Censurare la mente e il cervello_di Roberto Buffagni

Confermata la notizia che l’Università Milano Bicocca ha annullato un corso su Dostoevskij di Paolo Nori. Ometto ogni considerazione in merito alle libertà di pensiero, insegnamento, cultura, che evidentemente non interessano più.
Per comprendere la Russia, conoscere Dostoevskij è molto importante. Non solo: per comprendere i complessi rapporti tra Europa e Occidente, e la Russia – un immenso paese a cavallo tra Europa ed Asia, Occidente e Oriente – conoscere Dostoevskij, che li meditò per tutta la vita, è indispensabile.
La ratio di questo provvedimento è dunque la seguente: NON VOLER CAPIRE la Russia.
La Russia è stata designata come nemico dalla UE, e dall’Italia in essa. UE e Italia hanno compiuto atti di guerra: invio di armamento offensivo all’Ucraina, sequestro attivi Banca Nazionale Russa. Noi italiani e la UE siamo cobelligeranti dell’Ucraina, anche se non ce ne siamo ancora accorti.
La Russia è il nostro nemico, e con questo atto dichiariamo che NON vogliamo capire il nostro nemico. Evidentemente, riteniamo di non averne bisogno. Riteniamo che la superiorità delle nostre forze economiche e militari, e della nostra ideologia liberal-progressista, sia così soverchiante da rendere superfluo ogni sforzo di comprendere la cultura, la mentalità, il modo di sentire e di agire nel mondo del nostro nemico russo.
La Russia è una grande potenza, che dispone del maggiore arsenale nucleare al mondo. Essa ha esperito, nel corso dei secoli e ancora di recente, tragici conflitti bellici, che hanno messo in forse la sua stessa esistenza: ma pur attraversando immani sciagure, è sempre riuscita a ritrovarsi, a resistere, a sconfiggere i suoi nemici, facendo appello a forze che, per brevità, usiamo chiamare “patriottismo” e “nazionalismo”; ma che si radicano, nell’anima e nella memoria storica dei singoli e dei popoli, a una profondità ctonia che solo grandi uomini come Dostoevskij sanno parzialmente scandagliare: “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte.”
Sono queste, le vere e più potenti armi del nostro nemico russo. L’armamento convenzionale e nucleare è soltanto uno strumento materiale, certo indispensabile, al servizio di quelle forze ctonie e della traduzione razionale di esse ad opera della dirigenza politica e militare russa.
D’altronde, implicitamente lo conferma la strategia bellica euroamericana, che punta al “regime change” in Russia. Il “regime change”, infatti, può aver successo solo quando si riesca a sfaldare la solidarietà tra dirigenti e popolo, e a innescare il processo centrifugo di frammentazione della nazione, ossia a piegare e poi dissolvere “patriottismo” e “nazionalismo” nell’anima dei singoli russi, popolo e dirigenti.
I dirigenti politici russi hanno ripetutamente e ufficialmente chiarito che stanno conducendo il conflitto odierno a difesa di un interesse vitale della nazione. “Interesse vitale”, nel linguaggio delle relazioni internazionali, significa un interesse che lo Stato, e il popolo che esso organizza, deve difendere a tutti i costi. “A tutti i costi” significa che si è disposti a difendere l’interesse vitale con tutte, ripeto tutte, le proprie forze, armamento nucleare compreso.
Ma a noi non serve, capire il nostro nemico. Non abbiamo bisogno di intendere le sue motivazioni, i suoi riflessi condizionati, l’equazione personale dei suoi dirigenti politici, le tradizioni culturali e la mentalità del suo popolo, il suo modo di amare e di odiare, di provare compassione e disprezzo, il significato che esso dà a parole come “onore”, “casa”, “famiglia”, “madre”, “padre”, “Dio”, “patria”; né quali corde esse tocchino nell’anima sua: perché non crediamo che esista l’anima, o non crediamo che ce l’abbia il nostro nemico.
Nella nostra tradizione culturale europea, questo atteggiamento di arrogante rifiuto di capire ha un nome: “hybris”. Ne hanno chiarito il significato le opere che stanno a fondamento della nostra civiltà: le tragedie e le epopee della classicità greca.
La frase che oggi sentiamo ripetere sui media, che “la prima vittima della guerra è la verità”, risale a Eschilo, il maggiore dei tragici greci. Eschilo combatté contro l’Impero persiano. Fu autore di una tragedia, “I persiani”, scritta dal punto di vista del nemico esistenziale dell’Ellade contro il quale aveva combattuto vittoriosamente a Maratona, Platea, Salamina. A Maratona cadde suo fratello Cinegiro. Sulla propria tomba, Eschilo fece scrivere questo epitaffio: «Codesta tomba Eschilo ricopre, d’Atene figlio, padre fu Euforione: vittima di Gela dalle ricche messi. Il suo valor potrebber ben ridirlo di Maratona il piano e il Medo chiomato.»
La conseguenza fatale di “hybris” è “nèmesis”, la punizione degli Déi. A pagare il prezzo della giustizia divina può essere il colpevole di “hybris”, ma anche la sua famiglia, i suoi discendenti, il suo popolo. L’infrazione alla legge divina che commette chi si renda colpevole di “hybris” è questa: per la grecità, l’uomo sta a metà tra l’animale e il dio. Se precipita nell’animalità, o tenta di elevarsi alla divinità, l’uomo viola l’ordine del cosmo. La némesis divina lo rimette al suo posto, e ripristina l’ordine del cosmo.
Gli animali non hanno bisogno di sforzarsi di capire l’altro, perché non ne sono in grado. Gli Dèi non hanno bisogno di sforzarsi di capire l’altro, perché già sanno.
A quanto pare, noi, noi italiani, noi europei, non possiamo capire il nostro nemico perché non ne siamo in grado; e non abbiamo bisogno di capirlo, perché già sappiamo tutto di lui.