Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2), di Fabrizio Mottironi
Il mito di Cassandra e il disprezzo dei profeti
di Davide Gionco
Secondo il racconto di Omero (Iliade, Libro XIII) Cassandra era la più bella delle figlie di Priamo, re di Troia. Cassandra aveva ricevuto dal dio Apollo il dono della profezia, il dono di prevedere il futuro. Una volta ricevuto il suo dono, Cassandra avrebbe rifiutato di concedersi a lui. Il dio, fuori di sé dalla rabbia, le avrebbe sputato sulle labbra, condannandola con questo a restare per sempre inascoltata dagli altri.
Cassandra veniva presa per pazza, per una iettatrice, dato che annunciava le disgrazie che sarebbero ricadute sulla città di Troia. Non veniva presa in considerazione, perché annunciava cose che nessuno voleva sentirsi dire.
Una volta la città di Troia fu conquistata e distrutta dagli Achei, Cassandra venne rapita dal re Agamennone e condotta come ostaggio a Micene. Anche lì profetizzò al re che ci sarebbe stata una congiura contro lui, ordita dalla sua stessa moglie Clitemnestra, ma neppure Agamennone volle credere ad una profezia così inaccettabile. Dopo che la congiura fu messa in atto dalla moglie, come preannunciato, insieme al re Agamennone, fu anche uccisa la stessa Cassandra.
Sapere che si va incontro ad un destino inaccettabile è qualcosa che può condurre alla disperazione, per questo il nostro inconscio preferisce respingere quelle informazioni. Siccome si tratta di fatti che devono ancora accadere, non certi, si preferisce credere che “speriamo che non succeda”. E si va avanti, avendo come unico sostegno la speranza di un futuro migliore che non ci fa paura.
Sigmund Freud spiegherebbe che si tratta di impulsi irrazionali, legati al nostro istinto di sopravvivenza, che ci porta nel subconscio a sfuggire mentalmente ciò che ci potrebbe fare soffrire o addirittura morire.
Il destino dei profeti di essere inascoltati e perseguitati è qualcosa di ricorrente nella Bibbia. Ad esempio il profeta Geremia annunciava al popolo che sarebbe stato invaso dai “Popoli del Nord” (i Babilonesi), se non si fosse convertito a Yahveh e non avesse cambiato vita.
Come era accaduto a Cassandra, anche Geremia fu preso per un “annunciatori di malauguri”, non fu ascoltato, fu odiato e disprezzato e fu messo nella fossa per farlo morire.
In tempi molto più recenti, fra il 1933 ed il 1939 il giornalista americano Frederick Birchall (1868-1955) scrisse come invitato del New York Times in Europa moltissimi articoli sull’ascesa di Hitler e del nazismo, mettendo in guardia i lettori ed i leader politici sull’estrema pericolosità del fenomeno. Ma non fu creduto e non fu ascoltato, perché scriveva cose “inaccettabili”, dato che nessuno poteva accettare l’idea che Hitler avrebbe fatto ciò che la storia ci racconta che poi fu fatto dai nazisti.
San Giovanni Bosco (1815-1888) faceva fare periodicamente ai suoi ragazzi gli “esercizi della buona morte”. Oggi la morte è il più grande tabù di cui non si può discutere. Eppure per San Giovanni Bosco il ricordare ai ragazzi che “ciascuno di noi deve morire, che potremmo morire anche questa notte” non era per fare dei malauguri, ma per aiutare i suoi ragazzi a vivere in modo responsabile il tempo che ci è concesso di vivere, dato che non siamo padroni del nostro futuro e che il nostro tempo certamente finirà.
I profeti non sono coloro che preannunciano, per preveggenza, un futuro inevitabile quello che gli antichi romani chiamavano “il fato”), ma sono coloro che sanno leggere meglio degli altri i segni dei tempi, comprendendo come le cose andranno a finire.
Il termine “profeta” deriva dall’antico greco προϕήτης, che è la caratteristica di colui che è cosciente, razionale, poiché discerne ogni cosa con il “ragionamento.
Il profeta, quindi, non è qualcuno che annuncia un destino senza scampo o che diffonde dei malauguri, ma è una persone che annuncia un futuro condizionato dalle nostre scelte, avendo la piena comprensione del presente ed avendo coscienza di come la situazione si potrà evolvere.
Ma la gente non ama cambiare le proprie abitudini, perché costa fatica ed impegno. La gente non ama mettere in discussione le proprie scelte, perché significherebbe ammettere che prima ci si era sbagliati ed affrontare tutte le conseguenze sociali e materiali del cambiamento di decisione.
Ancora più difficile è ammettere da essere stati ingannati da chi ci ha convinti a prendere una decisione che poi ci rendiamo conto essere stata sbagliata.
Un detto sapiente ci ricorda che “l’orgoglio muore un quarto d’ora dopo di noi“. Piuttosto che cedere al nostro orgoglio, si preferisce mantenere la propria decisione, anche se il profeta ci dimostra che è sbagliata e che ci porterà a conseguenze a cui non vorremmo andare incontro.
La gente preferisce una bugia rassicurante alla scomoda verità del profeta. E lo fa al punto di arrivare a mettere a tacere il profeta in qualsiasi modo: censurandolo dal punto di vista mediatico, escludendolo dal punto di vista sociale o addirittura eliminandolo fisicamente.
Ovviamente nessuno di noi è “la gente”. Siamo persone in grado di compiere le nostre scelte, di prendere atto dei nostri errori, di capire se chi ci parla è un profeta oppure no.
Dipende da ciascuno di noi, se preferiamo conformarci al fare comune della gente preferendo evitare ogni sforzo mentale e psicologico o se preferiamo invece essere persone che non si fanno sovrastare dalla paura e dall’orgoglio. Se vogliamo avere il coraggio di metterci in discussione e di ascoltare i profeti che, da che mondo e mondo, non sono mai mancati. Basta avere occhi ed orecchi per riconoscerli.
Il redattore di National Interest Jacob Heilbrunn intervista l’Ambasciatore della Federazione Russa negli Stati Uniti d’America SE Anatoly Antonov.
Heilbrunn: Il presidente Vladimir Putin ha recentemente pubblicato un nuovo saggio sull’Ucraina in cui afferma che ucraini e russi sono la stessa gente. Ha anche indicato che ci sono linee rosse che né l’Ucraina né la NATO potrebbero attraversare. Alcuni dicono che Putin stia gettando le basi per un’azione più dura contro l’Ucraina. Ha comunicato qualcosa del genere all’amministrazione Biden?
Antonov: L’articolo del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha avuto un’enorme risonanza a Washington. Per molti qui è stato un nuovo sguardo sulle relazioni tra russi e ucraini, un’opportunità per conoscere le radici del popolo. Sfortunatamente, ci sono malvagi che negano il bene, specialmente quando si tratta della Russia. Cercano di pervertire l’immagine, di presentare l’articolo come se fosse un ultimatum contro la nazione indipendente. Dobbiamo riconoscere che ci sono molti rappresentanti dell’amministrazione che condividono questo punto di vista. Ignorano la tesi principale del leader russo che una vera, reale e forte sovranità dell’Ucraina è possibile solo in partnership e buone relazioni con la Russia.
Dobbiamo combattere le bugie e le fake news praticamente ogni giorno. Prima che l’articolo fosse pubblicato, avevamo affrontato una campagna diffamatoria da parte di politici ed esperti in merito ai colloqui tra il presidente Putin e il presidente Biden a Ginevra. Come sapete, i capi dei nostri paesi hanno discusso in modo costruttivo del conflitto intraucraino. Hanno convenuto che gli accordi di Minsk fungono da unico quadro per la soluzione politica del conflitto in Donbass. Invece di lavorare sui modi per attuare gli accordi di Minsk, alcuni funzionari del Dipartimento di Stato incolpano la Russia di tutti i problemi in Ucraina e etichettano il mio paese come “aggressore”.
Abbiamo più volte avvertito l’amministrazione che tali affermazioni controproducenti non hanno nulla a che fare con la realtà. Le soluzioni possono essere trovate solo attraverso mezzi diplomatici senza propaganda. In questo momento gli Stati Uniti possono influenzare il governo dell’Ucraina incoraggiandolo a impegnarsi in un dialogo sostanziale con i rappresentanti di Donetsk e Lugansk, ritirare le armi pesanti dalla linea di contatto e intraprendere misure concrete e tangibili per quanto riguarda lo status autonomo dell’Ucraina sud-est.
Heilbrunn: Gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato di avviare un nuovo dialogo sulle questioni informatiche. Quali sono i progressi in questo settore e vede qualche motivo di ottimismo dopo anni di aspri disaccordi?
Antonov: L’accordo per avviare un dialogo sulla sicurezza informatica è uno dei risultati chiave del vertice Russia-Usa di Ginevra. Esperti di entrambi i paesi hanno già iniziato a comunicare. I Consigli di sicurezza russo e statunitense forniscono un coordinamento generale.
Per ora ci sono state diverse tornate di consultazioni, ed è sicuramente un segnale importante e promettente. I colleghi americani, tuttavia, preferiscono concentrare le discussioni principalmente sulle attività di ransomware, mentre la sicurezza informatica è molto più ampia. Mi auguro che questo dialogo acquisisca un carattere globale nel prossimo futuro. Come opzione, possiamo discutere sulle minacce informatiche ai sistemi di controllo degli armamenti, ecc.
È ovvio che i nostri paesi soffrono ugualmente di criminali informatici. I casi di recenti attacchi contro il sistema sanitario della regione di Voronezh in Russia e l’azienda Kaseya qui negli Stati Uniti lo confermano.
Abbiamo costantemente cercato di stabilire una cooperazione professionale su questioni di sicurezza informatica a Washington. In particolare, dal 2015, abbiamo compiuto sei tentativi per avviare tale interazione. Inoltre, il 25 settembre 2020, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha proposto un programma completo di misure per ripristinare la cooperazione Russia-USA nel campo della sicurezza internazionale dell’informazione (IIS). Sfortunatamente, finora non c’è stata alcuna reazione ufficiale dagli Stati Uniti.
A proposito, anche le richieste delle autorità competenti russe in merito agli attacchi informatici rimangono senza reazione da parte degli Stati Uniti. Erano quarantacinque nel 2020 e trentacinque nei primi sei mesi del 2021. Da parte nostra, abbiamo soddisfatto pienamente dieci richieste dagli Stati Uniti lo scorso anno e due ricorsi nella prima metà dell’anno in corso. Questo indica che abbiamo molto su cui lavorare.
Vorremmo ribadire che la Russia è pronta per una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa, senza politicizzazione e agende nascoste. Adottiamo un approccio responsabile ai problemi di sicurezza informatica. In questo contesto, siamo orgogliosi di annunciare che il nostro Paese è diventato il primo stato a sviluppare e presentare all’ONU un progetto di Convenzione sul contrasto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali. La presentazione ufficiale del documento è avvenuta il 27 luglio a Vienna.
Un’altra cosa da menzionare. Quasi ogni giorno ci occupiamo di materiale mediatico sugli attacchi degli hacker, che si presume vengano effettuati dal territorio russo. Le prove non sono mai fornite. Tali questioni dovrebbero essere sollevate non dai giornalisti, ma dai professionisti. I colleghi americani se lo richiedono possono contare su un’assistenza rapida e di alto livello da parte russa. Il nostro National Computer Incident Response and Coordination Center è pronto a collaborare strettamente.
Heilbrunn: Come valuta le prospettive del dialogo strategico Russia-USA?
Antonov: Negli ultimi dieci anni si sono accumulati una miriade di problemi nel controllo degli armamenti e nella stabilità strategica. Indipendentemente dalla congiuntura politica, sono necessari complessi negoziati bilaterali per risolverli.
Il problema del superamento della crisi in questo settore è stato uno dei temi chiave del primo incontro russo-statunitense del 28 luglio a Ginevra. I rappresentanti dei due paesi hanno scambiato le loro percezioni sulla direzione in cui è necessario muoversi per ridurre i rischi strategici. Nonostante le notevoli differenze negli approcci a molte questioni, entrambe le parti hanno dimostrato la loro volontà di impegnarsi in un dialogo regolare e costruttivo e di cercare un terreno comune. È sicuramente un segnale positivo. Tuttavia, siamo solo all’inizio di una lunga strada. Il difficile compito che ci attende è ripristinare la fiducia in questo ambito.
Vorrei sottolineare che la parte russa è aperta alla discussione di qualsiasi questione relativa al controllo degli armamenti. Non ci sono argomenti tabù per il nostro Paese. Siamo pronti a considerare le preoccupazioni degli Stati Uniti per quanto riguarda i nuovi sistemi strategici della Russia.
Tuttavia, tale conversazione non dovrebbe essere una strada a senso unico. È necessario che anche le controparti statunitensi prestino ascolto alle nostre affermazioni e tengano conto degli interessi di sicurezza nazionale della Russia. Il dialogo non può essere fruttuoso senza un equo scambio di opinioni.
Heilbrunn : Lei è tornato a Washington dopo il vertice di Ginevra di un mese fa e il suo omologo statunitense John Sullivan è tornato a Mosca. Ha qualcosa di positivo da riferire, in particolare sulla controversa questione del lavoro delle ambasciate nelle due capitali? Ci sono nuovi sviluppi sullo stato dei consolati degli Stati Uniti e della Russia che sono stati chiusi negli ultimi anni?
Antonov: Purtroppo la situazione non cambia in meglio. Le missioni diplomatiche russe negli Stati Uniti sono ancora costrette a lavorare sotto restrizioni senza precedenti che non solo rimangono in vigore, ma vengono intensificate. Al di là delle dichiarazioni dell’amministrazione Biden sull’importante ruolo della diplomazia e sulla volontà di sviluppare relazioni stabili e prevedibili con il nostro Paese, la presenza diplomatica russa subisce continui scioperi.
I colleghi statunitensi diventano persistenti e creativi in questo business. Le espulsioni dei diplomatici vengono attuate di tanto in tanto con pretesti inverosimili. Lo scorso dicembre il Dipartimento di Stato ha stabilito unilateralmente un limite di tre anni al periodo di assegnazione del personale russo negli Stati Uniti che, per quanto ne sappiamo, non viene applicato a nessun altro Paese. Inoltre, abbiamo ricevuto un elenco di ventiquattro diplomatici che dovrebbero lasciare il paese prima del 3 settembre 2021. Quasi tutti partiranno senza rimpiazzi perché Washington ha improvvisamente inasprito le procedure di rilascio dei visti.
Si è arrivati al punto in cui le autorità statunitensi annullano i visti validi di coniugi e figli del nostro personale senza fornire alcuna motivazione. I diffusi ritardi nel rinnovo dei visti scaduti mirano anche a spingere i lavoratori diplomatici russi fuori dal Paese. Di conseguenza, una sessantina dei miei colleghi (130 insieme ai membri della famiglia) non possono tornare in patria nemmeno in circostanze umanitarie urgenti.
Abbiamo mostrato moderazione per molto tempo, ma dopo un’altra ondata di sanzioni aggressive da parte degli Stati Uniti ad aprile siamo stati obbligati a prendere ulteriori misure per equiparare le condizioni di lavoro per le missioni statunitensi in Russia, compreso il divieto di assumere personale locale. È certo che nessuno beneficia di una situazione del genere. C’è bisogno di soluzioni basate sul principio di parità. Siamo convinti che il modo più semplice e veloce per farlo sia quello di abrogare completamente tutte le misure e contromisure che stanno vincolando l’attività dei diplomatici.
Washington non mostra la disponibilità a prendere una tale decisione mentre cerca di garantire vantaggi unilaterali per la parte americana. Lo stesso vale per le prospettive di ripresa dei lavori dei Consolati Generali della Russia a San Francisco e Seattle che sono stati chiusi per coercizione. Anche l’accesso temporaneo delle squadre di manutenzione ai locali confiscati della proprietà diplomatica russa è ancora negato, il che porta a un ulteriore deterioramento delle condizioni lì.
Ci auguriamo che prevalga il buon senso e che saremo in grado di normalizzare la vita dei diplomatici russi e americani negli Stati Uniti e in Russia sul principio della reciprocità. I nostri presidenti hanno concordato a Ginevra di continuare le consultazioni tra il Ministero degli affari esteri della Russia e il Dipartimento di Stato al fine di risolvere questo problema.
Heilbrunn : Una questione che ha destato preoccupazione negli ultimi anni è la questione dell’accesso ad alto livello per i diplomatici russi e americani a Washington e Mosca? Credi di avere un accesso adeguato ora? È migliorato? Ci sono gravi delusioni?
Antonov: Dopo essere tornato a Washington all’indomani del vertice di Ginevra, ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni alti funzionari dell’amministrazione. Tuttavia, questi incontri sono stati per lo più incidenti isolati. Secondo la prassi diplomatica, sono state inviate decine di richieste per effettuare “visite di cortesia” dell’ambasciatore russo ai vertici delle principali autorità americane di nuova nomina. La stragrande maggioranza di loro è stata negata o ignorata.
A volte non riusciamo a organizzare conversazioni di alto livello, anche quando abbiamo bisogno di trasmettere determinati segnali per conto di Mosca.
La situazione con i contatti a Capitol Hill è ancora deprimente. Tutte le mie richieste di riunione indirizzate ai capi dei partiti, alle fazioni di entrambe le camere del Congresso, nonché alle commissioni per gli affari esteri, sono apparentemente andate nel vuoto. Rimangono semplicemente senza risposta. Allo stesso tempo, il Dipartimento di Stato alza le spalle e afferma di non poter fornire alcuna assistenza a causa della “separazione dei poteri”.
Heilbrunn : Nel 2017 c’è stato un vertice tra l’ex presidente Donald Trump e il presidente Putin a Helsinki. Mentre l’incontro stesso è stato molto controverso, c’erano anche grandi aspettative che le relazioni tra Washington e Mosca potessero migliorare. Meno controverso si è rivelato l’incontro tra Biden e Putin a Ginevra. Vedete un nuovo slancio o più affari come al solito?
Antonov: È troppo presto per esprimere giudizi al riguardo. A questo punto, possiamo valutare positivamente l’accordo tra i due presidenti per ripristinare un dialogo professionale e di sistema su temi chiave di reciproco interesse. Questi includono le questioni già menzionate: stabilità strategica, sicurezza informatica e funzionamento delle missioni diplomatiche.
Hai ragione sul fatto che, come abbiamo visto in precedenza, l’impulso positivo dei nostri leader è annegato nei corridoi della burocrazia statunitense ed è stato condannato all’inutilità. Speriamo che le relazioni Russia-USA non siano più una moneta simbolica nella rivalità politica interna degli Stati Uniti. Il loro miglioramento serve interessi di sicurezza cruciali della Russia, degli Stati Uniti e del mondo intero. Ci vorrà tempo e sforzi da entrambe le parti. E siamo pronti per tale lavoro.
Il saggio dello storico italiano Piero Brunello intitolato “Storie di anarchici e di spie“ (Donzelli editore, 2009) non è solo utile per comprendere il modus operandi delle prefetture delle questure nel controllare i circoli socialisti e anarchici italiani dell’ottocento, ma è soprattutto utile per comprendere l’esistenza di una indiscutibile continuità tra le modalità operative della polizia politica ottocentesca ,quella del regime fascista ma soprattutto del regime repubblicano.Vediamo sinteticamente quali sono questi aspetti di continuità. In primo luogo le questure e le prefetture hanno sempre avuto a loro disposizione fondi riservati per i confidenti e gli infiltrati; in secondo luogo allo scopo di controllare l’attendibilità delle informazioni fornite dai loro confidenti, sovente sia le questure che le prefetture ,infiltravano nelle stesse organizzazioni più di un confidente all’insaputa l’uno dell’altro per avere un credibile controllo incrociato delle attendibilità delle informazioni fornite.In terzo luogo la loro attività era abbastanza ampia e capillare da consentirgli un monitoraggio sistematico dell’attività politiche e pubblicistiche dei circoli socialisti anarchici italiani. In quarto luogo esistevano spesso servizi di sicurezza per così dire autonomi e come fare ad esempio posto in essere da Giuseppe Basso vice console italiano a Ginevra che naturalmente era strettamente collegato al ministero degli interni. In quinto luogo ,attraverso una sorveglianza perlopiù inavvertita, venivano prodotte segnalazioni, fotografie, rapporti, prospetti, schede, bollettini, registri, fascicoli e archivi.Lo scopo quindi era osservare, prevenire, reprimere e scoprire.Solo in un secondo momento reprimere attraverso i canali ufficiali delle procure.Questa attività di sorveglianza era possibile anche grazie al fatto che gli ispettori ma anche i carabinieri tenevano d’occhio le osterie, i bassifondi, i luoghi di assembramento e di ritrovo popolare.Naturalmente uno dei pericoli maggiori era l’esistenza di informatori bugiardi, doppio o triplo giochisti ma soprattutto millantatori e fanfaroni.Come osserva puntualmente lo storico italiano ,tra il 1880 e il 1881 ,la presenza di Giovanni Bolis alla direzione dei servizi di pubblica sicurezza costituirà una svolta importante perché verrà istituito un ufficio politico che segna una fase importante nella organizzazione della polizia in Italia.Grazie a lui infatti verrà istituito un registro biografico delle persone sospette e le questure incominceranno a usare le foto segnaletiche e ad assumere agenti in borghese organizzando un servizio di polizia internazionale in collaborazione con il ministro degli affari esteri. Quando sorgerà l’Ovra questa trovò a sua disposizione già sistemi di sorveglianza ben collaudati, procedure di schedatura efficienti, metodi di archiviazione, strumenti preventivi e repressivi insomma una routine burocratica già ampiamente rodata durante gli anni dell’unità d’Italia.Sia durante il regime monarchico italiano che durante il regime fascista la polizia italiana spiava, faceva spiare, raccoglieva voci e pettegolezzi in modo sistematico, quotidianamente, pagando informatori e confidenti e distribuendo fondi segreti .Insomma vi erano spie al servizio di ispettori, di questori, di prefetti e di consoli.Ma tutto ciò era possibile anche grazie alla collaborazione del direttore postale in Italia che inviava la corrispondenza su richiesta della polizia. Tuttavia buona parte di questa attività posta in essere dalla polizia italiana era, seppure nelle sue linee generali, speculare a quella attuata dalla Repubblica di Venezia durante il 500 a dimostrazione del fatto che, sul piano storico, esiste una secolare continuità nel modo di procedere da parte delle istituzioni politiche nei confronti degli avversari reali o potenziali. Un altro aspetto, certamente rilevante, era la capacità attraverso confidenti o informatori di fomentare i contrasti o le rivalità interne allo scopo di indebolire sul piano politico i movimenti considerati sovversivi. I pagamenti agli informatori e ai confidenti erano diversamente modulati a seconda della qualità dell’informazione . Un altro aspetto importante è l’impunità e la segretezza di cui dovevano necessariamente godere i confidenti. Ma vi erano certamente altre regole ben individuate dall’autore a pagina 131 e fra queste le cosiddette 10 regole come le chiama l’autore del saggio.Vediamone alcune: le istituzioni dello Stato tendono ad assicurare l’impunità del confidente, le singole notizie viaggiano in via gerarchica dal basso verso l’alto, il confidente migliore è quello che non sa di esserlo, un buon ispettore di polizia è innanzitutto un buon archivista e infine un individuo è un confidente per un ispettore di polizia ma può essere un rivoluzionario per tutti gli altri Ispettori.
RIFORMA CARTABIA, PER PICCINA CHE TU SIA…
Scusate se insisto; ma la discussione sulla “riforma” Cartabia ha ridestato gran parte dei luoghi comuni sulla giustizia. Uno dei quali è che, sanzionando comportamenti di amministratori e funzionari si sarebbero indotti gli stessi a non decidere; col risultato di rendere (ancora) più inefficienti le P.P.A.A. italiane. Vero è che l’attenzione si è focalizzata su un reato specifico cioè l’abuso di potere (art. 323 c.p.) la cui formulazione è così vaga da prestarsi ad interpretazioni plurime (e contrastanti).
Se è certo che detto reato si presta a strumentalizzazioni (anche) politiche, lo è altrettanto che escludere, ridurre o rendere inefficaci le sanzioni non può che incentivare a commetterlo. Funzione della sanzione è, come scriveva Carnelutti “Sancire, significa fondamentalmente, in latino, rendere inviolabile e perciò avvalorare qualche cosa; ciò che viene avvalorato, in quanto si cerca di impedirne la violazione, è il precetto, in cui l’ordine etico si risolve… in quanto la sanzione garantisce l’osservanza dell’ordine etico, converte il mos in ius perché meglio congiunge, così tiene uniti, gli uomini nella società”; ma aggiunge “non v’è alcun motivo per riservare al castigo il carattere della sanzione: serve a garantire l’osservanza dell’ordine etico il premio al pari del castigo; praticamente e, per ciò, storicamente, il premio ha però una importanza assai minore”.
Per cui a seguire il ragionamento di Carnelutti non sanzionare vuol dire non avvalorare (almeno) la norma. Resta il fatto che senza sanzione il precetto è zoppo: ma non è detto che a sanzionarlo debba essere la prescritta irrogazione di una pena dal giudice penale. In effetti, come scriveva il giurista, la sanzione può essere la più varia: al punto che può consistere in un premio per chi osserva (e fa osservare) il diritto.
Nella specie l’inconveniente della prescrizione di pena è stato aumentato dalla legge Severino, che ha previsto sanzioni “politiche” a carico di amministratori di enti pubblici, anche in caso di sentenze non definitive (compresa la sospensione e decadenza dall’ufficio) come l’impossibilità di ricoprire la carica per la quale erano stati scelti dal corpo elettorale. Per cui rende più appetibile per togliere di mezzo un amministratore scomodo, di ottenere una sentenza penale di condanna dalla quale consegue la sospensione o la decadenza dalla carica.
Circostanza la quale unitamente al fatto che si tratta di sentenze non definitive (ma politicamente efficaci) ha indotto molti a ritenerla incostituzionale. Un primo passo per evitare ciò sarebbe l’abolizione della legge Severino, fatta, come tutti hanno capito, non per amore di giustizia, ma per il fine di parte di mandare a casa Berlusconi, a dispetto del popolo italiano che s’intestardiva a volerlo come proprio governante. Che è, per l’appunto, uno dei quesiti dei referendum Lega-radicali.
Ma, oltre a ridurre l’appetibilità e le conseguenze politiche, togliendo la suddetta normativa, la sanzione può essere utilmente ricondotta alla conseguenza di una condanna civile e amministrativa.
Non nel senso, però, di togliere l’amministratore dall’incarico, ma utilizzando la vasta gamma di sanzioni previste dall’ordinamento. All’uopo rinforzandole e rendendone meno saltuaria l’applicazione. Prendiamo ad esempio la c.d. astreinte, cioè la sanzione pecuniaria a carico dell’amministrazione che non adempie una sentenza (!!!), malgrado l’obbligo relativo risalga (almeno) alla Destra storica (v. all. E, L. 2248/1865). In Italia è stata prescritta dall’art. 114 (lett. E) del c.p.a. (D.Lgs. 02/07/2010 n. 104), la quale è una delle poche disposizioni (forse l’unica) che nella seconda Repubblica, ha previsto un rimedio a favore dei creditori delle P.P.A.A., tra una miriade di precetti volti a tutelare le amministrazioni dalle pretese altrui, derogando al diritto comune.
Ebbene (ingenuamente?) il precetto è stato formulato premettendo l’eccezione “salvo che ciò sia manifestamente iniquo”: è bastato questo per allargare a dismisura il perimetro dell’iniquità (??), oibò, di chiedere alle P.P.A.A. di adempiere a sentenze e giudicati nei modi stabiliti dai giudici e dalla legge. C’è una sterminata messe di decisioni giudiziarie limitanti l’applicazione dell’astreinte perché sarebbe “manifestamente iniquo” sanzionare uno Stato “in bolletta” come la Repubblica italiana. Ovviamente tale giurisprudenza burofila ha dimenticato quanto scriveva Jhering del diritto romano “classico” che “La pena pecuniaria era il mezzo civile di pressione, onde il giudice usava, per procacciare ed assicurare l’osservanza agli ordinamenti suoi. Un convenuto, che si rifiutasse a fare ciò che il giudice gl’imponeva, non se la cavava col semplice pagamento del valore della cosa dovuta” (il corsivo è mio). Basterebbe eliminare quell’inciso per ottenere un ridimensionamento del garantismo burofilo. Ancora meglio associarlo, ex art. 28 della Costituzione, ad una sanzione pecuniaria – anche modesta – a carico del funzionario inadempiente. E di esempi così ne potrei fare diversi, a costo di annoiare il lettore, più di quanto abbia già fatto.
Piuttosto tornando a Jehring, il giurista tedesco sosteneva che il tardo diritto romano aveva debilitato il senso del diritto attraverso mitezza e umanitarismo. Da quello “robusto ed energico” repubblicano si era passati a una fiacchezza contrassegnata dal miglioramento delle “condizioni del debitore alle spalle del creditore”. Ai nostri giorni il maggior debitore è lo Stato: per cambiare andazzo, come si chiede l’Europa, basta non eccedere in mollezza, peraltro neppure generale, ma burofila. Come sosteneva Jhering “credo che si può stabilire questa massima generale; le simpatie verso i debitori sono segno di un periodo di fiacchezza. Il titolo di umanitario è esso stesso che se lo eroga”; il contrario, praticato nei regimi decadenti consiste ne “l’umanità di san Crispino, che rubava cuoio ai ricchi per farne stivali ai poveri”. E chissà che, ai giorni nostri, i pagamenti ai grandi creditori sono stati ritardati quanto quelli ai quisque de populo? Non mi risulta d’averlo letto.
Speriamo che i giudizi di Jhering possano ispirare anche la (di esso collega) Cartabia.
Teodoro Klitsche de la Grange