ARCANA IMPERII, di Pierluigi Fagan

ARCANA IMPERII. (Il post parte da Ustica ma non è un post su Ustica) Giuliano Amato, figura che condensa in sé il “senso” delle istituzioni dello Stato tanto da aver avuto ed ancora avere incarichi istituzionali di grande importanza, nonché esser stato più volte “l’uomo della disperazione” ovvero il possibile solutore di stalli politici nelle elezioni delle cariche istituzionali, tra cui varie elezioni per la Presidenza della Repubblica, ha fatto outing. Dopo quarant’anni dalla tragedia di Ustica, ci dice quello che già molti sapevano senza dirlo o poterlo dire o dicevano non creduti: l’aereo fu colpito per sbaglio da un missile francese in cerca dell’aereo di Gheddafi. Convenienze dei rapporti Italia-Francia e contesto NATO, hanno seppellito il fatto dentro ingrovigliate matasse di false verità, il tipico bosco in cui la diritta via va smarrita. Qui però non ci interessa il fatto in sé, ci interessa un altro aspetto della faccenda.
L’altro giorno leggevo un articolo di Domenico Quirico sulla Stampa del gruppo GEDI, in cui il giornalista che vanta una lunga e profonda conoscenza della politica internazionale, diceva pane al pane e vino al vino riguardo il Gabon o meglio riguardo la presenza francese in quell’area geografica che si definisce post-coloniale come se il colonialismo fosse un processo terminato. In realtà si è solo trasformato. I francesi, ad esempio, controllano l’essenziale di ciò che succede da quella parti non apparendo direttamente ma tramite dei pupazzi locali, ora resi giustificabili da men che formali votazioni che simulano una “democrazia”. Per chi non lo conosce Quirico non è uno strano è solo un giornalista “vecchia scuola”, quando i giornalisti facevano il loro lavoro di intermediare le notizie con i contesti alle persone che i contesti non li conoscono.
Su Repubblica (sempre gruppo GEDI), lo stesso giorno, una giornalista che ho poi verificato sul profilo LinkedIn si presenta come “editor” specializzata in comunicazione digitale (quindi dalle competenze quantomeno incerte visto l’argomento) faceva un ritratto pop della dinastia al potere in Gabon, mettendoci dentro di tutto incluso un disco registrato da un rampollo della famiglia al potere con James Brown. Il profilo “colorato” accompagnava la notizia più seriosa del colpo di stato militare riconducendolo ad una “epidemia” di sovversione africana innescata dai russi. I cinesi portano i virus, i russi colpi di stato. Riguardo il testo di Quirico mi tornava in mente quando i 5Stelle in modo naif, ebbero l’ardire di sollevare la questione del colonialismo travestito dei francesi in Africa, venendo travolti dallo sdegno per l’impudenza frutto di impreparazione ed eccesso ideologico.
Il fatto è che, semplicemente, certe cose non si possono dire.
Dal segreto di Stato alla pubblica esecuzione del portatore di punti di vista alieno che oggi ha anche le reprimende addirittura del the Guardian britannico sulla questione della guerra in Ucraina, (l’Italia è piena di filorussi!) certe cose non si possono dire. Perché non si possono dire? Semplicemente perché le opinioni pubbliche potrebbero esser traviate da queste supposte verità o alternative verità. Le opinioni pubbliche sono bambine, non hanno metro di giudizio autonomo, debbono esercitarlo solo entro i parametri dati. Sia sottoponendo loro certe notizie e non altre, certe opinioni e non altre, presentando i fatti e accluse le opinioni giuste, salvo qualche rara eccezione come nel caso di Quirico. L’eccezione conferma la regola, per cui vedi che siamo effettivamente “liberali”? Mica come in Russia!
Ma che differenza c’è tra queste forme repressive delle opinioni e l’Index Librorum Prohibitorum della Santa Inquisizione medioevale operante nella Chiesa Cattolica Romana dal 1560 (e fino al 1966)? Nessuna, le “democrazie” occidentali liberali e le teocrazie medioevali curano il flusso delle opinioni allo stesso modo, certe cose non si possono dire. Va notato, che l’Index, così come l’Inquisizione, sono istituzioni che si fa fatica a definire medioevali. In effetti, compaiono in quel strano secolo, il XVI (Inquisizione romana, Paolo III, 1542), che si può dire di transizione, non più del tutto medioevale, non ancora del tutto moderno.
Ne consegue che questi irrigidimenti repressivi, com’è psico-sociologicamente ovvio, compaiono quando c’è il rischio che qualcuno cominci a pensare in maniera divergente. Gli irrigidimenti sono sempre sintomo di fragilità, dove c’è il rischio che si formi una diversa immagine di mondo, dove le cose temi ti sfuggano di mano (perché in effetti ti stanno fuggendo di mano come poi scopri sfogliando il libro della Storia), dove non controlli più tutto, dove perdi credibilità. Alzano la voce le persone deboli, insicure. Tutta la fenomenologia dell’illiberalismo cognitivo degli ultimi decenni che procede a gradi sempre maggiori di isteria, denota la progressiva fragilità dell’immagine di mondo dominante perché è sempre più fragile il sistema ordinativo dominante.
Tornando alla espressione di Tacito (Historiae, Annales I e II secolo d.C.) tanto cara a Bobbio, il Potere fa cose necessarie, ma che non si debbono sapere altrimenti i sottomessi a quel Potere ne verrebbero turbati. Visto dalla parte dei “normali” questo fatto accende una fantasia morbosa ed inquieta, ci sono forse “trame”? Complotti? Cospirazioni? Ci sono i “non-ce-lo-dicono”? Fatti scabrosi e peccaminosi? Immorali? Anti-etici? Visto dalla parte dei funzionari del Potere che i normali scambiano per potenti (in effetti lo sono ma solo perché sono funzionari di un sistema, è il sistema che è potente ma il sistema è immateriale mentre i normali pensano sia un tavolo con cinque incappucciati con capacità sovraumane e diaboliche), la gente normale non sa che certe cose sono normali, necessarie, comuni, ovvie, “così-fan-tutti”, è semplicemente un piano della realtà a cui i normali non hanno e non debbono avere accesso, non solo nella cronaca, nella Storia, da secoli, millenni.
Studiosi di relazioni internazionale di scuola realista (Machiavelli, Hobbes, Carr etc.) ed in genere geopolitici se sono studiosi e non pupazzi-video, sanno perfettamente tutti come stanno le cose in Ucraina, possono però poi divergere sul come giudicano queste cose, come le giudicano dal punto di vista pragmatico, non ideologico o etico-morale. Applicare l’etica-morale alla Politica, viepiù quella internazionale, è come pensare che i bambini nascono sotto i cavoli. Dispiace dire ad un bambino o bambina come stanno davvero le cose in camera da letto, si capisce. Certo, dà da pensare che si faccia lo stesso nelle c.d. “democrazie” e per giunta “liberali” (dove cioè l’atteggiamento dovrebbe essere di manica larga, concessivo, la preistoria dei liberali è nei libertini, proprio nel XVI secolo dell’Index e della Santa Inquisizione, le due cose erano collegate “dialetticamente”), con le opinioni pubbliche.
Intendiamoci, l’analista realista non si meraviglia affatto di questo, conosce Tacito, in fondo non si meraviglia altrettanto realisticamente vedere le “prese-in-giro-della-verità” che animano il pubblico dibattito, si rimane solo dispiaciuti nel vedere quanti simili e concittadini siano ignari della realtà, quanto si balocchino coi sogni, coi “valori”, quanta servitù volontaria ci sia dopo secoli e secoli di presunto progresso e teorica emancipazione culturale supposta. Lì dove la parola “supposta” ha due significati in cui il secondo denota la lunga fase anale (o forse orale-anale) delle opinioni pubbliche infantili che si reputano adulte ma reclamano ancore il conforto delle favole.
Così, volevo solo segnalare il punto da aggiungere a lungo elenco di imputazioni che ormai si accumulano al dossier “perché continuiamo a chiamare “democrazia” una cosa che non lo è in maniera palese”? A volte, qui, alcuni si domandano perché io dico e scrivo certe cose, sembra quai mi diverta a torturare le emozioni cognitive di chi legge con queste cose ansiogene, crudeli, scabrose. Il fatto è che ogni scrittore, di narrativa, di poesia o teatro o di saggistica, in fondo scrive pensando a qualcuno anche se poi verrà letto anche da altri. Non sempre, ma assai spesso, il mio lettore immaginario è un collega, uno studioso, un intellettuale.
Idealmente, vorrei invitare i colleghi a pensare una buona volta a quanto è improprio si lasci passare questo utilizzo improprio del termine “democrazia”. Le parole sono importanti, è dalla loro precisazione e correzione di utilizzo che chi lavora con le parole ed i concetti può aiutare l’innesco di un cambiamento sociale. Siamo chierici, abbiamo i nostri Libri, lavoriamo parole, è quello il campo in cui si estrinseca la funzione intellettuale. Poiché sono radicalmente democratico, dico ciò in pubblico anche se non sempre mi rivolgo al “pubblico” in senso ampio.
Noi non siamo, né siamo mai stati, democratici. Già dirlo aiuterebbe tutti a capire cosa c’è da fare nel comune interesse. Solo un grado almeno minimo di democrazia permetterebbe poi di rendere attuale e significativa la discussione su come ci piacerebbe la nostra società fosse, se conservatrice, progressista, socialista, sovranista, liberale (autentica), tradizionalista, così o cosà.
Fare quella discussione senza democrazia minima concreta, non ha alcun senso se non avvalorare una cosa che non corrisponde alla sua parola. Noi non abbiamo un “giuramento di Ippocrate”, ma far passare questi slittamenti tra parole e cose è il nostro peccato mortale, è il nostro tradimento più grave.

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Un colpo di stato singolare, di Bernard Lugan

Quello appena avvenuto in Gabon è un colpo di Stato singolare, in cui il cuore del sistema ha spodestato in modo non violento il suo leader, un fantoccio diventato un fastidio per la sua stessa sopravvivenza… Nulla in comune con quanto accaduto in Mali, Burkina Faso o Niger. Qui non c’è jihadismo, né la “mano nascosta” della Russia, né il rifiuto della Francia, ma semplicemente una classica rivoluzione di palazzo. In Niger, la giunta è finanziariamente paralizzata perché non riesce a pagare gli stipendi (vedi pagina 17 di questo numero). Per salvarla, l’ex presidente Issoufou (che ha ispirato il colpo di Stato?) sta usando tutte le sue conoscenze per trovare denaro alla giunta. Una forte delegazione, tra cui il suo stesso figlio, è volata in Guinea Equatoriale per chiedere aiuto nel garantire gli stipendi e i salari di agosto in cambio della concessione di permessi per lo sfruttamento delle risorse naturali del Niger. Anche la situazione della sicurezza del Niger è catastrofica. Senza il supporto aereo, logistico e corazzato francese, le FAN (Forze Armate del Niger) hanno progressivamente abbandonato il terreno ai terroristi, che hanno inflitto loro pesanti perdite (17 morti il 15 agosto e 20 pochi giorni dopo). Temendo un contagio, Nigeria, Benin e Costa d’Avorio hanno adottato una posizione anti-giunta. La Nigeria ha interrotto la fornitura di elettricità al Niger. L’Algeria, da parte sua, è preoccupata e punta sui movimenti tuareg che potrebbero consentirle di creare un cuscinetto con lo Stato Islamico. All’interno della giunta sono sorti dissensi tra il generale Salifou Modi, che sarebbe filo-russo, il generale Barmou, che è l’uomo degli americani – decisi a mantenere la loro base ad Agadès – e il generale Tchiani, “vicino” all’ex presidente Issoufou, il cui ruolo nel golpe sta diventando sempre più chiaro. Inoltre, il leader dei KelAïr Touareg Ghissa Ag Boula, leader storico delle precedenti guerre Touareg, ha lanciato un appello alla rivolta contro la giunta.

I possibili scenari sono ora quattro:

1) Il movimento si esaurisce e muore.

2) Un attacco all’ambasciata o la dispersione di una folla incontrollata sulla BAP (base aerea prevista) francese sarebbe uno scenario simile a quello di Abidjan nel 2005, costringendo le forze francesi a intervenire.

3) Un colpo di Stato all’interno di un colpo di Stato.

4) Un intervento militare dell’Ecowas. Per comprendere i retroscena della questione nigerina, si rimanda al mio libro “Histoire du Sahel des origines à nos jours”.

GABON: UN COLPO DI STATO “FAMILIARE”? Ciò che è appena accaduto in Gabon non ha nulla in comune con quanto accaduto in Mali, Burkina Faso o Niger. Qui non c’è jihadismo, né “mano nascosta” della Russia, né rifiuto della Francia, ma semplicemente una classica rivoluzione di palazzo volta a salvare l’essenziale del regime. Un francofilo, il generale Brice Oligui Nguema, comandante in capo della Guardia presidenziale, ha rovesciato un presidente al quale era molto legato e al quale aveva giurato “fedeltà”[1]. Ora alla guida dello Stato attraverso il CTRI (Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni), il generale Brice Oligui Nguema è Fang per parte di padre, come dimostra il cognome Nguema, e Teke per parte di madre. I Teke costituiscono il gruppo etnico maggioritario dell’Haut-Ogoué, la cui capitale è Franceville. Ali Bongo è egli stesso Teke. Da parte di madre, il generale Brice Oligui Nguema, cresciuto nell’Haut-Ogoué, è cugino di primo grado di Ali Bongo, che ha appena rovesciato. È essenziale rendersi conto che il colpo di Stato appena avvenuto è il risultato della difficile questione della successione di Ali Bongo. Di fronte a questo problema, i caciques dell’Haut-Ogoué, che costituiscono lo Stato profondo, si sono trovati di fronte a una scelta:

1) lasciare che Ali Bongo, molto indebolito dall’ictus che l’ha colpito nel 2018, svolgesse un terzo mandato presidenziale grazie a elezioni truccate. Un mandato marcio di affari e guerre tra clan che avrebbe finito per favorire l’opposizione. Questa opzione a breve termine, che era solo una tregua, non risolveva il problema alla radice, ovvero che l’opposizione avrebbe probabilmente vinto alla fine, spazzando via il sistema e i suoi beneficiari.

2) Tagliare il nodo gordiano per salvare il regime. Le discussioni sono state vivaci e i clan si sono scontrati. Ali Bongo ha difeso l’opzione di un terzo e ultimo mandato, che non avrebbe portato a termine, per consegnare il potere al figlio Valentin Noureddin Bongo. Alla fine, i sostenitori dell’opzione 1 hanno prevalso. Tuttavia, al momento dello spoglio dei voti per le elezioni presidenziali, fu chiaro che la candidatura di Ali Bongo era stata respinta a larga maggioranza. Da quel momento in poi, con le principali tendenze conosciute per strada e l’opposizione che aveva annunciato la sua vittoria, è apparso chiaro che era impossibile far credere che il Presidente avesse ottenuto la maggioranza dei voti. Durante le 48 ore in cui il Paese ha atteso i risultati, le discussioni si sono accese nel palazzo presidenziale. Il 30 agosto, per uno scherzo del destino, la Presidenza ha annunciato che Ali Bongo era stato eletto con il 64% dei voti. Pochi minuti dopo, giudicando la situazione insostenibile e tenendo conto dello stato di salute di Ali Bongo e delle “irregolarità” nelle elezioni presidenziali, il generale Brice Oligui Nguema ha preso il potere dal palazzo presidenziale. Tuttavia, per evitare di apparire troppo apertamente come il successore “consensuale” di Ali Bongo, ha dovuto mostrare il suo sostegno al popolo “epurando” il sistema dai suoi membri più cospicui. Sono state individuate alcune vittime dell’espiazione, tra cui Sylvia Nedjma Bongo Odimba, ex moglie di Ali Bongo, e suo figlio Valentin Nourddin Bongo. Una situazione che ricorda quella che si verificò in Tunisia nel 1987, quando il generale Ben Ali, sostenuto dalla perizia di sette medici che attestarono la sua incapacità mentale, depose Habib Bourguiba, la cui permanenza al potere rappresentava un rischio per lo Stato profondo.

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La Russia al contrario Con Max Bonelli, Flavio Basari, Luca Barbieri

Vari aspetti della vita quotidiana in Russia ad oltre 18 mesi dall’inizio del conflitto con la NATO. Un popolo che ha riscoperto tra le proprie virtù una dinamicità ed una flessibilità che lo allontanano sempre più dalla tragedia degli anni ’90. La guerra riesce a far emergere, nella sua condizione estrema, il meglio e il peggio dall’anima di un paese. In questo l’Ucraina e la Russia viaggiano sempre più agli antipodi. La Russia sta vivendo una fase di rinnovamento della società e, soprattutto, della sua classe dirigente destinata ad imprimere per decenni un nuovo corso con il quale un Occidente, una Europa decadente dovranno avere a che fare. Putin, Il Governo sanno di dover reggere un confronto aspro con un avversario disposto a tutto, screditato ma con molte armi a disposizione; sanno che non è sufficiente il credito acquisito con la resurrezione dall’umiliazione di trenta anni fa; devono poter contare sul sostegno crescente degli strati più popolari e dinamici della società e a questi stanno rivolgendo la principale attenzione. Una Russia, appunto, “al contrario” della narrazione che ci stanno propinando e della quale sembra essere ostaggio lo stesso narratore. Ancora zeppa di problemi, ma ricca di aspettative. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3dowqa-la-russia-al-contrario-con-max-bonelli-flavio-basari-luca-barbieri.html

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L’India, un viaggiatore BRICS riluttante, di Bhadrakumar

L’India, un viaggiatore BRICS riluttante

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Secondo M.K. Bhadrakumar, i BRICS si stanno trasformando nella comunità più rappresentativa del mondo, con un numero crescente di membri che interagiscono evitando le pressioni occidentali.

India’s Prime Minister Narendra Modi at a BRICS meeting in 2017. (Kremlin.ru, Wikimedia Commons, CC BY 4.0)

By  M.K. Bhadrakumar
Indian Punchline

L’India è diventata per un breve periodo un faro di speranza per i media occidentali in vista del vertice BRICS di Johannesburg – un potenziale dissidente che potrebbe far deragliare l’accelerazione del gruppo verso un processo di “de-dollarizzazione”.

La Reuters ha diffuso la voce che il Primo Ministro Narendra Modi potrebbe non partecipare di persona al vertice, il che ovviamente è stato un caso eccessivo di wishful thinking, ma ha richiamato l’attenzione su quale gioco geopolitico ad alta posta sia diventato il BRICS.

Una tale paranoia non ha precedenti. Se fino all’anno scorso il gioco occidentale consisteva nel prendere in giro i BRICS come un club insignificante, il pendolo è passato all’estremo opposto. Le ragioni non sono difficili da trovare.

Al livello più ovvio, il mondo occidentale è molto sensibile al fatto che il massiccio sforzo compiuto negli ultimi 18 mesi per armare le sanzioni contro la Russia non solo ha fallito, ma si è rivelato un boomerang. E questo in un momento in cui la paura morbosa degli Stati Uniti di essere superati dalla Cina ha raggiunto il suo apice, seppellendo l’egemonia globale dell’Occidente fin dalle “scoperte geografiche” del XV secolo.

Negli ultimi anni si è assistito a un costante rafforzamento del partenariato Russia-Cina, che ha raggiunto un carattere “no limits”, contrariamente al calcolo occidentale secondo cui le contraddizioni storiche tra i due giganti vicini escludevano virtualmente tale possibilità. In realtà, il partenariato Russia-Cina si sta configurando come qualcosa di più grande di un’alleanza formale, nella sua tolleranza senza soluzione di continuità del perseguimento ottimale degli interessi nazionali di ciascun protagonista, sostenendo al contempo gli interessi fondamentali dell’altro.

 

US Crosshairs

China’s President Xi Jinping with Russian President Vladimir Putin in Moscow in March. (Sergei Karpukhin, TASS)

Pertanto, qualsiasi formato in cui Russia e Cina svolgono un ruolo di primo piano, come i BRICS, è destinato a finire nel mirino degli Stati Uniti. È così semplice. Il New York Times ha riferito che l’espansione dei BRICS è considerata “una vittoria significativa per i due principali membri del gruppo, che aumenta il peso politico della Cina e contribuisce a ridurre l’isolamento della Russia”.

L’articolo trae conforto dall’eterogeneità del gruppo e dalla mancanza di una chiara linea politica, “tranne che per il desiderio di cambiare l’attuale sistema finanziario e gestionale globale, rendendolo più aperto, più diversificato e meno restrittivo – e meno soggetto alla politica americana e al potere del dollaro”.

Questo [desiderio di cambiare l’attuale sistema finanziario e gestionale globale] è il punto centrale. Gli analisti indiani non colgono l’essenza del problema.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha rivelato ai media che, a porte chiuse, il vertice di Johannesburg ha avuto “una discussione piuttosto vivace” [leggi opinioni divergenti] ma ha raggiunto un consenso sui “criteri e le procedure” dell’espansione dei BRICS, che ha delineato come segue:

Il peso, il rilievo e l’importanza dei candidati e la loro posizione internazionale sono stati i fattori principali per noi [membri dei BRICS]. È nostra opinione comune che dobbiamo reclutare nei nostri ranghi Paesi con una mentalità simile, che credono in un ordine mondiale multipolare e nella necessità di maggiore democrazia e giustizia nelle relazioni internazionali. Abbiamo bisogno di coloro che sostengono un ruolo maggiore per il Sud globale nella governance mondiale. I sei Paesi la cui adesione è stata annunciata oggi soddisfano pienamente questi criteri“.

From left, Brazil’s President Lula da Silva, China’s President Xi Jinping, South Africa’s President Cyril Ramaphosa, India’s Modi and Russia’s Lavrov at the summit in Johannesburg. (Prime Minister’s Office – Press Information Bureau, GODL-India, Wikimedia Commons)

Più tardi, dopo il ritorno a Mosca da Johannesburg, Lavrov ha dichiarato alla televisione di Stato russa due cose importanti:

“Noi [BRICS] non vogliamo invadere gli interessi di nessuno. Semplicemente non vogliamo che nessuno ostacoli lo sviluppo dei nostri progetti reciprocamente vantaggiosi che non sono rivolti contro nessuno”. I politici e i giornalisti occidentali “tendono ad agitare la lingua, mentre noi usiamo la testa e ci impegniamo in questioni concrete”.
Non è necessario che i BRICS diventino un’alternativa al G20. Detto questo, “la divisione formale del Gruppo G20 in G7+ e BRICS+ sta assumendo una forma pratica”.
A meno che non si sia miopi, il senso di direzione dei BRICS è sotto gli occhi di tutti. I mugugni e le contestazioni sulla logica dell’espansione dei BRICS sono del tutto insensati. Infatti, il segreto non detto sta qui, come ha scritto un importante pensatore strategico russo, Fyodor Lukyanov, sul quotidiano governativo Rossiyskaya Gazeta:

“Non possiamo certo parlare di un orientamento anti-occidentale: ad eccezione della Russia e ora, forse, dell’Iran, nessuno degli attuali e probabili futuri partecipanti [ai BRICS] vuole apertamente opporsi all’Occidente. Tuttavia, questo riflette l’era che sta arrivando, quando la politica della maggior parte degli Stati è una costante scelta di partner per risolvere i loro problemi, e ci possono essere controparti diverse per problemi diversi”.
Questo è il motivo per cui l’India, che protegge con cura la sua linea di “multi-allineamento” – cioè di cooperazione con tutti – è anche soddisfatta di un BRICS ampio ed eterogeneo. Delhi è meno interessata ad amplificare i sentimenti antagonisti all’interno della comunità BRICS. I commentatori indiani non riescono a cogliere questo paradosso.

In effetti, il pragmatismo nell’ammettere tre grandi Paesi produttori di petrolio della regione del Golfo (Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) non fa altro che segnalare ciò che Lavrov intendeva con i “progetti” e le “questioni concrete” di cui i BRICS si stanno occupando: principalmente, la creazione di un nuovo sistema commerciale internazionale che sostituisca il sistema di cinque secoli fa creato dall’Occidente, orientato a trasferire la ricchezza alle metropoli e a permettere a queste ultime di diventare più grasse e più ricche.

Map of BRICS countries, with the six joining in January — Argentina, Egypt, Ethiopia, Saudi Arabia, United Arab Emirates and Iran — in light blue. (Dmitry-5-Averin, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0)

In sostanza, oggi si tratta di affrontare il fenomeno del petrodollaro, pilastro del sistema bancario occidentale e fulcro del processo di “de-dollarizzazione” cui mirano i BRICS. È sufficiente dire che sta calando il sipario sull’accordo faustiano dei primi anni Settanta che ha sostituito l’oro con il dollaro americano e ha garantito che il petrolio fosse scambiato in dollari, che a sua volta ha imposto a tutti i Paesi di mantenere le proprie riserve in dollari e che alla fine si è trasformato nel principale meccanismo di egemonia globale degli Stati Uniti.

In altre parole, com’è possibile far retrocedere il petrodollaro senza che l’Arabia Saudita sia sulle barricate? Detto questo, tutti gli Stati membri, compresi Russia e Arabia Saudita, sono ben consapevoli che, sebbene i BRICS siano “non occidentali”, è impossibile trasformarli in un’alleanza anti-occidentale. In sostanza, ciò a cui stiamo assistendo nell’espansione dei BRICS è la loro trasformazione nella comunità più rappresentativa del mondo, i cui membri interagiscono evitando le pressioni occidentali.

Allo stesso tempo, il punto cruciale è che l’espansione dei BRICS è percepita in Occidente come una vittoria politica per Russia e Cina.

Nonostante le tensioni con la Cina, l’India ha fatto la cosa giusta, regolando le sue vele di conseguenza, percependo i venti di cambiamento e anticipando che la cooperazione dei BRICS potrebbe iniettare nuova vitalità nel funzionamento del gruppo e rafforzare ulteriormente il potere della pace e dello sviluppo mondiale.

July 30, 2023, map key: Blue = Members; Light Blue = Joining on Jan. 2, 2024; Orange = Applicants; Yellow = Expressed interest in joining; Gray = No relationship with BRICS. (MathSquare, Wikimedia Commons, Dmitry Averin is author of original source image;CC BY-SA 4.0)

È ora che il governo riconsideri la fattibilità della sua strategia di tenere le relazioni con la Cina in ostaggio della questione dei confini.

Il vertice dei BRICS ha evidenziato che la Cina gode di un grande sostegno da parte del Sud globale. È a dir poco donchisciottesco agire per conto degli Stati Uniti per contenere la Cina.

Ma l’India si troverà in un vicolo cieco dissociandosi dalla questione delle valute, degli strumenti di pagamento e delle piattaforme locali solo perché la Cina potrebbe essere un beneficiario di un nuovo sistema commerciale che fa parte di un ordine globale più giusto, equo e partecipativo.

[Anche se l’India tratta con gli Stati Uniti alle proprie condizioni”, si legge nell’editoriale dell’Hindu BusinessLine, “non può permettersi di partecipare attivamente a iniziative che mirano a sostituire il dollaro con lo yuan. Mentre i BRICS emergono come un negozio di Cina, l’India dovrebbe tenere d’occhio i propri interessi strategici”.]

L’India rischia di alienarsi il Sud globale, che è l’alleato naturale della Cina, voltando le spalle al programma centrale dei BRICS di un ordine mondiale multipolare.

M.K. Bhadrakumar è un ex diplomatico. È stato ambasciatore dell’India in Uzbekistan e Turchia. Le opinioni sono personali.

The original version of this article appeared on Indian Punchline.

The views expressed are solely those of the author and may or may not reflect those of Consortium News.

https://consortiumnews.com/2023/08/29/india-a-reluctant-brics-traveler/?eType=EmailBlastContent&eId=431eccea-d729-4092-8d88-514b68940cf5

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UN REPORTAGE POLACCO SULLA SITUAZIONE DISASTROSA IN UCRAINA_a cura di Roberto Buffagni

Traduciamo (con il traduttore automatico) questo reportage polacco[1] del 30 agosto, un’ intervista a Slawomir Wysocki, un polacco che si reca regolarmente in Ucraina per portare equipaggiamento ai soldati ucraini. Ovviamente non abbiamo modo di verificare l’affidabilità della fonte, ma il reportage è molto interessante, perché si basa su una testimonianza diretta di parte ucraina. Buona lettura. Roberto Buffagni

UN REPORTAGE POLACCO SULLA SITUAZIONE DISASTROSA IN UCRAINA

Un polacco sulla situazione disastrosa in Ucraina. “Non hanno più nessuno per combattere”.

Da settimane tutti attendono notizie di un eventuale successo dell’offensiva ucraina. Slawomir Wysocki – un polacco che si reca regolarmente in Ucraina con gli aiuti – ci racconta quanto sia terribile la situazione in quel Paese. – “Le perdite umane sono enormi. Le attrezzature occidentali bruciano come fiammiferi. È molto peggio di quanto si pensi“, afferma.

Da tempo si sostiene che l’Ucraina, nel suo tentativo di offensiva, stia battendo la testa contro un muro. Gli esperti dicono che per due mesi sono riusciti a penetrare solo una delle linee di difesa russe. Questo non è sufficiente per parlare di successo.

Slawomir Wysocki – un polacco che si reca regolarmente in Ucraina, dove fornisce ai soldati l’equipaggiamento necessario al fronte – si è recato con i membri dell’organizzazione “Pogoń Ruska” ad Avdiivka – una città nella parte orientale dell’Ucraina, nella regione di Donetsk. In un’intervista a Wirtualna Polska, afferma che “la situazione era macabra“.

Avdiyivka è stata bombardata pesantemente. Ci hanno chiesto se eravamo sicuri di volerci andare. Abbiamo risposto: “Certo che sì. Se non fossimo andati lì, le persone rimaste sarebbero morte di fame. Lì non c’è altro aiuto. In una città di 40.000 persone, che fino al 2014 aveva una delle più grandi cokerie del Donbass, sono rimaste forse 200 persone“, racconta.

1Slawomir Wysocki

La città, dice, non è completamente in rovina, ma è abbandonata, malconcia, le abitazioni sono bruciate, le infrastrutture sono distrutte. – “Ci sono ancora anziani che vivono in case come in un film dell’orrore. Non vogliono andarsene. L’unico aiuto che ricevono è quello degli enti di beneficenza, il nostro“, dice Wysocki.

Avdiyivka è sotto costante fuoco. Le autorità hanno annunciato l’evacuazione alla fine di marzo di quest’anno. La città è stata inserita nella “zona rossa”. – “Sono stato lì per la prima volta, la prima volta così vicino a Donetsk. La situazione è molto difficile. Un ragazzo dell’organizzazione “Pogon Ruska” mi ha detto che quando era lì ha avuto paura per la prima volta“, aggiunge.

E sottolinea che l’umore quando si tratta dell’Ucraina orientale, del Donbas, è pessimo. “In primavera, all’inizio dell’estate, si sperava di poter organizzare un’offensiva efficace, di poter cacciare i russi. Tuttavia, non ci sono stati successi. Per mesi hanno penetrato solo la prima linea di difesa del nemico”, valuta Vysotsky.

Le perdite umane da parte ucraina sono enormi. Le attrezzature occidentali bruciano come fiammiferi. È molto peggio di quanto si pensi“, aggiunge.

Vysotsky dice di aver recentemente contato le tombe a Lviv. “Nella parte vecchia del cimitero ci sono circa 100 tombe, alcune delle quali risalgono al 2014. Nella parte nuova ce ne sono più di 600. Abbiamo circa 700 sepolture in una città di circa 700.000 persone. Nei villaggi la proporzione è enormemente diversa. Quando li attraverso, vedo cimiteri lungo le strade. In ognuno di essi ci sono da diverse a una dozzina di nuove tombe. Ci sono bandiere accanto a ciascuna di esse, è facile riconoscerle“, riferisce.

2Tombe in Ucraina

A Kharkov ci sono più di duemila tombe. Inoltre, ci sono anche cadaveri che non sono stati trovati, che sono stati fatti a pezzi nelle trincee o sono sepolti nelle cantine di Bakhmut. Queste perdite non possono più essere nascoste. Basta andare a contare le tombe nei cimiteri ucraini. Anche i soldati possono vederlo“, dice un intervistato di Wirtualna Polska.

Vysotsky parla anche di un incontro avuto qualche giorno fa, che descrive come traumatico. Ha parlato con un uomo di oltre 60 anni che era stato sergente dei Marines e difendeva Azovstal. È stato prigioniero dei russi per otto mesi, ha perso 30 kg e ora sta cercando di guarire il più possibile. – Gli ho chiesto come fosse lì. Mi ha risposto: “Slawek, come ad Auschwitz“. Non gli ho chiesto altro”, racconta.

L’ultima volta che ho parlato con Slawomir Wysocki è stato alla fine di luglio. Oggi il polacco mi parla chiaro: “Fino a due mesi fa ero pieno di ottimismo per quanto riguarda la Kupianska. Al momento, riusciamo ancora a mantenere le posizioni. Per quanto tempo? Non lo so. Sembra che i russi stiano facendo di tutto per raggiungere Kupiansk, dove prenderanno posizione per l’offensiva di primavera“, prevede l’interlocutore di Wirtualna Polska.

Che rapporto hanno gli ucraini che combattono al fronte con il sistema di difesa russo? – “Sono terrorizzati“, dice brevemente Vysotsky. “Sanno che l’esercito russo ha imparato tutto e si è attrezzato per tutto, sono preparati a fondo. I russi hanno ottimi reparti di genieri. Il sistema di difesa è stato costruito da imprese di costruzione. Non erano contadini con la pala che scavano trincee. Le imprese sono venute, hanno versato il cemento, hanno costruito fortificazioni nello stile della Linea Maginot. E ci sono tre o quattro di queste linee“, aggiunge in senso figurato. [?]

Gli ucraini dicono che ci sono cinque mine per metro quadro. Non si riesce a stare in piedi e a fare un passo per non farne esplodere una“, sottolinea.

In una situazione così difficile al fronte, con sempre più vittime, c’è ancora chi è disposto a difendere la patria? “Non ci sono volontari. Li cercano persino per strada. A Lviv ci sono “rastrellamenti” fuori dal centro della città, la gente viene portata via dai cantieri, si va nei pub dove la classe operaia viene a bere birra e si “rastrellano” le persone“, dice.

Di recente ho assistito a una situazione simile alla stazione degli autobus n. 2 di Lviv. Cinque poliziotti stavano in piedi e controllavano chiunque volesse lasciare Lviv. Non puoi giustificarti? Mettiti a lato. Hanno trattenuto otto persone in questo modo“, racconta il polacco.

E spiega che molte delle ragioni di questa situazione hanno origine a Bakhmut. “È stato un tale macello, un tale tritacarne da una parte e dall’altra…. Non c’è più nessuno per combattere. I soldati dicono: ci resta qualcosa, e presto non avremo più nessuno per combattere – queste erano le voci di maggio. E ora non hanno nessuno“, spiega.

Secondo lui, Vladimir Putin sta perdendo la “plebe” in guerra. “Sta mandando lì i più poveri, i non istruiti, le persone che hanno bisogno di guadagnarsi da vivere. E invece gli ucraini stanno perdendo il fiore della loro società. Sono perdite come quelle della Rivolta di Varsavia“, aggiunge in senso figurato. E sottolinea: “Le persone più esperte stanno morendo, comprese quelle che avevano già combattuto nel 2014. Quelli senza esperienza sono sopravvissuti per quattro ore a Bakhmut in primavera.”

E porta l’esempio di un suo conoscente che era capo analista finanziario presso la più grande banca commerciale di Kiev. “Il primo giorno di guerra portò moglie e figlio fuori da Leopoli. Si arruolò immediatamente, anche se non era mai stato nell’esercito. Non li vedeva da più di un anno e mezzo. Non era in licenza. Per un anno è stato nelle trincee al confine tra Bielorussia e Ucraina e ora è stato trasferito a Kupyansk, dove ha preparato le trincee. Ha poco più di 40 anni“, racconta.

I russi aspettano l’inverno per ricominciare a distruggere le infrastrutture critiche dell’Ucraina. Contano sul fatto che dopo l’inverno mite dell’anno scorso, quest’anno ne arriverà uno rigido. E che saranno in grado di finire l’Ucraina in modo tale da arrivare vicino a Kiev in primavera e costringere l’Ucraina a “fare la pace“”. – prevede Vysotsky.

 

E aggiunge: “Gli ucraini non si arrenderanno. – Si dissangueranno per i prossimi anni. Ma se l’Europa non capisce che questa è la guerra della Russia contro tutta l’Europa, non solo contro l’Ucraina, le perdite saranno ancora maggiori. E sono già enormi“, aggiunge l’intervistato di “Wirtualna Polska”.

 

[1] https://wiadomosci.wp.pl/polak-opowiada-o-tragicznej-sytuacji-w-ukrainie-sprzet-pali-sie-jak-zapalki-6934373478947744a

 

Andare a pezzi lentamente… E poi? _ AURELIEN

Andare a pezzi lentamente…
E poi?

AURELIEN
30 AGO 2023
Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano e la prossima settimana apparirà una traduzione in francese di uno dei miei recenti saggi. Italia e il Mondo ha recentemente pubblicato una mia intervista, in inglese e in italiano. Grazie a tutti i traduttori. Passiamo ora all’argomento principale.

Di recente ho scritto diverse volte sulla probabilità e sulle conseguenze del collasso dello Stato e della società, e questo ha generato una serie di commenti su quanto a lungo i governi possano sopravvivere, e persino se altre forze, come le imprese multinazionali, possano in qualche modo sostituirli. Ho quindi pensato che valesse la pena di esporre alcune idee su tutto questo in modo un po’ più dettagliato.

Inizierò con una citazione di Max Weber che ho già usato in passato ma che, come molte altre sue parole, merita di essere ripetuta. Proviene dalla sua conferenza del 1919 su La politica come vocazione, in cui definisce uno Stato come una

“una comunità umana che (con successo) rivendica il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica all’interno di un determinato territorio”.

Ora, la maggior parte delle persone conoscerà almeno vagamente questa citazione, ma merita un piccolo studio attento. Si noti, ad esempio, che la rivendicazione deve avvenire a nome di una “comunità” (Gemeinschaft), non solo di un piccolo gruppo casuale. Questo gruppo deve essere identificato con un determinato territorio, invece di essere solo una banda di predoni, e il suo uso della forza fisica deve essere accettato come “legittimo” – un punto su cui tornerò. Si noti anche che per “forza fisica” (Gewalt) Weber non intende solo la violenza palese, ma tutte le forme di potere e coercizione. Chiarisce che questo monopolio non è l’unico requisito per essere uno Stato (anche se è necessario) e continua a sostenere che questo monopolio non riguarda solo l’uso della forza in sé, ma anche la capacità di dire, attraverso leggi e procedure, quale uso della forza è legittimo e quale no.

Quindi, qualsiasi entità che volesse davvero sostituirsi a uno Stato esistente, anche solo in parte, dovrebbe cercare di soddisfare questi criteri. Il più importante non è solo rivendicare il monopolio della forza legittima in un determinato territorio, ma farlo con successo: cioè far sì che la sua rivendicazione sia generalmente accettata. Ma come può accadere? E che cos’è la legittimità? In questo caso il dizionario non ci aiuta molto, perché si scopre che “legittimità”, come “legale”, deriva in ultima analisi dalla parola latina lex che significa “legge”. Quindi una cosa è legittima se è legale, il che si avvicina molto a un’argomentazione circolare e induce a pensare che molto dipende da chi fa la legge. In ogni caso, non ci aiuta molto a capire perché la gente comune dovrebbe considerare qualcosa legittimo (cioè degno di rispetto e obbedienza) solo perché c’è una legge che lo riguarda. Anche se accettiamo il fatto che i concetti romani originari di diritto ponevano molta enfasi sulla tradizione e sulla consuetudine, l’argomento diventa semplicemente che l’uso della forza è considerato legittimo finché è usato secondo la tradizione e la consuetudine. Il che può anche andare bene, ma per definizione non può affrontare situazioni di crisi o di discontinuità, o la comparsa di nuovi attori.

Quindi la prima domanda è come definire la “legittimità” in un senso diverso da quello tautologico. Anche Weber ci ha provato, distinguendo tre tipi di autorità, che useremo qui come surrogato della legittimità. Il primo è quello tradizionale. Le persone obbediscono e considerano legittimi i comandi perché sono abituate a farlo, perché la loro società lo ha sempre fatto, o perché sono impartiti in nome di una figura come un monarca, con una legittimità tradizionale, o da una figura che è convenzionalmente considerata in grado di dare ordini legittimi. Gran parte della società funziona in questo modo. Un arbitro di calcio, un vigile urbano o una guardia di sicurezza hanno diversi tipi e gradi di legittimità, e alcuni hanno la capacità di costringere all’obbedienza: un arbitro può obbligare un giocatore a lasciare il campo, per esempio.

Il secondo tipo è quello carismatico. Questo tipo di legittimità e autorità è sempre legato a un individuo, per di più “distinto dagli uomini comuni e trattato come dotato di poteri o qualità soprannaturali, sovrumane o almeno specificamente eccezionali”. Notate l’uso attento della parola “trattato”: è il modo in cui queste persone vengono percepite che conferisce loro autorità e legittimità, non ciò che necessariamente sono intrinsecamente. Tali individui sono rari, ma includono il leader ispiratore, che può non essere la persona più anziana o prestigiosa, ma che viene percepito dagli altri come dotato delle qualità legittimanti di risolutezza e fermezza d’intenti. Naturalmente, essere carismatici e avere ragione possono essere due cose diverse, come la storia dimostra a sufficienza.

Il terzo tipo era quello razionale/giuridico e in questo caso la differenza fondamentale è che la legittimità non è legata agli individui, alle loro qualità personali o anche alla loro particolare indipendenza di giudizio. La legittimità deriva dall’esercizio di una funzione per la quale si è qualificati e retribuiti, nell’ambito di una struttura che a sua volta è stata istituita in base a leggi e procedure riconosciute e che ha ricevuto una serie di missioni da svolgere. Quindi, il poliziotto che vi chiede di allontanare la vostra auto dal luogo di un incidente per permettere all’ambulanza di parcheggiare, lo fa in virtù dell’autorità di cui è investito e a cui è delegato qualsiasi agente di polizia che si trovi a passare, non per le speciali virtù di giudizio che può possedere. Per estensione, l’autorità razionale/legale si applica solo in situazioni in cui l’attore interessato ha il diritto di fare o chiedere qualcosa: nessun poliziotto può dirvi di infrangere la legge, per esempio.

Il contrasto tra questi tipi di autorità è tanto più forte nell’originale perché Weber scriveva nel contesto del cosiddetto Rechtstaat, meglio tradotto come “Stato di diritto”, e di fatto cognato con il francese État de droit. In questa situazione, nessun attore dello Stato può fare nulla a meno che non sia in grado di indicare una legge o un decreto che gli dia specificamente il diritto di farlo, e le differenze di funzioni tra le diverse parti dello Stato hanno la forza del diritto. La tradizione anglosassone dello Stato di diritto, anche se a volte viene paragonata a queste due, è concettualmente molto diversa. Tuttavia, è giusto dire che in tutte le società un tipo di autorità, e quindi un tipo di legittimità, deriva dal corretto svolgimento di procedure riconosciute e accettate.

Tuttavia, nonostante l’uso della parola “forza” (a volte la traduzione preferita è “violenza”), manca il senso di una vera e propria costrizione fisica delle persone che non vogliono obbedire o che fanno resistenza attiva. In realtà, nemmeno lo Stato più repressivo passa tutto il tempo a cercare e distruggere fisicamente l’opposizione. Nella maggior parte dei casi, anche gli Stati considerati repressivi lasciano in pace i cittadini finché non sfidano apertamente la loro autorità. Spesso hanno comunque poca scelta: la temuta Gestapo del Terzo Reich, ad esempio, non ha mai avuto più di 30.000 effettivi anche al suo apice. Per la sua efficacia (o almeno per le sue attività) dipendeva in gran parte da denunce anonime e da ausiliari part-time.

La legittimità, quindi, è un fenomeno complesso che non si limita allo status giuridico formale da un lato, né alla repressione bruta dall’altro. È in parte una questione di abitudine, in parte una questione di pressione sociale, in parte una questione di intimidazione, ma in parte anche una questione di cooperazione per la sopravvivenza del gruppo. Sembra che i funzionari del partito nazista si siano occupati delle precauzioni contro i raid aerei in Germania durante i bombardamenti alleati, ma è improbabile che la popolazione obbedisse ai loro ordini solo per paura di rappresaglie. In linea di massima, quindi, la legittimità moderna è una sorta di accordo pragmatico tra le persone e i gruppi che la rivendicano, e in un certo senso è sempre stato così. Anche ai tempi in cui la legittimità proveniva da un dio (o addirittura da Dio) il patto non era solo unilaterale. Il modello tradizionale di governo, dai classici confuciani alle opere di Shakespeare, imponeva al governante l’obbligo di governare correttamente o di affrontare la rivolta popolare e la sostituzione con una figura più legittima. Si pensi ai sanguinosi finali di Macbeth e Riccardo III.

Ho sostenuto più volte che la domanda fondamentale in politica è: chi mi proteggerà? E la capacità di proteggere i propri cittadini è fondamentale per la legittimità di qualsiasi Stato o di qualsiasi struttura che rivendichi prerogative statali. Questo ha importanti conseguenze per il mondo in cui probabilmente ci stiamo muovendo. In molte società occidentali lo Stato ha sempre più difficoltà a fornire il livello di protezione pubblica che era considerato normale cinquant’anni fa. Con questo non intendo dire che cinquant’anni fa lo Stato era presente ovunque con la forza armata, e non lo è adesso. In effetti, è vero il contrario: l’abbrutimento della società in seguito al liberismo sfrenato e alla globalizzazione incontrollata ha prodotto problemi di criminalità che persino il potere coercitivo massicciamente maggiore degli Stati moderni non è in grado di controllare, nemmeno quando i governi sono disposti a provarci.

Da decenni ormai, le aree di povertà e di forte immigrazione in molte città occidentali sono lasciate a marcire. I tentativi di far rispettare la legge in queste comunità non sono considerati degni dei problemi che potrebbero derivarne, e più a lungo il problema viene lasciato, più si aggrava. Le forze dell’ordine disponibili sono nelle mani di bande criminali, di solito coinvolte nel traffico di droga. Il risultato è che tutti coloro che possono lasciare queste aree lo fanno e il loro posto viene preso da ondate sempre più disperate di nuovi immigrati, pronti a essere sfruttati a loro volta. Per le bande, lo Stato in tutte le sue manifestazioni è semplicemente un nemico. Per il resto della popolazione, lo Stato è un traditore che non li protegge e non si prende più cura di loro.

Tuttavia, la convinzione delle élite occidentali che tali problemi possano essere ordinatamente contenuti in aree recintate non sembra più essere vera come un tempo. Alcuni centri urbani stanno già diventando pericolosi di notte. Se arrivate in una grande città europea in questi giorni, l’hotel vi consiglierà dove non andare, dove non fare tardi e dove prendere un taxi per tornare dal ristorante: cose che una generazione fa sarebbero state impensabili. I ristoranti e i bar chiudono per paura della violenza e perché il personale non si sente sicuro nel tornare a casa a tarda notte. Inevitabilmente, questo si ripercuote sulla legittimità percepita dello Stato, che si è dimostrato incapace di svolgere il proprio dovere di protezione. Una conseguenza è che i partiti politici che promettono di fare qualcosa per riconquistare la legittimità dello Stato (generalmente codificati come “estrema destra”) aumentano la loro popolarità. Un’altra è che la gente rinuncia allo Stato. Smettono di votare, se hanno soldi tolgono i figli dalle scuole pubbliche, si trasferiscono in aree più sicure se possono, e se non possono sono costretti a fare pace con coloro che controllano effettivamente le loro comunità e che possono offrire loro qualche rudimentale protezione.

Uno dei miei temi costanti è che questo tipo di cose non può andare avanti per sempre. Date le numerose crisi in via di sviluppo che si stanno contendendo la priorità, la disgregazione sociale, autogenerata o più probabilmente conseguenza di molteplici crisi economiche, ambientali e sanitarie, potrebbe non essere lontana. Anzi, forse la disgregazione sociale è già qui, anche se, come direbbe William Gibson, non è distribuita in modo uniforme. Ma se mettiamo in relazione tutto questo con lo Stato e con la responsabilità dello Stato di preservare la società, allora è importante sottolineare ancora una volta che il rapporto tra Stato e società non è, e non potrà mai essere, di semplice repressione. Non è come se la maggior parte delle società fosse perennemente in bilico sull’orlo della rivolta, in attesa di un momento di disattenzione da parte delle autorità; o come se i criminali si nascondessero dietro ogni albero, pronti a balzare fuori non appena la polizia volta le spalle. Come ho sostenuto, le persone accettano la legittimità e l’autorità dello Stato non tanto per abitudine quanto per autoprotezione collettiva. Quindi, il tipo di decadimento della legittimità dello Stato che stiamo iniziando a vedere è meno probabile che porti a conflitti violenti, piuttosto che a una sorta di acida apatia e disimpegno, e alla ricerca di un modo per compensare ciò che lo Stato non può fare. Ci sono parti del mondo in cui questo si può vedere in azione. Ci sono Paesi africani in cui nessuno si preoccupa di chiamare la polizia dopo un crimine, perché questa si limiterebbe a chiedere una tangente e non sarebbe comunque in grado di risolvere il crimine. In altre società (il Libano è un buon esempio), se si ha un problema con lo Stato, non ci si rivolge all’ufficio locale, alla polizia o altro, ma al rappresentante del proprio clan, che parlerà con la persona di più alto rango che riesce a trovare nel governo e che potrebbe avere un’influenza. È così che si fanno le cose.

Ora, ci sono due requisiti per entrare qui. La prima è che ci sono gruppi, criminali, politici o entrambi, che aspettano che lo Stato si mostri debole e si espandono nello spazio lasciato dallo Stato. Ho già citato il caso di alcune città europee, dove alcune aree sono ormai fuori dal controllo dello Stato. Detto questo, i gruppi coinvolti sono relativamente piccoli e non sarebbero all’altezza di un serio uso professionale della forza. Ma questo uso non è probabile ora, e probabilmente lo diventerà sempre meno, semplicemente perché sarebbe impossibile sconfiggere le bande di narcotrafficanti e i gruppi islamisti senza un livello di danni collaterali, di feriti e persino di morti che sarebbe inaccettabile dal punto di vista politico. Quindi questi gruppi sono essenzialmente lasciati in pace, dato che, dopo tutto, predano prevalentemente il loro stesso popolo. Se dovessero diffondere la loro violenza in aree ricche (e ci sono segnali che questo potrebbe iniziare ad accadere), allora questa retorica farebbe immediatamente marcia indietro, ma a quel punto sarebbe probabilmente troppo tardi. Riprendere il controllo anche di un solo grande sobborgo richiederebbe non solo centinaia di poliziotti armati, ma altre migliaia di persone equipaggiate e addestrate per il controllo delle rivolte.

Questo ci ricorda uno dei problemi principali: il fatto che la legittimità sia in gran parte una questione di abitudine significa che ogni Paese mantiene forze di sicurezza interne principalmente per contrastare situazioni eccezionali, quando questa legittimità viene attivamente contestata. Nella stragrande maggioranza dei casi, nella stragrande maggioranza dei Paesi occidentali, la polizia resta a guardare le manifestazioni pacifiche, collaborando con gli sceriffi e intervenendo solo in caso di vere emergenze o atti criminali. Nessun Paese occidentale dispone da remoto delle forze di sicurezza interne necessarie per sconfiggere una seria sfida di massa alla legittimità dello Stato, perché molto dipende da contratti sociali taciti tra governanti e governati.

Ma supponiamo che questo inizi a rompersi? Il primo problema è quello dei numeri e di quello che i militari chiamano il rapporto forza-spazio. Le autorità hanno bisogno di un numero di personale enormemente superiore per contenere un incidente rispetto a quello necessario ai malintenzionati per provocarlo. Basterebbero poche centinaia di manifestanti, che appaiono e scompaiono in piccoli gruppi, accendono fuochi, spaccano finestre, incendiano auto, irrompono nei negozi e attaccano i passanti, prima che le forze dell’ordine in una città come Parigi siano sopraffatte (e Parigi non è affatto la città più grande d’Europa). Tutto ciò che si potrebbe fare in una situazione del genere sarebbe circoscrivere alcune aree della città, in particolare quelle in cui risiede il governo, e cercare di difenderle, chiudendo gli edifici pubblici e i centri commerciali. Il resto dovrebbe essere lasciato bruciare. Questo è essenzialmente ciò che è accaduto durante le peggiori manifestazioni dei Gilets jaunes nel 2018/19, dove c’erano così tante manifestazioni in così tante città, ed era impossibile sapere quali sarebbero diventate violente, che alla fine alla polizia è stato ordinato di stare a guardare mentre le cose bruciavano, a meno che non fossero in pericolo di vita.

Inoltre, la logica del controllo dell’ordine pubblico è la dispersione sicura. Nonostante i drammatici video iPhone mostrati su Internet, qualsiasi forza di ordine pubblico adeguatamente addestrata ha come scopo principale quello di disperdere i manifestanti e convincerli a tornare a casa. In prima istanza, questo avviene impedendo fisicamente di raggiungere il loro obiettivo: un edificio governativo, per esempio. Se questo non è possibile, l’opzione successiva è il cosiddetto “gas lacrimogeno” che irrita gli occhi e fa disperdere i manifestanti: non è piacevole, ma è probabilmente il modo meno offensivo per raggiungere l’obiettivo. Ma anche in questo caso c’è un grosso elemento di contratto non detto: sparare il gas è un segnale di dispersione, e la maggior parte dei manifestanti lo accetta e si allontana. Una folla molto numerosa di dimostranti realmente motivati, con maschere e protezioni per gli occhi, sarebbe qualcosa di completamente diverso, e potrebbe riuscire a sfondare qualsiasi cordone di protezione.

Il vero problema sorge quando si presentano gruppi, spesso armati, con l’intenzione di scontrarsi deliberatamente e di fare violenza. Negli ultimi anni questa è stata una caratteristica crescente dei problemi di ordine pubblico e i governi non sanno bene cosa fare. Da un lato gli assalitori (non è corretto chiamarli manifestanti) possono attaccare direttamente le forze dell’ordine e sono in grado di ferirle e persino ucciderle. Dall’altro lato, è impossibile per le forze dell’ordine rispondere senza rischiare di ferire persone innocenti, o almeno persone che possano in seguito rappresentarsi come tali. Da cinquant’anni si cerca un mezzo benevolo per controllare le rivolte e disattivare i rivoltosi senza ferire nessuno. Sembra che non esista. E scontri violenti come questo, spesso in aree affollate, dove non è chiaro chi sia chi e chi stia facendo cosa, possono essere spaventosi e disorientanti nel migliore dei casi, e le persone che passano di lì per caso possono essere coinvolte e persino ferite.

Detto questo, nella maggior parte dei Paesi il numero di persone coinvolte in atti di violenza deliberata è stato piuttosto ridotto e gli attacchi diretti alle forze dell’ordine o agli edifici governativi sono stati piuttosto rari. Ma ancora una volta, pochi Paesi occidentali hanno le risorse per combattere questo tipo di minaccia su larga scala e per un lungo periodo di tempo. La tattica standard (vista di recente in Francia) prevede che piccoli gruppi di violenti si nascondano tra la folla e, in un determinato momento, tirino fuori armi e dispositivi di protezione e attacchino gli obiettivi o le forze dell’ordine. Nella confusione è poi facile che si dileguino e appaiano da un’altra parte. È ovvio che anche un numero piuttosto esiguo di persone può efficacemente mettere in ginocchio una città e bloccare ingenti risorse governative. È anche chiaro che le forze dell’ordine si esauriranno in breve tempo, se non altro perché non possono essere dappertutto e tutto potrebbe essere un “bersaglio”.

In realtà, quindi, gli Stati occidentali sono probabilmente molto più vulnerabili alla violenza improvvisata di massa di questo tipo di quanto spesso si pensi. Dimentichiamo quanto sia sicuro uscire per strada proprio perché la stragrande maggioranza delle persone non pensa mai di entrare in un supermercato e saccheggiare la merce, o di attaccare la polizia o i pompieri. Ma questa è solo una convenzione e, oltre un certo punto, se troppe persone decidono di disobbedire, le autorità non possono fare molto.

Ma sicuramente, direte voi, lo Stato ha a disposizione una forza enorme. Per cominciare, c’è l’esercito, per non parlare dell’enorme quantità di sorveglianza fisica ed elettronica di cui gli Stati moderni dispongono. Sicuramente qualsiasi serio tentativo di violenza di massa potrebbe essere rapidamente stroncato? È importante chiarire di che tipo di situazione stiamo parlando. Se un gruppo di individui armati, sia esso criminale o politico, cerca di affrontare un gruppo di soldati addestrati, quasi sempre perde malamente. È vero che ci sono stati casi in cui i Talebani hanno teso agguati e ucciso operatori di ONG protetti da ex militari. E in Iraq lo Stato Islamico ha sviluppato tattiche di fanteria leggera piuttosto sofisticate, utilizzando bulldozer e camion pesanti guidati da volontari suicidi per aprire buchi nelle fortificazioni, seguiti da Land Cruiser catturati pieni di fanteria che attivavano i loro giubbotti suicidi quando erano feriti o avevano finito le munizioni. Ma questi sono casi molto particolari: i Talebani potevano affrontare l’esercito afghano in piccoli gruppi, ma solo fino a quando non venivano impiegate armi pesanti o potenza aerea contro di loro.

Non è quello che possiamo aspettarci in Occidente. Uno scenario più probabile è quello di piccoli gruppi di 3-4 persone con armi automatiche e giubbotti suicidi, che attaccano obiettivi di massa come folle di calcio o di concerti, o stazioni ferroviarie e aeroporti. Come ci si può proteggere da questo? Non è possibile, in modo efficace. I gruppi terroristici classici attaccavano una gamma limitata di obiettivi: edifici governativi e altri simboli dello Stato, o personale politico e governativo, dove in teoria si poteva fornire almeno un po’ di protezione Anche gli attentati dinamitardi a case pubbliche in Inghilterra da parte dell’IRA negli anni ’70 furono difesi all’epoca come attacchi a luoghi frequentati da soldati fuori servizio. Ora tutto questo è cambiato. Quindi, se si pensa che ci siano due o tre cellule di questo tipo in funzione, cosa si può fare per proteggere la popolazione in generale? Ancora una volta, non molto, se non attraverso la raccolta di informazioni, che è una questione diversa. Da un decennio a questa parte, diversi Paesi europei hanno schierato truppe per le strade contro questo tipo di minaccia. Dall’ondata di attentati del 2015-16, circa 10.000 militari alla volta sono stati disponibili per il dispiegamento in tutta la Francia, ad esempio. Non sono molti, soprattutto se si considera che la maggior parte di essi non è dispiegata in modo permanente, ma solo in caso di informazioni che suggeriscono un attacco imminente. E naturalmente hanno bisogno di mangiare e dormire, per cui il numero effettivo di pattuglie che in ogni momento pattugliano le strade di una grande città è probabilmente dell’ordine delle centinaia. E come vi diranno i militari, la difesa statica è inutile quando quasi tutto può essere un bersaglio. Quindi si vedono pattugliare in mezze sezioni di quattro (occasionalmente sei), soprattutto nelle zone turistiche o dove ci sono obiettivi di prestigio, e principalmente come deterrente o per cercare di fornire un senso di sicurezza. Queste operazioni comportano un enorme sforzo per le forze armate, soprattutto per un lungo periodo, e sottraggono persone alle mansioni per cui sono state addestrate: l’ultimo gruppo che ho incrociato al momento del check-in per un volo dall’aeroporto Charles de Gaulle apparteneva a un’unità di trasporto a motore dell’Aeronautica.

Tuttavia, anche se una protezione totale contro i gruppi armati ideologici è praticamente impossibile, questi gruppi non saranno in grado di far cadere i governi, qualunque cosa sperino alcuni dei loro leader. Ma che dire della popolazione nel suo complesso, in grandi gruppi? Che dire del tipo di violenza di massa organizzata contro lo Stato che molti temono e molti fantasticano? Non si potrebbe usare efficacemente l’esercito contro di loro? Ancora una volta, dipende dal contesto. La funzione fondamentale dell’esercito in qualsiasi Stato è quella di garantire il monopolio della violenza legittima, di cui ho parlato all’inizio. È una cosa impopolare da dire in una democrazia, dove ci piace pensare che l’esercito sia destinato alla difesa delle frontiere e forse all’impiego all’estero, ma è comunque vero. Come ha notato Weber, uno Stato che non riesce a mantenere questo monopolio non può definirsi veramente uno Stato. Ma in prima istanza – a livello tattico, se vogliamo – la responsabilità della protezione delle strade, delle istituzioni di governo e della leadership politica spetta alla polizia, e pochi militari vorrebbero altrimenti. Vengono chiamati in causa solo quando il livello di violenza è tale che la polizia non può più farcela. Le guardie militari fuori dagli edifici pubblici, ad esempio, sono essenzialmente cerimoniali, un simbolo politico della subordinazione dei militari al potere civile.

Ciò significa che in generale i militari non sono addestrati ed equipaggiati per svolgere compiti di ordine pubblico e non vogliono farlo. Sono un male per il reclutamento e la conservazione, e i compiti sono difficili, impopolari e sgradevoli. L’esercito britannico si è trovato a svolgere questo ruolo in Irlanda del Nord alla fine degli anni ’60, perché la Royal Ulster Constabulary (prevalentemente protestante) non godeva di fiducia, e i comandanti dell’esercito hanno passato la generazione successiva a cercare di uscirne. Inoltre, i militari, a dispetto di quanto spesso si pensa, non hanno poteri o diritti speciali di usare la forza in tempo di pace. Anche se la legge varia un po’ da Paese a Paese, i militari hanno generalmente il diritto di usare la forza, fino a quella letale, per proteggere se stessi o qualcuno vicino. Ma questa forza deve essere proporzionale alla minaccia e non può essere indiscriminata. Inoltre, tutte le forme di legge militare richiedono l’obbedienza solo agli ordini militari legittimi. Quindi, non solo l’ordine di sparare sui manifestanti sarebbe illegale per un comandante e per le truppe da eseguire, ma non si qualificherebbe nemmeno come ordine militare perché non è per scopi militari. Infine, gli ordini militari passano attraverso quella che i militari chiamano “catena di comando”: devono essere impartiti da superiori riconosciuti in quella catena, quindi un civile non può ordinare alle forze militari di entrare in azione, ad esempio.

Qualsiasi governo occidentale, per quanto assediato, sarebbe stupido se pensasse di poter contare sui militari per mantenere il potere contro le manifestazioni di massa e la violenza popolare. Sono troppo pochi, non sono adeguatamente addestrati o equipaggiati e sono molto limitati dal punto di vista legale. I loro comandanti avrebbero non solo il diritto, ma anche il dovere, di rifiutarsi di usare la forza militare contro il popolo. Anche se la situazione dovesse peggiorare in modo catastrofico, fino a sfociare nella violenza armata organizzata contro lo Stato, si applicherebbero le regole del diritto dei conflitti armati e l’esercito potrebbe essere usato solo contro quelli che il diritto internazionale umanitario definisce “obiettivi militari”, che sono definiti in modo molto restrittivo.

Infine, forse, dovrei spendere una parola sulla Legge marziale, dal momento che sembra aver prodotto tanta confusione negli ultimi tempi. La Legge Marziale non è un corpo di leggi o un insieme di disposizioni, né tanto meno è equivalente a un governo militare o a un colpo di Stato: è solo uno stato di cose. In sostanza, quando lo Stato civile è crollato e l’esercito è l’unica istituzione organizzata rimasta, può essere incaricato di sostituirsi allo Stato e di amministrare il territorio, anche facendo rispettare la legge. È quanto è accaduto in Germania nel 1945. Ma questo non conferisce ai militari poteri magici e sono ancora soggetti alle leggi del tempo di pace. Sebbene i governi abbiano generalmente pronta una legislazione d’emergenza (che deve essere votata dal Parlamento), che conferisce loro ulteriori poteri, e possano sospendere parti della Costituzione, questo non prevede mai, per quanto ne so, di dare ai militari il controllo del Paese, cosa che sarebbe comunque al di là delle loro capacità.

Si arriva quindi a una situazione molto curiosa di interazione tra due risultati negativi. Da un lato, Stati sempre più indeboliti e incapaci perderanno gradualmente il controllo effettivo di parti del loro territorio a favore della criminalità organizzata, di movimenti politici estremisti e semplicemente di un’opinione pubblica episodicamente infuriata. Questa perdita di controllo può essere solo temporanea: il centro della città per qualche ora, ad esempio, ma sarà anche politicamente cumulativa. D’altra parte, nessuna delle forze che si oppongono allo Stato sarà in grado di prendere il suo posto, nemmeno a livello locale. È per questo che le idee di “guerra civile” che vengono regolarmente diffuse in questi giorni sono sbagliate, perché una guerra civile è una guerra per il controllo della civis, lo Stato, tra gruppi che vogliono controllare quello Stato, o sostituire un diverso tipo di Stato a quello esistente. Per la prima volta nella storia moderna dell’Occidente, non ci sono gruppi con organizzazioni e ideologie in attesa di lanciare una lotta per il potere o di approfittare di un vuoto di potere.

A volte si sostiene che le imprese multinazionali o la criminalità organizzata potrebbero colmare questo vuoto, ma ciò si basa su un equivoco. Come sappiamo dagli studi sullo sviluppo, il settore privato dipende dall’esistenza dello Stato per la sua stessa sopravvivenza e prosperità, ed è per questo che le economie soffrono così tanto durante e dopo le guerre civili. Quanto più sicuro è l’ambiente, tanto maggiori sono i vantaggi per le imprese private, anche quelle molto grandi. Al contrario, un ambiente insicuro, anche in assenza di un conflitto vero e proprio, scoraggia il commercio e gli investimenti e rende difficili o impossibili anche cose banali come trasporti, assunzioni, consegne, stipendi e manutenzione. E questo presuppone che la sicurezza sia l’unico problema. Quanto durerebbe Facebook se la persona media avesse solo 2-3 ore al giorno di servizio di telefonia mobile affidabile? Quanto durerebbero le case automobilistiche se le epidemie di massa e l’instabilità politica iniziassero a interrompere seriamente le catene di approvvigionamento? Quanto durerebbero le compagnie petrolifere se non potessero esportare petrolio in modo affidabile? Senza il corretto funzionamento dell’immensamente complesso e fragile sistema finanziario internazionale, le banche cominceranno a scomparire. Per quanto tempo sopravviveranno il mercato immobiliare e i suoi derivati? In ogni caso, il settore privato, soprattutto al giorno d’oggi, non è in grado nemmeno in linea di principio di svolgere le funzioni di uno Stato. Tutto ciò che sa è come trarne profitto, quindi niente Stato e rapidamente neanche settore privato. In piccolo, lo vediamo accadere nelle zone “difficili” delle città europee, dove le catene di supermercati chiudono i loro negozi, perché è tutto troppo complicato.

Né, paradossalmente, la criminalità organizzata può sopravvivere in assenza dello Stato. Come il settore privato, è un parassita: fornisce cose illegali o troppo costose o troppo tassate. Non è interessata (salvo rare eccezioni) a fornire servizi di base. Gran parte del suo potere deriva dalla sua influenza sui governi e dalla loro corruzione: senza governo, niente potere.

Il futuro più probabile è quindi quello di un potere estremamente distribuito, come quello che troviamo, ad esempio, in alcune zone dell’Africa. Il governo avrà il controllo effettivo della capitale e dei centri delle principali città, ed eserciterà un piccolo grado di influenza su ciò che accade altrove. Laddove le condizioni sono favorevoli, possono sorgere costellazioni locali di potere politico ed economico. È probabile che si verifichino episodi di violenza sporadica per controllare i beni economici locali ed estorcere rendite, ma in una società moderna tutto è organizzato su scala nazionale o addirittura internazionale e ben poco è più “locale”. Le comunicazioni stradali e ferroviarie saranno degradate o non sicure e i sistemi di distribuzione non funzioneranno più correttamente. La gente si sposterà dalle aree a bassa sicurezza a quelle a più alta sicurezza, soprattutto nelle città già sovraccariche.

Ho già suggerito che se si vuole immaginare il futuro dell’Occidente, è utile guardare all’Africa, dove esistono già molte delle stesse condizioni. Ma la differenza è che, anche rispetto all’epoca coloniale, le infrastrutture nella maggior parte dei Paesi africani non si sono deteriorate molto, perché in primo luogo non ce n’erano molte. Inoltre, l’Africa dispone di risorse di solidarietà sociale e di resilienza, di reti familiari e tribali e di sofisticati meccanismi di governance informale. Abbiamo Twitter e il diritto contrattuale.

Il gratificante aumento del numero di iscritti (oltre 4.000) significa che le persone leggono e commentano i miei vecchi saggi e, in alcuni casi, chiedono le mie risposte. Provvederò a farlo appena possibile.

Questi saggi sono gratuiti e intendo mantenerli tali, anche se a breve introdurrò un sistema per cui le persone potranno effettuare piccoli pagamenti, se lo desiderano. Ma ci sono anche altri modi per dimostrare il proprio apprezzamento. I “Mi piace” sono lusinghieri, ma mi aiutano anche a valutare quali argomenti interessano di più alle persone. Le condivisioni sono molto utili per portare nuovi lettori, ed è particolarmente utile se segnalate i post che ritenete meritevoli su altri siti che visitate o a cui contribuite, perché anche questo può portare nuovi lettori. E grazie per tutti i commenti molto interessanti: continuate a seguirli!

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SITREP 8/30/23: L’Ucraina nasconde i fallimenti con attacchi profondi senza senso, di SIMPLICIUS THE THINKER

SITREP 8/30/23: L’Ucraina nasconde i fallimenti con attacchi profondi senza senso

Anche questa settimana non è da meno: L’Ucraina ha intensificato la sua campagna di droni per effettuare qualche attacco che faccia notizia o qualche bravata terroristica per gestire la percezione dei media e mantenere l’immagine dell’Ucraina come un Paese rilevante.

Un nuovo attacco al campo d’aviazione russo di Kresti, vicino a Pskov, la scorsa notte, è stato l’ultimo di questi sforzi, per non parlare dei continui attacchi a Bryansk e Donetsk, dei tentativi di atterraggio in Crimea e di molte altre trovate di questo tipo che non hanno alcun valore militare.

Ma parliamo brevemente dell’attacco di Pskov, che ha generato il solito stridore di denti e l’indignazione dei “patrioti”. L’aeroporto ospita gli aerei da trasporto Il-76 della Russia. I rapporti più aggiornati affermano che più di 4 aerei sono stati danneggiati negli attacchi, e 2 sono stati potenzialmente distrutti, come mostrano i video seguenti:

Tuttavia, le nuove foto satellitari occidentali di oggi sembrano mostrare pochi o nessun danno:

Per prima cosa lasciamo perdere il fatto che wikipedia riporta il numero di Il-76 russi come 120 in servizio attivo, altri 120 in riserva, con 20 in ordine e presumibilmente in produzione. Quindi, anche se perdere 2 o 4 esemplari può essere un brutto colpo, non è catastrofico. Per non parlare del fatto che questi aerei non sono nemmeno utilizzati nella SMO, in quanto sono aerei da trasporto e, come molti sanno, la Russia effettua la maggior parte dei suoi trasporti logistici su rotaia e su camion. Gli Il-76 si trovano per lo più a Pskov, dove è di stanza la famosa 76esima unità di paracadutisti aviotrasportati di Pskov, che li usa per addestrarsi e lanciarsi.

Le ultime notizie indicano che questa operazione è stata pianificata con l’Mi6 britannico per molti mesi. Naturalmente qualcosa che ha richiesto mesi per essere coordinato farà danni, soprattutto perché l’attacco ha utilizzato uno sciame di droni di massa di almeno 21+ droni, secondo alcuni rapporti. Si tratterebbe forse dei nuovi droni australiani “card board” che hanno fatto notizia di recente:

Questi droni sono quasi invisibili ai radar perché il cartone è fondamentalmente poroso alle onde radar. Questo dimostra che l’Ucraina e i suoi controllori occidentali sono costantemente innovativi e trovano nuovi modi per aggirare le difese della Russia. Ma anche la Russia innova e si adatta, ed è per questo che probabilmente non si vedrà più un attacco così “riuscito” per molti mesi.

Ci sono grandi domande anche su come questi droni siano arrivati fino a Pskov, a più di 600 km dal confine ucraino. Alcuni sostengono che siano arrivati dall’Estonia. Di recente molte persone mi hanno chiesto, in generale, come l’Ucraina conduca gli attacchi con i droni sul territorio russo. Permettetemi quindi di approfittare di questa circostanza per chiarire un po’ la questione.

In primo luogo, bisogna sapere che i media occidentali hanno già confermato più volte che l’Ucraina invia in Russia sabotatori armati di droni che vengono lanciati dal territorio russo:

È estremamente facile da fare. Tutto ciò che serve è un agente dormiente o qualcuno che entri legalmente in Russia con un pretesto e acquisti un numero qualsiasi di droni legali, come i Mavic cinesi, ecc. Questi droni possono essere equipaggiati con esplosivi e fatti volare direttamente dal perimetro dell’obiettivo. Se si è vicini a una base aerea, ad esempio, si può far volare un drone FPV dalla recinzione all’esterno della base direttamente su un aereo e farlo saltare in aria, per poi andarsene in auto molto prima che le autorità abbiano capito cosa è successo.

In effetti, questa stessa cosa è stata confermata in molti casi, non solo negli attacchi alle basi aeree della Crimea di molto tempo fa, ma anche nel tentativo di attacco all’aereo russo A-50 AWACS in Bielorussia. L’autore dell’attacco ha pilotato un drone FPV dall’esterno della base, ma è stato poi catturato.

Quindi sappiamo per certo che almeno questo tipo di attacco con i droni è confermato come attivamente utilizzato. L’altra tattica più difficile è l’invio di droni più grandi, come i “Beaver” ucraini, su lunghe distanze dal territorio ucraino. Come possono attraversare centinaia di chilometri di territorio russo senza essere individuati?

In due modi:

  1. In primo luogo, sono costruiti in fibra di carbonio / materiali compositi leggeri che sono molto difficili da riflettere per le onde radar.
  2. Volano relativamente bassi, il che significa che, in virtù della dura scienza dell’orizzonte radar, non possono essere rilevati finché non si trovano a pochi chilometri da un’installazione radar.

Chi ha seguito i miei scritti ricorderà che ho pubblicato diverse volte foto satellitari che mostrano come i satelliti SIGINT americani siano in grado di individuare le posizioni delle installazioni radar russe semplicemente in base alle loro particolari emissioni di banda:

Dopodiché, tutto ciò che devono fare è un semplice calcolo matematico: il radar può vedere un oggetto di dimensioni x a una distanza y solo se l’oggetto viaggia ad un’altitudine n. In questo modo, sanno immediatamente quali sono i perimetri degli orizzonti radar e dove i droni devono viaggiare per “aggirare” le zone non rilevate. Pianificano un percorso dettagliato che viene programmato nella navigazione satellitare del drone, il quale segue un percorso unico e serpeggiante attraverso i vari bordi dei radar.

Un esempio di come potrebbe apparire. Supponiamo che nell’immagine sottostante i cerchi rossi siano tutte le zone di copertura dei radar S-300 per gli oggetti che volano a un’altitudine di 500 piedi o inferiore. I cerchi gialli sono la copertura per tutto ciò che vola a un’altitudine compresa tra i 500 e i 5000 piedi. E i cerchi viola coprono i 5000ft e oltre:

Questa è una versione semplificata per illustrare l’idea. Come si può vedere, la difesa a strati si sovrappone, ma solo nelle regioni viola. La maggior parte della dottrina della difesa aerea è stata creata per le tattiche dell’era della guerra fredda e per combattere i gruppi d’attacco di aerei ad alta quota. Se un qualsiasi aereo normale che vola ad altitudini normali entrasse in quella zona, verrebbe rilevato perché non ci sono spazi vuoti, se l’aereo è al di sopra dei 5.000 piedi.

Ma poiché il drone vola a un’ipotetica quota di 100 piedi, l’unico cerchio al di sopra che lo rileverebbe sarebbe quello rosso. O anche se volasse a 1000 piedi, il cerchio giallo lo rileverebbe, ma questi hanno dei leggeri spazi vuoti in mezzo. Studiando il posizionamento dei radar dei satelliti di intercettazione del segnale, i partner occidentali possono tracciare un percorso per i droni ucraini, come si vede dalle linee blu, che si infilano tra i cerchi gialli e raggiungono in modo tortuoso Mosca a nord.

Inoltre, a prescindere dall’organizzazione dei radar, ci sono molte caratteristiche geografiche, topografiche e semplicemente urbane che limitano il rilevamento dei radar nelle aree a maggiore densità urbana. Se il drone vola a 100-200 piedi, ma nella regione generale ci sono tonnellate di colline, montagne ed edifici che sono tutti alti da 200 a 1000 piedi, indovinate un po’? Le onde radar saranno ostacolate ovunque e la copertura sarà limitata.

Si può ovviare a questo problema posizionando molti più sistemi ovunque, ma ovviamente questo è limitato dal numero di sistemi e di personale addestrato che si ha a disposizione. Inoltre, è possibile ottenere una copertura dall’aria con una sorveglianza costante 24 ore su 24, 7 giorni su 7, di aerei tipo AWACS con radar di osservazione, ma è difficile sapere quanto sia estesa la limitata flotta di AWACS della Russia. Si suppone che abbiano solo circa 15 aerei A-50, e ricordiamo che il tasso standard di “prontezza di missione” per gli aerei di tutto il mondo è compreso tra il 30 e il 70%. Questo è definito come la percentuale di velivoli utilizzabili o volabili in qualsiasi momento. Il resto è in costante stato di manutenzione. Per gli aerei più avanzati, come gli F-22/F-35, il tasso di prontezza degli Stati Uniti ha raggiunto il 30%, il che significa che solo il 30% della flotta può volare e operare.

Quindi, con soli 15 AWACS è possibile che solo la metà, più o meno, possa volare in qualsiasi momento, e non solo devono essere distribuiti su tutto il fronte ucraino, ma alcuni di essi sono necessari per la difesa dei confini settentrionali e orientali della Russia, per sorvegliare la NATO intorno al Mar del Giappone, Okhotsk, Mare di Bering, ecc. Quindi, in teoria, la Russia potrebbe avere anche solo 3-5 AWACS per l’Ucraina in qualsiasi momento.

Si tenga presente che i potenti Stati Uniti hanno solo circa 30 AWACS E-3 Sentry ufficiali, quindi i Paesi non ne hanno in genere una quantità massiccia. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno anche altri RC-135, E-8, P-8 Orion, ecc. che possono contribuire a colmare le lacune con capacità in qualche modo simili. La Russia colma le lacune disponendo di Mig-31 di pattuglia, che hanno potenti radar Zaslon-M in modalità look-down.

Infine, vorrei sottolineare due cose importanti. Innanzitutto, l’aeroporto di Pskov, come ho detto, non ha quasi alcuna utilità militare e non è nemmeno collegato all’SMO. Quindi è stato preso di mira proprio per questa debolezza, sapendo che non è così ben difeso perché non c’è nulla di critico. Si noti che l’Ucraina non è stata quasi in grado di scalfire nessuno dei campi d’aviazione effettivamente importanti per la Russia, come Engels, Dyagilevo, o quelli vicini alla linea del fronte come Berdiansk, che ospita decine di elicotteri d’attacco in prima linea. Questo perché sono in realtà ben protetti. Quindi, ovviamente, l’Ucraina sceglie un obiettivo oscuro che potrebbe avere una possibilità di colpire, e comunque le sono costati “mesi” di preparazione per fare qualcosa di militarmente insignificante.

Il secondo punto è questo. Molti ignoranti si sono lamentati di qualcosa del genere: “La difesa aerea russa è debole, se i droni ucraini a basso costo sono riusciti ad aggirarla, immaginate cosa farebbe la NATO se la Russia finisse in una guerra su larga scala con la NATO nel prossimo futuro! La Russia non resisterebbe più di un’ora/un giorno/una settimana/ecc.”.

Ma ecco l’inghippo che manca loro: L’Ucraina ha un grande vantaggio di cui la NATO non godrebbe mai in un ipotetico conflitto. Vedete, l’Ucraina può godersi il lusso della piena dominanza satellitare della NATO senza che la Russia sia in grado di eliminare tali risorse per non voler scatenare la terza guerra mondiale. Ciò significa che l’Ucraina ottiene un “codice di imbroglio” che le consente di vedere tutti i mezzi russi e di pianificare tutto intorno ad essi, aggirando le difese russe, ecc.

Ma se la Russia fosse in una “guerra totale” contro la NATO, indovinate quale sarebbe la prima risorsa a crollare? Esatto: i satelliti della NATO non esisterebbero. La NATO sarebbe cieca e non avrebbe alcuna capacità di vedere l’AD della Russia o altre risorse da lontano, il che significa che anche i miseri attacchi dei droni ucraini alle “retrovie profonde” della Russia sono molto più di ciò che la NATO sarebbe in grado di fare sotto molti aspetti.

Alcuni sostengono che: “Ma la NATO ha migliaia di satelliti, la Russia non può abbatterli tutti”. Confondono cose come il GPS e Starlink, che sono piccoli moduli producibili in massa che punteggiano l’orbita terrestre. Ma in termini di satelliti optoelettrici o E/O di livello aziendale, ne hanno pochissimi. Gli Stati Uniti hanno un totale di 5 satelliti optoelettrici giganti su cui fanno affidamento, ognuno dei quali costa oltre 5 miliardi di dollari. Questi verrebbero distrutti da missili russi A-235 Nudol e gli Stati Uniti sarebbero ciechi. Certo, anche i satelliti russi verrebbero probabilmente abbattuti, ma la Russia è l’unica che ha dimostrato di saper condurre una guerra non altamente tecnologica. La NATO si affida all’artiglieria e agli MLRS (HIMARS, ecc.) che possono sparare solo con munizioni a guida satellitare. La Russia ha colpito con precisione gli obiettivi ucraini con carta a matita e sestante fin dall’inizio della guerra: non ha bisogno di satelliti.

Infine, con tutti questi paragoni con la NATO ultimamente, è divertente che questo spezzone del film-documentario Restrepo sia arrivato sui canali. Mostra come sono realmente le potenti forze armate americane in situazioni di combattimento nella guerra in Afghanistan. Dopo aver visto l’eroismo delle truppe russe in Ucraina, pensate davvero che questo esercito abbia qualche possibilità? E questo prima che l’esercito diventasse un fiocco di neve nell’era moderna: immaginate quanto sia grave ora:

Come altro punto generale, è chiaro che la Russia è una forza armata altamente adattabile. Imparano da ogni errore e implementano continuamente cambiamenti per perfezionare le operazioni. Anche il nemico non dorme mai e si innova continuamente, quindi è un gioco continuo di innovazione sul campo di battaglia.

Ad esempio, la Russia ha già messo in atto diversi trucchi per impedire ai futuri droni navali ucraini di colpire il ponte di Kerch:

Lungo il ponte di Crimea, sono state immediatamente posizionate 7 chiatte per formare una barriera protettiva contro le imbarcazioni kamikaze senza equipaggio delle Forze Armate dell’Ucraina. Si presume che tra le chiatte saranno tesi anche cavi e catene, creando così una barriera per i BEC nemici, che dovrebbero cadere in questa trappola nel caso di un altro tentativo di colpire il ponte. Il progetto può sembrare strano e primitivo, ma essendo di notte e sotto un fitto fuoco di armi leggere, l’operatore del drone potrebbe semplicemente non accorgersi di dove sta nuotando o manovrare senza successo nel processo di evasione.
Secondo quanto riferito, non solo la Russia ha posizionato delle chiatte lungo il ponte a intervalli precisi, per osservare i droni e forse anche per sospendere una sorta di rete anti-drone tra di esse. Ma si dice anche che la Russia abbia iniziato ad affondare grandi navi vecchie nella baia poco profonda in punti strategici per creare una barriera naturale a basso costo, incanalando qualsiasi potenziale drone in punti stretti e facilmente controllabili.

A titolo di ulteriore esempio, ho scritto di recente della guerra di controbatteria russa e delle lamentele di alcuni fronti sul fatto che la Russia deve fare di più per migliorare le sue capacità di controbatteria, mentre le truppe russe si lamentano del fatto che l’unica minaccia reale e intrattabile che stanno affrontando sono gli incessanti sbarramenti di artiglieria dell’AFU. Riescono a gestire gli assalti dell’AFU, ma l’artiglieria li sta esaurendo.

Cosa fa Shoigu? Il cosiddetto “odiato” ministro della Difesa visita i principali produttori di sistemi di controbatteria russi e chiede loro di aumentare i tassi di produzione:

Mi ricordate perché gli “schizopatrioti” sostengono che sia così terribile? Sta chiaramente facendo il suo lavoro, convertendo le lamentele sul campo di battaglia in risultati immediatamente perseguibili attraverso le catene del MIC.

Infine, mentre l’Ucraina ha messo a segno un attacco trimestrale con danni moderati contro beni che non hanno alcuna attinenza con la SMO, la Russia nello stesso arco di tempo ha devastato gli obiettivi militari effettivi dell’AFU. Ieri sera Kiev ha subito un colpo devastante con missili e droni:

Secondo alcune fonti, sarebbe stato colpito uno scalo ferroviario a Kiev. Sono stati colpiti anche molti altri obiettivi in tutto il Paese, a Cherkasy, Odessa e Zhytomir.

Il giorno prima, gli attacchi russi hanno fatto saltare un treno che trasportava materiale ucraino al fronte nella stazione di Metsalovo, a ovest della città di Donetsk.

Questo si aggiunge agli innumerevoli altri attacchi della scorsa settimana che continuano a distruggere le infrastrutture ucraine.

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Passiamo alla sezione successiva sugli eventi in corso.

Il tema continua a ruotare intorno a nuove grandi mobilitazioni previste per il prossimo futuro dell’Ucraina – alcuni ritengono già all’inizio di settembre:

A causa delle enormi perdite, la mobilitazione totale inizierà in Ucraina dall’inizio di settembre. Prima di tutto, verranno radunati tutti gli uomini in età militare delle imprese statali e commerciali. Lo stesso destino attende gli studenti che arrivano nelle loro università all’inizio dell’anno accademico. I primi “sotto i ferri” andranno in quelle aree che Kiev considera già perse per sé. Regioni dove la popolazione è pronta prima a mettere “in carne”, e poi a radere al suolo città e villaggi con la faccia della terra. Si tratta delle regioni di Chernihiv, Sumy, Kharkiv, Dnipropetrovsk, Odessa, Zaporizhia e Mykolaiv.
Questo è stato supportato dalla pubblicazione di documenti che mostrano come tutte le principali regioni ucraine si stiano preparando per un processo di mobilitazione su larga scala. Come i seguenti:

Ne ho già parlato diffusamente nell’ultimo articolo, ma questo rimane uno dei pochi sviluppi chiave.

Fonti ucraine scrivono che l’Ufficio del Presidente ha approvato i piani e le modalità di una nuova ondata di mobilitazione richiesta dallo Stato Maggiore. Durante l’autunno, 200.000 ucraini dovrebbero essere arruolati nei ranghi delle Forze Armate dell’Ucraina, e altre 300.000 persone sono previste per l’inverno-primavera.
In base a quanto detto, l’obiettivo è di arruolare 200.000 uomini per l’autunno e altri 300.000 per l’inverno. Si tenga presente che, come detto l’ultima volta, ci sono ripetuti rapporti secondo cui l’Ucraina sta attualmente perdendo 10.000 uomini al mese. Quindi, solo per pareggiare i conti, devono scroccare 10.000 uomini dalle strade.

Come è possibile? Beh, per esempio, abbiamo nuovi rapporti da fonti ucraine, come il seguente, che afferma che l’Ucraina sta perdendo 200-500 morti e 500-1500 feriti al giorno. Secondo quanto riferito, ciò si riferisce solo al fronte di Rabotino, senza contare le perdite di altri fronti come Kharkov:

Certo, questo è stato pubblicato il 18 agosto, quando forse le cose erano leggermente più intense, ma 500 morti al giorno x 30 giorni = 15.000 al mese. Dividendo la differenza, ma aggiungendo altri fronti, si può iniziare a capire il costo di rifornimento mensile di 10.000 dollari. Quindi, per ottenere 200k o addirittura 300k, dovrebbero spingere la mobilitazione a nuovi livelli.

Per coloro che potrebbero dubitare di questi numeri dal fronte di Rabotino, ecco anche un piccolo primer su quali forze sono schierate lì:

💥💥💥Il numero di truppe che l’esercito ucraino ha attirato in tre mesi per catturare metà del villaggio di Rabotino:33ª Brigata Meccanizzata Indipendente (OMBr)47ª UMBR65ª UMBR78° Battaglione Indipendente di Supporto Materiale73° Centro Operazioni Speciali Marittime10° Corpo d’Armata: 116° OMbr117° UMBR118° UMBRMaroon Tactical Group:46° Independent Airmobile Brigade71° Independent Jaeger Brigade82° Independent Airborne Assault Brigade132° Independent Reconnaissance Battalion14° UMBR15° UMBR3° Brigata operativa della Guardia NazionaleMercenari stranieri e forze speciali della NATO. Così, 60.000 persone sono state coinvolte nella cattura di un villaggio, di cui la metà è andata persa, insieme a centinaia di pezzi di equipaggiamento.La comprensione della guerra e le abilità tattiche della NATO hanno portato l’Ucraina a questa situazione, e la fine sarà ancora più triste per i Khohol, ma più salutare per tutti.💥💥💥💥
E un altro post dettagliato che descrive quali unità e formazioni russe si stanno opponendo:

Chi combatte contro chi nei pressi di RabotinoIn prima linea nell’attacco ucraino c’è l’82ª brigata separata d’assalto aviotrasportata di Khokhol al comando del tenente colonnello Pavel Raziedinov. Armamento: Il gruppo d’attacco ucraino “Tavria” del generale Tarnavsky è rinforzato con riserve, che hanno permesso all’UAF di ottenere un vantaggio numerico di 4:1, nei veicoli blindati e nell’artiglieria di 3:1. Un rapporto sgradevole, quindi, la 58a Armata russa, i reggimenti della 42a Divisione Fucilieri Meccanizzati delle Guardie, supportati dai soldati marini della 810a Brigata Marine e della 22a Brigata Forze Speciali, hanno iniziato a ritirarsi. In relazione ai tentativi di Khokhol di introdurre ulteriori unità della 46ª Brigata separata aeromobile e della 118ª Brigata meccanizzata, a cui si oppone la nostra 22ª Brigata delle forze speciali e quattro battaglioni di Bars-1, Bars-11, Bars-3 e Bars-14 “Sarmat” hanno anch’essi iniziato a ritirarsi verso est.La 76ª Divisione aviotrasportata delle Guardie è stata trasferita di rinforzo dalla Foresta Serebryansky. Un’unità estremamente agguerrita, il cui comandante ha ricevuto l’onorificenza di Eroe della Russia per aver attraversato la diga di Kakhova. Allora, il 26 febbraio 2022, i paracadutisti si impadronirono di una testa di ponte vicino al Dnieper e respinsero 7 attacchi ucraini, distruggendo più di 20 unità BBM. Poi la divisione si è comportata bene a Kremennaya e Svatovo.

Anche il 1140° Reggimento di artiglieria, il 234° Reggimento Guardie e il 247° Reggimento Torun sono arrivati per aiutare i loro colleghi.Potete immaginare che tipo di falciatura sta avvenendo. Sul fatto che siano rimaste più di 120 unità di equipaggiamento nemico in un terreno di 6 chilometri, molti hanno già sentito parlare”.

La cosa importante da notare è che, dopo l’infame recente “scontro” tra Zelensky e la leadership della NATO sullo spreco e la dispersione delle sue forze, ci sono state segnalazioni che Zelensky/Zaluzhny hanno ora tentato di acconsentire in qualche modo alle richieste dei loro padroni. Ciò significa che i rinforzi sono stati tolti dall’area di Bakhmut/Klescheyevka e inviati a Rabotino per formare una punta di diamante ancora più grande.

Per Rabotino questa è stata una brutta notizia, ma i ragazzi di Klescheyevka hanno goduto di una breve e gradita tregua e riferiscono che il fronte è stato “tranquillo” per loro dopo questi riorientamenti.

Tuttavia, anche dopo tutte queste spese, fonti russe in prima linea riferiscono che Rabotino, pur essendo stata abbandonata, non è ancora stata catturata dall’AFU e si trova ora in una zona grigia dalla quale potrebbe non emergere. Una delle ragioni è che, come nel caso di Staromayorsk e di altre città, è ormai così distrutta che non ci sono molti posti dove nascondersi. Così, quando le unità dell’AFU si spostano, vengono bombardate dall’artiglieria russa e sono rapidamente costrette a fuggire.

Il focoso ex generale russo e ora deputato della Duma, Gurulev, ha apertamente sostenuto di aver bombardato Rabotino, mentre l’enorme massa di forze AFU descritta in precedenza è “ammassata” nell’area:

Allo stesso modo, sull’asse Staromayork e Urozhayne a est, Pushilin conferma come l’Ucraina non sia ancora in grado di controllare nessuno dei due villaggi per le stesse ragioni sopra citate, e sia costretta a cercare di circoscriverli ai fianchi orientali:

Come si vede nella mappa di Rabotino postata sopra, l’AFU sta cercando di fare lo stesso avvolgendosi verso Verbove piuttosto che occupare Rabotino.

Il colonnello Reisner, analista militare austriaco, ha dato una valutazione negativa, affermando che la NATO non ha mai visto simili fortificazioni difensive dalla battaglia di Kursk:

Per tornare alla questione, anche la Bild parla dell’imminente mobilitazione dell’Ucraina:

Detto questo, il ministro della Difesa Reznikov ha per ora negato i piani per una nuova mobilitazione, ma la sua parola non vale la carta igienica su cui è scritta.

Forse la Russia sta aspettando di vedere quanti uomini l’Ucraina riesce a pescare per decidere se ha bisogno di una mobilitazione? Dopo tutto, alla Russia piacerebbe non dover fare una mobilitazione se non ce n’è bisogno. Ma se l’Ucraina riuscisse a pescare davvero 500.000 uomini (cosa dubbia) potrebbe non avere scelta. In definitiva, potremmo assistere a un’altra ripetizione dell’anno scorso: entrambe le parti si mobilitano pesantemente durante l’autunno e l’inverno per prepararsi alle grandi azioni di primavera.

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Il mondo sta cambiando velocemente. Il prossimo anno o due promette di essere potenzialmente il più importante e ricco di eventi di tutta la nostra vita. Non solo si avvicina una storica elezione americana che potrebbe culminare in una guerra civile, ma la scena geopolitica globale sta assistendo alla ristrutturazione più significativa degli ultimi decenni.

Il Paese africano del Gabon è diventato l’ultimo a subire un colpo di Stato anticoloniale e potrebbe esserci lo zampino russo-cinese, perché la confluenza di tali eventi non può essere una semplice “coincidenza”. Il presidente gabonese ha lanciato un appello disperato, pregando la Francia e il mondo occidentale di salvarlo:

I cittadini del Paese sono scesi in campo a sostegno delle truppe della giunta:

Ora si dice che il Camerun stia per subire un colpo di Stato e che la sua leadership stia già procedendo a un rimpasto d’emergenza delle alte sfere militari per evitarlo.

Tuttavia, altri rapporti sostengono che il colpo di Stato in Gabon sia solo un’azione degli imperialisti occidentali, in quanto il leader della giunta, secondo alcuni, è stato preparato dagli Stati Uniti e rappresenta gli interessi americani:

Ma perché un generale filo-americano ha rovesciato un presidente filo-francese? I vertici della DGSE, l’intelligence francese, lo spiegano con il fatto che, secondo gli americani, le autorità francesi non sono più in grado di proteggere efficacemente gli interessi dell’Occidente collettivo, compresi gli Stati Uniti, nel territorio sotto il loro controllo. Pertanto, la Casa Bianca ha deciso di prendere in mano la situazione e di sottrarre l’iniziativa ai francesi.
Nel frattempo, la giunta nigerina ha tagliato l’acqua e i rifornimenti al consolato francese che si è rifiutato di lasciare il Paese, sostenendo di prendere ordini solo dal presidente “legittimo”.

Il fatto che questi movimenti storici arrivino sulla scia degli importanti sviluppi dei BRICS significa che entro il prossimo anno il mondo sarà stato ridisegnato, con le potenze occidentali in declino come mai prima d’ora.

Questo per dare un po’ di prospettiva agli eventi in corso dell’OMU russa. Sebbene alcuni possano ritenere che i progressi siano lenti, io rimango dell’idea che gli eventi dell’OMU siano solo lo sfondo minore delle vere macchinazioni che Putin e altri stanno portando avanti dietro le quinte del quadro geopolitico globale.

Ad esempio, pare che la Russia abbia già iniziato a spedire nuovi container all’Arabia Saudita passando per l’Iran, in una nuova sorta di one belt one road:

1) Quando l’Egitto entrerà a far parte dei BRICS, il Canale di Suez, una delle rotte commerciali più importanti, sarà essenzialmente sotto la loro influenza.2) Inoltre, è stato avviato un secondo corridoio di trasporto con l’Iran. Il primo treno di transito, composto da 36 container con merci, è entrato in Iran attraverso il punto di controllo del confine Inche-Burun. La nuova rotta logistica rende il trasporto dalla Russia ai Paesi asiatici due volte più veloce e anche più economico. L’India ha investito circa 2,1 miliardi di dollari nel progetto, ma parte del carico sarà destinato ad altri Paesi, tra cui l’Arabia Saudita. Il progetto del corridoio di trasporto Nord-Sud è stato sviluppato nel 2000 come alternativa alle consegne attraverso il Canale di Suez.

L’Occidente si trova ora in una situazione di perdita. Anche se appoggiasse un’azione militare dell’ECOWAS contro il Niger o altri, ad esempio, esporrebbe una grande ipocrisia non solo ai Paesi africani ma anche al resto del mondo, che non farebbe altro che abbassare ulteriormente la posizione dell’Occidente, spingendo altri Paesi a staccarsi da loro e ad aderire al nuovo ordine multipolare. Non solo l’Occidente mostrerà il suo nudo colonialismo, ma verrà messo in luce il modo in cui sostiene ipocritamente un’azione militare contro una nazione sovrana in Africa, mentre condanna la stessa identica azione in Ucraina. Ricordiamo che le azioni della Russia possono essere considerate come un intervento di un colpo di Stato illegale che ha spodestato il leader ucraino democraticamente eletto; come può l’Occidente condannare il colpo di Stato in Africa e sostenerne l’inversione attraverso un’azione militare, mentre sostiene il colpo di Stato in Ucraina e condanna l’azione militare per invertire il colpo di Stato?

Altri movimenti continuano in tutto il mondo:

Il prossimo passo dell’Asia lontano dal dollaroIl Vietnam, le Filippine e il Brunei si uniranno alle altre principali economie del Sud-Est asiatico in un sistema di pagamento interconnesso con codice QR che mira a ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense – riporta Nikkei. (https://asia.nikkei.com/Economy/Vietnam-Philippines-and-Brunei-to-join-cross-border-QR-payment-scheme)Indonesia, Tailandia, Malesia e Singapore hanno già aderito alla stessa iniziativa.I pagamenti attraverso il sistema saranno effettuati in valuta locale, il che significa che i pagamenti in Tailandia che utilizzano l’applicazione indonesiana saranno direttamente scambiati in rupie e baht, evitando il dollaro USA come intermediario.Successivamente, le banche centrali cercheranno di collegare questa rete con altri cluster regionali in tutto il mondo, e di portare la stessa struttura ai trasferimenti bancari in tempo reale e persino alle valute digitali delle banche centrali.

Ecco l’interessante punto di vista di un analista sulle azioni che l’Occidente disperato sta intraprendendo come ultimo tentativo di aggrapparsi al proprio potere che sta scivolando. Egli ritiene che si stia passando a una forma di “meta-colonialismo” o di ultra-regionalizzazione dell’intero globo, e fornisce una ricetta per contrastare questo fenomeno da parte della Russia:

***Sempre più spesso, con il pretesto della lotta anticoloniale, l’Occidente propone ogni sorta di divisione degli Stati storici: vorrebbe dividere Paesi come l’Iran, la Cina, la Russia, l’India, ecc. Dopo il declino del colonialismo e del neocolonialismo, l’Occidente si sta preparando al “meta-colonialismo”: vuole distruggere e regionalizzare l’intero territorio della Terra, pur rimanendo un’entità politica relativamente grande. Stanno spostando il loro cardone sanitario orientale verso le nostre terre storiche, schiacciandoci fuori dall’Europa. Il loro algoritmo: un grande Stato – gli Stati Uniti> uno Stato medio – la Francia> un piccolo Stato – la Polonia> un’inezia – la Lettonia> una regione senza Stato dell’Ingermanland e così via. Questa è la loro visione del XXI secolo. E cosa possiamo opporre al metacolonialismo? Come dovrebbe essere la mappa del mondo dal nostro punto di vista? L’unica salvezza per noi sarà il consolidamento e la costruzione di un impero. La nostra mappa del mondo dovrebbe essere così: 1. Unione Russa – da Brest a Varsavia. Unione russa – da Brest a Vladivostok (Bielorussia, Russia, Ucraina, Kazakistan). 2. Trasferimento del cordone sanitario tra noi e l’Occidente sul territorio dell’Europa orientale e meridionale. 3. Creazione di grandi Stati slavi amici sul territorio dell’insediamento storico degli Slavi! Cioè grandi Stati federali.4. Grande Jugoslavia (ex Jugoslavia + Bulgaria + Macedonia + Romania) ancorata intorno alla Serbia.5. Grande Slavia occidentale (ex DDR + Polonia + Cecoslovacchia + Ungheria + Ucraina occidentale e Transcarpazia) basata su ungheresi, tedeschi dell’Est e… polacchi, per forza. Polacchi, non c’è da stupirsi.6. Regionalizzazione dell’Europa occidentale e dell’Occidente nel suo complesso. Baviera, Linguadoca, Galizia, Scozia, Piemonte e Repubblica del Texas.Solo una simile costruzione salverà il mondo dal metacolonialismo. Solo una simile costruzione salverà il mondo dal metacolonialismo e stabilirà una pace e una tranquillità durature nel nostro continente. I sogni si avverano. Tra 50 anni, la mappa sarà esattamente come questa.

Ricordiamo il pazzoide Fehlinger, legato alla NATO, di cui ho pubblicato l’ultima volta l’appello a rompere il Brasile:

Non sono sicuro di essere d’accordo sul fatto che le potenze orientali spingeranno o otterranno la stessa balcanizzazione dell’Occidente che l’Occidente tenta di fare su di loro, ma certamente chiunque può vedere che il centro del potere si sta spostando rapidamente e drasticamente a Est.

Se si sommano tutti gli ultimi sviluppi, si capisce che l’Occidente è in pericolo. Il problema dell’Occidente è che ha sempre vissuto grazie alle risorse naturali, e in seguito alla produzione, di altri, mentre si trasformava lentamente in un’economia di servizi sviluppata. Per raggiungere questo obiettivo hanno dovuto tenere sotto il loro controllo tutte le nazioni in via di sviluppo ricche di risorse naturali. È affascinante vedere quanti roditori imperialisti si liberano quando si scuote la nave. Per esempio, non appena si è verificato il colpo di Stato in Gabon, sono immediatamente giunte notizie di lavoratori francesi del conglomerato petrolifero Total che sono stati mandati via dal Paese, così come di interruzioni per la società mineraria francese Eramet. L’immenso strapotere imperialista dell’Occidente è sopravvissuto sotto il nostro naso, si è mescolato all’ambiente e alcuni stanno scoprendo solo ora quanto abbia pervaso completamente il continente africano. Ogni nazione africana è invasa da militari occidentali, grandi conglomerati petroliferi occidentali, ecc.

È per questo che ora l’Occidente morente si sta disperatamente affannando a fare a pezzi l’Ucraina come gli avvoltoi con le carcasse:

Pare che la Francia abbia persino implorato o costretto l’India a porre il veto sull’Algeria al vertice dei BRICS. Hanno il terrore di perdere di più:

Una piccola consolazione e vittoria per loro, ma nulla in confronto a ciò che stanno perdendo attualmente e a ciò che i BRICS hanno guadagnato in generale. Al vertice dell’anno prossimo non potrà che crescere e forse per allora l’Algeria avrà già aderito, nonostante le lamentele dell’Occidente sempre più irrilevante.

In effetti, Rybar riferisce che ora i Balcani cominciano a manifestare interesse per l’adesione ai BRICS:

Sullo sfondo delle dichiarazioni sull’espansione dell’organizzazione internazionale dopo il recente vertice di Johannesburg, ci sono state richieste di adesione da parte della penisola balcanica.▪️ Il partito serbo “Movimento dei Socialisti” ha recentemente proposto di iniziare a lavorare per l’adesione ai BRICS. I suoi deputati invieranno al Parlamento una bozza di risoluzione, secondo la quale l’adesione ai BRICS diventerà per la Serbia “una chiara alternativa al cosiddetto percorso verso l’Unione Europea”. Il partito è in coalizione con il Partito progressista serbo (SNS) al governo ed è guidato da Alexander Vulin, che è anche a capo del dipartimento di intelligence della BIA. ▪️ Dopo Vulin, che di recente è stato inserito nella lista delle sanzioni statunitensi a causa della sua posizione apertamente filorussa e del suo euroscetticismo, anche il presidente della Republika Srpska, un’entità all’interno della Bosnia-Erzegovina, ha chiesto (https://t.me/rtbalkan_ru/2366) di aderire ai BRICS.Secondo Milorad Dodik, da Bruxelles arrivano sempre nuove e poco chiare condizioni per l’adesione all’UE. Secondo Milorad Dodik, da Bruxelles arrivano sempre nuove e poco chiare condizioni per l’adesione all’UE. “I BRICS ci accetteranno prima dell’UE”, ha ironizzato il leader dei serbo-bosniaci, che ha promesso di inviare alle autorità della Bosnia-Erzegovina una proposta per prendere in considerazione l’iniziativa nei prossimi giorni 🔻 Tuttavia, la Serbia e la Republika Srpska sono ben lungi dall’essere le uniche nell’ex Jugoslavia ad essere indignate per il prolungarsi del processo di integrazione europea. Il forum “Solidarietà per la sicurezza globale” si è tenuto di recente sul pittoresco lago sloveno di Bled. Il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel si è impegnato ad accogliere nuovi membri dell’UE entro il 2030, ma le dichiarazioni dei leader balcanici sono un’indicazione piuttosto chiara del livello di scetticismo generale.▪️ Come ha giustamente affermato il Primo Ministro serbo Ana Brnabic, “i confini della porta per segnare un gol” si spostano continuamente. Il primo ministro albanese Edi Rama, commentando il prolungato processo di integrazione europea, ha cercato di essere ancora più spiritoso. “Sembra che ci stiamo trascinando in un autobus, ma è comunque preferibile a un aereo russo”. Un collega di Rama e Brnabic della Macedonia settentrionale ha citato i sondaggi d’opinione, secondo i quali il numero di cittadini contrari all’adesione all’UE ha già raggiunto l’80% della popolazione del Paese. Approssimativamente gli stessi indicatori sono stati ottenuti dai sociologi come risultato di recenti sondaggi in Serbia, e il numero di euroscettici cresce ogni giorno. Quindi la questione di indire un referendum sull’adesione ai BRICS non sembra più una fantasia dei sognatori e potrebbe diventare una realtà nel prossimo futuro.
Ora Putin ha accettato di organizzare un importante forum sulla cintura e la strada in Cina a ottobre, che consoliderà ulteriormente gli sviluppi:

Per chi fosse interessato, alla luce dell’avventura ucraina presto persa dall’Occidente, Pepe Escobar ha un nuovo articolo su dove convergerà il prossimo “grande gioco” delle potenze occidentali. A suo avviso, si tratta dell’Asia centrale, in particolare del Kazakistan. Si può notare quanto siano profondi gli artigli dell’Occidente in questo Paese ricco di risorse:

Come ho detto, le cose si stanno muovendo velocemente mentre l’Occidente si affanna nel panico per rimanere aggrappato.

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Alcuni ultimi elementi disparati.

Il tenente generale russo Viktor Sobolev ha dichiarato che Wagner “cesserà di esistere”:

🇷🇺‼️ “Il Gruppo Wagner cesserà di esistere. I combattenti potranno passare alla vita civile o firmare un contratto con il Ministero della Difesa”. -Tenente generale Viktor Sobolev. “Si tratta di una formazione armata illegale <…> Nello Stato non dovrebbero esserci persone armate che non sono subordinate allo Stato. Di conseguenza, questo ha portato a una ribellione. Eravamo sull’orlo di una guerra civile”, ha dichiarato il deputato della Duma di Stato, precisando che solo i wagneriani che non hanno partecipato alla ribellione possono firmare un contratto con il Ministero della Difesa.
Questo arriva in un momento interessante, in cui le voci su tutto ciò che riguarda Wagner continuano a girare. L’Occidente si appassiona a teorie assurde:

Ma a volte non sembrano così folli, come oggi che un canale affiliato a Wagner ha pubblicato un video che mostra Prigozhin, secondo quanto riferito, il 20 agosto in Africa, pochi giorni prima del suo fatidico volo di ritorno a Mosca, dove poi è morto. Nel video afferma alcune cose inquietanti sulla sua “liquidazione”:

Dato che è un uomo predisposto a travestimenti e inganni di ogni genere, si può davvero ritenere inverosimile che la sua morte presunta non sia come sembra? Dopotutto, molti hanno osservato che c’era qualcosa di “strano” nel suo funerale, tenuto rapidamente e coperto a San Pietroburgo, che ha visto relativamente pochi partecipanti. Per non parlare del fatto che il luogo dello schianto dell’aereo sarebbe stato rimosso dai bulldozer.

Ecco come appare oggi il luogo dello schianto dell’aereo di Yevgeny Prigozhin. Per qualche motivo, tutto il terreno è stato rimosso dai bulldozer e portato fuori“.
Ci sono già state segnalazioni di avvistamenti di Prigozhin in Mali, quasi certamente false. Ma ricordiamo che Prigozhin era stato definito morto in un altro incidente aereo del 2019 in Congo, per poi riemergere vivo. Il conflitto ha visto alcuni dei più strani colpi di scena del nostro tempo: non mi sorprenderà vedere le cose prendere un’altra bizzarra piega lungo la linea.

Per chi è interessato alla chiusura della saga:

 

Il leader della Compagnia Militare Privata Wagner, Evgeny Prigozhin, è stato deposto nel cimitero di Porokhovskoye a San Pietroburgo. La cerimonia funebre si è svolta a porte chiuse, con la presenza solo di parenti e amici stretti di Prigozhin.

La lapide che si trova sulla sua tomba è un brano tratto da Brodsky poem:

“..La madre dice a Cristo:
– Sei mio figlio o mio Dio? Sei inchiodato alla croce. Come farò a tornare a casa? Come varcherò la soglia senza capire, senza decidere se sei mio figlio o Dio. Sei morto o vivo?
Le risponde:
– vivo o morto, non fa differenza. Figlio o Dio, sono tuo”…
🙏🏼🕯️❤️

Utkin sarà sepolto oggi 31 agosto nel cimitero nazionale di Mytishchi a Mosca, dopo tutto era un vero e proprio soldato russo decorato prima del suo incarico di Wagner.

I politici americani continuano a sostenere che usare gli ucraini come carne da cannone per combattere la Russia senza dover rischiare le truppe americane è l’ideale, ed è la vera ragione della guerra:

Nel frattempo, sul tema delle opinioni occidentali piuttosto ripugnanti, abbiamo la continua caratterizzazione degli attacchi terroristici a Mosca come accettabili:

Per un giornale statunitense pubblicare letteralmente la foto di un grattacielo danneggiato da un attacco kamikaze insieme a un titolo positivo o di accettazione è l’apice dell’ipocrisia.

Ma cosa ci si può aspettare da queste persone?

Il prossimo:

Mentre l’Ucraina gongola per aver colpito alcuni aerei vuoti, la Russia ha in realtà effettuato un serio logoramento dei piloti ucraini di recente. C’è stata una serie di abbattimenti con la perdita di molti piloti:

Questo avviene solo due giorni dopo la notizia che alcune acrobazie ucraine nell’ovest del Paese hanno causato la morte di tre piloti importanti e decorati quando i loro aerei da addestramento L-39 si sono schiantati l’uno contro l’altro:

Infine, i cinesi continuano a mostrare il loro sostegno, sia in modo palese sia in modo sottile, all’OMR russo:

🇷🇺🇨🇳China sostiene la Russia! A Blagoveshchensk, che si trova al confine con la Cina, i residenti hanno visto questa composizione. La cosa più interessante è che è stata realizzata dai cinesi e mostra la nostra parte dall’altra parte del confine.

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Giacomo Gabellini

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Giacomo Gabellini. Nella voce “dossier” sulla barra orizzontale abbiamo creato una apposita raccolta. Buona lettura, Giuseppe Germinario

  • Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Credo che le ragioni degli sbalorditivi errori di calcolo compiuti siano da attribuire al senso di onnipotenza che ha pervaso le classi dirigenti statunitensi a partire dal collasso dell’Unione Sovietica. Questa percezione distorta ha atrofizzato il pensiero critico e alimentato un sostanziale disinteresse per il resto del mondo; il conformismo dilagante che ne è scaturito ha pregiudicato la capacità sia di formulare valutazioni realistiche delle potenzialità proprie e del nemico, sia di comprendere le implicazioni strategiche delle proprie scelte politiche. Hanno quindi trasformato deliberatamente la questione ucraina da crisi regionale in sfida esistenziale per la Russia, senza rendersi pienamente conto dei pericoli che comporta la decisione di mettere con le spalle al muro quello che si configura come il Paese più grande del mondo dotato di oltre 6.000 testate atomiche e vettori ipersonici in grado di trasportarle verso l’obiettivo. Hanno quindi sottovalutato la capacità industriale, la coesione sociale, le competenze tecnologiche e la forza militare latente della Federazione Russa, sovrastimando allo stesso tempo la propria capacità di condizionamento e dissuasione nei confronti dei Paesi terzi, l’impatto delle sanzioni, le implicazioni della sempre più spiccata tendenza a “militarizzare” il dollaro e i circuiti attraverso cui circola la moneta Usa. Si sono quindi illusi di strangolare l’economia russa come avevano fatto con quella cilena negli anni ’70, di poter agevolmente convincere il resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria orchestrata dall’Occidente contro la Federazione Russa e di infliggerle una sconfitta strategica sul campo di battaglia contando sulla presunta superiorità della propria dottrina militare, oltre che dei propri sistemi d’arma. Nei confronti della Cina hanno commesso errori di calcolo paragonabili, se non peggiori. Hanno ritenuto di poterla “occidentalizzare” includendola nell’ordine globalizzato, e quindi favorendo il trasferimento dei migliaia di stabilimenti produttivi presso la principale potenza demografica al mondo, che nel corso dei millenni è rimasta straordinariamente fedele a se stessa facendo affidamento su un bagaglio culturale inestimabile. Hanno quindi posto le condizioni per la trasformazione di un Paese poverissimo in una superpotenza a tutto tondo, con intenti palesemente anti-egemonici. Un risultato sbalorditivo.

 

  • Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Credo si tratti del frutto avvelenato di un processo di “imbarbarimento” culturale generalizzato. Negli Stati Uniti, il concetto paretiano di “circolazione delle élite” ha trovato applicazione fino a degenerare nel ben noto sistema delle “porte girevoli” (revolving doors), già analizzato a suo tempo da Charles Wright Mills nel suo eccellente Le élite del potere. Militari, politici, banchieri e finanzieri che passano con grande disinvoltura dal pubblico al privato e poi di nuovo al pubblico, dando origine a grovigli di interessi particolari profondamente confliggenti con quelli della nazione nel suo complesso. La funzione politica diviene così ostaggio del più bieco affarismo, che si esprime sotto forma di peculiarissimo sodalizio che l’ex analista della Cia Ray McGovern ha definito “Military-Industrial-Congressional-Intelligence-Media-Academia-Think-Tank Complex”, in cui la circolazione del denaro per via tangentizia interconnette i mezzi di comunicazione di massa, le università, i “pensatoi”, le agenzie spionistiche e il Congresso orientando le direttrici strategiche del potere pubblico. L’enormità degli sforzi profusi in propaganda al fine di modellare l’opinione pubblica interna e “costruire consenso” a livello domestico dà la misura del livello di corruzione raggiunto dagli Stati Uniti, che a mio avviso tendono a somigliare sempre di più all’Unione Sovietica degli anni ’80. Ultimamente, quando rifletto sull’entità del degrado che orai caratterizza gli Usa, mi sovvengono spesso le amare valutazioni formulate in quel periodo da Nikolaj Ivanovič Ryžkov, ex ufficiale e politico sovietico, in riferimento al suo Paese.  «L’ottusità del paese – affermò Ryžkov – ha raggiunto un picco: dopo, c’è solo la morte. Nulla è fatto con cura. Rubiamo a noi stessi, prendiamo e diamo mazzette, mentiamo nei nostri rapporti, sui giornali, dal podio, ci rivoltoliamo nelle nostre menzogne e intanto ci conferiamo medaglie a vicenda. Tutto questo dall’alto in basso, e dal basso in alto».

 

  • La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Direi di sì. Intendiamoci; l’Occidente ha ancora numerose frecce al proprio arco, ma mi pare stia scivolando ormai irreversibilmente su un ripidissimo piano inclinato. Come ho cercato di spiegare nei miei lavori, il conflitto russo-ucraino ha palesato urbi et orbi l’inaffidabilità dell’“occidente collettivo” e l’arbitrarietà del cosiddetto “ordine basato su regole” (rules based order) di cui i portavoce di Washington magnificano senza sosta le inesistenti virtù. Ma soprattutto, ha messo a nudo la debolezza strutturale degli Stati Uniti e la falsa coscienza delle classi dirigenti euro-statunitensi, le quali inquadrano il conflitto russo-ucraino come scontro tra democrazie e autocrazie mentre il resto del mondo lo vede come una guerra per procura tra Nato e Russia, che vede quest’ultima tenere testa dal punto di vista sia economico che militare all’intera Alleanza Atlantica. Sono molto d’accordo con Emmanuel Todd, secondo cui «la resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della Nato. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato. Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti». Agli Stati Uniti occorrerebbe un “adattamento morbido” a un mondo in rapida evoluzione, ma il Paese non dispone di apparati dirigenti all’altezza del compito.

 

  • Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

La riscoperta delle radici culturali ha permesso a Cina e Russia di erigere “grandi muraglie” sufficientemente robuste da resistere all’ostinato tentativo tutto statunitense di occidentalizzare il mondo intero. Il recupero del passato costituisce uno strumento formidabile per entrambi questi Stati-civiltà, in un’ottica di affermazione della propria identità differenziata rispetto alle altre, e di compattamento della società attorno a valori millenari specifici. Credo che “innestare” queste tradizioni in una società moderna rappresenti un compito difficile a livello generale, ma che per nazioni come Cina e Russia possa risultare molto meno arduo perché si tratta di Paesi che non hanno mai realmente rinnegato il proprio passato. In un modo o nell’altro, i capisaldi di entrambe le culture sono sempre riemersi, anche quando sono stati sottoposti a prove durissime come la Rivoluzione Culturale o i progetti trockysti miranti alla creazione del cosiddetto “uomo del futuro”. La deriva nichilistica dell’Occidente rende invece particolarmente difficile l’attuazione di un processo di rivalutazione del passato analogo a quello realizzato da Cina e Russia.

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Alessandro De Carolis Ginanneschi, Il liberalismo, questo illustre sconosciuto _ di Teodoro Klitsche de la Grange

Alessandro De Carolis Ginanneschi, Il liberalismo, questo illustre sconosciuto, Ergo Sum Editore, Grosseto 2023, pp. 92, € 9,00.

Quanto mai utile questo agile libretto in un’epoca in cui di sedicenti liberali ce ne sono tanti, per il motivo che, essendo crollato nel 1989-1991 il comunismo, gran parte della sinistra si è riconvertita (spesso a parole) ad un asserito e rivisitato liberalismo che, dell’originale, conserva solo alcuni (e limitati) profili, per lo più in stretta correlazione con le minoranze che “tutela”. Lo scrive l’autore nella “premessa” “La constatazione che da troppo tempo molti parlano a sproposito del Liberalismo, convinti tra l’altro si tratti di una ideologia quando invece è un metodo, mentre molti si dichiarano liberali pur senza esserlo – anzi esprimendo idee e promuovendo politiche o comportamenti che liberali non sono, mi ha indotto a scrivere questo riassunto di riflessioni altrui”.

Peraltro già del liberalismo classico se  ne hanno più “versioni” distinte, anche se vicine.

Ad esempio quella sintetizzata dall’alternativa “Parigi o Filadelfia?”, onde liberalismo anglosassone o continentale? La preferenza dell’autore va alla declinazione anglosassone, che articola in una  serie di opposizioni. Antropologica: l’uomo è “legno storto” o “buon selvaggio”? Istituzionale: “rule of law” o “Stato di diritto”?. Common law (diritto consuetudinario) o legge (diritto statuito dal legislatore). Ognuna di queste alternative “parigine”, anche se in misura diversa, rischia di tradursi in un depotenziamento della libertà a favore di un potere statale pervasivo e opprimente. Nonostante le migliori intenzioni: forse non è un caso che la situazione odierna, malgrado quelle, somigli assai alla descrizione profetica che Tocqueville fa del “dispotismo mite”: un potere paternalistico che tratta i cittadini come bambini da rieducare. Anche l’Unione europea non è immune da tale menda. Come scrive De Carolis “Nell’attualità, sono sempre più convinto che un altro giacobinismo ci minaccia, ovvero quello del super-Stato europeo in mano ad una classe più burocratica che politica, e quindi svincolata dalle volontà dei propri cittadini/sudditi; mentre lo stiamo costruendo, lo Stato liberale e federale all’anglosassone sembra invece essere il modello che l’Europa, per essere davvero unita in armonia, dovrebbe seguire”: l’alternativa quindi non è tanto tra Stati nazionali e unioni superstatali, che andrebbero contemperati, ma tra bulimia del “pubblico” e garanzia del privato, presente sia a livello statale che sovrastatale, sia tra sovranisti che globalisti.

Il libro è completato da una serie di documenti: dalla dichiarazione dei diritti del 26/08/1789 al Manifesto di Oxford del 1947 (ed altre) che testimoniano, anche se sinteticamente, del perdurare del nucleo fondamentale del liberalismo in oltre due secoli.

Nel complesso un libro per chiarirsi le idee nella confusione imperante (e spesso artatamente intensificata). Particolarmente opportuno in una nazione, come l’Italia, che negli ultimi trent’anni ha visto una costante riduzione degli ambiti di libertà reale a favore del potere pubblico, presentati come un processo di “liberazione” e (addirittura)  come “fine della storia”. Un farmaco contro la weberiana eterogenesi dei fini.

Teodoro Klitsche de la Grange

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POTERI INVADENTI, POTERI INVASIVI, POTERI DECADENTI_Con Augusto Sinagra

Le vicende politiche italiane degli ultimi quaranta anni hanno conosciuto una costante: la crescente influenza e determinazione delle scelte politiche da parte del Presidente della Repubblica. Un’opera che, svolta discretamente e spesso contrastata sino agli anni ’80, ha finito per imporsi progressivamente e platealmente. Da figura prevalentemente di garanzia degli equilibri tra istituzioni si è trasformata in soggetto (iper)attivo. Un processo che non a caso accompagna il peso crescente di particolari ordinamenti, nella fattispecie il giudiziario, e una dinamica di feudalizzazione dei gruppi di poteri e decisionali interni allo stato. Un garante, quindi, dell’indiscutibilità del sistema di alleanze internazionali cui è assogettato il paese e della conservazione degli attuali centri decisori a qualunque costo, tanto più a dispetto della evidente necessità e volontà di cambiamento confusamente espressa in questi anni. Il paradosso è che a sostenere questa trasformazione surrettizia e degradante degli assetti istituzionale sono quelle forze politiche che ipocrritamente da anni strillano allarmate contro una svolta presidenzialista in qualche modo regolamentata normativamente. L’apoteosi di una politica dei colpi di mano e di un ceto politico e dirigente decadente, autocratico ed autoreferenziale, esiziale per le sorti della nazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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