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Il ruolo principale dell’Iran nella transizione sistemica globale lo rende un obiettivo primario di guerra ibrida, di Andrew Korybko
Il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti sostiene apertamente l’ultimo tentativo di Rivoluzione Colorata contro l’Iran, che sfrutta le percezioni nazionali e internazionali su un recente incidente collegato alla sua politica obbligatoria dell’hijab per giustificare un altro round di guerra ibrida . Come ho spiegato in dettaglio al Young Journalists Club iraniano nel novembre 2019, ” La guerra ibrida sostenuta dagli Stati Uniti mira a destabilizzare il tuo paese ” esacerbando le linee di frattura preesistenti all’interno della società, che in questo caso include uno dei suoi atti legislativi più noti, al fine di catalizzare un ciclo di destabilizzazione autosufficiente.
È quindi possibile per gli osservatori riconoscere simultaneamente legittime rimostranze dal punto di vista di alcuni dei partecipanti a questi ultimi disordini, concludendo anche che i mezzi che stanno impiegando per riformare l’atto legislativo mirato sono contrari agli interessi oggettivi del loro paese. Questo rende la stragrande maggioranza dei partecipanti “utili idioti” di potenze straniere mentre altri sono veri e propri “agenti di influenza”. Alcuni sono anche certamente sul libro paga di agenzie di intelligence ostili. In quanto tale, le dinamiche socio-politiche in atto sono sia organiche che artificiali.
L’ultima instabilità che ha scosso l’Iran arriva in un momento significativo nella transizione sistemica globale al multipolarismo dopo che la confluenza di questi complessi processi è accelerata a seguito dell’ultima fase del conflitto ucraino provocata dagli Stati Uniti, scoppiata a fine febbraio. Da allora la Repubblica islamica è diventata parte dell’insostituibile valvola dell’India dalla pressione occidentale sulla Russia – che è guidata dalla sua grande necessità strategica di scongiurare preventivamente la dipendenza potenzialmente sproporzionata del suo partner dalla Cina – attraverso il rilancio congiunto del corridoio di trasporto nord-sud (NSTC).
In effetti, quei tre stanno ora attivamente lavorando insieme per creare informalmente un terzo polo di influenza in quello che può essere descritto come l’ ordine mondiale bipolare . Questo paradigma si riferisce alle superpotenze americane e cinesi che esercitano la maggiore influenza sul sistema internazionale, seguite da grandi potenze come quelle tre, al di sotto delle quali ci sono stati relativamente di medie e piccole dimensioni con quasi nessuna influenza. Ci si aspetta che tutti e tre i livelli entrino in vari gradi di cooperazione con gli stati all’interno dei loro ranghi e oltre, il che alla fine porterà a una complessa multipolarità (“multiplessità”).
Prima di ciò, tuttavia, questa emergente Troika di Russia, India e Iran prevede di aprire la strada a una forma di tripolarità in Eurasia per facilitare la fase finale della transizione sistemica globale in corso. Russia e India non possono farlo da sole per ovvi motivi geografici che limitano notevolmente il loro reciproco potenziale economico, ergo la necessità che entrambe facciano affidamento sull’Iran a tal fine. Dal grande punto di vista strategico degli Stati Uniti, è quindi assolutamente imperativo rimuovere l’Iran da questo asse multipolare trilaterale per “isolare” la Russia, riportare l’India sotto il suo controllo e preservare così la sua egemonia in declino.
La Russia sarebbe costretta ad accettare accordi sbilanciati con la Cina per disperazione se non potesse fare affidamento sull’India per fungere da valvola di pressione alternativa attraverso l’NSTC se questo megaprogetto fosse reso impraticabile a causa di un ciclo autosufficiente in stile siriano di Hybrid Guerra in Iran. L’India, nel frattempo, non sarebbe in grado di fare affidamento sulla Russia per funzionare come uno dei nuclei del terzo polo di influenza che la sua leadership prevede di creare senza la connettività geoeconomica abilitata dall’Iran. La stabilità iraniana è quindi centrale per le loro grandi strategie complementari.
Di conseguenza, la Russia diventerebbe il “partner junior” della Cina in questo scenario peggiore, il che eserciterebbe enormi pressioni sull’India affinché diventi il ”partner junior” degli Stati Uniti al fine di proteggersi dalla minaccia percepita rappresentata dalla Repubblica popolare una superpotenza attraverso l’accesso illimitato alle risorse russe. Questo risultato perpetuerebbe indefinitamente l’attuale fase intermedia bipolare della transizione sistemica globale alla multiplexità, che opera contro i grandi interessi strategici di queste due grandi potenze così come i loro partner iraniani condivisi.
È con questo obiettivo in mente che il Golden Billion sta facendo del suo meglio per garantire che l’ultimo tentativo di Rivoluzione Colorata in Iran arrechi il massimo danno alla stabilità del suo obiettivo, il tutto nell’ottica di rendere impraticabile l’NSTC e quindi strangolare questa Troika multipolare emergente nella sua infanzia. In poche parole, l’Iran è arrivato inaspettatamente a svolgere un ruolo fondamentale nella transizione sistemica globale alla multipolarità attraverso i mezzi che sono stati spiegati in questa analisi, motivo per cui il recente incidente connesso alla sua politica dell’hijab obbligatorio viene sfruttato come evento scatenante per un altro round di guerra ibrida.
CONSIDERAZIONI E PREVISIONI (un po’ frettolose, non ho tempo per altro) SULLO SVILUPPO DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA, di Roberto Buffagni
CONSIDERAZIONI E PREVISIONI (un po’ frettolose, non ho tempo per altro) SULLO SVILUPPO DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA.
La Russia farà quel che deve per vincere la guerra. Non ha nessun bisogno di impiegare le armi atomiche. Nel suo discorso del 30 settembre, Putin NON ha minacciato un first strike nucleare, tattico o strategico. Ha soltanto detto, rivolgendosi a chi, come il premier britannico Liz Truss e vari commentatori americani, ha ventilato la possibilità di impiegare le armi nucleari, che la Russia risponderebbe impiegando il suo arsenale atomico, sottolineando che questa è una certezza, non un bluff. Nel gioco della deterrenza nucleare reciproca, è assolutamente decisivo che NESSUNO bluffi, altrimenti diventa impossibile un comportamento razionale, e la possibilità di equivoci catastrofici dovuti a erronea interpretazione dell’intenzioni nemiche aumenta esponenzialmente.
Deduco che la Russia farà quel che deve per vincere la guerra, e che non ha nessun bisogno di impiegare le armi atomiche da:
- a) risorse strategiche russe, comparandole con le risorse strategiche ucraine + aiuti NATO. Le risorse strategiche sono: popolazione, potenza latente (economica), potenza manifesta (militare, uomini mobilitati e mobilitabili, mezzi)
- b) rapporto costi/benefici di vittoria e sconfitta per la Federazione russa.
Le risorse strategiche russe sono di interi ordini di grandezza superiori alle risorse strategiche ucraine + aiuti NATO. In uno scontro tra un molto più debole e un molto più forte, il molto più debole può vincere solo quando riesce a rendere sfavorevole, per il molto più forte, il rapporto costi/benefici della vittoria.
Un ottimo esempio è la strategia di dissuasione nucleare du faible au fort elaborata dal gen. Gallois per de Gaulle, volta a dissuadere le due grandi potenze nucleari dell’epoca, USA e URSS: in caso di rischio esistenziale per la Francia, il presidente francese può impiegare l’armamento nucleare, che ovviamente è di vari ordini di grandezza inferiore a quello dei potenziali nemici, ma può comunque infligger loro danni politicamente inaccettabili (“Tu puoi annichilirmi ma ti costerebbe Mosca o Los Angeles: il gioco vale la candela?”).
Un ottimo esempio nel quadro della guerra convenzionale è la sconfitta americana in Vietnam. Impiegando tutte le proprie risorse strategiche, gli USA avrebbero senz’altro potuto vincere il Vietnam, sia ricorrendo, sia non ricorrendo all’arma atomica. Essi invece si sono ritirati, preferendo subire una sconfitta, perché il costo politico della guerra era divenuto, per vari fattori, troppo elevato.
Una sconfitta in Vietnam, però, non rappresentava un rischio esistenziale per gli Stati Uniti, che non rischiavano l’integrità del proprio territorio e del proprio sistema politico.
Il caso presente è radicalmente diverso, perché la Federazione russa ritiene (a ragione, secondo me) di correre un rischio esistenziale, ossia ritiene che una sconfitta in Ucraina metterebbe a rischio l’integrità politica della nazione, che rischierebbe d’essere frammentata e colonizzata.
La posta essendo così elevata – per uno Stato e una nazione, la posta assoluta – non esiste, per la Federazione russa, un rapporto costi/benefici della sconfitta tale da persuaderla a rinunciare a combattere, accettando la sconfitta. Essa dunque impiegherà a fondo, se necessario, tutte le sue risorse strategiche per vincere la guerra. Se non era chiaro prima, è chiaro come il sole oggi, dopo l’annessione del Donbass alla Russia, come d’altronde illustra esplicitamente il discorso di Putin del 30 settembre scorso.
Si noti inoltre che per gli Stati Uniti, la posta in gioco NON è altrettanto elevata. Essi, in caso di sconfitta in Ucraina, NON rischiano la distruzione e la frammentazione politica. Rischiano una grave sconfitta politico-strategica e una importante perdita di prestigio, che non è poco ma non è tutto come nel caso della Russia. Nel campo occidentale, chi rischia di più è l’Europa, che si espone fin da subito a un colpo economico e sociale incapacitante. Il danno economico e sociale subito dall’Europa va a beneficio immediato degli Stati Uniti, che quindi non hanno motivo di prevenirlo o attenuarlo: anzi.
I russi non riescono a tenere i territori annessi per il semplice motivo che nei mesi precedenti, hanno conquistato territori troppo vasti per il numero di truppe che hanno impegnato: insomma, la coperta russa è troppo corta, copri di qua ti scopri di là. Di fronte all’offensiva ucraina, i russi avevano due scelte: ordinare la difesa a oltranza dei territori conquistati (molto costoso in termini di perdite umane, anche se la difesa avesse avuto successo) o cedere territorio e risparmiare gli uomini. Hanno scelto di cedere territorio perché il territorio si riconquista, i morti non si resuscitano.
Probabilmente (ovviamente, è solo una mia ipotesi) i russi hanno sinora impegnato in Ucraina soltanto 200.000 uomini circa perché
- a) all’inizio delle ostilità, hanno fatto una prognosi politica errata, ossia che sarebbe stata possibile una di queste due soluzioni
1) cambio di regime a Kiev (forse informazioni errate dell’intelligence russo)
2) soluzione diplomatica, trattativa da posizioni di forza con Kiev + USA
- b) l’intenzione russa era dunque quella di combattere una guerra il più possibile limitata, in sintesi condurre una “diplomazia armata”.
L’intervento militare, probabilmente, è stato deciso per anticipare l’offensiva ucraina contro il Donbass, che era effettivamente in preparazione, e anche perché Zelensky aveva sciaguratamente detto ufficialmente di avere l’intenzione di approntare armi atomiche impiegando le capacità, di cui l’Ucraina dispone, di mettere a punto “dirty bombs”.
In sintesi i russi non avevano previsto il livello dell’escalation politico – militare USA-NATO, anche perché gli USA e la NATO NON hanno deciso immediatamente, subito dopo l’invasione russa, il livello della loro escalation. Nell’articolo che linko in calce esamino anche questo aspetto.
Probabilmente, il campo occidentale NON ha deciso subito l’escalation, ma solo dopo avere interpretato (erroneamente, come sconfitta e incapacità russa) l’attacco secondario- manovra diversiva iniziale russa verso Kiev.
Dopo l’escalation politico-militare occidentale, i russi sono passati a una guerra d’attrito molto efficace nel Donbass, dove hanno conquistato vasti territori su più di 1000 km di fronte. Però, se avevano le capacità di conquistare questi vasti territori, NON avevano le capacità di tenerli, perché per tenere territori così vasti ci volevano come minimo altri 200-300.000 uomini che li occupassero e li difendessero in profondità.
Sono quelli che stanno mobilitando ora (e altri secondo me ne seguiranno, l’ordine di mobilitazione è aperto, non c’è bisogno di rinnovarlo). Verosimilmente, le prossime mosse russe saranno:
- a) attesa della ratifica dell’annessione alla Russia dei territori del Donbass, con finestra di opportunità per l’apertura di una trattativa
- b) integrazione dei richiamati, buona parte dei quali andranno a sostituire reparti operativi stazionanti alle frontiere russe, che invece saranno dislocati in Ucraina
- c) preparazione di una o più offensiva/e invernale, secondo me riaprendo un fronte Nord in direzione di Karkhov, per compromettere le conquiste ucraine nel bacino dell’Oskil minacciandone le retrovie
- d) esecuzione dell’offensiva, o delle offensive (ovviamente non conosco i piani dello SM russo).
L’obiettivo finale dell’offensiva, o meglio della serie di offensive, sarà la conquista e l’occupazione permanente della Novorossja, quindi non soltanto del Donbass.
Per eseguire questi compiti la Russia non ha alcun bisogno di impiegare l’arma atomica, deve solo impiegare una parte maggiore delle sue capacità convenzionali.
Il conflitto ucraino potrebbe aver già fatto deragliare la traiettoria della superpotenza cinese, di Andrew Korybko
Articolo importantissimo che contribuisce a decifrare almeno in parte il filo conduttore che guida l’azione di due paesi emergenti, per meglio dire riemergenti, miranti a creare le condizioni di un mondo multipolare in grado di garantire l’autonomia e la capacità di azione degli stati estranei ad una logica uni o bipolare. Una ambizione ed una strategia molto complessa, avventurosa e difficile da realizzare, ma che potrebbe offrire persino ai paesi europei, i più invischiati nella sudditanza unipolare e tutt’al più nella dinamica bipolare, qualche spiraglio di reale autonomia decisionale. Tanto più che gli europei dovrebbero ormai imparare che il principale nemico lo hanno in casa loro. La designazione da parte della attuale leadership statunitense della Russia come nemico da disintegrare assume nuova rilevanza e nuova chiarezza nelle motivazioni. Resta l’ombra della attuale incerta conduzione del conflitto in Ucraina ad opera della leadership russa a porre una ipoteca, non sappiamo quanto pesante, a questa strategia già di per sé così complessa. Come la ritirata disastrosa degli Stati Uniti dall’Afghanistan, anche di converso, uno stallo prolungato della Russia in Ucraina può determinare un cambiamento negli equilibri di potere e nell’orientamento dei centri decisori in India. Uno stallo prolungato del conflitto rischia di compromettere sul nascere la grande credibilità che sul piano della sicurezza militare la Russia si è conquistata in Siria, in Georgia e in Cecenia e riverberata in Africa e addirittura in alcuni paesi del Sud-America. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Con le basi strutturali della grande strategia cinese immensamente destabilizzate dalle conseguenze di quel conflitto rispetto alle crisi alimentari e dei combustibili prodotte artificialmente dai Golden Billion in tutto il Sud del mondo, che rischia profondi disordini socio-politici nel prossimo futuro in grado di minacciare le prospettive della BRI, insieme all’autonomia strategica recentemente rafforzata dell’India e della Russia, nonché il ruolo sempre più indispensabile di stabilizzazione della sicurezza di Mosca nei paesi in via di sviluppo che integra il suo ritrovato potere soft (rivoluzionario), la traiettoria della superpotenza di Pechino sembra probabilmente insostenibile.
L’ascesa pacifica della Cina
La pacifica ascesa economica della Cina negli ultimi quattro decenni, resa paradossalmente possibile in larga misura dal suo rigoroso rispetto delle norme internazionali legate ai processi di globalizzazione guidati dagli Stati Uniti, l’ha collocata sulla traiettoria dello status di superpotenza. Sono state la crescente consapevolezza di questo fatto e le credibili preoccupazioni circa le sue conseguenze per l’egemonia unipolare americana che hanno spinto l’ex presidente degli Stati Uniti Trump a lanciare la sua guerra commerciale contro la Repubblica popolare, che doveva fungere da complemento economico al “Pivot to Asia” avviato dal suo predecessore Obama. Questi due si sono fusi con la guerra dell’informazione per costituire collettivamente quella che può essere oggettivamente descritta come la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina che mira a garantire la preminenza americana in questo secolo.
Bi-Multipolarità
In risposta a questi atti di aggressione non provocati, la Repubblica popolare ha iniziato a modernizzare le sue forze militari, ha infine promulgato il suo nuovo paradigma economico di doppia circolazione e ha iniziato a investire pesantemente per migliorare la capacità attrattiva del soft power attraverso una più efficace sensibilizzazione dei media alla comunità internazionale. In assenza di una grave crisi di sicurezza, ciò avrebbe dovuto essere sufficiente per garantire che la Cina rimanesse sulla sua traiettoria di superpotenza anche nonostante le interruzioni economiche globali (e in particolare della catena di approvvigionamento) causate dalla pandemia di COVID-19. Di conseguenza, il pensatore indiano Sanjaya Baru ha valutato accuratamente a metà del 2020 che le relazioni internazionali potrebbero essere descritte come in uno stato di bipolarità .
Questo concetto si riferisce alle superpotenze americane e cinesi (prprossime o già esistenti) che esercitano la maggiore influenza sul sistema globale, al di sotto delle quali ci sono grandi potenze come l’India e la Russia, e quindi stati di dimensioni relativamente medie e piccole che hanno minima influenza nel dare forma agli eventi. Baru ha previsto che le relazioni internazionali saranno così definite sempre più dalla complessa interazione tra gli attori all’interno e tra questi tre livelli. Estrapolando dalla sua intuizione, si può sostenere che gli interessi dell’India e della Russia risiedono nell’assemblare congiuntamente un terzo polo di influenza per facilitare l’emergere della tripolarità all’interno di questo sistema in modo da accelerare la sua evoluzione finale verso una più complessa multipolarità (“molteplicità”) .
Le vere radici del conflitto ucraino
È stato con in mente questa grande strategia condivisa che quei due hanno iniziato a lavorare insieme in modo informale per creare un nuovo Movimento dei Non Allineati (” Neo-NAM “) a tal fine, che si prevedeva il modo di massimizzare l’autonomia strategica dei membri di questa rete all’interno del presente fase intermedia bi-multipolare della transizione sistemica globale alla multipolarità. In concomitanza con ciò, la Russia ha cercato di raggiungere un importante accordo di sicurezza con gli Stati Uniti in Europa alla fine del 2021 al fine di allentare le tensioni lì. Un simile risultato sarebbe stato reciprocamente vantaggioso dal punto di vista di Mosca. Avrebbe potuto portare in equilibrio quella Grande Potenza eurasiatica tra la metà orientale (Cina) e quella occidentale (UE) del supercontinente mentre gli Stati Uniti si concentravano maggiormente sul “determinare”/”contenere” il loro concorrente cinese.
Quello che nessuno si aspettava era che l’élite americana ideologicamente guidata avrebbe invece dato la priorità a “determinare “/”contenere” prima la Russia, cosa che consideravano un passo nella direzione di un più efficace “scoraggiamento”/”contenimento” della Cina a lungo termine. Dal loro punto di vista, indurre la Russia a intraprendere un’azione militare in Ucraina in difesa delle sue obiettive linee rosse di sicurezza nazionale che la NATO ha attraversato in quell’ex Repubblica Sovietica aveva lo scopo di creare l’opportunità per riaffermare l’egemonia unipolare in declino degli Stati Uniti sull’Europa. Da lì e con il tempo, l’America si aspettava di avere una UE recentemente militarizzata che “deterrebbe”/”contenesse” la Russia per suo conto come parte della strategia di “condivisione degli oneri” di Trump, mentre gli Stati Uniti hanno replicato questa stessa politica nell’Asia-Pacifico contro la Cina tramite AUKUS e altri blocchi simili alla NATO.
Dopo la positiva riaffermazione della loro egemonia unipolare in declino sull’Europa, gli Stati Uniti avrebbero anche molte più risorse economiche, finanziarie e militari per “scoraggiare”/”contenere” la Cina che se accettassero semplicemente le richieste di garanzia di sicurezza della Russia e consentissero all’UE di mantenere una parvenza di autonomia strategica. Da una grande prospettiva strategica americana, questo risultato è visto come un vantaggio per il loro paese nella sua competizione da superpotenze con la Repubblica Popolare, senza la quale temevano che la Cina sarebbe rimasta sulla sua traiettoria descritta in precedenza e quindi forse la avrebbe persino superata in influenza e potere nel prossimo futuro. Si è quindi deciso di provocare a tal fine la destabilizzazione senza precedenti dell’ordine mondiale post-Vecchia Guerra Fredda attraverso il conflitto ucraino.
Le conseguenze iniziali della guerra per procura russo-statunitense
Nonostante queste intenzioni, inizialmente sembrava che anche questo sviluppo inaspettato non sarebbe stato sufficiente a compensare in modo significativo la traiettoria della superpotenza cinese. Molti hanno predetto che l’improvvisa concentrazione degli Stati Uniti sul “determinare”/”contenere” la Russia in Europa avrebbe influenzato negativamente la sua guerra ibrida contro la Cina impantanando i suoi diplomatici, esaurendo le sue risorse economiche e militari e facendo così preoccupare gli alleati dell’Asia-Pacifico che l’America non poteva garantire adeguatamente gli interessi a somma zero della loro élite nei confronti della Repubblica Popolare; il che a sua volta potrebbe portarli a “camminare” con Pechino invece di “bilanciarsi” contro di essa con Washington. In altre parole, si pensava che i processi scatenati dal conflitto ucraino creassero opportunità impreviste per accelerare l’ascesa della Cina come superpotenza.
Negli oltre sette mesi dall’inizio dell’ultima fase di quel conflitto, questo si è indiscutibilmente trasformato in una guerra per procura della NATO guidata dagli Stati Uniti contro la Russia attraverso l’Ucraina; conflitto che il presidente Putin ha affermato essere guidato dal desiderio dell’élite americana di ” balcanizzare ” la sua Grande Potenza. Ha articolato in dettaglio le dimensioni di questa Nuova Guerra Fredda durante lo storico discorso che ha pronunciato il 30 settembre prima della firma dei documenti collegati alla riunificazione di Novorossiya con la Russia, i quali includevano anche una visione cruciale dei piani globali degli Stati Uniti nel vis a vis con la Cina e più oltre in tutto il Sud del mondo. Il suo discorso è stato un manifesto rivoluzionario finalizzato ad ispirare i paesi non occidentali e le loro società a unirsi in opposizione al complotto neocoloniale dell’élite occidentale guidata dagli Stati Uniti per soggiogare il mondo intero.
Mentre si potrebbe essere tentati di pensare che questo sviluppo aggiunga credito alla previsione che la traiettoria della superpotenza cinese continuerà presumibilmente ad accelerare a causa del più grande conflitto europeo dalla seconda guerra mondiale, e quindi ridurrà il tempo necessario alla Repubblica popolare per diventare il concorrente alla pari degli Stati Uniti sulla scena mondiale, in realtà ha complicato le cose per ragioni che ora verranno spiegate nel resto di questa analisi. Tanto per cominciare, le conseguenze macroeconomiche di questa guerra per procura sempre più intensificata hanno destabilizzato le basi globali da cui dipende la grande strategia economica della Cina. In particolare, ha provocato una crisi sistemica senza precedenti in tutto il Sud del mondo a causa delle sanzioni statunitensi per cibo e carburante contro la Russia.
Conseguenze a cascata nel sud del mondo
L’ascesa pacifica della Cina come superpotenza si basa sulla continua convergenza della sua economia con il resto del Sud del mondo al fine di creare una relazione di interdipendenza complessa e, idealmente, indissolubile, che la Repubblica popolare descrive come una comunità di destino comune per l’umanità . I mezzi attraverso i quali ciò avrebbe dovuto essere avanzato sono i progetti associati alla sua Belt & Road Initiative (BRI), che rafforzano in modo completo i legami commerciali e di investimento tra la Cina e le sue dozzine di partner. Pechino si aspettava che ciò avrebbe portato gradualmente a una riforma delle basi economico-finanziarie delle Relazioni Internazionali, le quali sarebbero poi arrivate ad avere implicazioni istituzionali-politiche che avrebbero preceduto quelle militari-strategiche necessarie per sancire il suo status di superpotenza.
Senza un accesso affidabile al lavoro, ai mercati e alle risorse del Sud del mondo ( e in particolare dell’Africa ), che gli stati beneficiari forniscono in cambio di infrastrutture cinesi, altri investimenti e tecnologia condivisi senza alcun vincolo politico se non il supporto implicito per la sua posizione sul mercato interno questioni (Hong Kong, Taiwan, Tibet, Xinjiang, ecc.) – l’ascesa della Cina come superpotenza sarebbe stentata. Non sarebbe in grado di raggiungere la crescita reciprocamente vantaggiosa necessaria per raggiungere il livello di riformare gradualmente le basi economico-finanziarie delle Relazioni Internazionali, le quali a loro volta compenserebbero i suoi piani di riforme istituzionali-politiche e, in definitiva, anche militari-strategiche. Qui sta la grande sfida strategica posta dalla crisi alimentare e petrolifera globale provocata dagli Stati Uniti .
I paesi del Sud del mondo corrono un serio rischio di massicci disordini socio-politici guidati da queste crisi sistemiche fabbricate artificialmente, catalizzate dalle sanzioni anti-russe americane. Le loro prospettive di crescita a breve, per non parlare di lungo termine, restano pertanto incerte. Questo a sua volta ha gettato una svolta nei grandi piani strategici della Cina poiché il suo nuovo paradigma economico di doppia circolazione non ha ancora portato alla robusta circolazione interna necessaria per proteggersi da sfide impreviste al suo commercio internazionale. Questo non vuol dire che la Cina sia pronta a sperimentare una crescita negativa, ma solo che ora è costretta da circostanze al di fuori del suo controllo a respingere i piani legati alla sua ascesa come superpotenza a causa degli shock sistemici causati dalla guerra commerciale, COVID-19 , e più recentemente il conflitto ucraino.
Screditare lo scenario in cui la Russia diventa sempre il “partner junior” della Cina
Queste conseguenze sistemiche a cascata pongono sfide formidabili alla grande strategia cinese, tutte esacerbate dal fatto che la Russia non si è affrettata a concludere gli accordi sbilenchi con la Repubblica Popolare che molti osservatori occidentali si aspettavano avrebbe fatto alla vigilia del conflitto ucraino nell’eventualità che Mosca fosse intervenuta militarmente lì come alla fine ha fatto. Per essere chiari, non ci sono prove che la Cina si aspettasse nessuno dei due scenari – l’operazione militare speciale della Russia (incluso tutto ciò che è seguito) e il presidente Putin che praticamente ne chiede in seguito il sostegno disperato come l’unica forma presumibilmente possibile di alleggerimento delle sanzioni indipendentemente dai termini – e tuttavia è anche difficile discutere con l’affermazione che il secondo scenario avrebbe aiutato la Cina a gestire queste conseguenze inaspettate.
Ad esempio, se la Russia avesse offerto alla Cina condizioni commerciali e di investimento di vasta portata oltre alla semplice vendita di risorse naturali scontate (che sta offrendo a chiunque abbia la volontà politica di acquistarle a dispetto delle pressioni statunitensi e non solo di quella superpotenza in aumento), allora la Repubblica popolare avrebbe potuto almeno teoricamente ottenere l’accesso a tutto ciò di cui avrebbe bisogno per la sua grande strategia per riprendersi più rapidamente dall’ultimo shock sistemico connesso al conflitto ucraino. Il compromesso, tuttavia, potrebbe essere stato che i termini avrebbero potuto essere oggettivamente sfavorevoli ai grandi interessi strategici della Russia, ponendo questa Grande Potenza sulla traiettoria di diventare il “partner minore” della Cina a lungo termine. Ciò avrebbe rafforzato la bi-multipolarità invece di aiutarla a farla evolvere.
Sensibile quanto lui alla questione della sovranità e dell’autonomia strategica nel sistema internazionale che essa conferisce a tutti coloro che ce l’hanno, il presidente Putin non l’avrebbe mai accettato anche se la Cina l’avesse offerto (e non ci sono prove che abbia mai considerato facendo così), motivo per cui rimane il regno delle congetture politiche tra coloro che hanno previsto questo scenario. In ogni caso, quella sequenza di eventi è stata preventivamente scongiurata dall’India che ha inaspettatamente funzionato come valvola insostituibile della Russia dalle pressioni occidentali, assicurando così che il suo partner strategico speciale e privilegiato non sarebbe mai stato messo in una posizione in cui avrebbe potuto essere costretto a flirtare con quel successore.
L’intervento del cigno nero dell’India
Delhi ha sfidato la pressione delle sanzioni di Washington per accelerare l’espansione globale dei legami con Mosca da febbraio, al servizio dei loro grandi interessi strategici descritti in precedenza relativi alla creazione di un terzo polo di influenza nella fase intermedia bi-multipolare della transizione sistemica globale alla multipolarità; in tal modo massimizzando il più possibile la loro rispettiva autonomia strategica nelle circostanze ritrovate. Questo sviluppo del cigno nero ha anche dissipato tutte le preoccupazioni precedenti sul fatto che l’India diventasse il “partner junior” degli Stati Uniti, cosa che probabilmente sembrava essere sulla traiettoria (indipendentemente dal fatto che ne fosse consapevole o meno) negli ultimi anni prima dell’ultima fase del conflitto ucraino scoppiato a fine febbraio.
Questo è stato un risultato importante in più di un modo. In primo luogo, l’India si è posizionata in una posizione in cui sta bilanciando attentamente tra il Golden Billion occidentale guidato dagli Stati Uniti e il sud globale guidato dai BRICS (ma di fatto finora guidato dalla Cina) di cui fa parte, rendendola così una sorta di kingmaker nel dare forma alla transizione sistemica globale. In secondo luogo, ha dimostrato con orgoglio la sua autonomia strategica nella fase intermedia bipolare di questa transizione attraverso la sua politica di neutralità di principio verso il conflitto ucraino, che ha stabilito un precedente da seguire per gli stati di dimensioni relativamente medie e piccole. In terzo luogo, ciò idealmente assumerebbe la forma di una cooperazione tra i paesi del Sud del mondo e il previsto Neo-NAM; nelle aspettative dell’India un movimento che aiuti tutti a trovare un migliore equilibrio tra le superpotenze americane e cinesi.
Dalla posizione della grande strategia cinese descritta fino a questo punto nella presente analisi, l’ascesa dell’India come Grande Potenza molto attraente e veramente neutrale agli occhi di un numero crescente di stati del Sud del mondo presenta un’altra sfida inaspettata da quando Pechino ha dato per scontato che nessun altro potesse competere in modo credibile con essa nell’influenza tra i paesi in via di sviluppo. Mentre Delhi ovviamente manca dei mezzi economici per offrire alternative alla BRI, compensa questo con la dimensione diplomatica offrendo un nuovo modello con la promessa di contrastare collettivamente il radicamento di tendenze bipolari che rischiano di istituzionalizzare l’informale gerarchia internazionale a tre livelli gerarchia associata al concetto di Baru.
L’emergente lotta sino-indo per il potere morbido
Invece di accettare il loro destino apparentemente inevitabile di rimanere per sempre al livello più basso e quindi non essere mai in grado di esercitare alcuna influenza significativa sugli eventi (sebbene in cambio di infrastrutture, altri investimenti e vantaggi tecnologici connessi con l’accettazione ufficiosa di diventare i “partner minori” della Cina ”), gli Stati di dimensioni relativamente medie e piccole che costituiscono la maggioranza della comunità internazionale hanno ora la possibilità di fare una differenza significativa. Per spiegare, unendosi attraverso il Neo-NAM guidato congiuntamente da India e Russia (la cui seconda dimensione sarà presto elaborata in questa analisi), possono accelerare l’emergere della tripolarità prima dell’ultima evoluzione della transizione sistemica globale verso multiplexità.
Il diavolo rimane nei dettagli, come dice il proverbio cliché, poiché l’interazione tra il secondo e il terzo livello di questa gerarchia internazionale informale associata all’attuale fase intermedia bipolare di quella transizione è impossibile da prevedere con precisione a questo punto. Anche così, i contorni suggeriscono comunque molto fortemente che questa visione delle Relazioni Internazionali sarebbe molto più attraente per il Sud del mondo piuttosto che accettare semplicemente il loro destino apparentemente inevitabile come “partner minori” delle superpotenze americane o cinesi. Questo insieme di stati si sentirebbe incoraggiato dalla terza scelta presentata da un partenariato strategico con l’India per proteggersi dalle superpotenze ed evitare di offendere inavvertitamente entrambi collaborando con il loro rivale.
Collegandosi in modo più stretto e intenso con quei paesi in posizioni simili a quelle che si trovano all’interno della fase intermedia bi-multipolare della transizione sistemica globale, così come con le grandi potenze tripolari/multiplessitarie come l’India (e anche la Russia come presto sarà spiegato), hanno le maggiori possibilità di massimizzare la loro autonomia strategica nell’ottica di ottenere i migliori accordi di partnership possibili con le due superpotenze. Invece di sentirsi spinti dal bipolarismo a diventare il “partner minore” dell’America o della Cina, possono sfruttare i vantaggi strategici associati alla Neo-NAM e al ruolo di India/Russia come partner di bilanciamento di terze parti per cooperare con entrambe le superpotenze senza che ciò sia percepito a spese di uno o dei propri interessi sovrani.
La crescente influenza della Russia nel sud del mondo
Questa possibilità era al di là di qualsiasi cosa la Cina si aspettasse prima della presidenza Trump (che rappresentava il primo dei tre shock sistemici descritti in precedenza rispetto alla sua guerra commerciale) quando era ancora estremamente fiduciosa nel ruolo della BRI nella creazione della comunità di destino comune in grado di gettare le basi economico-finanziarie per le altre riforme sistemiche che prevedeva lungo la sua traiettoria di superpotenza. Non solo sono seguiti altri due shock sistemici, quelli associati alle conseguenze del conflitto ucraino per la sicurezza alimentare e dei combustibili (e quindi la sicurezza socio-politica) del Sud del mondo, essendo l’ultimo; la Russia non ha per altro fornito alimento all’irrealistico scenario che diventasse il “partner minore” della Cina. Ora l’India sta sfidando le basi del bipolarismo.
Non è solo l’India, però, dal momento che anche la Russia sta facendo attivamente questo. Lo storico discorso del presidente Putin del 30 settembre, precedentemente descritto come un manifesto rivoluzionario, ha portato la sua Grande Potenza a diventare immediatamente l’icona della lotta del Sud del mondo contro il neoimperialismo guidato dagli Stati Uniti “Golden Billion”. Come l’India, la Russia non ha i mezzi economici per offrire alternative alla BRI, ma compensa diplomaticamente questa carenza in un senso simile a quello che fa la Grande Potenza dell’Asia meridionale secondo il concetto Neo-NAM, in termini di soft power secondo l’ispirazione globale connesso al suddetto discorso del suo leader, ma anche nella dimensione della sicurezza. Quest’ultimo aspetto è estremamente significativo e verrà ora trattato.
La cooperazione militare convenzionale della Russia con i suoi partner attraverso la vendita di armi serve allo scopo di mantenere l’equilibrio di potere tra le coppie di stati rivali e di scoraggiare l’aggressione americana migliorando le prospettive di soluzioni politiche alle loro controversie a causa delle preoccupazioni per danni collaterali inaccettabili nell’eventualità di un conflitto cinetico. La sua dimensione non convenzionale, nel frattempo, può essere descritta come garanzia di “ Sicurezza Democratica ”. Questo concetto si riferisce all’ampia gamma di tattiche e strategie di contrasto alla guerra ibrida per difendersi preventivamente (e, quando necessario, rispondere efficacemente) alla rivoluzione colorata del Golden Billion (soprattutto quelli catalizzati dalla guerra economica/sanzioni) e dai complotti di destabilizzazione della guerra non convenzionale (insurrezione/ribellione/terrorismo).
Il significato strategico delle soluzioni di “sicurezza democratica” della Russia
In parole povere e ricordando la visione della grande strategia dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti che il presidente Putin ha condiviso durante il suo storico discorso del 30 settembre, è spesso molto più conveniente sotto tutti gli aspetti per l’America punire paesi indipendenti e sovrani attraverso questi mezzi ibridi ( anche attraverso la guerra dell’informazione e le sanzioni) piuttosto che lanciare invasioni/attacchi in stile iracheno o libico, soprattutto se lo stato preso di mira ha capacità convenzionali sufficientemente solide per difendersi e quindi garantire danni collaterali inaccettabili all’aggressore in quello scenario. La sicurezza interna è quindi necessaria per controbilanciare tali minacce, ergo “Sicurezza Democratica” che mira in sostanza a garantire la sicurezza del modello nazionale di democrazia dello Stato preso di mira attraverso una miriade di mezzi.
Oltre a fornire servizi di consulenza su richiesta quando si tratta di aiutare i suoi partner a decidere come rispondere al meglio a scenari di guerra ibrida correlati come Rivoluzioni colorate, la Russia avrebbe anche impiegato i servizi di sicurezza non convenzionali di appaltatori militari privati come Wagner per assistere direttamente quegli stati in situazioni plausibilmente da modi ufficiosi che, soprattutto, non sono all’altezza del soft power e dei rischi strategici associati agli interventi convenzionali a loro sostegno. Insieme alle operazioni di informazione che screditano queste campagne di destabilizzazione, così come agli investimenti strategici in alcuni settori per garantire entrate affidabili da investire nello sviluppo socioeconomico in modo da evitare preventivamente queste stesse campagne, l’assistenza su misura della “Sicurezza Democratica” della Russia può fare una grande differenza .
Nessun paese offre servizi di stabilizzazione della sicurezza così completi ai propri partner, il che conferisce quindi alla Russia un ruolo unico da svolgere negli stati del Sud del mondo, e in particolare quelli in tutta l’Africa da cui dipende la continua crescita economica della Cina in linea con la grande strategia descritta in questa analisi . Vista da questa prospettiva strategica, si può quindi affermare che la cooperazione con la Russia dei paesi in via di sviluppo per la “Sicurezza Democratica” aiuta a difendere i loro investimenti BRI dalle minacce ibride del Golden Billion (Rivoluzioni Colorate e Guerra Non Convenzionale) contro di loro; il che a sua volta aiuta a garantire la loro stabilità considerando l’impatto positivo che hanno quei progetti cinesi. La dinamica emergente connessa a questa osservazione è che la grande strategia cinese dipende in parte dalla Russia.
L’inaspettata grande dipendenza strategica della Cina dalla Russia
La Repubblica Popolare non ha partecipato a nessun conflitto militare straniero dalla brevissima guerra sino-vietnamita del 1979. Le sue forze armate sono in grado di garantire in patria gli interessi fondamentali della sicurezza nazionale del loro paese (che possono anche essere estrapolati in riferimento alle sue rivendicazioni marittime nel Mar Cinese Meridionale), ma non ha esperienza nel garantire i suoi interessi secondari e terziari all’estero lungo il Sud del mondo, necessari per sostenere la sua traiettoria di superpotenza. I suoi investimenti BRI sono quindi seriamente minacciati da scenari di guerra ibrida, che la Cina è praticamente impotente a contrastare, per non parlare di scongiurare preventivamente.
La Russia, nel frattempo, ha dimostrato l’efficacia delle sue soluzioni su misura di “Sicurezza democratica” nella Repubblica Centrafricana e, più recentemente , in Mali; quest’ultima è destinata ad avere conseguenze strategiche rivoluzionarie per quanto riguarda la catalizzazione di una sequenza regionale di eventi collegati al declino sempre più rapido dell’influenza francese nella sua autoproclamata “sfera di influenza” nel Sahel, denominata “Françafrique”. Se non fosse stato per il Cremlino che ha aperto la strada a questa nuova politica di sicurezza in tutto il Sud del mondo e specialmente in Africa, gli investimenti cinesi nella BRI avrebbero potuto benissimo essere condannati poiché i complotti della guerra ibrida del Golden Billion sarebbero altrimenti riusciti facilmente a “braccare” molti governi di stati ospitanti’, fin tanto che sarebbero stati gradualmente “disaccoppiati” dalla Cina.
Questo scenario è indipendente dall’ultima fase del conflitto ucraino provocato dagli Stati Uniti e stava già emergendo in una certa misura prima che ciò accadesse, come dimostrano alcuni dei partner africani della Cina che hanno eletto leader filo-occidentali critici nei confronti della Repubblica popolare e dei suoi progetti BRI dopo le campagne di guerra informativa precedenti a quei voti. Con il tempo e indipendentemente dal conflitto ucraino, c’era da aspettarsi che questa tendenza si sarebbe intensificata fino a raggiungere il punto di guerra ibrida (rivoluzioni colorate e guerre non convenzionali) se fosse emersa la necessità modellata sul precedente etiope che ha finito per fallire per ragioni che esulano dall’ambito di questa analisi; rimane comunque una minaccia, sia per quel Paese che per tutti gli altri del Sud del mondo (e soprattutto africano).
Invece, la Russia è emersa inaspettatamente come una forza credibile in grado di contrastare quelle minacce ibride attraverso le sue soluzioni su misura di “Sicurezza Democratica”, che era già una tendenza in corso ma ora è accoppiata con l’impressionante appello di potere soft di quella Grande Potenza dopo il manifesto rivoluzionario del presidente Putin che ha condiviso il 30 settembre finalizzato ad aver ispirato il Sud del mondo. Quel secondo fattore di soft power si combina con quello del suo partner strategico indiano connesso alla sua neutralità e alla loro visione condivisa di Neo-NAM per creare una formidabile sfida al soft power cinese nel mondo in via di sviluppo che Pechino aveva finora dato per scontato. Si traduce anche in un certo grado di dipendenza cinese dalla “sicurezza democratica” russa, aspetto che Mosca potrebbe sfruttare in modo creativo.
Legge di bilanciamento della Russia tra Cina e India nel sud del mondo
A questo proposito, uno dei grandi interessi strategici della Russia è quello di bilanciare tra i suoi partner cinesi e indiani – che insieme formano il nucleo RIC dei BRICS, la cui seconda struttura è concepita come guida del Sud del mondo – con l’obiettivo di evitare preventivamente qualsiasi potenziale sproporzionata dipendenza dall’uno e dall’altro parallelamente all’impedire agli Stati Uniti di dividere e governare quei due attraverso la loro trama di guerra ibrida per provocare una guerra tra di loro. Questo imperativo potrebbe manifestarsi nel Sud del mondo da parte della Russia che offre di aiutare a proteggere i progetti BRI vulnerabili della Cina come parte di un quid pro quo informale per l’accesso alla tecnologia sanzionata che la sua economia richiede per rimanere competitiva sotto tale pressione occidentale.
Per quanto riguarda la dimensione indiana di questa leva creativa, potrebbe interessare la Russia che esercita delicatamente la sua ritrovata influenza all’interno di quegli stati partner del Global South generalmente allineati alla Cina per incoraggiarli ad abbracciare con più entusiasmo il modello diplomatico di Delhi del Neo-NAM al fine di farlo avanzare contestualmente al grande obiettivo strategico condiviso di Mosca di accelerare l’emergere della tripolarità multilaterale attraverso quella struttura per facilitare l’evoluzione finale della transizione sistemica alla multiplexità. Se il Sud del mondo fosse massicciamente destabilizzato dalle conseguenze socio-politiche catalizzate dalle crisi alimentari e dei combustibili prodotte artificialmente dai Golden Billion, sia la Cina che l’India perderebbero le rispettive opportunità di plasmare l’ordine mondiale, il che darebbe agli Stati Uniti un grande vantaggio strategico .
Dal punto di vista della Cina, questo rappresenta un’altra grande sfida alla sua stessa grande strategia. La consapevolezza strisciante della sua dipendenza dai servizi di “sicurezza democratica” della Russia ai principali partner BRI in tutto il sud del mondo, senza i quali i progetti di Pechino rimarrebbero per sempre vulnerabili a minacce sempre più credibili di guerra ibrida e molto probabilmente finirebbero per fallire di conseguenza a lungo termine ( sabotando così la sua traiettoria di superpotenza), significa che Pechino potrebbe essere costretta a riconsiderare la fattibilità stessa dei suoi piani a causa di questa realtà emergente. Invece di aspirare ufficiosamente a diventare una superpotenza e radicare la bi-multipolarità, potrebbe invece doversi accontentare di diventare la Grande Potenza economicamente più potente all’interno di un sistema di multipolarità complessa (multiplessità).
Diversi motivi per cui la Cina riconsidera la sua grande strategia di superpotenza
La ragione di ciò è abbastanza facile da capire dopo aver già proceduto fino a questo punto nella presente analisi. In poche parole, mentre la Cina rimane ancora un attore strategicamente autonomo nella transizione sistemica globale e tra quelli con la più potente influenza nel plasmare gli eventi, la base da cui dipende la sua traiettoria di superpotenza è intrinsecamente instabile per quattro ragioni principali. Nell’ordine in cui sono stati presentati in questo pezzo, sono: 1) gli shock sistemici causati dalla guerra commerciale, dal COVID-19 e dal conflitto ucraino; 2) la Russia non diventa sproporzionatamente dipendente dalla Cina in risposta al terzo shock; 3) gli impressionanti progressi compiuti dall’India dopo il conflitto ucraino nella pionieristica tripolarità; e 4) i nuovi ruoli della Russia in materia di sicurezza e soft power (rivoluzionario) nel Sud del mondo.
Questi quattro fattori inaspettati si sono combinati in modo tale da complicare senza precedenti la grande strategia della Cina come era stata originariamente prevista nel 2013 quando ha annunciato la BRI. Questa serie globale di megaprogetti avrebbe dovuto fungere da veicolo per creare il rapporto di complessa interdipendenza tra esso e il Sud del mondo su cui le riforme economico-finanziarie, istituzionali-politiche e, in definitiva, militari-strategiche del sistema internazionale necessarie per la sua sostenibilità. Fattori dai quali dipende la crescita crescere come superpotenza. Invece di una transizione graduale, da allora tre shock sistemici al di fuori del controllo cinese hanno scosso l’economia globale, con l’ultimo che ha messo in moto una sequenza di eventi in rapida evoluzione che potrebbe rendere il momento bipolare altrettanto di breve durata quanto il precedente unipolare.
Le conseguenze per la grande strategia cinese che i quattro fattori primari elaborati in questa analisi hanno avuto finora sono state anche esacerbate dagli Stati Uniti che hanno inaspettatamente provocato problemi con la Cina su Taiwan dopo la visita del presidente Pelosi all’inizio di agosto; episodio che ha suggerito che questo egemone unipolare in declino è capace di “determinare”/”contenere” simultaneamente sia la Russia che la Cina in misura diversa invece di concentrarsi quasi esclusivamente su una a scapito di lasciare che l’altra sorga incontrastata. La pressione militare convenzionale che ciò esercita sulla Cina proprio nel momento in cui la sua grande strategia sta affrontando tali sfide militari strutturali, diplomatiche e non convenzionali (relative rispettivamente al primo-secondo, terzo-quarto e quarto fattore) la costringe ulteriormente a riconsiderare i suoi piani.
La fase intermedia bi-multipolare della transizione sistemica globale verso una multipolarità più complessa, che Baru ha accuratamente descritto oltre due anni fa, potrebbe quindi benissimo trovarsi sull’orlo di una tripolarità imperfetta a causa delle conseguenze rivoluzionarie legate all’emergente asse russo-indiano, sia in sé e per sé così come la sua manifestazione attraverso il Neo-NAM informale sul quale stanno lavorando insieme per mettere insieme. Queste grandi potenze sono state inaspettatamente in grado di plasmare l’ordine mondiale in modo molto più potente di quanto chiunque avesse previsto sarebbero state capaci in questo momento a causa dei modi in cui l’ultima fase del conflitto ucraino provocata dagli Stati Uniti ha accelerato enormemente la convergenza delle loro grandi strategie condivise tripolari/multiplessitarie .
Pensieri conclusivi
Con le basi strutturali della grande strategia cinese immensamente destabilizzate dalle conseguenze di quel conflitto rispetto alle crisi alimentari e dei combustibili prodotte artificialmente dai Golden Billion in tutto il Sud del mondo, in grado di innescare potenzialmente nel prossimo futuro profondi cambiamenti socio-politici tali da minacciare le prospettive della BRI, insieme all’autonomia strategica recentemente rafforzata dell’India e della Russia, nonché il ruolo sempre più indispensabile di stabilizzazione della sicurezza di Mosca nei paesi in via di sviluppo che integra il suo ritrovato potere soft (rivoluzionario), la traiettoria della superpotenza di Pechino sembra probabilmente insostenibile. La Repubblica Popolare non può perpetuare indefinitamente il bipolarismo in queste condizioni, motivo per cui potrebbe dover accettare di diventare una Grande Potenza tra pari invece di continuare ad aspirare allo status di superpotenza.
Perché ci odiano, di Patrick J. Deneen
Questo semestre insegno uno dei miei corsi preferiti: “Liberalismo e conservatorismo”. La classe di questo semestre ha circa 50 studenti per ogni anno universitario. Ogni anno che insegno in questa classe, chiedo ai miei studenti di scrivere una breve “Autobiografia politica” che illustri la natura e le origini delle loro convinzioni politiche. È sempre un esercizio interessante, soprattutto per permettermi di conoscere un po’ i punti di vista e il background degli studenti della mia classe. Tuttavia, nel corso degli anni i risultati si sono rivelati inavvertitamente anche come una sorta di barometro di dove l’opinione pubblica dell’elite è di tendenza. La classe di quest’anno si è rivelata tra le più affascinanti di sempre.
Di solito traccio le loro convinzioni sul pratico, se non sempre completo, schema a quattro scatole che misura il liberalismo e il conservatorismo economico e sociale. Se l’asse verticale misura le convinzioni sociali, dalla più socialmente liberale nella parte inferiore della linea, alla più socialmente conservatrice nella parte superiore della linea; e l’asse orizzontale misura l'”interventismo” economico a sinistra (quello che noi americani chiamiamo “liberale”) e il “libertario” all’estrema destra della linea (quello che gli americani chiamano “conservatore”, ma quello che gli europei chiamano più precisamente “liberal ”!), possiamo dividere il territorio in quattro ideologie politiche abbastanza riconoscibili.
L’angolo in alto a destra rappresenta il vecchio fusionismo repubblicano, o quello che è stato chiamato “conservatore” per diversi decenni. La sua posizione è “socialmente conservatrice ed economicamente libertaria” – pensate a Ronald Reagan e alla Heritage Foundation. Elogia il “governo limitato”, credendo che il risultato di tasse basse e deregolamentazione sia il dinamismo economico, insieme allo spazio per la “società civile” per promuovere e sostenere istituzioni come la famiglia e la chiesa. Rimane una forza potente negli attuali impegni politici del Partito Repubblicano, nonostante la diffusa convinzione nei media che la destra sia interamente prigioniera del trumpismo.
L’angolo in basso a sinistra rappresenta l’attuale nucleo del Partito Democratico – AOC e Very Online Progressives. Socialmente liberale ed economicamente “interventista”, cerca insieme un ordine economico più eguale e un ordine sociale più libertario. Si impegna soprattutto per l’autonomia sessuale e identitaria, la libertà di espressione individuale e dalle istituzioni oppressive che presumibilmente beneficiano di una grande redistribuzione economica.
L’angolo in basso a destra rappresenta il libertarismo puro e genuino sia nella sfera economica che in quella sociale: pensa ad Ayn Rand. Questo blocco ideologico fa appello alle menti che desiderano un’etica coerente della libertà, la cancellazione di tutte le “linee” tracciate che differenziano le sfere dell’autonomia dalle sfere dell’autorità (ad esempio, l’assolutismo della libertà di parola). Sebbene attiri solo un gruppo relativamente piccolo di credenti impegnati, hanno un’influenza istituzionale e politica smisurata attraverso fonti di finanziamento come la Fondazione Koch e istituzioni come Cato. Questo blocco ha finanziato il blocco “fusionista” di destra superiore e, di conseguenza, ha mantenuto la sua agenda economica in prima linea nel Partito Repubblicano (tasse basse, regolamenti ridotti, con le ossa gettate ai conservatori sociali – come Anthony Kennedy) .
L’angolo in alto a sinistra è la casa di coloro che cercano moderazione sia nella sfera economica che sociale – si pensi ad Aristotele, Tommaso d’Aquino, il De Rerum Novarum di papa Leone XIII e l’intera Dottrina Sociale Cattolica. In termini meno elevati, si pensi a quelle figure politiche che sostengono un uso più coerente del potere statale per realizzare fini di ordine e stabilità sia nella sfera economica che in quella sociale, come Viktor Orbán. Tucker Carlson e JD Vance. Gli elettori in questo quadrante cercano un ordine politico e sociale che attinga ai vecchi temi economici della classe operaia una volta avanzati dalla sinistra, insieme a una priorità sull’uso del potere pubblico per rafforzare le istituzioni civiche e familiari apprezzate dalla destra. Questo quadrante è stato definito il “ Partito dello Stato” di Gladden Pappin del Postliberal Order: una combinazione di economia di sinistra e politica sociale di destra. Una scorciatoia tipicamente usata per descriverlo è “populismo”.
Questa divisione delle visioni politiche del mondo è stata resa alquanto famosa quando i risultati delle elezioni del 2016 sono stati tracciati in base all’identificazione degli elettori. Per gran parte del periodo successivo alla Guerra Fredda, l’elettorato americano è stato diviso tra il quadrante in basso a sinistra e in alto a destra, con i repubblicani che disegnavano alcuni libertari e i democratici che disegnavano conservatori sociali che sostenevano le politiche economiche della sinistra (in gran parte cattolici della classe operaia, un segmento dell’elettorato di cui Joe Biden rappresenta l’ultimo sussulto).
Nel 2016 si è verificato un cambiamento drammatico. Il numero degli elettori nel quadrante in alto a sinistra era in crescita da diversi anni, con un susseguirsi di candidati che tentavano di rimescolare l’elettorato: Buchanan, Perot, Santorum, Huckabee (gli ultimi due a cavallo dei due quadranti superiori). Ma ci sono voluti il vero outsider – Donald Trump – così come la catastrofe economica del 2008, la debacle della guerra in Iraq e la disperazione culminante tra la classe operaia bianca ritratta in Hillbilly Elegy di Vance , per realizzare una trasformazione elettorale. Il risultato è stato sorprendente:
(Chiave: ogni punto rappresenta 10.000 voti per Repubblicani [rosso], Democratici [blu] o Altro [giallo])
Trump ha vinto perché ha attirato abbastanza elettori nel quadrante in alto a sinistra (che ora si inclina in modo decisamente repubblicano) mentre correva contro quasi tutti gli impegni del libertarismo. In effetti, l’elettorato del Partito Repubblicano allora, e probabilmente di più ora, si trova genuinamente a cavallo dei due quadranti superiori, la sua base della classe operaia più a sinistra (economica), le sue élite istituzionali ancora più legate all’ala economica libertaria. Trump è stato il primo candidato genuinamente “populista” nominato da un grande partito dopo William Jennings Bryan, e probabilmente l’unico presidente populista dopo Andrew Jackson. Ha chiesto l’uso del potere pubblico per intervenire sia nel mercato che nella sfera sociale. Economicamente, ha condotto una campagna sull’imposizione di tariffe, limitando la globalizzazione economica, limitando l’immigrazione, e ha tentato di utilizzare il pulpito prepotente e la politica fiscale per incoraggiare la crescita della produzione nazionale. Nel frattempo, ha orientato le “guerre culturali” verso posizioni più aggressivamente conservatrici, come tassare le dotazioni universitarie, vietare la CRT nel governo federale e promettere (e forse consegnare) giudici più socialmente conservatori.
Trump ha rivelato qualcosa che gli altri tre “quadranti” volevano oscurare: c’era un ampio segmento non (anche post)liberale dell’elettorato americano. La rivelazione di questo potente segmento – uno che potrebbe inclinare le elezioni per il prossimo futuro – ha causato il massiccio sconvolgimento a cui abbiamo assistito negli ultimi cinque anni. La reazione non è stata solo una normale opposizione politica, ma una denuncia a livello di Armageddon: la democrazia americana sta finendo! Il fascismo è arrivato! È ora di trasferirsi in Canada!
Questa reazione è venuta non solo dagli abitanti di un quadrante, ma anche dalle voci di tutti e tre i quadranti liberali. I progressisti sono diventati “manifestanti per lo più pacifici”. I vecchi neo-conservatori del quadrante in alto a destra, soddisfatti di se stessi con i loro trespoli forniti da finanziatori libertari, sbuffati e furiosi, hanno dichiarato “Mai Trump!” – e divenne Democratici. I libertari hanno speso più soldi creando centri universitari sempre più politicamente irrilevanti dedicati alla LIBERTÀ!!!
Ciò che questo momento della nostra politica ha rivelato soprattutto è che le presunte opposizioni politiche emerse dall’era della Guerra Fredda avevano in realtà più cose in comuneche no. Si erano spartiti la torta liberale. In particolare, i libertari non sorgono nel mondo reale: sono creati nei laboratori sotterranei del Cato Institute. Solo uno psicopatico, o Ayn Rand (c’è una differenza?), crede che il miglior mondo possibile sia quello senza leggi, confini o figli. Per diventare politicamente rilevante, i suoi impegni principali sono stati divisi tra i partiti principali. I repubblicani divennero il partito del liberalismo economico. I Democratici divennero il partito del libertinismo sociale. Mentre una parte perdeva periodicamente, il liberalismo vinceva sempre. Tutto il nostro ordine sociale divenne più libertario. La liberalizzazione economica globalizzata e la normalizzazione del libertinismo sessuale sono cresciute costantemente e inesorabilmente insieme. La più grande esportazione d’America divenne l’ideologia libertaria.
Il risultato di questa trasformazione è oggi evidente: la biforcazione di classe che definisce il nostro divario politico. Le persone della classe operaia hanno costantemente perso terreno sul fronte economico mentre sperimentavano la devastazione nelle loro vite sociali. Secondo ogni misura nota nelle scienze sociali, essere un America non laureato (soprattutto se sei un uomo) significa essere destinato a disfunzioni economiche e sociali, una disfunzione che ora è diventata un’eredità generazionale. Nel frattempo, “la classe dei laptop” è fiorita, monopolizzando opportunità economiche che forniscono un cuscino finanziario per formare una vita familiare più sana sulla scia dello smantellamento delle istituzioni sociali più ampie. Quella che era stata un’utilità pubblica delle reti di supporto sociale come chiesa, comunità e famiglia allargata era stata privatizzata a beneficio esclusivo dei ricchi. Lo sforzo di “decentrare” la famiglia e disancorare le persone dai luoghi e dalla storia era un altro mezzo per mantenere il vantaggio di classe. Milioni indicibili, anzi, miliardi di dollari vengono ora spesi per far dimenticare a tutti che il quadrante in alto a sinistra sia mai esistito.
Il nostro piccolo progetto – The Postliberal Order – è un esercizio per ricordare alle persone non solo che esistono una tradizione e un elettorato non liberali, ma che è superiore all’esperienza disumanizzante, frammentante e deracinante del liberalismo. La nostra alternativa attinge dalla saggezza e dagli insegnamenti antichi dell’era classica e cristiana, saggezza che è stata esplicitamente rifiutata dagli architetti del liberalismo o neutralizzata dall’appropriazione liberale. Mentre il rimpasto politico odierno è nato in gran parte dal basso, le spiegazioni e le giustificazioni di questa alternativa politica hanno un pedigree decisamente nobile, un’eredità che ora viene articolata con forza da un numero crescente di filosofi, teologi, avvocati, giornalisti e intellettuali pubblici.
Come previsto, i nostri avversari sono una legione. Provengono da ogni quadrante del liberalismo regnante. I progressisti sono inorriditi. I liberali di destra sono fuori di sé. E i Libertari vogliono che tu sappia che siamo “ antiamericani.” Il loro scopo comune: il ripristino del vecchio “consenso” liberale. Se avranno successo, il risultato è certo: più o meno lo stesso. Se ti piaceva un ordine economico culminato nel 2008; un ordine sociale in cui il matrimonio ei figli diventano sempre più rari; e un ordine internazionale in cui l’America continua a perdere guerre e legittimità: stai facendo il tifo per quella restaurazione. Se è così, è quasi certo che sei un membro della classe liberale della nobiltà che trarrà vantaggio dallo smash-and-grab che sta avvenendo negli anni crepuscolari dell’impero liberale americano.
Quello che temono, soprattutto, è la perdita della narrativa: una volta che la vera natura della loro coalizione è stata “vista”, non può essere nascosta. Ed è stato visto soprattutto dai giovani che seguono da vicino gli anziani. Tra i giovani studenti più riflessivi e di tendenza conservatrice che incontro, c’è fame di discutere queste idee e di essere parte di un cambiamento più fondamentale per la nostra politica.
Le vecchie linee di battaglia sono ancora lì: vivono come zombi nel paesaggio istituzionale inaridito stabilito negli ultimi cinquant’anni. I liberali di destra sono stati particolarmente attivi, lavorando duramente per rinominare il loro vecchio programma con titoli più “populisti” e creando nuovi programmi per prevenire il costituzionalismo del bene comune – ma tutto al fine di mantenere il ” conservatorismo accovacciato difensivo ” al servizio del liberalismo in corso avanzare. Eppure, nonostante gli sforzi della retroguardia degli zombi del think tank e dei loro epigoni, quelle linee di battaglia stanno comunque cambiando.
Per tornare alle scoperte non scientifiche delle opinioni politiche dei miei studenti, quest’anno è stata un’ulteriore rivelazione. Per almeno gli ultimi vent’anni – sia nelle università cattoliche come Georgetown o Notre Dame, sia in una scuola laica come Princeton – la suddivisione delle mie classi è stata all’incirca un terzo in ogni quadrante “liberale”: progressista, libertario e liberale di destra. Senza dubbio ho tratto un numero non rappresentativo da quest’ultima categoria – repubblicani “fusionisti” – a causa della mia reputazione di professore conservatore. Ma quel crollo ha comportato le divisioni politiche della politica americana in quel periodo e le ambizioni degli studenti di appartenere a una di quelle “tribù” politiche rilevanti.
Quest’anno?
1/3 del vecchio fusionismo repubblicano (in alto a destra)
1/3 Progressismo (in basso a sinistra)
1/3 postliberali (in alto a sinistra)
E a malapena un libertario nella stanza.
Ecco perché ci odiano. L’impero liberale vuole che tu non veda dietro le quinte. Ma ce l’abbiamo, e non si nasconde una genuina alternativa che rivela le più profonde continuità tra i sapori del liberalismo. I loro soldati continuano a combattere la vecchia guerra, ignari che le linee di battaglia sono cambiate. Il futuro è postliberale e il fronte è andato avanti.
Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge
“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.
Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.
La questione tedesca
Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.
L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.
Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)
La questione della sovranità
Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.
Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.
Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.
Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.
Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .
La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile
Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.
L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.
Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,
È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.
https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/
L’immigrazione, l’economia e le elezioni italiane, di George Friedman
L’Italia ha eletto un partito di estrema destra alle elezioni parlamentari tenutesi nel fine settimana. Il risultato indica che gli italiani sono scontenti della realtà del Paese. L’Italia è la terza economia dell’Unione Europea, dopo Germania e Francia, e le sue realtà economiche e sociali sono molto diverse dagli altri paesi di punta del Continente, nel senso che la sua economia è meno produttiva e genera più debito. Gli italiani credono, con qualche ragione, che la Banca Centrale Europea stia portando avanti politiche monetarie a vantaggio della Germania, che vuole mantenere il valore dell’euro come creditore netto. L’Italia privilegia una politica molto diversa di denaro a buon mercato, una preferenza ragionevole considerando che è un debitore netto. Un’unica banca europea non può servire entrambi gli interessi, né dividere prontamente la differenza. Ma date le dimensioni della Germania,
La logica impone che l’Italia eleggerebbe un governo di dura opposizione che vede la BCE come una minaccia alla prosperità italiana. È nostra opinione da tempo che la tensione tra Italia e Germania sulla politica monetaria rappresenterebbe la più grande minaccia, forse letale, per l’Unione Europea. Visto il prossimo inverno, i politici europei proteggeranno gli interessi dei propri elettori, e quindi seguiranno politiche divergenti. La BCE non sarà in grado di armonizzare le economie europee e, se l’embargo russo persiste, la competizione tra le nazioni sarà intensa. L’UE è stata creata per garantire pace e prosperità, come proclama il suo motto. La pace vacilla e la prosperità sta svanendo. Le elezioni italiane segnano una crisi.
Nel frattempo, c’era un altro problema che incombeva sulle elezioni: l’immigrazione clandestina. Questo problema è stato affrontato dall’Europa dal 2015, quando un numero enorme di migranti musulmani è arrivato nel continente. All’epoca, l’immigrazione relativamente aperta era la politica dell’UE, ma l’opposizione era sostanziale. I fautori della politica ritenevano che gli Stati membri avessero l’obbligo morale di ammettere i migranti. Ma gli oppositori sostenevano che ci si aspettava che gli Stati membri facessero entrare troppi migranti e che il blocco ei suoi sostenitori, in particolare quelli dei paesi ricchi, si stessero pavoneggiando per la loro superiorità morale senza pagare il conto.
Per capire questi temi, inserirei la mia esperienza di giovane immigrato negli Stati Uniti, cosa che ho già fatto. Sono un immigrato e di certo non mi oppongo all’immigrazione. Allo stesso tempo, capisco lo stress che gli immigrati mettono sul sistema e la paura per l’immigrazione. Quella paura non può essere liquidata come semplice razzismo. Il costo dell’immigrazione è a carico di gruppi che trovano l’onere difficile da trasportare. Tuttavia, il problema non è solo finanziario. Quando gli immigrati arrivano in un paese, non vivono tra i ricchi. Invece, sono incanalati a vivere tra i più poveri della società, dove un appartamento potrebbe essere a malapena accessibile.
Gli immigrati sono anche stranieri e spesso non capiscono il paese ospitante. I genitori spesso vanno a fare lavori umili e i loro figli sono lasciati a se stessi. Mancando la supervisione dei genitori, gli immigrati dallo stesso paese si stringono insieme e scoppiano le guerre – tra ebrei e portoricani, irlandesi e neri, italiani e dominicani, per fornire un campione dei gruppi etnici con cui sono cresciuto. Sono stati commessi crimini e i residenti sono stati rapinati e derubati nei loro appartamenti.
Il punto è che l’immigrazione è un’esperienza brutale per i giovani e un’influenza ancora più orribile sui residenti che vi si erano stabiliti anni prima. Era particolarmente un incubo per gli anziani. Chiunque potesse fuggire. Chi non poteva restare in casa. Questa è stata l’esperienza degli immigrati, ed è stata anche l’esperienza della classe operaia e dei pensionati. Non è stata davvero colpa di nessuno, a parte coloro che hanno sostenuto la politica senza capire cosa significasse l’immigrazione su larga scala e non hanno tentato di mitigare la crisi che ha causato.
Ho notato uno schema a New York che vedo in Europa e altrove. I più appassionati difensori dell’immigrazione non vivono nei quartieri in cui si stabiliscono gli immigrati, né hanno la minima idea di cosa comporterà la collisione delle culture o di cosa faranno gli adolescenti senza sorveglianza. Se niente di tutto questo accade nei loro quartieri, non è che siano indifferenti al caos; è che semplicemente non riescono a capirlo.
L’aumento dell’ostilità nei confronti degli immigrati in Europa aumenterà quando gli immigrati saranno inviati nei quartieri più poveri dei paesi più poveri. Non mi scambi per un oppositore dell’immigrazione. Sono qui in America come un immigrato. Ma sono anche consapevole che non esiste un memoriale che contenga i nomi di coloro che lo hanno pagato.
Il problema dell’immigrazione esiste in tutti i paesi. Ma in Europa è più divisivo. L’America è una nazione di immigrati e tutti noi abbiamo un antenato che è venuto qui o è stato portato qui, ad eccezione dei nativi americani, che sono stati quelli che hanno pagato per la prima ondata. Ma capisco la posizione italiana sull’immigrazione, che si può riassumere così: “Lasciateli andare tutti in Germania”. Ed è qui che la questione economica e quella dell’immigrazione si incontrano, creando un nuovo potente problema alimentato dal disprezzo rivolto a chi si oppone all’immigrazione delle classi morali superiori. L’UE sarà lacerata da questi problemi, così come altri paesi.
Non lasciare che le fughe di notizie di Nord Stream precipitino il conflitto Russia-Ucraina, editoriale del Global Times
Gangster in azione_Giuseppe Germinario
Un’immagine rilasciata dal comando di difesa danese mostra la fuga di gas al gasdotto Nord Stream 2 vista dall’intercettore danese F-16 a Bornholm, in Danimarca, il 27 settembre 2022. I due gasdotti Nord Stream che collegano la Russia e l’Europa sono stati colpiti da fughe di notizie inspiegabili, che sollevano sospetti di sabotaggio. Foto: AFP
Un totale di tre perdite sono state rilevate sui gasdotti russi Nord Stream, che trasportano gas naturale in Europa, lo stesso giorno, e sono state accompagnate da “potenti esplosioni sottomarine”, quindi ampiamente considerato un “atto deliberato”. il risultato è che la speranza dell’Europa di ricevere gas russo attraverso i gasdotti Nord Stream quest’inverno è del tutto svanita nel nulla, e anche il nodo già complicato e intrecciato tra Russia e Occidente è stato reso più difficile da questo “incidente”.
Gli analisti generalmente ritengono che questa sia una manifestazione speciale dell’effetto di spillover distruttivo del conflitto Russia-Ucraina. Chi l’ha fatto? Nessuno ha rivendicato la responsabilità. Ci sono state varie speculazioni sui social media internazionali, ma tutte non hanno prove credibili, il che, tuttavia, ha ulteriormente intensificato le tensioni tra tutte le parti interessate e aumentato il sospetto strategico reciproco tra le principali potenze, causando ulteriori problemi durante il disastro secondario.
In ogni caso, l’attacco alle grandi infrastrutture transnazionali ad uso civile è di natura molto odiosa. Ha anche creato un pericoloso precedente dallo scoppio del conflitto Russia-Ucraina. Una tale tendenza non può essere assecondata. Sia l’Unione Europea che la Russia hanno chiesto alle agenzie competenti di condurre un’indagine completa e pubblicizzare i risultati. Poiché l’incidente è avvenuto all’interno delle zone economiche esclusive di Danimarca e Svezia, al momento Germania, Danimarca e Svezia stanno indagando sulle cause dell’incidente. Tuttavia, poiché questo incidente coinvolge molti paesi, è necessario chiedere agli organismi internazionali competenti di istituire una squadra investigativa congiunta in modo da ripristinare la verità, scoprire gli autori e punirli di conseguenza il prima possibile.
Sebbene la verità per ora non sia nota, una cosa è certa: indipendentemente da quale parte abbia premuto il pulsante per danneggiare i gasdotti Nord Stream, ha inferto un duro colpo alla cooperazione energetica Russia-Europa. L’UE ha fatto grandi sforzi per stabilizzare i prezzi dell’energia in precedenza, ma è probabile che le perdite di Nord Stream compensino tutto questo. L’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha rilasciato una dichiarazione mercoledì affermando che “qualsiasi interruzione deliberata delle infrastrutture energetiche europee è assolutamente inaccettabile”. Poiché “l’inverno più freddo” ha seguito “l’estate del malcontento”, un’ondata più ampia di fallimenti aziendali e recessione economica è arrivata alle porte dell’Europa.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che il sabotaggio degli oleodotti Nord Stream non sarebbe “nell’interesse di nessuno”. Ma perché gli incidenti che sono “nell’interesse di nessuno” sono accaduti ancora e ancora? Ciò merita una seria considerazione da parte della comunità internazionale.
Lo stesso destino sfortunato del gasdotto Nord Stream 2 spiega non pochi problemi. Il principale programma di cooperazione reciprocamente vantaggioso e vantaggioso per tutti tra la Russia e l’UE ha incontrato la ferma opposizione degli Stati Uniti sin dal primo giorno. Dalle ripetute minacce verbali a molti round di sanzioni, gli Stati Uniti hanno mostrato la loro ferma posizione: non si fermeranno finché non incasinaranno il Nord Stream 2.
Dopo lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina, Nord Stream 2, un progetto di cooperazione che in realtà è vantaggioso per il sostentamento delle persone europee, era sull’orlo del fallimento sotto la pressione multipla dell’egemonismo, dei calcoli geopolitici e dei dilemmi di sicurezza. Questo sabotaggio deliberato ha soffocato la possibilità di una sua rinascita.
Non è difficile sentire che c’è una forbice invisibile che taglia i legami di interessi tra Russia ed Europa. Chi controlla le forbici sta facendo politica. Quando i legami di interessi saranno interrotti, la Russia e l’Europa rimarranno di fronte a un tragico confronto e le vite di un gran numero di persone comuni si riveleranno la più grande vittima.
L’incidente del Nord Stream mostra ancora una volta che l’impatto del conflitto Russia-Ucraina non si limita al campo di battaglia militare, ma si è riversato sull’energia, sull’economia, sul cibo e persino sulla guerra dell’opinione pubblica. L’incidente di Bucha nell’aprile di quest’anno ha gettato una pesante ombra sul negoziato di tregua, che era in un momento critico. Ora, l’incidente dell’oleodotto ha nuovamente compresso lo spazio per le parti coinvolte nel conflitto per raggiungere una soluzione politica.
Ancora più preoccupante, nessuno sa se la pianificazione del prossimo incidente Bucha o Nord Stream sia già in corso. Questa incertezza sarà la spada di Damocle che incombe sull’Europa e persino sul mondo intero.
Per il momento, quello che tutte le parti dovrebbero fare è tessere una rete di sicurezza il più possibile per far sì che il conflitto raggiunga un atterraggio morbido il prima possibile. Il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha dichiarato mercoledì che la Russia è pronta a prendere in considerazione le richieste dei paesi dell’UE per un’indagine congiunta sui recenti incidenti sui gasdotti offshore del Nord Stream, se ci sono richieste dai paesi europei.
Se la Russia e i paesi europei possono collaborare nelle indagini sugli incidenti, anche se tale cooperazione è estremamente limitata, sarà un ramo d’ulivo verde nella tempesta nera, che aiuterà ad alleviare il confronto ed evitare la spirale delle contraddizioni.
Va inoltre sottolineato che, dall’incidente di Bucha all’incidente del North Stream, la guerra e il caos sono i principali responsabili di tutte queste tragedie. Si spera che il suono dell’esplosione sugli oleodotti del North Stream possa risvegliare più persone a unirsi alla ricerca della pace, in modo da trasformare l’incidente del North Stream in un’opportunità per fermare la guerra e promuovere la pace, piuttosto che una miccia che peggiora la situazione.
Stati Uniti, strategie di logoramento_Con Gianfranco Campa
Puntata particolarmente importante. I nemici dichiarati dalla attuale leadership statunitense sono la Russia nell’immediato, la Cina dal punto di vista strategico. L’obbiettivo di fondo è scompaginare la prima, trattare da posizione di forza con la seconda. Arrivare a regolare il contenzioso con la Cina, comporta riequilibrare preliminarmente la propria economia attualmente fondata sul debito e sul drenaggio di risorse dall’area del dollaro e su un processo di decentramento industriale che espone gli Stati Uniti alla fragilità di un circuito troppo vulnerabile. I paesi europei, in primo luogo la Germania, sono destinati ad essere la vittima sacrificale di questa dinamica a beneficio esclusivo del loro alleato egemone. Su questo il gruppo dirigente statunitense può far leva sugli utili idioti dei paesi scandinavi e dell’Europa Orientale, nella fattispecie i paesi baltici, la Polonia. Costoro, in nome di brame di rivalsa sopite da troppo tempo nei confronti di Russia e Germania, non esitano a legarsi mani e piedi con chi a tempo debito non esiterà a scaricarli. Un già visto nelle precedenti due guerre mondiali, ma di nessuna lezione per il presente. Gli Stati Uniti, intanto, riescono a lucrare a man bassa sul mercato energetico, grazie alle dinamiche politiche innescate; compresi gli atti di sabotaggio. L’ennesima conferma di come le fortune economiche dipendono soprattutto dalle scelte politiche, piuttosto che da dinamiche economiche intrinseche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
https://rumble.com/v1m1xlq-stati-uniti-strategie-di-logoramento-con-gianfranco-campa.html
IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI, di Marco Giuliani
IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI
La futura maggioranza sarà costituita da una destra ormai annidata nelle stanze dei poteri forti
Che il segretario uscente di ciò che qualcuno, sino a poche ore fa, osava ancora definire “centrosinistra”, avrebbe annichilito quel residuo di aspirazioni legate a una maggiore giustizia sociale, al valore del pacifismo (almeno d’estrazione cattolica) e alla tutela del mondo del lavoro, era cosa ampiamente prevista. Potremmo dire banalmente scontata. Si aprono tuttavia scenari che saranno caratterizzati principalmente da alcune variabili indipendenti e pressoché inedite del panorama parlamentare italiano: l’uscita di scena dei movimenti della sinistra pacifista (e anche un po’ classista) legata ai tradizionali canoni trasmessi dal sessantotto e l’insinuazione di una destra, se ancora si può definire destra, ormai da tempo annidata nei meandri dell’euroatlantismo filostatunitense e negli alti apparati di potere istituzionali e politici.
Chi, tra gli elettori della nuova maggioranza (che stavolta non si sono astenuti) spera in un cambiamento, c’è la seria possibilità che resti fortemente deluso; il prossimo venturo esecutivo, infatti, ha già imposto alcuni paletti a chi vorrà starci: prosecuzione dell’appoggio a Kiev in armi e miliardi e applicazione dell’agenda Draghi, almeno riguardo ai conti pubblici e alle relationship internazionali con UE e Nato. In relazione a questi presupposti, ci sarà da capire quanto il populismo della Lega sopporterà le imposizioni di Bruxelles e i diktat di Biden, che tra sanzioni e spese militari stanno rendendo la vita difficile a decine di milioni di cittadini del vecchio continente. Ma tant’è. Il rigenerato centrodestra a trazione meloniana è da tempo ancorato su posizioni conservatrici e non estremiste, linea favorita certamente dall’appiattimento dei programmi e delle scadenti iniziative del panorama politico italiano, ormai tecnocratizzato e concentrato sulle leggi di bilancio più che sulle preoccupazioni e sugli interessi dei cittadini.
La prima seduta delle due nuove camere è fissata per il 13 ottobre, e sarà condizionata, oltre che dal cosiddetto toto-ministri, anche dalla richiesta del Capo dello Stato di apporre immediatamente una forte stabilità (per poter continuare ad assecondare Casa Bianca e Von der Leyen?), della quale, in un momento di crisi internazionale così drammatico, si deve far garante. Già, perché la crisi legata al conflitto russo-ucraino continua a provocare strascichi sempre più gravi; la manomissione del Nord Stream e le annessioni dei territori del Donbass, legittimate o meno dai referendum, infatti, non hanno fatto altro che indispettire ulteriormente i falchi euroatlantici, decisi ad applicare nuove sanzioni e fornire nuove armi a Zelensky. Va ricordato altresì che i prossimi aumenti dei costi energetici non peseranno affatto sugli Usa o sui vari Borrell, Von der Leyen e Sholtz, ma solo sui cittadini comuni di un’Europa sempre più subalterna alla politica militarista di Washington. Quanto è giusto far pagare le sanzioni al popolo europeo? Perché mai le privazioni determinate dall’embargo a Mosca dovrebbero tramutarsi in bollette? Speriamo che l’esecutivo appena uscito dalle urne non ci parli di nuovi scostamenti di bilancio, perché altrimenti vorrebbe dire che le future generazioni cresceranno con enormi debiti sulle spalle vita natural durante.
Nel frattempo, lo slogan si vis pacem para bellum, risalente alla Roma antica e in particolare allo scrittore Vegezio, comincia a scricchiolare. Oltre ai mal di stomaco di Orban e del serbo Vucic, anche i tedeschi si sono scossi: con 476 no, il Bundestag ha respinto la risoluzione 20/2347 che prevedeva la spedizione di altre armi pesanti agli ucraini. Ciò significa che raccoglie sempre meno consensi il prolungamento di un conflitto che sta indebolendo solo l’Europa e che potrà allentarsi solo con una trattativa ed eventuali, reciproche concessioni.
MG
BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA
Crimea: quel referendum è illegittimo, articolo del 7 aprile 2014 a cura della redazione di www.ispionline.it
Televideo Rai del 26/09/2022, pp. 120-180 –
https://www.bundestag.de/dokumente/textarchiv/2022/kw39-de-entschlantrag-reg-erklaerung-912538, link della pagina ufficiale del parlamento federale tedesco, consultata il 29 settembre 2022 –
www.notiziegeopolitiche.net, pagina del 27 settembre 2022 consultata il 29 settembre 2022 –www.theitaliantimes.it, pagina del 28 settembre 2022 consultata il 28 settembre 2022 –