Emmanuel Macron e l’Europa – Di Eric Juillot (1/4)_traduzione di Giuseppe Germinario

Emmanuel Macron e l’Europa – Di Eric Juillot (1/4)

– I discorsi: idealismo e manierismo (1/4)

 

“  È la nostra storia, la nostra identità, il nostro orizzonte, ciò che ci protegge e ciò che ci dà un futuro  ” [1]: quando parla di “Europa”, Emmanuel Macron trabocca di entusiasmo Spera di essere comunicativo e lo incoraggia a presentare la costruzione dell’Europa come un processo dal quale abbiamo tutto da aspettarci e fuori dal quale non siamo nulla. Ancor prima di essere eletto presidente della Repubblica, durante la campagna elettorale, ha reso la sua adesione al progetto europeo il punto centrale delle sue ambizioni per la Francia, probabilmente per dare un po ‘di sollievo a un programma di tipo Giscardiano, disperatamente piatto, ma anche – riconosciamo questa qualità – con sincero attaccamento a ciò che l’Unione Europea rappresenta ai suoi occhi.

Più di due anni dopo l’entrata in carica, è possibile redigere un bilancio fallimentare della sua azione a favore dell’UE. I suoi sostenitori probabilmente troverebbero questa affermazione prematura, credendo che non si fa tutto in un giorno, che il tempo deve essere concesso al tempo, ecc. Al contrario, riteniamo che la valutazione avrebbe potuto essere effettuata già nell’autunno del 2017, quando il nuovo presidente ha presentato le sue opinioni sull’UE in un discorso presentato come fondativo, alla Sorbona il 26 settembre 2017 [2] .

Questo discorso condensa una tale somma di incoerenze e sciocchezze che porta in sé i semi del fallimento osservabile oggi. Per capire questo fallimento, per capire come fosse inevitabile, dobbiamo tornare a questo discorso e agli altri che lo hanno seguito, che sono solo occasioni in una forma raccolta: il discorso pronunciato prima nel Parlamento europeo [3] (17 aprile 2018), discorso in occasione dell’assegnazione del premio “Carlo Magno” [4] (10 maggio 2018) e il discorso che celebra il trattato franco-tedesco di Aquisgrana [5] (22 gennaio 2019).

Idealismo e Manichismo

L’Unione Europea non esiste. In ogni caso, è l’impressione paradossale che emana dai discorsi che l’attuale presidente gli dedica, poiché non viene mai menzionato in questo modo. Emmanuel Macron preferisce a questa designazione ufficiale e rigorosa il termine “Europa”, cantandola decine di volte per ciascuno dei suoi interventi. Questa sostituzione non è affatto innocua e inconscia. Quando menziona la costruzione dell’Europa, il presidente francese cerca sistematicamente di presentarla sotto l’aspetto grandioso di una causa sacra. L’espressione “Unione europea” ha qualcosa di noioso e realistico, incompatibile con questa ambizione. Si impadronì così dell ‘”Europa” per posizionarsi immediatamente nel cielo etereo di princìpi e idee, accanto alla figlia di Agenor, di cui Zeus stesso si innamorò.

Ciò che il processo perde nell’onestà intellettuale, acquista forza nel suo potere evocativo. Almeno si crede, perché in questo sequestro dell’Europa da parte dell’UE una mistificazione che, se può sedurre all’inizio, rende più arida e più sinistra l’evocazione concreta dell’Europa alla quale dobbiamo tornare prima o poi. Da qui una sorta di grande differenza permanente da un paragrafo all’altro, osservabile in ogni discorso, che suscita circospezione piuttosto che aderenza, incredulità piuttosto che entusiasmo, tanto la volontà di tenere assieme i grandi i principi e le proposte tecniche con portata limitata sembra artificiale.

Qualunque sia il caso, Emmanuel Macron spera, ponendosi al livello dell’Ideale, di riaccendere la fiamma dell’europeismo che per lungo tempo ha vacillato – se non estinto – nella mente pubblica. Cerca di includere il progetto europeista in una prospettiva morale, a volte persino escatologica, fuori dal tempo e dalla storia. Questo lo autorizza a tutte le deformazioni nella sua lettura del passato, fino a quando non affonda spesso in un rozzo manicheismo.

Il cliché della pace per merito dell ‘”Europa” viene quindi usato in modo abbastanza naturale non appena si presenta l’opportunità: “  Per definire ciò che la costruzione europea ci ha portato dopo le conseguenze della seconda guerra mondiale, siamo abituati a dire che ci ha permesso di vivere 70 anni di pace ed è vero. L’Europa ha vissuto questo storico miracolo di 70 anni di pace tra i nemici ereditari di ieri  . Essa consente, ovviamente, di evocare il passaggio di Robert Schuman e la sua dichiarazione del 9 maggio 1950: “  Credo che le sue parole sorprendenti quando ha detto:” L’Europa non è stato fatto e abbiamo avuto la guerra “  ”. Eppure non c’è più molta gente disposta a suggestionarsi con questa favola.

Ricordiamoci rapidamente: dire che la costruzione europea ha portato la pace nel continente significa semplicemente confondere la causa e il suo effetto. Perché è, al contrario, la pace che ha reso possibile l’affermazione del progetto europeista. E questo stato di pace tra le nazioni europee è una conseguenza della scomparsa del nazionalismo bellicoso, vittima delle due guerre mondiali e delle decine di milioni di morti che ha causato. La guerra divenne impossibile, prima perché non era più concepibile culturalmente. Credere che il mercato unico, la politica agricola comune o la creazione dell’euro siano state le cause profonde della pace in Europa per decenni ci sta portando fuori strada.

Comprendiamo, tuttavia, l’interesse ad una tale mistificazione: consente di dare all’Europa una postura di nobiltà che i suoi risultati concreti e prosaici non gli permetterebbero di ottenere. Inoltre, dà all’europeismo una impronta idealistica. I suoi seguaci possono a poco costo deliziarsi nell’idea che sono l’incarnazione del bene, e questo è il carburante più potente che la causa può usare, poiché rende possibile in cambio la demonizzazione di avversari e persino semplici scettici, accusati di giocare al gioco del male.

“  Vediamo di nuovo sorgere cosa potrebbe distruggere la pace, ciò che ci fa tremare  ”, “  Questa ambizione che portiamo è il sussulto di coscienza che dobbiamo assumere quando questo oscurantismo si risveglia in Europa quasi ovunque  ”. Cos’è questo oscurantismo del ritorno, questo Male risorto, stranamente insensibile alla grandiosità e alla bellezza dell ‘”Europa”? Lo stesso presidente Macron risponde a questa domanda piena di suspense: “  Non lascerò nulla, niente a tutti coloro che promettono odio, divisione o regressione nazionale ”. “Nazionale”: la parola è caduta. È l’unico che è preciso in questa frase grondante di eroismo, ed è ovviamente associato all’idea di regressione, e si fonde con “odio” e “divisione”, queste altre piaghe di cui forse è la causa.

E dal momento che “l’Europa” ne vale la pena, è possibile andare ancora oltre nella denuncia del mal nazionale, assimilandolo francamente a un nazionalismo bellicoso, per quanto difficile da osservare oggi in Europa. Quindi “  riappare una forma di guerra civile europea, dove le nostre differenze, a volte il nostro egoismo nazionale sembrano più importanti di ciò che ci unisce  ”. Il termine “guerra civile europea”, coniato da alcuni storici per riferirsi al periodo 1914-1945 in Europa, è tutt’altro che innocuo, ma chiaramente non è necessario arretrare davanti a nulla quando si tratta di salvare la Dea “Europa” dalle forze del male.

Nello stesso discorso, il presidente insiste su questa idea: “  coloro che commerciano questa rabbia [dei popoli] che suscitano propongono come unico futuro il vicolo cieco del ritorno alla lacerazione nazionalista di ieri. Abbiamo sperimentato tutti i modi e tutte le conseguenze ”. “Europa”, quindi, o morte per il caos nazionalista … Non sembra venire in mente al presidente che l’attuale ritorno delle nazioni è radicato nel senso di espropriazione democratica che l’approfondimento dell’UE ha sviluppato in molti paesi. Non gli viene in mente che l’identità pericolosa o le tensioni nazionalistiche che sono osservabili qui probabilmente sarebbero meno acute se l’UE non fosse, per qualche ragione, vista come una minaccia all’indipendenza e alla libertà delle persone, dei popoli del continente.

Questo è uno dei principali punti ciechi dei discorsi presidenziali: non solo l’UE non ha contribuito storicamente per nulla nell’eradicazione del nazionalismo su scala continentale, ma, soprattutto, contribuisce alla fine del viaggio alla sua rinascita. Convincendosi che una dose extra di europeismo avrebbe vaccinato l’Europa contro il ritorno del male, il presidente Macron agisce in modo del tutto irresponsabile e fa in modo che le persone si sbarazzino di una UE che diventerà finalmente tempo apertamente spoliatrice. Gli euroscettici non possono lamentarsi di questa cecità, ma tutti devono temere che all’estremismo europeista non finisca per rispondere un risorgente estremismo nazionalista.

Alimentato dalle sue illusioni, Emmanuel Macron preferisce, tuttavia, rinchiudersi nelle false alternative del suo primigenio manicheismo e in una lettura revisionista della storia del continente. Pertanto, “  [la divisione] tende a ridurre la maggior parte dei dibattiti a una sovrapposizione di nazionalismi convincendo coloro che dubitano di rinunciare alle libertà vinte al prezzo di mille sofferenze  ”. Si noti al passaggio dell’uso dell’espressione “coloro che dubitano” il tacito riconoscimento che la Causa è soprattutto una questione di fede.

Più seriamente, tuttavia, la menzione delle “mille sofferenze” che dovevano essere sopportate per conquistare nuove libertà è sufficiente per rimanere sbalorditi: l’UE ha reso possibile solo la libera circolazione di capitali, merci e lavoratori. , e non vediamo quale montagna di sofferenza fosse necessario scalare per attuare queste libertà tipicamente comunitarie, estranee alle gloriose libertà pubbliche stabilite ad esempio in Francia durante le rivoluzioni del 1789, 1830 e 1848, nonché dalla Terza Repubblica nascente. Lo scopo, deliberatamente confusionario nella speranza di fondere la piccola storia dell’UE con la grande storia delle nazioni europee, è una pura truffa intellettuale.

L’idealismo spazzatura e il contro-manicheismo sono quindi i due protagonisti dell’europeismo macroniano. Il tema troppo sfruttato di salvare l’Europa contro il male ci mostra un’ambizione: convincere che il progetto europeista è ontologicamente superiore a tutto ciò che è e a tutto ciò che è stato in grado di trasformare radicalmente tutto ciò che sarà purché i suoi seguaci abbiano quella fede attraverso la quale le montagne vengono spostate. Una tale visione è ovviamente rivolta al grandioso, ma sprofonda rapidamente nel ridicolo poiché l’oggetto a cui si applica non si presta ad esso: chi può seriamente pretendere di provare un sacro brivido quando pensa al mercato unico, alla BCE o alla Commissione europea? L’impresa di sacralizzazione dell’UE è in effetti una missione impossibile, nessuna propaganda potrà mai muovere le masse al riguardo. Tuttavia, sembra avere un vantaggio in termini di retorica, dal momento che il presidente francese si impegna a credere – i suoi discorsi lo dimostrano – a tal punto  che lo esonerano da qualsiasi seria argomentazione.

Eric Juillot, per Les-Crises.fr

Note

[1] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2017/09/26/initiative-for-the-europe-discourse-of-emmanuel-macron-for-a-europe-country-sustainable-country-world[2] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2017/09/26/initiative-for-the-europe-of-emmanuel-macron-for-a-europe-sustainable-country-world[3] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2018/04/17/public-president-speakers-in-the-european-par Parliament-in – strasbourg[4] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2018/05/10/president-speakers-of-the-republique-emmanuel-macron- when- cerimonia- cerimonia -du-prezzo-Charlemagne-a-Aix-la-Chapelle[5] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2019/01/22/signature-du-traite-franco-gallery-of-aix-chapelle

Lezioni di umiltà, di Roberto Buffagni

Lezioni di umiltà

 

Cari amici vicini e lontani,

proviamo ad analizzare la situazione dopo l’insediamento del nuovo governo giallorosa. Cercherò di fare un’analisi strategica, e dunque di semplificare al massimo per andare all’essenziale (=  a quello che mi sembra l’essenziale, non sono infallibile).

Sarò molto pessimista perché “scopo della politica è antivedere il peggio, e sventarlo” (Julien Freund, Sociologie du conflit).

Siccome la botta è ancora molto calda e vivacissime le reazioni emotive nel campo “sovranista” (metto tra virgolette la parola “sovranismo” perché a mio avviso surroga a fini cosmetico-edulcoranti la corretta definizione di “nazionalismo”), premetto un riassuntino  o abstract della tesi di fondo che argomenterò: così, chi non la gradisse può risparmiarsi l’irritante lettura di questo articolo.

Riassuntino

La rottura dell’alleanza di governo decisa da Salvini è stata un grave errore, nel quale confluiscono e si palesano errori precedenti altrettanto gravi, come importanti limiti e lacune della Lega in particolare, e del “sovranismo” italiano in generale. Senza una seria e approfondita autocritica dei suddetti errori, e una riconfigurazione ideologica e organizzativa, il campo “sovranista” rischia l’implosione, mentre la “Nuova Lega” nazionalista rischia di diventare la Vecchia Lega 2.0, cioè un partito strutturalmente subalterno al proprio avversario (ieri “Roma ladrona”, oggi “Bruxelles ladrona”).

E ora, vediamo di spiegarci un po’ meglio.

 

Rottura dell’alleanza di governo

La rottura dell’alleanza di governo decisa da Salvini è stata un grave errore perché ha regalato l’iniziativa all’avversario, che pur frammentato e confuso è riuscito a sfruttarla, e a insediare il governo giallorosa. Le due più articolate giustificazioni della rottura di cui io sia a conoscenza si devono ad Alberto Bagnai[1]. La seconda e più recente, Cronaca di una crisi annunciata, racconta dettagliatamente ma non spiega. Spiega invece la prima, QED fuoriserie,  e individua la principale ragione della rottura nel crescente ostruzionismo, e, peggio, nell’attivo sabotaggio da parte dell’alleato di governo, certificato dal voto 5* per Ursula von der Leyden; sabotaggio che, conducendo al varo di una legge finanziaria inaccettabile, inevitabilmente avrebbe causato la sconfitta politica della Lega, del suo leader e dell’intero campo “sovranista”: “Fatto sta che Ursula è passata, e lì si è capito chi era vassallo e chi no. Se Salveenee phasheesta era nel mirino prima, figuriamoci dopo questa prova di coerenza! Quindi abbatterlo diventava una priorità. E come fare per scalzarlo? Semplice! Andargli contro sull’agenda economica, con la copertura politica dei 5 Stelle.” (sottolineature nel testo).

Volendo fare dell’umorismo, si potrebbe commentare che Salvini, “scalzandosi” da solo, ha sventato la minaccia.

In sintesi: Salvini (piano A)  ha scommesso sull’impossibilità di formare una maggioranza parlamentare sufficiente a insediare un nuovo governo, e sul susseguente plebiscito elettorale a suo favore che gli promettevano i sondaggi d’opinione. Il piano B era invece – nell’analisi di Bagnai e Borghi, prevalente a quanto mi risulta nel campo leghista – il seguente: se anche si perdesse la scommessa e non si andasse subito ad elezioni, prima o poi ci si dovrà andare, e allora vinceremo, anzi: trionferemo. Dopo il rovesciamento delle alleanze dei grillini, el pueblo avrà compreso la natura serpentesca del M5* e la supina subalternità alla UE del “partito delle istituzioni”, e premierà la Lega con un diluvio di voti. Finalmente insignita dei “pieni poteri”, la Nuova Lega entrerà nella “stanza dei bottoni” di antica memoria[2] e riuscirà a realizzare, almeno in larga misura, il suo programma. Insomma: una strategia win-win, come s’usa dire oggi: o vinci subito, o vinci dopo un po’.

Mentre scrivo (8 settembre 2019, ricorrenza proverbiale) è evidente che il piano A è fallito. Può riuscire il piano B? Chissà. Qui entriamo nel campo delle previsioni future, dove tutto è, per forza di cose, opinabile.

Iniziamo dunque l’analisi dal passato, che è meno opinabile del futuro.

 

Formazione del governo gialloverde 1

La situazione strategica nella quale Salvini si è trovato nell’agosto 2019 è identica alla situazione strategica in cui si era trovato (in cui aveva liberamente scelto di trovarsi) il giorno dell’inaugurazione del governo gialloverde: un alleato di governo inaffidabile che dispone del doppio dei seggi parlamentari, e un “partito delle istituzioni” dichiaratamente nemico.

La natura dell’alleato di governo, il Movimento 5*, era certamente ben nota, da anni, almeno a un esponente di rilievo della Lega, il sen. Alberto Bagnai[3]. (Non posso naturalmente sapere se questa analisi del M5* fosse nota e condivisa anche dai massimi dirigenti della Lega, Salvini anzitutto). Semplificando[4]: il M5* è una forza politica che non designa un avversario o un nemico politico, e vi sostituisce categorie prepolitiche quali “la corruzione”. Da ciò consegue che a) il M5* può rastrellare consensi sia tra chi appartenga a una cultura politica di sinistra, sia tra chi appartenga a una cultura politica di destra, sia tra chi di cultura politica sia privo, “i qualunquisti”: è il segreto del suo successo b) ma soprattutto, può allearsi con tutti o con nessuno, e così neutralizzare  o influenzare la dialettica politica italiana: e questa invece è la mission per cui ha ricevuto l’impulso iniziale, in conformità alle specifiche elaborate dal dr. Gene Sharp e dai suoi collaboratori e continuatori[5]. Naturalmente, fatta salva la buonafede dei suoi elettori, e della maggioranza dei suoi attivisti e dirigenti: una buonafede essenziale per l’adempimento della mission (dell’operazione di influenza), perché non è possibile arruolare milioni di agenti.

Il “partito delle istituzioni”, invece, è il partito delle istituzioni e degli apparati dello Stato italiani, i quali entrambi sono embricati con le istituzioni e gli apparati UE. “Embricati” vuol dire che personale dirigente, mentalità, procedure, leggi, regolamenti, direttive, catene di comando e controllo di tutte, tutte le istituzioni e gli apparati statali italiani non possono prescindere dal rapporto con la UE, esattamente come le FFAA italiane sono integrate nella NATO. A solo titolo di esempio: un’ eventuale uscita dalla NATO  implicherebbe certo la decisione politica “usciamo”, ma chi si illudesse che la decisione basterebbe sarebbe diciamo ingenuo: le FFAA smetterebbero di funzionare l’istante successivo alla decisione, e dal giorno dopo ci potrebbero invadere con successo anche le Isole Tonga. Il che implica naturalmente che, in questo esempio, l’istituzione-FFAA resisterebbe con tutti i mezzi (per tacere delle reazioni dell’alleato statunitense).

Che il “partito delle istituzioni” italiano fosse nemico (non “avversario”, nemico) di una forza politica come la nuova Lega “sovranista”, che si contrapponeva frontalmente alla UE,  non era dunque difficile da immaginare; e per chi difettasse d’ immaginazione, dovevano bastare le forzature di Mattarella nella fase di formazione del governo: rifiuto di incaricare il leader della Lega di un mandato esplorativo per la formazione del governo, rifiuto di incaricarne il pericoloso sovversivo prof. Giulio Sapelli, rifiuto di accettare come Ministro dell’Economia l’altro pericoloso sovversivo prof. Paolo Savona. Forzature che erano anche gravi errori politici, perché ostendevano urbi et orbi la natura ibrida ed eterodiretta delle istituzioni italiane, e manifestavano l’incapacità del “partito delle istituzioni” di garantire un governo che godesse sia della legittimazione elettorale, sia della conformità al quadro sistemico UE.

Digressione: com’è fatta la UE

La UE è un potere di fatto, essenzialmente privo di legittimazione. Esso è privo di legittimazione perché

  1. l’unica fonte di legittimazione generalmente accettata in tutta Europa e in Occidente è “la volontà del popolo”, e la forma in cui questa legittimazione si esprime è la democrazia parlamentare a suffragio universale. In Europa i popoli sono molti, con diversi interessi e culture. Nessuno tra essi è in grado di federare gli altri[6] e trasformare la UE in un vero e proprio Stato
  2. la UE è di fatto uno spazio decisionale delimitato da trattati interstatali. All’interno di questo recinto, entrano in gioco i rapporti di forza tra gli Stati che lo creano, e naturalmente i più forti e i più coesi hanno il sopravvento, legiferando a proprio vantaggio e/o piegando l’interpretazione dei trattati a proprio beneficio. Lo Stato più forte e coeso, la Germania, con lungimiranza ha provveduto, con una decisione della Corte Costituzionale, a sovraordinare la propria legislazione a quella UE, così garantendosi la possibilità di decidere in ultima istanza qualora si apra uno stato d’eccezione
  3. ne consegue che la UE è una entità politica insieme molto fragile e molto rigida, esposta in via permanente a una latente crisi di legittimità
  4. per sopravvivere, la UE dunque deve progressivamente ibridare o “contaminare” clandestinamente, come una malattia autoimmune, istituzioni e apparati degli Stati che la compongono, e che sono gli unici ad avere ereditato (dal passato regime) la legittimità
  5. questa ibridazione e “contaminazione” non può perfezionarsi fino a trasformare gli Stati che compongono la UE in Länder di un vero e proprio Stato Europeo Federale o confederale, per la ragione esposta al punto 1
  6. dunque, qualunque forza politica rilevante (= in grado di andare al governo) contesti la UE in nome della “volontà del popolo” si autodesigna come nemico, ripeto nemico, non “avversario”, della UE, e deve attendersene una reazione proporzionata al rischio esistenziale che le fa correre
  7. la reazione della UE si dispiegherà anzitutto sul piano delle istituzioni e degli apparati dello Stato che essa ha ibridato e “contaminato”, che sono il suo punto di forza e che diventano così il principale terreno di scontro tra forze favorevoli e avverse alla UE.
  8. La forza politica che in nome della “volontà del popolo” si oppone alla UE è costretta a combattere la sua battaglia sul terreno di scontro scelto dal nemico (istituzioni, apparati dello Stato) perché la “volontà del popolo” non può direttamente affermarsi sul terreno extra-istituzionale, per esempio con le barricate, lo scontro militare, lo sciopero generale, etc.[7] Per affermarsi, la “volontà del popolo” deve anzitutto passare attraverso la vittoria elettorale: e qui la UE cercherà di contrastarla mediante leggi elettorali a sé favorevoli, campagne mediatiche, attacchi giudiziari ai leader, eventualmente brogli, etc. Una volta tradotta in voto politico maggioritario la “volontà del popolo”, essa dovrà trasformare il consenso formalizzato dal voto in potenza politica, cioè in capacità di implementare nella realtà effettuale le proprie decisioni politiche.
  9. Per trasformare il consenso in potenza, è necessario impiegare le istituzioni e gli apparati dello Stato, gli strumenti operativi senza i quali nessuna decisione politica è concretamente realizzabile. Dunque l’ eventuale vittoria elettorale di una forza politica anti UE non è la fine, ma l’inizio dello scontro. L’insediamento al governo di una forza politica che in nome della “volontà del popolo” sfidi la UE segna soltanto lo schieramento in campo delle forze contrapposte, non la vittoria. Con la vittoria elettorale la battaglia non finisce: comincia.

 

 

Formazione del governo gialloverde, 2

La situazione strategica nella quale Salvini e la Lega si sono trovati nell’agosto 2019 è identica alla situazione strategica in cui si erano trovati (in cui avevano liberamente scelto di trovarsi) il giorno dell’inaugurazione del governo gialloverde: un alleato di governo inaffidabile che dispone del doppio dei seggi parlamentari, e un “partito delle istituzioni” dichiaratamente nemico.

Formare il governo gialloverde è stata un’abile mossa tattica, e un grave errore strategico[8].

Abile mossa tattica, perché a) si andava al governo b) l’alleato era inesperto e privo di una linea politica persuasiva, lo si poteva egemonizzare e strappargli consensi nell’elettorato c) il moltiplicatore di potenza della posizione istituzionale favoriva vittorie della Lega nelle elezioni regionali e locali.

Grave errore strategico, perché i rapporti di forza nelle istituzioni tra Lega, M5* e “partito delle istituzioni” sarebbero rimasti gli stessi, a meno di una nuova tornata elettorale politica in cui la Lega potesse capitalizzare il consenso conquistato nel paese.  Ora, non era difficile prevedere che quanto maggiore il consenso acquisito dalla Lega nel corso dell’esperienza di governo gialloverde, tanto più violenta la resistenza sia dell’alleato di governo, sia del “partito delle istituzioni” a regalare alla Lega l’opportunità di farsi plebiscitare. A prescindere dalla sua natura e delle eterodirezioni a cui è soggetto, Il M5*, e in particolare il suo ceto dirigente, si sarebbe opposto con tutti i mezzi a una prova elettorale che gli avrebbe inflitto un colpo devastante, forse mortale; e da che parte stesse il “partito delle istituzioni” lo si era visto con tutta chiarezza fin da subito.

(“Preferivi Cottarelli?” Sì, preferivo Cottarelli, perché un governo Cottarelli sarebbe stato un governo di minoranza, screditato nel paese, insediato dal solo “partito delle istituzioni” subito dopo una serie di gravi errori politici, e  che il parlamento avrebbe potuto incapacitare[9]. Nel frattempo, in attesa di nuove elezioni, sarebbero stati liberi tutti i partiti, di maggioranza e minoranza, di ridiscutere programmi e alleanze.)

Per rimediare in tutto o in parte all’errore strategico dell’ingresso nel governo gialloverde, e uscire dall’angolo morto in cui si era ficcata, la Lega avrebbe dovuto

  1. Piano A (molto difficile): assicurarsi che in Parlamento non potesse formarsi una maggioranza diversa dalla gialloverde, cioè spaccare il M5* e letteralmente portargli via un numero consistente di parlamentari, una manovra molto difficile, specie se non si dispone di larghi fondi e non si possono promettere sinecure e prebende. Escludere a priori un rovesciamento delle alleanze come quello che si è compiuto in questi giorni era impossibile; e infatti, esso si è realizzato.
  2. Piano B (un po’ meno difficile) restare nel governo, contendere il terreno palmo su palmo, dividere l’elettorato 5*, costringere eventualmente il M5* a prendere l’iniziativa della rottura, su un tema di grande rilievo e facile comprensibilità per tutti, in modo da rendere più difficile (comunque non impossibile) al “partito delle istituzioni” la ricerca di una nuova maggioranza e il diniego di nuove elezioni.

 

Sintesi 1: prima di “staccare la spina” bisogna assicurarsi di non restare fulminati.

Sintesi 2: siccome la strategia è sovraordinata alla tattica, una mossa tattica ha effetto a breve, una mossa strategica a lungo termine. La mossa dell’ingresso nel governo gialloverde era tatticamente corretta, e ha pagato subito. Però era strategicamente sbagliata, e ha riscosso il suo prezzo dopo un anno.

 

Perché gli errori

Ometto valutazioni sulla personalità del leader della Lega, Matteo Salvini. Mi limito ad osservare, con le parole dell’amico Fabio Falchi, che “non si trova facilmente un Alessandro Magno ed è per questo che ci sono le accademie, le scuole di guerra e gli Stati Maggiori (che sono il surrogato del genio).
Evidentemente però, anche grazie agli esperti di marketing e ai pubblicitari, è più facile prendere voti che impegnarsi seriamente a creare una organizzazione che sappia combattere quel tipo di conflitto che non è altro che la prosecuzione della guerra con altri mezzi
.”

Mi risulta invece (non ho informazioni privilegiate, e sarò lieto di essere smentito) che sia la decisione di entrare nel governo, sia la decisione di uscirne, sono state prese informalmente, tra pochissime persone vicine al leader, perché la Lega non dispone di una struttura di comando analoga a uno Stato Maggiore, nella quale si eseguano analisi e si formulino piani, si presentino al decisore in modo coerente opzioni diverse e anche opposte, si progettino modifiche all’organizzazione delle forze disponibili, si segua l’esecuzione degli ordini fino a loro effettiva implementazione.

Mi risulta anche che nella Lega non viene incoraggiata l’iniziativa e l’indipendenza di pensiero, ma semmai l’obbedir tacendo alle decisioni dei cari leader. La disciplina va benissimo. La mancanza d’iniziativa e d’indipendenza invece, specie tra i quadri, va malissimo. L’esercito prussiano divenne il migliore del mondo anzitutto grazie alla Auftragstaktik (tattica di missione): nella formulazione di von Moltke senior, “più alta l’autorità, più corti e generali gli ordini”. Agli ufficiali subalterni era garantito un notevole margine di manovra per raggiungere gli obiettivi, e nella loro formazione era incoraggiato lo spirito d’iniziativa. Con esecutori anzitutto preoccupati di non sgarrare e di coprirsi le spalle non si va da nessuna parte, tranne a Pontida.

 

Che succede adesso

Le linee di tendenza prevedibili sono le seguenti.

  1. L’obiettivo strategico del “partito delle istituzioni” italiano e della UE è: ripristinare la contrapposizione tra un centrosinistra e un centrodestra, comunque composti, che siano entrambi sistemici, cioè che accettino senza retropensieri, una volta per tutte, il contesto UE (che lo legittimino nell’unico modo in cui è possibile legittimarlo, vale a dire omettendo di contestarlo)[10]
  2. Non è un obiettivo facile. Per raggiungerlo, è necessaria la riconfigurazione del centrosinistra e del centrodestra + un grado accettabile di controllo della grave contrapposizione paese legale/paese reale.
  3. Centrosinistra: dopo il rovesciamento delle alleanze, l’indebolito M5* sarà incoraggiato a prendere il posto della vecchia sinistra massimalista ormai logora, svolgendone la consueta funzione (intercettare il dissenso + al momento buono votare per il partitone). Mi pare già prepararsi, tra le file di Nuova Direzione, Senso Comune, Patria e Costituzione e altre formazioni analoghe, un nuovo ceto dirigente del M5*, che andrà a integrare e sostituire parzialmente il vecchio, già screditato. Non sono in grado di prevedere le evoluzioni interne al PD, con le relative lotte fra correnti e leader. Possibile che dal PD si distacchino formazioni più centriste e apertamente liberali, come ad esempio quella auspicata da Calenda.
  4. Il centrodestra è l’obiettivo principale dell’operazione, perché nel centrodestra c’è la Lega e il bacino elettorale più pericoloso per il partito delle istituzioni e per la UE. Si farà certamente leva sulla base sociale della Lega (PMI, lavoratori autonomi) e sulla sua base di potenza territoriale (Lombardo-Veneto), come dimostrano i recenti interventi pubblici di Luca Zaja e Roberto Maroni[11]. Attraverso questi ultimi, si incoraggerà la riconversione della Lega secondo le tradizionali specifiche del prodotto, vale a dire: a) Salvini surroga Bossi come leader carismatico (= che prende tanti voti) e come Bossi propagandava senza crederci la cantafavola della secessione grazie ai duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna, così Salvini propaganderà senza crederci la cantafavola del sovranismo, con il “prima gli italiani” e il “basta immigrati”. Dovranno però gradualmente sparire le allusioni all’uscita dall’euro e/o dalla UE b) intanto si tratta con il “partito delle istituzioni” italiano e con la UE per ottenere la forma di autonomia regionale il più possibile ampia, e nel conflitto tra potenze interno alla UE ci si lega alla Germania per difendersi dalla Francia (sulla quale si orienta invece il PD). A garanzia dell’accettazione del quadro sistemico UE, si incoraggerà l’alleanza tra Lega e Forza Italia o suoi eventuali avatar quali la nuova formazione di Urbano Cairo. Punto delicato dell’operazione, Fratelli d’Italia, che sulla linea “sovranista” ha moltiplicato i suoi voti, che ha il nazionalismo nel DNA, e nel quale potrebbero confluire i “sovranisti” delusi dalla Lega . E’ dunque prevedibile che nel prossimo futuro, proprio su Fratelli d’Italia convergeranno attacchi e manovre tese a normalizzarlo.
  5. Al fine di controllare il pericoloso scollamento tra paese legale e paese reale, si incoraggeranno a) cambiamenti ad hoc della legge elettorale b) controllo e censura dei social media c) secca repressione delle manifestazioni di dissenso d) provvedimenti assistenziali sul modello degli 80 euro renziani e) “nuova narrazione” di un’Italia protagonista nel dialogo intereuropeo f) character assassination + persecuzione giudiziaria di Salvini (che non ha più la copertura parlamentare dagli attacchi giudiziari) e altri leader “sovranisti”, es. Giorgia Meloni, al fine di demoralizzare l’opposizione “sovranista” e di dimostrarle che mettersi contro la UE è troppo difficile.

Ed effettivamente, mettersi contro la UE senza essere adeguatamente preparati è troppo difficile: se qualcosa ha dimostrato quest’anno di governo gialloverde, è proprio questo.

Dunque hanno ragione Maroni e Zaja? Bisogna accettare il quadro UE e al suo interno contrattare al meglio i propri interessi?

No, non hanno ragione Maroni e Zaja. Hanno torto, e non solo perché non è patriottico, generoso e carino fregarsene del Meridione e pensare solo al Nord. Maroni e Zaja hanno torto anche dal limitato punto di vista degli interessi del Nord Italia, perché:

  1. La secessione del Nord è impossibile. La UE esiste perché la fanno esistere gli Stati, e non può permettere che essi si disgreghino. Se servisse un esempio, basti riandare con la memoria all’avventura indipendentista della Catalogna.
  2. L’autonomia regionale così come la vogliono i lombardi e in particolare i veneti scasserebbe ulteriormente le istituzioni italiane, accrescendovi la frammentazione dei centri decisionali e la confusione dei livelli istituzionali. La si potrebbe realizzare efficacemente solo nel quadro di una completa riforma istituzionale dello Stato italiano, che lo trasformasse in una Repubblica presidenziale federale. Francamente non ne vedo le condizioni di possibilità.
  3. La tattica autonomista può pagare, in termini economici, vista l’interdipendenza tra manifatturiero italiano e tedesco. Ma siccome non esiste solo l’economia, che non decide tutto, e la suddetta interdipendenza non è un dato permanente come la collocazione geografica, gli interessi di Germania e Nord Italia possono divergere, ad esempio perché entrano in campo più rilevanti interessi franco-tedeschi. Inoltre, oggi il tacito patto tra Germania e USA è messo in forse, e la crescente rivalità tra Germania e Stati Uniti già ora espone il Nord Italia a seri contraccolpi, anche economici. Come descritto brevemente più sopra, la UE è uno spazio decisionale delimitato da trattati interstatali. All’interno di questo recinto, entrano in gioco i rapporti di forza tra gli Stati che lo creano, e naturalmente i più forti e i più coesi hanno il sopravvento, legiferando a proprio vantaggio e/o piegando l’interpretazione dei trattati a proprio beneficio. Che peso avrebbero le regioni del Nord, nel recinto decisionale della UE? A occhio e croce, un peso minore del Lombardo-Veneto all’interno dell’Impero austro-ungarico, perché almeno l’Impero era uno Stato vero e proprio, e il Lombardo-Veneto ne faceva parte (per questo Carlo Cattaneo caldeggiava una linea federalista). Sintesi: indebolendo lo Stato italiano con un autonomismo massimalista, il Nord indebolisce l’unica entità politica che può difenderlo e rappresentarlo all’interno della UE. Anche la scelta autonomista-massimalista di Maroni e Zaja, dunque, è un’abile mossa tattica e un grave errore strategico.

Che fare ora?

Anzitutto, riconoscere i propri errori e analizzarli: per approfittare della lezione che impartiscono le sconfitte, bisogna ammettere che non sono né vittorie né pareggi. Dopo, solo dopo si può cominciare a ragionare su come prepararsi meglio per riprendere a combattere; ad esempio, su come prepararsi per condurre la battaglia all’interno delle istituzioni e degli apparati dello Stato, che sono – non mi stanco di ripeterlo – il terreno principale e decisivo dello scontro.

Non è facile: ci vuole umiltà.  Ma “Gloriam praecedit humilitas. Humilitas alta petit”,  “L’umiltà precede la gloria. L’umiltà sprona alla grandezza.” E’ anche il motto di un’antica casata lombarda. Forse la Lega, che proprio da quelle parti ebbe umili natali, se ne ricorderà.

[1] http://goofynomics.blogspot.com/2019/08/qed-fuoriserie.html

http://goofynomics.blogspot.com/2019/09/cronaca-di-una-crisi-annunciata.html

Ci sono naturalmente altre analisi, tra le quali segnalo questa, recentissima, di Carlo Galli: https://ragionipolitiche.wordpress.com/2019/09/04/che-cose-questa-crisi/

Personalmente, concordo nell’insieme con le analisi di Fabio Falchi e Piero Visani: http://italiaeilmondo.com/2019/08/31/alea-iacta-est-di-fabio-falchi/ ; http://italiaeilmondo.com/2019/08/23/il-conte-dimezzato-la-crisi-di-governo-sul-proscenio-e-dietro-le-quinte_-con-piero-visani/ (intervista video); http://italiaeilmondo.com/2019/09/02/crisi-politica-e-guerre-sordide-a-cura-di-giuseppe-masala-e-piero-visani/

http://www.destra.it/errare-humanum-est-perseverare-diabolicum/

 

[2] Per i più piccini: ne favoleggiava Pietro Nenni nel corso del dibattito interno al PSI sul progetto di primo governo di centrosinistra.

[3] V. ad es. http://goofynomics.blogspot.com/2014/10/agli-ortotteri.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2012/09/ortotteri-e-suini.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2012/07/ortotteri-e-anatroccoli.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2017/03/cinque-stelle-due-logiche-una-risposta.html

[4] Qui invece, analiticamente, quel che penso del M5* e del suo rapporto con la UE: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2016/12/la-politicaitaliana-secondo-shakespeare.html

[5] E’ il gruppo di lavoro che ha gettato le basi teoriche e operative per l’implementazione delle “rivoluzioni colorate” in tutto il mondo, se ne vedano qui i manuali gratuitamente scaricabili https://www.aeinstein.org/, https://canvasopedia.org/.  Ne raccomando caldamente la lettura, perché vi si apprendono i metodi impiegati nelle “guerre ibride”, o “guerre di quinta generazione”. Non tutti, naturalmente: per esempio, nei manuali qui disponibili non si suggerisce l’impiego di cecchini bipartisan che sparano sulla folla dei manifestanti e sulle forze di polizia che la fronteggiano allo scopo di destabilizzare un governo, com’è avvenuto in Ucraina o in Egitto; né si specifica l’importanza di disporre di agenti all’interno del sindacato, della magistratura e degli apparati di coercizione dello Stato-bersaglio, né i metodi per assicurarseli (che vanno dalla simpatia ideologica, alla corruzione, al ricatto). Questo tipo di metodi si insegnano e apprendono in altre sedi. Sia i metodi “aperti” sia i metodi “coperti” convergono verso uno stesso scopo, che può essere la destabilizzazione di un governo, la distruzione di una forza politica sgradita e/o del suo leader, etc., senza impiegare la forza militare tradizionale, e con il minimo impiego della violenza possibile, perché la violenza ha un alto costo politico. “L’ arma preferita della guerra di quinta generazione è lo stallo politico. Chi combatte una guerra di quinta generazione vince dimostrando l’impotenza della potenza militare tradizionale…questi combattenti vincono quando non perdono, mentre noi perdiamo quando non vinciamo” (https://www.scribd.com/doc/50049562/Fifth-Generation-War-Warfare-versus-the-nonstate-by-LtCol-Stanton-S-Coerr-USMCR)

[6] Per una analisi di questo punto, v. http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2016/12/la-politicaitaliana-secondo-shakespeare.html

[7] Se qualcosa hanno insegnato le esperienze rivoluzionarie del Novecento, ad es. l’affermazione dei fascismi, è che anche forze politiche dotate di milizie armate non riescono a rovesciare le istituzioni con lo scontro militare diretto. E’ indispensabile guadagnarsi la complicità delle istituzioni e degli apparati dello Stato.

[8] E’ odioso dire “ve l’avevo detto”. Mi autocito solo per mostrare che non era difficile accorgersene, se me ne sono subito accorto io che non sono Clausewitz. http://italiaeilmondo.com/2018/05/24/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-lega-5-eccetera-che-accadra-di-roberto-buffagni/

[9] Per esempio così: http://italiaeilmondo.com/2018/05/29/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-ombra-di-roberto-buffagni/

[10] Ne anticipavo qualcosa qui: http://italiaeilmondo.com/2019/08/13/navigazione-a-vista-di-roberto-buffagni/

[11] https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13499741/matteo-salvini-roberto-maroni-progetto-fallito-due-italia-crisi-m5s-governo-imprenditori.html ; https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13492326/matteo-salvini-luca-zaia-insulti-accuse-video-facebook-diretta-sospetto-rivolta-veneto-.html

COLPO DI EXTRASTATO, di Massimo Morigi

COLPO DI EXTRASTATO

 

«COLPO DI STATO (fr. e ingl. coup d’état; sp. golpe de estado; ted. Stadtsstreich). – Si intende generalmente con questa espressione un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri. In senso più ristretto si vuole che questa violenta trasformazione sia operata da uno degli stessi organi costituzionali, cioè, in pratica, nelle costituzioni a tipo inglese, da uno degli organi esecutivi, il re o il suo gabinetto, poiché negli altri organi manca quel continuo e diretto esercizio di un potere per sua natura imperfettamente limitabile e sindacabile qual è il potere di governo, base necessaria per l’attuazione di un atto di forza. In senso più ampio s’intende per colpo di stato ogni violenta modificazione dell’ordinamento costituzionale vigente, anche se questa non sia dovuta a uno degli organi esecutivi. Anche in questa sua più lata accezione, il concetto di colpo di stato non coincide con quello di rivoluzione. Il colpo di stato contiene sempre in sé un elemento di rivoluzione: cioè un brusco mutamento dell’ordine esistente. Ma per rivoluzione, in senso stretto, s’intende un mutamento prodotto da un moto popolare. D’altra parte rivoluzioni anche grandiose possono avvenire senza che si verifichi questa soluzione di continuità nella vita giuridica: si prenda ad esempio la rivoluzione dell’ottobre 1922 in Italia, che, sebbene iniziata con un atto insurrezionale, si svolse poi interamente per vie legali. Un vero colpo di stato fu invece quello compiuto nel regno iugoslavo, il 6 gennaio 1929, da re Alessandro, che sospese la costituzione, ritornando provvisoriamente al sistema della monarchia assoluta. La storia di tutti i popoli e di tutti i tempi è ricca di colpi di stato: particolarmente famosi sono i colpi di stato del 18 brumaio (1799), col quale Napoleone Bonaparte s’impadronì del potere, e quello di Napoleone III del 2 dicembre 1851.». Ho riportato integralmente la voce ‘Colpo di stato’ scritta, imperante il regime fascista, per l’Enciclopedia Italiana da Giuseppe Maranini. Lo scopo di questo mio “calligrafismo” politologico è duplice. Il primo è sottolineare l’abissale povertà della cultura politica della cosiddetta destra italiana (leggi: Salvini e suo partito) che per nascondere le sue incommensurabili coglionerie tattiche (leggi: Papete e decisioni prese sotto l’effetto di discinte cubiste ed abbondanti libagioni alcoliche) non sa far altro che demonizzare coloro che si sono rifiutati di farsi infilzare (leggi Cinque stelle che hanno fatto di tutto per non andare alle elezioni). Ma, francamente, lo sfoggio di uno dei maggiori giuspubblicisti italiani sarebbe veramente ingiustificato per stigmatizzare il novello Tecoppa padano che malamente si lagna perché i pentastellati si rifiutano di farsi infilzare. Il vero scopo è un altro (e, diciamolo chiaramente, un po’ più ambizioso) ed è quello di sottolineare – more solito, del resto, per chi ha la pazienza e l’amorevole comprensione di seguire il presente povero autore – l’assoluta insipienza della cultura politologica italiana laddove non si accorge che quello che è avvenuto nell’attuale risolta “felicemente” crisi di governo italiana  se non è stato la realizzazione di un “colpo di Stato” (non c’è stata violenza di alcun tipo e tutto si è svolto secondo le norme dell’ordinamento costituzionale) è stato comunque un “colpo” ma non di Stato bensì di extrastato, per il semplice ed elementare dato di fatto che la decisione finale di dare il via al nuovo governo non è avvenuta in Parlamento o attraverso il dibattito più o meno democratico (o più o meno guidato) all’interno dei partiti dell’attuale sistema politico ma attraverso la decisione di una piattaforma elettronica telematica la cui trasparenza nella raccolta dei voti che vi sono confluiti è tutta da dimostrare. Ma il punto importante per dare corpo alla categoria ‘colpo di extrastato’ non è tanto il fatto che la piattaforma Rousseau è tutto tranne che trasparente (in passato la “democrazia” dei partiti era nascostamente pesantemente guidata, quando  questa etero direzione  non era addirittura teorizzata, vedi centralismo democratico del vecchio PCI; e le lobby che da sempre manovrano le decisioni dei parlamenti delle moderne democrazie sono forse il fenomeno più studiato dall’attuale scienza politica, fino ad arrivare alla “postdemocrazia” teorizzata da Colin Crouch), il punto fondamentale è un altro, ed è cioè che tutti, dalla pubblica opinione, alle massime cariche istituzionali, per dare vita ad un governo hanno aspettato senza fiatare una esplicita e chiara decisione di un corpo, ma un corpo che non è previsto né in  Costituzione né in alcuna prassi politica sviluppatasi sotto il mantello costituzionale. Si è aspettato, in altre parole, che un corpo al di fuori dello Stato dettasse allo Stato (inteso non solo come ordinamento giuridico ma anche come prassi politica consolidatasi in compatibilità di questo ordinamento) cosa si deve fare o non fare (in questo caso fare il governo giallorosso). Il “colpo di extrastato” è, a quanto mi risulta, una novità del tutto italica. C’e da augurarsi che a questa poco felice novità sempre dal nostro paese possano partire  inedite contromisure che non ricalchino né tecoppiane e ridicole reazioni né tantomeno le risibili pasquinate modello “Tout va très bien, Madame la Marquise”. Detto in altre parole, è necessario sia a livello di prassi che di teoria politica di un colpo altrettanto extra. E qui mi fermo, se non richiamandomi in extremis ancora a Maranini, perché come dissero Marx e Churchill, «Le ultime parole sono per gli idioti che non hanno detto abbastanza.».

Massimo Morigi

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA, di Fabio Falchi

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA

Il nuovo scontro tra Stati Uniti e Germania sulla missione marittima nello Stretto di Hormuz (missione pianificata da Washington per impedire che gli iraniani possano minacciare la libera navigazione in quello Stretto, attaccando o sequestrando delle petroliere come ritorsione per il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano del luglio 2015 – ossia dal Joint Comprehensive Plan of Action – nonché per le sanzioni adottate dagli americani contro l’Iran), è certamente un altro segno del deterioramento dei rapporti tra l’America e Unione Europea. Anche se Berlino afferma che questa missione (cui, se ci sarà, non è escluso che anche la Germania possa parteciparvi) non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco, in realtà questo scontro tra la Germania e gli Stati Uniti ha un significato che va ben oltre la questione del nucleare iraniano. In gioco, infatti, vi sono interessi economici e questioni geopolitiche più importanti che la divergenza di opinioni sulla strategia da adottare nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran. Per capirlo però occorre fare “qualche passo indietro”.
È noto che l’Unione Europea (e in particolare l’euro) avrebbe dovuto essere lo “strumento” politico-economico mediante il quale ancorare saldamente la Germania all’Atlantico dopo il crollo del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione Sovietica. Invero, la Germania, ottenendo che l’Unione Europea fosse una “unione competitiva europea” anziché una vera “unione politica europea”, ha saputo usare questo “strumento” per diventare una grande potenza economica, caratterizzata da un enorme surplus della propria bilancia commerciale. Si tratta però di una mera crescita economica che, oltre a creare ogni genere di squilibri all’interno della stessa Unione Europea, ha danneggiato non solo i Paesi dell’area mediterranea ma pure l’economia degli Stati Uniti. In pratica, il cosiddetto “neomercantilismo” della Germania ha contribuito a trasformare l’Unione Europea in un mero “aggregato di Stati nazionali” in lotta tra di loro e al tempo stesso ha reso più tesi i rapporti tra l’UE e l’America. Una situazione resa ancora più complicata dalla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del novembre 2016, tanto che perfino l’attuale “attrito” tra l’Unione Europea e l’America è – almeno in parte – un “semplice riflesso” del durissimo scontro ai vertici del potere pubblico della grande potenza d’Oltreoceano (peraltro, anch’esso, come l’abnorme espansione della finanza rispetto alle forze produttive, un “segnale dell’autunno” della potenza egemone e indice di quella crisi di “sovraesposizione imperiale” dell’America già ben analizzata, sia pure nei suoi aspetti essenziali, dallo storico Paul Kennedy nel suo famoso libro “Ascesa e declino delle grandi potenze” pubblicato negli Ottanta del secolo scorso).
D’altra parte, è innegabile che sia ancora la NATO, ossia l’America, a garantire la sicurezza dei Paesi europei e che se l’UE è una nullità geopolitica e militare anche la Germania è pur sempre un nano geopolitico e militare. Insomma, se sotto il profilo economico l’UE è “egemonizzata” dalla Germania, sotto il profilo geopolitico e militare è ancora l’America che “detta legge” in Europa (né il direttorio franco-tedesco può cambiare granché al riguardo, nonostante la megalomania dell’inquilino dell’Eliseo che si illude che la Francia da sola possa controbilanciare la potenza economica della Germania, dato che la Francia è solo una media potenza, non certo una grande potenza, né militare né economica, da circa un secolo – d’altronde, la stessa force de frappe non è che una forza di “dissuasione nucleare”). Facile quindi capire perché Washington non sia disposta a tollerare una politica economica tedesca che danneggi l’America e che non perda occasione per rammentare alla Germania la sua condizione di “Stato vassallo”.
Invero, è la questione dell’atlantismo che è mutata di senso in questi ultimi anni. I dirigenti americani si rendono conto, infatti, che gli Stati Uniti non hanno i mezzi e le risorse per dominare l’intera scacchiera globale ovverosia per dominare l’America Latina, il continente africano, l’area del Pacifico, il Medio Oriente e l’Europa, allo scopo di contrastare l’ascesa della Russia e la Cina (ritenuta ormai anche dai “dem”, ossia i “circoli democratici” del deep State americano, una “potenza maligna”). In questo senso, il neoatlantismo (o neoimperialismo) di Trump si differenzia dall’euro-atlantismo, che è incentrato sul rapporto privilegiato tra America ed UE soprattutto in funzione antirussa. Tuttavia anche Trump, che verosimilmente non è ostile per principio nei confronti della Russia di Putin, sembra “prigioniero” dei falchi del gigantesco Warfare State americano che, come i “dem, ritengono ancora la Russia il nemico principale dell’America e quindi considerano i Paesi dell’UE alleati di fondamentale importanza. In effetti, uno degli scopi principali della NATO è quello di garantire che la Germania non possa varcare la “linea rossa” che separa l’UE dalla Russia. Il rischio, pertanto, secondo i “dem” e gran parte degli “strateghi” americani, è che la politica di Trump possa indebolire la posizione geostrategica dell’America in Europa e al tempo stesso impedire agli Stati Uniti di potere giocare la carta della “pax americana” in Medio Oriente (non si deve dimenticare che sono stati proprio “dem” a volere l’accordo sul nucleare iraniano), creando così una situazione di “caos geopolitico” di cui si potrebbe avvantaggiare solo la Russia.
In questo contesto, però è ovvio che il neoatlantismo di Trump costituisca pure una minaccia per la Germania, che grazie all’euro-atlantismo ha potuto conquistare la supremazia economica in Europa ma che non ha certo la “stazza” per confrontarsi direttamente con le grandi potenze (Stati Uniti, Russia, e Cina) e nemmeno la potenza militare per difendere i suoi interessi economici nel caso di un conflitto internazionale “ad alta intensità”. La strategia economica della Germania, imperniata non sulla crescita economica e geopolitica dell’Europa ma solo sulla crescita economica della Germania e sull’espansione ad Est della NATO, si sta pertanto imbattendo nei propri limiti, tanto che la Germania rischia di finire in una “trappola strategica”. Difatti, la stessa espansione ad Est della NATO rende praticamente impossibile la formazione di un asse geopolitico russo-tedesco, mentre la russofobia che caratterizza l’euro-atlantismo ha favorito la formazione di un asse russo-cinese. In sostanza, la Germania sembra ritenere di potere da un lato “inglobare” la Russia nello spazio geo-economico egemonizzato dai tedeschi (che si può definire il loro Lebensraum) e dall’altro “condizionare” la politica di Mosca mediante la NATO. Un disegno geopolitico che per realizzarsi esigerebbe non solo che la Russia cedesse alla pre-potenza della NATO ma che la potenza militare dell’America fosse “al servizio” degli interessi della Germania.
Ovviamente, sebbene non si possa certo affermare che i tedeschi dopo Bismarck si siano distinti per acume politico-strategico, anche i dirigenti tedeschi sono consapevoli dei rischi che corre la Germania per la sua debolezza geopolitica e militare. Tuttavia, questo non significa affatto che la Germania sia pronta a “smarcarsi” dagli Stati Uniti per trasformare l’Unione Europea in una grande potenza economica e militare. Questo è solo il “sogno” di coloro che pensano che le lancette della storia si siano fermate nell’agosto del 1939, cioè allorché fu firmato il patto Molotov-Ribbentrop. Di fatto, la Germania in questi anni si è solo limitata  a trarre il maggior profitto possibile dal declino relativo della grande potenza d’Oltreoceano, cercando sì di fare “affari” anche con la Russia, ma nel contempo adoperandosi in ogni modo per rafforzare l’area baltica, notoriamente la più russofoba d’Europa, a scapito di quella mediterranea (tanto da osteggiare il gasdotto South Stream per potere raddoppiare il gasdotto Nord Stream e diventare così l’unico Paese europeo in cui possa arrivare il gas russo). D’altro canto, non è certo un segreto che Berlino non ne vuole nemmeno sapere di una “visione geopolitica” europea, proprio come non ne vuole sapere di unico debito pubblico europeo (presupposto essenziale per una unione politica europea). Non a caso, perfino per quanto concerne l’accordo sul nucleare iraniano la Germania ha voluto ad ogni costo distinguere nettamente la sua posizione non solo da quella della Francia ma da quella della stessa UE. Ed è anche noto che la Germania vorrebbe, per sé non certo per l’UE, un posto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Pare lecito dunque affermare che il neoatlantsimo di Trump o, meglio, l’inizio di una fase geopolitica multipolare ha messo in luce la miopia politico-strategica della Germania che in questi anni ha buttato al vento l’occasione per diventare davvero egemone in Europa. Vale a dire che la Germania pare incapace di distinguere tra mero dominio (o supremazia) ed egemonia (nel senso forte del termine, ossia “gramsciano”), mentre la storia dell’Europa prova che nessuna potenza europea è in grado di “dominare” l’Europa (e si badi che senza il rafforzamento dell’area mediterranea non è possibile neppure creare uno spazio geopolitico “eurasiatico”, sia pure multipolare e in sé differenziato), mentre i conflitti o, se si preferisce, la “competizione” tra i vari Paesi europei non può che avvantaggiare una potenza non europea, ovvero gli Stati Uniti. Le conseguenze del fallimento politico-strategico della Germania (che sarebbe il terzo nel giro di un secolo!) potrebbero quindi avere conseguenze disastrose anche per gli altri Paesi europei.
Ciononostante, bisogna vedere anche l’altro lato della medaglia, dato che, se il declino relativo degli Stati Uniti sul piano geopolitico ha già portato alla formazione di nuovi centri di potenza sia a livello mondiale (Russia e Cina) che a livello regionale (India, Israele Turchia, Iran, ecc.), la crisi del sistema neoliberale occidentale ha portato alla nascita di forze politiche “populiste” (giacché il “populismo” non è che un effetto della crisi di un sistema politico che non sa risolvere i problemi che esso stesso genera), che hanno già messo forti radici in America e in Europa, benché non si possano definire, a differenza della Russia  e della Cina che sono centri di potenza anti-egemonici, delle forze politiche “anti-egemoniche”. In altri termini, si è in presenza di una fase di transizione egemonica, che è appena cominciata e che, anche se nessuno sa come finirà, probabilmente sarà di lunga durata e contrassegnata da aspri conflitti e perfino da nuove forme di guerra.
In definitiva, si può ritenere che anche la questione tedesca sia solo un aspetto di una questione ben più grande, ossia quella della civiltà europea, che verosimilmente si deciderà in questa fase di transizione egemonica. Non si deve ignorare, infatti, che geo-politica non è sinonimo di politica estera o di relazioni internazionali ma che in primo luogo designa il fatto che l’uomo non può che “abitare politicamente la terra”, ragion per cui non vi è transizione egemonica che non sia contraddistinta dalla nascita di nuovi “paradigmi” culturali e dalla scomparsa di altri. Del resto, che la crisi geopolitica dell’Europa sia anche una crisi della civiltà europea è ormai sotto gli occhi di chiunque, ad eccezione di coloro che non vogliono vedere o che pensano che i problemi si possano risolvere negando la realtà.

Germania, un astro nascente?_ una conversazione con Giacomo Gabellini

La Germania viene rappresentata il più delle volte come l’unico paese europeo in grado di sostenere il gioco geopolitico sempre più complesso che si sta profilando. E’ veramente così? In realtà la costruzione europea che per gentile concessione le ha consentito di lucrare significative rendite di posizione e di tenere a bada i propri vicini più importanti sembra vacillare ogni giorno di più. La classe dirigente tedesca sembra reagire con la tentazione e la speranza di un ritorno al recente passato; quasi che l’avvento di Trump possa essere considerato ancora una parentesi inquieta ma ancora addomesticabile. Un singolare processo di rimozione che lascia presagire un esito funesto e inatteso della condizione di gran parte dei paesi europei e, soprattutto, della Germania stessa. Una situazione che sta spingendo ad una crescente conflittualità intraeuropea, piuttosto che alla ricerca di un denominatore comune in grado di trasformare  gli stati europei, almeno i più importanti, soggetti politici autonomi ed autorevoli. Le avvisaglie di un esito funesto cominciano ad essere numerose. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Lilli e il vagabondo, di Giuseppe Germinario

A scrutarlo con benevola accondiscendenza, gli occhi di Alessandro Di Battista rivelano la sua più grande aspirazione: poter riprendere le peregrinazioni alla scoperta del mondo. Una propensione sopita a fatica durante il suo intenso ciclo quinquennale di impegno parlamentare. Un logorio che a suo dire lo ha spinto a non sfruttare la seconda ed ultima opportunità di rielezione offerta dallo statuto del M5S. Un bisogno irrefrenabile di uscire da un ambiente, sempre a suo dire, del tutto avulso dalla realtà della vita quotidiana della gente comune. L’indole sarà senz’altro questa, ma la spinta ad assecondarla molto prosaicamente sarà venuta dall’impossibilità di gestire due galli nello stesso pollaio governativo e dalla necessità di tenersi un leader di riserva del movimento in caso di fallimento del predestinato e di svolte inopinate. Che sia questa la reale motivazione è stato lo stesso Dibba a riconoscerlo confessando pubblicamente il magone provato al momento dell’insediamento del suo amico Gigino e rivelando la sua ambizione pudicamente nascosta a ricoprire l’incarico nientemeno che di Ministro degli Esteri. Il buon Di Battista, evidentemente, deve ritenere più che sufficiente la sua formazione terzomondista maturata con le sue peregrinazioni “on the road” in America Latina e la sua vicinanza fisica a quei popoli come d’altro canto praticamente irrilevante la precaria conoscenza del peso delle dinamiche della diplomazia, delle relazioni tra stati, centri decisionali ed elite per ambire a quell’incarico. Lo spessore politico dell’attuale facente funzioni come della maggior parte dei predecessori, compresi i competenti, non deve certo averlo indotto a moderare le proprie ambizioni; sono però limiti tollerabili tuttalpiù nel perseguire politiche completamente afone e allineate a centri decisionali internazionali affermati ed incontrastati. Normalità d’altri tempi. In una fase di conflitto estremo e dichiarato tra centri decisionali all’interno della stessa nazione egemone e di multipolarismo acclarato diventano al contrario tare destinate a segnare l’esistenza stessa di un paese geopoliticamente importante come l’Italia. La realizzazione di quella aspirazione avrebbe quindi certamente consentito a Dibba di conciliare il suo impegno politico e la sua indole di girovago; quasi certamente la realtà delle cose lo avrebbe condotto più o meno consapevolmente e rapidamente nel solco globalista e dirittoumanitarista proprie di uno degli schieramenti, sia pure con eccezioni apparenti come quelle sul Venezuela, con grave e irrimediabile nocumento per il paese. Una ambizione, la sua, alimentata in realtà da velleità che rivelano per altro quanto meno una grave sottovalutazione del peso avuto dal Presidente Mattarella nel determinare la maggior parte degli incarichi fondamentali nel Governo Conte.

Qualche tarlo deve però aver roso la sua testa se la lunga immersione nei popoli d’America ha previsto l’eccezione significativa dei contatti con il mondo istituzionale e imprenditoriale statunitensi; la sua curiosità ed affinità elettiva si è limitata però allo stesso solco tracciato sei anni prima dall’odiato Matteo Renzi.

La cruda realtà alla fine ha riportato Dibba in Italia già l’inverno scorso. Da una parte il magro successo di vendite della sua opera editoriale ed i conseguenti scarsi introiti, dall’altra il timore di un insuccesso marcato alle elezioni europee lo hanno costretto al rientro forzato e al ritorno all’impegno politico diretto. Non è stato il guado del Rubicone di un novello Cesare. Il paventato insuccesso si è quasi trasformato in un tracollo elettorale e Di Battista si è rivelato un argine eroso dai fontanazzi. Cionondimeno il suo impegno ed attivismo non si è ridotto. Alle sue comparsate in televisione rese sostenibili e dignitose, sia pure a fatica, dall’utilizzo abile di luoghi comuni teso a sottolineare il suo allineamento alle posizioni ufficiali filogovernative, si avvicendano cinguettìi, comizi e manifestazioni pubbliche nelle quali la retorica polemica, in particolare verso l’alleato di governo, prende il sopravvento. Tra le prime ha brillato il confronto con una Lilli Gruber sempre più partigiana e sempre più dimentica di svolgere la professione di giornalista terminato con un eloquente sospiro di sollievo del nostro. Tra le seconde, l’uso sempre più frequente e ossessivo di locuzioni del tipo “credetemi” sono il segno involontario di una forzatura e del sentore che la presa del suo fervore si sta allentando tra gli stessi adepti più osservanti.

Il personaggio Di Battista, più che per il peso effettivo della sua azione, è importante perché rappresenta l’espressione più chiara delle tare e dei limiti di un movimento sempre più complice, volontario o meno, dell’opera di accerchiamento della Lega di Salvini da parte di forze ben più potenti e pervasive.

Il M5S ha sicuramente al proprio attivo alcuni meriti. L’eliminazione di alcuni degli aspetti efferati del Job Act varato da Renzi; l’intenzione di varare il salario minimo garantito di fronte ad una radicale perdita di rappresentanza dei sindacati e di polverizzazione del mercato del lavoro; il freno ad alcuni degli aspetti separatisti degli accordi incipienti di autonomia differenziata delle Regioni. Il secondo però è sminuito dal disconoscimento del valore della rappresentatività sindacale e della contrattazione nazionale del rapporto di lavoro; il terzo appare più che altro un atteggiamento strumentale teso a dilazionare a futura memoria le richieste di autonomia regionale con il solo scopo di paralizzare e dividere la Lega.

Al di là di questi successi tattici, il M5S soffre della contraddizione sempre più evidente tra un gruppo dirigente espressione in netta prevalenza della componente girotondina, giustizialista e dogmatico-ambientalista ed un elettorato sino a pochi mesi fa trasversale, ma in via di ridimensionamento nelle sue varie componenti, ma soprattutto in quella economicamente più attiva e politicamente più istituzionale, proprie del vecchio centrodestra.

I richiami assillanti ed univoci all’onestà e l’ossequio conclamato all’azione qualsivoglia dei giudici ne fanno una cassa di risonanza della crescente manipolazione giudiziaria dello scontro politico. Dalla vicenda dei 49milioni di euro della Lega dei tempi di Bossi e Maroni addebitati al nuovo gruppo dirigente, a differenza degli analoghi del vecchio PDS, al caso delle dimissioni del Sottosegretario Siri, le cui indagini sono immediatamente cadute nel dimenticatoio, al vero e proprio fumo persecutorio dell’affare russo Metropol, le cui dinamiche tutt’altro che interrotte, sembrano una parodia del bluff del Russiagate che ha paralizzato per anni la Presidenza Trump, il gruppo dirigente del M5S ha pensato di lucrare ai danni della Lega sino a concedere, con il progetto di riforma del Ministro Bonafede, ai centri di potere della Magistratura, cristallizzati nel Consiglio Superiore, ulteriori poteri di determinazione delle politiche giudiziarie, proprie del potere legislativo e di controllo dei singoli magistrati.

L’attacco all’affarismo nella gestione della spesa pubblica e di una concezione regressiva della difesa ambientale stanno portando ad una contrapposizione antagonistica le esigenze di tutela ambientale e la difesa e sviluppo della residua industria strategica e delle infrastrutture di rilevanza nazionale. Il caso dell’ILVA di Taranto è probabilmente il più emblematico. I pifferai del M5S sono il supporto di forze politiche ben più incisive, del peso del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, a favore di interessi militari atlantisti, economici europei tesi a ridurre le quote europee di produzione dell’acciaio a spese dell’Italia e di mire di ulteriore subordinazione geoeconomica della struttura economica del paese con la distruzione completa della propria industria di base, tutti coalizzati nell’obbiettivo di chiusura dello stabilimento. Un ritorno ai temi dello scontro politico di settant’anni fa, ma con un esito opposto, nefasto.

La stessa difesa dei diritti del lavoro e di livelli minimi di reddito si riducono ad una scatola vuota utile tuttalpiù a creare delle nicchie assistenzialistiche e di privilegio e tutela corporativa senza una politica economica di espansione della base produttiva e di potenziamento dei settori strategici nonché di riconoscimento delle competenze professionali.

Il M5S si sta rivelando sempre più come una delle forze di normalizzazione, anche se non l’esclusiva e nemmeno la più importante, della anomalia politica italiana. Parte di una vera e propria manovra a tenaglia che cerca di mettere a tacere qualsiasi velleità minimamente autonomistica nelle scelte politiche del paese; una azione rivelatasi al momento in tre aspetti ed episodi, ma suscettibile di allargarsi ad altri ambiti ancora più dirompenti: l’affare Metropol di presunti fondi russi alla Lega, la guerra per bande nel CSM, la gestione delle nomine in sede UE (Unione Europea).

L’affare Metropol di Mosca affiora cinque mesi fa, grazie ad un servizio del settimanale Espresso, ed esplode grazie al contributo di un sito legato agli ambienti democratici americani. Prende corpo dopo l’esito delle elezioni europee ancora favorevole alla vecchia guardia europeista ma minacciata dal successo leghista in Italia e da altre forze in Europa; dopo il viaggio di Salvini negli Stati Uniti culminati con l’incontro con Pompeo e Pence, non ancora una consacrazione, quantomeno una nota di accredito al cospetto dell’attuale Presidenza; dopo le notizie del pesante coinvolgimento di importanti settori dell’intelligence italiana, degli apparati e di numerosi personaggi politici di area piddina nella costruzione di un ramo secondario del Russiagate americano e la probabile richiesta di pulizia ed epurazione pretesa dall’attuale governo americano. Di certo esistono le registrazioni di colloqui così compromettenti in un luogo così aperto ed accessibile ai curiosi di vario genere, l’improbabilità dei personaggi, in particolare italiani, coinvolti e l’impaccio e la goffagine almeno iniziale delle reazioni della vittima designata, il Ministro Salvini. Per il resto mancano la fonte e la certezza certificata delle registrazioni, la certezza dell’originalità dei documenti che stanno affiorando. Il sospetto è che i bersagli siano più di uno, ivi compresa l’attuale dirigenza dell’ENI; la certezza pressoché acquisita è che più che l’iter giudiziario, sia importante lo stillicidio di informazioni tale da paralizzare l’azione politica di Salvini. Gli indizi di pretestuosità e strumentalità nella gestione dell’affare poggiano sulla base solida del prosciugamento delle risorse finanziarie della Lega legate alla vicenda del recupero dei 49 milioni di euro truffati dalla gestione precedente del partito e sulla capziosità della tesi dell’infedeltà e dell’inaffidabilità di Salvini nel garantire la stretta osservanza atlantista. Con questo i detrattori sembrano rimuovere il fatto che attualmente le politiche estere americane sono almeno due; una delle quali prevede il riconoscimento di un ruolo specifico della Russia in antitesi alla crescita di potenza della Cina. Puntano a delegittimare Salvini, come fautore e paladino degli interessi nazionali.

Nella vicenda della gestione del CSM curiosamente nessuno ha avuto da ridire sulla fuga “incontrollata” delle intercettazioni. I garantisti a corrente alternata questa volta hanno scelto di spegnere la luce. Eppure la Procura di Perugia è di piccole dimensioni e non dovrebbe essere particolarmente difficile individuare la fonte delle fughe, la gola profonda. Pochissimi hanno considerato il fatto fisiologico che le decisioni formali di politiche di varia natura presuppongono sempre una attività di tipo informale. La costituzione di una “banda organizzata” tesa a preparare e predeterminare le decisioni presuppone necessariamente l’esistenza di “bande alternative”, colluse e/o antagoniste. L’attenzione si è concentrata su una di esse con il risultato di riportare in auge, nell’occupazione degli incarichi, componenti ridimensionate nelle recenti elezioni al CSM, probabilmente quelle più interessate a concentrarsi sui nuovi filoni di indagine e sul bersaglio grosso. Un interesse che richiede il sacrificio delle componenti renziane, di quelle incidentalmente contrarie a qualsiasi accordo tra PD e M5S. Il progetto di riforma del Ministro grillino Bonafede contribuisce a determinare questa svolta e ad accentrare in mano alle correnti di potere dei magistrati la determinazione delle politiche giudiziarie e dei poteri di controllo dell’azione giudiziaria dei singoli giudici. Una tangentopoli all’ennesima potenza in una situazione nella quale la stessa autorevolezza dell’azione giudiziaria è pesantemente lesa dalla commistione di ruoli ed incarichi e dall’emergere di scandali interni all’ordine. Una condizione diversa da quella di trenta anni fa e molto meno gestibile nella costruzione di una opinione pubblica favorevole.

La gestione delle nomine in sede UE rappresenta plasticamente il crescente sodalizio tra la componente tecnica e quirinalizia e quella grillina del Governo, sintetizzata dal ruolo crescente da protagonista assunto da Giuseppe Conte. La conferma del sodalizio franco-tedesco, avvallata dai grillini e dal Capo di Governo italiano è culminata con la conferma del duo Lagarde-von der Leyen con il voto determinante dei 5stelle. La sintesi tra il più classico filoatlantismo fondato sull’asse francotedesco e le politiche del FMI, laddove la maschera del globalismo individualistico non riuscirà a nascondere il conflitto tra interessi nazionali. La beffa riservata ai neofiti italioti è arrivata appena il giorno dopo con l’annuncio dei Verdi a sostegno delle nuove nomine e la probabile negazione del misero piatto di lenticchie riservato agli ultimi convertiti alla causa della vecchia UE. Ad esso fa seguito l’inedito attivismo del Ministro Moavero in materia di politiche comunitarie sull’immigrazione. Tutto lascia presagire una serie di provvedimenti di facciata tesi a concedere qualche contentino e a togliere l’iniziativa a Salvini sul suo al momento unico cavallo di battaglia vincente. Per il resto, lo conferma il recente accordo europeo con i paesi del Sudamerica, prosegue la politica di drenaggio di risorse dal Sudeuropa e di stretta dipendenza e subordinazione delle loro economie.

La definizione di questi tre ambiti di azione può indurre però ad una rappresentazione fuorviante delle dinamiche politiche nostrane fatta di schieramenti nitidi e delineati. La ridefinizione degli schieramenti in corso nel PD e il cuneo inserito nel M5S che sta portando, al prezzo di un pesante sacrificio elettorale, a far corrispondere i resti del movimento alle affinità elettive del suo gruppo dirigente potrà agire ancora più pesantemente all’interno della stessa Lega.

In essa il cuneo potrà agire su due aspetti consustanziali alla formazione ed esistenza di quel partito. La presenza, nel nocciolo duro lombardo-veneto, di una base sociale costituita da piccoli imprenditori e professionisti ancora convinte delle virtù di questa Unione Europea e la forza di posizioni federaliste che vedono nell’indebolimento delle competenze dello stato centrale, piuttosto che nella loro ridefinizione, le possibilità di sviluppo e progresso locali, comprese le istanze democratiche.

La prima nasconde la realtà di una dipendenza preoccupante della residua struttura industriale e finanziaria nazionale dalle scelte economiche, di marketing e tecnologiche operate in Germania in un contesto del tutto diverso dagli anni ’80 in cui erano assenti i paesi dell’Europa Orientale e la merceologia di prodotti finiti in Italia era più ampia.

La seconda di fatto fonda la propria ragione su più convinzioni maldestre:

  • sulla funzione regolatrice ed equilibratrice dell’Unione Europea delle politiche regionali. Una funzione smentita dalle dinamiche degli ultimi quasi quaranta anni
  • sulla capacità tutt’altro che dimostrata della capacità di amministrazioni regionali di concepire e mettere in opera strutture di valenza strategica tali da poter contrastare gli squilibri, in assenza di uno stato nazionale forte e dotato tecnicamente
  • sul disconoscimento del fatto che un vero stato federale poggia su ferrei ed adeguati strumenti controllo, di riequilibrio e di compensazione tali da garantire forza ed unitarietà all’intera formazione e standard di prestazioni tendenzialmente uniformi verso l’apice
  • sull’elusione del mantenimento di prerogative fondamentali compresa quella della politica estera e delle condizioni di base di esistenza della formazione sociale

Il paese, attualmente, presenta una situazione di tale frammentazione da rendere inderogabile un processo di autonomia decisionale e gestionale regolati

Se l’azione del M5S avesse finalità serie e non strumentali alla contingenza politica dovrebbe prevedere una azione di sostegno di tali istanze accompagnati da processi di modificazione della Costituzione e degli apparati istituzionali tesi a regolare competenze, controlli e compensazioni. Una azione che per retaggi storici la Lega non pare in grado di affrontare coerentemente e che la cosiddetta sinistra ha già dimostrato di poter barattare allegramente in nome di un europeismo lirico. Nemmeno la retorica dei popoli di Italia appare sufficiente a superare tale lascito. La classe dirigente grillina non pare in grado di concepire nemmeno il senso di tale operazione, semplicemente perché anch’essa è vittima del pregiudizio che più l’azione politica è decentrata, più è scevra dai particolarismi e dalle tentazioni elitarie e soggetta al controllo democratico.

Potrebbe essere invece la funzione di una possibile formazione di stampo socialdemocratico piccola al momento, ma coesa e con precisi riferimenti sociali tra i ceti professionalizzati e con funzioni gestionali.

Sono queste le due crepe entro le quali potrà insinuarsi l’azione di restaurazione e di debilitazione dell’attuale gruppo dirigente leghista sino a ricondurlo alle origini oppure di una azione apertamente scissionista.

La situazione è tragica ma probabilmente non del tutto compromessa, più per le condizioni esterne che interne al paese.

Gli Stati Uniti appaiono sempre meno interessati a mantenere questa Unione Europea

In secondo luogo e in subordine perché il fulcro di tale azione, la Germania, è destinata a subire in modo drammatico i contraccolpi di tali scelte e a non poter garantire le condizioni minime di sussistenza di tale proposito di restaurazione. I segnali sono sempre più manifesti.

È una finestra che non potrà rimanere aperta per molto tempo. L’accordo di due anni fa tra Trump e la Merkel, per interposta Commissione Europea, per una dilazione delle sanzioni doganali a scapito dell’agricoltura italiana sono un avvertimento eloquente che il futuro del paese non può dipendere dalla benevolenza degli “amici”. Qualche segnale positivo di consapevolezza inizia ad emergere in alcuni settori fondamentali degli apparati. Sta al ceto politico sensibile a queste istanze cercare di raccoglierlo e dare prospettive. In caso contrario una svolta nel paese dovrà passare ancora una volta da una nuova scomposizione delle forze.

 

GUERRA IBRIDA: NAVI CORSARE A SUD E POKERISTI A BRUXELLES, con Piero Visani

Detto fatto! Il colpo di cannone è partito dal Tribunale di Agrigento. Il segnale è stato raccolto immediatamente e con esso l’assalto ai porti. La meta però è Roma. Ad una forma di guerra ibrida riesumata dalle guerre corsare si son aggiunte le scaramucce a Bruxelles. I passi felpati non hanno però impedito di entrare ai soliti noti con i piedi nel piatto. Le nomine a Bruxelles lasciano presagire poco di buono. Eppure in quella sede le contraddizioni non mancano; come pure la complessità dello scacchiere geopolitico, con attori sempre più numerosi a tenere il banco, offrirebbe margini di iniziativa. Ci mancano una squadra sufficientemente coesa e qualche giocatore audace e di classe. Due partite apparentemente distanti tra loro. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Punti di vista_Giuseppe Germinario

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Immagino che questa considerazione potrà non piacere a tutti, ma la prima esigenza di una politica è quella di chiarire chi sia il nemico principale, quello che crea maggiori problemi e preoccupazioni.
A giudizio di chi scrive, è l’Unione Europea, per cui certe derive statunitensi forse sono – per chi le effettua – scelte di vita e di campo. Per me, sono al momento l’unico modo disponibile per affrancarsi dal peso soffocante del nemico principale.
Quando un Paese è piccolo, guidato da una classe dirigente di piccoli (e grandi) cialtroni, fare riferimento al servilismo – sempiterna risorsa dei cialtroni – è una delle pochissime carte che si hanno in mano, specie se si è fortemente miopi.
Giocarsi quelle carte è una minuscola risorsa tattica, non una soluzione strategica, ma personalmente – visto che individuo nell’UE l’attuale nemico principale (il che non equivale a dire che lo sia la costruzione di una “massa critica” europea, da cui l’UE è lontana come il sottoscritto dal diventare Napoleone Buonaparte) – non vedo molte altre soluzioni.
A differenza dei tedeschi, inoltre, agli americani interessa pochissimo della virtù dei conti altrui, e questo per me è già positivo.
Per il resto, quando si è piccoli e poco illuminati da prospettive strategiche, non si ha che fare leva sulla guerra di movimento e quella asimmetrica.
Triste, ma realistico, specialmente per un popolo di soddisfatti fancazzisti, statalisti e vacanzieri in SPE: andare alla “House of Cards” e vedere se se ne la qualcuna da giocare…

“Europa: accademismo contro storia” (6/6), di Annie Lacroix-Riz

“Europa: accademismo contro storia” (6/6)

Siamo alla sesta ed ultima puntata del saggio di Annie Lacroix_Riz. La sentenza è drammaticamente impietosa sia nei confronti degli storici che dei protagonisti citati ed eletti a “padri dell’Europa”. Un saggio da conservare e rileggere periodicamente. Giusto per comprendere la natura del pulpito da cui partono le filippiche “antipopuliste”_Giuseppe Germinario

Annie Lacroix-Riz è professore emerito di storia contemporanea presso l’Università Paris 7.

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Walter Hallstein, semplice “non resistente”?

Per quanto riguarda Walter Hallstein, Philippe de Villiers esprime un sorprendente stupore, data la conoscenza che ha inevitabilmente accumulato sui leader della Germania Ovest durante la sua lunga carriera politica . Ma offre un dossier serio, abbastanza solido da suscitare particolare indignazione ai redattori del 27 marzo, mista a cieca rabbia miste il 17 aprile.

La storiografia inglese e tedesca compresa, dal dopoguerra, la sua frazione della Germania Est, ricca di storici attenti al passato nazista del Reich 1 ha da tempo stabilito che la “nuova Germania” era stata costituita, sotto la tutela dell’AMGOT, da quasi tutte le élite che avevano guidato il Reich sia prima che durante l’era nazista; e che il Vaticano e Washington sono stati collusi nel offrire un eccezionale percorso di riciclaggio a criminali di guerra 2 . La regola del mantenimento dello status quo, anticipata dall’episodio di “Quisling” Darlan ad Algeri, nel novembre-dicembre 1942, e dai negoziati bernesi di Allen Dulles e del suo entourage nazista o nazificato era assoluto in Germania come in tutta la sfera di influenza occidentale 3 . L’abitudine alla non traduzione delle opere, tuttavia, si è moltiplicata dagli anni ’50, il silenzio plumbeo che osserva su di loro la storiografia dominante 4 e la sepoltura delle rare opere francesi sulla questione spiegano di per sé come la popolazione francese sia stata ampiamente tenuta all’oscuro del fenomeno.

Si argomenta che Alfred Wahl ha prodotto, nel 2006, un’eccellente sintesi sulla completa continuità economica, amministrativa, politica e culturale tra la Germania di Hitler e la RFD. Questa opera, la seconda storia del nazismo in Germania Occidentale dal 1945 , fa chiarezza sui “ministri e segretari di Stato Adenauer”, nonostante evidenti prudenze e pudori dei quali Walter Hallstein ha anche beneficiato 5 , è stata oggetto, mi ha ricordato molto recentemente il suo autore, di un assordante silenzio mediatico che ne ha notevolmente ostacolato la diffusione. Dovrebbe comunque essere incluso in qualsiasi bibliografia di base sulla RFD.

Un antico hitleriano, come molti e più di tutti i suoi pari in carica

” Sì, all’epoca di Hitler ,” hanno ammesso nostri “storici europei eminenti,” Walter Hallstein ” aveva aderito alla Federazione nazionalsocialista dei giuristi, senza la quale non sarebbe stato possibile avere un lavoro ” di appartenenza, quindi, adesione quindi eretta a modesta “scheda di pane” (tessera del pane , secondo l’espressione italiana del partito fascista), in merito a una professione anti-repubblicano e nazificata avviata ben prima del 1933, noto per la profondità del suo impegno per il piano – ” e [ it] era un membro di un’altra associazione professionale, Lega dei professori nazionalsocialisti. Ridussero così notevolmente (a due) l’elenco dei raggruppamenti nazisti di cui Hallstein era membro, e censurarono la cronologia della loro fondazione (spesso precedente al 1933) e le adesioni del giurista.

L’elenco di Philippe de Villiers, per altro non esaustivo, proviene dal grande dizionario dello specialista tedesco del III e Reich, Ernst Klee. Disponibile dal 2003 , non tradotto (“chi era chi prima e dopo il 1945”), questo Who’s Who contiene “quasi 4.300 nomi” del pantheon hitleriano, la cui carriera è quasi sempre continuata, persino arricchita “dopo il 1945” 6 : Hallstein appare su una carta che ho menzionato su di lui nel 2016 7 Carcan , nota 4, p. 120. , fondata, secondo l’usanza, su lavori di ricerca supportati da fonti originali: qui Klee fa riferimento a due specialisti delle università dell’era nazista, Notker Hammerstein e Helmuth Heiber.

Hammerstein, nel suo libro sulla Goethe University di Francoforte, che nominò Walter Hallstein non solo “professore ordinario di diritto commerciale, diritto del lavoro e diritto economico nel 1941″, ma anche “doyen” 8 , presenta tre delle organizzazioni hitleriane a cui lui apparteneva:

1 ° ” NS-Luftschutzbund “, ovvero “Unione nazionale socialista di protezione antiaerea”, organizzazione non specificamente legata alla legge ma strettamente nazista e militare;

2 ° “NSV”, acronimo del ” National Socialistische Volkswohlfart “, ovvero “l’unione nazionalsocialista del benessere del popolo”, innegabilmente nazista e poco sofisticato come lo stesso vichysto-collaborazionista Soccorso nazionale 9 . Aveva, sotto lo stesso acronimo e titolo, fondato prima della salita al potere, ” nel 1932 “, e solo per promuovere i nazisti iper-protetti come precisa di seguito: fu ” riconosciuto per ordine di Hitler il 3 maggio 1933 come organizzazione interna del NSDAP “, incaricato di” un’assistenza strettamente riservata ai compagni del popolo di particolare spirito nazional-socialista “;

3 ° ciò che i nostri “eminenti storici europei” chiamano la “Federazione nazionalsocialista dei giuristi”, ovvero ” NS-Rechtswahrerbund “, nuovo nome, “del 1936, la Lega nazionalsocialista Giuristi tedeschi “: cioè il National Socialistischer deutscher Juristen(BNSDJ),” l’organizzazione professionale di NSDAP fondata nel 1928 da Hans Frank ” 10 . Frank, l’avvocato di lunga data nazista e Supreme III e Reich, era tra l’altro governatore generale della Polonia occupata, condannato a morte a Norimberga e giustiziato 10 ottobre 1946 11 . E ‘stato subito prima della guerra innegabile protettore di Hallstein 12 .

Il partito si oppose anche alla nomina di Hallstein alla cattedra di diritto comparato presso l’Università di Francoforte nel 1941 , argomentano i nostri ‘eminenti storici europei’. È curioso, dal momento che alle suddette specialità del professore hanno aggiunto ” il diritto comparato “, secondo il suo archivio pubblicato dalla fondazione molto ufficiale Konrad Adenauer, dedicato alla ” storia della CDU ” 13 . È stato quindi eletto professore e decano, come sopra specificato. I firmatari della “tribuna” hanno fatto affidamento sulla ” ricerca dello storico tedesco Thomas Freiberger “, che afferma, tra l’altro, che Hallstein ” non è mai stato un membro del Partito Nazionalsocialista“. de Villiers ha scoperto nell’Archivio federale tedesca, la tessera No. 310212 di Hallstein, deliberata nel luglio 1934, del “NS-Lehrerbund” uno dei due soli concessi da nostri storici, e ne fornisce copia 14 . Il NSLB non era meno discutibile delle “leghe” naziste precedente “; fondata nel 1929, questa associazione collegata al NSDAP” aveva la sede presso la “casa della formazione [nazionalsocialista] Bayreuth ” 15 .

 

Infatti, ” le [cosmetiche] ricerche dello storico tedesco Thomas Freiberger ” sono limitate sull’argomento ad una comunicazione compiacente del 2010 di meno di 40 pagine, significativamente intitolata ” La rivoluzione pacifica: la percezione del momento di Walter Hallstein “. Esaltando la sua missione di padre dell’Europa, proviene da un’opera ufficiale ed europeista, rigorosamente di seconda mano, che tratta solo del “dopo 1945”, pubblicato da Gruyter 16 come parte della serie ufficiale italotedesca a finanziamento europeo 17 . Freiberger, ” collaboratore scientifico della sezione storica attuale dell’istituto storico dell’Università di Bonn ” , lavora esclusivamente su ” la storia delle relazioni internazionali durante la Guerra Fredda, la storia della NATO negli anni ’50, la storia della politica estera americana e la storia delle idee dell’integrazione europea “. Nel 2010, ha anche contribuito (in 20 pagine) a un libro sulla politica estera americana dagli anni ’50 18e autore di un libro sulla “Crisi di Suez” del 1956, tratto dal suo Thesis 19 : Questo articolo e questo libro sono privi di qualsiasi collegamento con la carriera di Walter Hallstein prima e sotto Hitler. Il riferimento a Freiberger, in assenza di specialisti delle università dell’era nazista, è quindi una frode intellettuale.

Rimane un altra quarta “organizzazione professionale” direttamente connessa alle tre precedenti, “Unione Nazionale Socialista di assistenti tedeschi [Nationalsozialistischer Deutscher Dozentenbund] “, uno dei ” dipartimenti del partito ” con il quale Hallstein certificava come “ tutti i […] di aver lavorato senza problemi “: ha anche affermato il suo attaccamento speciale a questo NSDDB a sostegno della sua candidatura” per [l’Università di] Francoforte “secondo Helmuth Heiber, vero specialista, lui, de” l’Università sotto la svastica “, e seconda fonte di Ernst Klee, citato anche da Villiers 20. Hallstein fu fedele certamente al NSDDB da quando era un membro, così come delle altre tre organizzazioni naziste “come molti avvocati ,” eufemizza la Fondazione Adenauer che elenca queste quattro associazioni naziste nella sua quotazione minimalista sul grande uomo dal curriculum eccezionale prima del maggio del 1945, con il titolo ” Un avvocato con intelletto acuto ” 21 (è stato nominato medico e assistente in 1925 , cinque anni prima di essere eletto professore di diritto privato e sociale a Rostock nel 1930, a 29 anni, il più giovane in Germania 22 ).

 

Questa associazione di assistenti era un ramo della “NS-Lehrerbund”, fondata, lo ricordiamo nel 1929. Era una roccaforte hitleriana che, come confermato dall’esauribile bibliografia tedesca sugli intellettuali nazisti 23 , garantiva che solo i nazisti approvati potevano, e ufficialmente dal 1933, sostenere la loro tesi e quindi essere oggetto di un appuntamento universitario. La qualità nazista del NSDDB continuò ad essere promossa dal regime, come ricordava Klee: “fino al 1935, era aperta solo ai membri del partito ” e fu promossa il 24 luglio 1935 “divisione del NSDAP […]. Per aderire era necessario il sostegno di due esperti nazionalsocialisti. Il NSDDB sedeva con diritto di voto nel Senato Accademico e ha tenuto un diritto di veto sulle procedure di nomina e di abilitazione “delle università 24 .

Nazista e militarista: Hallstein NS-Führungsoffizier

L’entusiasmo nazista e militarista di Walter Hallstein emerse anche nelle comunicazioni più ufficiali, come quella che Rostock University dedicò al suo professore in carica dal 1930 al 1941: Decano aggiunto, Hallstein nel 1935 aveva ” integrato un servizio militare volontario nell’artiglieria “(perché, per preparare la pace europea?). Questo acceso militarismo gli aveva guadagnato la posizione di decano di Rostock già nel 1936, abbandonato, come abbiamo visto, per Francoforte, università più prestigiosa, nel 1941 25 . Prima di essere, secondo la Fondazione Adenauer, ” chiamato al servizio militare, [dove] ha servito nel 1942 come luogotenente nel nord della Francia ” 26 .

È questo “credente” appassionato (in contrapposizione agli scettici, “avversari o indifferenti”, secondo Heiber, che l’Università di Francoforte ha inserito nella lista ristretta (“quindici uomini”) precisamente soggetta, ” all’inizio del 1944 ” , al giudizio di NSDDB – giudice supremo in materia ” come NS-Führungsoffizier con grado di ufficiale ” 27 termine intraducibile in francese.

Il NS-Führungsoffizier (NSFO), recante il Weltanschauung nazista, era ” vocato a rafforzare l’impegno dei soldati a mantenere la rotta ” in una guerra generalizzata nel fronte occidentale, riprendendo a partire dal 1943 i metodi di sterminio fin dall’inizio applicati nei Balcani e sul fronte orientale. E’ stato ” incaricato della leadership specializzata e militare della formazione politica e ideologica nazista nello spirito del nazionalsocialismo “, vale a dire in gran parte orientata verso lo sterminio degli ebrei rossi e ” parassiti del mondo » 28. Si noti che Hallstein ha esercitato il suo talento NSFO in Francia, dove l’esercito americano lo fermò (Cherbourg); arresto che segnò il debutto della sua americanizzazione, in apparenza spettacolare, ma del tutto normale per le elite dei governi Adenauer e Ludwig Erhard (successore cancelliere Adenauer nel 1963 dopo essere stato dal 1949 il Ministro degli affari economici, un altro uomo di fiducia della comunità finanziaria, dal passato nazista simile ai suoi pari 29 . Non sappiamo quindi cosa fece Hallstein in Francia dal 1942 al 1944, ma certamente non insegnò solo la legge nazista.

Si può rimproverare a de Villiers l’ignominia della similitudine tra i criminali nazisti e i “commissari dell’Armata Rossa”, iniziale obiettivo prioritario comunista è noto, dell’impresa tedesca genocida in URSS, deciso prima dell’Operazione Barbarossa 30 . Non può essere accusato di aver tradotto male Klee e le sue fonti accademiche sul nazista Walter Hallstein.

conclusione

Due dei firmatari del primo Forum non di meno sono meno testardi, il 17 aprile nel difendere Hallstein minimizzando la portata della sua adesione a due delle quattro organizzazioni naziste cui aveva certamente appartenuto, imputando a de Villiers  una disonestà complottista sull’argomento (come Monnet e Schuman): ” Quella di Hallstein (sic) membro della Lega nazionalsocialista dei docenti e della Federazione nazionalsocialista degli avvocati (non una ” Federazione dei giuristi nazisti”, come Villiers continua a chiamare erroneamente) non prova nulla, tranne la sua ambizione di continuare la sua carriera accademica. 

L’argomento generale avanzato e la presa in giro del posto dell’aggettivo sono di per sé sconcertanti. In relazione all’inesauribile storiografia tedesca sul nazismo in generale, sulla profondità del nazismo nel mondo accademico in particolare – per non parlare di tutti i tipi di leader della Germania occidentale del dopoguerra, sono pietosi. Osare qualificare, in un secondo “consesso”, come un semplice ” non resistente”

un precoce nazista, espressione tipica del suo ambiente, che sostenne l’espansionismo tedesco fino alla fine di una guerra di sterminio chiamata NSFO nel 1944, sottolinea, da un lato, l’entità della distruzione della storia degli anni ’20 e ’50, in cui gli storici europei sono stati coinvolti direttamente, e la rilevanza dell’accusa contro il loro onore professionale.

Perché vanno ben oltre a ciò che l’ex funzionario di alto rango di Vichy e il defunto Gaullista Couve de Murville li accusava di non essere ” spericolati ” e di non osare ” pubblicare ” ciò che ho trovato “, per non rischiare di ” perdere “le prebende universitarie 31 .

. Confermano la loro responsabilità nel saccheggio della storia scientifica e nell’abdicazione della missione civica che connatura anche la professione dello storico. Cosa rimane qui del significato della sconfitta tedesca del maggio 1945? In breve, a parte la “minaccia sovietica”, non c’è nulla di serio nella storia e soprattutto nessun motivo per condannare “l’ ambizione di continuare la sua carriera accademica ” sotto Hitler? E in che modo il perseguimento di una carriera di polizia sarebbe più riprovevole?

Villiers, insieme alla storia americana delle Memorie di Monnet, descrive un altro aspetto di questo panico pre-elettorale che rimbalza fino al punto che gli accademici rivendicano l’impossibilità di una storia scientifica “ufficiale” dell’Unione Europea. Sì, la missione politica della storia ben intenzionata, incompatibile con l’indipendenza nei confronti del potente indispensabile per l’opera storica, porta i suoi rappresentanti a violare le regole metodologiche che fondano il loro lavoro. Ciò che precede riduce a un semplice volo tattico la litania contro il ” volantinaggio distorto ” e le ” irruzioni ” che minano l’onore dei ricercatori francesi ed europei impegnati negli studi sull’Unione europea “. Questa, siamo certi, ” sovvenziona tutti i tipi di lavoro, compresa la ricerca critica sulla costruzione dell’Europa. Nessuno è mai venuto a dire agli storici cosa cercare o trovare. Quest’ultima frase non è del tutto falsa, l’autocensura più spesso parla all’essenziale. È incompleto perché le condizioni per finanziare questa ricerca e le richieste di carriere, pubblicazioni di successo e visibilità dei media portano a ” raccontare agli storici cosa possono trovare o cercare. 

No, l’Unione europea non ” sovvenziona [tutti] i tipi di lavoro ” e ha bloccato, implicitamente ed esplicitamente (posso testimoniare personalmente), tutte le ” ricerche critiche sulla costruzione dell’Europa”. Altri dettagli possono essere raccontati sui bastoni incastonati nelle ruote di ricercatori indipendenti e sull’incompatibilità tra “ricerca critica” e brillanti carriere accademiche. Tuttavia, è chiaro da questa difesa e illustrazione dell’Unione europea, al fine di incoraggiare il pubblico francese a credere nelle sue virtù e nel suo brillante futuro, che ” i ricercatori francesi ed europei si sono impegnati in [studi] sul Unione europea“finanziata dalle sue istituzioni sino a “minare [il proprio] onore. L’apertura delle fonti, a lungo termine, lo dimostrerà chiaramente come la descrizione dell’attrezzatura americana delle Mémoires de Monnet. A breve termine, tali passi sono tanto più dannosi per il prestigio degli “eminenti storici europei” firmatari specie in questa fase di spossatezza popolare di un’Europa di Konzerne e “trust”, che rischiano di essere inutili . Nel frattempo, la revisione delle fonti dispensa polemiche.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-6-6/

Note

1. Fonte iniziale di Gilbert Badia, Storia della Germania contemporanea , 2 volumi, 1917-1933 e 1933-1962 , Parigi, Edizioni sociali, 1965.
2. Lavoro in lingua inglese, Non purificazione , cap. 9, “Gli americani e lo stato di diritto” contro la pulizia francese
3. Wahl, La seconda storia ; Lacroix-Rice, Non-purificazione ; James Miller, Stati Uniti e Italia 1940-1950, Politics and Diplomacy of Stabilization , Chapel Hill, 1986, ecc.
4. Vedi Supra e Rouquet François, Virgili Fabrice, Il francese, il francese e la purificazione. Dal 1940 ai giorni nostri , edizione di Gallimard, 2018, cap. XVI, p. 427-465.
5. Wahl, La seconda storia , Parigi, Armand Colin, passim 2006 , di cui cap. 3, “Continuità tra manager e servizi statali”, pag. 127-198.
6. Klee Ernst, Das Personenlexikon zum Dritten Reich. La guerra è durata fino al 1945 , Francoforte, Fischer-Taschenbuch-Verlag, 2007.
7. Carcan , nota 4, p. 120.
8. Villiers (o il suo team tecnico) non capì il riferimento di Klee al primo storico, scrivendo “secondo Hammerstein (Goethe)”: designazione, tra parentesi, solita in questo dizionario, un lavoro con una sola parola, in questo caso, Die Johann Wolfgang Goethe-Universität Frankfurt am Main, Von der Stiftungsuniversität zur staatlichen Hochschule. 1914-1950, Alfred Metzner Verlag, Neuwied und Frankfurt am Main, 1989 1 ° volo. 3. Elenco dei lavori, https://de.wikipedia.org/wiki/Notker_HammersteinSottolineato da me, data la reputazione del diritto del lavoro tedesco dal 1933 al 1945; la carta della Fondazione Adenauer ( vedi sotto)) dimentica la “legge sul lavoro”.
9. Il paragone con National Relief appartiene a me.
10. Tre organizzazioni, record di Hallstein, pag. 221, Klee Personenlexikon (riprodotto da Villiers, ho girato , documento 26). Precisione nel corso degli ultimi due organizzazioni, Klee, pag. 728; il “NS-Luftschutzbund” https://www.google.com/search?q=NS-Luftschutzbund&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=afbsL2T6K_XL1M%253A%252CTc_aMDYukzwz7M%252C_&vet=1&usg=AI4_-kQRnOZGDp-lmAaK7HOkQgskWu5KiA&sa=X&ved= 2ahUKEwilrY6juvXhAhUSnhQKHSqeBl4Q9QEwBnoECAkQBA # imgdii = CcDK_wlXPzf0XM: & imgrc afbsL2T6K_XL1M =: = 1 & veterinario
11. Bibliografia, https://de.wikipedia.org/wiki/Hans_Frank
12. Riferimenti su Hallstein a sostegno di I shot , p. 194-197 non prestano l’accusa di “cospirazione”.
13, 26. https://www.kas.de/web/geschichte-der-cdu/personen/biogramm-detail/-/content/walter-hallstein-v1
14. Ho sparato , p. 198 e documento 27.
15. Klee, Personenlexikon , p. 728.
16. Freiberger, “Der friedliche Revolutionär: Walter Hallsteins Epochenbewusstsein”, in Depkat Volker e Graglia, Piero S., dir. Entscheidung für Europa: Erfahrung, Zeitgeist und politische Herausforderungen am Beginn der europäischen Integrazione[Decisione per l’Europa. Esperienza e sfide politiche all’inizio dell’integrazione europea], Gruyter, Berlino-New York, 2010, p. 205-242, citato in https://de.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein e https://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein
17. https://www.degruyter.com/view/serial/36339 . Sulla dittatura europeista e le sue pubblicazioni ufficiali, Storia contemporanea, cap. 1 e 3.
18. Freiberger, “Libertà dalla paura: Die Illusion der republicanische americanischen Aussenpolitik” in , Freiberger, Bormann Patrick Michel Judith, tutti e tre hanno la stessa funzione di Bonn, dir =. Angst in den Internationalen Beziehungen, vol. 7 della serie Internationalen Beziehungen. Teoria e Geschichte. Serie PU dell’Università di Bonn, 2010, p. 295-315, presentazione di Freiberger, p. 317.
19. Allianzpolitik in der Suezkrise 1956 , ovviamente senza Walter Hallstein in generale, dal 1925 al 1945 in particolare, PU dell’Università di Bonn, 2013.
20. Heiber, Universität unterm Hakenkreuz . Der Professor im Dritten Reich: Bilder aus der Akademischen Provinz , Saur, München 1991-1994, Teil 1 I shot , p. 197, riferimento omesso qui.
21. “Jurist mit scharfem Verstand”, https://www.kas.de/web/geschichte-der-cdu/personen/biogramm-detail/-/content/walter-hallstein-v1
22. Quest’ultima precisione https://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein
23. Vedi la bibliografia di Klee, Personenlexikon , p. 701-718.
24. Klee, Personenlexikon , p. 727, basato in particolare sul lavoro di Gehrard Aumüller et al. , ed., Die Marburger Medizine Fakultät , Saur, München 2001 (e https://de.wikipedia.org/wiki/Gerhard_Aum%C3%BCller ); altra bibliografia, tra cui Heiber https://de.wikipedia.org/wiki/Nationalsozialistischer_Deutscher_Dozentenbund ,
25. http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:dl-TF9-41TUJ:cpr.uni-rostock.de/resolve/id/cpr_person_00003297+&cd=1&hl=fr&ct=clnk&gl=fr
27. Klee, Personenlexikon , p. 221, citando Heuber, Der Professor im Dritten Reich , p. 360, lui stesso citato da Villiers, ho girato , p. 198-199 (e 10, 290).
28. Al contrario, in particolare, per la missione dei “commissari dell’Armata Rossa, la cui missione era solo politica, l’esercito tornava ai soli ufficiali, https://de.wikipedia.org/wiki/Nationalsozialistischer_F%C3%BChrungsoffizier , nota che evoca solo l’odio antisemita, non quello del comunismo.
29. Bower Tom, Occhio cieco per omicidio. Gran Bretagna, America e Purging della Germania nazista, un impegno tradito , Londra, André Deutsch, 1981, p. 18-19.
30. Sul “decreto del commissario” del 6 giugno 1941 dedicato alla “lotta contro il bolscevismo”, bibliografia, https://de.wikipedia.org/wiki/Kommissarbefehl
31. Couve de Murville, citato da Villiers, ho girato , p. 19.

“Europa: accademismo contro storia” (5/6), di Annie Lacroix-Riz

 

22. Mag.201 // The Crises

“Europa: accademismo contro storia” (5/6)

Annie Lacroix-Riz è professore emerito di storia contemporanea presso l’Università Paris 7.

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Robert Schuman diffamato?

Gli “eminenti storici europei” non perdonano gli attacchi di de Villiers, che considerano feroci e ingiusti, nei confronti di Robert Schuman. Non apprezzavano neppure la sua discrezione sulle funzioni precedenti, economiche e politiche, del “grande Lorrain” al servizio del Comitato delle Forge, ben prima della CECA supposta così nuova …

Una carriera molto germanofila tra Wendel e Curie

Dopo tutto, il signor de Villiers difficilmente evoca Schuman per il suo passato prima del 1918; nato da una famiglia decisamente non ” optante per la cittadinanza francese ” dopo la sconfitta del 1870, e certamente francofobo. E Schuman, ci rassicurano i suoi avvocati, ” assegnato all’amministrazione, non portava armi contro la Francia. “Argomento curioso dopo la storiografia scientifica internazionale ha dimostrato come il ruolo mortifero nella seconda guerra mondiale lo si poteva assumere senza” portare le relative armi “, e sapendo che i fan di Hannah Arendt, così numerosi tra gli storici francesi, adorano la sua problematica maggiore riguardante i “burocrati criminali”.

Il germanista Yvonne Bollmann ha un occhio attento al pangermanismo ed è come tale disprezzato dagli “europeisti” che da tempo lo hanno classificato tra i germanofobi “complottisti” 1 . In un confronto alla “tribune” del 27 marzo, ha giustamente osservato: ” esiste  questa terribile frase a carico di Schuman [sopra] , che è, con qualche anno d’anticipo, la definizione (involontario?) Di Schreibtischtäter, di “boia ” esecutore 2 . E quale vuoto siderale, ne “la tribune” sulla carriera di Schuman, così altrimenti piena tra l’attacco della sua nativa Mosella in Francia e la Liberazione, condivisa tra i servizi resi alla dinastia Wendel-Seillière e alla Curia Romana. Durante questo periodo, inoltre, anche il molto cattolico de Villiers non si è mostrato particolarmente curioso. Francese dal novembre 1918, questo avvocato, eletto deputato di Metz nel 1919, era come Poincaré l’uomo di Wendel e Seillière. I suoi mentori finanziari lo fecero eleggere e rieleggere rgolarmente, e gli affidarono, in Mosella, la loro Azione Cattolica di Lorena (ACL) guidata da uno dei manager della società “Wendel François il nipote di  François de Wendel e Co.”, il senatore Guy Wendel3, ,cugino di François e uno dei più noti sostenitori, a partire dagli anni ’20, della linea dell’avvicinamento al Reich della dinastia.

Difensore delle ” infami ” (secolari) leggi dei ” franco-massoni settari ” a partire dalla gestione dei ” tre dipartimenti recuperati “, Schuman instancabilmente alimentò ” la questione della scuola “. Il suo duro lavoro e la sua efficienza gli sono valsi nel febbraio del 1934, la data chiave della strategia golpista del fascismo francese, la ” presidenza [s] d’onore dell’Azione cattolica lorena”.“Anti-massonico, anti-secolare, antisemita, anti-comunista e, dal 1936, franchista. Nulla lo distingueva dalle leghe fasciste, sapendo che Schuman aveva aderito, dalla loro nascita nel 1924, alle prime due di loro: la Lega des droits du religieux ancien combattant (DRAC) e la Federazione Nazionale Cattolica del generale de Castelnau ( FNC) 4 . Attento a non sconvolgere il Reich, l’ACL di Schuman e Wendel aveva osato imputare l’Anschluss del marzo ’38 al ” governo francese composto da ebrei di Gerico e comunisti che reclamano per il governo della Spagna una azione energica “. 5 .

I suoi benevoli biografi, Raymond Poidevin e François Roth, respinsero la questione dei suoi “rapporti con Guy e François de Wendel”, o più in generale con Wendel e Seillière. Ma non censurarono interamente l’estremismo di destra e germanofilo di questo “padre dell’Europa”, che ha servito tutte le cause della Chiesa romana ed era entusiasta di Franco. La presunta difesa dei cattolici perseguitati dall’applicazione del “sistema scolastico” francese ai “dipartimenti recuperati” copriva il suo sostegno all’autonomismo “alsaziano e della Mosa”: con “prudenza”, ” lavorava mano nella mano con gli alsaziani “(Roth) di Joseph Rossé 6 , fondatore di Heimatbund finanziato da Berlino 7. Ostile ai trattati del dopoguerra disastrosi per gli Imperi Centrali, Schuman sosteneva, a partire dal 1918-1919 il loro “revisionismo” territoriale e quello dei gruppi separatisti (croati, tedeschi dei Sudeti ungheresi, ecc), che minacciavano l’esistenza degli “Stati successori” degli Imperi. Come il docile Vescovo Baudrillart, altro ultramontano spettacolare, ha partecipato a eventi grandiosi del Vaticano in quel senso 8 .

Dalla debacle alla Pax Americana

Dal silenzio della “tribune” riguardo al periodo tra le due guerre, passiamo alle falsità sulla fase che ha accompagnato e seguito la debacle. ” Nominato Sottosegretario di Stato per i Rifugiati nel marzo 1940 ” da Reynaud, il quale con tutta la sua squadra stava preparando la soluzione definitiva contro la Repubblica, Petain , Schuman ” è, sulla carta, riconfermato in questo posto da Pétain, ma si dimette immediatamente “. Questo è falso , anche se MM. Frank e Bossuat siano recidivi sulle dimissioni, nel secondo “spazio” che Le Monde ha offerto loro contro Philippe de Villiers il 17 aprile 10 :No, non si dimise Schuman dal gabinetto Pétain dal 16 giugno-10 luglio 1940, un periodo che definisce il giornale gaullista di Algeri, l’inizio non solo della collaborazione ma del crimine d’intelligenza con il nemico 11 Un così celebre “pacifista” attivo nel 1939-1940, come il suo vecchio amico alsaziano Henri Meck (ancora più apertamente “autonomista” di lui) non fu preso in carico da Laval, che fu nominato capo del governo il 13 luglio. Schuman dimissionario, mentre i suoi protettori Wendel avevano scritto e sotto la firma del capo della dinastia, François de Wendel, il 3 luglio, lanciarono la loro offerta ufficiale di “collaborazione economica” al Militärbefehlshaber di Frankreich 12 ?

Laval, che contava poi di dimostrare che il regime golpista stava combattendo i “trust” e apprezzava i delegati dei lavoratori più di quelli della destra padronale e clericale, lo abbandonò. Così René Belin, secondo e successore di punta di Jouhaux, liquidatore imminente della CGT (con decreto del novembre 1940) – e “copertina” semplice del suo tutore, il grande synarque Jacques Barnaud, amministratore delegato di Banque Worms, è stato nominato ministro (del lavoro e della produzione industriale): questo appuntamento aveva lo scopo di dare l’impressione che il nuovo governo prendeva in considerazione gli interessi dei lavoratori ‘ha spiegato Ribbentrop Otto Abetz, ora ambasciatore “del Reich a Parigi 13 .Il clericale Schuman, uomo di Wendel e dei “trust”, non fu quindi confermato né come segretario (ministro), né come segretario generale. Sfido “eminenti storici europei” a presentare le famose “dimissioni” del luglio 1940 di Schuman.

L’uomo della Mosella avrebbe votato i pieni poteri a Pétain perché Laval lo aveva ingannato sul destino futuro del suo caro dipartimento. È egualmente falso. Sì abominevole possa essere stato, allora e poi, Laval non ha ingannato nessuno dei 569 parlamentari che si sono disonorati con il loro voto del 10 luglio; di solito non si sono fermati a questo sostegno iniziale a Vichy: gli archivi interni degli anni ’30 sono formali sulla loro perfetta informazione, e sul contributo di molti di loro, Schuman e i suoi inclusi, a questo riguardo. Nessun documento del 1940-1942, e per una buona ragione, stabilisce che ” l’annessione compiuta, sentendosi ingannato, [Schuman] si ritira in Lorena dove viene arrestato dalla Gestapo, imprigionato e quindi posto agli arresti domiciliari. Nel 1942, riuscì a fuggire. 

I politici Raymond Poidevin e Francois Roth, indulgenti ma più scrupolosi, hanno, insieme o separatamente, ammesso che, con l’accordo dell’occupante, Schuman, che era sempre rimasto ” molto discreto nei confronti dei suoi amici e dei contatti tedeschi ” prima e ” dopo il 1933 “, ritornò nell’agosto del 1940, volontariamente , in Mosella. Per verificare che non fosse stato “ingannato” riguardo alla riappropriazione del dipartimento? Ha proceduto alla ” distruzione volontaria delle sue carte nel settembre 1940 “, decisione che ” lascia un grande mistero ” , scrisse Roth, turbato. Lo stesso “mistero” pesa sulla sua ” incarcerazione […] a Metz e sulla sua detenzione agli arresti domiciliari in Germania nel 1940-1942“. Poidevin non ha nemmeno il coraggio di citare il testo delle lettere di auto-difesa che Schuman aveva inviato ai leader nazisti della Mosella nel 1940-1941 per convincerli della sua buona fede, riassumendo questa auto-difesa molto compromettente, “non fece nulla contro la Germania o il Deutschtum in Alsazia-Lorena prima o dopo il 1933. Al contrario, il suo atteggiamento politico fu determinato dalla sua formazione come avvocato acquisita nelle università tedesche e da una naturale tendenza al riavvicinamento, alla cooperazione pacifica , ecc. Diversi importanti nazisti tra cui il Gauleiter della Moselle Josef Bürckel, hanno sostenuto la sua pretesa di “liberazione” (da ” arresti domiciliari “) e la certificazione delle sue disposizioni collaborazioniste 14. Il desiderio di eliminare un passato sinistro spiega che ” la maggior parte degli [archivi Schuman si occupa di] il periodo successivo al 1945, momento da cui[egli] raggiunse una dimensione di statista “. Questa è la formula sobria usata dai lamentosi Archivi dipartimentali 15 per riflettere l’attenta “pulizia” della vera storia del “padre dell’Europa” e sponsor di così tante istituzioni accademiche europee, in cui operano i firmatari della “tribuna” del 27 marzo 2019.

Hanno quindi efficacemente censurato i loro predecessori. Schuman non fuggì dalla Germania nell’agosto del 1942, non si rifugiò ” da un monastero all’altro ” come un valoroso antinazi. Poteva facilmente raggiungere Lione, dove i Wendel lo avevano convocato, andava molto d’accordo con l’occupante. Fu impiegato a Lione, da quell’ultima data, nel trattamento dei loro prosperosi affari franco-tedeschi, nel quadro del “centro di studi e documentazione” sull’Alsazia-Lorena che aveva creato il “raggruppamento di Camere di commercio dell’Alsazia e della Lorena “. Questo centro, di cui uno dei vicepresidenti era “Humbert de Wendel, presidente della Camera di commercio di Metz”, “difende gli interessi materiali e morali delle aziende e distribuisce i contingenti di materie prime (cotone, lana, rayon) alle imprese alsaziane e lorenesi che hanno ripreso la loro attività in Francia “. In altre parole, il “gruppo” stava lavorando al servizio del Reich e il suo rappresentante Schuman “assisteva [ndr] alle riunioni della commissione economica franco-tedesco a Parigi ” 16 .

Né resistente né innocente, Schuman fu sbianchettato, prima di tutti i ministri di Pétain, e il suo fascicolo in tribunale fu puramente e semplicemente liquidato, dai suoi amici del MRP, incluso il ministro della giustizia François de Menthon. E con l’indiscutibile garanzia di De Gaulle, concesse per altro a tanti altri colpevoli, si radunò più o meno dopo, forse dopo la Liberazione. Dopo la rapida ripresa delle elezioni politiche ed elettorali e gli abbaglianti inizi della sua carriera ministeriale, sotto la protezione dell’alta banca privata o ora parzialmente pubblica, Schuman non ha negato il suo passato. Il suo clericalismo intatto culmina in una apoteosi di frodi fiscali messe in atto nella Santa Sede di Roma, attraverso le congregazioni, quando divenne ministro delle finanze dopo la vittoria politica delle elezioni MRP del giugno 1946. Per non parlare della sua immensa gentilezza, evitando qualsiasi purificazione ai noti collaboratori, ampiamente condivisa, è vero, dai leader francesi in generale, quelli della MRP, del suo partito, in particolare. Non andò negli affari esteri fino al luglio del 1948 perché il suo pari Bidault, verso il quale nutriva un forte odio ricambiato, penava ad avallare il giro di boa degli accordi di Londra: gli americani in particolare avevano bisogno di quest’arma per eccellenza in generale e in particolare perché comprensivi sulla questione tedesca17 .

La sua sottomissione era proverbiale, al punto che Washington non voleva nessun altro Ministro degli Esteri che lui dal luglio 1948 al dicembre 1952, quando dovette lasciare il governo dopo i suoi quattro anni di umilianti abdicazioni, in materia tedesca e americana. Mentre si infiammava il contenzioso della Comunità europea di difesa, è stato scartato, e in modo permanente, dal Ministero, là dove si succedevano per altro servitori fedeli dell’Atlantismo 18.Questa situazione lo unisce più strettamente che mai, non solo alla Curia di Pio XII e al suo successore, così “europeo”, ma agli Stati Uniti. Gli indiscutibili archivi americani, scoperti da Philippe de Villiers, non fanno che confermare quelli del Quai d’Orsay, pubblicati i finanziamenti americani ( Relazioni estere degli Stati Uniti, disponibile online) e quelli sfruttati dalle opere in lingua inglese citate sopra. Al di fuori dell’ambito rigorosamente “europeo”, ha mostrato una dedizione totale agli americani che gli imposero di violare  apertamente la legislazione francese, quando in contrasto con i loro interessi 19 .

“The Convinced Europhobe” non ha mentito sui legami iniziali e duraturi, non solo di Monnet, ma anche del ministro degli esteri Schuman, con “la Ford Foundation e il Comitato americano sull’Europa unita, falso naso della CIA “.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

1. https://en.wikipedia.org/wiki/Yvonne_Bollmann , in particolare file malevolo, inclusa la bibliografia, contro questa università accusata di aver falsificato “una presunta” minaccia tedesca “”
2. ” ( 2019/08/04 -10.04.2019) a HID, https://www.dhiparis.fr/fileadmin/user_upload/DHI_Paris/05_Veranstaltungen/02_Tagung/2019/2019_Programm_Tagung_Europaplaene_final.pdf” e-mail dal 1 ° aprile 2019.
3. La scelta della sconfitta , passim , di cui capitolo 3, e indice Wendel.
4. Schuman all’ACL, riunione del 25 febbraio, rapporto del servizio di sicurezza e lettera del prefetto di Moselle, Metz, 25 febbraio 1934; lettere dello stesso, 19 luglio 1937 (Regional GA), 10 marzo (GA annuale), 11 marzo 1935, F7, 14614, Rapporti Chiesa-Stato, 1919-1937, NA; Scelta , p. 259 e indice completo del DRAC e della FNC; F7, 13226, FNC, 1924-1932, F7, 13228, DRAC, 1925-1932, AN; Carcan, p. 106-107
5. Roth, Robert Schuman. 1886-1963. Da Lorrain des frontières al padre dell’Europa , Parigi, Fayard, 2008, p. 97; relazione 1891/5614/38 del commissario speciale di Forbach, 21 marzo 1938, e questo grande fascicolo di Azione Cattolica Mosella, marzo 1933-febbraio 1938, barcollante, F7, 14614, AN.
6. Roth, Schuman , p. 18-203 (citazioni, pp. 162, 157); Poidevin, Robert Schuman, statista 1886-1963 , Parigi, Imprimerie Nationale, 1986, p. 11-128.
7. Lacroix-Rice, Vaticano, Passim , di cui p. 133-134 (Ungheria), 425-426, Scelta , p. 152-153, e Tobias Bauman, maestro, poi tesi, purtroppo abbandonato: “Autonomo sotto controllo: propaganda tedesca in Alsazia e Mosella (1918-1932)”
8. Vaticano, Passim , di cui p. 133-134 (Ungheria); Scelta , p. 259 e indice completo del DRAC e della FNC; F7, 13226, FNC, 1924-1932, F7, 13228, DRAC, 1925-1932, AN; Roth, Schuman , p. 97
9. Scelta della sconfitta e Da Monaco a Vichy.
10. “Sì, è tornato al suo posto di sottosegretario di Stato per i rifugiati dal governo Pétain nel 1940, ma Philippe de Villiers sta attento a non dire esplicitamente che si dimette immediatamente,” loc. cit.
11. W3 Fondo della High Court of Justice, NA, in Non-trattamento
12. Lettera da “La compagnia grands fils di François de Wendel et Cie” al MBF , firmata Wendel, 3 luglio 1940, W3, 213, Laval, AN, citata in Non purificazione , p. 199 e indice di Schuman. Anche https://en.wikipedia.org/wiki/Robert_Schuman è più onesto riguardo a questa fase governativa di Schuman.
13. Tel. n o 200 Abetz, Parigi, 15 luglio 1940, W3, 58 (cartella René Belin), AN. Belin, indice op. cit. anni 1930-1940
14, 16. Relazione al BCRA Jacques d’Alsace [Paul-Jacques Kalb], Londra, 6 marzo 1943 “Alsazia e Lorena piegate in Francia”, F1a, 4003, Alsazia-Lorena, AN. Wendel, incluso Humbert, indice industriale .
15. Famous Fonds 34 J, 6-11, AD Moselle e il loro commento, 16 ottobre 2002, online.
17. Tutte le allusioni sono spiegate nel Carcan e nella Non purificazione , indice Schuman, che, sul suo sbiancamento espresso, p. 197-200.
18. Vedi tutta la mia arte. cit. sul piano Schuman e Branca, The American Friend , capitolo 5, “I pasti di Jean Monnet”.
19. Tra le altre cose, la sua dedizione al principale azionista (americano) di Le Petit Journal è un pezzo di antologia, Non-purging , p. 487-492, e Carcan, indice di Schuman.
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