INIMICIZIA, CONFLITTO E BLOCCO SOCIALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

INIMICIZIA, CONFLITTO E BLOCCO SOCIALE

1. In relazione all’esito delle elezioni presidenziali americane è stata ripetuta la tesi – formulata oltre vent’anni fa da Christopher Lasch – che le élite dirigenti sono vieppiù separate dal popolo; e che queste non riescono a comprenderlo, né a capire le ragioni per cui ciò è avvenuto, né perché il tutto permane. La frattura ormai è consolidata: il giudizio, condiviso da tanti, che Trump ha perso le elezioni ma il trumpismo è quanto mai in buona salute (a differenza di quanto avviene per altri movimenti populisti – come i 5 Stelle) lo corrobora.

La tesi di Lasch (e di altri) è essenzialmente sovrastrutturale, e cioè relativa a differenze nei modi di pensare, negli stili di vita, nei valori di riferimento della classe dirigente e del popolo, più che strutturale, cioè dipendente dai rapporti di produzione o economici in genere. Il che caduca comunque la distinzione marxiana della lotta di classe nell’età capitalista come conflitto economico tra proletariato e borghesia.

Se comunque è condivisibile la tesi della caducazione/neutralizzazione della lotta borghesia/proletariato come distinzione politica prevalente nel “secolo breve”(ora non più)1 occorre vedere se, nell’attuale contrapposizione emersa (e in parte emergente) globalisti/populisti ci sia un conflitto d’interessi economici che se non determina, rafforza ed enfatizza un contrasto cui concorrono vari elementi sovrastrutturali di guisa da trasformarlo – congiuntamente – in discriminante politica prevalente.

2. Scriveva Berlinguer in un noto saggio, di poco successivo al golpe di Pinochet contro il Presidente Allende che “tra proletariato e la grande borghesia – le due classi antagoniste fondamentali nel regime capitalistico – si è infatti creata, nelle città e nelle campagne, una rete di categorie e di strati intermedi, che spesso si sogliono considerare nel loro complesso e chiamare genericamente «ceto medio»” e che “per gruppi decisivi di ceto medio il passaggio a nuovi rapporti di tipo socialista o socialisti non avverrà che sulla base del loro vantaggio economico e del libero consenso, e che in una società democratica che si sviluppi verso il socialismo sarà garantita la loro attività economica” (il corsivo è mio); ne deduceva la necessità di una strategia di alleanze (con i ceti medi): “la strategia delle riforme può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia di alleanze. Anzi, noi abbiamo sottolineato che, nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva perché, se si restringono le alleanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppi dominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno”. La politica di alleanze inizia con la ricerca di punti di convergenza tra la classe operaia e le altre forze sociali “di modo da non sospingere in posizione di ostilità vasti strati di ceti intermedi, ma riceva invece, in tutte le sue fasi, il consenso della grande maggioranza della popolazione… Questo è certamente uno dei problemi vitali che ha dinnanzi a sé un governo di forze lavoratrici e popolari” (i corsivi sono miei). Concludeva con la proposta del “compromesso storico” e il rifiuto di un’alternativa di sinistra.

3. In quel saggio del segretario del PCI oltre a Marx c’è tanto altro, Gramsci soprattutto, con la sua teoria del blocco storico e dell’egemonia, esercitata attraverso la direzione ideale e il consenso che la classe dirigente riscuote, e non solo nel potere praticato attraverso gli apparati coercitivi statali. Quanto al blocco storico (maggioritario) questo è il sistema di alleanze sociali della classe operaia che guarda, nello specifico della situazione italiana (di allora), ai contadini del Nord e del Sud. Il proletariato, scriveva Gramsci «può diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice, ciò che significa, in Italia, nei reali rapporti di classe esistenti, nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle masse contadine»”. Tale blocco storico (operai del nord – contadini del sud) era speculare a quello dirigente, composto da industriali del nord ed agrari del Mezzogiorno. Per Gramsci il blocco storico è collegato alla concezione del Partito come “moderno Principe” e (ancor di più) alla funzione dell’intellettuale organico, peraltro di difficoltosa applicazione alla situazione italiana contemporanea, caratterizzata da partiti sicuramente più leggeri di quello bolscevico (e anche del Partito comunista di Gramsci); e neppure giovantesi dell’opera di intellettuali organici (semmai di non – o poco – intellettuali e neppure tanto organici). Tuttavia appare abbastanza coeso un “blocco sociale” o almeno socio-politico di orientamento sovran-popul-identitario, largamente maggioritario, che perdura ed ha una continuità a dispetto delle vicende e degli insistenti tentativi – interni ed anche internazionali – di dividerlo, così da ridurne la capacità d’incidenza.

4. Il tutto è evidente da quanto capitato negli ultimi decenni in Italia. Dopo il risultato delle politiche del 2018, i partiti che esprimevano le aspirazioni dei gruppi sociali riconducibili al “blocco” (grillini, leghisti e Fratelli d’Italia)2 hanno avuto un elettorato costante e fidelizzato più che al singolo partito, all’insieme di appartenenza. Se le somme dei tre “attori” principali – ancorché qualche punto in più lo si ottiene sommando le liste minori – era alle politiche 2018 di circa il 55%, alle europee del 2019 del 57,5%, mentre nelle successive elezioni regionali e sondaggi è all’incirca pari alle europee, il totale complessivo è costante, anzi in lieve aumento. Accompagnato, negli ultimi sondaggi, da un trasferimento di gradimento dalla Lega e dal M5S a Fratelli d’Italia, ormai oltre il 16%3. Consegue da questi dati che la base sociale dei partiti “populisti” è fluida al loro interno, ma solida verso l’esterno. D’altra parte a fare la somma dei partiti globalisti, cioè essenzialmente PD + LEU+ FI e minori, la somma non oltrepassa mai un terzo (abbondante) dell’elettorato: anch’essa è relativamente stabile, attestata su un’inferiorità di almeno 20 punti percentuali rispetto agli avversari.

In questa situazione, la mossa di far nascere il Conte-bis staccando il M5S dall’alleanza è, come ho ripetuto, l’applicazione di una delle regole fondamentali della politica: dividere gli avversari. Da sempre praticata, dal divide et impera dei romani al “mai la guerra su due fronti” del Quartiere generale tedesco del secolo scorso4.

Tuttavia, anche in tal caso, la persistenza dello schieramento anti-establishment è continuata, con: a) il progressivo svuotamento del M5S a favore dei partiti affini più coerenti nella contrapposizione all’establishment b) nelle difficoltà del governo, almeno a prendere decisioni incidenti sul crinale discriminatorio (v. MES e “aiuti europei”). Né cambia molto che, attualmente, Lega e Fratelli d’Italia siano alleati di un partito disomogeneo allo schieramento populisti versus globalisti come FI, perché il di esso ridimensionamento costante e progressivo lo rende meno rilevante, nè è facile per Berlusconi, indicato per un ventennio come l’arcidiavolo dalla sinistra (ora sostituito, nel ruolo, da Salvini), raggiungere un accordo con gli storici avversari5.

È interessante, anche in rapporto a situazioni non dissimili di altri paesi occidentali, chiedersi le ragioni di tale persistenza e in che misura rifletta la differenziazione economico-sociale tra i rispettivi elettorati.

5. Mi è capitato più volte di notare come, dopo il crollo del comunismo, il discrimine politico, nel senso della distinzione amico-nemico, era passato da quello marxiano (nel secolo breve) cioè borghesia/proletariato a un altro, non percepito come economico – almeno in gran parte – ma socio-culturale, come anticipato da Lasch. Tuttavia, senza trascurare i voti degli operai bianchi americani, (passati, secondo quanto si legge, da un voto – in maggioranza – ai democratici a quello a Trump – v. risultati negli Stati della Rustbelt) la “crescita” economica italiana, successiva al crollo del comunismo, è stata la peggiore dell’area UE come dell’area euro.

Il ristagno dei redditi, delle aspettative di vita (e molto spesso la loro riduzione), politiche economiche volte a favorire il capitale (finanziario, in primo luogo), il trasferimento di capitali, l’importazione di manodopera a basso costo (le migrazioni), la delocalizzazione, l’aumento (e la distribuzione) degli oneri fiscali ha provocato, in Italia (e non solo, ma soprattutto) una serie di cambiamenti nell’ultimo trentennio i quali, negli aspetti più rilevanti sono: elevato tasso di disoccupazione, incremento della pressione fiscale (e para-fiscale), peggiore distribuzione della stessa, contrazioni delle prestazioni previdenziali e assistenziali, oltre alla consueta scarsa efficienza dell’apparato amministrativo.

In gran parte dovute a scelte che colpiscono soprattutto (o soltanto) i ceti medi e gli strati popolari (ossia a basso reddito)6.

E il tutto evidentemente, non è molto distante da quanto praticato in altri paesi, se la tesi che le élite dirigenti in occidente hanno “tosato” i ceti medi e popolari è stata, in modo non tanto dissimile espresso da molti: dal filosofo spagnolo Dalmacio Negro Pavon, il quale ha affermato come la crisi economica, successiva al 2008 è stata fatta pagare ai ceti medi, al socialista proudhoniano francese Jean Claude Michéa, per il quale (come per molti altri) sono stati i “perdenti della globalizzazione”, ossia quell’80-90% della comunità che non fa parte delle élite né del loro seguito sociale a sostenere il costo.

6. In Italia abbiamo avuto la sfortuna del governo Monti, il cui pregio maggiore è di aver svolto la politica più coerente nell’accollare ai “perdenti della globalizzazione” gli oneri, senza peraltro riuscire ad avviare una ripresa, anzi, peggiorando il deficit (e così facendo da levatrice all’alternativa).

Restano i fatti: l’IMU – con gettito quasi triplicato rispetto all’ICI – colpisce gran parte della popolazione, essendo gli italiani – a leggere le statistiche – all’80% proprietari di casa; le pensioni “d’oro” e “d’argento”, così sono denominate rispettivamente, le pensioni superiori agli € 2.500 e a € 1.300,00 (netti) mensili, sono bloccate o semi-bloccate da ormai 8 anni, a carico quindi dei ceti medi (e non solo); l’aumento del prelievo fiscale che all’epoca del governo “tecnico” raggiunse il livello più alto; la legislazione volta a dilazionare i pagamenti pubblici (questa e il precedente praticati anche da gran parte dei governi della “seconda repubblica”) il c.d. “rigore” che riduceva, oltre alla possibilità di ripresa anche l’occupazione. E si potrebbe continuare con molto altro, praticato da Monti (e, in misura minore, dai governi successivi)7 ispirato dalla medesima filosofia. Il tutto condito dalle consuete litanie o meglio, paretianamente – derivazioni – (ce lo chiede l’Europa…così fan tutti, ecc. ecc.), una delle quali è – in particolare – rivelatrice dell’espediente tattico d’indicare ai contribuenti il nemico cui addebitare il prelievo: l’evasione fiscale. Pertanto attribuita, dai salmodianti (al servizio delle élite) ai lavoratori autonomi. Così il nemico, il rapace predatore non è l’esattore, ma l’idraulico, il ragioniere, il geometra, il medico. Manifesto artifizio volto a dividere l’opposizione sociale e politica e a sterilizzarnene preventivamente la resistenza.

Di fronte a ciò le misure economiche del governo Conte 1 costituivano – anche se nella durata breve di tale esecutivo – un limitato, quanto deciso cambio di direzione. Le modifiche alla legge Fornero e l’aumento della soglia del prelievo forfettario ai lavoratori autonomi hanno dato un sollievo ai ceti medi (e non solo); il reddito di cittadinanza a quelli più disagiati come i disoccupati. Tutti tartassati o trascurati dai governi precedenti, e in qualche misura, rappresentati dalle due componenti del governo; Lega e M5S.

E preconizzava così un nuovo “blocco storico” al governo, fondato sull’alleanza tra classe media e ceti popolari. Data la dimensione di tali gruppi sociali, la maggioranza elettorale era (ed è tuttora) assicurata. Di qui l’esigenza vitale di dividerli e la nascita del Conte 2.

7. Le vicende successive – in cui un ruolo perturbatore è stato svolto dalla pandemia – stanno dimostrando tuttavia che, sia pure riuscito il processo di divisione al vertice, non lo è altrettanto alla base. L’elettorato sta semplicemente trasmigrando dai grillini agli anti-establishment più conseguenti. L’opposizione politica e sociale alle élite non demorde e nemmeno si attenua. I provvedimenti (spesso discriminatori) presi dal governo PD-grillini, a quanto pare, la stanno attizzando.

Il carattere discriminatorio degli – effettuati ed annunciati – “ristori” relativamente protettivi per i lavoratori dipendenti, molto meno per le imprese (termine che ricorre con preoccupante frequenza nelle dichiarazioni al miele dei politici), e quasi nulli per i lavoratori autonomi (che spesso sono piccole imprese) conferma l’espediente di dividere il blocco sociale; ma come detto, almeno finora, al culmine della “seconda ondata” del Covid, pare non riuscito. Anzi è socialmente diffusa una diffidenza e crescente insofferenza, rappresentata dalla stampa mainstream come (addirittura) negazionista (della pandemia, del virus, ecc. ecc.), ma in effetti rivolti contro le insufficienti misure – perché a carattere non generale, più che economicamente insufficienti. Si aggiunge a ciò che, per alcune categorie il ristoro è pieno (o quasi); anzi tenuto conto della pratica dello smart-working la prestazione lavorativa è così ridotta e/o più comoda8; pertanto a parità di retribuzione, il lavoro prestato è minore.

8. È comunque evidente che, a con-causare la contrapposizione, è anche un conflitto economico-sociale9. Conflitto antico, almeno quanto quelli enumerati nell’apertura del “Manifesto” di Marx ed Engels, e spesso considerato in epoca moderna, dai pensatori italiani (e non solo): quello di appropriazione delle risorse tra governanti e governati10.

All’uopo è utile ricordare che studiosi italiani di scienze delle finanze da Pantaleoni in poi distinguono i rapporti economici tra governanti e governati in tre categorie: tutoriali, quando le scelte dei governanti sono orientate alla salvaguardia dell’interesse di tutti; parassitari (i governati sono sottomessi e sfruttati al fine di procurare durevole vantaggio a favore della élite dirigente e delle categorie da questa preferite); predatori (dove prevale l’interesse delle classi dominanti ad aumentare il proprio utile, in particolare “a breve periodo”), laddove l’appropriazione delle risorse è sregolata e soprattutto depressiva della ricchezza della comunità.

Nella c.d. “seconda repubblica”, le cui forze politiche prevalenti sono quelle ora in costante diminuzione elettorale, l’andamento è stato predatorio più che parassitario. L’aumento fiscale rispetto al PIL è stato tra i più alti in Europa ossia +3,2%, più del doppio della zona euro (+ 1,5%); nel periodo 2008-2017 l’aumento è stato dell’1,3%11. Nello stesso periodo l’aumento del reddito individuale degli italiani è stato mediamente dello0,3% l’anno, ma è crollato dopo il 2008, aiutato nella discesa dalle politiche “rigorose” del governo Monti (e successive).

Dalla persistenza e dalla irreversibilità da ciò derivano due conseguenze: dalla stagnazione/recessione che il reddito degli italiani è stabilmente in calo; all’altra che il prelievo fiscale è, altrettanto stabilmente in aumento.

La somma di tali risultati è che gli italiani – salvo minoranze privilegiate – sono più poveri12. Il rapporto debito/PIL che sarebbe stato il motivo per le politiche rigorose poi è sempre in aumento, ad onta della scienza e tecnica profuse per ridurlo.

Tanto e durevole sconquasso non poteva sfuggire alla maggioranza degli italiani malgrado gli sforzi fatti per nasconderlo o edulcorarlo, sviando così l’attenzione. Piuttosto, di fronte all’argomento decisivo dei governi di centro-sinistra che i lavoratori autonomi evadono di più (paghiamone meno, paghiamole tutti) pare che gli italiani, sospettino che se grandi imprese nate e cresciute in Italia mettono la sede in Olanda, qualche beneficio societario e fiscale lo dovrebbero avere, altrimenti sarebbero amministrate da minus habentes. Ma un beneficio legale a favore di colossi economici a quante evasioni di “partite IVA” corrisponde? A qualche centinaia di migliaia cadauno?13. Non è da escludere che l’elusione fiscale di grandi imprese sia pari a centinaia di migliaia di contribuenti. E che l’aumento delle imposte e l’istituzione di nuove sia dovuta – anche – a ciò.

9. Ciò stante occorre, per concludere, chiarire la “natura” del conflitto, e non solo delle cause – plurime – che l’hanno indotta e alimentata.

Miglio sosteneva che il concetto marxista di classe è di limitata utilità per spiegare il conflitto politico14. Con un giudizio che ricorda Gramsci (oltre Hegel) scrive “La verità è che una classe diventa traente – qui uso il concetto in senso hegeliano – una classe diventa ‘generale’ in un processo storico, quando riesce a trascinare anche le altre”15; e le classi sociali “sono protagonisti ‘occasionali’ della storia. Di fatto, protagonista della storia è invece soltanto la classe politica, con le sue frazioni e il loro continuo alternarsi… le classi economico-sociali contano in quanto diventano seguito di frazioni di classe politica e operano nella storia essenzialmente come seguiti di classe politica”16; ma la classe sociale, non è tanto costituita dall’appartenenza a un gruppo (imprenditori, operai, redditieri, ecc. ecc.) ma dalla rappresentazione da parte dei componenti dell’appartenenza stessa, ossia “l’autoascrizione e la consapevolezza, in cui giuoca l’elemento politico dell’identificazione”. Se si sviluppano queste valutazioni di Miglio a determinare il blocco storico è principalmente e politicamente la condivisione del nemico, interno ed esterno17.

Per l’Italia del XXI secolo, le élite della seconda repubblica hanno, con le loro politiche, alimentato l’ostilità (a loro) di vasti strati sociali – largamente maggioritari – come sopra (brevemente) ricordato. Con l’emergenza Covid il tutto è peggiorato: basti notare che, se altre categorie sono state appena toccate (gli impiegati pubblici); altre relativamente protette (i dipendenti privati); altre ancora risarcite al minimo come i lavoratori autonomi18, infine taluni – qualche trascurabile milione di cittadini – non ha ricevuto né riceverà nulla (neanche le mascherine gratuite). É significativo notare poi che per le categorie più trascurate, si provveda non a cali d’imposte, ma a rinvii per pagare le medesime. Come a dire che comunque i gruppi sociali alimentati dall’apparato pubblico (tax-consommers) e che non sono solo i dipendenti, ma, soprattutto, i beneficiati dalle spese, devono essere salvaguardati al meglio (ossia, in realtà, alla meno peggio); gli altri assai meno, e, talvolta, niente.

In questa situazione di crisi nella crisi e (in parte conseguente alla stessa) di contrapposizione occorre concludere se si tratti di un conflitto concausale (politico – economico – culturale) o di altro in che misura sia componibile (istituzionalizzabile).

Quanto al primo quesito, il conflitto populisti/globalisti è concausale – cioè a cause plurime. Resta comunque evidente che è politico, coinvolgendo essenzialmente e complessivamente situazioni di tale natura (e intensità). Ad esempio: la stagnazione e poi la contrazione del PIL e del reddito individuale negli ultimi trent’anni in Italia è un fatto non soltanto economico, perché se, come sosteneva Miglio, l’oggetto dell’obbligazione politica e la garanzia del futuro19, a lungo andare di futuro per la comunità e gli individui non ce ne sarà o sarà un futuro di miseria ed asservimento.

Analogamente può dirsi per il calo demografico mutatis mutandis; in prospettiva si vede la fine dell’esistenza comunitaria. Se la politica è soprattutto un’attività di garanzia dell’esistenza e lo scambio politico, come scriveva Hobbes è tra protezione (dei governanti) e obbedienza (dei governati) l’affare è a perdere. Così per i modi di esistenza e gli stili di vita, che coinvolgono la cultura, già attentamente evidenziato non solo da Lasch, ma anche da qualche film italiano (negli aspetti di costume).

Il fatto che la distinzione amico-nemico sia originata da una pluralità di cause concorrenti, non la depotenzia, ma semmai la rafforza. Se il nemico è non solo colui che mi opprime e/o mi minaccia, ma anche mi sfrutta economicamente, sottraendo risorse, e pretende di farlo perché ha la laurea e sa come ci si comporta in società, il senso di alterità e di contrapposizione è potenziato20.

D’altra parte la politicità e la robustezza della contrapposizione nell’aver cementato gruppi sociali differenti è data dalla di essa solidità, a scapito (e a differenza) dei movimenti politici che la rappresentano e la organizzano. La sorte del movimento 5 stelle è emblematica: ha perso circa metà dei propri voti, quasi tutti a favore della LEGA, con il governo Conte 1, perché Salvini si è dimostrato assai più determinato, energico e coerente nel combattere il nemico e perseguire obiettivi condivisi; col governo Conte 2, originato da un ribaltone con il principale partito globalista, ne ha perso almeno un altro terzo abbondante (v. risultati elezioni regionali e locali). Già si legge che il M5S sarà non la nuova DC (come taluno credeva 2-3 anni orsono) ma il prossimo Partito radicale (soprattutto per le dimensioni).

In qualche misura questa indifferenza tra comportamento della base sociale rispetto alla (propria) rappresentanza politica da alla prima una coerenza e persistenza che ne fa un soggetto (movimento sociale) autonomo il quale (diversamente dal blocco storico di Gramsci) prescinde dalla (propria) istituzionalizzazione (in strutture sia politiche-partitiche che statali).

Probabilmente questa solidità della base sociale è stata prodotta più dalla comunanza dell’avversario che dal resto; d’altra parte l’effetto unificante del nemico su un gruppo sociale è cosa risaputa da Eschilo in poi. Per questo appare di efficacia assai modesta e non risolutiva il modello di reazione praticato dagli avversari, connotato dal personalismo e dalla divagazione (varia, morale come estetica, etico-legalitaria come di costume ecc. ecc.); anche se la manovra può riuscire con Salvini (come con altri da Berlusconi a Trump), non risolve il problema, essenzialmente politico. In sostanza perché morto un populista, il movimento sociale ne genera un altro. E l’opposizione continua.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 Su cui, per esposizione più dettagliata mi sia consentito rinviare ai miei scritti… Identitari e globalisti (Italia e il mondo); Sentimento ostile, Zentragebiet y criterio de lo politico, in Ciudad de los Césares n. 110 (2017), entrambi in rete.

2 Quest’ultimo, geneticamente non di matrice populista, appare però sicuramente contrapposto alle élite in declino – v. seguito.

3 I sondaggi – tutti – lasciano spesso perplessi, specie negli ultimi decenni, per la costante tendenza a sottovalutare i partiti poco graditi alle élite e sopravvalutare quelli ortodossi (non solo in Italia). Dato il cambio di maggioranza col governo Conte bis, i grillini sono stati trasferiti: da nemici a quasi amici. L’attribuzione a loro negli ultimi sondaggi del 15% dei suffragi, quando alle elezioni regionali del 2019-2020 hanno riportato, a seconda delle Regioni, da un terzo alla metà dei voti conseguiti alle europee 2019, appare quanto mai dubbio, atteso che basandosi su detti risultati il Movimento dovrebbe oscillare tra il 6% e il 10%.

4 Che infatti, non osservandola, la Germania perse le due guerre mondiali.

5 Il che, come tutte le cose in politica, dati gli esempi storici di rovesciamento di alleanze, è poco probabile, ma non da escludere del tutto.

6 Un efficace sintesi di ciò si può leggere nel libro di L. Barra Caracciolo Lo strano caso Italia, Roma 2020, Ed. Eclettica, pp. 109/143. In particolare la riduzione della progressività dell’IRPEF ha fatto sì che “in questi ultimi 26 anni lavoratori dipendenti e pensionati abbiano pagato proporzionalmente più dei ricchi: riducendosi il numero delle aliquote e aumentando l’aliquota minima (dal 10 al 23% del 2007) in proporzione al reddito basso mostrato…, i lavoratori hanno sostenuto l’80% degli introiti di tutta la tassazione diretta” anche se con deduzioni e detrazioni che “serve ormai soprattutto a coprire i redditi degli “incapienti”, ossia di quei lavoratori e pensionati al di sotto della soglia della povertà assoluta”. E aggiungiamo noi, serve anche all’ “illusione finanziaria”

7 Come l’ultimo aumento IVA al 22%, deciso dal governo Letta, nell’ottobre 2013.

8 Più volte il prof. Cassese ha – giustamente – chiamato vacanza (o pausa) tale pratica nelle P.P.A.A.; l’argomento a sostegno, semplice e ineccepibile, è la proroga, decisa – e ripetuta – dal governo, dei termini dei procedimenti amministrativi.

9 Senza scomodare la lotta di classe e la celeberrima apertura del “Manifesto del partito comunista”, che la storia è la storia delle lotte di classe (nella sua perentorietà e universalità non condivisibile) è utile ricordare che Marx ed Engels poche righe dopo affermavano “Nei periodi della storia anteriori al nostro, noi incontriamo quasi da per tutto una completa spartizione della società in ordini e ceti” e subito dopo “Questa moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha già distrutte le opposizioni di classe. Essa ha soltanto introdotto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta, sostituendole alle antiche”.

10 È inutile ricordare tanti che se ne sono occupati (economisti, sociologi, politologi). Onde ci si limita ai più noti oltre al classico di A. Puviani L’illusione finanziaria, ai (diffusi e ricorrenti) passi di V. Pareto, G. Fortunato, ricordiamo M. Pantaleoni Tentativo di analisi del concetto di forte e debole in economia, Firenze 1904; C. Cosciani Istituzioni di Scienza delle Finanze, 1953, p. I, cap. I; F. Forte Manuale di scienza delle finanze, Milano 2007, p. 32 ss., in internet v. G. Dallera La scuola italiana di scienza delle finanze; P. Vagliasindi Questioni generali di finanza pubblica. Da ultimo è da ricordare G. Miglio Lezioni di politica 2, Scienza della politica (a cura di A. Valle) Bologna 2011 – che tante e interessanti pagine vi ha dedicato.

11 Fonte Sole 24 Ore.

12 La confluenza delle due serie (meno reddito + pressione fiscale) è, probabilmente, unica in Europa). Ad andare a vedere le statistiche di altri Stati europei, quanto all’incremento del PIL abbiamo: Svezia 41,7%, Francia 20,7%, Germania 28,7%, Spagna 23,9%, Grecia 13,5%, Portogallo 19,1%, Italia 1,9% (fonte Termometro politico).

13 È noto che FCA e Mediaset hanno portato le loro sedi ad Amsterdam (FCA quella fiscale a Londra). Ovviamente anche tante medie imprese sono scappate dal fisco italiano. Si dubita che l’abbiano fatto per il profumo dei tulipani. E ancor più, che rispetto alla situazione di venti-trent’anni orsono, le imposte così eluse siano state poste a carico di coloro che sono rimasti a produrre (e soprattutto pagare) in Italia.

14 Il giudizio è esposto in Lezioni di politica 2, Scienza della politica, Bologna 2011, pp. 392 ss., le ragioni addotte da Miglio sono varie.

15 Op. cit., p. 396

16 op. cit., p. 399

17 Ovviamente “nemico” e ”inimicizia” vanno intesi non nel senso comune, di colui cui si muove guerra, ma come li impiega Schmitt; ossia come colui contro il quale si conduce la lotta, la quale può essere incruenta, ed all’interno come all’esterno della sintesi politica. “Nemico – scrive Schmitt – è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base ad una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere” (Der begriff des Politishen, trad. it. ne “Le categorie del politico”, Bologna 1972, pp. 111), anche in politica interna “All’interno dello Stato in quanto unità politica organizzata, che, come tutto, avoca a sé la decisione sull’amico-nemico, esistono, sempre però accanto alle decisioni politiche primarie e in difesa della decisione scelta, molti concetti secondari di ‘politico’” ed anche qui “continua ad essere essenziale per il concetto di ‘politico’ un contrasto o antagonismo all’interno dello Stato, anche se esso risulta relativizzato dall’esistenza dell’unità politica dello Stato stesso che è comprensivo di tutti gli altri contrasti” (op. cit., pp. 112-113); la guerra stessa non è l’unica conseguenza dell’ostilità ma “la ultima ratio del raggruppamento amico-nemico” (op. cit., p. 117 – nota); inoltre “guerra non è dunque scopo e meta o anche solo contenuto della politica, ma ne è il presupposto sempre presente come possibilità reale, che determina in modo particolare il pensiero e l’azione dell’uomo provocando così uno specifico comportamento politico” (op. loc. cit.).

18 É interessante quanto si legge che in Germania la cattivissima Merkel avrebbe previsto “ristori” pari al 70% del calo del fatturato. In confronto gli indennizzi “a scacchiera” (e minimi) del governo Conte bis sono misera cosa.

19 V. op. cit., p. 156.

20 In alcune canzoni rivoluzionarie francesi si prendevano in giro gli aristocratici per il bon ton, così come oggigiorno lo si fa per i populisti che sbagliano i congiuntivi e non usano le cravatte.

elezioni presidenziali americane_ X atto con Gianfranco Campa

Sull’esito delle elezioni presidenziali americane sembra essere calata una spessa cortina fumogena. Stampa e notiziari non ne parlano più. Si vuol dare l’impressione di un decorso normale verso l’insediamento di Biden, quando in questa vicenda c’è ben poco di normale. Ormai lo scontro politico ha assunto altri orizzonti che vanno oltre gennaio 2021. Un nuovo presidente sempre meno legittimato, ma intenzionato a cadere nella trappola della vendetta; una opposizione sempre più agguerrita in cerca di nuovi leader_Giuseppe Germinario

La geopolitica della distribuzione dei vaccini, Di Alex Berezow

La geopolitica della distribuzione dei vaccini

Le inoculazioni sono uno sviluppo positivo, ma il pubblico dovrebbe moderarne l’eccitazione.

Di: Alex Berezow

L’azienda farmaceutica americana Pfizer, in collaborazione con l’azienda tedesca BioNTech, ha sorpreso il mondo quando ha annunciato che il suo vaccino contro il coronavirus ha mostrato un’efficacia del 90% nella prevenzione del COVID-19. Giorni dopo, un’altra azienda americana chiamata Moderna ha annunciato che il suo vaccino era efficace quasi al 95%. E poco dopo, AstraZeneca ha annunciato che il suo vaccino era efficace dal 62% al 90%. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti impone che i vaccini siano efficaci almeno al 50% per ottenere l’autorizzazione all’uso di emergenza e la maggior parte degli osservatori non si aspettava che i candidati vaccini avessero prestazioni migliori di così. I risultati riportati, quindi, sono stati una piacevole sorpresa che ha entusiasmato allo stesso modo governi e mercati.

L’entità di questo risultato non può essere sopravvalutata. In genere, la tempistica dall’inizio all’approvazione normativa di un nuovo farmaco è di circa 10 anni. Dopo aver ricevuto l’approvazione, le aziende farmaceutiche si preparano per la produzione di massa, che a sua volta potrebbe richiedere un altro decennio. Tuttavia, grazie a una combinazione di fattori – programmi governativi come Operation Warp Speed, approvazione normativa accelerata e cooperazione globale senza precedenti – i primi lotti di un vaccino COVID-19 da una fonte affidabile verranno consegnati in meno di un anno. (Anche Cina e Russia affermano di aver creato vaccini, ma dati e trasparenza insufficienti rendono la maggior parte degli scienziati occidentali scettica sulla loro efficacia e sicurezza.)

Anche così, l’entusiasmo del pubblico è prematuro. Mancano mesi prima che la stragrande maggioranza delle persone, inclusi gli americani, possa aspettarsi di ricevere il colpo tra le braccia. L’ostacolo immediato è ottenere l’approvazione della FDA. Sebbene l’approvazione dovrebbe richiedere circa tre settimane poiché gli esperti governativi esaminano attentamente i dati, il processo potrebbe richiedere più tempo. Secondo il dottor Henry Miller, un collega presso il Pacific Research Institute e direttore fondatore dell’Office of Biotechnology della FDA, la FDA è preoccupata per la coerenza nella produzione del vaccino. In altre parole, la FDA vuole sapere se le aziende possono produrre lotto dopo lotto che soddisfano determinate misure di controllo della qualità, come potenza e purezza. Entro la fine di dicembre, Moderna prevede di avere 20 milioni di dosi, Pfizer 50 milioni di dosi e AstraZeneca 200 milioni di dosi. Quindi, alcune persone dovrebbero ricevere i colpi prima della fine del 2020 (il regime richiede due iniezioni a un mese di distanza, il che significa che il numero di persone immunizzate è la metà del numero di dosi). Entro la fine del 2021, dovrebbero esserci miliardi dosi disponibili da tutte le aziende combinate.

La corsa a un vaccino contro il coronavirus
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Ma la produzione è solo uno dei rompicapi. Un altro è la distribuzione, che in realtà è un duplice problema: (1) il vaccino di Moderna deve essere mantenuto congelato durante l’immagazzinamento e la spedizione a lungo termine, ma il vaccino di Pfizer deve essere mantenuto a una temperatura enorme di -94 gradi Fahrenheit (-70 gradi Celsius) spedizione; e (2) non è né eticamente né strategicamente chiaro chi dovrebbe ricevere i vaccini per primo.

Il dilemma della distribuzione

Il motivo per cui il tuo negozio di alimentari locale contiene cibo relativamente fresco dall’altra parte del pianeta è a causa di qualcosa noto come “catena del freddo”, una serie di contenitori refrigerati che consentono di spedire cibo deperibile senza rovinarsi. Molti farmaci e soprattutto i vaccini richiedono la stessa cosa. Tuttavia, il vaccino di Pfizer, che consiste in una molecola contenente informazioni instabile chiamata RNA racchiusa in una bolla di grasso altrettanto instabile, richiede una conservazione a -94 F (-70 C). In generale, solo i laboratori di ricerca possiedono congelatori che raffreddano; farmacie e ospedali no. La soluzione di Pfizer è fornire contenitori speciali che possono essere imballati con ghiaccio secco per mantenere la temperatura richiesta, ma una volta che il vaccino è stato rimosso e posto all’interno di un normale frigorifero, la durata è di cinque giorni. Il vaccino Moderna può essere conservato e spedito a -4 F e ha una durata di 30 giorni nei frigoriferi regolatori, quindi rappresenta una sfida logistica molto più piccola . Il vaccino di AstraZeneca è il più facile da distribuire, poiché può essere spedito alla normale temperatura di refrigerazione di 36-46 F e conservato sullo scaffale per sei mesi.

Coronavirus | Confronto tra potenziali vaccini
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La questione di chi riceve il vaccino per primo si svolgerà inizialmente a livello internazionale. I paesi che hanno effettuato ordini di acquisto saranno i primi a riceverli. Ad esempio, secondo Mint , l’Unione Europea si è assicurata 200 milioni di dosi (con un’opzione per 100 milioni in più) per il vaccino Pfizer, il Giappone 120 milioni di dosi, gli Stati Uniti 100 milioni di dosi (con un’opzione per altri 500 milioni) e nel Regno Unito 30 milioni di dosi. Se tutte le opzioni vengono esercitate, Pfizer semplicemente non può soddisfare tale domanda nemmeno entro la fine del 2021, il che potrebbe significare che i paesi ricchi combatteranno tra loro su chi ottiene quale lotto e quando. Gli Stati Uniti hanno già un rapporto teso con l’Europa e una lotta per i lotti di vaccini metterebbe più stress su una fragile relazione transatlantica, soprattutto perché il paese che riceve la maggior parte delle dosi di vaccino ha più probabilità di migliorare la sua economia il più rapidamente. Poiché Moderna, AstraZeneca e altre società produrranno anche vaccini, queste tensioni possono essere allentate in qualche modo, anche se qualunque paese funge da “casa” di un’azienda sarà probabilmente sottoposto a notevoli pressioni per fornire prima i vaccini ai compatrioti. Quest’ultimo punto è complicato dal fatto che alcune di queste società sono entità multinazionali e hanno “case” in diversi paesi in tutto il mondo.

Mentre i paesi ricchi se la cavano, il resto del mondo dovrà aspettare. Il denaro non risolve tutto. Le sfide logistiche poste dalla catena del freddo rendono quasi impossibile fornire un vaccino in una regione con infrastrutture scadenti e elettricità inaffidabile. Le lacune nella catena del freddo, cioè i periodi in cui il vaccino non è conservato alla giusta temperatura, distruggerebbero il vaccino. (Questo per non parlare di attività criminale. Ognuno è un potenziale bersaglio di imprese criminali che offrono vaccini falsi, ovviamente, ma i paesi più poveri sono i più sensibili dal momento che la consegna di vaccini legittimi potrebbe richiedere mesi se non anni.)

Internamente, i paesi dovranno affrontare le preoccupazioni politiche interne sull’assegnazione dei vaccini. Negli Stati Uniti, c’è tensione tra agenzie federali come i Centers for Disease Control and Prevention e governi statali sul numero di dosi che ogni stato riceverà. L’amministrazione Biden entrante sarà sottoposta a pressioni tremende per fornire prima i vaccini agli americani, indipendentemente da eventuali obblighi contrattuali che le aziende potrebbero avere. Se necessario, il presidente e il Congresso possono essere coinvolti, annullando i contratti delle società farmaceutiche in nome della sicurezza nazionale.

Dopo di che, ci sono decisioni etiche e strategiche da prendere su chi riceve il vaccino per primo. Lo stato di Washington, ad esempio, ha proposto tre fasi di distribuzione : in primo luogo, fornitori di assistenza sanitaria in prima linea, primi soccorritori e popolazioni vulnerabili (come quelli con condizioni di salute sottostanti o residenti di strutture di assistenza a lungo termine); secondo, la comunità generale; e terzo, colmare eventuali “lacune” nell’accesso ai vaccini (come nelle comunità più povere). È probabile che molti altri stati utilizzino una strategia simile.

C’è anche la questione dell’efficacia del vaccino. In poche parole, alcuni vaccini sono migliori di altri. Ricorda che i vaccini prodotti da Pfizer e Moderna sono efficaci al 95%, ma quelli di AstraZeneca sono efficaci solo dal 62% al 90%. Chi ottiene il vaccino meno efficace? E chi prende questa decisione?

The Amazing Race

Le nazioni più povere hanno maggiori probabilità di ottenere un vaccino contro il coronavirus per ultime. Ma c’è spazio per l’ottimismo poiché molte altre aziende continueranno a sviluppare vaccini contro il coronavirus. La maggior parte, come quella prodotta da AstraZeneca, non richiederà l’estrema catena del freddo di cui ha bisogno il vaccino Pfizer. Inoltre, AstraZeneca si è impegnata a rinunciare ai profitti fino alla fine della pandemia . L’azienda sta anche lavorando con organizzazioni non governative come la Bill & Melinda Gates Foundation per fornire vaccini ai paesi in via di sviluppo.

La domanda sulla distribuzione globale dei vaccini si è quindi spostata da se a quando. Ma i vaccini arriveranno in tempo per prevenire ulteriori danni economici e disordini sociali? I ritardi dei vaccini potrebbero creare o aggravare i rischi di insolvenza nei paesi più poveri, con il contagio finanziario che si diffonde ai paesi più ricchi. Molte persone non sono più disposte a tollerare i blocchi. In tutta Europa i cittadini stanno protestando contro ulteriori misure di sicurezza, con manifestazioni in Italia che sono diventate violente la scorsa settimana.

Gli effetti accessori dei blocchi hanno creato anche altri reclami contro i governi. In molti luoghi, famiglie e coniugi sono stati separati a causa della chiusura delle frontiere e delle politiche di immigrazione arbitrarie. In Indonesia, ad esempio, le coppie binazionali non sposate non possono ricongiungersi, ma gli stranieri anziani possono entrare come turisti nonostante il fatto che le persone anziane siano le più probabilità di morire di coronavirus. Queste politiche hanno portato il governo indonesiano ad essere inondato di denunce di cittadini arrabbiati. Rivelano la tensione tra le preoccupazioni per la salute pubblica, l’economia e il tessuto sociale e non è chiaro se possano essere migliorate fino a quando un vaccino non sarà completamente distribuito.

In effetti, poche società sono disposte a controllare il virus a costo di strappare il tessuto sociale. Il coronavirus ha rivelato un’immensa tensione tra i pilastri economici e sociali della nostra società. I governi non hanno buone opzioni. Alcuni saranno tentati di reimporre i blocchi, giustificandoli con l’affermazione che saranno allentati non appena sarà disponibile un vaccino. Ma questa è una falsa rassicurazione. Per i cittadini dei paesi ricchi, mancano ancora mesi alla vaccinazione diffusa. Per i cittadini dei paesi poveri, la vaccinazione diffusa potrebbe essere lontana anni. Un pubblico irrequieto non tollererà blocchi indefiniti fino al 2021 ei governi che cercano di imporli dovrebbero essere preparati a disordini civili.

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Il Kamalometro, di Giuseppe Masala

Il Kamalometro.
Forse ho trovato il termometro corretto per capire come andrà a finire la contesa giudiziaria sulle elezioni presidenziali in Usa.
Kamala Harris, vice presidente eletta o presunta tale a 25 giorni dalle elezioni Usa ancora non si è dimessa dal Senato come sarebbe dovuto. Ho controllato un po’ per fare qualche raffronto e ho scoperto che Obama si dimise a 12 giorni dalle elezioni che lo incoronarono Presidente.
Il Kamalometro segna +25 ed è già oltre la soglia d’allarme. Quando e se Kamala si dimetterà vorrà dire che i giochi saranno fatti. Al contrario, se non si dimetterà entro i prossimi 10 giorni possiamo parlare di gravi problemi.
[E’ un po’ buffa questa cosa, ma non essendo in grado di capire la battaglia legale in corso, mi affido a questo indicatore empirico]
NB_tratto da facebook

Un motore franco-tedesco a gas magro … Di Georges-Henri Soutou

La riconciliazione franco-tedesca era un prerequisito per la costruzione europea. Poi, il motore franco-tedesco ha contribuito a potenziarlo, prima che il crescente squilibrio tra i due paesi indebolisse questo motore. Emmanuel Macron vuole rilanciarlo, questo è il significato del Trattato di Aix-la-Chapelle che voleva imitare il Trattato dell’Eliseo del 1963. Ma Angela Merkel non è Konrad Adenauer e Emmanuel Macron no non il generale de Gaulle.

Continuità delle relazioni post-seconda guerra mondiale

Il trattato firmato dal presidente Emmanuel Macron e dal cancelliere Angela Merkel ad Aix-la-Chapelle il 23 gennaio ha destato in Francia, ancor prima della cerimonia, molti sospetti: stabilirebbe una sorta di legame di vassallaggio da Parigi a Berlino. Questi sospetti sono soprattutto la prova che il rapporto franco-tedesco, che dovrebbe costituire il motore dell’Unione europea, non sta andando bene.

È probabile che il Trattato di Aix-la-Chapelle rilanci questo motore? In effetti, si basa sul Trattato dell’Eliseo del 22 gennaio 1963, precisa, ma non crea realmente un nuovo quadro per le relazioni franco-tedesche. In particolare, non modifica il meccanismo istituzionale delle riunioni regolari del governo. E molte delle clausole ricordano infatti ciò che già esiste.

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In termini di politica estera, i due Stati “stanno  approfondendo la loro cooperazione in materia di politica estera, difesa, sicurezza esterna e interna e sviluppo mentre si sforzano di rafforzare la capacità di azione autonoma dell’Europa. Si consultano per definire posizioni comuni su qualsiasi decisione importante che interessi i loro interessi comuni e per agire congiuntamente in tutti i casi in cui ciò è possibile  ”. Ciò non aggiunge nulla di essenziale rispetto al testo del 1962, che già citava l’Europa (ricordiamo che era come un sostituto, per due, del progetto di Unione politica a sei – piano Fouchet – che era fallito. ‘l’anno scorso) : ” I due Governi si consulteranno, prima di prendere qualsiasi decisione, su tutte le questioni importanti di politica estera, e in primo luogo su questioni di interesse comune, al fine di raggiungere, per quanto possibile, una posizione simile.  “

L’importanza del dominio militare

In termini di difesa, il Trattato di Aix-la-Chapelle stabilisce che ”  si prestano reciprocamente aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i loro territori  ” . Ma questa è solo la conseguenza dei trattati del Nord Atlantico e di Lisbona, e il preambolo del 1963 segnalava già ”  la solidarietà che unisce i loro due popoli  […] dal punto di vista della loro sicurezza  “.

Continuiamo: dopo aver promesso di ”  sviluppare  […] l’ Europa in campo militare  “, i due Stati “si  impegnano a rafforzare ulteriormente la cooperazione tra le loro forze armate al fine di stabilire una cultura comune …  “. Ma il testo del 1963 era in realtà più preciso e impegnativo: “  In termini di strategia e tattica, le autorità competenti dei due Paesi si adopereranno per unire le loro dottrine al fine di arrivare a concezioni comuni. Verranno creati istituti di ricerca operativa franco-tedesca  ”, che è molto più preciso della“  cultura  ”.

 

Per quanto riguarda gli armamenti, anche vaghi nelle dichiarazioni del testo del 2019: “  Stanno intensificando lo sviluppo di programmi di difesa congiunta e la loro estensione ai partner. In tal modo, intendono promuovere la competitività e il consolidamento della base industriale e tecnologica della difesa europea. Sono favorevoli alla cooperazione più stretta possibile tra le loro industrie della difesa, sulla base della loro fiducia reciproca. 

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Nel 1963 era più preciso: “  Per quanto riguarda gli armamenti, i due Governi si adopereranno per organizzare un lavoro congiunto dalla fase di elaborazione di opportuni progetti di armamento e di preparazione dei piani di finanziamento. A tal fine, le commissioni congiunte studieranno la ricerca in corso su questi progetti nei due paesi ed effettueranno il loro esame comparativo. Presenteranno proposte ai ministri che le esamineranno nelle loro riunioni trimestrali e forniranno le necessarie direttive di applicazione.  Ciò non ha impedito a questa collaborazione di fallire in gran parte immediatamente, essendo le esigenze operative dei due eserciti differenti.

L’ambizione di un nuovo slancio 

Si tratta molto di questo articolo del nuovo trattato: “  I due Stati hanno istituito il Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza come organo politico per guidare questi impegni reciproci. Questo Consiglio si riunirà al massimo livello a intervalli regolari.  In effetti, questo Consiglio esiste dal 1988!

Si tratta infatti di riportare finalmente in vita ciò che era vegetato, a causa della diffidenza degli Stati Uniti, ma anche del rifiuto tedesco di essere solo il secondo brillante di Parigi, vale a dire un La cooperazione politico-strategica franco-tedesca dovrebbe condurre l’Europa verso un ruolo internazionale autonomo. Ma basterà la nuova congiuntura per rilanciare davvero le cose?

In effetti, rimane una differenza sul tema della concezione stessa del potere. La RFT dà più importanza alle istituzioni multilaterali e al soft power in tutte le sue forme (influenza, persuasione, negoziazione, standard, sanzioni) rispetto a Parigi, che ha una visione più tradizionale del potere militare, ancora che la differenza sembra diminuire ora.

 

Aggiungiamo in generale che Berlino non vuole entrare nel gioco permanente francese, di cui comprende i secondi fini (continuare a giocare un ruolo nella “coppia” grazie al potere militare, mentre economicamente la Francia è distanza, e dall’altra trasporre la visione – e gli interessi – francesi a livello europeo).

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Inoltre, resta un punto essenziale: gli altri membri dell’Unione europea. Gli altri paesi, a parte la Francia e la RFT, devono trovare un modo per partecipare alla costruzione politico-strategica dell’Europa. Questa è sempre stata la posizione di Berlino. Il nuovo Trattato non è immune da una contraddizione fondamentale: la stretta cooperazione franco-tedesca è stata sin dall’inizio un motore essenziale per l’Unione europea, ma allo stesso tempo ha sempre suscitato le riserve degli altri partner. Sempre necessario, ma allo stesso tempo ancora insufficiente. Questo è stato uno dei motivi del relativo fallimento del trattato del 1963, è probabile che limiterà anche gli effetti di quello del 2019.

https://www.revueconflits.com/allemagne-france-relations-traite-aix-la-chapelle-georges-henri-soutou/

Trasposizioni improbabili, di Pierluigi Fagan

NON DISPONIAMO DI TERMINI ADATTI. [Post impegnativo ma -credo- succoso] Leggevo un libro nel quale dovendo dare descrizione di un sistema di credenze di popoli di alcune isole del Pacifico, si constatava quanto al titolo del post. Il nostro linguaggio è parte di una immagine di mondo (idm), se con questa idm dobbiamo parlare delle credenze inscritta in una radicalmente diversa idm, è facile non corrispondano categorie e concetti, giù, giù, fino alla “parole per dirlo”. La questione è in parte discussa in Parola ed oggetto (1960) di W.O.Quine, conosciuta anche come “indeterminatezza della traduzione”, ma non volevamo trattare la questione in via filosofica. Volevamo invece usare l’assunto per parlare del delicato statuto significante del termine “capitalismo”.
Nel libro segnalato, B. Milanovic (a lungo capo economista World Bank ed oggi considerato il principale esperto economico sulle diseguaglianze, a partire da un famoso grafico – detto “elefante di Milanovic”- che mostra in chiara evidenza ascesa della classe media orientale, super ascesa del famoso 1% di ultraricchi occidentali e stasi o discesa delle classi medie occidentali, negli ultimi venti anni di “globalizzazione”), compara il capitalismo occidentale (di mercato) con quello cinese (politico). Ne traiamo notizie dall’intervista che gli ha fatto F. Rampini, pubblicata oggi su Repubblica, che qui riassumiamo (abbiamo letto l’intervista non ancora il libro).
Milanovic sostiene che la versione cinese, che è in buona parte quella asiatico-orientale (Giappone, Corea, ASEAN), performa decisamente meglio. Secondo il serbo-americano, ciò è influito dal retaggio ideologico “comunista”. Se il modello strettamente economico “comunista” non si è dimostrato adeguato (caso URSS-Russia), la sua positiva influenza nei processi di de-colonizzazione, favorendo l’uscita da sistemi feudali di produzione, promuovendo istruzione di massa (per le donne in particolare) e sistemi sanitari universali, ha mostrato un ruolo positivamente attivo dello Stato. Poiché storicamente, ogni modello economico collegato al successo di una determinata parte di mondo (dalla Rivoluzione industriale britannica, alla Germania post unificazione prussiana, dall’URSS per l’area social-comunista-liberazione coloniale a gli Stati Uniti d’America post bellici), è diventato modello di riferimento, l’attuale modello cinese risulta oggi molto attraente (sexy), molto più attraente del modello occidentale che performa decisamente peggio.
Milanovic ne trae tre punti di ispirazione per consigliare al modello occidentale una sua auto-riforma. Il primo è il ruolo dello Stato che già da qualche tempo (a partire dalle revisioni teoriche iniziate all’IMF) è invocato a curare i fallimenti del mercato. Il secondo ed il terzo sono strettamente legati alla cura delle diseguaglianze che nell’ambito della teoria economica macro non sono malgiudicate dal punto di vista della giustizia sociale, ma dal più concreto punto di vista funzionale. Addensare tutto il capitale in pochissime mani porta ricchezza inutile a pochi che non la fanno circolare o la fanno circolare solo nel circuito finanziario, privando molti di potere d’acquisto con relativa sclerosi di tutti il sistema. A riguardo, Milanovic indica gli altri due punti d’azione riformatrice. Rivedere a fondo i sistemi di istruzione (in favore del pubblico vs privato) permettendo l’emergere di una vera meritocrazia socialmente neutrale al posto dei meccanismi di eredità aristocratica della ricchezza (da tassare pesantemente, vedi Piketty) che stanno producendo élite sempre più inadeguate, l’uno. L’altro è diffondere le possibilità di partecipazione all’incremento della ricchezza finanziaria, portando le classi medie a condividere i benefici della “financial turn” del capitalismo occidentale.
Su quest’ultimo punto, aggiungo che l’idea era invero presente a giustificazione della stessa “svolta finanziaria” già negli anni ’80. Le varie forme di Offerta Pubblica di Vendita con cui si sono fatte molte “privatizzazioni”, avevano di mira proprio l’istituzione di “public company” in mano a manager da una parte e azionisti popolari dall’altra. L’idea, da vedere quanto in “buona fede”, puntava a portare nel mercato dei titoli, la ricchezza della classe media che, se da una parte perdeva in salario, dall’altra avrebbe compensato con nuovi introiti di utili. Buona fede o meno, il progetto è fallito. Effettivamente, il numero di “azionisti” è molto aumentato almeno inizialmente, ma dopo vari tipi di meccanismo hanno espropriato dolcemente questo capitale diffuso, riportandolo nelle mani di chi sa e può.
Fattovi il riassunto delle tesi di Milanovic, torno al titolo del post. A premessa, si dovrebbe giustificare come possano esistere “modelli” astratti dai contesti geo-storici. Gli stessi occidentali sono stati e sono forse ancora convinti che il sistema che chiamano “democrazia”, possa e debba essere esportato, quindi in senso inverso ora pensano si possa importare un “modello” economico, se più performante. Ciò è possibile? Non credo. “Modello” è una nostra estrazione stilizzata in logica di funzionamenti di sistema, ma la natura “storia e contesto” che connota i vari sistemi, non permette di credere esistano davvero “modelli” estraibili dalla diversa natura dei sistemi. I sistemi cioè, sono degli “olon”, dei “tutto-Uno”, come notava lo stesso Quine a proposito dei sistemi linguistico-concettuali che non permettono traduzioni precise di singoli termini. In metafora, una lisca non giustifica tutto l’essere pesce, non esistono “trapianti di colonne vertebrali”, ogni colonna vertebrale è un di cui di quell’organismo specifico. Di contro, possiamo astrarre alcuni punti di logica di funzionamento delle cose e chiamarle “modelli” ma si dovrebbero trattare con gli occhi socchiusi, all’incirca, per lo più, non certo precisamente.
Abbiamo in questi mesi trattato la questione con i fan del “modello svedese” sul come gestire la pandemia. Ammesso ci sia del buono nel caso svedese (e qui non ci interessa approfondire il punto), sono molte le variabili che fanno “gli svedesi”, ad esempio demografia, età media, densità abitativa, modelli sociali, mentalità, sistema sanitario, auto-gestione dei comportamenti e molto altro. Per avere il “modello” svedese o cinese o coreano o li trattiamo a grana molto grossa o dobbiamo considerare che occorre essere svedesi in Svezia o cinesi in Cina o coreani in Corea per ottenere simili risultati. “Relativismo” qui, non significa “va bene tutto ed il suo contrario”, ma ciò che va bene lì è perché relativo a quel contesto lì. Questo è l’autentico significato di “relativismo”, significato incomprensibile a mentalità ordinate dal presupposto del “vero assoluto” che infatti mis-interpretano il concetto facendolo diventare un folle principio di “non c’è alcun principio” o “un principio vale l’altro”. Einstein non ha mai detto che il tempo non esiste o il tempo terrestre vale il tempo nel sistema di Orione, ha detto che ogni spazio determina il suo tempo locale, ogni metrica di tempo è “relativa” al suo spazio. Il “relativismo” non esiste, esiste semmai il “relazionismo”, il tempo è in relazione allo spazio, il termine al sistema linguistico, il sistema linguistico all’immagine di mondo, l’immagine di mondo alla geo-storia di quel popolo.
Allora, sulle migliori performance del sistema cinese che però poi scopriamo essere asiatico, lì dove non si può certo dire che fuori della Cina ci sia effettivamente un retaggio positivo di precedenti sistemi di pensiero “comunisti”, tant’è che si ripiega sul “confuciano”, che modello possiamo estrarre a giustificazione? Nessuno. Dovremmo cioè uscire dall’immagine di mondo economicista (che portò dei dissennati a teorizzare possibile l’esportazione della democrazia) e quindi modellistica e dire che l’Asia si trova all’inizio della curva di sviluppo, mentre noi siamo alla fine. Lo sviluppo non è un infinito (per altro “infinito” è un concetto della mente umana, non se ne potrà mai dimostrare l’esistenza, ammesso ne esista un concreto), è un curva nel tempo, storica, per la quale all’inizio hai mille positive condizioni di possibilità, in cima ne hai centinaia, poi decine, poi sempre meno. Come nello schema biologico della nascita-vita-morte.
Ciò non toglie che a grana grossa i consigli di Milanovic sul ruolo dello Stato o una riforma pesante di ruolo e funzione dei sistemi di istruzione o molti altri interventi possibili non siano utili per mettere un po’ più in sesto il nostro modo economico occidentale. C’è però da dubitare che il profondo del problema occidentale sia nelle diadi “capitalismo di mercato vs capitalismo politico”, ma neanche “capitalismo vs altro sistema economico”. Se, come credo, siamo da tempo inoltrati nella fase discendente della curva di sviluppo, al di là dei necessari interventi di riforma assolutamente utili e necessari (sia delle forme come propone Milanovic, sia nei contenuti come propongono altri –green economy o trasformazione ecologica, nuove tecnologie o altro), credo dovremmo pensare ad una società (che è un “olon”) non post-capitalista, ma post-economica.
Ma cosa significhi “post-economica” non possiamo qui dirlo, perché ci mancano le parole, i concetti, dovremmo produrli facendo una nuovo discorso con una nuova immagine di mondo.
[L’intervista a Milanovic che però è a pagamento: https://rep.repubblica.it/…/come_e_sexy_il…/…]
NB tratto da facebook

Malesia! La tigre asiatica e il pachiderma cinese, con Giuseppe Malgeri

Le nazioni del sudest asiatico hanno conosciuto e sperimentato i tre modelli sinora conosciuti di sperimentazione di sortita dal sottosviluppo: quello autarchico ispirato al modello socialista e ad alcune dittature satrapo-militari; quello aperto e dogmaticamente liberista; infine quello pragmatico che ha cercato e saputo dosare l’apertura selettiva dei mercati, l’accettazione selettiva degli investimenti esteri in un quadro di compartecipazione nelle società, l’incentivazione delle esportazioni, le opportunità legate alla globalizzazione. La Malesia può essere considerato un esempio di livello intermedio tra quello modesto della Cambogia e del Laos e quello più brillante di Singapore e di seguito della Thaynlandia e del Vietnam in un contesto di crescente predominio economico cinese ed equilibrio geopolitico sinoamericano. Una esperienza da cui trarre qualche insegnamento per il nostro paese ormai avviato verso un mesto e remissivo declino. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Teorici della guerra economica, di David Colle

Il campo dei teorici della guerra economica è stranamente deserto se paragonato a quello dei liberali. In questo (quasi) vuoto spicca un nome, quello di Friedrich List. Ma il numero non fa il valore di una teoria …

24 novembre 2020 In Economia, energie e imprese , Idee Lettura di 8 minuti

Come il suo (quasi) omonimo compositore Franz Liszt, che ha tirato fuori l’arpeggi di pianoforte e ottave détonnèrent al momento della Chopin, Schumann e Brahms, Friedrich List spinto all’inizio del XIX °  secolo, che lo considera – anche per essere una scuola  : classica, di libero scambio, troppo poca cura secondo lui del passato come del futuro delle nazioni.

Una semplice idea riassume il suo pensiero e lo avvicina a Marx: la produzione precede lo scambio. Prima di poter consumare, devi produrre. List rompe con una scuola che accusa di “vago cosmopolitismo”, a cui si oppone “la natura delle cose, gli insegnamenti della storia, i bisogni delle nazioni”. L’analisi dello scambio deve piegarsi a quella della produzione, il cosmopolitismo alla politica, la teoria alla storia.

Tuttavia, nulla sembra più lontano dal suo punto di vista che considerare il Sistema nazionale di economia politica come un pretesto per la guerra. Nemmeno il conflitto. Piuttosto in competizione. Se List è in guerra, è contro l’ideologia dominante del suo tempo.

Leggi anche:  The Art of Economic Warfare, di Christian Harbulot

Concepito in America, scritto in Francia, pubblicato in Germania

Fu alla scuola del vasto laboratorio americano in cui List visse a lungo, ancora sotto l’influenza del Report on Manufactures scritto da Alexander Hamilton nel 1791, che fu concepito il Sistema nazionale di economia politica . Ma è in Francia che è per la maggior parte scritto, e in Germania che viene pubblicato nel maggio 1841. Che cosa c’è in gioco? La teoria dominante del vantaggio comparato.

David Ricardo formulò questa teoria della specializzazione e del libero scambio nel 1817 per estendere ma anche modificare quella di Adam Smith. Senza volerlo, e probabilmente senza secondi fini (?), Porta in pratica a stabilire il potere industriale inglese. Il Portogallo, dimostra, deve specializzarsi nella produzione del vino, l’Inghilterra in quella dei tessuti. Mentre i tessuti sono il motore della rivoluzione industriale in movimento!

 

Forse List ha visto nel libero scambio offerto dall’Inghilterra alla Francia, agli Stati Uniti o alla Germania una trappola – un complotto? – destinato a mantenere questi paesi indietro . Nel 1846, List era a Londra quando le Corn Laws furono abrogate . Fu alla fine di quello stesso anno, tornato nel continente, che List si suicidò: si spera che il suo atto non fosse correlato a questo momento chiave dell’evoluzione verso il libero scambio.

Industria e concorrenza

L’elenco dovrebbe essere letto, avendo cura di far risuonare i termini che usa: protezione delle industrie nascenti , protezionismo educativo . Il protezionismo non è giustificato né per le nazioni che non hanno ancora iniziato il loro sviluppo economico e industriale, né per le nazioni che questo sviluppo ha portato ad avere industrie che ora sono armate nella concorrenza internazionale. Viene fatto solo per educare nella fase di transizione. E se durante questa fase le industrie protette da tariffe fino al 60% non riescono a prosperare, allora la concorrenza sta facendo il suo lavoro… Darwiniana.

List resta dunque a favore del libero scambio, ma solo tra nazioni che hanno raggiunto la fase che lui chiama “economia complessa” e che diremmo “sviluppata”. “Tra due paesi molto avanzati, la libera concorrenza può essere vantaggiosa solo per entrambi, se hanno all’incirca lo stesso livello di istruzione industriale, e per una nazione indietro, da un Sorte sfortunata (…) chi (…) possiede le risorse materiali e morali necessarie al suo sviluppo, deve (…) rendersi capace di sostenere la lotta con le nazioni che l’hanno preceduta. “

Ciò che gli interessa è “il graduale sviluppo dell’economia dei popoli”. L’economico, come mezzo per sperare di distogliere l’attenzione dalla volontà di potere. Come se, ai suoi occhi, fosse il libero scambio ingenuamente cosmopolita e la negazione della storia e delle culture a portare alla guerra economica, mentre il protezionismo illuminato avrebbe unito gli stati-nazione attorno a una storia universale di sviluppo. .

Intermezzo keynesiano

Si potrebbe essere sorpresi di trovare Keynes in una rapida panoramica degli autori che hanno frequentato il concetto di guerra economica. Eppure, forse è lui che si è avvicinato di più. In effetti, le conseguenze economiche della pacea lui sono dedicate, pubblicate nel 1919: in sintesi, Keynes ritiene che la pace ottenuta a Versailles non sia altro che una guerra economica imposta alla Germania per spirito di vendetta. Vede in esso un desiderio di catturare, un desiderio di esaurire, un desiderio di impedire alla Germania di sfruttare e anche di salvaguardare le fonti del suo potere. Keynes considera il perdono economicamente redditizio, mentre la riparazione rischia di essere formidabile sia per la dinamica disincentivante che avrà per i vincitori sia per il contagio deflazionistico e recessivo che implica per tutti. Senza contare che questa guerra economica imposta alla Germania rischierà di costituire un alibi per il risentimento nazionale e la base per la vendetta.

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Nel 1933, nell’autosufficienza nazionale , Keynes non temeva tanto il libero scambio quanto la libera circolazione dei capitali. Non ci sono più politiche economiche nazionali indipendenti ed efficaci non appena il capitale è mobile. Un secolo e mezzo prima, Ricardo già temeva per una nazione i cui capitalisti avrebbero perso, per ragioni di redditività, la preferenza per gli investimenti nazionali: “riluttanza naturale” e “paura” limitano ancora l’emigrazione di capitali, “Sentimenti” che sarebbe stato, ha detto “mi dispiace vedere indebolirsi [1]  “. Una preoccupazione che è diventata di grande attualità.

Dalla strategia microeconomica alla guerra macroeconomica

Nel 1944, il matematico John von Neumann e l’economista Oskar Morgenstern, unirono le forze per pubblicare Theory of Games and Economic Behavior, che segna il punto di partenza di un nuovo modo di analizzare le interazioni strategiche tra gli attori. La polemologia, la scienza della guerra, si svilupperà su nuove basi. La teoria dei punti focali, in particolare, estende l’analisi dell’equilibrio strategico del potere e ha guadagnato Thomas Schelling, autore nel 1960 di The Strategy of Conflict , il Premio Nobel per l’economia.

Questi contributi teorici fondamentali per la scienza economica aiutano a fondare analisi che, a poco a poco, si discosteranno dal comportamento microeconomico e dall’analisi della razionalità verso il macro-potere. Lester Thurow con Testa a testa , The Coming Economic Battle between Japan, Europe and America (1993), Edward Luttwak autore nello stesso anno di The Endangered American Dream: How to Stop the United States from Being a Third World Country and How to Win the Lotta geo-economica per la supremazia industriale (un bel programma), Paul Kennedy e il suo The Rise and Fall of the Great Power: Economic Change and Military Conflict dal 1500 al 2000 (1987) lo testimoniano: la nozione di guerra economica sembra sempre più legata alla paura, da parte delle grandi potenze, di mettersi al passo con nuove potenze.

Un concetto di perdenti irritati?

Il premio Nobel francese per l’economia Maurice Allais, partecipante alla fondazione della microeconomia comportamentale, sostiene che l’analisi liberale, di cui afferma di aver trascurato troppo il tempo concentrandosi sul passaggio da un equilibrio all’altro . Sono queste le difficoltà incontrate dalla Francia che Christian Stoffaës mette in luce su La Grande Menace Industrielle nel 1978, una somma ragguardevole in cui analizza le strategie difensive e offensive nella “battaglia per il mercato mondiale”. Oggi Bernard Esambert è senza dubbio il principale difensore francese della guerra economica dal suo saggio del 1991, La guerra economica mondiale .

Questi tre autori hanno una cosa in comune: tutti e tre sono politecnici e ingegneri minerari. Il che può sollevare alcune domande, come una provocazione. Il concetto di guerra economica, se può aver avuto una leggera popolarità in Germania, un paese di aziende molto competitive, oggi ha poco o niente. Il concetto è più di moda negli Stati Uniti e in Francia, due paesi che mostrano lunghe fasi di deficit commerciale e colpiti da una reale ma forse esagerata deindustrializzazione.

La guerra economica è una preoccupazione prevalentemente americana e francese?

Maurice Allais contro il “laissez-fairism”

Maurice Allais, da tempo il nostro unico premio Nobel per l’economia (nel 1988), non usa la formula della “guerra economica”. Le analisi che ha sviluppato a partire dagli anni ’90, tuttavia, forniscono un valido supporto a tutti i critici di ciò che lui chiama “laissez-fairism”.

Maurice Allais è tuttavia un liberale che ha criticato aspramente il sistema socialista. È anche un sostenitore della costruzione europea, o meglio è stato un sostenitore perché crede che il sistema sia stato pervertito dall’inizio degli anni ’70 con l’ingresso del Regno Unito nella Comunità. Da quel momento per lui non si tratta più di Europa, ma di “organizzazione di Bruxelles”.

Paradossalmente, Allais si definisce anche un socialista. Questo perché per lui lo scambio non è fine a se stesso ma un mezzo per elevare il tenore di vita di tutta la popolazione. Non è un caso che il suo libro principale dedicato a questi temi, La Mondializzazione [2] , sia dedicato “alle innumerevoli vittime, in tutto il mondo, dell’ideologia globalista del libero scambio”.

A suo avviso, il libero scambio può realmente esistere solo tra paesi con un livello di sviluppo, costi salariali e protezione sociale comparabili. Era il caso della CEE degli anni 60. Non è più il caso dell’integrazione dei paesi dell’Est. Lo è ancora di meno quando si apre al mondo intero, rinunciando al principio di preferenza comunitaria e accettando senza precauzioni i prodotti fabbricati in paesi con salari molto bassi. I trasferimenti e l’aumento della disoccupazione sono quindi inevitabili. Come soluzione, Allais sostiene… il trasferimento di Pascal Lamy, commissario europeo e poi direttore dell’OMC. Più seriamente, chiede un protezionismo misurato che controlli le importazioni senza vietarle.

https://www.revueconflits.com/theoriciens-guerre-economique-friedrich-list-david-colle/

elezioni americane_ IX atto e oltre con Gianfranco Campa

Le notizie ormai si inseguono. Appena finita la registrazione trapelano notizie attendibili riguardante la separazione di Sydney Powell dalla squadra di avvocati guidata da Giuliani. Trump è orientato a riconoscere la vittoria di Biden e con lui Giuliani. La Powell, sostenuta dal generale Flynn, vorrebbe andare sino in fondo. Le prove di frode elettorale sarebbero schiaccianti; forse troppo però. Pare che a detenere le chiavi di accesso a Dominion siano proprio gli omini ombra del grande orecchio più importante. Non è più uno scontro che riguarda soprattutto il ceto politico. L’osso rischia di essere troppo grosso; anche per la stessa Corte Suprema e per mastini come Giuliani. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE_ VIII atto con Gianfranco Campa

Lo staff legale di Trump, il passato autorevole degli avvocati, la sottovalutazione dell’efficacia e dell’inerzia del sistema di potere, il sistema Dominion; la composizione e le competenze dei giudici della Corte Suprema, l’allineamento dell’intera classe dirigente democratica e repubblicana, la crisi di un intero ceto politico, il movimento di massa, l’emergere di nuovi capi politici. Una conversazione un po’ lunga, ma da ascoltare tutta di un fiato_Giuseppe Germinario

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