurdità arbitraria.
Ora tutti gli occhi sono puntati sulla Moldavia, poiché domani si terranno le elezioni parlamentari cruciali, destinate a decretare il futuro della Moldavia e, probabilmente, anche quello della Transnistria.
Già alla vigilia delle elezioni, la Moldavia ha messo in pratica i suoi “valori europei” dell'”Ordine basato sugli inganni” mettendo al bando due partiti di opposizione considerati “pro-Cremlino”, poche ore prima dell’inizio delle elezioni.
Come al solito, i media tradizionali hanno dato pieno spazio a questa profilassi “democratica”, erodendo ulteriormente qualsiasi “superiorità” morale di cui l’Occidente un tempo poteva aver finto di godere.
Come abbiamo visto in Romania e ora in innumerevoli altri paesi, basta invocare lo spettro della cosiddetta “mano” del Cremlino per far sì che ogni giusto processo democratico venga completamente dissolto, senza che gli artefici dell’inganno sollevino una sola obiezione.
Anche le prossime elezioni ceche si trovano ad affrontare lo stesso imbroglio:
Rileggilo:
“Il populista di destra Babis è considerato il favorito per le elezioni di ottobre, ma il presidente sta valutando se escluderlo a causa dei suoi interessi commerciali e della sua ambivalenza nei confronti della NATO.”
La democrazia è paonazza e insensibile nell’EuroCircus totalitario. Le elezioni a questo punto sono solo sfarzi procedurali per l’incoronazione del “vincitore” preselezionato. Come detto in precedenza, più le cose si avvicinano al limite per questo organo in putrefazione, più il suo politburo corrotto deve “togliersi la maschera” per preservare il potere.
C’è molto in gioco nelle prossime elezioni ceche, soprattutto per la Russia. Quindi forse non c’è da stupirsi che la Repubblica Ceca sia stata recentemente inondata da disinformazione filo-russa.
Il secondo pezzo lo spiega più chiaramente:
Il dibattito sull’idoneità di Babiš alla carica rivela in modo lampante l’imminente grattacapo strategico che egli probabilmente causerà all’UE e alla NATO se vincesse e si alleasse con altri populisti dell’Europa centrale, Viktor Orbán in Ungheria e Robert Fico in Slovacchia, per opporsi al sostegno occidentale all’Ucraina.
Chiunque si opponga alla “linea di partito” del regime totalitario dell’UE viene semplicemente escluso dalla partecipazione alla “democrazia”.
La posta in gioco nel caso moldavo è davvero più alta che mai. Circolano voci secondo cui diverse truppe della NATO, in particolare francesi, sarebbero giunte a Odessa per diverse provocazioni:
Servizio di intelligence estero: truppe NATO a Odessa per occupare la Moldavia e intimidire la Transnistria: “Secondo quanto riferito, il primo gruppo di militari di carriera provenienti da Francia e Gran Bretagna è già arrivato a Odessa. L’agenzia di intelligence sottolinea che un simile scenario è stato ripetutamente elaborato durante le esercitazioni NATO in Romania e potrebbe essere attuato dopo le elezioni parlamentari in Moldavia del 28 settembre.
Si sottolinea che in seguito, su richiesta della presidente moldava Maia Sandu, le forze armate degli stati europei dovranno costringere i moldavi a scendere a patti con la dittatura, sotto le mentite spoglie della democrazia europea. L’SVR ritiene che tali piani dei regimi totalitari-liberali europei siano dettati dal desiderio di dimostrare “coraggio e determinazione”.
“Spaventati da uno scontro diretto con la grande Russia, gli europei intendono vendicarsi della piccola Moldavia. L’autoaffermazione a spese dei deboli è sempre stata parte integrante del colonialismo europeo.”
L’ufficio stampa del Servizio di intelligence estera della Federazione Russa riferisce che, secondo le informazioni ricevute dall’SVR, gli euroburocrati di Bruxelles sono determinati a mantenere la Moldavia in linea con le loro politiche russofobe. Ciò è pianificato a qualsiasi costo, incluso il dispiegamento di truppe e l’occupazione effettiva del Paese. In questa fase, le forze NATO si stanno concentrando in Romania, vicino ai confini moldavi. Uno “sbarco” NATO è in preparazione nella regione di Odessa, in Ucraina, per intimidire la Transnistria. Secondo i dati disponibili, il primo gruppo di militari provenienti da Francia e Regno Unito è già arrivato a Odessa.
Ancora una volta le ultime azioni sono il frutto di una campagna coordinata internamente, come dimostrato dal discorso di Zelensky alle Nazioni Unite e dalle sue successive dichiarazioni, tutte riportate di seguito, in cui minaccia apertamente la Transnistria:
Oltre alle nuove dichiarazioni di Kaja Kallas che accusano la Russia di condurre una “guerra ibrida” contro le imminenti elezioni in Moldavia. Come da consueto modus operandi, accusano la Russia esattamente di ciò che loro stessi intendono fare per coprire le proprie tracce. Dopotutto, non si vedono politici russi partecipare alle proteste elettorali in Georgia o Moldavia, incitando a insurrezioni contro il governo, come è accaduto con i funzionari europei . Ricordiamo che l’ambasciata tedesca in Georgia ha letteralmente invocato una rivoluzione nel Paese:
E non parliamo nemmeno delle interferenze elettorali che l’Occidente continua a esercitare contro Lukashenko in Bielorussia.
Come corollario di tutto quanto sopra, in mezzo a tutte le false bandiere sui “droni” che stanno dilagando in Europa – chiaramente una campagna messa in scena dall’MI6 – l’Ucraina ha accusato in modo assurdo l’Ungheria di aver inviato droni nel suo paese, accusa che il ministro degli Esteri ungherese ha prontamente respinto:
Come se non bastasse, il mese scorso l’Ungheria è stata addirittura accusata di aver utilizzato i suoi droni per guidare i missili da crociera russi allo scopo di distruggere la fabbrica americana in Ucraina:
La propaganda ridicola non conosce limiti. Perché la Russia avrebbe bisogno di droni di sorveglianza per “guidare” i suoi precisi missili da crociera verso un enorme capannone industriale facilmente visibile dai satelliti? Un palmo in faccia è d’obbligo.
A proposito di droni, ecco un esempio perfetto di ciò che le false flag realizzano: tesi, antitesi, sintesi. Innanzitutto, abbiamo la falsa minaccia dei droni dell’MI6 di bloccare gli aeroporti europei, attribuita alla Russia senza alcuna prova. Poi, opportunamente, la NATO usa la bufala per aumentare la tensione e introdurre una maggiore militarizzazione nella regione:
E appena un giorno dopo, gli aerei spia americani P-8 Poseidon sorvolano Kaliningrad:
Nel frattempo, un P-8A Poseidon della Marina statunitense sorvola da diverse ore il Mar Baltico, nei pressi della regione di Kaliningrad.
Informatore militare
Vedi quanto è facile?
Lavrov e Zakharova concordano sulla natura di queste provocazioni:
Ora tutti gli occhi sono puntati sulle elezioni parlamentari moldave di domani, che si preannunciano controverse. Ad esempio, la Moldavia sta già giocando allo stesso gioco illegale dell’ultima volta durante le elezioni presidenziali, privando i cittadini residenti in Russia del diritto di voto per corrispondenza – come è loro diritto legale – inviando solo 10.000 schede per centinaia di migliaia di cittadini aventi diritto, almeno secondo i funzionari russi :
Il Cremlino ha dichiarato che una parte significativa dei cittadini della repubblica che sostengono l’instaurazione di relazioni con la Russia viene di fatto privata dell’opportunità di essere ascoltata all’interno del Paese. Centinaia di migliaia di moldavi vivono in Russia, ma solo 10.000 schede elettorali sono state inviate al Paese. Inoltre, secondo la Commissione elettorale centrale moldava, 13.000 cittadini residenti in Russia sono registrati per partecipare alle elezioni.
Se il seguente rapporto del canale Legitimny è un’indicazione, le elezioni cruciali saranno sicuramente “interessanti”, poiché sono in gioco tutte le carte in tavola non solo per il futuro della Moldavia, della Transnistria e dell’Ucraina, ma anche per quello dell’intera UE:
La nostra fonte riferisce che domani, alle elezioni moldave, ci saranno numerose provocazioni artificiali che la squadra di Sandu sta preparando come alternativa all’annullamento delle elezioni in caso di sconfitta. Cercheranno anche di impedire ai cittadini della Pridnestrovia di votare. Per fare questo, i ponti saranno bloccati e i seggi elettorali saranno spostati lontano, inoltre ci saranno molti poliziotti incaricati di arrestare le persone. Sono previste provocazioni anche in Gagauzia. Sandu ha il compito di vincere a tutti i costi per continuare la militarizzazione del Paese, preparandolo alla guerra con la PMR/Russia.
Si dice anche che, se Sandu si accorgesse di perdere le elezioni, l’Ucraina lancerebbe una provocazione e persino un’invasione per annullare le elezioni. Pertanto, tutte le unità militari della PMR vengono segretamente poste in stato di emergenza.
L’unica cosa che può fermare «Sanda e soci» dal loro proposito sono le informazioni ricevute dall’intelligence occidentale secondo cui Putin e Lukashenko hanno discusso di questo scenario e la Repubblica di Bielorussia sosterrà la Russia se i globalisti vorranno trascinare la Moldavia in guerra. Non a caso Oreshnik e le armi nucleari sono già state consegnate alla Bielorussia.
In effetti, questa è l’ultima volta che i moldavi scelgono il loro futuro. Se Sandu vincesse, il Paese accelererebbe i preparativi per la guerra e la finzione sulla vita europea non si avvererebbe mai, ma al contrario, tutti i moldavi perderebbero le loro attività, le loro case, i loro parenti e nessuno li risarcirebbe per questo. Lo chiederebbero agli ucraini, ai quali Zelensky ha promesso di risarcire tutto e che nel corso degli anni ha ceduto solo 60 appartamenti e centinaia di migliaia di dollari.
La cosa più importante che un cittadino comune può fare in questa situazione è non lasciarsi ingannare dalle provocazioni, assicurarsi di andare alle urne, esprimere il proprio voto per il futuro della Moldavia pacifica, altrimenti lo faranno altri al posto tuo (firma nella colonna richiesta).
Il vostro supporto è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se vi impegnaste a sottoscrivere una donazione mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirvi resoconti dettagliati e incisivi come questo.
Dove sta andando il mondo del lavoro organizzato nell’era Trump e nel contesto di radicali cambiamenti tecnologici? Sean M. O’Brien, presidente generale dell’International Brotherhood of Teamsters, si unisce a Oren Cass nell’ultimo episodio di The American Compass Podcast.
“Voglio credere nella nuova spinta dei conservatori a rappresentare la classe operaia”, mi ha detto il mio amico Luke verso la fine di una conversazione qualche giorno fa. “Ma”, ha aggiunto, “temo che i conservatori faranno solo quello che i politici hanno fatto alla classe operaia americana per decenni”.
E cos’è?, chiesi.
“Presentano un sacco di mezze misure, si annoiano di noi e alla fine ci fregano tutti”, ha detto.
Questa conversazione è nata dopo aver detto a Luke che sarei andato a Washington DC alla fine di questo mese. Luke è un artigiano qualificato e abilitato che lavora nel settore edile. Ha votato per Trump nel 2016, Biden nel 2020 e di nuovo per Trump nel 2024. La nostra conversazione riguardava il tentativo di Luke di capire se crede che l’amministrazione Trump porterà cambiamenti significativi per la classe operaia americana.
“A me e a te è sempre stato detto che l’America è il posto più bello del mondo. Che una bella vita è possibile se lavori duro e persegui le cose giuste. Se sei disciplinato e attento, e chissà cosa…” smise di parlare per un attimo e sospirò, “ma non sembra così. E ho la sensazione che tutti questi idioti a Washington e al potere nelle aziende possano fare storie per qualcosa e che gli ingranaggi del potere girino per rispondere alle loro storie. Non sembra che quegli ingranaggi si muovano allo stesso modo, o per niente, per persone come noi. L’accesso diffuso dei colletti blu al Sogno Americano sembra solo un unicorno. Una specie di cosa mitologica. Ma amico, anche solo dire ad alta voce che non credo che il Sogno Americano sia ampiamente raggiungibile per i colletti blu americani mi fa sentire una stronza. E, di solito, gli idioti a Washington e la nobiltà aziendale saranno i primi a dirci che ci stiamo solo lamentando. Che probabilmente stiamo facendo qualcosa di stupido che rende difficile trovare conforto. Ma non è vero.”
Luke ha continuato spiegando che la chiave per qualsiasi partito politico che intenda mantenere un sostegno costante da parte della classe operaia sarà dimostrare di sapere come funziona “la macchina” e di essere disposto a usarla per incoraggiare la mobilità della classe operaia americana “perennemente stagnante”.
“Tu ed io non siamo andati all’università”, ha continuato. “Ogni adulto nella nostra vita ci ha praticamente detto che saremmo morti se non fossimo andati all’università. Ma, a prescindere da qualsiasi motivo, io non ci sono andato. Ma non ho nemmeno bighellonato, né fatto festa, né mi sono comportato come un bambino per un decennio in più. Ho lavorato. Mi sono sposato giovane. Ho messo su famiglia. Ma mi sento come se non mi muovessi.”
Luke e sua moglie hanno due figli e vorrebbero averne un altro, ma sono oberati dai costi dell’assistenza all’infanzia. Vogliono lasciare la loro prima casa, ma i tassi di interesse e i costi degli alloggi sono troppo alti. Ha anche detto che i costi dell’assistenza all’infanzia ostacolerebbero comunque un trasloco, anche se le condizioni del mercato immobiliare fossero favorevoli. Lui e sua moglie vorrebbero anche che lei potesse stare a casa con i bambini, ma hanno sostanzialmente rinunciato a questa prospettiva. Vuole vedere un partito politico che si impegni concretamente per creare un ambiente economico favorevole alla mobilità della classe operaia. Mi ha detto che questo è stato l’unico motivo per cui ha votato per Trump nel 2024. Riteneva che Trump avesse le carte in regola per provare a cambiare lo status quo.
Gli ho chiesto se, in definitiva, le sue frustrazioni derivano dalla sensazione di non essere in grado di fare scelte significative.
“Sì”, disse esitante, continuando a procedere con cautela per paura di sembrare lagnoso o ingrato. “Ho la sensazione che appartenere alla classe operaia nel nostro Paese significhi che al massimo si può vivere in un piccolo ranch con due o, se si è fortunati, tre camere da letto. Tu e tua moglie lavorerete entrambi a tempo pieno e potrete permettervi di avere due figli. Avrete cibo da mangiare e la TV per guardare cazzate. Ma i soldi sono sempre pochi.”
Luke non è insoddisfatto o insoddisfatto di ciò che ha. Ama la sua vita e ama la sua famiglia. Ma vuole offrire alle persone a lui più vicine più opportunità e scelte migliori. Luke teme che l’attuale amministrazione possa essere un po’ ingenua, o miope, nel suo disperato tentativo di creare condizioni di mercato adeguate per la crescita industriale, senza avere un piano per affrontare e potenziare la forza lavoro sottovalutata e impreparata necessaria per capitalizzare su tale crescita. “Sappiamo tutti degli accordi commerciali e dei dazi doganali che stanno arrivando. Ma cosa succederà dopo?”, chiede Luke. “Se si avvicina un'”età dell’oro”, abbiamo bisogno di una leadership politica che comunichi la propria visione per la classe operaia americana. Semplicemente non sembra esserci un piano per preparare i lavoratori americani alla crescita che questi accordi commerciali e i cambiamenti politici sperano di portare”.
Gli ho detto che ero d’accordo, ma che al momento non sembra esserci un piano chiaro sul tavolo. Non che non lo creda possibile , ma che non credo che venga comunicata alla forza lavoro americana una visione coerente per colmare la realtà di un’America deindustrializzata e raggiungere un futuro di reindustrializzazione. Qual è il piano per formare e mobilitare l’enorme forza lavoro necessaria per aumentare drasticamente la capacità industriale americana? Qual è il piano per migliorare la mobilità, affrontare l’alto costo della vita e incoraggiare la crescita familiare per la classe operaia? Certamente una forza lavoro industriale pronta e disponibile è qualcosa che le aziende manifatturiere che aprono un’attività in America desiderano vedere. Non sono preoccupato solo per la mancanza di una visione chiara su come formare la forza lavoro di cui abbiamo bisogno. Temo che stiamo faticando anche solo a costruire i luoghi in cui manderemmo quella forza lavoro, se esistessero. Ad esempio, Luke e io abbiamo discusso dello stato di caos dello stabilimento Intel in costruzione non lontano da dove viviamo. Inizialmente il progetto prometteva di raggiungere un certo livello di operatività entro il 2025. Ora la sua entrata in funzione è stata posticipata al 2030 o forse al 2031 .
“Come diavolo fanno lo Stato e il governo federale a non impazzire per questo?” chiese Luke, menzionando gli ingenti sussidi pubblici di Intel. La prospettiva di posti di lavoro come quelli che sviluppi come la fabbrica Intel offrono a persone come Luke è incredibilmente allettante.
“Se quel progetto fosse completato e aprissero le porte all’assunzione di artigiani come me per diversi dollari in più all’ora di quanto guadagno ora, mi cambierebbe la vita. Qual è il piano per rimettere in carreggiata i tempi di costruzione della fabbrica? E l’attuale fiasco nel tentativo di costruire la struttura in Ohio scoraggerà altri produttori dallo sviluppare qui? Quante illusioni c’erano quando Intel ha firmato quell’accordo con il nostro governo?”, si è lamentato Luke. Politici e burocrati, che potrebbero non comprendere nemmeno i vincoli della costruzione o le sfide amministrative dello sviluppo, stanno liberando miliardi di dollari dei contribuenti e stanno mancando l’obiettivo operativo di sei anni.
Ho detto a Luke che non dovremmo disperare del tutto a questo proposito. Ho accennato al fatto che ci sono esempi di sviluppo manifatturiero attraverso i percorsi del CHIPS Act che stanno dando i loro frutti – come la fabbrica di TSMC in Arizona, ora operativa – ma il fiasco di Intel è un aspetto importante da osservare. Solo perché la politica sta creando l’ambiente per lo sviluppo della produzione in America non significa che dovremmo aspettarci una rinascita manifatturiera improvvisa o graduale. Faremo fatica a costruire strutture e a formare la nostra forza lavoro per un po’. Quindi dovremmo stare attenti a non aspettarci troppa fretta nel realizzare la seconda “età dell’oro” della produzione manifatturiera americana voluta da Trump. Questa realtà potrebbe far sì che la classe operaia come Luke abbia la sensazione che Trump abbia deluso le aspettative quando ha promesso un posto migliore al tavolo delle trattative per i lavoratori americani.
“‘Aspetta solo dieci anni e vedrai’ non era ciò che Trump aveva promesso durante la campagna elettorale”, ha detto Luke, “e guarda, se sarò io quello che finirà per essere stressato nei prossimi dieci o vent’anni affinché i miei figli abbiano una vita più flessibile e prospera una volta che questi cambiamenti daranno i loro frutti, allora così sia. Ma sono stanco dei politici che promettono immediatezza solo per farci sentire degli sciocchi creduloni e troppo ansiosi quando le cose non vanno come dovrebbero”.
Luke ha anche affermato di essere un grande sostenitore di leggi e programmi che offrano reali e concrete opportunità di scelta alle famiglie lavoratrici. Quando gli ho chiesto esempi di politiche che offrano queste concrete opportunità, ha tirato in ballo la scelta della scuola. Programmi come EdChoice qui in Ohio hanno offerto l’opportunità a persone che altrimenti sarebbero escluse dai distretti scolastici privati o pubblici di qualità, a causa del livello di reddito o del codice postale, di mandare i propri figli in quelle scuole, se lo desiderano. Ma EdChoice è minacciato dalla sentenza di un giudice della contea di Franklin, che ha dichiarato il programma ” incostituzionale “. EdChoice rimarrà attivo in Ohio durante il processo di appello, ma se la sentenza verrà confermata, potrebbe costringere i bambini a tornare in sistemi scolastici che migliaia di genitori ritengono non rappresentino i migliori interessi, la cultura o i desideri delle famiglie locali.
“EdChoice è stata la prima politica pubblica che, secondo me, ha dato a me e alla mia famiglia una libertà immediatamente godibile”, ha detto Luke. “So che è più una questione statale, ma è un esempio del tipo di scelte che il governo può concedere alle famiglie, che rafforzano l’idea che tutto questo sia a nostro favore, e non contro di noi”.
Per Luke e milioni di persone come lui, la preoccupazione è che l’attuale amministrazione si concentri pesantemente sui necessari cambiamenti a livello macroeconomico, necessari per preparare il terreno alla crescita industriale, trascurando invece i necessari cambiamenti a livello micro. Cambiamenti che offrirebbero un miglioramento socioeconomico alla classe di persone a cui continuano a chiedere ulteriore pazienza e che, alla fine, sperano possano stimolare nuove ambizioni industriali negli Stati Uniti. Luke non è certo l’unico tra gli elettori della classe operaia che conosco, sempre più frustrati da quella che percepiscono come parte di un gruppo demografico “truccato”. A cui è stato promesso il mondo se solo si fossero recati alle urne e avessero votato. La maggior parte è consapevole di sé e autoironica; esita a incolpare chiunque tranne se stessa. Ma vogliono anche credere che l’America sia il posto che gli è sempre stato detto che fosse. Un posto dove, se lavori sodo, ami le cose giuste e adotti un certo grado di frugalità nelle tue pratiche finanziarie, allora avrai una reale possibilità di vivere una vita felice e prospera.
A mio avviso, ci sono molte strade politiche che l’amministrazione Trump può intraprendere per risollevare significativamente la classe operaia americana. Un’idea che aiuterebbe direttamente americani come Luke è un sussidio in denaro per le famiglie lavoratrici, come il Family Income Supplemental Credit (o Fisc). A differenza di altri programmi di sussidi in denaro, il Fisc richiede alle famiglie di lavorare per poterne beneficiare. Include una struttura a livelli (800 dollari al mese per figlio a partire dal quinto mese di gravidanza, che scende a 400 dollari al mese dalla nascita ai 6 anni e poi a 250 dollari al mese dai 6 ai 18 anni), un tetto massimo al sussidio non superiore a un dodicesimo del reddito totale dell’anno precedente e una graduale eliminazione man mano che il reddito familiare aumenta. Questo potrebbe aiutare una persona come Luke a permettersi l’asilo nido, a risparmiare per un acconto per una casa e a far crescere la famiglia senza preoccuparsi dell’indigenza.
L’amministrazione Trump potrebbe anche fare di più per affrontare la crisi immobiliare. Trump sta già flirtando con questo concetto dichiarando un’emergenza abitativa nazionale, in seguito alle segnalazioni di una carenza di circa 4 milioni di case negli Stati Uniti. Le rate medie dei mutui sono aumentate del 59% tra il 2020 e il 2023 , poi i tassi di interesse sono schizzati alle stelle e ora molte famiglie della classe operaia americana sentono di non poter reggere il confronto con l’attuale situazione economica. Una legislazione che impedisca alle aziende di accaparrarsi le case come immobili “da investimento” sarebbe un primo passo importante, e probabilmente bipartisan. Anche l’aumento delle agevolazioni fiscali o dei sussidi per chi acquista una prima casa, esenzioni tariffarie temporanee sui materiali da costruzione e normative urbanistiche più flessibili sarebbero d’aiuto. Un altro concetto toccato da Trump è la liberazione di terreni federali per lo sviluppo edilizio. Ci sono molte altre strade creative che possono essere intraprese per affrontare la questione della disponibilità e dell’accessibilità economica delle case, ma resta da vedere cosa faranno l’amministrazione Trump e il Congresso.
In fin dei conti, persone come Luke non sono nichiliste, arrabbiate o antipatriottiche nelle loro lamentele. Sono solo alla disperata ricerca di condizioni che consentano loro di godere appieno delle comodità che derivano dal realizzare il Sogno Americano attraverso il duro lavoro e la partecipazione produttiva agli obiettivi della nostra società e della nostra economia. Se i Repubblicani vogliono essere il partito che garantisce queste condizioni alla classe operaia, devono impegnarsi con altrettanta dedizione nell’affrontare le preoccupazioni reali, a livello di tavola, così come nel creare condizioni di mercato che riportino l’industria sul suolo americano.
Un post ospite diSkyler AdletaCattolico / Scritti su politica, cultura, industria, ecc. / Elettricista / Responsabile di progetti edili / Marito e padre