
Con l’evidenza di nuovi particolari che stanno emergendo nella dinamica della ”ripresa” di Kabul, cioè del loro paese, da parte dei talebani si può cominciare a mettere insieme alcune considerazioni.
La ritirata a tappe forzate delle forze americane e della NATO e l’implosione dell’esercito locale da esse addestrato e armato ha assunto la dinamica apparentemente paradossale di un passaggio di consegne (copyright di Fabrizio Mottironi). Quantomeno di tratta di un tira e molla da definire in campo afghano.
Una impressione ormai suffragata da numerosi indizi:
- il liquefarsi sistematico e il passaggio di numerose unità, con armi e bagagli, al nemico;
- la consegna diretta ai talebani da parte delle forze regolari di alcuni importanti capi-clan e signori della guerra dell’ovest del paese e la conseguente fuga all’estero di altri delle regioni settentrionali, fondamentali nel dover garantire il presidio territoriale delle forze governative e nel futuro una possibile resistenza all’insediamento talebano;
- l’accorta preparazione diplomatica dell’offensiva militare con una serie di incontri al più alto livello dei capi talebani con esponenti di Cina, Russia, Turchia, uno dei prossimi principali attori in quell’area già insediato per altro nei pressi dell’aeroporto di Kabul e Iran;
- le trattative a Doha, nel Qatar, con gli americani il cui contenuto reso più o meno pubblico riguardava le modalità di ritiro delle forze militari occidentali; nulla si sa delle altre condizioni e prospettive discusse. Si presume che ne esistano, anche di inconfessabili;
- a fronte di una liquefazione delle forze governative, il salvacondotto di fatto concesso agli esponenti meno presentabili del governo decaduto e il riemergere nel paese di personaggi come Karzai, ex presidente afgano in quota americana il quale ha scelto ostentatamente di rimanere nel paese;
- la conferma che una parte cospicua dei finanziamenti necessari a sostenere la resistenza talebana agli americani proviene in primo luogo dal traffico di droga, accomunati in questo dagli avversari, in second’ordine dalle fondazioni islamiche della penisola saudita. Ci sarebbero i presupposti, quindi, con la pace raggiunta, di una normalizzazione più coerente dei rapporti tra Stati Uniti, sauditi ed emirati del Golfo e in prospettiva con gli stessi talebani.
Gli Stati Uniti escono certamente drammaticamente male in termini di credibilità e di immagine; gli europei ancora peggio. A dispetto del suo presidente e dei suoi consiglieri per così dire al merito, hanno però, presumibilmente, ancora carte da giocare e uno spirito di rivalsa che deve trovare obbiettivi praticabili per essere soddisfatto. Potrebbero rispolverare antichi amori, anzi il primo amore, anche se la corte ormai è occupata da nuovi cicisbei agguerriti. Devono prendere atto di avere a che fare con una nuova classe dirigente afgana gelosa della propria indipendenza, molto più accorta politicamente e nelle mediazioni esterne oltre che tra tribù, la quale dovrà barcamenarsi essenzialmente con i propri numerosi vicini di casa; tra di essi chi ne esce peggio appare l’India.
Qui sotto un interessante e nell’essenziale profetico articolo di Antonio de Martini scritto nel lontano maggio 2011. Buona lettura_Giuseppe Germinario
Gli USA vinceranno in Pakistan e i Talebani in Afganistan. di Antonio de Martini 24 maggio 2011
La morte di Ben Laden dovrebbe in teoria mettere mettere la parola fine alla campagna afgana. Ovviamente non sarà cosi perché l’Afganistan è il crocevia più strategico dell’Asia ed è il punto di passaggio necessario a chi vuole “scendere” in India e di chi vuole risalire verso le Repubbliche mussulmane ex sovietiche di ceppo turco che sono il ventre molle della Russia.( Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan) .
Chi controlla l’Afganistan punta il fucile al ventre della Russia e alla testa dell’India. Inoltre L’Afganistan e il Pakistan sono considerati un tutt’uno dalla strategia di Barak Obama formulata il 27 marzo 2009 ( vedi the white house : remarks by the President on a new strategy for Afganistan and Pakistan 27 marzo 2009 ), al punto che si creò la sigla AfPak tanto si cominciò a considerare i due paesi come un unico problema. Finito Osama Ben Laden , il problema è risolto solo per metà e non nella metà in cui sono schierate le truppe.
Assieme a un piano di sviluppo quadriennale di 7,5 miliardi di dollari interamente dedicato al Pakistan , le dichiarazioni fatte per bocca del Presidente furono chiarissime:
” Dopo anni di risultati incerti, non possiamo più dare assegni in bianco e non ne daremo. Il Pakistan deve dare prova della sua risolutezza a sradicare Al Kaida e gli estremisti violenti dal suo territorio. E insisteremo per passare all’azione in un modo o nell’altro, quando avremo informazioni sulla ubicazione di terroristi di alto livello”. Per chi vuole saperne di più, informarsi presso gli indiani che seguono da vicino il pericoloso vicino e che non hanno dimenticato che i Pakistani si sono rifiutati di arrestare il mandante degli attacchi di Mumbai Hafiz Mohammed Saeed capo della Jumaat al Dawa ispiratrice dei Laskar al Taib http://www.satp.org/satporg/countries/pakistan gli indiani si sono vendicati spiando i rapporti tra Talebani e il servizio informazioni pakistano e fornendo poi agli inglesi il materiale per il rapporto/ricerca Waldman ( 2010) che ha innescato la bomba.
La carta di “uomo nero” per poter continuare la partita, tocca adesso forzatamente al Mullah Omar, ma esiste una tenue speranza di accomodamento a causa delle affinità psico-religiose dei contendenti. Se si parlano , finiranno per capirsi, specie ora che l’ostacolo Ben Laden non c’è più.
Il reggitore dell’Emirato Islamico d’Afganistan , Omar, se fosse nato in America, sarebbe stato di certo uno dei fondatori dei TEA PARTY. Non se ne è mai reso conto perché non ha mai messo un piede fuori dal suo paese.
In comune con gli americani Omar ha una buona dose di puritanesimo, è un legalitario spinto e paga un prezzo altissimo per una questione di principio : l’ aver portato rispetto alla legge eterna dell’ospitalità nei confronti di un ex partigiano antisovietico che aveva anche fatto molta beneficenza nel paese.
Dopo l’attacco alle due torri, Omar Mullah chiese invano agli USA di incardinare un normale processo di estradizione nei confronti di Ben Laden. Gli Usa rifiuutarono. Vollero la consegna immediata e senza condizioni. Fino a ieri, l’FBI non gli ha mai imputato l’attacco delle due torri.
Andiamo con ordine: ci furono numerosi contatti tra Talebani e USA. I Talebani erano i combattenti Mujahiedin alleati contro i sovietici .
A fine guerra, dopo la parentesi comunista del governo di Najibullah, i Talebani presero il potere ed ebbero ottimi rapporti iniziali con gli USA. Poi il trasferimento di Ben Laden in Afganistan creò il primo ostacolo a questa bella amicizia.
La CIA vantando grandi rapporti a causa delle forniture d’armi del tempo di guerra, ne approfittò per chiedere al rappresentante del Mullah Omar venuto appositamente a Washington a trattare, di uccidere Ben Laden .
Il Ministro degli esteri Muttawaklik accettò, chiese le armi necessarie ( siamo nel 1998 a casa Clinton comandava ancora lui) e ci fu accordo. I dissapori iniziarono quando gli Afgani – sempre questa benedetta legge dell’ospitalità – chiesero agli USA di addossarsi poi ufficialmente la responsabilità dell’omicidio. Gli USA si rifiutarono: erano disposti ad uccidere , ma non ad ammetterre il gesto pubblicamente. L’intesa non proseguì.
Interessante il fatto che anche il Sudan aveva proposto di arrestare e consegnare Osama Ben Laden agli USA e senza nemmeno una pratica di estradizione, ma anche in quel caso l’amministrazione Clinton rispose negativamente: la famiglia Ben Laden era straricca, aveva società in comune con l’ex Presidente Bush padre e non solo con lui e non era proprio il caso di trascinare il rampollo di famiglia davanti a un tribunale.
Se volete saperne di più leggete ” Il Mullah Omar” di Massimo Fini . Editore Marsilio., “i nodi”
I Talebani operano da sempre senza l’aiuto arabo. Cinquecento prigionieri sono evassi la scorsa settimana dalla prigione di Kandahar scavndo un tunnel di trecento metri. Roba che gli americani fanno solo nei film. Omar non riescono a trovarlo .
Una previsione? Tra un mese o tra dieci anni – non importa – i Talebani resteranno padroni del campo perché sono motivati da un capo integerrimo e da un fervore religioso primitivo e senza compromessi. Karzai tornerà così a fare il ristoratore a Washington, come Kao Ky ( altro “statista” scoperto dalla CIA in Vietnam) gestisce il suo supermercato in California. Il supermercato costò agli USA oltre cinquemila vite umane. Il ristorante a Washington, costerà più caro. Meglio trattare un onesto pareggio offrendo – oggi che è il momento – quella che De Gaulle nel caso dell’Algeria chiamò “la pace dei valorosi”.