Le potenzialità di cooperazione fra Mosca e Teheran sono promettenti, se i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire alle sanzioni. Resta l’incognita della stabilità regionale.
Come sapete, è attiva la possibilità di abbonarsi “a pagamento” alla newsletter (con formula di abbonamento mensile o annuale), oppure di offrire piccole donazioni“una tantum”. Gli articoli restano accessibili a tutti! Il motivo lo spiego qui.
Chi di voi volesse offrire un contributo, anche piccolo, mi darà un aiuto essenziale a mantenere in vita questa pubblicazione. Vi ringrazio.
E un grazie di cuore a coloro che si sono abbonati o hanno fatto una donazione! Il vostro è un aiuto importante.
Il presidente russo Vladimir Putin insieme all’omologo iraniano Masoud Pezeshkian (Kremlin, CC BY 4.0)
Appena tre giorni prima dell’inaugurazione della presidenza Trump, lo scorso 17 gennaio, Russia e Iran hanno firmato dopo lunghe trattative un atteso “accordo di partenariato strategico globale”.
La coincidenza è stata rilevata soprattutto dai commentatori occidentali, i quali hanno ricordato l’aiuto fornito da Teheran a Mosca sul teatro di guerra ucraino (in particolare attraverso l’invio di droni di fabbricazione iraniana).
Essi hanno anche menzionato il fatto che il nuovo presidente americano ha preannunciato un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran, ed ha invece promesso di porre fine al conflitto in Ucraina, sebbene non sia assolutamente certo in qual modo, e (a detta dello stesso Trump)non sia escluso un inasprimento delle sanzioni contro Mosca.
Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato che vi fosse qualche relazione tra la firma dell’accordo e l’insediamento di Trump, ma l’evento ha segnato senza dubbio un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra due paesi che sono entrambi oggetto di un duro embargo occidentale ed hanno rapporti conflittuali con l’Occidente.
La firma del trattato è avvenuta al Cremlino, in occasione della visita a Mosca del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a capo di una nutrita delegazione.
Questo evento lungamente atteso si inserisce in una fase in cui soprattutto l’Iran si sente minacciato “dall’amministrazione Trump, da Israele, dal crollo del regime siriano, dal collasso di Hezbollah”, ha affermato Nikita Smagin, analista che ha lavorato per i media governativi russi a Teheran prima dello scoppio del conflitto ucraino.
Tra gli osservatori, vi è chi ha descritto l’intesa come una “svolta epocale” e chi l’ha sminuita definendola vaga e inferiore alle aspettative.
Nessuna intenzione di inasprire i rapporti con l’Occidente
Nematollah Izadi, l’ultimo ambasciatore iraniano in Unione Sovietica, l’ha descritta come un patto volto a rafforzare la fiducia reciproca. Secondo lui, Teheran punterebbe a rassicurare Mosca che non tradirà questo promettente rapporto bilaterale anche se nel frattempo tenterà una distensione delle relazioni con l’Occidente.
Pezeshkian, esponente dell’ala riformista iraniana, ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma che punta a porre al primo posto il miglioramento delle malandate condizioni economiche del paese.
Ciò può essere ottenuto solo attraverso l’abrogazione delle durissime sanzioni che soffocano l’economia iraniana, e dunque tramite una risoluzione della questione nucleare per via negoziale.
Il programma nucleare di Teheran ha ormai raggiunto un livello di sviluppo tale da rendere l’Iran una potenza nucleare “latente”. I vertici iraniani sono soddisfatti di questo risultato e sperano di riaprire il dialogo con l’Occidente.
Pezeshkian, in accordo con la Guida Suprema Ali Khamenei, punta non solo ad ottenere la rimozione delle sanzioni, ma anche a scongiurare un attacco militare israelo-americano alle installazioni nucleari del paese che potrebbe sprofondare l’intera regione in una guerra catastrofica.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca pone senz’altro una pesante ipoteca su un simile tentativo. Fu lui ad uscire unilateralmente dall’accordo nucleare con Teheran negoziato dal suo predecessore Obama, e fu lui a far assassinare il generale Qassem Soleimani, considerato alla stregua di un eroe nazionale in Iran. Ma gli iraniani paiono determinati a tentare ugualmente.
Segnali incoraggianti, peraltro, provengono anche dalla Casa Bianca, dove il presidente appena insediato sembra intenzionato ad affidare il negoziato con l’Iran a Steve Witkoff, l’inviato speciale che ha già imposto a Netanyahu il cessate il fuoco a Gaza.
Dal canto suo, Mosca è sembrata aver a cuore che l’accordo di partenariato con l’Iran non venisse interpretato come la nascita di un’alleanza anti-occidentale ed anti-israeliana.
E’ probabilmente per questa ragione che la firma dell’intesa è stata così a lungo rinviata. In occasione del vertice dei BRICS, lo scorso ottobre nella città russa di Kazan, l’accordo sembrava sul punto di essere ratificato, ma il presidente russo Vladimir Putin chiese a Pezeshkian di compiere un’altra visita a Mosca appositamente per sottoscrivere questo documento.
La richiesta, che poteva essere attribuita a ragioni di protocollo, fu invece verosimilmente motivata dall’esigenza russa di attendere un allentamento delle tensioni in Medio Oriente (infuriava in quel momento la guerra fra Israele e Hezbollah in Libano, e i rapporti fra Teheran e Tel Aviv erano tesissimi).
Un lungo percorso di avvicinamento
L’idea di un accordo di partnership strategica, che sostituisse il precedente trattato siglato dai due paesi nel 2001, emerse per la prima volta nel 2020. Non essendo riuscito a migliorare le relazioni con l’Occidente, l’allora presidente iraniano Hassan Rohani decise di guardare ai paesi non occidentali.
Il primo accordo di partnership strategica fu siglato con la Cina nel marzo 2021. Seguirono quelli con Venezuela e Siria. I negoziati con la Russia si sono intensificati dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Secondo alcune fonti diplomatiche, la finalizzazione del testo avrebbe richiesto da 20 a 30 sedute negoziali nel corso di cinque anni.
Nel frattempo, i rapporti fra i due paesi si sono rinsaldati a livello economico e militare a causa della crisi ucraina e dell’isolamento nel quale entrambi si sono venuti a trovare in conseguenza dell’ostracismo occidentale.
Il testo dell’accordo di partenariato, dunque, non contiene novità particolarmente eclatanti, ma più che altro riassume ed esplicita il rafforzamento delle relazioni registratosi negli ultimi tre anni, e gli accordi che ne sono derivati nei diversi settori di cooperazione.
Il nuovo trattato contiene 47 articoli che coprono un gran numero di aree differenti: la cooperazione economica e commerciale, la collaborazione tecnologica, l’impiego pacifico dell’energia nucleare, l’antiterrorismo, la cooperazione regionale, ecc.
A differenza degli accordi stipulati dalla Russia con Corea del Nord e Bielorussia, il documento non contiene una clausola di “difesa comune”.
Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la Russia non vuole correre il rischio di andare direttamente in guerra contro Israele o gli Stati Uniti per difendere l’Iran.
Per altro verso, anche i vertici iraniani conservano un certo livello di cautela nei confronti di Mosca, ricordando le cessioni territoriali che il paese dovette fare all’impero russo nella prima metà del XIX secolo e il ruolo di potenza coloniale che quest’ultimo giocò sul territorio iraniano, in competizione con l’impero britannico, all’inizio del XX.
Molto più di recente, frizioni si sono registrate fra Teheran e Mosca in occasione dell’inaspettato e repentino crollo del regime del presidente Bashar al-Assad in Siria, importante alleato di entrambi nella regione mediorientale.
Si tratta tuttavia di dissapori non in grado di guastare la partnership fra i due paesi, sebbene i loro interessi strategici non siano sempre convergenti.
Riserbo sulla cooperazione militare
Il testo dell’intesa prevede in compenso (articolo 4) lo scambio di informazioni di sicurezza e di intelligence, aggiungendo che il livello di cooperazione in quest’ambito sarà specificato in “accordi separati”.
L’articolo 5, che riguarda le relazioni militari, copre un vasto ambito ma è anch’esso a prima vista alquanto vago: “Le parti contraenti si consulteranno e coopereranno nel contrasto a comuni minacce militari e di sicurezza di natura bilaterale e regionale”.
Anche in questo caso, tuttavia, il testo specifica che lo sviluppo della cooperazione militare fra gli organismi competenti sarà implementato da accordi separati. Sembra dunque che il trattato sia improntato ad un certo livello di segretezza per quanto riguarda la collaborazione militare e di intelligence.
In riferimento alle sanzioni di cui entrambi i paesi sono oggetto, il documento invece dichiara esplicitamente che Mosca e Teheran collaboreranno per contrastare “l’applicazione di misure coercitive unilaterali” e “garantiranno la non-applicazione” delle suddette misure “rivolte direttamente o indirettamente contro ciascuna delle parti contraenti”.
Il nodo del Caucaso
Una sezione importante dell’accordo è dedicata al Caucaso, dove si deciderà una componente non secondaria del futuro della partnership fra i due paesi.
L’articolo 12, definito di “fondamentale importanza” da alcuni esperti russi della regione, impegna i due firmatari a rafforzare la pace e la sicurezza in quest’area (oltre che in Asia Centrale, Transcaucasia e Medio Oriente) ed a “cooperare con l’obiettivo di impedire l’ingerenza” e la “presenza destabilizzante” di “paesi terzi”.
Si può ragionevolmente ipotizzare che tali paesi includano gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, Israele, i paesi dell’UE, e probabilmente la Turchia.
A tale riguardo, va ricordato che i “flirt” del premier armeno Nikol Pashinyan con Stati Uniti e UE, e gli stretti rapporti del presidente azero Ilham Aliyev con Turchia e Israele, pongono Erevan e Baku in contrasto rispettivamente con Mosca e Teheran.
L’articolo 14 impegna le parti a promuovere l’espansione del commercio tra l’Iran e l’Unione Economica Eurasiatica(UEE), di cui la Russia è paese fondatore. Quest’anno vedrà l’implementazione di un accordo di libero scambio tra Iran e UEE che ridurrà i dazi sul 90% delle merci scambiate.
A questo proposito è di particolare importanza il confine condiviso fra l’Iran e l’Armenia, paese membro dell’UEE, nella provincia montuosa di Syunik.
L’Azerbaigian rivendica in questa regione il cosiddetto “corridoio di Zangezur” che lo metterebbe in collegamento con la sua exclave di Nakhchivan. Un’ambizione che punta a creare quello che Teheran definisce il “corridoioTuranico NATO”, il quale unirebbe le repubbliche dell’Asia centrale, e le loro risorse energetiche, alla Turchia (membro dell’Alleanza Atlantica) tramite Azerbaigian e Nakhchivan.
Corridoio di Zangezur
La realizzazione di tale corridoio avrebbe l’effetto di permettere alla NATO di avere accesso al Mar Caspio. Si comprende dunque come l’esito di questa disputa sarà fondamentale per il futuro dei rapporti tra Russia e Iran.
La sfida energetica e commerciale
L’articolo 13 si concentra esclusivamente sulla regione del Caspio, importante per Mosca e Teheran non solo sotto il profilo della sicurezza (come abbiamo visto), ma anche di quello energetico, dei trasporti e della cooperazione commerciale.
Esso riflette l’aspirazione dell’Iran a diventare un hub internazionale del gas, una visione che i vertici russi avevano in passato proposto alla Turchia, quando i rapporti fra i due paesi erano più amichevoli.
Mosca intenderebbe riorientare parte dei propri piani di esportazione energetica dalla Cina (con Pechino, infatti, continuano a sussistere problemi nella definizione del prezzo di esportazione del gas) in direzione dell’Iran, in una sorta di “pivot verso sud” che rappresenterebbe una terza via di sbocco delle risorse energetiche russe, alternativa a quella europea e a quella cinese.
Tramite un gasdotto che dovrebbe attraversare l’Azerbaigian, Mosca esporterebbe inizialmente appena 2 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Iran, per poi arrivare fino a 55 miliardi, la stessa capacità dell’ormai inutilizzabile Nord Stream 1 diretto in Germania.
Tecnologie ed investimenti russi potrebbero inoltre sbloccare le enormi riserve di gas iraniano, liberando Teheran dalla crisi energetica che paradossalmente la sta soffocando a causa delle sanzioni e della mancanza di investimenti, e portando i due paesi a creare una sorta di cartello del gas in grado di gestire i prezzi globali e rifornire la vicina India.
Caspio e Caucaso sono essenziali per la realizzazione del cosiddetto International North-South Transport Corridor (INSTC), corridoio logistico che consente a Mosca di esportare i propri beni verso l’Asia e l’Africa attraverso l’Iran, bypassando il Baltico, il Mar Nero e il Canale di Suez.
L’INSTC (in rosso) e la rotta tradizionale attraverso il Canale di Suez (in blu) (Public Domain)
Il valore degli scambi tra Russia e Iran è tuttavia al momento abbastanza magro, aggirandosi fra i 4 e i 5 miliardi di dollari. L’economia iraniana continua ad essere fiaccata dalla scarsità di investimenti e dal pluridecennale embargo occidentale.
Lo sviluppo dell’INSTC dovrebbe fornire a Mosca e Teheran un importante canale per aggirare le sanzioni che affliggono entrambi i paesi, i quali a tal fine stanno anche integrando i propri sistemi nazionali di pagamento. Nel 2024, le transazioni effettuate in rubli russi e rial iraniani hanno rappresentato oltre il 95% del commercio bilaterale.
Le potenzialità di cooperazione economica fra Russia e Iran sono dunque promettenti, nella misura in cui i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire al cappio delle sanzioni.
Da un punto di vista militare, invece, Mosca e Teheran non sono completamente allineate, e ciò lascia soprattutto Teheran esposta al rischio di un intervento militare israelo-americano qualora dovesse fallire il prossimo negoziato con l’amministrazione Trump appena insediatasi.
Mosca, IRNA – Il testo dell’accordo strategico globale congiunto tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa, che è stato firmato dai presidenti dei due paesi, Masoud Pezeshkian e Vladimir Putin, venerdì 17 gennaio 2025, in una cerimonia al Cremlino, è stato pubblicato sotto forma di un’introduzione e 47 articoli come segue:
TREATIA
sul Partenariato strategico globale
tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa.
La Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa, di seguito denominate “le Parti contraenti”,
esprimendo l’interesse a portare le relazioni interstatali amichevoli a un nuovo livello e a conferire loro un carattere globale, a lungo termine e strategico, nonché a rafforzarne le basi giuridiche,
convinti che lo sviluppo di un partenariato strategico globale serva gli interessi fondamentali della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran,
basandosi sui profondi legami storici tra i popoli iraniano e russo, sulla vicinanza delle loro culture e dei loro valori spirituali e morali, sulla comunanza di interessi, sui forti legami di buon vicinato e sulle ampie opportunità di cooperazione in campo politico, economico, militare, culturale, umanitario, scientifico, tecnico e in altri settori,
tenendo conto della necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione nell’interesse della pace e della sicurezza a livello regionale e globale,
Desiderando contribuire a un processo oggettivo di formazione di un nuovo ordine mondiale multipolare giusto e sostenibile, basato sull’uguaglianza sovrana degli Stati, sulla cooperazione in buona fede, sul rispetto reciproco degli interessi, sulle soluzioni collettive ai problemi internazionali, sulla diversità culturale e di civiltà, sul principio del diritto internazionale in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, compresa la rinuncia alla minaccia o all’uso della forza, sulla non interferenza negli affari interni e sul rispetto dell’integrità territoriale di entrambi gli Stati,
Riaffermando l’impegno a rispettare lo spirito, gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute in materia di relazioni amichevoli e cooperazione tra gli Stati, nonché guidati da tutti gli accordi esistenti tra le Parti contraenti, compresa la Dichiarazione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa sulla promozione del diritto internazionale datata 27 Khordad 1399 dell’Hijri solare (corrispondente al 16 giugno 2020),
Sottolineando che il Trattato tra la Persia e la Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa del 7 Esfand 1299 di Solar Hijri (corrispondente al 26 febbraio 1921), il Trattato di Commercio e Navigazione tra l’Iran e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche del 5 Farvardin 1319 di Solar Hijri (corrispondente al 25 marzo 1940), il Trattato sulle basi delle relazioni reciproche e sui principi della cooperazione tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa datato 22 Esfand 1379 del Solar Hijri (corrispondente al 12 marzo 2001) e altri strumenti fondamentali conclusi dalle Parti contraenti hanno gettato una solida base giuridica per le relazioni bilaterali,
hanno concordato quanto segue:
Articolo 1
Le Parti contraenti cercheranno di approfondire ed espandere le relazioni in tutti i settori di reciproco interesse, di rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa, di coordinare strettamente le attività a livello regionale e globale, in linea con un partenariato globale, a lungo termine e strategico.
Articolo 2
Le Parti contraenti attuano una politica statale basata sul rispetto reciproco degli interessi nazionali e della sicurezza, sui principi del multilateralismo, della soluzione pacifica delle controversie e sul rifiuto dell’unipolarismo e dell’egemonia negli affari mondiali, nonché sul contrasto dell’ingerenza di terzi negli affari interni ed esterni delle Parti contraenti.
Articolo 3
Le Parti contraenti rafforzano le loro relazioni sulla base dei principi di uguaglianza sovrana, integrità territoriale, indipendenza, non ingerenza negli affari interni dell’altra Parte, rispetto della sovranità, cooperazione e fiducia reciproca.
2. Le Parti contraenti adotteranno misure per promuovere reciprocamente i suddetti principi nei vari livelli di relazione a livello bilaterale, regionale e globale e aderiranno e promuoveranno politiche coerenti con tali principi.
3. Nel caso in cui una delle Parti Contraenti sia oggetto di un’aggressione, l’altra Parte Contraente non fornirà all’aggressore alcuna assistenza militare o di altro tipo che possa contribuire al proseguimento dell’aggressione e contribuirà a garantire che le divergenze sorte siano risolte sulla base della Carta delle Nazioni Unite e delle altre norme applicabili del diritto internazionale.
4. Le Parti contraenti non permetteranno l’uso dei loro territori a sostegno di movimenti separatisti e di altre azioni che minacciano la stabilità e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente, nonché a sostegno di azioni ostili reciproche.
Articolo 4
1. Al fine di rafforzare la sicurezza nazionale e affrontare le minacce comuni, i servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti si scambiano informazioni ed esperienze e aumentano il livello della loro cooperazione.
2. I servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti cooperano nell’ambito di accordi separati.
Articolo 5
1. Al fine di sviluppare la cooperazione militare tra le rispettive agenzie competenti, le Parti Contraenti condurranno la preparazione e l’attuazione dei rispettivi accordi in seno al Gruppo di lavoro sulla cooperazione militare.
2. La cooperazione militare tra le Parti Contraenti coprirà un’ampia gamma di questioni, tra cui lo scambio di delegazioni militari e di esperti, gli scali in porto di navi e imbarcazioni militari delle Parti Contraenti, l’addestramento del personale militare, lo scambio di cadetti e istruttori, la partecipazione – previo accordo tra le Parti Contraenti – alle esposizioni internazionali di difesa ospitate dalle Parti Contraenti, lo svolgimento di competizioni sportive congiunte, di eventi culturali e di altro tipo, le operazioni congiunte di soccorso e salvataggio marittimo, nonché la lotta alla pirateria e alle rapine a mano armata in mare.
3. Le Parti Contraenti interagiranno strettamente nello svolgimento di esercitazioni militari congiunte nel territorio di entrambe le Parti Contraenti e al di fuori di esso, di comune accordo e tenendo conto delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute applicabili.
4. Le Parti Contraenti si consulteranno e coopereranno per contrastare le minacce militari e di sicurezza comuni di natura bilaterale e regionale.
Articolo 6
1. Nell’ambito di un partenariato globale, a lungo termine e strategico, le Parti contraenti confermano il loro impegno a sviluppare la cooperazione tecnico-militare sulla base dei rispettivi accordi tra loro, tenendo conto degli interessi reciproci e dei loro obblighi internazionali, e considerano tale cooperazione come una componente importante per il mantenimento della sicurezza regionale e globale.
2. Al fine di garantire un adeguato coordinamento e l’ulteriore sviluppo della cooperazione tecnico-militare bilaterale, le Parti contraenti terranno sessioni degli organi di lavoro pertinenti su base annuale.
Articolo 7
1. Le Parti contraenti cooperano a livello bilaterale e multilaterale nella lotta contro il terrorismo internazionale e altre sfide e minacce, in particolare l’estremismo, la criminalità organizzata transnazionale, la tratta di esseri umani e la presa di ostaggi, l’immigrazione clandestina, i flussi finanziari illeciti, la legalizzazione (riciclaggio) dei proventi del crimine, il finanziamento del terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il traffico illecito di merci, denaro, strumenti monetari, beni storici e culturali, armi, stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, lo scambio di informazioni operative e di esperienze nell’ambito della guardia di frontiera.
2. Le Parti contraenti sostengono l’interazione nella protezione dell’ordine pubblico e nel mantenimento della sicurezza pubblica, nella protezione di importanti strutture statali e nel controllo statale del traffico di armi.
3. Le Parti contraenti coordinano le loro posizioni e promuovono sforzi congiunti per combattere le sfide e le minacce menzionate nelle pertinenti sedi internazionali, nonché cooperano nell’ambito dell’Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL).
4. Le Parti contraenti, nell’attuazione della cooperazione prevista dal presente articolo, si ispirano alla loro legislazione nazionale e alle disposizioni dei trattati internazionali di cui sono parti.
Articolo 8
1. Le Parti contraenti tutelano i diritti e gli interessi legittimi dei loro cittadini sul territorio delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione in tutti i settori giuridici di interesse, in particolare per quanto riguarda l’assistenza legale in materia civile e penale, l’estradizione e il trasferimento di persone condannate a pene detentive e l’attuazione di accordi per il recupero dei proventi di reato.
Articolo 9
1. Guidate dall’obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, le Parti contraenti si consultano e cooperano nell’ambito delle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, sulle questioni globali e regionali che possono, direttamente o indirettamente, rappresentare una sfida per gli interessi comuni e la sicurezza delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti cooperano e sostengono su base reciproca l’appartenenza di ciascuna Parte contraente alle organizzazioni internazionali e regionali pertinenti.
Articolo 10
Le Parti contraenti cooperano strettamente per il controllo degli armamenti, il disarmo, la non proliferazione e le questioni di sicurezza internazionale nell’ambito dei pertinenti trattati internazionali e delle organizzazioni internazionali di cui sono parti e si consultano regolarmente su tali questioni.
Articolo 11
1. Le Parti contraenti attuano la cooperazione politica e pratica nel campo della sicurezza informatica internazionale conformemente all’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nel campo della sicurezza informatica del 7 Bahman 1399 del Solar Hijri (corrispondente al 26 gennaio 2021).
2. Le Parti contraenti contribuiscono alla creazione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, di un sistema di sicurezza internazionale dell’informazione e di un regime giuridicamente vincolante per la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti basato sui principi di uguaglianza sovrana e di non interferenza negli affari interni degli Stati.
3. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel campo della lotta all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali, coordinano le azioni e promuovono congiuntamente iniziative nell’ambito delle organizzazioni internazionali e di altre sedi negoziali. Le Parti contraenti promuovono la sovranità nazionale nello spazio informativo internazionale, scambiano informazioni e creano le condizioni per la cooperazione tra le autorità competenti delle Parti contraenti.
4. Le Parti contraenti sostengono l’internazionalizzazione della gestione della rete Internet di informazione e telecomunicazione, sostengono l’uguaglianza dei diritti degli Stati nella sua gestione, considerano inaccettabile qualsiasi tentativo di limitare il diritto sovrano di regolare e garantire la sicurezza dei segmenti nazionali della rete globale e sono interessate a un maggiore coinvolgimento dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni nella soluzione di questi problemi.
5. Le Parti contraenti sostengono il rafforzamento della sovranità nello spazio internazionale dell’informazione attraverso la regolamentazione delle attività delle imprese internazionali nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché attraverso lo scambio di esperienze nella gestione dei segmenti nazionali di Internet e lo sviluppo di infrastrutture nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e cooperano nel campo dello sviluppo digitale.
Articolo 12
Le Parti contraenti faciliteranno il rafforzamento della pace e della sicurezza nella regione del Caspio, dell’Asia centrale, della Transcaucasia e del Medio Oriente, collaboreranno per prevenire le interferenze nelle regioni specificate e la presenza destabilizzante di Stati terzi in tali regioni e scambieranno opinioni sulla situazione in altre regioni del mondo.
Articolo 13
1. Le Parti contraenti cooperano al fine di preservare il Mar Caspio come una zona di pace, buon vicinato e amicizia basata sul principio della non presenza nel Mar Caspio di forze armate non appartenenti agli Stati costieri, nonché per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione del Caspio.
2. Le Parti contraenti, tenendo conto dei vantaggi della loro vicinanza territoriale e della loro connettività geografica, si sforzano di utilizzare tutte le capacità economiche del Mar Caspio.
3. Le Parti contraenti interagiscono attivamente per promuovere e approfondire il partenariato multidimensionale tra gli Stati della regione del Caspio. Durante la cooperazione nel Mar Caspio, le Parti contraenti si ispirano a tutti i trattati internazionali pentalaterali in vigore tra gli Stati del Caspio, di cui la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran sono parti, e confermano la competenza esclusiva degli Stati litoranei del Caspio nell’affrontare le questioni relative al Mar Caspio. Le Parti contraenti migliorano l’interazione bilaterale sulle questioni relative al Mar Caspio.
4. Le Parti contraenti cooperano, anche nell’ambito di attività progettuali congiunte, nel campo dell’uso sostenibile delle opportunità economiche del Mar Caspio, garantendo al contempo la sicurezza ambientale, la protezione della diversità biologica, la conservazione e l’uso razionale delle risorse biologiche acquatiche e dell’ambiente marino del Mar Caspio, e adottano misure per combattere l’inquinamento del Mar Caspio.
Articolo 14
Le Parti contraenti approfondiscono la cooperazione all’interno delle organizzazioni regionali, interagiscono e armonizzano le posizioni all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nell’interesse del rafforzamento del suo potenziale nei settori della politica, della sicurezza, dell’economia e in ambito culturale e umanitario, e facilitano l’espansione dei legami commerciali ed economici tra l’Unione Economica Eurasiatica e la Repubblica Islamica dell’Iran.
Articolo 15
Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo della cooperazione tra i loro organi legislativi, anche nel quadro delle organizzazioni parlamentari internazionali, dei vari formati multilaterali, dei comitati e delle commissioni specializzate, dei gruppi competenti per le relazioni tra l’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran, nonché della Commissione per la cooperazione tra la Duma di Stato dell’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 16
1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione interregionale, assumendo la sua particolare importanza per ampliare l’intera gamma delle relazioni bilaterali.
2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli all’instaurazione di legami diretti tra le regioni russe e iraniane, facilitano la conoscenza reciproca delle loro potenzialità economiche e di investimento, anche attraverso l’organizzazione di missioni commerciali, conferenze, mostre, fiere e altri eventi interregionali.
Articolo 17
Le Parti contraenti sosterranno la cooperazione commerciale ed economica in tutti i settori di reciproco interesse coordinando tale interazione nell’ambito della Commissione permanente russo-iraniana per il commercio e la cooperazione economica.
Articolo 18
1. Le Parti contraenti facilitano lo sviluppo della cooperazione commerciale, economica e industriale, creando vantaggi economici reciproci, compresi gli investimenti comuni, il finanziamento delle infrastrutture, la facilitazione dei meccanismi commerciali e imprenditoriali, la cooperazione nel settore bancario, la promozione e la fornitura reciproca di beni, opere, servizi, informazioni e risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi.
2. Consapevoli delle loro capacità di investimento, le Parti contraenti possono effettuare investimenti congiunti nell’economia di Stati terzi e, a tal fine, mantenere il dialogo nel quadro dei pertinenti meccanismi multilaterali.
Articolo 19
1. Le Parti contraenti contrastano l’applicazione di misure coercitive unilaterali, comprese quelle di natura extraterritoriale, e considerano la loro imposizione come un atto illecito e ostile a livello internazionale. Le Parti contraenti coordinano gli sforzi e sostengono le iniziative multilaterali volte a eliminare la pratica di tali misure nelle relazioni internazionali, guidati, tra l’altro, dalla Dichiarazione della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa sui modi e i mezzi per contrastare, attenuare e rimediare agli impatti negativi delle misure coercitive unilaterali, datata 14 Azar 1402 del Solar Hijri (corrispondente al 5 dicembre 2023).
2. Le Parti contraenti garantiscono la non applicazione di misure coercitive unilaterali dirette o indirette contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di una Parte contraente, le merci, le opere, i servizi, le informazioni, i risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi provenienti da una Parte contraente e destinati all’altra Parte contraente.
3. Le Parti contraenti si astengono dall’aderire a misure coercitive unilaterali o dall’appoggiare tali misure di terzi, se tali misure colpiscono o sono dirette direttamente o indirettamente contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di tali terzi, le merci originarie di una Parte contraente e destinate all’altra Parte contraente, e/o le opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi forniti da fornitori dell’altra Parte contraente.
4. Qualora una terza parte introduca misure coercitive unilaterali nei confronti di una delle parti contraenti, le parti contraenti si adoperano concretamente per ridurre i rischi, eliminare o attenuare l’impatto diretto e indiretto di tali misure sui legami economici reciproci, sulle persone fisiche e giuridiche delle parti contraenti o sui loro beni soggetti alla giurisdizione delle parti contraenti, sui beni originari di una parte contraente e destinati all’altra parte contraente, e/o sulle opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi, forniti dai fornitori delle parti contraenti. Le Parti contraenti si adopereranno inoltre per limitare la diffusione di informazioni che potrebbero essere utilizzate da tali terzi per imporre e inasprire tali misure.
Articolo 20
1. Al fine di incrementare il volume degli scambi commerciali reciproci, le Parti contraenti creeranno le condizioni per sviluppare la cooperazione tra le organizzazioni di prestito, tenendo conto degli strumenti giuridici internazionali in materia di lotta al riciclaggio dei proventi del crimine e al finanziamento del terrorismo di cui le Parti contraenti sono parte, utilizzeranno vari strumenti di finanziamento del commercio, svilupperanno progetti comuni di sostegno alle esportazioni, svilupperanno il potenziale di investimento, amplieranno gli investimenti reciproci tra individui, società pubbliche e private e garantiranno un’adeguata protezione degli investimenti reciproci.
2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione al fine di creare una moderna infrastruttura di pagamento indipendente da Stati terzi, di passare a regolamenti bilaterali in valute nazionali, di rafforzare la cooperazione interbancaria diretta e di promuovere prodotti finanziari nazionali.
3. Le Parti contraenti ampliano la loro cooperazione al fine di sviluppare il commercio e incoraggiare gli investimenti nelle zone economiche speciali/libere delle Parti contraenti.
4. Le Parti contraenti forniranno assistenza alle zone economiche speciali/libere della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran nello svolgimento di attività volte alla creazione di joint venture in aree di reciproco interesse e presteranno attenzione alla creazione di zone industriali.
5. Le Parti contraenti si dichiarano pronte a sviluppare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa nei settori dell’estrazione dell’oro, della lavorazione dell’oro, dei diamanti e dei gioielli.
Articolo 21
1. Le Parti contraenti, tenendo conto delle loro capacità e competenze, sostengono una stretta cooperazione nel settore dei trasporti e riaffermano la loro volontà di sviluppare in modo globale il partenariato nel settore dei trasporti su base reciprocamente vantaggiosa.
2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli per l’operatività dei vettori della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran, la facilitazione del processo di trasporto di merci e passeggeri con tutte le modalità di trasporto e l’aumento dei loro volumi, l’uso efficace delle infrastrutture stradali e di confine.
3. Le Parti contraenti svilupperanno la cooperazione nel settore dei trasporti stradali, ferroviari, aerei, marittimi e multimodali, nonché nella formazione di specialisti nel settore dei trasporti.
4. Le Parti contraenti collaborano attivamente allo sviluppo di corridoi di trasporto internazionali che attraversano il territorio della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran, in particolare il corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. Tale cooperazione comprende la promozione delle merci provenienti dalle Parti contraenti nei mercati degli Stati terzi, nonché la creazione di condizioni per lo sviluppo di un trasporto senza soluzione di continuità attraverso i corridoi di trasporto, sia nel trasporto bilaterale che in quello di transito attraverso i loro territori.
5. Le Parti contraenti introdurranno sviluppi moderni nel settore dei sistemi di trasporto digitali.
6. Le Parti contraenti sostengono uno stretto coordinamento all’interno delle organizzazioni internazionali del settore dei trasporti, stabiliscono una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra le autorità esecutive e le organizzazioni del settore dei trasporti e facilitano la loro partecipazione agli eventi internazionali del settore.
Articolo 22
1. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel settore del petrolio e del gas secondo i principi di uguaglianza e di reciproco vantaggio e adottano misure per migliorare la sicurezza energetica delle Parti contraenti attraverso l’uso efficiente dei combustibili e delle risorse energetiche.
2. Le Parti contraenti promuovono la cooperazione energetica bilaterale nei seguenti settori:
2.1. Assistenza scientifica e tecnica, scambio di esperienze e introduzione di tecnologie avanzate e moderne nella produzione, lavorazione e trasporto di petrolio e gas;
2.2. Assistenza alle aziende e alle organizzazioni russe e iraniane del settore dei combustibili e dell’energia nell’espansione della cooperazione, comprese le forniture di energia e le operazioni di swap;
2.3. Promozione degli investimenti attraverso la cooperazione bilaterale nei progetti di sviluppo dei giacimenti di petrolio e gas nel territorio delle Parti contraenti;
2.4. Promozione di progetti infrastrutturali importanti per la sicurezza energetica globale e regionale;
2.5. Garantire un accesso non discriminatorio ai mercati energetici internazionali e aumentarne la competitività;
2.6. Cooperazione e attuazione di una politica coordinata nell’ambito di forum internazionali sull’energia, come il Forum dei Paesi esportatori di gas e l’OPEC-plus.
3. Le Parti contraenti rafforzeranno il livello di cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel settore delle fonti energetiche rinnovabili.
Articolo 23
Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo di relazioni a lungo termine e reciprocamente vantaggiose per la realizzazione di progetti comuni nel settore dell’uso pacifico dell’energia nucleare, compresa la costruzione di impianti nucleari.
Articolo 24
1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione nei settori dell’agricoltura, della pesca, della veterinaria, della protezione e della quarantena delle piante e della produzione di sementi al fine di incrementare gli scambi reciproci e l’accesso dei prodotti agricoli ai mercati delle Parti contraenti e ai mercati degli Stati terzi.
2. Le Parti contraenti adottano le misure necessarie per garantire la sicurezza dei prodotti agricoli, delle materie prime e degli alimenti, che devono soddisfare i requisiti stabiliti in materia di controllo sanitario ed epidemiologico, veterinario, fitosanitario di quarantena e delle sementi (ispezione), nonché i requisiti per la manipolazione sicura dei pesticidi e dei prodotti chimici agricoli o altri requisiti stabiliti dalla legislazione delle Parti contraenti.
Articolo 25
Le Parti contraenti attuano la cooperazione doganale, compresa la realizzazione di progetti per la creazione di un corridoio doganale semplificato, il riconoscimento reciproco dei rispettivi programmi di operatore economico autorizzato al fine di promuovere la creazione di catene di approvvigionamento sicure, l’organizzazione della cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni doganali tra le rispettive autorità doganali.
Articolo 26
Le Parti contraenti, al fine di promuovere una concorrenza leale nei mercati nazionali e migliorare il benessere della popolazione, sviluppano la cooperazione nel campo della politica antimonopolistica.
Articolo 27
Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione su questioni quali il riconoscimento reciproco di norme, rapporti di prova e certificati di conformità, l’applicazione diretta di norme, lo scambio di esperienze e sviluppi avanzati nel campo dell’uniformità delle misure, la formazione di esperti e la promozione del riconoscimento dei risultati delle prove tra la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 28
Le Parti contraenti interagiscono nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’educazione medica e della scienza, anche nell’ambito delle organizzazioni internazionali competenti, nei seguenti ambiti:
1.) Organizzazione del sistema sanitario statale e gestione dell’assistenza sanitaria;
2.) Prevenzione e trattamento delle malattie trasmissibili e non trasmissibili;
3.) Protezione della salute materna e infantile;
4.) Regolamentazione statale della circolazione dei farmaci per uso medico e dei dispositivi medici;
5.) Promozione di uno stile di vita sano;
6.) Ricerca medica;
7.) Introduzione delle tecnologie digitali nell’assistenza sanitaria;
8.) Formazione professionale degli specialisti del settore sanitario;
9.) Altri settori di cooperazione di interesse reciproco.
Articolo 29
1. Le Parti contraenti rafforzano la cooperazione per garantire il benessere sanitario ed epidemiologico della popolazione sulla base della legislazione nazionale e delle politiche statali di prevenzione e controllo delle infezioni, nonché dei trattati internazionali di cui le Parti contraenti sono parti.
2. Le Parti contraenti rafforzano il coordinamento nel campo del benessere sanitario ed epidemiologico e della sicurezza alimentare.
3. Le Parti contraenti promuovono l’armonizzazione dei requisiti sanitari e degli standard di sicurezza alimentare e la partecipazione reciproca agli eventi pertinenti da esse organizzati.
Articolo 30
1. Le Parti contraenti promuovono e rafforzano legami a lungo termine e costruttivi nei settori dell’istruzione superiore, della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, realizzano progetti scientifici e tecnici comuni, incoraggiano l’instaurazione e lo sviluppo di contatti diretti tra le istituzioni educative e scientifiche interessate delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti promuovono il partenariato diretto tra le istituzioni educative e scientifiche di istruzione superiore interessate, anche per quanto riguarda lo sviluppo e l’attuazione di programmi e progetti scientifici, tecnici e di ricerca congiunti, lo scambio di operatori scientifici e pedagogici e di studenti, l’informazione scientifica e tecnica, la letteratura scientifica, i periodici e le bibliografie.
3. Le Parti contraenti facilitano lo scambio di esperienze e informazioni su questioni relative alla regolamentazione giuridica nel campo delle attività scientifiche, tecniche e innovative, l’organizzazione e lo svolgimento di seminari scientifici congiunti, simposi, conferenze, mostre e altri eventi.
4. Le Parti contraenti promuovono lo studio della lingua, della letteratura, della storia e della cultura ufficiali dell’altra Parte contraente nei loro istituti di istruzione superiore.
5. Le Parti contraenti assistono i propri cittadini nel perseguire l’istruzione in istituti scolastici dell’altra Parte contraente.
Articolo 31
Le Parti contraenti rafforzano l’interazione e lo scambio di opinioni e di esperienze in materia di esplorazione e sfruttamento dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici.
Articolo 32
Le Parti contraenti rafforzano i legami tra i mezzi di comunicazione di massa, nonché in settori quali la stampa e l’editoria, la promozione della letteratura russa e persiana, nonché le relazioni socio-culturali, scientifiche ed economiche, incoraggiando la conoscenza reciproca e i contatti di comunicazione tra i popoli della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 33
Le Parti contraenti incoraggiano i loro mezzi di comunicazione di massa a cooperare ampiamente per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la libera diffusione delle informazioni al fine di opporsi congiuntamente alla disinformazione e alla propaganda negativa diretta contro la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran e di contrastare la diffusione di false informazioni di importanza pubblica che minacciano gli interessi nazionali e la sicurezza di ciascuna delle Parti contraenti, nonché altre forme di abuso dei media.
Articolo 34
1. Le Parti contraenti promuovono ulteriori interazioni nel campo della cultura e dell’arte, anche attraverso lo scambio di eventi culturali e la promozione di contatti diretti tra le loro istituzioni culturali al fine di mantenere il dialogo, approfondire la cooperazione culturale e realizzare progetti comuni a fini culturali ed educativi.
2. Le Parti contraenti facilitano la familiarizzazione dei popoli della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa con la cultura e le tradizioni reciproche, promuovono lo studio delle lingue ufficiali (russo e persiano), incoraggiano i contatti tra le istituzioni scolastiche, compreso lo scambio di esperienze tra i professori di lingua russa e persiana, la loro formazione e riqualificazione professionale, lo sviluppo di materiale didattico per lo studio del russo e del persiano come lingue straniere, tenendo conto delle specificità nazionali, e incoraggiano i contatti tra le personalità della letteratura, dell’arte e della musica.
3. Le Parti contraenti creeranno condizioni favorevoli per il funzionamento del Centro culturale iraniano a Mosca e del Centro culturale russo a Teheran, in conformità con l’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sull’istituzione e il quadro operativo dei Centri culturali del 24 Farvardin 1400 del Solar Hijri (corrispondente al 13 aprile 2021).
Articolo 35
Le Parti contraenti sostengono un’intensa cooperazione nel settore pubblico e privato nei campi della promozione del patrimonio culturale, del turismo, dell’arte e dell’artigianato, al fine di sensibilizzare la popolazione alla ricchezza socio-culturale e alle varie attrazioni turistiche della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran e di promuovere i contatti diretti tra le loro organizzazioni turistiche.
Articolo 36
Le Parti contraenti incoraggiano gli scambi bilaterali di giovani, facilitano l’instaurazione di contatti diretti tra associazioni creative, sportive, socio-politiche e altre associazioni giovanili e promuovono conferenze, seminari e consultazioni tematiche congiunte sulle questioni giovanili.
Articolo 37
Le Parti contraenti facilitano il rafforzamento della cooperazione nel campo della cultura fisica e dello sport attraverso lo scambio di allenatori e altri specialisti in educazione fisica e sport, nonché l’ampliamento dei contatti diretti tra le loro organizzazioni sportive.
Articolo 38
Le Parti contraenti si prestano reciprocamente assistenza per la prevenzione, la risposta e la mitigazione delle catastrofi naturali e di origine umana, nonché per lo sviluppo e il miglioramento del sistema di gestione delle crisi.
Articolo 39
Le Parti contraenti cooperano nel campo della protezione dell’ambiente attraverso la condivisione di esperienze sull’uso razionale delle risorse naturali, l’introduzione di tecnologie rispettose dell’ambiente e l’attuazione di misure di protezione ambientale.
Articolo 40
Le Parti contraenti facilitano la cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel campo della gestione delle risorse idriche.
Articolo 41
Le Parti contraenti, al fine di definire aree e parametri specifici di cooperazione previsti dal presente Trattato, possono, se necessario, concludere accordi separati.
Articolo 42
Le Parti contraenti si scambieranno opinioni sull’attuazione delle disposizioni del presente Trattato, anche in occasione di vertici periodici e riunioni ad alto livello.
Articolo 43
Il presente Trattato non pregiudica i diritti e gli obblighi delle Parti contraenti derivanti da altri trattati internazionali.
Articolo 44
Qualsiasi controversia derivante dall’interpretazione o dall’attuazione delle disposizioni del presente Trattato sarà risolta attraverso consultazioni e negoziati tra le Parti contraenti per via diplomatica.
Articolo 45
1. Il presente Trattato è soggetto a ratifica ed entrerà in vigore allo scadere di 30 (trenta) giorni dalla data dell’ultima notifica scritta del completamento da parte delle Parti Contraenti delle relative procedure interne, e sarà valido per 20 (venti) anni con rinnovo automatico per successivi periodi di cinque anni.
2. Il presente Trattato sarà denunciato se una delle Parti contraenti notificherà per iscritto all’altra Parte contraente la sua intenzione di denunciare il presente Trattato al più tardi 1 (uno) anno prima della sua scadenza.
Articolo 46
La cessazione del presente Trattato non pregiudicherà i diritti e gli obblighi delle Parti Contraenti, così come i loro progetti, programmi o accordi in corso che sono stati realizzati nel corso dell’attuazione del presente Trattato prima di tale cessazione, a meno che non concordino diversamente per iscritto.
Articolo 47
Di comune accordo scritto delle Parti contraenti, il presente Trattato può essere emendato e integrato. Tali emendamenti e integrazioni costituiranno parte integrante del presente Trattato ed entreranno in vigore in conformità con l’articolo 45 dello stesso.
Il presente Trattato, composto da un preambolo e da 47 (quarantasette) articoli, è stato concluso nella città di Mosca il 28 dicembre 1403 dell’Hijri solare, corrispondente al 17 gennaio 2025, in due originali in lingua persiana, russa e inglese, tutti i testi facenti ugualmente fede.
In caso di disaccordo nell’interpretazione o nell’attuazione del presente Trattato, sarà utilizzato il testo inglese.
Teheran, IRNA – I leader dei Paesi arabi della regione del Golfo Persico hanno chiesto al presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump di adottare “una posizione più morbida” nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran, secondo quanto riportato da un rapporto.
Il New York Times ha riportato lunedì che i leader arabi hanno anche esortato Trump – che diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio – ad adottare “una linea più dura nei confronti di Israele”.
Durante il suo primo mandato, Trump ha ritirato gli Stati Uniti da un accordo storico tra l’Iran e sei potenze mondiali, tra cui l’America. Aveva fatto campagna elettorale contro l’accordo ed era amareggiato dal fatto che non avesse portato benefici finanziari agli Stati Uniti. Successivamente, poiché l’Iran si rifiutava di negoziare un altro accordo con uno Stato perfido, Trump ha lanciato quella che ha definito una campagna di “massima pressione” su Teheran.
Sempre durante il suo primo mandato, Trump ha abbracciato i Paesi arabi in quella che era percepita come una coalizione anti-Iran.
In quello che il New York Times descrive come un cambiamento significativo, quegli stessi Paesi arabi hanno ora chiesto al prossimo presidente degli Stati Uniti di ammorbidire la sua posizione sull’Iran durante il suo secondo mandato.
Il rapporto ha evidenziato i commenti pubblici dei leader arabi nell’ultimo anno, da quando Israele ha lanciato una guerra contro la Striscia di Gaza nell’ottobre 2023, e ha affermato che i commenti rivelano un riposizionamento dell’atteggiamento.
L’orrenda perdita di vite umane e l’essenziale appiattimento della Striscia di Gaza, che molti Paesi ora considerano equivalente a un genocidio, ha spinto i leader arabi, in precedenza per lo più ignari della condizione dei palestinesi sotto l’occupazione e l’assedio israeliano, a cambiare la loro posizione.
La guerra israeliana in corso ha ucciso più di 46.500 palestinesi, e non solo.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
L’altro giorno ho ricevuto un messaggio da Substack che si congratulava con me per essere diventato “Substack Bestseller”. Non ho idea di cosa significhi in termini pratici, soprattutto perché non sto vendendo nulla. Ma poi mi hanno esortato a utilizzare la funzione Note e a fare dei video. Non ho intenzione di fare né l’una né l’altra cosa, almeno per il momento, perché il mio tempo è limitato e mi vedete già abbastanza.
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri, e passando i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (anzi, ne sarei molto onorato), ma non posso promettervi nulla in cambio, se non una calda sensazione di virtù.
Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️
Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando le traduzioni in spagnolo sul suo sito qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando le traduzioni in italiano su un sito qui. Hubert Mulkens si è offerto di fare un’altra traduzione in francese, e ci lavoreremo. Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che si dia credito all’originale e me lo si faccia sapere. E ora:
*****************************
Volevo scrivere di qualcosa di molto diverso questa settimana, ma ho notato nei commenti al mio ultimo post, e in altre discussioni su Internet, che si sta iniziando a parlare di due questioni pratiche correlate che hanno a che fare con ciò che seguirà la “fine” della guerra in Ucraina. Una è come la Russia potrebbe garantire la sicurezza del suo nuovo confine occidentale, e l’altra è se sarebbe fattibile (supponendo che sia accettabile) per una sorta di forza multinazionale da dispiegare lungo una zona cuscinetto o demilitarizzata tra Russia e Ucraina. Le due cose sono ovviamente collegate, e la seconda è in qualche modo un caso secondario della prima.
Entrambe le questioni sollevano interrogativi molto profondi, che non ho visto affrontati adeguatamente altrove, quindi spetta a me fare ciò che posso. Come sempre, cercherò di non entrare nel dettaglio delle questioni militari, dove non sono competente per parlare, ma credetemi, c’è molto da dire altrove. E come sempre, voglio partire da alcuni principi fondamentali ma importanti, e lavorare da lì.
La caratteristica comune di queste due questioni, ovviamente, è l’uso delle forze armate, quindi iniziamo ricordando cosa sono. L’esercito è un’istituzione con la capacità di usare, o minacciare di usare, la forza organizzata a sostegno di obiettivi politici (o “politici”). Questa capacità offre ai governi ulteriori opzioni, ma deve anche essere usata con attenzione per essere efficace. Quindi la prima domanda sull’uso delle forze militari dopo una presunta soluzione in Ucraina è: qual è lo scopo strategico superiore che tali forze sono destinate a servire? Concretamente, non si può parlare della possibilità che i russi siano in grado di controllare la frontiera occidentale, né dell’inserimento di un’ipotetica forza di “mantenimento della pace”, senza avere ben chiari i loro scopi strategici superiori, e se ci sono modi in cui sarebbero effettivamente in grado di realizzarli.
È per questo che ogni uso responsabile della forza militare inizia dalle decisioni a livello strategico e procede verso il basso, e lo faremo tra poco. Altrimenti, come è accaduto con monotona regolarità in passato, una forza di qualche tipo verrà dispiegata perché si può, e perché “qualcosa” deve essere “fatto”, e poi una sorta di logica strategica truccata verrà aggiunta in seguito. Farò alcuni esempi anche di questo. Ogni volta che si legge di un’azione militare per “mostrare determinazione” o “inviare un messaggio” o “stabilizzare la situazione”, si può essere certi che nessuno è in grado di spiegare lo scopo strategico della missione, o anche solo il modo in cui i militari vi contribuiranno. È praticamente certo che missioni militari di questo tipo non porteranno a nulla di concreto.
Entrambe le opzioni dovrebbero partire da uno stato finale politico strategico, vale a dire: qual è la situazione che state cercando di produrre sul terreno e come saprete di averla raggiunta? Questo è il motivo per cui obiettivi come “mostrare determinazione” sono privi di significato, perché non si ha idea di quali effetti concreti si stia cercando di produrre, e comunque non si ha modo di misurarli. La definizione di questi stati finali spetta alla leadership politica, ed è qui che iniziano i problemi. Nel caso dei russi, c’è almeno un unico punto di decisione, quindi potrebbero essere in grado di definire il loro stato finale in termini come “un’Ucraina non più in grado di rappresentare una minaccia per la Russia e senza la presenza di forze straniere”. Ora, alcune parole devono essere definite, in particolare “minaccia”, e ci dovrebbe essere un giudizio pragmatico su quale livello di contatti con l’estero sarebbe consentito all’Ucraina. Anche in questo caso, affronteremo questi punti tra un minuto, e nel frattempo lasceremo che i russi elaborino il loro stato finale e torneremo a parlarne in seguito.
Nel frattempo, un utile esempio comparativo a livello nazionale è l’Irlanda del Nord durante l’emergenza trentennale, dove dopo un inizio difficile, lo stato finale britannico è stato definito come una provincia ancora parte del Regno Unito, in cui i repubblicani avevano rinunciato alla lotta armata. Ciò ha comportato la necessità di resistere finché l’IRA non si è arresa, ma anche di cercare di riformare il processo politico interno in modo da indebolire il sostegno a coloro che volevano un’Irlanda unita, evitando la guerra civile tra protestanti e cattolici che una simile eventualità avrebbe provocato. A sua volta, ciò ha comportato tutta una serie di valutazioni su come impiegare, tra l’altro, l’esercito, la polizia e il sistema giudiziario.
Il vero problema sorge quando un gruppo di Paesi cerca di definire uno stato finale, spesso ignorando la situazione sul campo e prestando più attenzione ai propri desideri che a quelli della popolazione locale. Il caso classico è quello della Bosnia del 1992-95, un esempio a cui farò riferimento più volte. È dubbio che ci sia mai stato uno stato finale politico concordato tra il gran numero di attori esterni in competizione tra loro, ma l’approccio più vicino ad esso sarebbe stato probabilmente “una Bosnia unitaria con un qualche tipo di sistema politico con cui tutti, specialmente l’Occidente, possano convivere”. Il problema, ovviamente, è che la maggioranza della popolazione non voleva vivere in una Bosnia unitaria e che non esisteva alcun sistema politico possibile, per quanto complesso e ingegnoso, che potesse effettivamente risolvere le inconciliabili tensioni politiche del Paese. (La soluzione più vicina, il piano di pace Vance-Owen del 1993, è stata sabotata dall’amministrazione Clinton sotto la pressione delle ONG e dei media: un aspetto da tenere a mente mentre procediamo). Il sistema politico caotico e disfunzionale in vigore in Bosnia dal 1995 riflette i tentativi dell’Occidente di imporre uno stato finale di cui essere soddisfatti a persone che non lo volevano. Ma nessuno ha ancora trovato una soluzione migliore.
Almeno nel caso della Bosnia c’era un consenso (molto) approssimativo sullo stato finale politico, anche se non era realistico. Nel caso dell’Ucraina, quale sarebbe questo consenso anche solo teorico? E di chi sarebbe comunque il consenso? I russi dovrebbero essere pienamente d’accordo, gli ucraini potrebbero probabilmente essere gestiti, ma quale struttura politica si assumerebbe la responsabilità? Chiaramente non la NATO, a meno che il concetto non sia un dispiegamento in territorio ucraino contro la volontà russa: buona fortuna. Forse l’ONU? Beh, questo significa dare voce alla Cina nella definizione dello stato finale, così come a vari Stati asiatici e africani nel Consiglio di Sicurezza. E naturalmente le organizzazioni internazionali, guidate dall’UE, si precipiteranno con i loro piani e le loro iniziative politiche, generalmente scollegate tra loro.
Questo potrebbe essere sufficiente a fermare un’idea del genere prima che inizi. Ma supponiamo, per amor di discussione, che i russi siano d’accordo con tale forza e che questa sia posta sotto l’egida di un’organizzazione internazionale diversa dalla NATO o, eventualmente, sotto una sorta di coalizione ad hoc. (Spiegherò più avanti perché questo è difficile) Ebbene, cosa farà? Ci sono tre possibilità fondamentali.
La prima è il monitoraggio e la verifica, che ovviamente presuppone qualcosa da monitorare e verificare. In effetti, tra il 2014 e il 2022, in Ucraina c’è stato un gruppo di monitoraggio sotto l’egida dell’OSCE. Ora c’è un gruppo ad hoc nel Libano meridionale, che lavora con la forza delle Nazioni Unite nel sud del Paese. Queste missioni, che non devono essere molto grandi, servono essenzialmente a tenere un registro. Tengono un registro delle violazioni del cessate il fuoco e le riferiscono di solito a una sorta di comitato di coordinamento, e questo è tutto. Di tanto in tanto producono dei rapporti. È quasi possibile immaginare una sorta di commissione congiunta che coinvolga la Russia, qualche entità ucraina e qualche organismo internazionale, forse di nuovo l’OSCE. I russi porrebbero il veto a qualsiasi coinvolgimento dei Paesi della NATO o dell’UE e, mentre un tempo gli svizzeri o gli svedesi avrebbero potuto svolgere un ruolo (come nella DMZ coreana), è improbabile che ciò sia possibile ora.
Il valore effettivo di un tale dispiegamento sarebbe prossimo allo zero, e se la situazione si deteriorasse il personale dovrebbe essere ritirato per la propria sicurezza. L’unica vera utilità sarebbe quella di fornire materia prima per la propaganda delle diverse parti.
Il secondo sarebbe un classico dispiegamento in stile ONU o Unione Africana, su scala molto più ampia e con un mandato molto più ampio, volto a garantire la sicurezza in un’area definita. Al giorno d’oggi, le forze dell’ONU tendono a ricevere incarichi di ogni tipo: smobilitazione e disarmo dei combattenti, addestramento, formazione di nuovi eserciti nazionali, riforma di genere e molti altri. Ma supponiamo, ai fini di quanto segue, che il loro mandato si limiti a garantire la sicurezza lungo una linea di demarcazione che definiremo: forse dieci o venti chilometri su entrambi i lati. L’organizzazione, il dispiegamento, il sostegno e il comando di una simile forza avrebbero problemi enormi, e tra poco ne elencherò alcuni dei peggiori.
La terza sarebbe una vera e propria forza di interposizione, progettata per tenere le “parti in guerra” lontane l’una dall’altra. (Sembra che questo sia ciò a cui il signor Zelensky, nel suo modo tipicamente confuso, alludeva ieri a Davos). Non credo che esista un solo esempio di una tale forza che sia stata dispiegata con successo da qualche parte, e l’opzione rimane puramente teorica. Tecnicamente, la forza potrebbe essere un “filo spinato”, progettato per aumentare i costi politici della violazione di un accordo ma, come vedremo tra poco, l’occupazione del territorio da parte di una forza internazionale (o comunque russa) non ha molto significato nel caso dell’Ucraina. È anche in questo contesto che, negli ultimi giorni, politici britannici e non solo hanno evocato l’idea di un dispiegamento di piccole forze nazionali in Ucraina. Ma questo implica una pericolosa confusione tra un dispiegamento in un ambiente permissivo e un dispiegamento effettivamente diretto contro la Russia in qualche modo.
Nessuna di queste tre opzioni può essere discussa senza un’idea delle dimensioni del terreno, e quindi del compito, di cui stiamo parlando. Nessuno sa cosa i russi considererebbero una linea di demarcazione accettabile, ma per amor di discussione supponiamo che vada da Odessa a Kharkov, passando per Dnipro, e che segua all’incirca la linea dei principali assi di trasporto, poiché ciò faciliterebbe le comunicazioni. Si tratta di circa 700 chilometri, ovvero circa il doppio della distanza tra Washington e New York. Se le forze fossero separate da appena 5 km su entrambi i lati della linea di demarcazione, il che non sarebbe molto, si otterrebbe un’area di 7.000 kmq, ovvero una dimensione simile a quella dell’agglomerato urbano di Tokyo/Yokohama, ma molto più ristretta. Ovviamente, l’area da monitorare o pattugliare aumenta rapidamente all’aumentare dell’ampiezza della separazione. Esaminiamo quindi le tre possibilità.
La missione OSCE in Ucraina dal 2014 al 22 consisteva in circa 1.500 osservatori civili disarmati, che coprivano un’area molto più piccola, dove le due parti si confrontavano direttamente e dove era facile stabilire relazioni con i combattenti. Qualcosa di simile potrebbe essere possibile in questo caso, a livello puramente simbolico, ma è discutibile anche se i russi accetterebbero l’OSCE come struttura generale. In ogni caso, i russi porrebbero senza dubbio il veto ai monitor di qualsiasi Stato della NATO o dell’UE (la maggioranza dell’OSCE), per cui ci troveremmo di fronte a Paesi come Andorra, Liechtenstein e la Santa Sede. L’Ucraina, da parte sua, porrebbe il veto su Stati come la Bielorussia. È interessante chiedersi se sia possibile trovare 2-3000 osservatori accettabili ed esperti (spesso militari in pensione). In ogni caso, si può presumere che tutti gli attori principali sfrutterebbero senza pietà una missione del genere per fini politici.
Che dire allora della seconda opzione: un dispiegamento in stile ONU? Dico stile ONU, perché un vero e proprio dispiegamento sotto l’egida delle Nazioni Unite richiederebbe, come minimo, un accordo dettagliato tra la Russia e i P3 occidentali in seno al Consiglio di Sicurezza. Ma prendiamo a modello alcune operazioni dell’ONU. In termini di demarcazione, l’esempio più ovvio è quello della forza UNIFIL nel Libano meridionale. La sua area di responsabilità è di poco più di 1.000 kmq, tra il fiume Litani e la Linea Blu al confine con Israele. Attualmente conta poco più di 10.000 truppe provenienti da 50 Paesi. È chiaro che non c’è un rapporto matematico rigido da applicare, ma è ovvio che anche il pattugliamento e l’osservazione di una linea lunga 700 km richiederebbe una forza massicciamente più grande e ben organizzata, divisa in settori con quartieri generali sussidiari. In realtà, la maggior parte delle missioni ONU è comunque più grande di questa. L’UNPROFOR in Bosnia, con alcune truppe aggiuntive in Croazia, era forte di circa 25-30.000 uomini in tempi diversi, e anche l’UNAMSIL in Sierra Leone aveva una forza massima di 17.000 uomini. (La Bosnia ha una superficie di circa 50.000 kmq, la Sierra Leone di circa 70.000, ma in nessuno dei due casi le truppe erano dispiegate su tutto il territorio).
Ma questi sono solo numeri. Da dove verrebbero effettivamente le truppe, anche per un dispiegamento di 10.000 uomini? Ci sono tre tipi di limitazioni. La prima è di natura politica: i russi non accetterebbero truppe dall’Occidente globale e non sarebbero disposti ad accettare l’idea che la Forza venga dispiegata oltre il confine, in territorio ucraino. Senza dubbio annuncerebbero di non poter “garantire la sicurezza” di alcuna truppa in tale Forza, e organizzerebbero alcuni “incidenti” dopo i quali le nazioni inizierebbero a ritirare il loro personale. In effetti, con gli ucraini che come al solito pretendono cose impossibili, c’è una buona probabilità che la Forza non si dispieghi mai.
Il secondo è basato sulle capacità. L’Occidente globale ha la maggior parte delle forze armate del mondo in grado di schierarsi all’estero e di partecipare a operazioni di coalizione. Salvo una qualche strana forza congiunta russo-ucraina, i russi sono esclusi, i cinesi (con pochissima esperienza di dispiegamenti all’estero) non sarebbero entusiasti e gli indiani, pur avendo una certa esperienza di operazioni di mantenimento della pace, non sarebbero in grado di svolgere un ruolo importante. Un dispiegamento su larga scala al di fuori del Paese per periodi prolungati è qualcosa che pochi Stati possono effettivamente fare, e mettere in campo il tipo di forze robuste e meccanizzate per tutte le stagioni che sarebbero necessarie è sempre più raro al giorno d’oggi. (La storia del contingente egiziano dell’UNPRFOR che si è presentato a Sarajevo nel cuore dell’inverno con le sole armi personali e le uniformi estive è diventata proverbiale). E naturalmente questo presuppone che l’opinione pubblica del Sud globale sia effettivamente favorevole a tali dispiegamenti, soprattutto quando le perdite iniziano a salire.
Il terzo è di tipo finanziario e logistico. I dispiegamenti dell’ONU sono attraenti per molti Paesi perché l’ONU paga tutti i costi (compreso il personale) e Paesi come il Ghana e il Pakistan traggono un profitto considerevole dai loro dispiegamenti. I membri della NATO pagano i propri costi. Ma in assenza di un bilancio delle Nazioni Unite, il dispiegamento in Ucraina sarebbe al di là delle capacità finanziarie (e logistiche) della maggior parte delle nazioni del mondo. L’UNPROFOR è stata dispiegata in Bosnia in parte attraverso il porto di Spalato in Croazia, e il Libano ha un grande porto a Beirut. Guardate una mappa e ditemi come i sudcoreani, per esempio, uno degli Stati più prosperi e tecnicamente competenti al di fuori dell’Occidente globale, potrebbero portare le loro attrezzature pesanti a Dnipro, e immaginate quanto costerebbe.
Ma supponiamo che possiate in qualche modo risolvere questi problemi. Beh, ce ne sono altri. Il più serio è la rotazione delle truppe. Non si possono tenere unità militari sul campo per più di sei mesi prima che la loro efficacia cominci a diminuire drasticamente. La regola francese è di quattro mesi, i britannici a un certo punto hanno fatto ruotare alcune delle loro truppe in Irlanda del Nord ogni tre mesi. Quindi, non appena le truppe saranno arrivate, sarà il momento di pensare di riportarle indietro e sostituirle. Una regola approssimativa è che schierare un’unità all’estero per sei mesi la mette fuori gioco per circa un anno, se si considerano l’addestramento, lo schieramento, le operazioni, il recupero e il congedo. Dopodiché, l’unità potrebbe aver bisogno di una riqualificazione prima di riprendere il suo ruolo precedente. (Al culmine dell’emergenza nordirlandese, i britannici avevano circa 30.000 truppe impegnate in questo ciclo). Poiché non è possibile inviare sempre le stesse unità in operazioni, per ogni unità inviata in un tour di sei mesi, è necessario averne almeno tre di riserva.
E infine, che dire del comando? Non si possono mandare le unità in missione e dire loro di fare tutto ciò che sembra sensato. Un’operazione di questo tipo richiede un comando a livello strategico, operativo e tattico. Per essere esercitato correttamente, tale comando richiede una dottrina preesistente e, a sua volta, una direzione politica per essere efficace. Qualsiasi forza di questo tipo avrebbe bisogno di un’adeguata struttura di comando: tipicamente un quartier generale tattico sul campo, per gestire le questioni operative e gestionali quotidiane, un quartier generale di livello operativo al di fuori del Paese per occuparsi del livello politico-militare e permettere alle persone sul campo di fare il loro lavoro, e un quartier generale strategico da cui provengono le direttive politiche e militari di alto livello. Nelle operazioni della NATO in Bosnia dopo il 1995 e in Afghanistan, esisteva già una struttura di comando, anche se non era particolarmente efficace. Durante l’UNPROFOR, la Forza aveva un comando a livello di teatro, mentre i livelli operativi e strategici erano in teoria forniti da New York. Il Dipartimento per le Operazioni di Pace (ora solo Operazioni di Pace) non poteva realmente “comandare” nulla, e il Consiglio di Sicurezza, con i suoi membri mutevoli e le continue lotte politiche, non poteva mai definire una strategia. Inoltre, i contingenti nazionali avevano tutti una propria dottrina nazionale e alcuni erano già stati coinvolti in operazioni simili, mentre altri no.
Strutturalmente, ci sarebbe bisogno di un Comandante di Forza, probabilmente di diversi Comandanti di Settore, data l’entità del compito, e dell’organizzazione di una Forza equilibrata, che non si verifica semplicemente, ma richiede molto lavoro preliminare. La Forza dispiegata deve essere adatta alla missione e occorre un processo complesso, noto come Force Generation, per garantire che sia strutturata in modo adeguato e in grado di lavorare insieme. Inoltre, una nazione quadro spesso si assume la responsabilità di circa due terzi del personale del quartier generale, per garantire che tutti possano comunicare tra loro. Dato che la forza è multinazionale e l’operazione sarà molto delicata, non è chiaro quante, se non nessuna, delle nazioni al di fuori dell’Occidente globale abbiano l’esperienza e soprattutto l’entusiasmo per assumersi un tale compito.
Soprattutto, la Forza ha bisogno di una missione chiara, articolata a livello strategico. L’UNPROFOR, probabilmente l’analogo più vicino alla forza potenziale di cui stiamo parlando, è un buon esempio di come non farlo. In effetti, si è deciso di inviare una forza ONU per ragioni politiche, prima di pensare a ciò che la forza avrebbe dovuto fare. La pressione dei media e delle ONG per “fermare la violenza” avrebbe richiesto una missione con una forza ben armata e aggressiva di forse 100.000 soldati con equipaggiamento pesante, e un numero simile per sostituirli, secondo le analisi fatte all’epoca. Una forza del genere non esisteva neanche lontanamente. Inoltre, diverse nazioni hanno sottolineato che era ridicolo inviare comunque una forza di pace, quando non esisteva alcuna pace. In effetti, si dimostrò effettivamente impossibile definire una missione militare che avesse senso. Alla fine, di fronte alla necessità impellente di “fare qualcosa”, si decise di definire la missione come protezione dei convogli di aiuti umanitari. Tuttavia, il Consiglio di Sicurezza (dove solo i britannici e i francesi contribuivano regolarmente con le truppe) si intromise senza sosta nel mandato, caricando la Forza di ulteriori responsabilità e lasciando ai comandanti istruzioni spesso confuse e paradossali.
Almeno in quel caso esisteva un’organizzazione con meccanismi di discussione e coordinamento. Ma il tipo di forza ad hoc di cui stiamo discutendo, se mai potesse essere costituita, non avrebbe nulla di tutto ciò. E non è chiaro come si potrebbe concordare uno scopo strategico, come si potrebbero definire le missioni, come la forza verrebbe comandata o quale dottrina utilizzerebbe. Un problema particolare che preoccupa molto gli specialisti è quello noto come regole di ingaggio, o RoE.
In una zona di conflitto armato una forza militare è regolata dalle leggi di guerra. Se il conflitto armato non esiste più, ogni contingente è soggetto alle leggi del proprio Paese sull’uso della forza. Spesso queste sono diverse e nelle forze multinazionali si sono verificate situazioni in cui un comandante superiore ha impartito ordini che sarebbero stati illegali per un giovane ufficiale di un altro Paese.
Ma questo non è il peggio. I RoE si aggiungono a queste disposizioni legali, non le sostituiscono. La maggior parte dei Paesi che inviano truppe in operazioni multinazionali lo fanno per ragioni politiche più ampie, per acquisire esperienza, per impressionare altre nazioni, come parte della competizione regionale e per molti altri scopi. Pochi di questi scopi comportano il rischio della vita delle proprie truppe. Così, mentre nazioni come la Francia e il Regno Unito si aspettavano che le loro truppe si difendessero quando attaccate, molti degli altri contingenti nazionali dell’UNPROFOR avevano un RoE che imponeva alle truppe di ritirarsi se fossero finite sotto il fuoco, per evitare perdite. (Si dà il caso che alcune nazioni non occidentali, come i bangladesi, gli etiopi e i nepalesi, siano state tra le truppe più dure e determinate in diverse operazioni multinazionali). Pertanto, qualsiasi forza ad hoc concepibile sarebbe composta da contingenti inviati da Paesi diversi per motivi diversi, con aspettative diverse sulla missione e RoE diversi. Non è una ricetta per il successo.
Forse questo è un argomento che si sta ripetendo. Ma la verità è che anche in un ambiente politico e militare permissivo, qualsiasi forza multinazionale che non sia sotto l’egida dell’ONU o della NATO semplicemente non funzionerebbe, anche se potesse essere assemblata per miracolo. (Ne consegue che un qualche tipo di forza di “interposizione”, destinata a fermare effettivamente le violazioni di qualsiasi accordo venga raggiunto, è una fantasia senza speranza, e non ha molto senso discuterne. Il massimo che potrebbe essere praticamente possibile sarebbe una sorta di forza di monitoraggio, che riferisca a un comitato congiunto di qualche tipo. Ma anche questo sarebbe estremamente difficile e probabilmente inefficace. E anche se ho citato la NATO con toni di minore disapprovazione, dobbiamo essere chiari sul fatto che la NATO non potrebbe, in pratica, generare, dispiegare e comandare una tale forza: non ha le truppe necessarie, il sostegno politico o una visione strategica comune.
Ci tengo a precisare, come coda, che se, come ho mostrato a lungo, l’idea di un intervento militare diretto contro la Russia è altrettanto fantastica, allora sarebbe ancora tecnicamente possibile inserire dei contingenti europei in Ucraina, con l’idea di “dissuadere” i russi dall’occupare certe aree o certe città. Se ne parla da mesi e non è successo nulla (come avevo previsto), ma rimane una possibilità teorica. Tuttavia, una forza abbastanza piccola sarebbe probabilmente lasciata in pace dai russi, che semplicemente taglierebbero le sue vie di rifornimento e le permetterebbero di diventare inefficaci.
Quindi, come ho suggerito in precedenza (e più recentemente la scorsa settimana), gli accordi scritti monitorati da un’ipotetica presenza internazionale non funzioneranno. Ciò che “funzionerà”, nel senso di portare a risultati effettivi e duraturi, è una vittoria russa che crei fatti sul terreno contro i quali non si può fare appello, e uno stato di conformità da parte dell’Ucraina e dell’Occidente che sia nel loro stesso interesse. Tuttavia, questo controllo deve essere esercitato in qualche modo. Che dire della possibilità di “aree smilitarizzate”, di “cordoni sanitari” o addirittura di aree dell’Ucraina sotto occupazione russa? Abbiamo lasciato i russi a riflettere su questo punto qualche paragrafo fa. Possiamo indicare alcune possibilità?
Come sarà chiaro, credo che il problema sia essenzialmente politico piuttosto che militare, ed è un classico errore tentare di usare mezzi militari per risolvere problemi politici. È difficile immaginare che i russi vogliano effettivamente occupare l’intera Ucraina, acquisendo così un nuovo e delicato confine con la NATO, e non ha senso occuparne solo una parte, a meno che non abbiano intenzione di incorporare quella parte nella Russia stessa. È anche importante definire cosa intendiamo per “occupazione” e perché la si farebbe.
Storicamente, parte o tutto un Paese poteva essere occupato alla fine di una guerra come simbolo visibile della vittoria e per impedire fisicamente che quel Paese continuasse la guerra. L’occupazione durava fino alla fine dei negoziati di pace, dopodiché le truppe normalmente se ne andavano. In alcuni casi (come nella Renania dopo il 1918) le truppe rimanevano per smilitarizzare la regione. Le occupazioni tedesche della Seconda guerra mondiale erano diverse: erano per lo più strategiche, destinate a fornire accesso a cibo e materie prime e a ostacolare gli sbarchi degli Alleati.
Come ogni operazione militare, quindi, l’occupazione deve avere uno scopo. Poiché gli scopi sono diversi, anche i tipi di occupazione sono diversi. La più semplice è un’occupazione consensuale, in cui non ci si aspetta una seria resistenza. Nel dicembre 1995, la Forza di Attuazione (IFOR) guidata dalla NATO si è dispiegata in Bosnia con una forza di circa 60.000 uomini, scesi a circa la metà quando il nome è stato cambiato in Forza di Stabilizzazione un anno dopo. La Bosnia è un Paese minuscolo, grande meno di un decimo dell’Ucraina, in gran parte collinare e montuoso: le città si trovano nelle valli.
Si confronti con l’occupazione tedesca della Francia tra il 1940 e il 1944, un Paese grande più o meno come l’Ucraina. In questo caso, i tedeschi erano un esercito di conquista, ma non occupavano l’intero Paese e parte dei circa 100.000 effettivi stanziati erano della Marina e dell’Aeronautica. La cosiddetta Zona Libera, con sede a Vichy, era nelle mani dello Stato francese di Pétain, che non vedeva di buon occhio l’occupazione tedesca, ma riteneva che i migliori interessi della Francia fossero quelli di assecondare una situazione che non poteva essere modificata militarmente e di collaborare con una potenza che combatteva il comunismo internazionale. Le attività della Resistenza, associate nella loro mente ai comunisti, costituivano quindi una grave irritazione e un pericolo per la sicurezza nazionale. Ciò significa che Vichy prese il comando della lotta contro la Resistenza, che da parte sua, consapevole della sua debolezza, raramente tentò di combattere direttamente gli occupanti. Al contrario, oltre 300.000 forze tedesche erano stanziate in Norvegia, dove il governo collaborazionista dei Quisling era debole ma le forze di resistenza erano attive.
Poi ci sono le forze di occupazione impegnate in un conflitto vero e proprio. Al culmine della guerra in Algeria, i francesi avevano mezzo milione di soldati nel Paese. In Irlanda del Nord, al culmine dell’emergenza, i britannici avevano fino a 20.000 soldati, oltre all’intera polizia locale e a forze militari radicate localmente. Inoltre, in Algeria, centinaia di migliaia di locali combatterono, non tanto a fianco dei francesi quanto contro l’FLN. In Irlanda del Nord la maggioranza della popolazione sosteneva i legami con la Gran Bretagna (alcuni in modo violento) e tra i cattolici solo una piccola minoranza sosteneva attivamente l’IRA, che a sua volta contava solo centinaia di combattenti in ogni momento.
Gli esempi potrebbero essere moltiplicati, ovviamente, ma alcune cose sono relativamente chiare. Il primo è il primato della situazione politica. Se un’occupazione viene accettata, anche se a malincuore, non solo i numeri sono diversi, ma anche la configurazione della forza è diversa. Una forza russa in Ucraina potrebbe essere lì semplicemente per intimidire e per ricordare alla gente dove si trova il potere. Ma potrebbe anche essere lì, teoricamente, per sorvegliare la frontiera ucraina con i Paesi della NATO (lunga circa 3.000 km). Potrebbe avere il sostegno delle forze locali, o tali forze potrebbero essere state sciolte. Tutto dipende dalla situazione politica alla fine dei combattimenti, e quindi parlare di “occupazione” dell’Ucraina in astratto non significa molto.
Il secondo è che, praticamente per qualsiasi livello di conflitto effettivo, il fabbisogno di forze di occupazione è massicciamente sproporzionato rispetto al numero di forze che vi resistono. Questo è logico, poiché le forze che resistono all’occupazione avranno sempre l’iniziativa e possono facilmente fondersi con la popolazione locale. Raramente sono ostacolate dalla necessità di indossare un’uniforme o di obbedire alle leggi di guerra. Ma anche in questo caso, il numero di insorti è necessariamente finito, e spezzare le reti o eliminarle fisicamente (come fecero i francesi in Algeria) può distruggere la resistenza se la potenza occupante è disposta a essere abbastanza spietata.
Il terzo è che il sostegno esterno e la logistica sono spesso fondamentali. L’ala armata dell’FLN, l’ALN, ha beneficiato sia del sostegno pratico e dell’addestramento da parte di altri Paesi arabi, sia di rifugi sicuri in Tunisia e Marocco, dove di fatto la maggior parte dell’ALN era basata. Al contrario, l’ala militare dell’ANC, umKhonto weSizwe (MK), non ha mai avuto una base posteriore sicura di alcun tipo ed è sempre stata disperatamente a corto di armi serie. La costruzione di linee fortificate come quelle utilizzate dai francesi in Algeria o l’interdizione del rifornimento di armi via mare, come praticato dai governi britannico e irlandese durante l’emergenza, non sono davvero rilevanti per l’Ucraina. D’altra parte, per l’Occidente c’è una grande differenza tra il sostegno verbale all’Ucraina e l’invio di armi durante la guerra in corso, e l’inimicarsi attivamente una Russia vittoriosa sostenendo la guerriglia o le forze terroristiche oltre il confine in una lotta senza speranza, quindi in pratica le frontiere potrebbero non essere così importanti.
Il quarto è che le occupazioni di successo devono trovare e sfruttare il sostegno locale. In Afghanistan, gli occupanti sovietici sono riusciti a creare una classe media proto-urbana e una frazione significativa della popolazione ha preferito il governo sostenuto dai sovietici ai ribelli islamisti. Nella Francia occupata, tradizionalisti e anticomunisti, ma anche molti semplici “patrioti”, erano disposti a servire lo Stato di Vichy, e quindi indirettamente i tedeschi, piuttosto che impegnarsi nella lotta senza speranza della Resistenza. Le nazioni non sono praticamente mai unite contro gli occupanti, e alcuni attori locali possono sempre vedere un interesse a lavorare con loro. In Ucraina, un obiettivo russo plausibile sarebbe quello di rendere qualsiasi resistenza residua un problema ucraino il più possibile, mettendolo nelle mani di un governo che si renda conto che i suoi migliori interessi sarebbero serviti a non inimicarsi Mosca.
L’ultima forse è che le forze di occupazione devono essere pronte a tollerare un certo livello di violenza residua, purché non minacci l’obiettivo politico generale. Gli scontenti ci saranno sempre e in un Paese come l’Ucraina avranno sempre accesso alle armi, ma i tentativi di mano pesante da parte di un occupante di schiacciare le ultime vestigia di resistenza spesso si ritorcono contro di loro.
Ma queste considerazioni vengono rapidamente superate dai progressi della tecnologia che rendono l'”occupazione” fisica sempre più dubbia come idea. Già in Afghanistan, le forze che resistevano all’occupazione dovevano avvicinarsi fisicamente ai loro obiettivi ed essere fortunate nel piazzare le bombe o nell’usare attentatori suicidi. Siamo solo all’inizio dei cambiamenti nella guerra che i droni e le tecnologie associate porteranno, ma è già chiaro che il controllo fisico totale di un’area non è più fattibile. Poco importa, quindi, il numero di soldati che i russi potrebbero schierare in un’Ucraina conquistata. Allo stesso modo, l’accresciuta disponibilità di armi a lungo raggio ed estremamente precise fa sì che i “cordoni sanitari” e simili siano sempre più inutili, o almeno dovrebbero essere così grandi da includere la maggior parte dell’Europa.
Per queste ragioni, e per le molte ragioni di praticità discusse in precedenza, possiamo praticamente escludere l’opzione degli osservatori (che guardano gli attacchi dei droni da lontano) o di una forza di monitoraggio (che guarda i missili sorvolare le nostre teste) se non in un ruolo attenuato e puramente simbolico. Allo stesso modo, non è ovvio che i russi vogliano, anche se in qualche modo potessero, occupare fisicamente vaste aree dell’Ucraina. Ancora una volta ci troviamo di fronte a una soluzione politica imposta con la forza militare. L’Ucraina e l’Occidente devono essere martellati fino a quando non accetteranno il controllo russo de facto sull’Ucraina e un governo a Kiev che decida che è prudente, e nell’interesse nazionale, coltivare Mosca e garantire che non ci siano atti ostili dal territorio che controlla. Come al solito, le pratiche seguiranno dopo.
Abbonati a Cercare di capire il mondo
Di Aurelien – Centinaia di abbonati a pagamento
Una newsletter dedicata non alla polemica, ma al tentativo di dare un senso al mondo di oggi.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
La nave di Teseo è un esperimento di pensiero molto antico, riportato da Plutarco nella sua “Vita di Teseo”. Nella sua formulazione originale, Plutarco racconta che la nave usata dall’eroe greco Teseo (uccisore del Minotauro) era mantenuta con amore dagli ateniesi, che onoravano il leggendario eroe portandola in pellegrinaggio annuale per compiere sacrifici ad Apollo. Le navi greche in legno, naturalmente, sono predisposte alla putrefazione, il che costrinse gli uomini di Atene, nel corso degli anni, a sostituire i vari legni della nave – rimuovendo assi e travi marce e sostituendole con nuovi pezzi, per preservare la nave nel suo splendore originale. Questo, secondo Plutarco, scatenò un dibattito filosofico tra i pensatori ateniesi: se, dopo che era passato abbastanza tempo, ogni elemento della nave – l’albero, la vela, le corde e ogni legno dello scafo – era stato sostituito, si trattava davvero della nave di Teseo o di una nave completamente diversa? .
Questa domanda è di lieve interesse, naturalmente, e riguarda ogni sorta di questioni filosofiche sulle forme e materia e varie minuzie platoniche. Per i nostri scopi, tuttavia, costituisce un luogo utile per iniziare un’esplorazione dei notevoli modi in cui il combattimento navale è cambiato nel XIX secolo. In questo caso, la Nave di Teseo è utile perché stiamo parlando di navi letterali e, come la nave dell’eroe, le navi da guerra nel XIX secolo hanno subito cambiamenti radicali. Alla fine delle guerre napoleoniche, nel 1815, le navi da guerra avevano essenzialmente l’aspetto che avevano avuto duecento anni prima: velieri di legno armati con banchi di cannoni a canna larga. Alla fine del secolo, tuttavia, si erano trasformate nelle moderne navi da guerra che conosciamo oggi: navi d’acciaio a elica, armate con massicce batterie di artiglieria navale montate su torrette rotanti. .
Entrambe queste forme ci sono molto familiari: sia la nave di legno che la colossale corazzata d’acciaio sono sistemi d’arma iconici e immediatamente riconoscibili. Ci sono molti luoghi in cui è possibile visitare l’una o l’altra. Per quanto possiamo avere familiarità con queste navi, almeno nelle loro impressioni generali visibili, esse sono nettamente estranee l’una all’altra. Il passaggio dalle navi da guerra a vela a falde larghe di Rodney e Nelson alle navi da battaglia riconoscibili del XX secolo è stato il risultato di spietate pressioni tecnologiche guidate in molti casi da inventori, innovatori e industriali privati.
Come la nave di Teseo, la trasformazione della nave da guerra comportò l’obsolescenza e la sostituzione di letteralmente ogni componente della nave. Gli scafi in legno furono sostituiti prima dal ferro e poi dall’acciaio; i cannoni ad avancarica che sparavano ordigni inerti furono sostituiti da artiglierie navali a culatta e fantasticamente potenti con proiettili esplosivi; le vele furono sostituite dalla propulsione a vapore (alimentata prima dal carbone e poi dall’olio combustibile). Questi salti tecnologici ci sembrano logici e immediati, ma all’epoca erano spesso controversi (e spesso respinti all’inizio dalle autorità navali conservatrici), incrementali e spesso collegati in un circolo vizioso di feedback. A differenza dei secoli precedenti, questa rivoluzione negli armamenti navali fu spesso guidata da privati cittadini – imprenditori e inventori desiderosi di fare fortuna, che si intromisero sempre più nelle prerogative degli arsenali governativi conservatori e nelle antiche culture di produzione artigianale di armi.
Le navi da guerra, in sostanza, hanno subito una serie di cambiamenti incrementali che hanno amalgamato vecchie e nuove tecnologie, passando attraverso forme ibride che mescolavano metallo e legno, vapore e vela, fino a diventare qualcosa di completamente nuovo. Ma non fu solo la struttura della nave da guerra a cambiare in questo modo: cambiarono anche i sistemi economici e burocratici che le costruivano e le sostenevano. Le ammiraglie tradizionali, i cantieri navali e gli arsenali gestiti dallo Stato furono messi in discussione dalla proliferazione di inventori, industriali e produttori privati, mentre la società – in particolare nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti – faceva il salto verso la modernità e acquisiva tutti i suoi attributi caratteristici: produzione di massa, politica di massa e mobilitazione di massa.
La trasformazione della nave da guerra divenne un simbolo visibile dell’emergente età della modernità: scintillante d’acciaio, che emetteva fumo nell’aria, brulicante di migliaia di persone e che univa il mondo imperiale più strettamente che mai con trasporti e comunicazioni più veloci e armi esponenzialmente più potenti. Con le marine militari di tutto il mondo che si sforzavano di far galleggiare navi sempre più grandi e potenti, la corazzata divenne il sistema d’armamento totem di un mondo sempre più intrappolato nella sua stessa logica strategica, prigioniero delle insaziabili richieste di una guerra in mare burocratizzata e industrializzata.
La corazzata di Teseo: La modernità a velocità di fuga
Nel 1807, due anni dopo la grande battaglia di Trafalgar, il piccolo piroscafo di Robert Fulton, il Claremont, fece la prima dimostrazione commerciale di trasporto acquatico a vapore, traghettando i passeggeri sul fiume Hudson da New York City ad Albany e ritorno. La nave Claremont compì il viaggio (una distanza di andata e ritorno di circa 350 miglia) in 62 ore, che fu considerata un’impresa notevole per l’epoca, e gli sviluppi della propulsione a vapore sarebbero arrivati rapidamente. Trent’anni dopo l’Atlantico sarebbe stato attraversato in soli 18 giorni dalla nave a pale Sirius. Sebbene la Sirius utilizzasse anche le vele (tale propulsione ibrida era uno standard delle prime navi a vapore), questa fu la prima dimostrazione di una traversata oceanica con potenza a vapore continua e sostenuta. Negli anni Quaranta del XIX secolo, le goffe e inefficienti ruote a pale della Sirius e della Claremont avevano lasciato il posto a eliche e a sistemi a vite riconoscibili come moderni, e la potenza dei motori iniziò a crescere in modo esponenziale. Mentre il piccolo Claremont di Fulton vantava appena 24 cavalli di potenza (circa quanto un moderno tosaerba), il Sirius ne aveva 320. Negli anni Cinquanta del XIX secolo, gli inglesi vararono quella che all’epoca era la nave più grande mai costruita: la Great Eastern, che era mossa da eliche a vite e da un enorme complesso di caldaie da 1.600 cavalli. .
In pochi decenni, quindi, le navi a vapore avevano già fatto il salto da piccoli progetti dimostrativi – essenzialmente appannaggio di inventori e imprenditori hobbisti – a prodotti industriali in scala reale, anche se non raffinati. Il Great Eastern, ad esempio, era un transatlantico precoce ma funzionale, in grado di trasportare passeggeri dall’Inghilterra all’Australia con energia a vapore senza rifornimento. Nonostante questi risultati impressionanti, l’avvento del vapore fece inizialmente poca impressione sulle marine militari di tutto il mondo, in particolare sull’ammiragliato britannico. La più ampia trasformazione della guerra navale avrebbe comportato non solo la riprogettazione radicale della nave da guerra, ma anche una rivoluzione totale del rapporto tra la marina istituzionale e la base industriale ed economica della società. .
L’establishment navale britannico aveva un temperamento estremamente conservatore. Non si trattava solo di una disposizione ideologica, ma derivava anche dall’apparato strutturale e materiale della marina. La Royal Navy aveva conquistato la supremazia navale mondiale dopo molti decenni di guerra, con il suo gioiello della corona a Trafalgar. La base del potere globale britannico poggiava su un sistema di combattimento navale che non era fondamentalmente cambiato dalle guerre anglo-olandesi della metà del 1600. A sostegno di questo sistema esisteva un vasto apparato burocratico e manifatturiero: un sistema di approvvigionamento per fornire legname per gli scafi e canapa per le corde e le vele, cantieri e bacini per costruire e riparare le navi, arsenali per fondere i cannoni di ferro e un braccio di personale finemente sintonizzato per produrre le particolari abilità di navigazione e di combattimento che erano la spina dorsale del dominio britannico.
Date le dimensioni dell’amministrazione navale britannica e il fatto che i suoi sistemi materiali e umani erano finemente calibrati per la guerra nell’era della vela, l’ammiragliato britannico aveva in effetti buone ragioni per resistere all’impulso di buttarsi a capofitto in esperimenti tecnologici. Riteneva (giustamente) di non avere rivali immediati in mare e, data la mancanza di urgenza, non c’era motivo di iniziare a smantellare le sue potenti strutture navali. Al contrario, c’era la sensazione che agitare la barca (scusate il gioco di parole) potesse solo servire a ridurre il divario tra la Gran Bretagna e i suoi aspiranti rivali. Un memorandum dell’Ammiragliato del 1828 sosteneva che:
“Le loro signorie ritengono che sia loro dovere scoraggiare al massimo delle loro possibilità l’impiego di navi a vapore, poiché ritengono che l’introduzione del vapore sia destinata a sferrare un colpo fatale alla supremazia navale dell’Impero”.
Questo può sembrare un classico caso di “ultime parole famose”, ma la verità più semplice è che un’amministrazione navale esperta, senza veri rivali, era sempre improbabile che abbracciasse cambiamenti speculativi e abbandonasse una metodologia collaudata e profondamente radicata, in cui aveva investito pesantemente. L’imminente rivoluzione navale sarebbe stata invece stimolata principalmente da attori privati e dai rivali della Gran Bretagna, mentre la Royal Navy (in quanto forza leader dell’epoca) avrebbe risposto ai cambiamenti, piuttosto che guidarli. Come si è visto, la capacità industriale e finanziaria enormemente superiore della Gran Bretagna ha fatto sì che essa non dovesse sempre essere il motore principale dei cambiamenti tecnologici. Le risorse economiche britanniche e la sua vasta capacità di costruzione navale fecero sì che, anche quando un potenziale rivale come la Francia fece un passo avanti nella progettazione navale, la Royal Navy non rimase indietro per molto tempo e trovò relativamente facile imitare e adottare le innovazioni straniere su larga scala.
Per molti versi, la rivoluzione del XIX secolo nella guerra navale può essere tracciata attraverso una serie di nomi individuali, che indicano uomini che – se non del tutto responsabili di importanti scoperte tecnologiche – sono quasi sinonimi di questi grandi balzi. Robert Fulton è entrato nei libri di storia come il padre della nave a vapore. Dopo Fulton viene un’altra figura singolarmente significativa: l’ufficiale di artiglieria francese Henri Paixhans, padre della granata navale esplosiva.
Paixhans risolse un problema spinoso dell’ingegneria militare. I proiettili esplosivi erano già stati utilizzati in precedenza, a partire dal XVIII secolo, con l’involucro cavo del tenente Henry Shrapnel che scheggiava ed espelleva frammenti di metallo, ma queste armi erano usate principalmente in un contesto di assedio, con i mortai che li sparavano ad alta traiettoria per ferire il personale dietro le fortificazioni. Prima di Paixhans, nessuno era riuscito a capire come sparare in sicurezza gli ordigni esplosivi alle alte velocità e alle traiettorie piatte utilizzate nei combattimenti navali. La sua prima soluzione, che divenne il primo proiettile navale esplosivo funzionale, consisteva nell’attrezzare un proiettile esplosivo con una miccia che si sarebbe accesa con lo scoppio del cannone, trasformando la palla di cannone in una sorta di bomba auto-illuminante. Nel 1822, mentre si preparava a presentare il suo progetto appena terminato, pubblicò un libro intitolato Nouvelle force maritime, in cui sosteneva che in un prossimo futuro le navi da guerra in legno sarebbero state rese obsolete da navi da guerra placcate in metallo e armate di proiettili esplosivi.
Nel 1824, un test francese confermò la letalità del pistola Paixhans. La carcassa della nave dismessa Pacificator fu colpita dai proiettili di Paixhans, che si conficcarono nello scafo di legno prima di esplodere, incendiando l’intera nave in breve tempo. L’estrema vulnerabilità degli scafi in legno all’esplosione delle granate – e in particolare agli incendi che queste avrebbero scatenato – era evidente a tutti, e alla fine degli anni Trenta del XIX secolo sia la marina francese che quella britannica avevano iniziato ad adottare in massa le granate esplosive, e anche altre parti interessate, come la Russia, avevano effettuato ordini. .
Il 30 novembre 1853, una piccola squadra navale russa entrò nel porto di Sinop, sulla costa settentrionale della Turchia. La Russia e gli Ottomani erano di nuovo in guerra e la forza navale russa era stata incaricata di interdire il traffico navale turco che portava rifornimenti alle forze di terra ottomane nel Caucaso. Armata con un piccolo numero di cannoni Paixhans con proiettili esplosivi, l’armata russa mise a ferro e fuoco quasi la totalità di una flotta turca di dimensioni equivalenti con poche raffiche. Entro due ore dall’ingresso dei russi nel porto di Sinop, 11 navi ottomane erano state distrutte o messe intenzionalmente a terra dagli equipaggi in preda al panico. La flotta russa puntò poi i cannoni sulle batterie di terra turche, distruggendo anche queste.
Al costo di soli 37 morti russi, la piccola flotta (sotto l’ammiraglio Pavel Nakhimov) uccise quasi 3.000 soldati e marinai turchi e ottenne il controllo operativo del Mar Nero praticamente senza ostacoli. La battaglia di Sinop – se possiamo chiamare battaglia un affare così unilaterale – fu il primo uso operativo delle emergenti armi esplosive e lasciò una profonda impressione sia a livello strategico che tecnologico. Dal punto di vista strategico, Sinop sottolineò che gli Ottomani erano quasi impotenti a contrastare la Russia e fece pensare che Costantinopoli fosse ora realisticamente alla portata di Mosca. La battaglia divenne un importante incentivo all’ingresso di Gran Bretagna e Francia nel conflitto che sarebbe diventato la Guerra di Crimea. Su un piano più tecnico, tuttavia, Sinop sottolineò la quasi totale letalità dei proiettili esplosivi portati contro le navi da guerra in legno. .
Gli anni Cinquanta dell’Ottocento e la guerra di Crimea sarebbero diventati un decennio di svolta per la produzione di armamenti e la progettazione di navi da guerra. Prima di commentare questa guerra e le sue ramificazioni, tuttavia, vale la pena di contemplare la catena del domino che ha rivoluzionato la progettazione navale e, in particolare, la direzione in cui è fluita.
Possiamo pensare che la trasformazione della nave da guerra consista in tre grandi cambiamenti: dalle palle di cannone inerti ai proiettili esplosivi, dagli scafi in legno all’acciaio con il rivestimento in ferro come passo intermedio, e dalle vele al vapore. Sebbene i motori a vapore siano stati dimostrati presto, non furono il primo sistema a essere adottato in massa dalle grandi marine. Fu piuttosto l’esplosione delle granate a innescare una reazione a catena di cambiamenti, soprattutto perché i francesi, molto più deboli in mare rispetto alla Gran Bretagna, erano molto motivati a sperimentare nuove tecnologie.
Le granate esplosive avevano reso gli scafi in legno estremamente vulnerabili e fu questo fatto a stimolare gli esperimenti di rivestimento metallico degli scafi, in particolare per evitare che le granate primitive si conficcassero nel legno e innescassero incendi. Il metallo, tuttavia, è molto pesante, così come gli enormi cannoni necessari per sparare le granate di Paixhans. È molto facile capire come una corsa crescente tra protezione e potenza di fuoco, con cannoni più grandi che provocano un rivestimento più spesso e viceversa in un ciclo di feedback, possa rapidamente rendere le navi proibitive e immobili a vela. Fu proprio il peso di queste navi a rendere sempre più necessaria l’energia a vapore. In effetti, la moderna nave da guerra è emersa da una corsa agli armamenti tripartita tra potenza di fuoco, protezione e mobilità, che si è manifestata tangibilmente con l’esplosione di una granata, lo scafo d’acciaio e il motore a vapore.
Un eccellente esempio di questo processo in azione fu la nave da guerra francese Gloire – una nave da guerra ibrida ironclad per eccellenza. La Gloire aveva uno scafo e vele in legno, ma anche molto di più. Dotata di artiglieria a culatta e corazzata con quasi cinque pollici di fasciame di ferro (sostenuto da più di un piede di legno), La Gloire si dimostrò quasi impenetrabile a qualsiasi artiglieria navale allora esistente. Era anche notevolmente pesante, con un dislocamento di circa 5.600 tonnellate. Questo non era un ostacolo, poiché un’elica a vite alimentata da un motore a vapore le permetteva di raggiungere i 13 nodi. Soprattutto, era completamente idonea all’uso oceanico. La sua forma ibrida – vele e vapore, legno e ferro l’uno accanto all’altro – indicava che si trattava di un sistema d’arma in fase di transizione e, anche se non lo sarebbe rimasto a lungo, al momento del varo La Gloire era la piattaforma d’arma navale più potente al mondo. Protezione, potenza di fuoco e mobilità, tutti elementi che progredivano, in competizione l’uno con l’altro e tuttavia in sinergia con l’evoluzione della nave da guerra. .
La scintilla: La guerra di Crimea
La guerra di Crimea (1853-1856) avrebbe innescato un’accelerazione esponenziale dei cambiamenti nella guerra navale – un fatto che a prima vista può sembrare strano, visto che si trattava in gran parte di un conflitto combattuto sulla terraferma. Un resoconto completo di questo conflitto esula dalle nostre competenze, ma ci accontenteremo di un breve schizzo dei suoi concetti strategici e tattici, prima di esaminare in dettaglio i modi in cui ha accelerato il cambiamento tecnico nelle marine militari del mondo.
La guerra di Crimea fu fondamentalmente una guerra di contenimento. La Russia era emersa dalle guerre napoleoniche come la potenza terrestre dominante nel mondo, con l’esercito di gran lunga più grande d’Europa e una comprovata capacità di proiettare le proprie forze da Parigi al Caucaso all’Asia centrale. Sebbene la potenza aggregata dell’esercito russo nascondesse molte debolezze (come la necessità di difendere un confine vasto ed esteso e una base economica in erosione), il consenso generale era che la Russia fosse lapotenza dominante dell’Europa continentale, e gli eventi dei primi anni Cinquanta dell’Ottocento sollevarono il serio timore che Mosca potesse smembrare il decadente Impero Ottomano, conquistare Costantinopoli e trasformare il Mar Nero in un lago russo. La Guerra di Crimea, nella sua essenza, fu una guerra combattuta da Francia e Gran Bretagna per prevenire una sconfitta strategica degli Ottomani per mano dei russi, e fu combattuta in Crimea perché questo era l’unico luogo in cui i francesi e gli inglesi potevano proiettare una potenza armata contro la Russia. .
Le discussioni sulla guerra di Crimea tendono a enfatizzare i combattimenti come un’anteprima primitiva del fronte occidentale della Prima Guerra Mondiale. Dopo una serie di battaglie iniziali ad Alma e Balaclava, che costrinsero i russi a ripiegare sulla fortezza di Sebastopoli, la guerra si trasformò in un colossale assedio, caratterizzato da estese fortificazioni campali, trincee e pesanti sbarramenti di artiglieria. I resoconti sottolineano spesso anche l’emergente divario tecnologico tra le forze russe, che utilizzavano ancora i moschetti, e le truppe francesi e britanniche con i loro nuovi cannoni a canna rigata.
Tutto questo è giusto e naturalmente interessante di per sé, ma ciò che più ci interessa ora è la dimensione navale e la base industriale che ne avrebbe supportato l’evoluzione. Pertanto, due argomenti in particolare sono molto importanti e dovrebbero essere approfonditi: l’enorme vantaggio di approvvigionamento derivante dall’ascensore navale anglo-francese e il fatto che la guerra di Crimea sia stata la scintilla che ha innescato una rivoluzione nella produzione di armi. Piuttosto che concentrarsi sul divario tecnico che esisteva tra le forze russe e quelle alleate durante la guerra, è importante capire che la guerra ha dato il via a un’esplosione di cambiamenti tecnologici nel campo degli armamenti. Questi cambiamenti arrivarono troppo tardi per avere un impatto sulla guerra in Crimea, ma avrebbero cambiato radicalmente la forma delle guerre future.
Sebbene il combattimento navale fosse di secondaria importanza in Crimea, la logistica marittima non lo era. Le forze anglo-francesi ebbero un vantaggio logistico decisivo e schiacciante, nonostante la guerra fosse combattuta in territorio russo. Con i combattimenti incentrati su Sebastopoli, alla periferia meridionale dell’impero, le forze russe ebbero estreme difficoltà a garantire un’adeguata consegna di munizioni e altri rifornimenti, mentre gli alleati – riforniti via mare – avevano accesso a un’enorme capacità logistica. I piroscafi francesi erano in grado di compiere il viaggio da Marsiglia al Mar Nero in dodici o sedici giorni (a seconda del tempo), mentre i rinforzi e i rifornimenti russi – che viaggiavano via terra con migliaia di carri trainati da animali – potevano impiegare mesi per raggiungere il fronte dall’interno della Russia. Anche se i rifornimenti alleati non erano certo illimitati, le forze francesi e britanniche erano molto più strettamente collegate a casa, sia dal punto di vista logistico che delle comunicazioni, rispetto ai russi, che nominalmente *stavano* combattendo in patria.
Oltre al crescente uso delle navi a vapore per le funzioni logistiche, la Guerra di Crimea fu anche la prima grande guerra a fare uso del telegrafo per le comunicazioni. In combinazione con la presenza di giornalisti integrati nelle truppe (ancora una volta una novità assoluta), ciò mise in contatto i civili in Francia e in Gran Bretagna con i combattimenti in un modo del tutto nuovo e intimo, provocando un intenso interesse pubblico per la guerra. Questo fatto avrebbe avuto profonde implicazioni per la produzione di armi, come vedremo tra poco. Al contrario, i russi – che non avevano costruito né il telegrafo né la ferrovia per raggiungere la Crimea – erano in gran parte fuori dal giro. Si dice che lo zar Nicola I si lamentasse regolarmente di ricevere informazioni migliori e più tempestive dai giornali francesi che dai suoi stessi comandanti.
In breve, la guerra di Crimea prefigurava l’emergente totalizzazione della guerra che sarebbe stata resa possibile dalle tecnologie gemelle dell’energia a vapore (sia nelle locomotive che nelle navi) e del telegrafo. Le navi a vapore e le ferrovie sarebbero state presto in grado di spostare uomini e materiali in qualità prima impensabili, mentre il telegrafo avrebbe reso possibile la prospettiva del comando e del controllo di eserciti sempre più grandi. Questi erano gli strumenti essenziali della mobilitazione di massa e della politica di massa che presto avrebbero permesso agli Stati europei di scagliare gli uni contro gli altri eserciti di milioni di persone.
Nell’enumerare le conseguenze della guerra di Crimea, tuttavia, arriviamo finalmente (a mio avviso) al risultato più importante: una rivoluzione totale nella produzione di armamenti. La guerra di Crimea, senza esagerare, portò direttamente alla formazione di quello che potremmo definire il “complesso militare industriale”, anche se in questo caso uso l’espressione senza la connotazione negativa di solito implicita. La guerra di Crimea scatenò una rivoluzione nella produzione di armi per due motivi: in primo luogo, mise a nudo l’assoluta obsolescenza dei modelli esistenti e, in secondo luogo, inculcò un immenso interesse tra i privati cittadini e gli inventori per offrire qualcosa di meglio. Per dimostrare questi cambiamenti, ci concentreremo principalmente sul caso britannico.
La produzione di armi in Gran Bretagna è stata a lungo appannaggio di una rete decentralizzata di artigiani, localizzati principalmente a Londra e Birmingham. La produzione di armi, in altre parole, era un’attività artigianale, con gli artigiani che lavoravano essenzialmente come subappaltatori per il Woolwich Arsenal, di proprietà dello Stato. Gli artigiani si specializzavano nella produzione di componenti specifici dell’arma finita e consegnavano lotti di queste parti per risalire la catena verso l’assemblaggio finale. Questo sistema di produzione artigianale e dissipato si sposava con il conservatorismo dell’establishment militare nel congelare la tecnologia delle armi. Il corpo degli ufficiali britannici insegnava la stessa esercitazione di base (cioè il processo per marciare, ricaricare e sparare in modo sincronizzato) e gli artigiani armaioli britannici producevano lo stesso moschetto di base, senza che nulla cambiasse. Il moschetto britannico di base – “Brown Bess”, come veniva affettuosamente chiamato – rimase praticamente invariato dall’epoca di Marlborough (inizio del 1700) fino alle guerre napoleoniche e alla metà del XIX secolo.
Nella guerra di Crimea, tuttavia, questo sistema artigianale di armaioli mostrò la sua obsolescenza, in quanto si dimostrò incapace di espandere la propria produzione o di adattarsi ai nuovi modelli di armi da fuoco. Quando scoppiò la guerra in Crimea, l’esercito britannico tentò di piazzare nuovi ordini di armi leggere, ma agli artigiani di Londra e Birmingham questa sembrò l’occasione perfetta per scioperare per ottenere salari più alti. Di conseguenza, la guerra di Crimea mise in luce l’anelasticità del sistema produttivo artigianale e la sua scarsa rispondenza alle esigenze dell’esercito. Proprio quando l’esercito richiedeva un’impennata della produzione, le interruzioni del lavoro e gli scioperi provocarono un drastico calo della produzione. Contemporaneamente, questi stessi operai – abituati a praticare un processo di produzione molto vecchio e immutato per realizzare i moschetti Brown Bess – si dimostrarono resistenti e inflessibili quando il governo cercò di passare ai nuovi modelli a canna rigata.
Chiaramente, qualcosa doveva cambiare. Fortunatamente, in America esisteva già un modello alternativo di produzione di armi da fuoco. L’arsenale americano di Springfield, nel Massachusetts, e una schiera di armaioli privati americani, avevano già dimostrato la fattibilità della produzione di massa utilizzando le fresatrici per tagliare componenti intercambiabili. Gli inglesi ne avevano avuto una dimostrazione da vicino: nel 1851, alla Great Exhibition di Hyde Park a Londra, Samuel Colt presentò i suoi revolver e ne dimostrò l’intercambiabilità smontando un’intera serie di pistole, mescolando i pezzi in un grande mucchio e riassemblandoli poi in pistole funzionanti.
Le difficoltà con gli artigiani, unite alla comprovata validità della produzione di massa americana, costrinsero gli inglesi a finanziare un nuovo impianto di produzione a Enfield, basato sul “sistema di produzione americano”, come venne chiamato. Furono ordinate dagli americani costose macchine per la fresatura e, sebbene arrivassero troppo tardi per avere un impatto sulla guerra in Crimea, nel 1859 l’impianto di Enfield era operativo. Nel frattempo, le macchine di nuova concezione dell’Arsenale governativo di Woolwich erano in grado di produrre centinaia di migliaia di proiettili al giorno. Le nuove scoperte nel settore manifatturiero, tuttavia, non erano limitate alle imprese governative: negli anni Sessanta del XIX secolo, in Gran Bretagna emersero due grandi produttori privati, situati nei vecchi centri di produzione artigianale di Londra e Birmingham.
Il vantaggio dell’emergente sistema di produzione di massa non risiedeva solo nella scala della produzione, ma anche nella velocità con cui gli eserciti potevano produrre e impiegare nuove armi. Prima della Guerra di Crimea, la velocità glaciale della produzione scoraggiava l’innovazione nella progettazione, perché per lanciare una nuova arma era necessario convincere migliaia di artigiani in un sistema di produzione decentralizzato ad adattare i loro processi. Ora, una nuova arma poteva essere prodotta in massa semplicemente progettando nuove maschere e forme per le macchine utensili automatiche. Il Brown Bess era cambiato pochissimo nel corso di centinaia di anni, ma ora un nuovo fucile poteva essere impiegato in massa in breve tempo. Sia la Francia che la Prussia, allo stesso modo, furono in grado di riequipaggiare completamente i loro eserciti con nuovi fucili in circa quattro anni utilizzando linee di lavorazione di tipo americano.
Allo stesso tempo, la guerra di Crimea aveva esposto gli ufficiali militari conservatori alla temibile prospettiva che le guerre future sarebbero state combattute con nuove armi con le quali avevano poca o nessuna esperienza diretta. La potenza dei nuovi fucili a retrocarica e dei proiettili d’artiglieria esplosivi scosse gran parte della casta militare europea dal suo torpore e, in generale, la rese molto più aperta all’innovazione e al cambiamento.
La guerra di Crimea diede il via a una rivoluzione simile nella produzione di artiglieria e nella metallurgia, che avrebbe avuto profonde implicazioni per il nostro particolare argomento della guerra navale. Il legame con la Crimea fu in primo luogo la potente dimostrazione di granate esplosive e navi da guerra corazzate (i francesi, in particolare, fecero un uso efficace delle batterie di artiglieria galleggianti placcate in ferro per bombardare le fortificazioni russe), e in secondo luogo l’intenso interesse del pubblico per una guerra che per la prima volta veniva coperta in modo esauriente e in tempo reale da giornalisti collegati al fronte interno via telegrafo.
Almeno due dei grandi industriali britannici dell’epoca – Henry Bessemer e William Armstrong – furono provocati direttamente dall’interesse per la guerra di Crimea. Bessemer trascorse la prima parte degli anni Cinquanta dell’Ottocento a sperimentare metodi per produrre acciaio a basso costo su scala specifica per la fabbricazione di barili d’artiglieria, e alla fine riuscì nell’intento quando scoprì un nuovo metodo di raffinazione che consisteva nel soffiare aria attraverso il minerale di ferro fuso. In questo modo, la produzione di massa dell’acciaio, che è più resistente e più facilmente lavorabile del ferro, fu regalata al mondo. Questa rimane una delle più importanti scoperte tecnologiche del mondo moderno.
Il “processo Bessemer” aprì il mondo a un’era completamente nuova della metallurgia, che rese rapidamente obsoleti i vecchi metodi di fusione dell’artiglieria. Questo non significa, ovviamente, che l’acciaio non sarebbe mai diventato predominante senza la guerra di Crimea, ma vale la pena sottolineare che Bessemer era alle prese con un’applicazione specifica negli armamenti. Nella sua autobiografia, scrisse che il problema dell’artiglieria “fu la scintilla che accese una delle più grandi rivoluzioni che il secolo attuale abbia dovuto registrare… Decisi di fare il possibile per migliorare la qualità del ferro nella fabbricazione dei cannoni”.
Nel frattempo, l’industriale William Armstrong si ricordò di aver letto un resoconto dell’artiglieria britannica in azione nella battaglia di Inkerman, in Crimea, e abbozzò subito un progetto per un pezzo d’artiglieria a retrocarica. Il suo commento, simile a quello di Bessemer, fu che era “tempo che l’ingegneria militare fosse portata al livello delle pratiche ingegneristiche attuali”. Armstrong sarebbe presto diventato il più prolifico progettista privato di artiglieria della Gran Bretagna e, sebbene la Marina si sottraesse ai suoi cannoni e scegliesse di continuare a rifornirsi di artiglieria dall’Arsenale statale di Woolwich, i cannoni di Armstrong crearono una pressione commerciale che spinse gli ingegneri dell’arsenale a sviluppare nuovi progetti propri.
Sebbene gli arsenali d’artiglieria gestiti dal governo lottassero per mantenere il monopolio sulla produzione di cannoni pesanti, era impossibile ignorare gli sviluppi guidati da inventori e industriali privati. Henry Bessemer aveva aperto la partita regalando al mondo l’acciaio a basso costo su scala, che permetteva di produrre non solo munizioni e canne d’artiglieria, ma anche gli scafi delle navi secondo standard rigorosi, senza la fragilità tipica del ferro. Nel frattempo, produttori privati come Armstrong, il suo rivale Joseph Whitworth e l’industriale prussiano Alfred Krupp si spinsero oltre con nuovi progetti e furono ansiosi di sottolineare la superiorità dei loro cannoni.
Tutto era ormai pronto per la successiva fase evolutiva delle navi da guerra: il passaggio dalle forme ibride della metà del secolo scorso, che combinavano legno e ferro, vela e vapore, alle navi da guerra moderne e riconoscibili. La catena di innovazioni è, infatti, relativamente semplice da tracciare.
Era già iniziata una gara tra protezione e potenza di fuoco, in particolare tra francesi e britannici che, sebbene alleati in Crimea, continuavano a guardare con diffidenza i progetti navali degli altri. Quando i francesi vararono La Gloire alla fine degli anni Cinquanta del XIX secolo e si vantarono del fatto che la sua corazzatura in ferro fosse invulnerabile a qualsiasi cannone navale esistente, spinsero naturalmente gli inglesi a progettare semplicemente un pezzo d’artiglieria più grande e più potente. Man mano che la corazza diventava sempre più spessa (fino ad arrivare a scafi interamente in acciaio), i cannoni diventavano sempre più grandi. .
Le crescenti dimensioni dei cannoni costrinsero a rivedere completamente la disposizione delle navi da guerra. Progettare navi con file di cannoni disposti lungo i fianchi era ormai abortito, poiché i cannoni erano così pesanti e ponderosi che il posizionamento sullo scafo esterno minacciava la stabilità della nave. I cannoni dovevano quindi essere posizionati a metà del ponte della nave per motivi di stabilità, e ciò significava a sua volta che alberi e vele dovevano essere rimossi per dare ai cannoni un campo di tiro libero. Così, nel 1871 la Royal Navy aveva varato la HMS Devastation – la prima nave capitale a essere alimentata interamente a vapore (non aveva vele) e ad avere i cannoni montati sul ponte superiore, anziché sotto lo scafo. Quando la Devastation si liberò delle vele e delle bocche da fuoco nello scafo, le ultime vestigia dei velieri a vele larghe di Nelson erano definitivamente scomparse. .
Ben presto furono apportati ulteriori sviluppi. Montare i cannoni sul ponte superiore della nave esponeva gli equipaggi al fuoco nemico. La soluzione, ovviamente, era quella di racchiudere il cannone in una torretta corazzata, che doveva essere in grado di ruotare per portare il cannone sul bersaglio. Di conseguenza, la torretta aveva bisogno di energia idraulica e questo significava più vapore, che richiedeva caldaie sempre più grandi. Così, abbiamo la nave da guerra.
In sintesi, all’inizio del XIX secolo stavano emergendo tecnologie che avrebbero cambiato radicalmente la guerra navale, trasformando le venerabili navi di linea in navi da battaglia riconoscibili come moderne, ma gli Ammiragli – in particolare in Gran Bretagna – erano inizialmente lenti ad adottare questi cambiamenti, dati i loro sistemi di costruzione, addestramento e manutenzione da tempo consolidati. L’incentivo principale a rompere questo sistema fu la granata esplosiva: i test francesi indicavano che le navi da guerra in legno erano altamente vulnerabili a queste armi emergenti e la guerra di Crimea lo dimostrò senza ombra di dubbio, prima con la sconfitta russa della flotta ottomana a Sinop e poi con l’uso anglo-francese di granate esplosive per ridurre le fortificazioni russe in Crimea.
L’avvento della granata esplosiva diede inizio a una corsa incrementale tra corazzatura e potenza di fuoco che sarebbe decollata completamente dopo la guerra di Crimea, quando il conflitto stimolò le innovazioni private nella metallurgia e nella progettazione dell’artiglieria da parte di uomini come Bessemer e Armstrong. Contemporaneamente, la guerra mise a nudo la rigidità e l’inadeguatezza del vecchio sistema di produzione artigianale e spinse gli arsenali statali a perseguire la produzione di massa secondo il modello americano, rendendo al contempo gli stabilimenti militari più aperti all’innovazione e ai contributi delle imprese industriali private.
Il risultato fu una fantastica accelerazione di quelli che potremmo definire tempi di ciclaggio delle armi, o tempi di generazione: in altre parole, la velocità con cui le armi diventano obsolete e vengono sostituite da modelli più recenti. Un tempo i tempi di ciclismo si misuravano in secoli: sistemi d’arma iconici come il moschetto Brown Bess o il veliero a murata cambiavano pochissimo per periodi di tempo molto lunghi. Dalle guerre anglo-olandesi a Nelson, il veliero di linea a murata rimase generalmente lo stesso e cambiò soprattutto diventando più grande. A metà del XIX secolo, tuttavia, le navi divennero obsolete sempre più rapidamente. Nel 1861, la Royal Navy varò la HMS Warrior – una nave da guerra con scafo in ferro e propulsione mista a vapore e a vela. La nave più potente del mondo al momento del varo, la Warrior fu resa completamente obsoleta solo un decennio dopo con il varo, nel 1871, della Devastation. L’idea che una nave di dieci anni fosse essenzialmente inutile in combattimento sarebbe stata una follia per l’ammiragliato del XVII o XVIII secolo, ma ora era irrilevante. .
Per quanto riguarda più specificamente la progettazione delle navi da guerra, l’interazione tra protezione, potenza di fuoco e mobilità ha creato un ciclo di feedback che ha spinto le navi verso configurazioni che sembrano quasi predestinate dalla natura della tecnologia sottostante. L’esplosione dei proiettili rendeva necessaria una corazzatura sempre più spessa, che spingeva a progettare cannoni sempre più grandi per sconfiggere la corazza sempre più spessa. Le dimensioni di questi cannoni fecero sì che venissero spostati dai ponti di tiro all’interno dello scafo a torrette corazzate sul ponte, rendendo impossibile il mantenimento di alberi e vele. Ciò implicava l’utilizzo del vapore sia per la propulsione che per l’alimentazione delle torrette idrauliche, e le centrali elettriche delle navi divennero di conseguenza più grandi per far fronte alla crescente massa delle navi pesantemente corazzate. Dal motore da 24 cavalli di Robert Fulton nel 1807, i complessi di caldaie crebbero a dismisura: l’impianto elettrico della Devastation, ad esempio, forniva più di 6.600 cavalli. .
In breve, quello che ho cercato di dimostrare qui è che la progettazione delle navi da guerra ha seguito un percorso estremamente logico, e che la transizione dai velieri a vela con le fiancate larghe alle prime navi da guerra moderne – per quanto sorprendente nella sua totalità – è consistita in realtà in una serie di cambiamenti incrementali abbastanza prevedibili, a partire dall’introduzione dei proiettili esplosivi. Per tornare alla nave di Teseo, possiamo dire che a metà del secolo scorso le navi da guerra assomigliavano ancora, in generale, alle vecchie navi di linea dell’età d’oro della vela, anche se con cannoni più grandi, rivestimenti in ferro attaccati allo scafo e qualche ciminiera che spuntava qua e là. Poco dopo la guerra di Crimea, tuttavia, queste navi divennero qualcosa di completamente nuovo, riconoscibile come le prime navi da guerra moderne: si liberarono delle ultime vestigia dei loro alberi, aggiunsero altre caldaie, alloggiarono i loro cannoni in torrette e alla fine vantarono scafi interamente in acciaio.
Si potrebbe quasi dire che la corazzata era praticamente inevitabile dal momento in cui Henri Paixhans dimostrò il suo proiettile a miccia. La guerra di Crimea, che dimostrò in modo inequivocabile l’enorme potenza di combattimento dell’artiglieria a granata, diede il via a una rivoluzione nella produzione di armi, con la produzione di massa, l’acciaio (grazie al signor Bessemer) e i produttori privati che portarono la nave da guerra in una nuova era: l’era dell’acciaio e del vapore, degli eserciti di massa e della terribile distruzione. O, come disse Victory Hugo (tra tutti):
“Terra! La conchiglia è Dio. Paixhans è il suo profeta”.
Terra e Acqua: Evocare il Grande Serpente
Mentre gli inglesi e i francesi guidavano l’Europa in una rivoluzione totale della guerra navale, il vecchio continente fu fortunatamente risparmiato da una guerra continentale generale come quella che lo aveva devastato nell’era napoleonica. Di conseguenza, dopo Trafalgar nel 1805, non ci sarebbero state azioni di flotta generale da parte delle grandi potenze per il resto del secolo. In realtà, l’ironia più grande è che, nonostante gli enormi progressi compiuti nella progettazione delle navi e degli armamenti e la crescente industrializzazione della guerra, il XIX secolo fu notevolmente povero di combattimenti navali di qualsiasi tipo – almeno per l’Europa. La battaglia di Sinop fu una notevole eccezione, ma dal punto di vista tattico non fu molto istruttiva o elaborata: una flotta russa mise più o meno a ferro e fuoco un’armata ottomana. Semmai, Sinop fu più simile a un incendio doloso che a una vera e propria battaglia di flotta.
Quindi, sebbene fosse ovvio che le navi da guerra stavano cambiando in modo fondamentale e che avrebbero fornito una potenza di combattimento sorprendente nelle guerre future, le marine europee non lo sperimentarono in prima persona e non compresero appieno come sarebbe stata la battaglia navale. Tuttavia, c’erano accenni e dimostrazioni da vedere, se si poteva gettare un occhio più ampio e guardare oltre le grandi potenze europee. C’erano altre marine, nuovi Stati emergenti e potenze incombenti.
Tra la caduta di Napoleone e l’inizio della Prima guerra mondiale (in pratica un giro di 100 anni), tre particolari sviluppi geopolitici eclissarono tutti gli altri per importanza. Due di questi sono stati la Restaurazione Meiji in Giappone, che ha prodotto una potenza assertiva, in via di consolidamento e in rapida modernizzazione in Asia orientale, e l’unificazione della Germania sotto la guida prussiana, che ha creato uno Stato straordinariamente potente nell’Europa centrale, con conseguenze a noi ben note. L’emergere di potenti Stati giapponesi e tedeschi era di immenso interesse e importanza per le grandi potenze tradizionali dell’Europa, e in particolare per la Russia, che ora si trovava di fronte a potenze in rapida industrializzazione sia sul versante occidentale che su quello orientale.
Il terzo grande evento del lungo XIX secolo, tuttavia, fu di gran lunga il più importante. Si tratta della Guerra civile americana. Oggi la Guerra Civile è avvolta da banali dibattiti politici e da pesanti manifestazioni di cancellazione storica. La maggior parte delle persone, se interrogate, direbbe senza dubbio che il risultato più importante della Guerra Civile è stata l’abolizione della schiavitù del Sud, con forse qualche vaga aggiunta sul mantenimento dell’Unione senza una chiara nozione di cosa significhi. Tra il romanticismo della causa persa confederata e il turbo del regime dei diritti civili, c’è poco terreno comune e una mancanza di interesse per qualcosa di così vago e stanco come la geopolitica.
La guerra civile degli Stati Uniti è stata, a mio avviso, il più importante atto di costruzione di un impero nella storia moderna. Il semplice fatto è che il Sud confederato era una nazione, o almeno era in procinto di diventarlo, con una ricca economia agricola, forme sociali peculiari e una casta di leader patrizi in gran parte estranei al Nord urbano e industriale. I meridionali affermarono la loro appartenenza a questa nazione emergente con livelli eccezionalmente alti di partecipazione militare, la volontà di sopportare privazioni estreme e un nuovo schema di simboli e agiografie meridionali. Questa nazione meridionale emergente fu strangolata nella sua culla dal potente Nord e poi reintegrata nell’Unione in un complesso accordo politico, il cui prezzo fu l’abbandono dei neri del Sud a un sistema di caste razziali del dopoguerra.
La funzione essenziale della Guerra Civile fu quella di preservare un impero americano in crescita e di dimensioni continentali e di consolidare il controllo del vasto spazio americano sotto il potere sempre più penetrante di Washington. Il futuro sarebbe appartenuto a potenze con la capacità di gestire le risorse su scala continentale: super Stati in grado di sfruttare risorse e terre lontane attraverso il potere emergente della ferrovia e il sempre più sofisticato apparato burocratico dello Stato. Su molti campi di sterminio nel cuore della Confederazione, l’Unione affermò il suo controllo su un continente e preservò l’embrione della futura supremazia globale dell’America.
Combattuta nel cuore interno dell’America, la Guerra Civile fu generalmente caratterizzata da battaglie terrestri e i resoconti sommari tendono a enfatizzare, come causa principale della vittoria dell’Unione, la schiacciante superiorità del Nord in termini di popolazione, capacità industriale e logistica – in particolare data la superiore densità ferroviaria settentrionale. Tutto ciò è abbastanza corretto, e la guerra fu in definitiva uno scontro tra un nord popoloso e industriale e un sud agricolo relativamente poco popolato. L’Unione aveva il 70% della popolazione prebellica, il 70% della rete ferroviaria e il 90% della produzione manifatturiera, il che lasciava al Sud probabilità minime. Un caso semplice e chiuso, se mai ce n’è stato uno.
Nei primi anni di guerra, tuttavia, l’Unione si trovò ad affrontare il problema di come far valere questa preponderanza di forze contro la Confederazione e mostrò non poca indecisione strategica e persino paralisi. In nessun altro caso ciò fu più evidente che nella dimensione navale della guerra.
Il teatro navale offriva immense opportunità all’Unione. Quando la secessione iniziò e segnò lo scoppio della guerra nel 1861, solo due installazioni navali significative caddero nelle mani dei Confederati: le basi navali di Norfolk in Virginia e di Pensacola in Florida. La base di Norfolk (il cantiere navale di Gosport) era di particolare importanza: i Confederati presero in custodia il bacino di carenaggio, considerevoli magazzini pieni di munizioni e il relitto della Merrimack. Quest’ultima era una nuovissima fregata a vite a vapore della Marina degli Stati Uniti, che era stata affondata dalle forze dell’Unione in fase di evacuazione, anche se non abbastanza bene: gli ingegneri sudisti riuscirono a sollevare il relitto in condizioni recuperabili e a riportarlo in combattimento. .
Nonostante Norfolk e il deciso sforzo della Confederazione di potenziare le proprie capacità navali, la capacità di costruzione navale del Nord era di gran lunga superiore, quasi da far ridere. Il Sud iniziò la guerra con circa 14 navi degne di nota, e con uno sforzo erculeo riuscì a portare la forza a 101 navi nel corso della guerra. Al contrario, il Nord aveva circa 42 navi pronte al combattimento allo scoppio della guerra, e avrebbe portato questo numero a più di 670 navi al momento della resa confederata.
Gli Stati Uniti avevano una considerevole esperienza diretta che dimostrava quanto potesse essere potente il potere marittimo se sfruttato adeguatamente per sostenere le forze terrestri, in quelle che oggi chiameremmo operazioni congiunte. Gli inglesi avevano fatto grande uso del potere marittimo sia nella Guerra rivoluzionaria che nella Guerra del 1812, in particolare con la Royal Navy che aveva distrutto la difesa americana di New York nel 1776 e con il controllo britannico di Chesapeake che aveva portato all’incendio di Washington nel 1812. Inoltre, l’ufficiale più anziano dell’Unione, il Comandante Generale dell’Esercito Winfield Scott, aveva acquisito una profonda esperienza con le operazioni congiunte durante la Guerra messicano-americana, quando aveva condotto un’invasione anfibia del Messico. Scott divenne un sostenitore particolarmente forte delle operazioni congiunte e di una grande strategia navale, e fu un peccato che non rimase al comando dopo il primo anno di guerra. .
Le possibilità operative erano molteplici. Oltre a una campagna strategica più ampia per bloccare i porti confederati e isolare l’economia meridionale sottoindustrializzata, le forze marittime potevano garantire linee di comunicazione sicure per gli eserciti dell’Unione che combattevano nel litorale confederato. Potrebbero essere utilizzate per migliorare la mobilità operativa dell’Unione e per ribaltare le difese nemiche sbarcando nelle retrovie.
Il generale Scott sostenne una vasta campagna basata su operazioni congiunte che mettevano il potere di combattimento navale in una posizione di priorità. In una formulazione che i giornali dell’Unione avrebbero etichettato come “Piano Anaconda”, Scott propose un duplice approccio che avrebbe bloccato contemporaneamente i porti confederati e lanciato una campagna fluviale lungo il Mississippi, che fungeva da grande arteria d’acqua e permetteva di penetrare in profondità nel cuore della Confederazione. Secondo Scott, una campagna all’interno lungo il Mississippi avrebbe permesso di:
Sgomberare e tenere aperta questa grande linea di comunicazione in connessione con il rigoroso blocco della costa, in modo da avvolgere gli Stati insorti e portarli a patti con meno spargimento di sangue che con qualsiasi altro piano.
Anche se Scott avrebbe lasciato il suo incarico alla fine del 1861, per essere sostituito dal tanto criticato George McClellan, il suo mandato nei mesi iniziali della guerra fu sufficiente a mettere in moto sviluppi strategici in questa direzione. Anche se la guerra non procedette esattamente come Scott l’aveva immaginata, due elementi critici del suo pensiero – una campagna fluviale lungo il Mississippi e il blocco dei porti confederati – sarebbero diventati i pilastri dell’imminente vittoria dell’Unione. Infatti, mentre le campagne di Robert E. Lee e le feroci battaglie nel teatro della Virginia sono generalmente tra i momenti più famosi della guerra, è indubbio che il blocco dell’Unione e la conquista del Mississippi furono gli sviluppi strategici più critici del conflitto, ed entrambi dipendevano intimamente dalla potenza di combattimento navale.
Sebbene all’inizio della guerra l’Unione vantasse una flotta più grande e una capacità di costruzione navale significativamente maggiore, bloccare la Confederazione era molto più difficile di quanto sembrasse. Mentre gli europei continuavano a guardare all’abilità militare americana con una forte sfumatura di compiacimento, la realtà era che la Guerra Civile era una sfida logistico-militare molto più grande di qualsiasi esercito o Stato europeo avesse mai tentato. Questo perché gli Stati Uniti erano, in una parola, enormi. Gli undici Stati che componevano gli Stati Confederati d’America si estendevano per circa 780.000 miglia quadrate di terreno molto vario, più di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Spagna messe insieme. La lunghezza del solo teatro del Mississippi (che va dalla base di appoggio dell’Unione intorno al Cairo, Illinois, fino al mare) è quasi pari alle dimensioni nord-sud della Francia.
In breve, la Confederazione era un vasto stato con 3.500 miglia di costa e molte centinaia di miglia di fiumi navigabili. Bloccare un tale nemico era un compito imponente – di gran lunga la più grande operazione di blocco mai intrapresa, e ancora più scoraggiante se si considera la minuscola forza navale (42 navi degne di combattere) disponibile all’inizio della guerra. Oltre alla costruzione delle forze necessarie per intraprendere il blocco, la campagna prevista lungo il Mississippi avrebbe richiesto la creazione di una forza fluviale di cannoniere per le operazioni di combattimento e di trasporti di truppe e materiali.
Fortunatamente per l’Unione, la vasta geografia della Confederazione aveva anche implicazioni che giocavano a suo favore. Le dimensioni della Confederazione e la crescente importanza del trasporto ferroviario fecero sì che l’Unione non dovesse bloccare l’intera linea costiera, ma solo i porti dotati di infrastrutture e collegamenti ferroviari in grado di fungere da validi snodi di transito per il nemico. Il porto confederato di gran lunga più importante era New Orleans, alla foce del Mississippi. A New Orleans si potevano aggiungere Galveston (Texas), Mobile (Alabama), Savannah (Georgia), Charleston (Carolina del Sud) e Wilmington (Carolina del Nord). Se la Marina dell’Unione fosse riuscita a bloccare questi porti, che si trovavano in corrispondenza di vitali stazioni ferroviarie meridionali, sarebbe stato sufficiente a soffocare in larga misura gli Stati del Sud, e le importazioni nei porti secondari più piccoli non sarebbero mai state in grado di compensare in modo significativo la perdita di questi grandi hub. Nel frattempo, l’accesso marittimo della Virginia fu tagliato fuori con relativa facilità grazie al dominio dell’Unione sul Chesapeake.
Alla fine dell’estate del 1861, il Consiglio di blocco dell’esercito e della marina si riunì per delineare le modalità di realizzazione di tutto ciò. I membri della commissione capirono chiaramente che il blocco poteva essere realizzato isolando i principali porti della Confederazione, ma anche questo compito richiedeva l’identificazione di una serie di installazioni costiere che avrebbero dovuto essere catturate. Soprattutto, la marina avrebbe avuto bisogno di stazioni di rifornimento – una novità nella pianificazione della guerra. A quell’epoca, la Marina statunitense – come le sue controparti europee – era passata all’energia a vapore, ma i piroscafi dell’epoca erano mostruosi e inefficienti, che consumavano carbone e richiedevano un rifornimento regolare. Il mantenimento di un blocco attorno ai principali porti confederati avrebbe richiesto non solo un’adeguata forza di navi da guerra, ma anche basi di rifornimento vicine sotto il controllo dell’Unione.
Il Consiglio di blocco alla fine identificò una serie di località che dovevano essere catturate e utilizzate come stazioni di rifornimento e basi di appoggio per le flotte di blocco: tra queste Fernandina, in Florida, Bull’s Bay e Port Royal, nella Carolina del Sud, e Ship Island, nel Mississippi. Quest’ultima si sarebbe rivelata particolarmente importante: situata tra Mobile e New Orleans, Ship Island sarebbe servita come base per le forze di blocco nel Golfo e avrebbe permesso alle navi dell’Unione di pattugliare sia la foce del Mississippi che l’ingresso della Baia di Mobile.
Il teatro navale offrì all’Unione la possibilità di ottenere una vittoria decisiva relativamente presto nella guerra, ma questa opportunità fu sprecata a causa di una serie di nevrosi istituzionali. Queste iniziarono con il ritiro di Scott e la sua sostituzione con McLellan, che non apprezzava molto le operazioni congiunte e considerava l’asse centrale della guerra il fronte terrestre lungo il confine con la Virginia, mentre le operazioni navali svolgevano un ruolo subordinato e di supporto. Inoltre, non esisteva un meccanismo sistematico o istituzionale per coordinare le operazioni dell’Esercito e della Marina (in particolare quando la commissione per il blocco navale si sciolse dopo aver emesso le sue raccomandazioni nel 1861), e Lincoln – ancora traballante come comandante in capo – generalmente non riuscì a dirimere le controversie tra i servizi, che erano numerose.
La conquista di Port Royal, nella Carolina del Sud, da parte dell’Unione, nel 1861, offre un esempio istruttivo. Il punto d’appoggio dell’Unione a Port Royal aveva essenzialmente spinto un cuneo nella bassa costa confederata, dando alle forze dell’Unione una potente posizione tra Savannah e Charleston. La minaccia era abbastanza grave che l’alto comando confederato inviò Robert E. Lee per organizzare le difese lungo la costa meridionale. Molti ufficiali dell’Unione vedevano Port Royal non solo come una base navale per sostenere il blocco, ma anche come un luogo dove poter sbarcare e rifornire un esercito nelle retrovie del nemico. Una visione del genere, tuttavia, avrebbe richiesto uno stretto coordinamento e una sincronizzazione strategica tra esercito e marina, ma il comandante dell’esercito, McLellan, era preoccupato per la sua campagna in Virginia, mentre la marina era molto più interessata al blocco e difficilmente voleva subordinarsi a un braccio di supporto dell’esercito. L’Ammiraglio Gustavus Fox, che comandava il distaccamento navale a Port Royal, racchiuse il punto di vista di molti ufficiali navali quando disse: “Il mio compito è duplice: primo, battere i nostri amici del Sud; secondo, battere l’esercito”.
In definitiva, quindi, all’Unione mancavano semplicemente i meccanismi istituzionali per coordinare sistematicamente le operazioni congiunte e stabilire quella che chiameremmo unità di comando. Dal punto di vista tattico, le forze dell’Unione si dimostrarono capaci di assaltare e catturare i forti costieri confederati, a volte formidabili, ma la mancanza di una prospettiva strategica impedì al Nord di capitalizzare appieno questi punti d’appoggio. Piuttosto che sbarcare forze per operazioni nelle retrovie confederate, la catena di posizioni costiere dell’Unione fu in gran parte utilizzata come base di appoggio per le navi di blocco. .
C’era però un teatro in cui i comandanti riuscirono a sviluppare una pratica operativa di operazioni congiunte. Fortunatamente per l’Unione, questo fu il teatro più strategico della guerra e fu qui che Ulysses Grant si trovò al posto di comando.
Grant e le tartarughe
Oggi Cairo, nell’Illinois, è una piccola città fantasma fatiscente e spopolata, piena di edifici inagibili, povertà e marciume sociale. All’inizio degli anni Sessanta del XIX secolo, tuttavia, occupava la posizione più strategica della guerra civile americana. Il Cairo si trova nel punto in cui i quattro grandi fiumi del Midwest americano – il Missouri, l’Ohio, il Tennessee e il Cumberland – convergono e si incontrano tra loro e con l’onnipotente Mississippi. È quindi il luogo in cui convergono vasti flussi di traffico fluviale e il luogo in cui le forze dell’Unione avevano l’opportunità di utilizzare questi fiumi per penetrare in profondità nello spazio confederato.
Il potenziale di penetrazione attraverso il Mississippi e i suoi affluenti era sorprendente. Lo Stato del Tennessee può essere quasi interamente sottomesso attraverso l’accesso fornito dai fiumi Cumberland e Tennessee: questi corsi d’acqua offrono un accesso diretto a Nashville e Chattanooga e fornirebbero alle forze dell’Unione sia un efficiente collegamento logistico via nave sia la possibilità di spostare facilmente uomini e artiglieria. L’importanza del Mississippi, naturalmente, non ha bisogno di essere elaborata: era l’arteria del Sud, sia per dividere in due la Confederazione sia per fornire un accesso senza ostacoli alla Louisiana e al Mississippi. Un esercito dell’Unione che operasse dal Cairo, situato direttamente alla confluenza dei cinque grandi fiumi della regione, era come un grumo di sangue che minacciava di scendere nell’aorta della Confederazione. E poiché questa guerra civile fu il conflitto che garantì all’America lo status immanente di nazione più potente del mondo, possiamo dire con una piccola esagerazione che, almeno per un momento, il Cairo fu il perno degli affari mondiali.
Mentre il 1861 e il 1862 videro pochi sviluppi decisivi nel teatro orientale della guerra (il teatro di Lee, che attira la maggior parte dell’attenzione della storiografia), Ulysses Grant avrebbe fatto esplodere il teatro occidentale con una serie di campagne fluviali che fecero un uso spietatamente efficace delle operazioni combinate. La vita di Grant prima della Guerra Civile era stata caratterizzata da difficoltà e instabilità, ma quando gli fu affidato il comando delle forze dell’Unione nel distretto del Cairo, la fortuna era finalmente e decisamente dalla sua parte: le sue possibilità operative non erano seconde a nessuno e disponeva di nuovi potenti mezzi tecnologici per sfruttarle.
Le campagne fluviali di Grant nel teatro occidentale avrebbero fatto uso di uno dei nuovi sistemi d’arma della Guerra Civile: la cannoniera Eads, formalmente la cannoniera di classe City e altrimenti affettuosamente nota semplicemente come la tartaruga. Progettate dal ricco e rinomato inventore e industriale James Buchanan Eads di St. Louis, le tartarughe a vapore erano piccole imbarcazioni straordinarie e stravaganti che avevano un’enorme potenza e rappresentavano l’avanguardia dei sistemi di combattimento navale dell’epoca. Lunghe circa 175 piedi e con un baglio di 50 piedi, le tartarughe a vapore vantavano una spessa corazzatura disposta ad angolo acuto per deviare i colpi ed erano armate con ben 13 cannoni di vario calibro. Soprattutto, nonostante l’enorme peso, avevano un pescaggio di soli sei piedi: in sostanza, una nave altamente mobile e ben corazzata in grado di attraversare i fiumi con facilità. La loro combinazione di mobilità, protezione e potenza di fuoco le rendeva un sistema d’arma essenzialmente nuovo e foriero dell’era industriale della guerra. Sebbene i battelli Eads fossero forse le imbarcazioni più potenti e innovative a disposizione di Grant, non erano i soli: le forze dell’Unione costruirono anche una flottiglia di battelli a fondo piatto che trasportavano mortai d’assedio per ridurre le fortificazioni confederate e una serie di chiatte per il trasporto. .
Le cannoniere Eads non erano solo il sistema d’armamento perfetto per una campagna incentrata sui grandi fiumi, ma anche una potente dimostrazione della superiorità dell’Unione nella produzione e nell’ingegneria. Eads e i suoi uomini furono in grado di consegnare una flotta di otto cannoniere funzionanti solo quattro mesi dopo aver ricevuto il contratto, e altre navi erano in fase di progettazione. Al contrario, la Confederazione, che non disponeva di una base equivalente di ingegneri e industriali innovatori, non aveva nulla di neanche lontanamente paragonabile per contendere i fiumi. Anche se il Sud si sarebbe affannato per tutta la durata della guerra a dispiegare navi da guerra in ferro, erano sempre troppo tardi e troppo poche per eguagliare le risorse dell’Unione. Inoltre, sebbene il Nord non fosse così urbano come il Sud amava credere (i confederati spesso deridevano i settentrionali come ragazzi di città che non avevano mai imbracciato un fucile), la qualità più industrializzata della società settentrionale si rivelò un vantaggio. Nelle forze di Grant non mancavano operai delle ferrovie e meccanici che erano più che in grado di far funzionare e riparare i motori a vapore delle cannoniere; quindi, sebbene la custodia delle navi appartenesse nominalmente alla Marina, gran parte dell’equipaggio e in particolare i meccanici erano soldati provenienti dalle formazioni dell’esercito di Grant. Nel linguaggio moderno, diremmo che l’industrializzazione del Nord diede a Grant capacità ingegneristiche organiche.
La campagna che ne seguì fu una dimostrazione emblematica delle operazioni fluviali e, più in generale, rivelò l’immenso valore dei fiumi come arterie per gli spostamenti, i rifornimenti e la fornitura di potenza di combattimento.
I Confederati fecero la prima mossa alla fine del 1861 e si avvantaggiarono su Grant: il generale Leonidas Polk si impadronì della città di Columbus, nel Kentucky, consentendogli di bloccare il Mississippi a poche miglia a valle della base di Grant al Cairo. La mossa aveva un certo senso, per quanto riguarda le presunzioni operative confederate: i comandanti di entrambe le parti continuavano a considerare il Mississippi come la via d’acqua vitale della guerra, e non senza qualche giustificazione. Ciò che Polk non riuscì a capire, tuttavia, fu che la straordinaria densità di corsi d’acqua della regione avrebbe dato a Grant ampie opportunità di aggirare Colombo. Il vero premio operativo nella regione non era il corso del Mississippi in sé, ma l’area più a monte dove tutti i grandi fiumi – l’Ohio, il Cumberland e il Tennessee – convergevano sul Mississippi. Polk poteva bloccare il Mississippi, ma la posizione di Grant intorno al Cairo gli permetteva di accedere a qualsiasi fiume della regione a suo piacimento.
Non è esagerato affermare che la posizione più importante da difendere per la Confederazione all’inizio della guerra (forse con l’eccezione di New Orleans e della foce del Mississippi) era lo stretto corridoio in cui i fiumi Tennessee e Cumberland si incrociano dal Kentucky al Tennessee. Un esercito dell’Unione libero di utilizzare i fiumi in questo punto sarebbe stato in grado di penetrare liberamente nel Tennessee centrale, minacciando non solo di invadere il cuore dello Stato (e di avanzare direttamente verso Nashville), ma anche di aggirare le posizioni difensive a est lungo il Mississippi – posizioni come la base operativa di Polk a Columbus. Mentre Polk si installava a Columbus, Grant si spostò dal Cairo verso est, fino alla cittadina di Paducah, un insediamento apparentemente insignificante, se non fosse che si trovava alla confluenza dei fiumi Ohio, Cumberland e Tennessee, dando così a Grant la possibilità di dirigere le sue cannoniere in qualsiasi direzione desiderasse.
Questi due grandi fiumi scorrono molto vicini l’uno all’altro vicino al confine tra Tennessee e Kentucky, con uno scarto di meno di 12 miglia (e di appena 3 miglia più a nord nel Kentucky). Per difendere i fiumi, i Confederati avevano lavorato duramente quasi dall’inizio della guerra per costruire un paio di forti: Fort Henry sulla riva orientale del Tennessee e Fort Donelson sulla riva occidentale del Cumberland. Posizionando i forti all’interno dei fiumi, c’era – in teoria – un varco relativamente stretto da difendere e la possibilità di un sostegno reciproco, ma l’attenzione confederata era così saldamente fissata sul Mississippi che comandanti come Polk non prestarono alcuna attenzione al rafforzamento di queste posizioni o al loro adeguato presidio.
Grant avrebbe ottenuto una delle prime grandi vittorie operative della guerra (e una delle più importanti) facendo saltare entrambi i forti confederati e conquistando il controllo di questo vitale corridoio fluviale verso il Tennessee centrale. I fattori materiali a suo favore erano molti, ma uno che si sarebbe rivelato assolutamente cruciale fu l’eccellente rapporto di lavoro di Grant con la sua controparte navale, l’ufficiale di bandiera Andrew Foote, che comandava la flottiglia di cannoniere corazzate, chiatte da mortaio e imbarcazioni da trasporto. Questa coppia di Grant e Foote si sarebbe rivelata una partnership dinamica, aggressiva ed efficace, in grado di far leva sul potere navale e sulle forze terrestri in vere e proprie operazioni combinate. In un momento in cui la conduzione della guerra da parte dell’Unione a livello strategico era minata dalle cattive relazioni tra l’esercito e la marina, Grant e Foote dimostrarono che le due forze potevano essere superiori alla somma delle loro parti quando sinergizzavano in modo efficace.
L’assalto a Fort Henry fu il primo, e andò anche meglio del previsto. Le cannoniere di Foote si avvicinarono e iniziarono a bombardare il forte, mentre Grant sbarcava le divisioni su entrambe le sponde del Tennessee: la divisione sulla sponda orientale avanzò per assaltare il forte, mentre quella sulla sponda occidentale prese il controllo di un promontorio elevato di fronte al forte, dove poter issare l’artiglieria per colpire le difese e aumentare la potenza di fuoco delle cannoniere. Il comandante del forte, il generale Lloyd Tilghman, aveva visto abbastanza. Quando inviò un messaggero per trattare e accertare i termini della resa, Foote rispose: “No signore, la vostra resa sarà incondizionata”. Per ironia della sorte, la firma di “resa incondizionata di Grant” sembra essere stata apposta dalla sua controparte navale. Fort Henry si arrese lo stesso giorno in cui Grant e Foote lo attaccarono: 6 febbraio 1862.
L’apertura di Fort Henry in un solo giorno di azione aveva già spalancato la porta a un grande colpo operativo. Non c’erano più né forti né forze fluviali confederate a sbarrare il cammino di Grant fino a Shiloh e in Alabama. Grant inviò immediatamente tre cannoniere di legno in ricognizione lungo il fiume, che si diedero a una serie di sparatorie logistiche, distruggendo un ponte ferroviario fondamentale che collegava Memphis alla Confederazione orientale e catturando diversi piroscafi.
Grant non aveva finito. Si preparò immediatamente a spostare la sua attenzione dal fiume Tennessee al Cumberland. Per farlo, doveva sconfiggere Fort Donelson come aveva fatto con Fort Henry. Circa 10.000 uomini di Grant vennero caricati su cannoniere e chiatte, per risalire il Tennessee e superare l’ansa del Cumberland. Nel frattempo, il resto delle sue truppe marciò via terra attraverso il varco di 9 miglia tra i forti Henry e Donelson. Il 14 febbraio, le forze di Grant avevano completamente circondato Fort Donelson e le cannoniere di Foote stavano facendo esplodere il fiume.
I Confederati disponevano di forze più consistenti e sicuramente avevano combattuto meglio a Donelson che a Henry. Cominciarono a contrattaccare, ma miravano soprattutto a forzare un’evasione e una fuga, non a tenere il forte. Grant lo capì immediatamente e si ridusse all’osso. Il 15 febbraio, a tarda ora, il generale Simon Buckner (un vecchio amico di Grant, come si evince da questa guerra fratricida) chiese informazioni su un armistizio. La risposta di Grant fu fortemente indicativa di come avrebbe combattuto la sua guerra:
La vostra di questa data, che propone l’armistizio e la nomina di commissari per stabilire i termini della capitolazione, è appena stata ricevuta. Non possono essere accettati altri termini se non la resa immediata e incondizionata. Propongo di muovermi immediatamente verso le vostre opere.
Più semplicemente: arrendetevi ora o vi ucciderò”. Fort Donelson si arrese il 16 febbraio.
In soli dieci giorni, Grant aveva sconfitto i due principali forti confederati che difendevano il corridoio fluviale verso il Tennessee centrale. In entrambi gli assalti, Grant e Foote avevano fatto un uso eccellente dei fiumi sia come mezzo per spostare uomini e materiali sia come piattaforma per la potenza di fuoco, con le cannoniere corazzate di Foote che fornivano un potente supporto di artiglieria. La cattura di questi due forti si rivelò un colpo operativo di altissimo livello. Il comando dell’Unione sul fiume Cumberland portò direttamente alla caduta di Nashville: con Grant e Foote che minacciavano la città da est lungo il fiume e una grande forza dell’Unione che avanzava verso sud sotto il comando del generale Don Carlos Buell, Nashville era fondamentalmente indifendibile e si arrese il 25 febbraio. Nel frattempo, Grant era ormai libero di spingere le sue forze lungo il fiume fino ai confini meridionali del Tennessee.
Geopolitika è una rivista norvegese di stretta osservanza atlantista. Spesso intervista collaboratori della precedente presidenza di Trump, spacciandoli di una capacità di influenza sull’attuale del tutto ingiustificata_Giuseppe Germinario
Donald Trump ha minacciato gli europei di lasciare la NATO se non contribuiranno maggiormente al suo finanziamento. Una minaccia che illustra la sua visione dell’Alleanza e il piano che prevede. Intervista con il dottor Glenn Agung Hole. .
Dott. Glenn Agung Hole. Docente di Imprenditorialità, Economia e Management, Università della Norvegia Sud-Orientale & Professore onorario presso l’Università Statale Sarsen Amanzholov del Kazakistan Orientale. .
Donald Trump è stato criticato per la sua politica estera come caotica e imprevedibile, ma attraverso il prisma dell’economia austriaca – con l’enfasi di Ludwig von Mises e Friedrich Hayek sulla decentralizzazione, la concorrenza e la cooperazione volontaria – si possono scorgere dei modelli che riflettono una logica di fondo.
Interpretando l’approccio di Trump come una forma di “imprenditorialità geopolitica”, diventa chiaro che la sua politica estera non solo sfida le strutture consolidate in Europa, ma mette anche in atto i giusti incentivi affinché i Paesi europei si assumano maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Allo stesso tempo, si aprono nuove opportunità per l’Europa in un mondo in rapida evoluzione.
L’incontro di Stephen Wertheim con Der Spiegel del 4 dicembre 2024 è una solida piattaforma per comprendere l’approccio di Trump alla dinamica del potere mondiale. Wertheim sostiene che Trump non è mai stato un isolazionista, ma piuttosto un pragmatico desideroso di ridistribuire gli oneri e le risorse. Utilizzando i principi dell’economia autarchica e dell’imprenditoria, possiamo approfondire la comprensione della politica di Trump e delle sue implicazioni.
Trump en tant qu’entrepreneur géopolitique
Nell’economia austriaca, l’imprenditore svolge un ruolo chiave nell’identificare le opportunità, nell’assumere rischi calcolati e nel ridistribuire le risorse al fine di creare valore. La politica di Trump può essere intesa come un approccio imprenditoriale alla politica estera, in cui cerca di sfidare strutture inefficienti e creare nuovi punti di equilibrio.
Stephen Wertheim sottolinea che la richiesta di Trump ai Paesi della NATO di aumentare le spese per la difesa rappresenta un cambiamento di paradigma. Può essere interpretata come una strategia per ridistribuire le risorse all’interno dell’alleanza e renderla più sostenibile per gli Stati Uniti. Trump vede la NATO come un “investimento” che deve avere un ritorno. Il suo pragmatismo riflette l’enfasi di Mises sul fatto che gli attori dovrebbero assumersi la responsabilità dei propri bisogni piuttosto che affidarsi agli sforzi degli altri.
Un esempio è l’enfasi posta da Trump sugli accordi bilaterali, che considera più flessibili e vantaggiosi di strutture multilaterali come l’OMC. Ciò ricorda il pensiero imprenditoriale, in cui i negoziati diretti possono massimizzare il valore della cooperazione. La rinegoziazione dell’NAFTA in USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement) illustra come Trump stia usando i negoziati per ottenere un accordo migliore per gli Stati Uniti.
L’economista austriaco ha sottolineato che il decentramento è un prerequisito per l’uso efficiente delle risorse e la libertà individuale. Trump ha messo in discussione l’idea degli Stati Uniti come “gendarme del mondo” e ha invece incoraggiato gli attori regionali, come l’Europa, ad assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Ciò è in linea con l’idea di Hayek secondo cui il controllo centralizzato porta alla stagnazione e all’inefficienza.
Wertheim osserva che la richiesta di Trump di aumentare la spesa per la difesa da parte dei membri della NATO non è necessariamente una minaccia per l’alleanza, ma piuttosto un catalizzatore per la sua rivitalizzazione. Dal punto di vista austriaco, questa sembra essere una strategia di decentramento, in cui la responsabilità è condivisa tra diversi attori per stimolare sia l’innovazione che l’autonomia.
Leggi anche: Quando l’ideologia indebolisce l’autonomia: le materie prime critiche e l’impasse strategica della Norvegia
Trump sta anche mettendo in discussione l’idea di un intervento globale basato su valori. Invece di giustificare l’intervento militare sulla base di principi idealistici, egli privilegia considerazioni pratiche a diretto vantaggio degli Stati Uniti. Si tratta di un approccio realista che riprende l’idea di Mises secondo cui la politica dovrebbe basarsi su incentivi reali piuttosto che su dogmi ideologici.
La concorrenza come motore della geopolitica
Nell’analisi di Wertheim, la rivalità di Trump con la Cina è evidenziata come un punto chiave della sua politica estera. Trump vede le relazioni internazionali come un mercato in cui le nazioni competono per il potere, le risorse e l’influenza. Il suo approccio “divide et impera” nei confronti di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord riflette un’applicazione dei meccanismi della concorrenza di mercato alla geopolitica.
L’economia austriaca vede la concorrenza come una forza dinamica che stimola l’innovazione e il progresso. Il ricorso di Trump a sanzioni economiche, tariffe e negoziati bilaterali è un mezzo per adattarsi ai meccanismi di mercato. La sua guerra commerciale con la Cina ne è un esempio: facendo pressione sulla Cina attraverso i dazi, cerca di ottenere condizioni migliori per le aziende statunitensi.
Ma, come avvertiva Hayek, la concorrenza senza fiducia e cooperazione può portare all’instabilità. Le politiche di Trump hanno creato incertezza tra gli alleati tradizionali, il che può offrire a rivali come la Cina l’opportunità di approfittare di un vuoto di potere. Ciò sottolinea la necessità di controbilanciare la competizione con una cooperazione strategica a lungo termine.
Trump ha spinto l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità in materia di sicurezza. Per l’Europa, ciò significa non solo aumentare i bilanci della difesa, ma anche attuare riforme strutturali che incoraggino l’imprenditorialità e l’innovazione nell’industria della difesa.
L’economia austriaca enfatizza il ruolo del mercato nel promuovere l’efficienza. Per l’Europa, ciò significa aprire l’industria della difesa alla concorrenza e agli attori privati, stimolando lo sviluppo di nuove tecnologie. Utilizzando l’imprenditorialità come motore, l’Europa può costruire una struttura di sicurezza economicamente sostenibile e meno dipendente dal sostegno degli Stati Uniti.
Tuttavia, come avvertiva Mises, l’Europa deve evitare l’eccessiva regolamentazione e la centralizzazione, che possono soffocare la crescita e l’innovazione. Favorendo la cooperazione decentrata tra le nazioni, l’Europa può ottenere maggiore flessibilità e dinamismo.
Allo stesso tempo, l’Europa deve evitare le insidie della centralizzazione e dell’eccessiva regolamentazione. Se l’aumento della spesa per la difesa porta a un aumento degli oneri fiscali e a una minore flessibilità economica, ciò può ostacolare la crescita e l’innovazione. La chiave sta nell’equilibrio tra sovranità nazionale e cooperazione regionale, per garantire una struttura di sicurezza sostenibile.
La forza di volontà come modello sostenibile
Uno degli aspetti più interessanti delle politiche di Trump, secondo Wertheim, è la sua enfasi sui contributi volontari piuttosto che sugli obblighi imposti. Ciò riecheggia l’idea di Hayek secondo cui la cooperazione dovrebbe basarsi su interessi comuni, non sulla coercizione.
Affermando che gli Stati Uniti non emetteranno più assegni in bianco per sostenere la sicurezza dell’Europa e lasciando intendere che gli Stati Uniti potrebbero lasciare la NATO se i suoi avvertimenti non saranno presi sul serio, Trump sta comunque creando incentivi reali affinché l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria sicurezza in un mondo sempre più incerto.
Ciò è paragonabile alla teoria economica austriaca, che sottolinea l’importanza di un mercato libero senza sussidi statali, nonché di incentivi per aumentare la concorrenza e promuovere l’imprenditorialità come chiavi per un solido sviluppo economico. Eliminando il sussidio de facto degli Stati Uniti alla sicurezza europea, si creano i giusti incentivi affinché l’Europa compia i passi necessari nella dimensione della politica di sicurezza.
La richiesta di Trump che i Paesi della NATO paghino di più per la propria sicurezza, pena la riduzione del sostegno statunitense, mette quindi in discussione i tradizionali equilibri di potere. Ma offre anche all’Europa l’opportunità di ridefinire la propria architettura di sicurezza sulla base della volontà e dell’imprenditorialità. Questo può rafforzare l’alleanza rendendola più equilibrata e sostenibile.
Riflessione sintetica: il ruolo dell’imprenditorialità nel futuro della geopolitica
Attraverso il prisma dell’economia austriaca, la politica estera di Trump può essere intesa come un approccio pragmatico e imprenditoriale alle sfide globali. La sua enfasi sul decentramento, sulla concorrenza e sulla cooperazione volontaria mette in discussione le strutture tradizionali, ma apre anche la strada all’innovazione e a soluzioni più efficaci.
Per l’Europa, questo rappresenta sia una sfida che un’opportunità. Abbracciando l’imprenditorialità e le soluzioni guidate dal mercato, l’Europa può sviluppare una strategia di sicurezza che rafforzi l’autonomia e la capacità di innovazione del continente. Dal punto di vista austriaco, la politica di Trump non è solo una necessità, ma un’opportunità per creare un nuovo ordine mondiale più decentralizzato.
Riferimento:
Intervista a Stephen Wertheim, Der Spiegel, 4 dicembre 2024. Leggi l’intervista qui: Quale ruolo avranno gli Stati Uniti nel mondo: “Trump non è mai stato un isolazionista” – DER SPIEGEL
Donald Trump ha avviato i negoziati con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Il desiderio del presidente americano di concludere un accordo di pace in Ucraina si scontra con il ricordo della partenza dall’Afghanistan, che ha tormentato la presidenza Biden. Intervista con James Jay Carafano.
Intervista a James Jay Carafano. Consulente senior del Presidente Trump durante la sua prima presidenza e E.W. Richardson Fellow presso la Heritage Foundation. Intervista condotta da Henrik Werenskiold. Testo apparso su Geopolitika. Traduzione di Conflits
Lei ha sempre detto che una nuova amministrazione Trump avrebbe continuato a sostenere l’Ucraina. È ancora questa la sua percezione di ciò che sta per accadere?
Sto ancora studiando la composizione della squadra. Quando si saprà la composizione finale, le cose saranno molto più chiare. Ma resto convinto che gli Stati Uniti non lasceranno la NATO e non credo che abbandoneranno l’Ucraina. Penso che ci siano due cose rilevanti a questo proposito.
In primo luogo, se Trump vuole mettere sul tavolo un accordo, non può proporre un accordo che dica: “Se non volete questo accordo, lasceremo l’Ucraina “. Sarebbe una follia, perché l’accordo fallirebbe, non è vero? Quindi non è possibile. Può mettere sul tavolo un accordo solo se ha conseguenze molto gravi per i russi e se è pronto ad attuarle se i russi non lo accettano.
Il secondo punto è l’Afghanistan. Molte persone intorno a Trump hanno detto che l’ultima cosa che vorrebbe fare è ritirarsi e avere un disastro di politica estera in Ucraina, che avvelenerebbe il resto della sua presidenza come l’Afghanistan ha fatto per Biden. E la gente potrebbe dire: “Perché a Trump dovrebbe importare? Non sarà rieletto “.
Ma non dobbiamo dimenticare che questa è stata un’elezione incentrata su questioni specifiche, essenzialmente nazionali. I repubblicani hanno conquistato molti elettori che non fanno parte della base tradizionale di Trump. Se vogliono mantenere questi elettori e se Trump vuole lasciare un’eredità di ristrutturazione del centro politico americano, deve fare risultato su questi temi. Non può quindi permettersi una grave battuta d’arresto in Ucraina.
Insomma, Trump non è stato eletto per fuggire dall’Ucraina. So che ci sono persone nel movimento che vogliono solo andarsene, ma Trump è stato eletto principalmente per occuparsi di questioni interne. Quando si tratta di politica estera, la gente si aspetta che faccia meglio di Biden. Quindi Trump non ha il mandato di abbandonare l’Ucraina.
Sono sicuro che ci sono persone nella base elettorale di Trump che vogliono che gli Stati Uniti abbandonino l’Ucraina, ma non c’è un mandato per questo. Il mandato di Trump è quello di governare bene, e la gente non lo abbandonerà perché non decide di abbandonare l’Ucraina.
L’altra cosa è che Trump ha già parlato con Zelensky e con gli ucraini, e credo che gli ucraini siano già d’accordo con la direzione che stiamo prendendo. Quindi potrebbero esserci dei negoziati e l’amministrazione potrebbe volere che gli europei facciano molto di più, ma resta da vedere quali saranno i dettagli finali.
Quindi, a mio avviso, l’idea che ci ritireremo dall’Ucraina non supera il test del buon senso. Ma ripeto, non parlo a nome del Presidente eletto o dell’amministrazione. Non faccio parte del team di transizione. Non ho partecipato alla campagna elettorale. Quindi questa è solo la mia opinione personale.
In base alle sue ipotesi di ex consigliere presidenziale di Trump, che aspetto avrebbe un accordo con Trump se questi offrisse a Putin un qualche tipo di accordo?
Penso che ci siano cose che, probabilmente, non sono negoziabili. Non credo che nessuno possa costringere l’Ucraina a rinunciare alla sovranità del proprio territorio, anche se occupato. Non credo che nessuno possa imporre un accordo in un senso o nell’altro sulla data di adesione dell’Ucraina alla NATO. Ma al momento non c’è consenso sull’adesione dell’Ucraina alla NATO, quindi non credo sia una questione rilevante.
Detto questo, non credo che gli Stati Uniti abbiano alcun interesse ad aiutare l’Ucraina a recuperare tutto il suo territorio. Potrebbe essere nell’interesse dell’Ucraina, ma non c’è alcuna possibilità che gli Stati Uniti accettino. E ci sono ragioni molto pratiche per questo. La prima è che se l’Ucraina combattesse per raggiungere il confine, questo non sarebbe più difendibile di quello in cui si trovano ora gli ucraini.
Inoltre, la Crimea non ha più alcuna importanza militare, perché tutto è a portata di mano delle armi ucraine. E agli Stati Uniti non interessa, perché potremmo eliminare tutto ciò che si trova nel Mar Nero dal Mediterraneo. Quindi potrebbe essere nell’interesse dell’Ucraina reclamare tutto il suo territorio, ma gli Stati Uniti non lo sosterranno.
E so che Trump ha già dichiarato di essere pronto a continuare a sostenere l’Ucraina. Ma non so dove finisca la linea e come trattino i territori della Russia. Non ho conoscenze segrete al riguardo. A mio parere, la situazione sarà molto simile a quella della Germania occidentale nel 1945, della Corea nel 1953 o di Israele nel 1968.
La linea di demarcazione rimarrà dov’è. Ma la questione più importante non è l’aspetto di un potenziale accordo, quanto piuttosto l’aspetto del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina in futuro. Cosa faremo dopo? In questo caso, vedo che gli Stati Uniti vogliono che gli europei svolgano un ruolo importante in quest’area, ma non vedo che il sostegno americano – militare, umanitario e finanziario – si riduca a zero.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Tuttavia, Trump è noto per la sua capricciosità, quindi è possibile che non volesse alludere a nulla nelle sue ultime dichiarazioni sulla Russia oppure che cambi inaspettatamente idea sui compromessi che ritiene accettabili per entrambe le parti durante la sua prossima chiamata con Putin.
Trump ha detto qualche parola sulla Russia subito dopo la sua reinaugurazione mentre firmava gli ordini esecutivi nello Studio Ovale. Sono importanti da interpretare perché potrebbero alludere al suo piano di pace, che deve ancora rivelare ufficialmente, ma sono circolate voci secondo cui “intensificherà per de-intensificare” attraverso più sanzioni contro la Russia e aiuti armati all’Ucraina se Putin rifiuta qualsiasi accordo lui offra. Allo stesso modo, presumibilmente taglierà fuori l’Ucraina se Zelensky rifiuta lo stesso accordo. Ecco cosa ha detto lunedì pomeriggio:
“Zelenskyy mi ha detto che vuole fare un accordo, non so se Putin lo voglia… Potrebbe non farlo. Penso che dovrebbe fare un accordo. Penso che stia distruggendo la Russia non facendo un accordo. Penso che la Russia sia un po’ nei guai. Dai un’occhiata alla loro economia, dai un’occhiata alla loro inflazione in Russia. Mi sono trovato molto bene con [Putin], spero che voglia fare un accordo.
Sta lavorando duramente. La maggior parte delle persone pensava che sarebbe durato circa una settimana e ora sei a tre anni. Non lo sta facendo fare bella figura. Abbiamo dati che indicano che sono stati uccisi quasi un milione di soldati russi. Circa 700.000 soldati ucraini sono stati uccisi. La Russia è più grande, ha più soldati da perdere, ma non è questo il modo di governare un paese”.
Partendo dall’inizio, la sua affermazione che Zelensky “vuole fare un accordo” unita alla sua incertezza sulla volontà di Putin potrebbe essere intesa a rappresentare quest’ultimo come un ostacolo alla pace, preparando così il terreno per le misure punitive menzionate in precedenza. Quanto alla sua opinione che Putin stia “distruggendo la Russia”, è un’iperbole, ma inquadra la sua controparte come la più debole delle due, soprattutto se confrontata con la dichiarazione di Trump di quel giorno sull’inizio di un’età dell’oro americana.
Ha poi elaborato sottolineando il tasso di inflazione della Russia, che è implicito essere il risultato delle sanzioni senza precedenti dell’Occidente e accennando di conseguenza alla possibilità di un po’ di sollievo in cambio dell’accettazione di Putin di un compromesso invece di continuare a perseguire i suoi obiettivi massimi . Partendo da ciò, citare la stima grossolanamente gonfiata dell’Ucraina delle perdite russe potrebbe smentire l’ignoranza dei fatti se crede veramente ai loro numeri, ma potrebbe anche riaffermare la sua aspettativa che Putin debba scendere a compromessi.
Per spiegare, Trump sembra credere che l’effetto delle sanzioni occidentali sull’economia russa e le perdite sul campo di battaglia subite dalla Russia (entrambe esagerate nel contesto in cui le ha menzionate) giustifichino la proposta di compromessi da parte di Putin, non cedendo alle sue richieste. Per questo motivo, è probabile che i precedenti resoconti sulla sua intenzione di proporre qualcosa di meno di quanto la sua controparte abbia segnalato come accettabile siano veri, dopodiché “escalate per de-escalate” se la proposta viene respinta.
Gli osservatori possono solo fare delle ipotesi sulla sostanza della sua proposta prevista, ma potrebbe assomigliare a qualcosa di simile a quanto suggerito alla fine di questa analisi qui , in particolare per quanto riguarda le proverbiali carote che Trump potrebbe offrire a Putin riguardo alla neutralità dell’Ucraina e alla graduale riduzione delle sanzioni. Per quanto riguarda i compromessi che potrebbero essere richiesti alla Russia, questi potrebbero includere il congelamento della linea di contatto mentre si chiede di accettare solo la parziale smilitarizzazione dell’Ucraina e praticamente nessuna denazificazione.
Trump è noto per la sua capricciosità, tuttavia, quindi potrebbe essere che non intendesse accennare a nulla nelle sue ultime osservazioni sulla Russia o potrebbe cambiare inaspettatamente idea sui compromessi che considera accettabili per entrambe le parti durante la sua prossima chiamata con Putin. Nessuno può quindi dire con certezza cosa avesse in mente, per non parlare di cosa farà alla fine, ma questa analisi si basa sul presupposto che potrebbe anche aver lasciato sfuggire inconsciamente parte del suo piano.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
L’esito della continua lotta di Trump con lo “Stato profondo” si riverbererà in tutto il mondo.
L’alto collaboratore di Putin Nikolai Patrushev, che ha diretto l’FSB per quasi un decennio (1999-2008) prima di presiedere il Consiglio di Sicurezza per oltre 15 anni fino a poco tempo fa (2008-2024), ha fatto tre previsioni sugli affari internazionali nella sua ultima intervista con Komsomolskaya Pravda. La prima riguarda la continua lotta tra Trump e lo “Stato profondo”, quest’ultimo può essere descritto come le burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche permanenti degli Stati Uniti, alcuni membri delle quali sono noti per la loro opposizione.
Patrushev si aspetta che Trump attui politiche interne ed estere praticamente opposte a quelle di Biden, che definisce pragmatiche e più allineate agli interessi del popolo americano, ma non è sicuro che alla fine ci riesca a causa delle resistenze interne. Il precedente del suo primo mandato non lascia presagire nulla di buono per il secondo, ma l’esito di quest’ultima lotta si ripercuoterà per decenni, visto che il mondo sta subendo cambiamenti sistemici di vasta portata, visti l’ultima volta a partire dal 1991.
A questo proposito, Patrushev ha valutato che una delle principali priorità di Trump in politica estera è quella di aumentare la pressione sulla Cina, anche esacerbando artificialmente le tensioni bilaterali. Ha poi ricordato che “per noi la Cina è stata e rimane un partner importantissimo, con cui abbiamo rapporti di cooperazione strategica particolarmente privilegiati. Queste relazioni non sono soggette alla situazione, rimangono indipendentemente da chi occupa lo Studio Ovale”. Questo può essere interpretato come un segnale che la Russia non pugnalerà alle spalle la Cina.
In altre parole, l’obiettivo dichiarato da Trump di “unire” queste due nazioni fallirà, il che significa che non ci sarà un peggioramento delle loro relazioni. Questo non deve però essere frainteso come un suggerimento che la Russia farà di tutto per aiutare la Cina a costo di provocare l’ira degli Stati Uniti, visto che la Cina non ha fatto altrettanto per la Russia. Dopo tutto, la BRICS Bank e la SCO, con sede in Cina, rispettano le sanzioni statunitensi contro la Russia, così come alcune delle sue banche locali, come dimostrato dalle analisi precedenti.
Anche una società cinese si è ritirata dal megaprogetto russo Arctic LNG 2 sotto la pressione delle sanzioni, mentre società private di droni vendono i loro prodotti all’Ucraina. Allo stesso tempo, la Russia continua ad armare il rivale indiano della Cina nonostante il loro nascente riavvicinamento, e un anno fa ha anche autorizzato la spedizione di missili supersonici BrahMos prodotti congiuntamente dall’India alle Filippine. Di conseguenza, mentre i legami sino-russi rimarranno forti, alcune differenze continueranno comunque a esistere.
E infine, l’ultima previsione che Patrushev ha fatto nella sua ultima intervista è stata che Moldova e Ucraina potrebbero cessare di esistere a causa delle loro politiche anti-russe, con la prima che potrebbe “diventare parte di un altro Stato” in un’allusione all’unione con la Romania come alcuni nazionalisti del posto vorrebbero che accadesse. Per quanto riguarda la seconda, la sua infausta previsione è stata preceduta dall’osservazione di come tali politiche “stiano distruggendo città un tempo prospere in Ucraina, tra cui Kharkov, Odessa, Nikolaev e Dnepropetrovsk”.
Mentre alcuni potrebbero credere che egli stia insinuando che le forze russe attraverseranno i confini rumeni e polacchi rispettivamente, è molto più probabile che egli voglia semplicemente che la Moldavia, l’Ucraina e il loro comune patrono americano tengano presente la possibile posta in gioco esistenziale se il conflitto dovesse ulteriormente aggravarsi. Naturalmente, è anche possibile che uno o entrambi crollino sotto il peso delle loro politiche anti-russe a causa di una combinazione di instabilità interna e di pressioni russe, ma probabilmente non è questo ciò che intendeva.
Questa interpretazione delle sue intenzioni deriva da ciò che ha detto sulla necessità per la Russia di negoziare solo con gli Stati Uniti, non con il Regno Unito, l’UE o chiunque altro. Ha ribadito che la Russia raggiungerà i suoi obiettivi nel conflitto e non cederà alcun territorio, ma l’impressione generale è che la Russia sia interessata a scendere a compromessi con Trump il pragmatico, anche se il potenziale fallimento di accordarsi su un accordo decente (forse a causa di sotterfugi dello “Stato profondo”) potrebbe condannare la Moldavia e l’Ucraina (almeno con il tempo).
Riflettendo sulle previsioni di Patrushev, tutte e tre si basano su una solida comprensione delle dinamiche ad esse associate, come è lecito aspettarsi da una persona come lui. Ciò che le accomuna tutte è se Trump riuscirà o meno a superare l’opposizione dello “Stato profondo” alle sue politiche, rendendo così questo aspetto domestico della sua piattaforma di importanza globale. Se ci riuscirà, è probabile che gli Stati Uniti faranno un accordo in Ucraina per “Pivot (back) to Asia” in tempi brevi, mentre è probabile che rimangano in Ucraina e forse anche che si inaspriscano se non ci riuscirà.
Sono stati indotti a temere che gli Stati Uniti avrebbero dovuto combattere direttamente la Russia se l’Ucraina fosse stata sconfitta, cosa che alcuni di loro pensavano, o erano stati incoraggiati dall’amministrazione Biden, avrebbe portato all’uccisione di “corpi neri e marroni”.
L’ex rappresentante democratica Cori Bush ha detto al giornalista Michael Tracey che lei e alcuni altri democratici hanno votato per più aiuti armati all’Ucraina perché l’amministrazione Biden li ha presentati come un modo per impedire che i soldati americani potessero essere schierati per combattere la Russia se l’Ucraina fosse stata sconfitta. Ha poi aggiunto che i militari del suo distretto sono “per lo più neri e marroni e persone emarginate”, motivo per cui ha ritenuto che questo fosse un modo per salvare “corpi neri e marroni” dall’essere uccisi.
La sua intuizione aggiunge una svolta a ciò che alcuni osservatori pensavano delle ragioni dei Democratici per sostenere queste leggi, poiché fino ad allora si dava per scontato che fossero guidate da motivazioni ideologiche o avessero legami corrotti con le aziende di armi. Si scopre che alcuni membri come Bush credevano davvero di servire le loro comunità facendo tutto il possibile per tenerle lontane dai pericoli, dopo aver temuto di essere schierati per combattere la Russia se queste leggi di aiuti non fossero state approvate.
Ciò ha assunto una dimensione razziale nel caso di Bush, dati i dati demografici del suo collegio elettorale, tuttavia, il distretto che rappresentava è composto per il 42% da bianchi e il 68% dei membri in servizio attivo si identifica con quella razza. Pertanto ha ignorato la probabilità che rappresentasse anche alcuni militari bianchi e si preoccupasse solo di salvare i “corpi neri e marroni” nel suo distretto. Ciò non sorprende, visto che faceva parte di “The Squad”, i cui membri sono noti per promuovere interessi percepiti di minoranze razziali.
Il terrorismo psicologico dell’amministrazione Biden su una guerra calda tra Russia e Stati Uniti per l’Ucraina si è quindi unito all’impressione di Bush che i militari del suo distretto fossero “per lo più neri e marroni e gente emarginata” per convincerla a votare per più aiuti armati all’Ucraina al fine di salvare “corpi neri e marroni”. Considerata la popolarità della politica dell’identità razziale tra i democratici, potrebbe quindi essere stato anche il caso che altri rappresentanti di quel partito fossero motivati da interessi simili.
L’amministrazione Biden e i suoi surrogati hanno promosso narrazioni ispirate a “Squad” negli ultimi quattro anni, quindi è molto probabile che alcuni di loro abbiano lasciato intendere o affermato a loro discrezione che “corpi neri e marroni” potrebbero essere a rischio in futuro se queste leggi non fossero state approvate, l’Ucraina fosse stata sconfitta e gli Stati Uniti avrebbero dovuto intervenire direttamente ai sensi dell’articolo 5 per proteggere i membri della NATO se la Russia ne avesse in seguito invaso uno. Le preoccupazioni di Bush potrebbero quindi essere state molto più progettate e diffuse che personali e locali.
La conclusione è che l’amministrazione Biden sembra aver manipolato abilmente la priorità data dai democratici agli interessi percepiti delle minoranze razziali in modo da garantire il sostegno ai suoi piani di guerra per procura contro la Russia, spaventandoli nel pensare che “corpi neri e marroni” sarebbero morti se l’Ucraina fosse stata sconfitta. Ciò non scusa Bush e gli altri dal votare per queste leggi, che hanno portato all’uccisione di innumerevoli “corpi ucraini”, ma lo spiega comunque in termini di percezioni di alcuni membri del partito.
Biden ha permesso alle Filippine di acquistarli l’anno scorso, quindi esiste un precedente per cui Trump potrebbe fare lo stesso con l’Indonesia ed eventualmente anche con altri Stati dell’Asia-Pacifico, il che potrebbe aumentare le possibilità di raggiungere un grande accordo con la Russia se abbinato a incentivi legati all’energia e all’Ucraina.
L’elezione del nuovo Presidente indonesiano Prabowo Subianto lo scorso febbraio, che in precedenza ha ricoperto la carica di Ministro della Difesa dal 2019 fino al suo insediamento lo scorso ottobre, ha coinciso con l’espansione globale dei legami del suo Paese con la Russia. Il Valdai Club, che è la principale piattaforma di networking d’élite della Russia e anche un prestigioso think tank, ha prodotto molto materiale analitico su questo tema e ha persino tenuto il suo primo seminario sulle relazioni bilaterali in nove anni a Giacarta a settembre. Ecco alcuni dei loro lavori:
Ognuno di questi articoli vale la pena di essere letto o almeno sfogliato, ma per coloro che non ne hanno il tempo, la tendenza prevalente è che la Russia e l’Indonesia sono giunte alla conclusione di poter integrare l’una con l’altra la grande strategia di multi-allineamento tra le Grandi Potenze nella Nuova Guerra Fredda. Questo approccio è ispirato dall’India, ma assume forme specifiche per quanto riguarda la Russia e l’Indonesia, ognuna delle quali vuole evitare preventivamente una dipendenza potenzialmente sproporzionata da un unico partner.
Per quanto riguarda la Russia, essa teme di entrare in tali relazioni con la Cina, ergo perché si affida all’India e alla “Ummah” (la comunità musulmana internazionale) come contrappesi. L’Indonesia condivide le stesse preoccupazioni nei confronti della Repubblica Popolare, ma teme di cadere troppo sotto l’influenza americana. Ognuno di loro ha quindi visto l’altro come un contrappeso complementare nei rispettivi equilibri, il che spiega perché negli ultimi mesi siano così entusiasti di espandere le relazioni.
Lo status dell’Indonesia come Paese musulmano più popoloso al mondo e la sua posizione geostrategica nel Sud-Est asiatico hanno portato la Russia a considerarla un partner promettente per rafforzare l’attuale pilastro “Ummah” della sua azione di bilanciamento e per fungere da fulcro di quella prevista per l’Asia-Pacifico. Allo stesso tempo, l’Indonesia ritiene che la costruzione di relazioni strategiche con la Russia possa alleviare alcune delle pressioni sino-statunitensi su di essa, in seguito all’intensificarsi della rivalità tra i due Paesi, soprattutto in ambito tecnico-militare.
Per approfondire gli imperativi di ciascuno, la Russia ha bisogno di accedere a nuovi mercati per le sue esportazioni tecnico-militari e commerciali, al fine di resistere meglio alle sanzioni dell’Occidente, e l’Indonesia può facilmente soddisfare questa esigenza. Per quanto riguarda l’Indonesia, una più stretta cooperazione tecnico-militare con la Cina non è realistica, dato il recente inasprimento della loro disputa marittima, ma l’acquisto di armi statunitensi potrebbe peggiorare il suddetto dilemma di sicurezza emergente, da cui l’interesse a procurarsele dal partner russo della Cina.
Il Ministero della Difesa indonesiano ha ribadito a fine novembre che la Russia è uno dei suoi partner strategici per la difesa, in mezzo a segnalazioni sulla ricerca di ulteriori armi da parte di questo Paese, mentre Prabowo in precedenza ha concluso un accordo da 10 miliardi di dollari con la Cina e si è congratulato con Trump pochi giorni prima. Questa sequenza di eventi mostra con quanta attenzione il nuovo leader indonesiano stia cercando di allinearsi tra queste tre grandi potenze, con un’importante enfasi sulla dimensione russa di questo atto di bilanciamento.
Il segnale è che gli Stati Uniti restano uno dei principali alleati dell’Indonesia, ma questo non impedirà di coltivare legami economici reciprocamente vantaggiosi con la Cina, mentre le relazioni con la Repubblica Popolare potrebbero essere controbilanciate nella sfera tecnico-militare da un maggior numero di armi provenienti dalla Russia. La prima è volta a rassicurare l’America che non nutre alcuna cattiva volontà nei suoi confronti, la seconda ha lo stesso scopo nei confronti della Cina, mentre la terza mostra la priorità che egli attribuisce ai legami tecnico-militari con la Russia.
creerebbe lo slancio – sia in termini di sostanza che di immagine – per incorporare l’Indonesia in AUKUS+, che è la NATO asiatica prevista dagli Stati Uniti in via non ufficiale.
La conseguenza di ciò sarebbe disastrosa per la regione, poiché aumenterebbe il rischio di una guerra per procura istigata dagli Stati Uniti con la Cina che scoppierebbe per un errore di calcolo, per non parlare della facilità con cui gli Stati Uniti potrebbero dividere e governare questa parte del mondo anche in assenza di questo scenario peggiore. È quindi nell’interesse nazionale oggettivo dell’Indonesia evitare che ciò accada, e a tal fine dovrebbe portare a termine l’interesse segnalato per un accordo sulle armi russe, e l’India può dare una mano in questo senso.
L’anno scorso gli Stati Uniti hanno permesso all’India di esportare missili supersonici BrahMos, prodotti congiuntamente dalla Russia, all’alleato filippino, con il tacito scopo di rafforzare la capacità del destinatario di dissuadere la Cina da qualsiasi mossa militare unilaterale nell’ambito della disputa marittima tra i due Paesi. La logica strategica dietro questo accordo è stata analizzata qui all’epoca, compresa la comprensione del motivo per cui la Russia avrebbe accettato di armare indirettamente un alleato americano di difesa reciproca contro la Cina, il che contraddice la comprensione dei suoi interessi da parte del pubblico.
Esiste quindi il precedente per l’approvazione da parte degli Stati Uniti di un accordo sul BrahMos tra India e Indonesia, di cui si discute da alcuni anni e che è stato ripreso dai media la scorsa settimana in relazione a ciò che Prabowo potrebbe discutere con Narendra Modi durante la visita di questo mese a Delhi. Dal punto di vista degli Stati Uniti, permettere a partner come le Filippine e forse presto anche l’Indonesia di acquistare missili prodotti congiuntamente dalla Russia senza temere sanzioni può creare fiducia con Mosca in vista dei colloqui sull’Ucraina.
Serve anche a rafforzare la percezione della Russia come contrappeso “amichevole” alla Cina nella regione per quei Paesi che non vogliono impegnarsi in accordi di armi su larga scala con la Cina o con gli Stati Uniti, in un contesto di intensificazione della rivalità tra questi due Paesi, per non rovinare le relazioni con l’uno o l’altro. Mentre le Filippine sono saldamente nel campo degli Stati Uniti, l’Indonesia e il vicino Vietnam non lo sono, quindi loro e altri come la Tailandia potrebbero voler fare più affidamento sulla Russia come valvola di pressione a questo proposito, a partire dall’acquisto dei missili BrahMos.
È nell’interesse degli Stati Uniti facilitare passivamente il ruolo previsto del Cremlino. Sebbene sia impossibile “unificare” Russia e Cina come Trump si è impegnato a fare, egli può comunque plasmare gli eventi in modo tale che i loro legami non si espandano oltre il livello attuale, il che può evitare una dipendenza potenzialmente sproporzionata della Russia dalla Cina, che né Mosca né Washington vogliono. Se abbinato agli incentivi per l’energia descritti in dettaglio qui, potrebbero emergere i contorni di un grande accordo russo-americano.
Per ulteriori approfondimenti, si consiglia ai lettori di consultare l’analisi ipertestuale precedente, ma il tutto si riduce al fatto che gli Stati Uniti permettano all’UE di riprendere le importazioni di gasdotti dalla Russia e poi investano nell’industria energetica russa insieme all’India e al Giappone (che riceverebbero delle deroghe), il che potrebbe privare la Cina di queste riserve. L’aggiunta di un aspetto tecnico-militare a questo pacchetto, accettando di permettere alla Russia di armare gli Stati dell’Asia-Pacifico contro la Cina (come già arma l’India) senza il timore di incorrere in sanzioni, potrebbe suggellare l’accordo.
Se Trump diventasse avido e cercasse di monopolizzare questo mercato regionale degli armamenti, il complesso militare-industriale del suo Paese ne trarrebbe profitto a spese del grande obiettivo strategico degli Stati Uniti, che è quello di esercitare pressioni sulla Cina su tutti i fronti allo scopo di costringere la Repubblica Popolare a un proprio grande accordo in un secondo momento. La chiave del successo risiede nel fatto che la Russia accetti informalmente di non mettere il turbo all’ascesa della superpotenza cinese, subordinandosi alla Cina come semplice riserva di materie prime per la disperazione di vincere in Ucraina.
Ecco il motivo per cui è nell’interesse degli Stati Uniti lasciare che la Russia raggiunga il maggior numero possibile di obiettivi massimi in Ucraina in cambio dell’accettazione da parte della Russia di tenere la Cina a distanza invece di subordinarsi ad essa a spese dei grandi obiettivi strategici degli Stati Uniti. Per perseguire questo grande accordo, gli Stati Uniti dovrebbero offrire alla Russia incentivi nell’industria energetica per compensare i mancati introiti con la Cina, e l’aggiunta di opportunità tecnico-militari nell’Asia-Pacifico renderebbe il tutto ancora più attraente.
La rivalità sino-statunitense si preannuncia come la più grande sfida del secolo, ma gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità di vincere o di raggiungere un pareggio a meno che non si assicurino che l’ascesa della superpotenza cinese non sia messa in moto dall’accesso decennale alle risorse russe ultra-economiche. Se Trump non concede a Putin almeno la maggior parte di ciò che vuole in Ucraina, il leader russo ordinerà alle sue truppe di continuare a combattere, il che renderebbe necessario il sostegno finanziario cinese e altre forme di supporto che potrebbero solo avere dei vincoli.
Queste sono l’accettazione delle richieste cinesi segnalate di prezzi del gas a prezzi stracciati, equivalenti a quelli interni della Russia, il che potrebbe porre la Russia in una relazione di sproporzionata dipendenza di bilancio dalla Cina che potrebbe essere sfruttata per altri fini. Se la Russia vuole dalla Cina armi moderne che provocherebbero l’ira sanzionatoria degli Stati Uniti, ad esempio, potrebbe dover prima accettare informalmente di tagliare le armi all’India, in modo da indebolirla nella loro disputa sui confini himalayani.
Come si vede, accettare le richieste cinesi sul prezzo del gas potrebbe catalizzare una reazione a catena di conseguenze che potrebbero rimodellare drasticamente le dinamiche della Nuova Guerra Fredda a favore della Cina, il che sarebbe contrario ai grandi interessi strategici degli Stati Uniti. Se permettere all’Indonesia e ad altri paesi della regione di acquistare congiuntamente i missili BrahMos di produzione russo-indiana e successivamente altri armamenti russi è necessario per convincere Putin a prendere in considerazione la possibilità di scongiurare questo scenario attraverso un grande accordo con gli Stati Uniti, allora Trump dovrebbe prendere seriamente in considerazione questa concessione.
Il futuro della loro partnership strategica è luminoso, ma per apprezzarne appieno le prospettive, gli osservatori devono riconoscerne la natura non militare, invece di continuare a fantasticare su una guerra congiunta contro Israele e/o gli Stati Uniti, come alcuni stanno facendo.
I presidenti russo e iraniano si sono incontrati a Mosca venerdì scorso per firmare un patto di partenariato strategico aggiornato che può essere letto integralmente qui ed è stato esaminato qui . La fase preparatoria di questo sviluppo è stata caratterizzata da un prevedibile clamore sul fatto che si trattasse di un punto di svolta, che non si è placato nei giorni successivi, ma questa è una descrizione imprecisa di ciò che hanno concordato. L’unico modo in cui questo potrebbe suonare vero è per quanto riguarda il gas, non la geopolitica, per le ragioni che ora saranno spiegate.
Per cominciare, Russia e Iran avevano già una stretta cooperazione tecnico-militare prima di aggiornare la loro partnership strategica la scorsa settimana, come dimostrato dalle voci secondo cui la Russia si sarebbe affidata ai droni iraniani in Ucraina. Hanno anche concordato di far rivivere il Corridoio di trasporto nord-sud (NSTC), precedentemente nato morto, poco dopo lo specialel’operazione è iniziata e l’Occidente ha imposto sanzioni senza precedenti contro Mosca. Pertanto, queste parti della loro partnership strategica aggiornata non sono niente di nuovo, mirano solo a rafforzarle.
A questo proposito, questo accordo è fondamentalmente diverso da quello russo-nordcoreano dell’estate scorsa in quanto non ci sono obblighi di difesa reciproca come chiarito nell’articolo 3. Si sono solo impegnati a non aiutare alcuna aggressione contro l’altro, inclusa l’assistenza all’aggressore, e ad aiutare a risolvere il conflitto successivo all’ONU. Ciò era già il caso nelle loro relazioni, quindi chiarirlo esplicitamente è ridondante. In nessun caso la Russia andrà in guerra contro Israele e/o gli Stati Uniti a sostegno dell’Iran.
È quindi molto improbabile che Putin rompa questo precedente, cosa che gli osservatori possono concludere con sicurezza in virtù del suo rifiuto di includere qualsiasi obbligo di difesa reciproca di tipo nordcoreano nel patto di partenariato strategico aggiornato della Russia con l’Iran, il che dovrebbe sperabilmente mettere a tacere i desideri irrealizzabili di alcune persone . Va anche detto che anche la tempistica della firma di questo documento è importante, poiché è avvenuta dopo che Israele ha sconfitto l’Asse della Resistenza e mentre la regione entra di conseguenza in una nuova era geopolitica.
Le parti stavano negoziando il loro patto aggiornato già da diversi anni e, sebbene i lavori fossero finalmente terminati lo scorso autunno, Putin aveva specificamente richiesto durante il vertice di Kazan che Pezeshkian “facesse una visita separata nel nostro paese per firmare questo documento e altri documenti importanti in un’atmosfera cerimoniale”. All’epoca, alcuni lo liquidarono casualmente come una forma di protocollo, ma a posteriori, si può sostenere che la Russia non volesse firmare un tale patto di partenariato finché le ostilità regionali non si fossero finalmente placate.
Anche questo è comprensibile, dal momento che aveva previsto che l’Occidente e alcuni in Israele avrebbero interpretato tale sviluppo come presumibilmente rivolto contro di loro, con la conseguente rotazione che avrebbe complicato qualsiasi potenziale colloquio di pace sull’Ucraina e rischiato una crisi nelle relazioni con Israele. Putin rimane impegnato a risolvere il dilemma di sicurezza NATO-Russia sull’Ucraina attraverso mezzi diplomatici e ha trascorso l’ultimo quarto di secoloampliando i legami con Israele , quindi non avrebbe messo a repentaglio nessuno dei due in questo modo.
Dal lato iraniano, Pezeshkian rappresenta la fazione “riformista”/”moderata” dell’élite politica iraniana, e anche loro potrebbero essere stati preoccupati che questo sviluppo sarebbe stato interpretato dall’Occidente e da alcuni in Israele come rivolto contro di loro. Tali percezioni potrebbero rovinare ogni possibilità di rilanciare i colloqui nucleari con gli Stati Uniti, ed era ancora incerto chi sarebbe stato il prossimo presidente americano, quindi lui e i suoi simili potrebbero anche aver calcolato che è meglio aspettare che le ostilità regionali si plachino finalmente.
Gli osservatori noteranno che Pezeshkian ha rilasciato la sua prima intervista ai media stranieri dopo le elezioni presidenziali degli Stati Uniti solo pochi giorni prima di recarsi a Mosca, durante la quale ha ribadito la sua intenzione di riprendere i colloqui con gli Stati Uniti. La tempistica suggerisce fortemente che volesse contrastare preventivamente qualsiasi spin che gli elementi falchi della nuova amministrazione avrebbero potuto provare a mettere sul patto di partenariato strategico aggiornato del suo paese con la Russia. Questo potrebbe anche essere stato coordinato con la Russia in una certa misura.
Passando alla componente NSTC del loro patto di partenariato strategico aggiornato, è molto più sostanziale poiché l’obiettivo è aumentare il loro misero commercio reciproco da 4 miliardi di $ , il che aiuterà la Russia a raggiungere più facilmente altri mercati del Sud del mondo, fornendo al contempo sollievo all’economia iraniana assediata dalle sanzioni. Se avrà successo, e ci vorrà del tempo per vedere in entrambi i casi, allora l’NSTC potrà fungere da nuovo asse geoeconomico che collega il cuore eurasiatico all’Asia occidentale, all’Asia meridionale e infine all’ASEAN e all’Africa orientale.
Ancora una volta, questi piani erano già in corso da quasi tre anni prima che finalmente firmassero il loro patto di partenariato strategico aggiornato e negoziato da tempo, quindi niente di tutto questo è esattamente nuovo, vale solo la pena menzionarlo nel contesto più ampio considerando che parte di questo documento appena firmato riguarda l’NSTC. Molto più importanti delle parti militari e di connettività sono di gran lunga i loro ambiziosi piani sul gas, poiché Russia e Iran hanno alcune delle più grandi riserve al mondo, con quest’ultima che rimane in gran parte inutilizzata.
A fine agosto è stato spiegato perché ” la Russia potrebbe presto reindirizzare i suoi piani di gasdotto dalla Cina all’Iran e all’India “, vale a dire a causa della continua disputa sui prezzi con la Repubblica Popolare su Power of Siberia 2 e gli ultimi MoU sul gas all’epoca con l’Iran e poi con l’Azerbaijan. Questi si sono combinati per creare la possibilità credibile che la Russia sostituisca la sua attenzione alle esportazioni finora rivolta a est con una rivolta a sud. Il loro patto di partenariato strategico aggiornato conferma che la direzione meridionale è ora la priorità della Russia.
Putin ha detto durante la sua conferenza stampa con Pezeshkian che prevede di iniziare le esportazioni a soli 2 miliardi di metri cubi (bcm) all’anno, presumibilmente a causa della mancanza di infrastrutture nel nord dell’Iran, prima di portarle a 55 bcm. Questa è la stessa capacità del Nord Stream 1, ora defunto, verso l’UE. Il suo ministro dell’Energia ha poi detto ai giornalisti che il percorso attraverserà l’Azerbaijan e che i negoziati sui prezzi sono nelle fasi finali. La loro conclusione positiva rivoluzionerebbe il settore.
Gli investimenti e la tecnologia russi potrebbero sbloccare le enormi riserve di gas dell’Iran, portando così i due a creare un’“OPEC del gas” per gestire i prezzi globali durante l’ingresso della Repubblica islamica nel mercato. Mentre hanno un incentivo egoistico a mantenerli alti, un crollo del prezzo potrebbe infliggere un duro colpo all’industria americana del fracking e alle sue esportazioni di GNL associate, mettendo così a repentaglio il suo nuovo predominio sul mercato europeo causato dalle sanzioni, dall’attacco terroristico al Nord Stream e dall’Ucraina .
Inoltre, i progetti di gas russo sul lato iraniano del Golfo potrebbero rifornire la vicina India e/o potrebbe essere concordato un accordo di scambio in base al quale l’Iran fornisce gas per conto della Russia ancora prima. Affinché ciò accada, tuttavia, l’India dovrebbe sfidare le sanzioni statunitensi esistenti sull’Iran o ottenere una deroga. Trump 2.0 potrebbe essere convinto a chiudere un occhio o estenderlo in modo che l’India acquisti questo gas al posto della Cina, quest’ultima delle quali è giàsfidando tali sanzioni sull’importazione di petrolio iraniano.
Parte del previsto “Pivot (back) to Asia” di Trump 2.0 è ottenere un’influenza predominante sulle importazioni di energia della Cina, il che include il taglio della sua fornitura attraverso un approccio carota-bastone per incentivare gli esportatori a vendere ad altri clienti e creare ostacoli per quelli che non lo fanno. Alcune possibilità di come questo potrebbe apparire per quanto riguarda la Russia sono state spiegate qui all’inizio di gennaio, mentre la dimensione iraniana potrebbe funzionare come descritto sopra, sebbene in cambio di progressi nei colloqui USA-Iran.
Anche se l’India decidesse di non rischiare l’ira degli Stati Uniti importando unilateralmente gas iraniano prodotto in Russia nel caso in cui Trump 2.0 non fosse convinto dei meriti di sostituirla alla Cina come principale cliente energetico dell’Iran e minacciasse quindi dure sanzioni, allora la Cina potrebbe semplicemente comprarlo tutto. In entrambi i casi, l’aiuto della Russia nello sbloccare le riserve in gran parte inutilizzate ed enormi dell’Iran avrà un effetto sismico su questo settore, con le uniche domande sui prezzi che accetteranno e chi ne acquisterà la maggior parte.
La risposta a entrambe le domande è di immensa importanza per gli interessi americani, poiché prezzi costantemente bassi potrebbero uccidere la sua industria del fracking e portare inevitabilmente alla perdita del suo mercato europeo appena conquistato, mentre l’importazione su larga scala di questa risorsa da parte della Cina (per non parlare del fatto che è a basso costo) potrebbe alimentare ulteriormente la sua ascesa da superpotenza. È quindi nell’interesse degli Stati Uniti considerare coraggiosamente di coordinarsi con la potenziale imminente “OPEC del gas” russo-iraniana, nonché consentire all’India di sostituire la Cina come principale cliente energetico dell’Iran.
Tornando al titolo, è davvero vero che il patto di partenariato strategico russo-iraniano aggiornato è destinato a cambiare le carte in tavola molto di più nell’industria globale del gas che nella geopolitica, anche se il suo impatto rivoluzionario su quanto detto sopra potrebbe avere alcune conseguenze geopolitiche nel tempo. Anche così, il punto è che il patto non è guidato dalla geopolitica come alcuni entusiasti immaginavano prima della sua firma e altri ancora insistono controfattualemente dopo, poiché la Russia non difenderà l’Iran da Israele o dagli Stati Uniti.
Russia e Iran “rifiutano l’unipolarità e l’egemonia negli affari mondiali” come concordato nel loro patto appena firmato, ma non si opporranno direttamente tramite mezzi militari congiunti, solo indirettamente tramite mezzi legati all’energia e rafforzando la resilienza delle loro economie. Il futuro della loro partnership strategica è luminoso, ma per apprezzarne appieno le prospettive, gli osservatori devono riconoscerne la natura non militare invece di continuare a fantasticare su una guerra congiunta contro Israele e/o gli Stati Uniti come alcuni stanno facendo.
In termini di quadro più ampio, il Regno Unito vuole sicuramente svolgere un ruolo a lungo termine e altamente strategico in Ucraina, ma la misura in cui potrà realizzare i suoi ambiziosi piani contenuti nel patto di “garanzia di sicurezza” dello scorso gennaio e nella sua ultima rivisitazione della scorsa settimana dipende in gran parte dagli Stati Uniti.
Il Regno Unito e l’Ucraina hanno siglato giovedì un patto di partenariato di 100 anni , in uno sviluppo che dovrebbe evidenziare il loro impegno duraturo reciproco, ma in realtà è solo una trovata pubblicitaria, poiché il documento non fa che riproporre quanto concordato in precedenza un anno fa. Il Regno Unito ha esteso le cosiddette ” garanzie di sicurezza ” all’Ucraina il 12 gennaio 2024, che coprivano tutto quanto contenuto nel loro ultimo patto, con la notevole eccezione che quest’ultimo parla di “esplorare opzioni” per “basi militari”.
Mentre RT ha attirato l’attenzione su questo aspetto, il Regno Unito non ha mai fatto mistero dei suoi piani di muoversi in quella direzione, ma il lasso di tempo di un secolo significa che potrebbe non accadere nella vita di nessuno, se mai accadrà. Questa dichiarazione di intenti è stata apparentemente programmata per coincidere con il ritorno di Trump alla carica, poiché di conseguenza serve a scopi di rafforzamento del morale tra i falchi anti-russi occidentali e ucraini, in mezzo ai segnali del suo team che gli Stati Uniti si ritireranno almeno parzialmente da quel paese andando avanti.
Il candidato di Trump per il ruolo di Segretario di Stato, Marco Rubio, ha dichiarato durante la sua udienza di conferma al Senato il giorno prima, mercoledì, che “Questa guerra deve finire. Tutti dovrebbero essere realisti: Russia, Ucraina e Stati Uniti dovranno fare delle concessioni”. Tuttavia, la scrittura era già sul muro molto prima di allora, quindi nessuno dovrebbe sorprendersi. Ciò rafforza l’affermazione che il patto di partenariato di 100 anni del Regno Unito con l’Ucraina, il cui intento era finora sconosciuto fino a questa settimana, è solo una risposta superficiale a Trump.
Di sicuro, una parte delle loro “garanzie di sicurezza” entrerà probabilmente in vigore, come una maggiore produzione congiunta di armi. Tuttavia, l’istituzione di una base britannica in Ucraina è improbabile in tempi brevi, poiché è impensabile che Trump accetti che gli Stati Uniti difendano il Regno Unito in base all’articolo 5 se le sue truppe lì dovessero essere attaccate dalla Russia. Dopo tutto, vuole disimpegnarsi parzialmente dall’Ucraina in modo da “tornare (di nuovo) in Asia”, ma lo scenario sopra menzionato è una spada di Damocle che impedisce che ciò accada mai del tutto.
Non ci si aspetta che gli inglesi costruiscano una base del genere senza la rassicurazione americana che li sosterrà in quel caso, ma anche se lo facessero, è quasi certo che gli USA costringerebbero il Regno Unito a fare marcia indietro se Londra decidesse di provocare uno scenario di rischio nucleare alla cubana se le sue forze venissero attaccate. Quella clausola associata nel loro patto di partenariato di 100 anni sull'”esplorazione” di questa “opzione” è quindi l’incarnazione di questo spettacolo di pubbliche relazioni che potrebbe persino essere dimenticato già dalla prossima settimana.
In termini di quadro generale, il Regno Unito vuole sicuramente svolgere un ruolo a lungo termine e altamente strategico in Ucraina, ma la misura in cui può eseguire i suoi ambiziosi piani come contenuti nel patto di “garanzia di sicurezza” dello scorso gennaio e la loro ultima rielaborazione della scorsa settimana dipende in gran parte dagli Stati Uniti, come spiegato. Finché riuscirà a disimpegnarsi dall’Ucraina almeno in parte e non consentirà l’attivazione dell’articolo 5 per le truppe straniere in Ucraina che vengono attaccate dalla Russia, allora queste ambizioni saranno contenute.
Questa osservazione dimostra quanto gli USA determinino le dinamiche strategico-militari nell’Ucraina post-conflitto. Comportandosi in modo responsabile nel compromesso con la Russia, soprattutto se alcune delle dozzine di idee proposte alla fine di questo articolo qui vengono implementate o almeno questa proposta qui per una regione demilitarizzata del Trans-Dnieper, gli USA possono ridurre notevolmente il rischio che scoppi un’altra guerra . Il Regno Unito vuole ulteriormente dividere e governare l’Europa, ma avrà difficoltà a riuscirci se gli USA non saranno a bordo.
Come promesso, Trump è uscito allo scoperto – o, nel suo caso, firmando più di 100 ordini esecutivi per eliminare immediatamente molte iniziative della DEI, togliere le autorizzazioni agli ex funzionari di Biden e sospendere gli aiuti esteri a tutti i Paesi per 90 giorni, compresa l’Ucraina.
Un giornalista ucraino che avrebbe incontrato il personale del Washington Post ha riferito che è in atto un riavvio completo dell’Ucraina:
“Allarmante: Il Pentagono ha licenziato e sospeso tutti i responsabili dell’Ucraina e dei suoi aiuti. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è in fase di completo riavvio”.
Ci sarà un nuovo formato di relazioni con l’Ucraina, è tutto un po’ allarmante, – ha detto il propagandista vicino alle Forze Armate dell’Ucraina R. Bochkala dopo un incontro con i giornalisti del Washington Post.
La notizia non è ancora confermata, ma sostiene che tutte le spedizioni verso l’Ucraina sono state sospese:
Al Pentagono, tutti i responsabili dell’Ucraina sono stati licenziati e sospesi. Tutti dovranno affrontare un’indagine sull’uso dei fondi del bilancio statunitense.
Questa mattina, a Washington, gli Stati Uniti hanno ritirato tutte le richieste ai contraenti per la logistica attraverso Rzeszow, Costanza e Varna. Nelle basi NATO in Europa, tutte le spedizioni verso l’Ucraina sono state sospese e chiuse.
Secondo gli analisti militari stranieri, si tratta di diverse migliaia di tonnellate di armi e attrezzature.
Tuttavia, lo sviluppo più interessante per quanto riguarda l’Ucraina è stato ascoltare le prime parole di Trump come presidente riguardo alla situazione. Ricorderete che per mesi siamo stati costretti ad ascoltare le dichiarazioni di vari portavoce come Kellogg e Waltz che sembravano parlare a nome di Trump, anche se non potevamo mai esserne certi. Ma ora il Presidente Trump ha rilasciato le sue prime dichiarazioni per darci un’idea della direzione in cui potrebbero andare le cose, e sono interessanti.
In primo luogo, un Trump molto più stabile e provato ha rinunciato all’ormai scontata spavalderia di marciare verso Putin e costringerlo a porre fine alla guerra in un solo giorno. Invece, con un tono insolitamente tranquillo e incerto, Trump ha osservato che i negoziati dipenderanno interamente dall’interesse o meno di Putin:
Purtroppo, Trump mette a nudo la sua completa ignoranza e la sua mancanza di credibilità quando si tratta del conflitto ucraino, lamentando poi che la Russia ha subito l’oltraggiosa cifra di un milione di soldati morti nella guerra. Come si può contare su un uomo così poco informato per essere il salvatore che miracolosamente pone fine alla guerra? Possiamo capire un po’ di fantasia da parte dei media, per dare un po’ di risalto alla situazione, ma citare perentoriamente questi numeri fa solo apparire Trump tristemente scollegato, il che colora ulteriormente qualsiasi suo sforzo verso la guerra come un’operazione altrettanto malriuscita; per non parlare della sua affermazione che la Spagna è un membro dei BRICS.
Prosegue dicendo che Putin sta distruggendo la Russia non facendo un accordo, e dal modo in cui lo dice sembra quasi che Trump sia ora convinto che Putin abbia già deciso di “non fare un accordo”. Sostiene inoltre che l’economia russa è in rovina e, soprattutto, afferma che prenderebbe in considerazione la possibilità di imporre sanzioni o tariffe alla Russia:
Questa è la prima volta che abbiamo la conferma direttamente da Trump stesso, piuttosto che da Kellogg e simili, che egli è in realtà considerando l'”opzione nucleare” di giocare “duro” con la Russia, qualora Putin si rifiutasse di piegare il ginocchio. E in effetti, in un’altra intervista lo ha detto ancora più chiaramente:
Gli è stato chiesto chiaramente se sanzionerà la Russia se Vladimir Putin non verrà al tavolo dei negoziati, e la sua risposta è stata: “Mi sembra probabile.”
Ecco, quindi, come stanno le cose. Il “pacificatore” Trump ha mostrato le sue carte e chiarito le possibili direzioni che intende prendere. Ciò significa che alcune delle precedenti affermazioni di Keith Kellogg sembrano essere state accurate per quanto riguarda il tentativo di Trump di mettere la morsa su Putin nel caso in cui l’accordo di pace si riveli negativo. C’è qualche possibilità che Trump continui a fare lo spaccone con la solita spavalderia per i giornalisti, ma che in realtà cerchi ancora un modo per scaricare completamente Kiev.
Nel primo video qui sopra, noterete che fa un commento molto interessante che scivola sotto la superficie del resto della sua dichiarazione. Ascoltate di nuovo quando descrive il fallimento dello sforzo bellico della Russia e poi dice: “Voglio dire… è una grande macchina, quindi, alla fine le cose accadranno…”
Ciò che sembra voler dire è che, nonostante la sua piccola “messa in scena” del presunto sforzo bellico “fallito”, sta riconoscendo che non è poi così fallito perché la macchina da guerra della Russia è a questo punto così grande e potente che alla fine l’Ucraina non sarà in grado di resistere affatto; sembra che Trump sia consapevole di questo punto sottile, dopo tutto.
È interessante notare che ciò coincide con un nuovo rapporto del comando tedesco, redatto dal Maggiore Generale Christian Freuding, che lancia una notizia bomba scioccante che ancora una volta va totalmente contro la narrazione occidentale prevalente sulla Russia:
“La Russia sta aumentando le sue forze al di là delle esigenze del conflitto in corso!”.
– Il capo della task force militare tedesca per l’assistenza all’Ucraina, il maggior generale Christian Freuding.
Freuding dice essenzialmente che la Russia sta costruendo eserciti di riserva generando più manodopera e armature di quelle che perde. Ricordate le armate di riserva di Shoigu, di cui ho parlato molto tempo fa, dove gran parte della manodopera generata dalla Russia era destinata piuttosto che a sostenere le perdite sul fronte:
Freuding afferma anche, tra l’altro, che la Russia ora costruisce 3.000 bombe a vela UMPK al mese e “procura” 3,7 milioni di proiettili d’artiglieria all’anno:
Ora, intuendo la trappola in cui Trump potrebbe incamminarsi, il top Trumper Steve Bannon ha avvertito che Trump rischia di creare il suo “Vietnam”:
Donald Trump rischia di non riuscire a dare un taglio netto all’Ucraina e potrebbe essere risucchiato ancora di più nella guerra di Vladimir Putin – proprio come Richard Nixon fu colpito nei suoi tentativi di ritirarsi dal Vietnam – ha avvertito l’ex capo stratega di Trump, Steve Bannon, in un’ampia intervista rilasciata a POLITICO.
Egli osserva correttamente che:
“Se non stiamo attenti, si trasformerà nel Vietnam di Trump. È quello che è successo a Richard Nixon. Alla fine la guerra è stata sua e non di Lyndon Johnson”, ha detto Bannon.
Ed è vero: Trump sa che la Cina sta mangiando il pranzo agli Stati Uniti sul fronte economico e, come altri come Rubio hanno sottolineato, gli Stati Uniti hanno una finestra temporale molto limitata per cambiare in qualche modo il calcolo in modo da rimanere in gara con la Cina. Se la vanità di Trump gli impedisce di staccarsi dall’Ucraina, rischia di ballare con la Russia fino all’esaurimento degli Stati Uniti, mentre la Cina, senza ostacoli, li supera tutti.
La Russia non sarà la Cina, ma sul terreno di casa della Russia – che è essenzialmente l’Ucraina – la ‘superpotenza’ statunitense non ha il vantaggio e si troverà risucchiata in una guerra di logoramento che non può vincere. Per non parlare delle voci che girano intorno a Zelensky che sta preparando una falsa bandiera di qualche tipo per trascinare Trump nella guerra il più possibile, per esempio dal canale Legitimny:
#ascolti
Confermiamo le informazioni dei colleghi secondo cui a febbraio Zelensky e OP stanno preparando alcuni eventi provocatori che, secondo la loro idea, cambieranno l’atteggiamento di Trump e lo costringeranno a partecipare alla crisi ucraina.
Zelensky farà di tutto per prolungare il gioco, dato che gli è stato affidato il compito di prolungare il conflitto per impedire a Trump di porre fine alla guerra. Si inventerà qualsiasi nuovo requisito spaziale che sarà irrealistico da soddisfare.
A tutto questo si aggiunge il fatto che le precedenti vanterie di Trump sull’economia russa destinata a implodere sono un vero e proprio buco nell’acqua: ecco gli ultimi dati in contrasto. Si noti che non sono nemmeno le entrate da petrolio e gas a salire alle stelle:
Le entrate del bilancio russo sono salite a un livello record a dicembre, nonostante le nuove sanzioni più “forti”, – Bloomberg
Le entrate di bilancio della Russia sono salite a un livello record il mese scorso, anche dopo che gli Stati Uniti hanno imposto un nuovo potente pacchetto di sanzioni sul settore bancario, finalizzato a interrompere i pagamenti del commercio estero e a frenare i proventi delle esportazioni.
Le entrate totali a dicembre sono state di oltre 4.000 miliardi di rubli (40 miliardi di dollari), con un aumento del 28% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, secondo quanto riportato dal Ministero delle Finanze.
Si tratta del livello più alto registrato nei dati del ministero dal gennaio 2011.
Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno cercando di fermare la macchina da guerra del Cremlino limitando i proventi delle esportazioni e alla fine del 2024 hanno imposto ulteriori sanzioni al settore energetico russo e alle banche che lo servono. Tuttavia, le entrate da petrolio e gas sono aumentate di un terzo a dicembre rispetto all’anno precedente e sono in crescita del 26% nel 2024. Altre fonti di entrate hanno registrato guadagni simili per l’intero anno, trainati da tasse e dividendi in un contesto di robusta crescita economica.
“Il volume delle entrate non da petrolio e gas nel 2024 ha superato in modo significativo le stime stabilite nella legge di bilancio per il 2025-2027, anche per quanto riguarda le maggiori fonti fiscali”, ha dichiarato il Ministero delle Finanze in un comunicato.
L’aumento delle entrate ha permesso al governo di spendere più che mai: la spesa totale del mese è stata di 7,15 trilioni di rubli, superando il precedente record stabilito nel dicembre 2022.
RVvoenkor
Per non parlare della nuova intervista di Patrushev in cui esprime la sua opinione che l’Ucraina potrebbe “cessare di esistere” quest’anno:
Infine, Zelensky ha fatto un’altra interessante dichiarazione. Avevamo appena parlato della sua affermazione secondo cui la Russia avrebbe più di 600.000 truppe nella SMO, mentre l’Ucraina ne avrebbe più di 800.000. In un nuovo video dal forum di Davos, Zelensky ribadisce ancora una volta che la Russia ha più di 600.000 uomini, ma poi dice qualcosa che dimostra alcuni dei miei primi rapporti su questo blog sulla disposizione delle forze russe all’inizio della SMO:
Afferma che la forza attuale di oltre 600k è fino a 4,5 volte più grande della forza iniziale della Russia. Facendo i conti, 600k sono 4,5 volte più di 133.000 – o usando il suo numero 4x possiamo dire 150.000.
I miei primi lettori ricorderanno che ero la voce solitaria che dimostrava con i numeri che l’incursione iniziale della Russia nella SMO consisteva in una forza minuscola di appena ~70-130k, piuttosto che le massicce 250-400k sostenute ovunque come parte della storiografia ufficiale occidentale. Questo è stato il motivo principale per cui la Russia è stata costretta a ritirarsi da luoghi come Kherson e Kharkov dopo le prime conquiste, quando l’Ucraina aveva mobilitato più di un milione di truppe mentre la Russia operava con una minuscola struttura di incursioni. Ora abbiamo la conferma dallo stesso Zelensky. E conferma anche indirettamente le precedenti affermazioni del generale Freuding sul continuo rafforzamento delle forze russe, quando dice nel video qui sopra che se la Russia non viene fermata ora, presto avrà un esercito dieci volte più grande di quello del 2022, anziché solo 4,5 volte più grande.
Per ora è chiaro che l’amministrazione Trump probabilmente non ha un vero piano per negoziare con la Russia ed è completamente disinformata dalle sue risorse di intelligence. Come ho scritto molti mesi fa, l’unica vera domanda sarà non se i negoziati funzioneranno, ma cosa farà Trump una volta che Putin bloccherà tutte le sue offerte di negoziazione.
Si suppone che una possibilità sia che Trump faccia una sorta di “mezzo sforzo” nell’applicare “sanzioni punitive” contro la Russia solo per placare i neocon dello Stato profondo e i media guerrafondai, ma con la piena consapevolezza che non servirà a molto e che la Russia invaderà l’Ucraina in ogni caso. Almeno, se Trump fosse davvero più subdolo e ingegnoso di quanto gli attribuiamo, questa è una strada che potrebbe percorrere. Ma più probabilmente Trump userà la situazione dell’Ucraina per fare varie concessioni all’Europa, proprio come ha fatto leva sulle minacce contro Panama, la Groenlandia e simili per convincere l’Europa a mettersi in riga.
Alla fine si tratterà di stabilire quale imperativo di Trump sia più forte: la sua volontà di gloria personale e la paura di offuscare la sua vanità facendosi ritrarre come un “perdente” in Ucraina? Oppure il suo grande desiderio di costruirsi a tutti i costi un’eredità come storico “costruttore di pace”.
Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.
Boris Pistorius è ministro della difesa dal 19 gennaio 2023 nel governo Scholz. In precedenza era stato ministro degli interni e dello sport nel governo statale della Bassa Sassonia dal 2013. E’ entrato a far parte dell’SPD nel 1976. Il suo nome è arrivato al pubblico internazionale a seguito del sostegno militare tedesco all’Ucraina. La sua intervista pubblicata sull’edizione domenicale del quotidiano bavarese è interessante per chi vuole conoscere di prima mano le sue posizioni, sia in relazione alla guerra che per le imminenti elezioni politiche federali.
Questa domenica Pistorius potrà festeggiare un piccolo anniversario: il 19 gennaio 2023, l’ex ministro degli Interni della Bassa Sassonia entrò a far parte del gabinetto di Olaf Scholz.
Due anni non sono sufficienti
Perché Boris Pistorius vuole diventare il successore di sé stesso, come valuta la minaccia rappresentata dal Presidente russo Vladimir Putin e cosa si aspetta da Donald Trump.
Intervista di: Georg Ismar, Nicolas Richter e Sina-Maria Schweikle
L’orologio d’oro da tavolo nella sala riunioni del Ministero della Difesa irradia calma e continuità in tempi turbolenti. L’antico pezzo si trovava già nella sala riunioni del Ministero della Difesa quando Boris Pistorius lavorava ancora ad Hannover. Per proseguire la lettura cliccare su: Süddeutsche Zeitung am Sonntag (19.01.2025)_Intervista a Pistorius
Pastone su sondaggi e umori della campagna elettorale tedesca oggi sul quotidiano economico-finanziario. La CDU/CSU rimane accreditata come primo partito, ma la forbice dei voti attesi (22% consolidati e 42% potenziali) fa dire ai dirigenti del partito che “non siamo dove vorremmo essere”, mentre serpeggiano dubbi se la scelta di Friedrich Merz a candidato cancelliere sia stata quella giusta. L’AfD è chiaramente al secondo posto accreditata del 21%. %. La loro candidata principale, Alice Weidel, è quasi alla pari con Merz tra gli intervistati se il cancelliere dovesse essere eletto direttamente. Qualora FDP, BSW e Linke non dovessero prendere il quoziente per entrare nel Bundestag, ai cristiano-sociali ci basterebbe il 38,5% per governare da soli”, dicono. Ma i sondaggi attualmente dicono il contrario. BSW, FDP e Linke potrebbero entrare nel Bundestag.
20.01.2025
Campagna elettorale per il Bundestag: il fattore Merz
A cinque settimane dalle elezioni, il malcontento si diffonde nella CDU/CSU: la CDU e la CSU ristagnano nei sondaggi, mentre cresce la fiducia nell’AfD.
Il candidato cancelliere della CDU Merz: l’auspicata tendenza al rialzo è ancora lontana
di Daniel Delhaes – Berlino
Friedrich Merz è in piedi, allegro, davanti alla parete blu della sala riunioni della sede del partito, con la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen alla sua destra e la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola alla sua sinistra. Anche il capogruppo del PPE Manfred Weber e altri leader dei partiti conservatori nazionali si sono recati qui per consultazioni congiunte a sostegno del candidato tedesco. Il loro messaggio: l’Europa si batte per Merz – e Merz per l’Europa con meno burocrazia, più competitività e una chiara politica migratoria. Per proseguire la lettura cliccare su: Handelsblatt (20.01.2025)
Nel giorno di Trump, sul quotidiano “Die Welt” risalta in prima pagina un’introspezione dell’Unione cristiano-sociale, nella sua componente nazionale (CDU) e bavarese (CSU). Nei sondaggi la prima ondeggia (forse il 30%), mentre la seconda sa di essere il solido riferimento del suo Land (44%) e ritiene che nessun altro possa occupare la sua destra. Perciò uno degli obiettivi del piano bavarese è di attirare chi vorrebbe votare AfD e dimostrare che la CDU/CSU nel suo complesso perseguirà politiche conservatrici. Il messaggio è che la CSU se ne occuperà in un governo a guida CDU/CSU e il leader della CSU Markus Söder potrebbe approfittarne per avvantaggiarsi a scapito del candidato cancelliere della CDU Friedrich Merz.
21.01.2025
Come la CSU vuole portare gli elettori dell’AfD verso l’Unione
Le posizioni del piano bavarese sono più conservatrici di quelle del programma elettorale comune
di NIKOLAUS DOLL
…. il capogruppo della CSU Alexander Dobrindt ha ribadito che non ci sarà alcuna coalizione tra la CSU e i Verdi dopo le elezioni del Bundestag e che la CDU/CSU vuole una “svolta politica” globale. Oltre al programma elettorale comune dei partiti dell’Unione, la base è il cosiddetto Piano Baviera, che la CSU ha presentato lunedì. I cristiano-sociali elaborano regolarmente un piano su misura per lo Stato libero, parallelamente al programma del loro partito gemello. Questo perché il modello di business dei cristiano-sociali si basa sull’ottenere quanto più possibile per la Baviera in un governo federale guidato dalla CDU. Per proseguire la lettura cliccare su: Die Welt (21.01.2025)
Bundestag e Bundesrat: che differenza passa? Ce lo spiega il quotidiano bavarese, con l’analisi delle attuali implicazioni e complicazioni che ne conseguono sugli equilibri politici in Germania.
21.01.2025
Il Bundesrat, l’ostacolo sottovalutato
Il candidato cancelliere dell’Unione Friedrich Merz promette un “cambiamento politico”. Tuttavia, gran parte di ciò che ha in mente necessita dell’approvazione degli Stati federali. Questo potrebbe essere difficile, indipendentemente dalla coalizione in cui governerà.
di Robert Rossmann
Berlino – Nei discorsi di Friedrich Merz non c’è parola che compaia più spesso di “cambiamento politico”. Il leader della CDU ritiene che, dopo una vittoria elettorale della CDU/CSU, debba esserci un cambiamento significativo nella politica tedesca. Ciò riguarderebbe l’economia, il mercato del lavoro, la politica migratoria, la sicurezza interna e anche alcuni settori della politica estera e di sicurezza. Per proseguire la lettura cliccare su: Süddteutsche Zeitung (21.01.2025)
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
La Cina non provocherà attivamente Trump 2.0, ma se Trump 2.0 continuerà a utilizzare guerre commerciali, guerre tecnologiche o altre strategie di contenimento per contrastare la Cina, la Cina si vendicherà sicuramente con contromisure più esperte e precise. Il risultato finale rimarrà lo stesso: la Cina diventerà più forte, scrive Wang Wen , preside esecutivo e professore del Chongyang Institute for Financial Studies (RDCY), Renmin University of China.
Il ritorno di Trump non è una cosa negativa per molti paesi, compresa la Cina. Agli occhi di molti netizen cinesi, Trump sta aiutando il loro Paese. Proprio per questo motivo è soprannominato “Chuan Jianguo” (“aiutare a costruire una Cina più forte” in mandarino).
Durante il suo precedente mandato, “Chuan Jianguo” ha dato almeno tre contributi alla Cina. Il primo era aiutare i cinesi a comprendere la natura crudele della società internazionale, in particolare la falsità della democrazia americana. Per molto tempo alcuni cinesi sono stati eccessivamente ossessionati dagli Stati Uniti. Lo considerano davvero un faro della civiltà umana. Anche il suo nome in cinese si traduce con “bel paese”. Trump ha infranto le illusioni di alcuni cinesi e ha mostrato loro un’America ipocrita, caotica, divisa e ingannevole, facendo così sì che sempre più persone amino la Cina come patrioti. Da questo punto di vista, Trump è il miglior maestro ideologico e politico per il popolo cinese.
Il secondo era aiutare la Cina a intraprendere un percorso più forte verso l’innovazione tecnologica indipendente. Infatti, da più di 20 anni, il governo cinese promuove l’innovazione indipendente nella scienza e nella tecnologia, ma i cinesi credono che scienza e tecnologia non abbiano confini e che qualsiasi prodotto scientifico o tecnologico possa essere acquistato sul mercato internazionale. È stato solo quando Meng Wanzhou è stata arrestata e Huawei è stata soppressa nel 2018 che l’industria tecnologica cinese ha veramente deciso di abbandonare ogni illusione e di intraprendere la strada dell’indipendenza tecnologica. Attualmente, la maggior parte dei prodotti high-tech in Cina hanno ottenuto la sostituzione a livello nazionale e i chip superiori a 7 nanometri possono ora essere prodotti in modo indipendente. Huawei nel 2024 è ancora più forte di quanto lo fosse nel 2018. Ancora più importante, nel 2024, le esportazioni cinesi di chip hanno raggiunto 159,5 miliardi di dollari USA, superando i 134,36 miliardi di dollari USA delle esportazioni di telefoni cellulari, con un aumento su base annua del 17,4% e fissando un nuovo massimo storico, quasi raddoppiando rispetto al 2018.
Il terzo era aiutare la Cina ad approfondire i suoi scambi con il mondo non occidentale. Negli ultimi otto anni, l’iniziativa “Belt and Road” proposta dalla Cina è diventata il concetto più popolare di cooperazione strategica nel mondo, e la Cina e la maggior parte dei paesi del “Sud del mondo” hanno raggiunto una crescita media annua del commercio bilaterale pari a più del 10%. L’importo totale del commercio estero della Cina nel 2024 è 1,44 volte quello del 2018. La percentuale del commercio con gli Stati Uniti nella mappa del commercio estero della Cina, tuttavia, sta diminuendo, da circa il 17% nel 2018 a circa l’11% nel 2024. La guerra commerciale di Trump con la Cina sta determinando l’accelerazione del layout commerciale globale della Cina. I cinesi sanno sempre più che il mondo è più grande degli Stati Uniti.
È evidente che la strategia di “Trump 1.0+Biden” per contenere la Cina per otto anni consecutivi ha creato una Cina più forte. Da questo punto di vista, la Cina ha un enorme vantaggio psicologico strategico nell’affrontare Trump 2.0.
Negli ultimi due mesi, i commenti dei media cinesi e i rapporti delle analisi dei think tank non hanno mostrato lo stesso livello di panico, ansia e confusione che si può vedere in Europa e Canada. Al contrario, la valutazione della Cina su Trump 2.0 è molto piatta.
La Cina non provocherà attivamente Trump 2.0, ma se Trump 2.0 continuerà a utilizzare guerre commerciali, guerre tecnologiche o altre strategie di contenimento per contrastare la Cina, la Cina si vendicherà sicuramente con contromisure più esperte e precise. Il risultato finale rimarrà lo stesso: la Cina diventerà più forte.
Nella prima settimana del 2025, i cinesi hanno visto un’America disordinata e indifesa. Il 7 gennaio è scoppiata una catastrofe naturale contemporaneamente in Cina e negli Stati Uniti. Un terremoto di magnitudo 6.8 ha colpito la contea di Dingri, a 4.300 metri sul livello del mare in Tibet, in Cina. Lo stesso giorno scoppiò un grande incendio a Los Angeles, California, USA.
In un solo giorno, il processo di salvataggio del Tibet dopo il terremoto è passato dall’emergenza al reinsediamento. L’efficiente e unitario processo di salvataggio cinese ha rapidamente reinsediato 50.000 vittime. Tuttavia, l’incendio a Los Angeles è durato più di 10 giorni, con perdite di gran lunga superiori a quelle degli attacchi dell’11 settembre, mentre i politici americani si incolpavano a vicenda.
Una governance locale e una gestione delle emergenze così inadeguate hanno fatto sì che il mondo vedesse la debolezza degli Stati Uniti. In effetti, le pacate emozioni del mondo non occidentale nei confronti di Trump 2.0 vengono oscurate dai timori in Europa e Canada. L’impatto internazionale di Trump 2.0 è chiaramente sovrastimato.
È molto probabile che la Danimarca perda la Groenlandia. L’Europa perderà il sostegno militare degli Stati Uniti. Il Canada potrebbe addirittura diventare il 51° st stato degli Stati Uniti. Questo neofascismo in stile Trump sta causando grande paura su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma non influirà sulla continuazione della cooperazione sulla costa occidentale del Pacifico.
Secondo molti cinesi, l’impatto globale di Trump 2.0 non supererà Trump 1.0. Se l’America di Trump 1.0 è come un bambino dispettoso che causa problemi in tutto il mondo, allora l’America di Trump 2.0 è più simile a un paziente anziano. Può influenzare solo coloro che gli sono stati vicini in passato, come gli alleati dell’America.
In effetti, i paesi non occidentali hanno aspettative psicologiche riguardo al ritorno di Trump e generalmente credono che Trump 2.0 diventerà più interno, concentrandosi sugli affari interni e manipolando i problemi all’interno del suo sistema di alleanze.
Per quanto riguarda il mondo non occidentale, Trump 2.0 non può porre fine al conflitto Russia-Ucraina in un giorno, né può risolvere rapidamente il conflitto israelo-palestinese, né può sopprimere la crescita commerciale della Cina con tariffe del 60%, né può frenare la continua crescita della Cina. salita.
Naturalmente, Trump 2.0 continuerà a ritirarsi dai trattati internazionali come l’Accordo di Parigi e forse anche dall’OMC, ma il risultato sarà solo la continua disintegrazione del sistema egemonico statunitense, che non renderà gli Stati Uniti più grandi né indebolirà la Cina.
Se il ritiro continua, Trump 2.0 metterà fine alla posizione degli Stati Uniti come egemone globale e li trasformerà in una potenza regionale che sostiene l’isolazionismo.
In effetti, non importa quanto forte sia l’impatto di Trump, comprese le guerre commerciali, le guerre tecnologiche e il ritiro dai trattati, la Cina è già preparata al peggio. La Cina ha sempre avuto la capacità di trasformare le cose brutte in buone. Entro il 2028, i cinesi saranno più fiduciosi nel dire “Grazie Trump”.
Sono stato ospite di OttolinaTV assieme a Andrea Lombardi e Roberto Vivaldelli. L’argomento, ovviamente, è stato l’insediamento di Trump e il suo discorso dirompente. A pochi minuti dall’evento, mi sono forse lasciato un po’ prendere dalla inusitata enfasi prospettica e conflittuale del suo intervento, trascurando un po’ così gli aspetti contraddittori, conflittuali e probabilmente velleitari di alcuni indirizzi. Una situazione comunque piena di incognite che potrebbe facilmente prendere direzioni contrarie alle intenzioni. La novità è la carica di rinnovamento che pervade la nuova amministrazione; segno di una vitalità presente in quel paese e assente nella parte orientale dell’Atlantico. Una rigenerazione o il sussulto di un paziente comunque condannato nella sua integrità? Una conversazione ricca, comunque, di argomenti_Giuseppe Germinario
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Domani è il grande giorno: l’inaugurazione che pensavamo non sarebbe mai arrivata e che forse non arriverà mai. Ci è sembrato in qualche modo obbligatorio scrivere alcune riflessioni su ciò che potrebbe significare, su dove il Paese e il mondo in generale potrebbero essere diretti, dati i venti di coda percepiti.
Per creare l’atmosfera appropriata, ecco la nuova copertina della rivista TIME sulla destra, confrontata con la precedente del 2017:
Un Tweeter scrive:
Guardate le due copertine del TIME Magazine. La prima del 2017. La seconda di oggi. Nel 2017, la narrazione era quella di un uomo che ignorava tutti i problemi e le questioni. Mani inattive. Nessuna preoccupazione. Ignoranza. Capelli scompigliati. Il maltempo che si abbatte sull’ufficio. Nel 2025, il messaggio è quasi opposto. Sta eliminando attivamente ogni residuo di Biden (ndr: i famosi occhiali da aviatore di Biden visti volare). Concentrato. In movimento. Espressione decisa e inclinazione della testa. In controllo. Il maltempo è fuori dall’ufficio, non dentro. Stessa persona. Stesso programma, anche se ancora più aggressivo. Perché pensate che abbiano una prospettiva diversa?
Ecco alcuni degli ordini esecutivi di Trump previsti per il primo giorno:
ALCUNI ORDINI ESECUTIVI DI TRUMP, GIORNO 1:
– Iniziare i raid di deportazione
– Dichiara l’emergenza nazionale al confine meridionale
– Perdono il 6 gennaio
– Epurazione dello Stato profondo
– Porre fine alle direttive della DEI di Biden
– Rimuovere i limiti alle trivellazioni offshore “Vi girerà la testa quando vedrete cosa succederà”, ha detto Trump. Fonte
Dopo aver partecipato a una Zoom call con Steve Bannon, Alex Krainer ha confermato nel suo ultimo pezzo che la squadra di Trump intende “passare all’offensiva fin dal primo giorno”:
Ieri sera ho avuto il privilegio di partecipare a una Zoom call con Steve Bannon, ex banchiere d’investimento e dirigente dei media, conduttore del programma “War Room” e capo stratega politico durante i primi sette mesi del primo mandato di Donald Trump. Gran parte di ciò che Bannon ha presentato non è stato sorprendente, ma ciò che è sembrato significativo è stata la conferma che Trump e la sua squadra passeranno all’offensiva fin dal primo giorno di mandato. “I giorni del tuono iniziano lunedì”, ha detto, e il mondo non sarà più lo stesso. Bannon non parlava di Trump all’offensiva contro i cinesi, gli iraniani o i russi. Trump e il suo team si stanno preparando ad affrontare i “loro”…
4 giorni fa – 286 mi piace – 198 commenti – Alex Krainer
“I giorni del tuono iniziano lunedì” ha detto, e il mondo non sarà più lo stesso. Bannon non stava parlando di Trump all’attacco contro i cinesi, gli iraniani o i russi. Trump e il suo team si stanno preparando ad affrontare i “loro”.
Certo, Bannon ha dimostrato di essere un hype-man piuttosto scialacquatore, la cui lingua spesso firma assegni che non può realisticamente incassare, come nel caso delle molte promesse millantate di vittoria certa o di “offese senza freni” contro lo “Stato profondo”.
Detto questo, è chiaro che Trump ha già vinto i primi round contro la cabala che aveva promesso senza mezzi termini di disseminare il suo percorso inaugurale di una serie di pericolosi ostacoli: dalla sentenza di condanna, ormai archiviata, che minacciava di sbatterlo dietro le sbarre alla vigilia del mandato, alle minacce dei democratici di non certificare i voti elettorali, anch’esse andate a vuoto. Trump sembra addirittura anticipare i tentativi finali contro di lui, ordinando di spostare all’ultimo minuto la cerimonia di giuramento al chiuso – apparentemente a causa del previsto “freddo pungente”, ma forse più plausibilmente per motivi di sicurezza, per evitare di dare alla cabala un altro colpo aperto contro di lui.
Il fatto è che l’imminente insediamento di Trump segna il punto di svolta di una nuova era globale. Ne abbiamo parlato innumerevoli volte: Il mondo è sull’orlo di grandi cambiamenti. Il motivo? L’arco ideologico dell’epoca precedente ha fatto il suo corso e ha raggiunto i suoi limiti naturali, arenandosi su una secca come una nave in panne in un mare turbolento.
Ogni nazione sotto il controllo dell’Occidente ha raggiunto la “velocità di fuga” nel suo risveglio alla storia segreta dell’ordine mondiale fin dai tempi della supremazia coloniale dell’Impero britannico. Il “segreto” di cui parlo è un segreto sia non detto che codificato, in quest’ultima versione si possono consultare iniziative come il Memorandum 200 di Kissinger per farsi un’idea.
La cecità dell’Occidente di fronte alla propria crudele ipocrisia è stata evidenziata questa settimana dall’egregia dichiarazione di Marco Rubio sull’ascesa della Cina:
Per riassumere: Rubio loda compiaciuto l’Occidente per aver “accolto” la Cina nell’ovile globale, riferendosi all’adesione all’OMC architettata dagli Stati Uniti con l’unico scopo di schiavizzare la Cina per la sua manodopera a basso costo, al fine di trarre profitto per le società occidentali, a spese sia dei cinesi che dei lavoratori americani sottopagati.
Rubio continua a rimproverare alla Cina di essere “ingrata” per questa generosa “opportunità” così altruisticamente concessa dall’alto dagli Stati Uniti e dai suoi proprietari finanziatori.
Ma la sua dichiarazione successiva lo trascina pienamente in un territorio deplorevole.
Afferma che dopo aver ricevuto un dono magnanimo come l’opportunità di diventare una colonia schiava a basso costo per l’Occidente, la Cina ha avuto l’incommensurabile faccia tosta di “mentire, imbrogliare e rubare” la sua strada verso lo status di “superpotenza” globale. Aspettate, questo suona familiare a qualcun altro? Non c’è forse un’altra nazione che una volta ha machiavellicamente reingegnerizzato gli eventi globali, attraverso ogni tipo di stratagemma illecito fino a varie false bandiere, per posizionarsi essenzialmente come egemone globale, arbitrando ingiustamente il suo schema Ponzi di valuta di riserva artificialmente imposta per arricchirsi a spese dell’impoverimento del mondo intero? Ricordiamo che gli Stati Uniti che inondano il mondo intero con la loro spazzatura fiat è “capitalismo del libero mercato”, ma la Cina che inonda il mondo con beni e prodotti fabbricati in modo equo è… come lo chiamava quella vecchia strega dagli occhi acquosi? sovraccapacità.
Questo tipo di ipocrisia imperdonabilmente offensiva e dispettosa è un perno virtuale dell’intera concezione dell’Occidente del suo rapporto con il resto del mondo: loro, gli occidentali, semplicemente non conoscono altro modo di interagire con i loro “inferiori”. Si è arrivati a un punto che l’unica spiegazione può essere quella patologica: dopo secoli di dominio, l’Occidente deve semplicemente considerare il resto del mondo come razzialmente inferiore e quindi non meritevole di alcuna considerazione o rispetto al di là della semplice degna formalità.
Un esempio di questa settimana:
Si noti che la “lista della spesa” di Trump di nuovi Paesi da acquisire è considerata del tutto normale. Ma i modesti tentativi di Cina e Russia di proteggere i loro interessi strategici sono una terribile “brama di potere”. Quando finirà questo tipo di ipocrisia intellettualmente disonesta e moralmente fallimentare?
Rubio, tra l’altro, ha fatto un altro commento estremamente profetico che sottolinea la reale ragione che sta alla base della paura profonda che spinge lui e i suoi simili a scagliarsi contro la Cina – ascoltate attentamente:
Esatto, tra dieci anni la Cina dominerà essenzialmente il mondo, senza contare l’imminente riunificazione con Taiwan, che sarà solo la formalità finale.
Ovunque si guardi, questo imminente terremoto globale è al centro dell’attenzione. L’ultima edizione dell’Economist vede la fine di un secolo di impulso della politica estera statunitense e il canto delle sirene è sempre lo stesso: il sacro “ordine del dopoguerra” che ha definito il potere e l’eccezionalismo americano sta per finire, per inaugurare qualcosa di più caotico e imprevedibile:
Il pezzo di Klein cattura lo zeitgeist in modo più universale, disegnando correttamente la congiuntura come qualcosa di molto più grande di Trump – con l’outsider che si schianta al cancello che è solo il “cavaliere di mezzanotte” venuto a risvegliarci e a mettere il timbro finale sul cambiamento tettonico.
Per evidenziare questo aspetto, Klein cita una moltitudine di cambiamenti in atto che ci stanno prendendo d’assalto:
Donald Trump sta tornando, l’intelligenza artificiale sta maturando, il pianeta si sta riscaldando e il tasso di fertilità globale sta crollando.
Guardare ognuna di queste storie in modo isolato significa non capire cosa rappresentano collettivamente: l’instabile e imprevedibile emergere di un mondo diverso.Molte cose che abbiamo dato per scontate negli ultimi 50 anni – dal clima ai tassi di natalità alle istituzioni politiche – si stanno rompendo; movimenti e tecnologie che cercano di sconvolgere i prossimi 50 anni si stanno facendo strada.
In effetti, quello che sta suggerendo è il doloroso periodo di nascita di un intero nuovo cambiamento di paradigma, e le uniche persone terrorizzate – come quelle della famiglia Klein – sono quelle che hanno tratto beneficio dalle gravi ingiustizie e iniquità dell’era precedente.
Ma dopo aver abbozzato alcuni primi utili aperçus, Klein ricade nel baratro della mediocrità da cui è scaturito. Inveisce contro Trump e Orban che ci stanno portando su una sorta di strada pericolosa, ignorando però in modo insensato la premessa fondamentale che questi uomini sono stati eletti da plebisciti di maggioranze potenti. È una tattica comune e spregevole dei portavoce dei regimi quella di nascondere “opportunamente” sotto il tappeto il ruolo di quella stessa cosa che, secondo loro, questi “uomini spaventosi” minacciano: la democrazia.
Nel suo precedente articolo, Alex Krainer ha colto la portata sistemica di tutto ciò rivelando che nella telefonata Zoom con Bannon era presente anche un membro dell’AfD tedesco:
Uno dei partecipanti alla telefonata di ieri era anche Christine Anderson, membro del partito tedesco AfD e del Parlamento europeo. Ha riferito che le autorità in Germania, come in Francia, nel Regno Unito e in altre nazioni europee, sono “impazzite” e che l’elezione di Trump le ha spinte oltre il limite dell’autoritarismo palese che non si preoccupano nemmeno più di nascondere.
Di conseguenza, si parla apertamente di annullare le elezioni del 23 febbraio in Germania e di una censura più aggressiva dei social media. La recente intervista di Elon Musk al leader dell’AfD Alice Weidel non ha fatto altro che accrescere l’isteria e ora le autorità tedesche vogliono perseguire Musk in quanto hanno interpretato la sua intervista alla Weidel come una donazione illegale per la campagna elettorale.
Ciò evidenzia ancora una volta la natura intersecante del movimento in ascesa, dato che Musk ha di recente messo la sua rete sostanziale dietro l’energizzazione di movimenti di destra stranieri come l’AfD. Per non parlare del fatto che la repressione di questi movimenti da parte del timoroso establishment ha obbligato capitoli altrimenti non collegati tra loro a riunirsi e a formare una sorta di rete intereuropea di leader e fazioni con le spalle al muro che non hanno altra scelta se non quella di associarsi e lavorare insieme.
Ma la ragione principale responsabile di tutti questi spostamenti si riduce a un calcolo molto semplice: I cittadini occidentali non riconoscono più i loro Paesi. Dall’inflazione alle stelle, alle ondate incontrollate di migranti che hanno rimodellato all’ingrosso la demografia di base, alle economie distrutte, alle divisioni sociali causate da livelli storici di ingegneria sociale artificiale, al terrore biomedico e alle infinite false bandiere e psyops, l’uomo occidentale è stato tenuto prigioniero e terrorizzato dai suoi malvagi governanti negli ultimi decenni, proprio quando il bottino del sacro boom e della fioritura del “dopoguerra” aveva iniziato a raggiungere la data di scadenza.
Sempre più l’uomo occidentale guarda a Oriente e ne è incuriosito. Non c’è esempio migliore della “Grande crisi dei rifugiati di TikTok del 2025” dei giorni scorsi. Di conseguenza, la Cina avrebbe “aperto” alcune delle sue più grandi piattaforme di social media, come RedNote e Douyin, ai numeri di telefono occidentali, consentendo agli occidentali in fuga di sperimentare la cultura cinese in prima persona, senza le sporche adulterazioni dello zio truffatore. I risultati sono stati a dir poco sorprendenti. A poco a poco ci si è resi conto che il cosiddetto “Occidente libero” è in realtà una prigione, e che sono l’Oriente e il Sud globale a godere regolarmente di maggiori libertà e di una minore repressione generale nella sfera sociale.
Forse non c’è momento più significativo del declino totale degli ultimi tempi di questa macabra cerimonia di premiazione di una settimana fa:
Con l’aspetto di un pornografo di terz’ordine, Soros accetta simbolicamente uno dei premi più prestigiosi del Paese per conto di suo padre, la figura grottesca probabilmente più determinante per il declino e la distruzione dell’Occidente in questione. La premiazione di questo “atto” da parte di un Biden assente e senile sembra in qualche modo appropriata come atto conclusivo e ultimo sipario di questo capitolo terminale.
Molto di quanto sopra potrebbe sembrare superfluo, visti i temi comuni già affrontati in precedenza. Ma data la natura storica dell’insediamento di domani, mi è sembrato in qualche modo necessario scrivere almeno alcune parole di commiato. Sebbene Trump stesso non sia il principale o il più importante degli sconvolgimenti globali in arrivo, egli è certamente l’araldo o l’agente del cambiamento che indica questa nuova alba. Lo slancio globale è troppo grande perché Trump da solo possa essere l’attore centrale; piuttosto, negli anni a seguire, i punti portanti inizieranno a cedere in modo domino.
La guerra in Ucraina è certamente uno dei momenti più importanti per riscrivere il copione dell’ordine globale. E a seconda di come Trump giocherà le sue carte, potrebbe essere un agente di cambiamento positivo per inaugurare un mondo più equo e giusto, oppure uno che rappresenta un barbaro ritorno al vecchio schema del randello e del pungolo, usando la coercizione, le minacce e il terrorismo economico per cercare di piegare il mondo ai capricci della sua suprema vanità. Ma se dovesse imboccare questa strada, si troverebbe presto tristemente in disaccordo con un mondo non più vile e impotente di fronte alle tattiche prepotenti dell’Impero, un mondo che ha trascorso anni a costruire reti di sostegno tra i suoi membri più oppressi per promuovere la resilienza di fronte all’aggressione degli Stati Uniti, un mondo non più deferente, ma piuttosto sfidante di fronte alle tattiche imperiali ormai logore e prevedibili.
In questa grande tempesta torrenziale di cambiamento, Trump può scegliere se nuotare controcorrente o con la corrente verso certezze storiche ormai preordinate; la sua scelta determinerà se gli Stati Uniti emergeranno di nuovo come nazione leader o saranno spazzati via dalle maree erranti della storia.
Un ringraziamento speciale a voi abbonati a pagamento che state leggendo questo articolo Premium a pagamento-il nucleo di membri che contribuiscono a mantenere questo blog in salute e in funzionamento costante.
Il barattolo delle mance rimane un anacronismo, un arcaico e spudorato modo di fare doppietta, per coloro che non possono fare a meno di elargire ai loro umili autori preferiti una seconda avida porzione di generosità.