PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÚ, di Teodoro Klitsche de la Grange

PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÚ

È degno di nota l’attaccamento delle élite decadenti e dei loro mezzi di comunicazione alle parole d’ordine e agli idola con cui cercano di rappresentare una situazione che non è quella reale e che, in ogni caso, non intendono cambiare, se non in un senso di loro gradimento.

Fino a qualche tempo fa, dopo l’inizio dell’emergenza Covid, si erano accorti, con grande clamore, che in Italia la pubblica amministrazione funziona poco e male. Era ora! Ma tanto ed insistente  lamento non induceva a procedere con qualche misura coerente ed incisiva, come la rimozione di dirigenti inetti (o altro), ovvero la prescrizione di sanzioni serie per inadempimenti, ritardi, ostruzionismi delle P.P.A.A. e così via.

Misure legittimate, anzi prescritte, tra l’altro, dagli artt. 28 e 97 della “costituzione più bella del mondo”, ma di fatto inattuati o meglio sabotati dall’entrata in vigore ad oggi. Fa piacere che Draghi, oltre ad annunciare qualche riforma (vedremo), ha esordito mettendo alla porta alcuni dei responsabili amministrativi della gestione della pandemia. Si resta in attesa per i politici.

La gestione sanitario-amministrativa del Covid riporta alla mente quanto scriveva un economista sulfureo come Milton Friedman, sul controllo (anche) dei farmaci esercitato negli USA della FDA (Food and Drug Administration).

Il pezzo di Friedman, che fa parte di un libro scritto con la moglie Rose, è una succinta ma persuasiva argomentazione di come delle buone intenzioni ed istituzioni finiscono poi per funzionare male, ottenendo, complessivamente, risultati meno positivi delle attese e spesso negativi.

Il controllo della FDA fu esteso ai farmaci nel 1938. Dopo la tragedia del talidomide (1962) furono approvati degli emendamenti i quali “al test di sicurezza previsto nella legge del 1938 aggiungevano un test di efficacia e abolivano i limiti di tempo a disposizione della FDA per decidere sulle richieste di autorizzazione dei nuovi farmaci”. Il risultato fu che i controlli più estesi e volti a tutelare il consumatore/paziente andarono a detrimento dell’interesse “che i nuovi farmaci siano resi disponibili a coloro che possano riceverne un beneficio il più presto possibile. Come spesso avviene, due obiettivi validi si contraddicono a vicenda. Sicurezza e prudenza in una direzione possono significare morte in un’altra”. E Friedman proseguiva “Una mole considerevole di dati accumulati indica che la regolamentazione della FDA è controproducente, cioè che ha fatto più male (perché ha ritardato il progresso nella produzione e nella distribuzione di farmaci validi) che bene (perché ha impedito la distribuzione di farmaci dannosi o inutili)”. E ne spiega la ragione “Provate a mettervi nella posizione di un funzionario della FDA, responsabile dell’approvazione o del rifiuto di un nuovo farmaco. Potreste fare due errori diversi”: approvare un farmaco nocivo alla salute o, al contrario impedire (o dilazionare) la disponibilità di un salva-vita. Ma se commettete il primo errore “il vostro nome sarà sulle prime pagine di tutti i giornali. Sarete coperti di infamia. Se cadete nel secondo errore, chi lo verrà a sapere?”. Non l’industria farmaceutica che voleva produrlo (il solito pescecane!); non i morti non risparmiati, perché non possono manifestare; e neppure le loro famiglie che non hanno “modo di sapere che i loro cari hanno perso la vita per la «prudenza» di uno sconosciuto funzionario della FDA”.

Le considerazioni dell’economista americano sono emblematiche di come l’eterogenesi dei fini sovverte anche le istituzioni e le attività pubbliche non contrassegnate da inutilità evidente e/o da bulimia predatoria. E così la guerra italiana alla pandemia, condivisibile nel fine, nella necessità e nell’urgenza, ma nei modi assai meno.

Parte delle misure prese dai poteri pubblici è stato connotata spesso più dell’esigenza di fare qualcosa, e di evidente, che dalle reali necessità; molti ripetono che sono state bloccate attività non particolarmente pericolose, se esercitate con attenzione e prudenza igienico-sanitaria. Tuttavia il timore per le critiche di non essere stati abbastanza determinati nella guerra al Covid, ha indotto alla soluzione più drastica (e anche contraddittoria, con quelle adottate per situazioni simili, come il trasporto pubblico). Altre sembravano scelte più per beneficiare qualche tax-consommers e qualche green-dipendente (come monopattini, biciclette, banchi a rotelle) che alla volontà di pugnare col virus.

Quanto alla battaglia decisiva – i vaccini – anche qua l’atteggiamento – in genere – delle autorità, nazionali ed europee – è stato spesso connotato più da esigenze d’immagine che da esigenze reali. Il ritardo nella campagna vaccini soprattutto rispetto a quanto fatto in Gran Bretagna, Israele, USA (e anche altrove), soprattutto. L’approvazione dei vaccini da parte di enti di controllo è stata lunga, rispetto a quanto fatto altrove. E non è finito, come dimostra il caso Astrazeneca.

E non è stato messo in conto quante migliaia di morti sia costata l’accuratezza dei controlli. Il numero dei decessi per abitanti in Gran Bretagna, nella settimana corrente, è circa un terzo di quelli in Italia. In Israele ancor meno.

Ma chi chiederà il conto per qualche migliaia di morti?

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Punto di vista strategico della Cina, di George Friedman

La realtà è cosa diversa dalla sua percezione, ma quest’ultima può determinare la realtà. In Alaska, nel summit in corso, gli Stati Uniti hanno definito i rapporti con la Cina come accesamente competitivi, ma non ostili. Realtà o percezione ingannevole?_Giuseppe Germinario

Punto di vista strategico della Cina

Di: George Friedman

Uno dei problemi più difficili della politica estera è lo sviluppo di una valutazione accurata delle intenzioni e delle capacità di un potenziale avversario, che spesso sono realtà separate. Ne ho discusso di recente in un articolo che metteva in evidenza il grado in cui gli Stati Uniti avevano interpretato male le intenzioni e le capacità dell’Unione Sovietica. I sovietici si sono concentrati sulla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, cosa che ha richiesto decenni di lavoro. Una guerra che avrebbe devastato l’Europa occidentale non ha dato loro alcun incentivo a iniziare una guerra. Gli Stati Uniti, nel frattempo, erano ossessionati dal conteggio delle attrezzature, non valutando la capacità del sistema logistico sovietico di supportare una massiccia offensiva. Gli Stati Uniti si sono concentrati sulle intenzioni e sulle capacità del caso peggiore. Quelli veri erano molto diversi.

Ciò era in parte dovuto a un altro errore di calcolo: la sottovalutazione delle capacità giapponesi nella seconda guerra mondiale. Washington sapeva che la guerra era probabile e quindi aveva un piano progettato per contrastarla. Ma i pianificatori sottovalutarono il grado di comprensione dei giapponesi dei piani di guerra e la flessibilità dei pianificatori navali nel declinare il combattimento in termini americani. Hanno anche sottovalutato il comando navale giapponese e non sono riusciti a capire le azioni rese possibili dalle portaerei. Capivano l’intento di combattere ma non l’intento di definire la battaglia e l’hardware necessario per farlo.

Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti erano sulla difensiva in attesa di un attacco russo che non è mai arrivato. Allo stesso modo, durante la seconda guerra mondiale, Washington ha visto il Giappone come totalmente dipendente dalle materie prime del sud e ha assunto una spinta diretta verso sud. Non poteva concepire che il Giappone avrebbe lanciato un attacco indiretto. In entrambi i casi, gli Stati Uniti hanno ignorato la realtà. I vincoli russi militarono contro la guerra offensiva. I vincoli giapponesi militarono contro gli attacchi diretti. Gli Stati Uniti avevano vaste risorse e potevano sopravvivere alle incomprensioni, ma la costanza degli errori di calcolo in altre guerre come il Vietnam e l’Iraq indica un problema centrale della pianificazione militare. Se gli Stati Uniti dovessero mai affrontare la Cina, niente è più importante che capire come la Cina vede la sua posizione strategica o esattamente come la posizione strategica della Cina la costringerà ad agire.

La Cina ha due problemi fondamentali: mantenere l’unità e prevenire l’instabilità sociale. Gli eventi lungo il confine con il Tibet e nello Xinjiang e gli eventi minori nella Mongolia interna devono essere contenuti. Allo stesso tempo, il divario economico tra la Cina costiera e quella occidentale che ha alimentato la rivoluzione di Mao e non è stato ancora risolto deve essere gestito. Un elemento di questa gestione è la crescita economica. I primi anni furono esplosivi poiché lo sviluppo fu misurato dal disastro economico di Mao. Dalla metà degli anni 2000 circa, la crescita è aumentata, ma ha portato a tensioni nell’élite economica cinese. Il principale obiettivo strategico della Cina è interno.


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La Cina ha quindi avuto la tendenza a concentrarsi verso l’interno, ma ciò che complica tutto ciò è che il consumo interno non può ancora mantenere la crescita economica e che l’accesso ai mercati globali è un imperativo strategico. La Cina dipende dall’accesso alle rotte marittime collegate ai suoi porti orientali. Le idee sul trasporto terrestre verso l’Europa, la tanto annunciata Belt and Road Initiative, non sono ancora maturate come alternativa.

L’accesso agli oceani globali è ancora il fondamento della strategia di Pechino, così come lo era l’accesso del Giappone alle materie prime. I due problemi strategici hanno cose importanti in comune. La Cina deve aumentare la sua potenza navale, il che, qualunque sia l’intenzione di Pechino, rende le altre potenze del Pacifico come gli Stati Uniti estremamente ansiose. L’elemento più importante di questo è il vasto sistema americano di alleanze di paesi formalmente e informalmente ostili alla Cina: Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia, Vietnam, Singapore, Australia e India. Costituisce una massiccia alleanza strategica ma anche un’alleanza economica molto significativa che coinvolge i principali partner commerciali cinesi.


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Ciò crea una lunga serie di strozzature che potrebbero bloccare l’accesso della Cina agli oceani e quindi danneggiare lo sviluppo economico interno e potenzialmente generare disordini sociali. Gli Stati Uniti non hanno bloccato l’accesso alla Cina, né lo hanno minacciato. Ma la Cina deve considerare ciò che è possibile e la capacità degli Stati Uniti è una profonda minaccia per la Cina. Dal punto di vista degli Stati Uniti, spostarsi verso est dalla linea Aleutian-Malacca concederebbe alla Cina l’ingresso nel Pacifico, il che minaccerebbe gli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non possono abbandonare l’alleanza. La Cina non può accettare la minaccia.

La Cina non può permettersi di ingaggiare direttamente le forze statunitensi. La sua stessa marina non è stata testata in guerra e ha condotto solo operazioni di controflotta della flotta. La Cina potrebbe benissimo sconfiggere la flotta americana, ma non può essere certa dell’esito; la sconfitta sarebbe catastrofica per il regime. Inoltre, gli Stati Uniti dispongono di vaste risorse e capacità. Guardando alla strategia di guerra degli Stati Uniti in passato, la sconfitta iniziale può generare un massiccio contrattacco. Quindi, a meno che gli Stati Uniti non sembrino intenzionati a bloccare i porti cinesi, il rischio implicito di una guerra è troppo grande.

Ma la Cina deve anche vedere gli Stati Uniti come contrari alla guerra e la percezione dei cinesi potrebbe essere sufficiente perché gli Stati Uniti rifiutino un conflitto più ampio e ritirino le forze sul blocco. Una strategia cinese secondaria, quindi, potrebbe essere quella di dimostrare una bramosia per il combattimento in un’area che non è critica per gli Stati Uniti tale che potrebbe non innescare una risposta. È stata lanciata l’idea che la Cina possa invadere Taiwan. Questo sarebbe militarmente e politicamente poco saggio. Le operazioni anfibie sono complesse e vengono vinte o perse grazie a vasti sforzi logistici. Il rinforzo e il rifornimento sarebbero vulnerabili ai missili anti-nave, ai sottomarini e alla potenza aerea statunitensi. I cinesi devono presumere che qualsiasi invasione verrebbe probabilmente sconfitta.

Anche così, la Cina deve dimostrare la sua volontà e capacità militare senza rischiare la sconfitta. In altre parole, deve attaccare un obiettivo di scarso valore e presumere che gli Stati Uniti non rischierebbero di combattere in un luogo in cui si sono concentrate le forze cinesi. Ma anche questa strategia comporta due problemi. In primo luogo, gli Stati Uniti riconoscerebbero lo stratagemma e potrebbero scegliere di impegnarsi per scoraggiare un combattimento maggiore. Anche se Washington volesse declinare, i suoi alleati potrebbero scatenare un inferno tale da non essere in grado di farlo. Questo coincide con il secondo problema: i membri dell’alleanza sono anche poteri commerciali vitali. Uno dei paradossi della posizione cinese è che quelli che rappresentano il maggior rischio strategico sono anche elementi essenziali dell’economia cinese. Il sequestro di un’isola al largo di Taiwan potrebbe innescare una risposta statunitense, ma convincerebbe i membri dell’alleanza del pericolo cinese e li costringerebbe, con il sostegno degli Stati Uniti, a intraprendere un’azione economica.

La Cina deve mantenere la crescita economica per mantenere la stabilità. Non può intraprendere azioni che lo renderebbero difficile. Né può tollerare la possibilità di un’azione navale statunitense che paralizzerebbe l’economia cinese. L’attuale situazione economica della Cina è soddisfacente. Certamente, una guerra non lo migliorerebbe. Sta correndo il rischio di un’azione degli Stati Uniti che lo paralizzerebbe. La soluzione chiave cinese è cercare un accordo con gli Stati Uniti su questioni economiche in sospeso, essendo consapevoli del fatto che gli Stati Uniti non hanno impulso per la guerra e inizieranno solo sotto una pressione significativa della Cina. La Cina deve indebolire l’alleanza anti-cinese chiarendo che non ha intenzione di fare la guerra e che allineerà la sua economia con le altre. In altre parole, la Cina deve rifiutare il combattimento e realizzare la pace economica e politica, senza dare l’impressione che lo faccia sotto costrizione.

La Cina è una grande potenza. Ma tutti i grandi poteri hanno dei punti deboli, quindi i loro concorrenti devono cogliere questi punti deboli. La paura e la prudenza fanno sì che i poteri si concentrino sulla forza e trascurino i punti deboli, e così facendo tendono a ingrandire il potere di un concorrente. È necessaria un’analisi accurata e spassionata per evitare sopravvalutazioni e sottovalutazioni e quindi errori di calcolo.

UNA MERITATA SCONFITTA, di Antonio de Martini

UNA MERITATA SCONFITTA
La domenica compio il rito religioso dell’uomo moderno: compro il giornale.
Leggo “ Le Monde” benché non condivida buona parte delle sue idee.
E’ scritto in una lingua impeccabile, i suoi giornalisti sono istruiti e tradizionalmente rispettano il lettore, mentre da noi sono in prevalenza degli ignoranti convinti di avere a che fare con dei cretini.
Questa domenica ho avuto una sorpresa che mostra che la crisi ha morso dovunque: dodici-pagine-dodici di “Le Monde” sulla “crisi siriana” pensavo fossero meglio.
Non meditano sul decennio di lotta all’ultimo sangue affrontato con stoicismo da un intero popolo e non si chiedono come sia stato possibile che un dittatore abbia suscitato tanta fedeltà, ma ironizzano su “ Assad re delle macerie” indulgono su “ disegni e testimonianze di bambini traumatizzati”, e naturalmente “ un decennio di caos”.
Non c’é guerra che non abbia prodotto macerie, morti e bambini traumatizzati.
La novità giornalistica , casomai, sarebbe stata la vittoria di un Davide contro sette Golia.
Mi rimangio dunque la promessa fatta a me stesso di meditare in pace sul nostro futuro e mi dedico all’evento che non celebra i dieci anni di guerra persa da Arabia Saudita, Turchia, Stati Uniti, Kataweb, UAE, Francia e Inghilterra coalizzati contro un paesino piccolo piccolo, ma che apre di fatto la campagna elettorale presidenziale siriana che si terrà a primavera.
Dopo aver deciso che volevano un “regime change” con le buone, poi un cambiamento forzato a costo di qualche morto e infine una guerra di sette contro uno, gli alleati si sono trovati impantanati in una guerra senza fine in cui hanno perso tutto. Anche il rispetto di molti alleati.
E’ la prima volta nella storia che un dittatore suscita tanta fedeltà dai suoi sudditi, ottiene tanti sacrifici volontari e trionfa su una coalizione tanto vasta e forte, difeso anche da tutte le religioni esistenti ( sedici) sul territorio, e da paesi che avevano tutto l’interesse a non irritare gli Stati Uniti, nonché da tutte le classi sociali.
Credo che senza riempire dodici pagine, una indagine valga la pena di farla.
I DISSIDENTI
Comincerei con i “dissidenti”, poi rivoltosi ed infine “ insurgents”: essenzialmente si é trattato dei fratelli mussulmani ( una setta assistita alla nascita dalla compagnia del canale di Suez ed ora dagli angloamericani), assieme a una fascia di contadini illusi dalla bonifica dell’Eufrate realizzata negli anni ottanta e disillusi dalla siccità provocata dalle dighe costruite a monte dalla Turchia che hanno ridotto del 40% il flusso delle acque dell’Eufrate.
Essendo il malcontento insufficiente a uno scontro armato, la scintilla fu provocata dalla importazione di seicento mercenari reduci dalla Libia a cura della segretaria di Stato Clinton, con trasporto ed equipaggiamento a carico della Turchia.
Altri furono infiltrati dal Jabal Druso a cura dei vicini israeliani, benché nei precedenti venti anni, Siria e Israele non si fossero scambiati un solo colpo di fucile.
Lo slogan , tracotante e infelice, fu “ I cristiani a Beirut e gli Alauiti nella tomba” fu un monito stupido quasi quanto il “niente prigionieri” dell’avvocato Previti alle elezioni italiane che iniziarono a intaccare il successo berlusconiano.
Fu la minaccia che iniziò a coalizzare la nascente borghesia attorno al regime. Tutti amano fare turismo, ma non da esuli. Tutti devono morire, ma non con una tutina arancione.
I FILO REGIME
GLI ALAUITI
Lo zoccolo duro era inizialmente costituito dagli alauiti, una delle religioni-etnie che popolano il Vicino Oriente e a cui appartiene la famiglia Assad.
Essi rappresentano la fascia più povera della popolazione. Ogni famiglia-bene siriana ha tradizionalmente una colf alauita. I matrimoni sempre interni al gruppo hanno prodotto fisionomie caratteristiche simili come negli ebrei e nei drusi.
Gli alauiti hanno- dal 1967 in poi anno della presa di potere di Hafez el Assad , il padre, – fornito allo Stato tutto l’apparato di sicurezza e gran parte dei quadri delle Forze Armate.
In questa guerra, hanno fornito anche la maggioranza dei caduti ( stimo 180.000 su 380.000). L’ex ambasciatore francese Duclos dice a “Le Monde” che “in una famiglia di quattro figli, due sono morti o tornati storpi”.
Ma sapendo che avevano promesso la morte a tutti, pensano di aver fatto un affare.
I CRISTIANI
Divisi in innumerevoli sette e confessioni, hanno tutti abbracciato il principio del male minore. Nel prosieguo della guerra si schierarono sempre più convintamente con la legalità e l’ordine offerto da Assad.
I dittatori in Siria , di fatto ci sono sempre stati:
Le brevi parentesi democratiche erano di facciata.
Ma Bashar el Assad – il figlio di Hafez – non destinato a succedergli, ma subentrato al fratello deceduto, era considerato un “molle” dall’apparato del partito dominante e addirittura un angelo rispetto a RIFAI, lo zio, che fu tanto crudele nella gestione della sicurezza, da dover essere esiliato in Svizzera e poi in Francia, dallo stesso presidente che pure con mano di ferro aveva represso la città di Hama – insorta nel 1982- facendo dodicimila morti.
Il regime, sapendosi minoritario aveva sempre privilegiato le altre minoranze formando una maggioranza grazie a un cartello di gruppi minoritari e ostentando un grande rispetto per il cristianesimo, al punto di ottenere la visita papale ( G P II) di cui si ricorda il discorso di Bashar che sottolineò tra l’imbarazzo dei presenti che a uccidere Gesù Cristo erano stati gli ebrei e che i primi cristiani trovarono asilo in Siria.
I DRUSI
Più complessa la situazione dei Drusi essendo la loro tradizionale zona di insediamento ripartita tra il Libano, Israele e la Siria.
DERAA – dove nacque mio zio Umberto, fu luogo di prima insurrezione- i combattenti drusi sono temibili guerrieri e Israele ha riconosciuto loro il diritto a fare il servizio militare.
Ma la legislazione, recentemente introdotta da Netanyahu per ragioni di politica interna, ha stabilito lo Stato di Israele come “stato degli ebrei” ha fatto dei Drusi cittadini di seconda classe, provocando le dimissioni per protesta dell’ufficiale druso di grado più elevato di Tsahal e i drusi gradatamente si sono schierati coi siriani che – tratto ammaestramento dagli eventi- hanno anche riconosciuto i loro errori e armato un battaglione di ex nemici per il mantenimento dell’ordine pubblico in zona.
I CURDI
Sono prevalentemente sistemati nella zona di Hassake sulla riva sinistra dell’Eufrate ed erano stati tranquilli in comparazione coi curdi di Turchia.
Et pour cause!
Gli agenti turchi incaricati della sovversione non riuscivano a penetrare per atavica incompatibilità e quelli israeliani erano impegnati coi curdi iracheni.
Anche qui, il regime é stato più svelto: evacuando l’area e lasciando in loco alcuni depositi di armi.
Si sono così create milizie volontarie incaricate di difendere persone e beni e – quando giunsero i “liberatori” furono accolti a fucilate.
Un accordo federativo e l’elezione del deputato cristiano di Hassaké a presidente del Parlamento, ha suggellato un accordo federativo che regge agli urti.
Le milizie locali pattugliano ora con i governativi siriani, ora con gli americani, ma niente estranei. Nemmeno i curdi iracheni.
I MUSSULMANI SCIITI
Minoritari e proletari in genere hanno fatto parte del cartello delle minoranze etniche e religiose che si sono schierate con Assad e sono risultate utili nel tessere l’alleanza con l’Iran.
Inoltre avevano un debito col regime che aveva accolto ottocentomila profughi – causa guerra- dal vicino Irak in gran parte sciiti. Sono rimasti fedeli anche loro.
I MUSSULMANI SUNNITI
Si tratta del nerbo della borghesia ricca della Siria che ha sempre privilegiato la tranquillità che propizia gli affari e il non essere riusciti a accattivarsi questo strato degli abitanti rappresenta la maggiore sconfitta politica dei fratelli mussulmani.
Un pò come le brigate rosse non riuscirono che a conquistare esigue simpatie nel P.C.I. e fu isolamento.
Attratti da “legge e ordine” in un paese che non conosceva criminalità comune e che vedeva ogni anno progredire le giovani generazioni che da esclusivamente arabofone avevano ottenuto l’istruzione gratuita, anche universitaria, e facilitazioni per l’apprendimento delle lingue, preferirono restare fedeli al regime, tanto più che col progredire del conflitto si rivelava la trama estera dei finanziamenti e la povertà delle adesioni locali. Assad era visto vincente.
Socialmente parlando, col regime erano schierati i militari, i proletari,i borghesi e tutti i gruppi religiosi, mentre con gli “insorti” i fratelli mussulmani ( che Nasser definì “ chi , quelli che si inc. tra loro?”) e numerosi jihadisti e criminali comuni che con mossa machiavellica il regime ha liberato con una amnistia, contribuendo così a estremizzare gli avversari agli occhi dei moderati.
LA PROPAGANDA DEL REGIME
Il regime ha utilizzato anzitutto la paura dell’esempio libico, poi il terrore dei minacciosi comportamenti jihadisti e la certezza di tutti di un ritorno al passato di qualche secolo.
L’esercito é rimasto fedele con l’eccezione del figlio di un ex ministro della Difesa: Mustafa Tlass) che ancora pascola nei night club di Parigi a spese dello SDECE e della CIA.
La truppa si é rivelata – come i contadini polacchi e quelli spagnoli – tra le migliori fanterie del mondo e gli aiuti esteri ( Russia e Iran e libanesi ) sono stati utilizzati con attenzione: i russi con l’appoggio aereo, i libanesi ( Hezbollah e cristiani) per liberare le alture del kalamun , ossia la comunicazione via terra tra Damasco e Beirut e gli iraniani per i rifornimenti di armi e la finanza di guerra.
Milioni di esuli si accalcano oltre frontiera dimostrando a tutti che é meglio restare a combattere in Patria che vivere mendicando in esilio.
LA PROPAGANDA OCCIDENTALE
Da parte occidentale, accuse di uso dei gas confuse e contraddittorie: la smentita del magistrato incaricato della inchiesta – la svizzera Carla Del Ponte – che diede la colpa ai ribelli e la promozione e decorazione dell’ufficialessa americana che gestì l’eliminazione dei depositi di Sarin e Cloro siriani nel mare di Creta, ha demolito questa accusa.
La sostituzione delle bombe con barili di polvere fu inaugurata dagli israeliani nella battaglia per Gerusalemme nel 1948.
Facevano rotolare nei vicoli in discesa dei barili mancando di aerei.
Le notizie esagerate del numero dei morti hanno mano a mano fatto perdere credibilità, come la storia dei “caschi bianchi” portatori di soccorsi… tanti dejà vus con foto spesso taroccate male.
Belle modelle israeliane presentate come combattenti curde…
Pii mussulmani accreditati con foto di preghiera, ma rivolti in direzioni opposte mentre anche i concorrenti dei nostri quiz TV sanno che si prostrano solo in direzione della Mecca.
L’ultima storiella é l’apertura di una inchiesta preliminare della magistratura inglese a carico della moglie di Assad che é cittadina inglese.
E’ sospettata di aver incitato il marito a compiere crimini di guerra.
O hanno messo un microfono sotto il letto degli Assad o mi sembra una accusa difficile da sostenere contro una donna mite che ha avuto un tumore e una laurea homoris causa all’Università di Roma.
La pessima gestione del contenzioso sorto a latere con la Turchia, la lite e sostituzione dello sceicco del Katar col più docile figlio mi sembra la degna conclusione di tanta incapacità comunicazionale, culturale, militare e politica.
SIRIA, LIBANO E DINTORNI
Due parole a commento del mio post di ieri ( una “sconfitta meritata”, sulla guerra di Siria) che ha avuto 50 “mi piace” e 38 condivisioni.
Spesso sono tentato di non scrivere di “sceicchi e dittatori” pensando di predicare nel deserto, ma poi, quando vedo che un post viene capito da trentotto persone al punto che che si prendono la briga di ripubblicare lo scritto nei loro diari, prendendosene la responsabilità, e diffondendolo ai loro contatti, mi torna la voglia di spiegare, raccontare, decifrare.
Facebook dice che con tre condivisioni si toccano virtualmente tredicimila persone.
Esagerano di certo, ma con trentotto condivisioni – anche calcolando un terzo di quanto asserito da fb- siamo a oltre quattrocentomila persone messe al corrente di una verità che potrebbe salvare delle vite.
La campagna stampa concertata dei media degli stessi paesi che hanno usato le armi fino a che hanno trovato solidali le loro pubbliche opinioni, non é fatta per il piacere di fare i democratici.
Strano per sferrare un altro colpo., ma adesso so che non potranno contare sulla solidarietà ignorante di noi italiani.
Grazie. Di cuore.

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO, a cura di Luigi Longo

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO

a cura di Luigi Longo

 

 

Invito alla lettura della interessante intervista di Valentina Bennati ad Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria, La pandemia che ha deformato la mentalità del genere umano, pubblicato sul sito www.comedonchisciotte.org, del 12/3/2021.

E’ un’ottima sintesi, chiara su tutte le questioni riguardanti la gestione del covid-19, a partire dalla incapacità di affrontare una malattia curabile ai domiciliari (il 95% dei casi) o in strutture ospedaliere (il 5% dei casi con una minima percentuale di morti).

Qui si pongono due domande: perché una vaccinazione di massa apparentemente libera? Perchè non trattare la malattia come una influenza normale-particolare facendo attenzione agli anziani e ai portatori di patologie? Le risposte presuppongono una trattazione a parte.

Questa incapacità è stata chiaramente dimostrata dall’operato dei medici di base (rete dei medici per la cura domiciliare a livello nazionale) che sono andati contro la legge (cioè, oltre la legge, come insegna il pensiero femminile) e hanno curato e guarito i malati da covid-19. Hanno nei fatti smentito tutte le misure assurde e illogiche deliberate dai governi (Giuseppe Conte e Mario Draghi) supportati dalle istituzioni sanitarie, dagli scienziati, dagli esperti, dai mass-media e da “intellettuali”, tutti a servizio del potere dominante del Paese, servo, a sua volta, a livello internazionale (USA).

A monte c’è il fatto (il tempo si incaricherà di dimostrarlo), che si tratta di una pandemia causata da un virus (covid-19) particolare (troppo veloce nella diffusione) che ha origine artificiale e non naturale. Il covid-19 è uno strumento del conflitto strategico tra le potenze per l’egemonia mondiale: gli USA in relativo declino e la Cina e la Russia in ascesa.

La potenza più aggressiva e spregiudicata è quella degli Stati Uniti d’America: perché è nella loro storia, perché sono per un dominio unilaterale, perché sono in chiara fase di inizio declino insieme a tutto l’Occidente (che si butta sul postumano in nome delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità invece di dare senso alla vita individuale e sociale), perché hanno un conflitto interno tra gli agenti strategici irreversibile, perché non riescono a fare sintesi nazionale capace di rilanciarsi come grande potenza, perché sono leader mondiali della ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche.

Vediamo, in estrema sintesi, l’utilizzo dello strumento covid-19 in Italia ricordando che l’OMS non ha mai dichiarato la pandemia e che già nel 2017-2018 si era verificato negli USA uno dei più gravi focolai di influenza della storia recente. Fu una catastrofica influenza almeno tre volte più letale dell’attuale crisi sanitaria legata al coronavirus (covid-19). Allora l’OMS ritenne non necessario (sic) allertare il mondo o arrestare tutte le attività commerciali planetarie come ha fatto con il covid-19. Stranamente l’OMS non si era nemmeno preoccupato di etichettare l’epidemia americana come un’epidemia o una pandemia. Si era trattato solo di una “normale influenza” nonostante l’entità dei decessi, l’enorme numero di ricoveri e l’alto tasso di infezione (Gilad Atzmon, L’amnesia è un sintomo del Covid-19?, in www.comedonchisciotte.com, 21/4/2020).

  1. 1. Il progetto di Mario Draghi (un agente strategico esecutivo), a grandi linee, è abbastanza chiaro e sarà realizzato attraverso lo strumento pandemico del Covid-19. L’emergenza economica, sociale, sanitaria permette di dichiarare (come se ce ne fosse stato bisogno) che l’Italia non si schioda dalla Nato e dalla UE, istituzioni ad egemonia (nell’accezione gramsciana) statunitense. Per queste ragioni il governo appronta e realizzerà le infrastrutture (Tav, Ponte sullo stretto di Messina, eccetera) per le strategie Usa-Nato che solo applicando la logica del conflitto strategico si possono comprendere, altrimenti si rimane nella logica dello sviluppo (liberista, keynesiano e marxista) dei pre e sub-dominanti che vela molto bene il conflitto tra le potenze mondiali. La nostra presenza incondizionata nella UE (che è un progetto USA, non dimentichiamolo) serve per tenere unita la UE per le strategie Usa contro la Russia; questo è ciò che appare in superficie; in realtà gli Stati Uniti temono fortemente l’alleanza tra Cina e Russia (le forme di collaborazione tra le due potenze in ascesa sono sempre più consistenti, non fosse altro per battere un nemico comune). E’ mia convinzione che la UE è finita ed è tenuta in piedi dagli Usa attraverso Nato, che si è terribilmente trasformata (si interessa di quasi tutte le sfere sociali) e fa da collante e da coordinamento (via Germania e Francia) dell’Europa; per non parlare del ruolo che svolge nei Balcani con il coordinamento della Polonia e in Medio Oriente con il coordinamento di Israele.

L’Italia resta una nazione geograficamente importante per le strategie USA (in Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente): è dal Risorgimento che l’Italia è una espressione geografica per i conflitti tra le potenze, allora per l’Inghilterra, oggi, per gli USA.

2.Il covid-19 permette il passaggio ad una forma di “democrazia” autoritaria che nella fase multicentrica è necessaria per accorciare la filiera del comando per la strategia, per la gestione e per la esecuzione del potere, non dominio perché parliamo di sub-dominanti (il governo sta preparando le riforme delle regioni in macro aree e lavora a nuovi strumenti giuridici: altro che difesa della Costituzione avanzata da ritardati giuristi e costituzionalisti).

La decisione di affidare all’Esercito l’emergenza Covid-19 (cosa che andava fatta dal primo momento non fosse altro per la prontezza della macchina organizzativa) è simbolico di un ruolo sempre più presente della sfera militare nel blocco degli agenti sub-dominanti. Mentre è preoccupante la militarizzazione delle città (per ora solo polizia e carabinieri, in attesa, come scrissi nel mio Americanizzazione del territorio, della «… forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche».

Intanto, in questa fase, è sospesa la “democrazia” con tutte le violazioni che gli amanti dello stato di diritto non vedono.

3.L’economia è a pezzi, è stato dichiarato lo sterminio delle PMI (di tutti i settori), così come delle imprese che gli algoritmi decideranno che non vanno salvate (sic): il governo prevede la loro distruzione creatrice che nulla ha a che fare con quella pensata da Joseph A. Schumpeter. << […] la grande struttura delle multinazionali americane entrerà nel mercato italiano, gli interi settori che spariranno verranno comprati dalle multinazionali […] >> (Valerio Malvezzi, E’ drammatico le piccole imprese italiane spariranno, www.radioradio.it, 13/3/2021). Per i dominanti nostrani che vogliono farci credere di risollevare la crisi profonda dell’economia italiana con il Recovery Fund, riporto quanto dichiarato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonso in una intervista al Financial Times del 12/2/2021:<< Se esaminiamo i 209 miliardi che il Recovery Plan stanzierà per l’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al pil annuale. Il che implica che l’Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione netta europea è quindi di soli 42 miliardi, ovvero 7 miliardi l’anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l’Italia contribuirà alla parte restante del bilancio Ue per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi l’anno [corsivo mio] >>.

4.Il territorio è sempre più venduto, vulnerabile e fragile: il locale viene annientato dal globale senza una minima strategia nazionale. << L’Italia […] il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori […]>> (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pag.102). Così come sono in crisi sia la relazione tra città e campagna sia la relazione tra ruralità e l’approvvigionamento alimentare (altro che green economy; per dirla con Niccolò Macchiavelli i nostri dominanti sono dei porci!).

5.Le industrie strategiche neanche a parlarne (Eni, Leonardo se non hanno una nazione forte alle spalle faranno ben altri interessi e seguiranno ben altre alleanze), tant’è che, per scelte strategiche USA, l’Ilva di Taranto è stata ceduta ad una multinazionale straniera (e meno male che era strategica per il Paese! Ma in mano a chi siamo?) che è l’anticamera della chiusura della fabbrica con gestione sociale a carico dello Stato, un film già visto a Bagnoli.

6.La sanità sta subendo una grande ristrutturazione (se ci fosse un po’ di serietà si evidenzierebbero i morti che l’emergenza covid-19 ha prodotto a causa della riduzione degli interventi e delle cure in tutti i reparti ospedalieri; le modalità con cui ci vengono dati i numeri relativi alle malattie, ai decessi e alla diffusione del virus è una vera disinformazione statistica. E’ una vergogna istituzionale!) nella quale le garanzie della tutela della salute per tutti sono quasi ridotte all’osso (con l’aggravante che accogliamo migranti in maniera delinquenziale a cui va garantita l’assistenza sanitaria con l’innesco di una guerra tra poveri).

Il covid-19 è il cavallo di Troia per riorganizzare la sanità con una lotta senza quartiere, nei vari dipartimenti, per accaparrarsi risorse, tecnologie, nuovi settori di ricerca, sulla pelle della maggioranza della popolazione.

7.Mancano in generale sia le condizioni oggettive: una fase di trapasso d’epoca con crisi irreversibile dell’Occidente con un cambiamento antropologico delle relazioni umane (le relazioni digitali imposte via covid-19 sono un ottimo allenamento per snaturare l’essenza umana fatta di relazioni, di contatti, di corpi, di presenze); sia le condizioni soggettive: mancano i soggetti ed è assente, per dirla con Costanzo Preve, la tensione da passione durevole; rischiamo, cioè, di creare soggetti virtuali e non materiali.

 

 

 

LA PANDEMIA CHE HA DEFORMATO LA MENTALITÀ DEL GENERE UMANO

 

di Valentina Benna

Un anno che ha sconvolto le nostre vite e messo a dura prova la nostra psiche. Prima la paura di un virus nuovo, poi il distanziamento sociale, le limitazioni alle libertà, la mancanza di lavoro, la didattica a distanza, le difficoltà di assistenza sanitaria per altre patologie, il blocco delle attività ricreative, culturali e religiose. Si è alzata un’onda di malessere mentale dall’impatto devastante perché interessa e interesserà moltissime persone.

Se intendiamo la salute come equilibrio di corpo-mente-spirito, davvero siamo in grave pericolo perché tutto ciò che è accaduto e sta accadendo sta cambiando in modo drammatico, e forse definitivo, i rapporti umani e sta minando la nostra stabilità e vitalità.

E’ un problema grave che, però, non trova abbastanza spazio sui media. Anzi, proprio Tv e giornali sono intenti a diffondere e amplificare dati allarmanti e sensazioni di pericolo.

Quali sono i rischi di questa comunicazione ‘ammalata’? Quanta parte della popolazione sa verificare la fonte e la veridicità delle notizie? Quanti possiedono gli strumenti psicologici ed emotivi per gestire la narrativa catastrofista e unidirezionale che da mesi viene fatta di questo virus? Penso soprattutto alle persone più vulnerabili (gli anziani e i giovani) e a chi è solo e in difficoltà e non può far conto su nessuno.

Sfiducia, sconforto, paura, senso di frustrazione, sono emozioni sempre più evidenti, basta guardarsi un po’ intorno o parlare con la gente. E non può passare inosservato l’aumento dei disturbi psichici che sono sempre di più in rapida crescita, soprattutto nelle città. E’ utile approfondire l’argomento con il Dottor Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria. Bolognesi è anche consulente presso la Fondazione Internazionale Valsé Pantellini per lo studio e la ricerca nell’ambito delle malattie degenerative e tumorali e, di recente, è entrato a far parte della rete di medici attivi in tutta Italia per la cura tempestiva domiciliare covid in ogni regione, iniziativa partita dall’Avvocato Erich Grimaldi che si batte da mesi per la modifica dei protocolli ministeriali che non tengono conto delle esperienze ed evidenze dei territori.

Dottor Bolognesi sono ormai passati molti mesi dall’inizio della ‘pandemia’, alla paura iniziale è subentrata la crisi economica con il senso di incertezza per il futuro, poi la stanchezza e infine anche la rabbia. Sono insorte, e nel tempo si sono aggravate, varie forme di disagio psicologico e molte persone hanno cominciato a fare uso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi e tranquillanti. Quali sono i disturbi principali rilevati? Ci sono già dei dati nazionali ufficiali?

“È giusta la distinzione in due fasi: la prima caratterizzata dalla reazione euforico/patriottica dell’andrà tutto bene e dei canti sul balcone, la seconda invece dal graduale scoramento, al limite della rassegnazione, sia perché dopo un anno esatto siamo tornati al punto di partenza, sia perché l’emergenza socio-economica si è sommata in modo drammatico a quella sanitaria.

Non sono a conoscenza di dati ufficiali, ma l’evidenza di un aumento del consumo di ansiolitici, antidepressivi e ipnoinducenti è nota a tutti così come, in parallelo, l’aumento dei disturbi connessi.

A causa del lockdown sicuramente abbiamo assistito ad un aumento degli episodi di violenza domestica, dovuti a convivenze forzate di coppie già in crisi o di nuclei familiari confinati in spazi angusti e non abituati a vivere insieme per tante ore. Attingendo alla mia personale esperienza di psichiatra posso dire che durante il lockdown dell’anno scorso son dovuto intervenire d’urgenza per episodi di aggressività e violenza ad opera di soggetti con crisi psicotica scatenata dalla chiusura forzata. Molto frequenti anche le crisi depressive aggravate dall’isolamento e con necessità di aumentare il dosaggio dei farmaci già in uso.”

La gestione del nuovo coronavirus ha cambiato in modo drammatico i rapporti umani. Mascherine, distanziamento, smart working, didattica a distanza, divieto di riunirsi e stare vicini, disinfezione continua di mani e locali, misurazione della temperatura: tutto necessario, ci è stato detto, ma è aumentata inesorabilmente la distanza tra le persone ed è diminuita la capacità di empatia. E’ qualcosa di profondo e dirompente, eppure è una questione sottovalutata che non trova adeguata analisi da parte dei media così intenti a comunicarci solo numeri di contagi e notizie relative al vaccino. Quanto tutto questo sta incidendo sulla nostra psiche e che peso avrà sulle nuove generazioni?

“L’opportunità delle misure adottate, fatta eccezione per un ragionevole distanziamento nei luoghi chiusi, è tutta da dimostrare e siamo ancora in attesa della pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico che ci spieghino PER OGNI SINGOLO PROVVEDIMENTO il razionale e quindi, in virtù di questo, la reale efficacia. Riguardo ai cambiamenti nei rapporti umani si è consumata di fatto la morte della prossemica e sappiamo quanto l’essere umano, per sua natura sociale, si giovi del linguaggio non verbale, della gestualità, del contatto, della vicinanza, specialmente nei paesi dell’area mediterranea, per stabilire e mantenere rapporti. Tutto ciò è stato inibito e/o negato e inevitabilmente modificherà gli stili e gli assetti comportamentali soprattutto nelle fasce d’età in formazione, private sul nascere della naturale propensione all’incontro.

Visi che fino a ieri ci erano familiari all’improvviso siamo stati costretti a percepire come minacciosi tanto da scendere istintivamente dal marciapiede se li vediamo dirigersi verso di noi, amici che salutavamo con una stretta di mano o con un abbraccio che temiamo di incontrare perché non sappiamo se lo accetterebbero, e così via con esempi infiniti.

L’enfasi sulla malattia, i toni catastrofisti dei mass media non lasciano spazio per riflessioni su questo tema”.

All’inizio l’emergenza sanitaria c’è sicuramente stata e ha mandato in tilt il nostro ‘depotenziato’ sistema sanitario, poi le terapie sono stata individuate e i tanti medici che già hanno curato a domicilio con successo hanno dimostrato che di covid si guarisce, basta intervenire subito adeguatamente in modo da evitare ricoveri ospedalieri. C’è stato però il problema dei protocolli ministeriali a base di solo paracetamolo ‘nei primi giorni di vigile attesa’, proprio quelli che invece dovrebbero essere decisivi per aggredire il virus …

“Ho avuto modo di esprimere in più occasioni e in maniera netta il mio pensiero su questo argomento attraverso i social nel corso di tutto l’anno e approfitto di questa preziosa occasione per ribadirlo con forza. L’emergenza nella quale ci troviamo è SANITARIA e NON medica in quanto riguarda essenzialmente l’assenza di terapie domiciliari corrette e tempestive e la carenza – grave prima, ma imperdonabile dopo la pausa estiva – delle strutture ospedaliere e in particolare dei posti letto in terapia intensiva. È insopportabile che l’AIFA solo in questi giorni, e grazie a una sentenza del TAR, sia stata costretta ad abbandonare le linee guida, reiterate fino al 20/11/2020, dove si indicava l’uso della ‘tachipirina e vigile attesa’ nelle fasi iniziali della malattia. Da mesi era noto ai medici che lavorano sul campo, curando e guarendo malati in carne ed ossa, che tali indicazioni erano addirittura controindicate e responsabili dell’aggravarsi del quadro clinico, spesso con esiti nefasti. Tali linee guida vengono partorite dalle menti geniali di ‘esperti’ che, chiusi nei loro uffici, non hanno visto un malato da anni e che attendono gli studi clinici pubblicati, magari come quello pubblicato sul Lancet e poi ritirato che screditava l’uso dell’idrossiclorochina, prima di dare via libera all’uso di un protocollo.

Ma io domando: è più importante basarsi sui risultati ottenuti da medici che hanno curato malati guarendoli, e quindi evitandone il ricovero, oppure attendere mesi o anni che gli studi clinici vengano pubblicati? La Medicina non è una scienza esatta, è al massimo una pratica empirica e in caso di emergenza come questo non ci si dovrebbe soffermare su tali sottigliezze.

Un’altra domanda mi sorge spontanea: come mai tutti gli organismi di controllo dei farmaci, AIFA compresa, non hanno preteso lo stesso rigore metodologico prima di approvare l’uso dei vaccini?”

Le persone mal curate a casa fanno inevitabilmente risalire i ricoveri, di conseguenza si rimette in moto la macchina dei lockdown (che per la verità non si è mai arrestata) con i relativi danni economici, sociali e psicologici causati dalle chiusure. Aumenta, dunque, l’angoscia nelle persone. Del resto i media stessi, con i dati che danno, enfatizzano continuamente l’impressione che siamo ancora in pericolo e non informano, invece, dell’opportunità delle cure domiciliari e della necessità di potenziarle. Non c’è il rischio, in questo modo, di incidere i modo serio sulla stabilità mentale delle persone?

“La paura nasce in genere dall’ignoto, dall’imprevisto, dall’imponderabile e la comparsa di un virus sconosciuto che si diffonde rapidamente nel mondo intero racchiude in sé tutte queste caratteristiche ma questa è, si può dire, la paura come espressione naturale, direi ancestrale dell’essere umano. Altra cosa è la paura, in certi casi il terrore, veicolata da una martellante, asfissiante comunicazione monotematica, unilaterale, ubiquitaria quale è stata ed è tuttora quella proposta da TUTTI i mass media. Tale assedio quotidiano fatto di bollettini di contagi, di morti e, ultimamente, di vaccini offusca la capacità di discernere e induce, specie i soggetti più fragili e meno dotati di capacità critica, a una sorta di ‘trance cognitiva’.

Soltanto chi riesce a sottrarsi a questa dittatura mediatica può distinguere il vero dal falso o quantomeno riportare i fatti nelle giuste proporzioni. Auspico che col tempo il numero di queste persone ‘mainstream free’ siano sempre di più e possano creare una massa critica tale da arginare il pensiero unico dominante della ‘scienza non è democratica’ di buroniana memoria”.

Ci sono famiglie angosciate perché impossibilitate a vedere i figli o i parenti che soggiornano in strutture che forniscono cure difficilmente garantibili a domicilio e anche disabili abbandonati dall’assistenza domiciliare o scolastica che sono totalmente a carico delle famiglie in seguito al lockdown. E’ pesante anche la situazione di molti anziani residenti nelle case di riposo privati delle visite di famigliari e amici. Quanto la solitudine e l’isolamento incidono sulla salute?

“Uno dei fatti più disumani che hanno caratterizzato questo anno di pandemia è stata la negazione della sepoltura dei morti, un atto vile e inspiegabile che grida vendetta alla dignità e stravolge le basi della convivenza tra esseri umani, un VULNUS ANTROPOLOGICO incancellabile. Altre gravi criticità sono state e sono, indubbiamente, la solitudine e l’isolamento dei malati, la trascuratezza nei confronti dei malati cronici, in primis oncologici, con un conseguente aumento dei decessi e un ritardo nelle diagnosi e nelle cure. Per non parlare dell’isolamento degli anziani, rinchiusi per interminabili settimane nelle RSA o nei reparti di lunga degenza, proprio nei momenti in cui la presenza di una persona cara o di un familiare era necessaria come l’aria per respirare.

Ho una certa esperienza sia come psichiatra che come medico della Fondazione Pantellini e ho spesso a che fare con pazienti terminali o con i loro familiari, posso dire con certezza che l’isolamento forzato può far precipitare un quadro clinico di per sé precario”.

E poi ci sono le nuove generazioni: preoccupa molto l’aumento dei disturbi psichici, in particolare presso le fasce giovanili. Ci sono sintomi che per primi hanno esordio e che possono denunciare, con un minimo di anticipo, una condizione destinata ad aggravarsi e ai quali i genitori devono stare attenti? Con quali mezzi è possibile arginare la situazione?

“Ritengo che il danno maggiore sarà quello a carico dei bambini in età scolare che, costretti a folli rituali privi di ogni fondamento scientifico, introietteranno convinzioni e comportamenti dettati dalla paura e pian piano li crederanno ‘normali’. Si stanno verificando perfino casi di bambini che rifiutano di togliere la mascherina una volta rientrati a casa da scuola o che rimproverano un genitore se non la indossa correttamente. Non voglio poi entrare nel dibattito sui danni enormi creati dalla cosiddetta DAD, danni dal punto di vista formativo, cognitivo e psicologico.

Dalla permanenza forzata in casa un altro grave fenomeno tipico dell’età giovanile è l’accentuarsi della dipendenza dal cellulare, fino alla perdita di contatto con la realtà, assorbiti totalmente da dimensioni virtuali. Conseguenze di ciò, e anche del danno intrinseco da esposizione a inquinamento elettromagnetico, possono essere un aumento dell’irritabilità, dell’aggressività, una flessione nel rendimento scolastico per disturbo dell’attenzione, della concentrazione e, nei casi più gravi, apatia e anedonia fino agli estremi della sindrome Hikikomori.

Infine in età adolescenziale o giovanile uno stato di allarme e di ipervigilanza costante può slatentizzare, in soggetti predisposti, gravi patologie psichiatriche quali disturbo ossessivo compulsivo, paranoia, angoscia ipocondriaca, fobie, in particolare rupiofobia, e di ciò sono stato testimone nella mia attività professionale.

Suggerisco quindi ai genitori di essere molto attenti e alla comparsa delle prime anomalie di comportamento quali, ad esempio, una eccessiva ritualità nell’igiene, una improvvisa chiusura in sé con ritiro e apatia, una attenzione eccessiva allo stato di salute, di non sottovalutare questi sintomi onde evitare lo strutturarsi degli stessi in patologie”.

Infine c’è l’odio per chi è diverso, per chi si pone domande, per chi dissente, chi chiede chiarezza, chi ricorre alla legge per vedere tutelati i propri diritti. Quanto ciò è frutto della propria bolla di ansia, paura e psicosi e quanto invece è conseguenza della narrativa catastrofista alimentata da media, politici ed esperti di turno?

“Abbiamo già accennato all’ostracismo, ai limiti della dittatura, cui vengono sottoposte tutte le voci fuori dal coro, emarginate o nella migliore delle ipotesi dileggiate dai mass media, acritici megafoni del pensiero unico dominante. Medici radiati o censurati solo per aver espresso opinioni in piena libertà di coscienza e pronti al dibattito, ma sistematicamente inascoltati e sanzionati da un Ordine professionale che invece dovrebbe tutelarli.

Purtroppo ho dovuto constatare che la ‘costruzione della paura’, così pervicacemente alimentata dai mass media, ha inciso negativamente anche su menti o coscienze che reputavo refrattarie e ho visto sfumare amicizie storiche perché l’incomprensione, la radicale opposizione si erano frapposte tra di noi”.

E’ scientificamente provato che la paura, protratta nel tempo, può alterare il buon funzionamento del sistema immunitario che, invece, è proprio il nostro principale alleato contro le infezioni virali. Come vincere questa emozione se diventa tanto forte e distruttiva?

“Poco fa parlavo di ‘vulnus antropologico’, ebbene credo che questa pandemia prolungata abbia a tale punto deformato la mentalità del genere umano da trasformare la Paura in un valore intellettuale e il Panico come scelta intelligente, ‘vincente’ nei confronti di chi rifiuta questo ed è etichettato come complottista , negazionista, soggetto pericoloso. Si è ribaltato il cardine assiologico della nostra cultura occidentale: l’eroe di oggi non è più quello del Mito a noi noto, ma è chi abbraccia il panico, chi considera la paura come segno distintivo di superiorità e chi vi si oppone è un pericoloso incivile.

Sappiamo che il sistema immunitario, UNICA arma sicura contro qualsiasi infezione, oltre a necessitare di un microbiota intestinale in sufficiente equilibrio, risente anche di influenze dal sistema nervoso centrale, attraverso i meccanismi ben descritti dalla PNEI, psico-neuro-endocrino-immunologia. È evidente che uno stato di paura persistente, di ipervigilanza costante alteri questo delicato meccanismo con ricadute sul sistema immunitario.

Per concludere, però, vorrei tranquillizzare ricordando che la malattia da SARS-Cov19 è nel 95% dei casi ad andamento benigno e curabile a domicilio, nel 5% dei casi può dar luogo a complicazioni e necessità di cure ospedaliere e in una minima percentuale di casi ha esito infausto, in genere in pazienti molto anziani con grave comorbilità. Riguardo alle terapie domiciliari, invece, posso assicurare che esistono dei protocolli ormai consolidati e praticati da una rete di medici che fa capo a diversi comitati di cui io stesso faccio parte che naturalmente si affiancano o sopperiscono al lavoro dei medici di base: ippocrateorg.org e terapiadomiciliarecovid19.org sono i più attivi.

Esiste anche un protocollo di prevenzione che io suggerisco da tempo ai miei pazienti che consiste nell’uso delle Vitamine D, C, K2MK7, quercetina, lattoferrina, zinco e, più specificamente, anti-CD26 (prodotto omeopatico specifico in fiale). Per i dettagli sono disponibile ad essere contattato in privato (abolognesi9@gmail.com).

Infine, per vincere la paura, un semplice consiglio che già un anno fa avevo suggerito ai miei pazienti e che ribadisco volentieri è di NON guardare la televisione o meglio, se volete guardarla, dedicatevi a canali culturali, musicali, storici, film. Cercate di ascoltare musica, leggere più libri e state all’aria aperta rispettando le regole in modo da non creare conflitti con i vostri simili.

Infine vorrei dire che, a mio parere, questa pandemia finirà, come è sempre accaduto, quando il virus diventerà endemico e stagionale come tutti i virus con i quali, nel corso dei secoli e dei millenni, l’uomo ha sempre convissuto. Così avverrà anche per questo, e ancora più facilmente se non ci saranno troppe forzature. La fine della paura sarà invece legata a quando gli artefici di essa smetteranno di propinarla senza ritegno e ciò potrebbe essere legato, ad esempio, a praticare i tamponi diminuendo i cicli di amplificazione onde evitare i falsi positivi e al fatto che si curino tempestivamente i malati a domicilio liberando così gli ospedali e i reparti di terapia intensiva.

Non faccio alcun appello alla classe politica, vista la assoluta inettitudine dimostrata in questo anno”.

 

 

Chiudere la “parentesi” di Trump?_ di Ingrid Riocreux

Ricordiamo che l’arrivo al potere di Donald Trump era stato considerato come una “sorpresa” e persino come un “salto nell’ignoto” dai media mainstream.

Una sorpresa, quando le cifre hanno accennato alla sua vittoria o, almeno, non hanno escluso radicalmente la possibilità. Un salto nell’ignoto, come se nessuna elezione fosse possibile; soprattutto, come se fosse assolutamente preferibile restare nel campo del prevedibile e del ripetitivo, supplicando la domanda che sarebbe bene appoggiare, mi sembra. In realtà, il trattamento mediatico di questo evento rifletteva l’incapacità di integrarlo nella consueta griglia di lettura del progressismo, quella di un senso della storia che implicherebbe l’inevitabile e sistematico sradicamento delle forze del passato e di ogni individuo identificato come. reazionario o populista (il popolo è un peso morto del passato di cui le élite illuminate vorrebbero sbarazzarsi).

Abbiamo visto questa logica applicarsi nuovamente in occasione della sconfitta dello stesso Donald Trump. Le espressioni usate per qualificare l’evento lo testimoniano. Abbiamo parlato di “chiusura della parentesi”, “risveglio da un incubo”, “fine della ricreazione”. Ciascuna di queste formule è interessante. La fine della pausa rimanda alla volontà di ridurre Donald Trump a una sorta di istrione eccentrico e incompetente.

Da leggere anche:  Intervista a Lauric Henneton- Cosa può rimanere di Donald Trump?

Troviamo questo discredito, in un’altra forma, nella metafora del risveglio dopo un incubo; qui abbiamo chiaramente a che fare con il registro della demonizzazione iperbolica. Notiamo che lo psicoanalista della radio France Info, Claude Halmos, ha dedicato un programma per esporre come interpretazione perfettamente oggettiva di una diagnosi collettiva, che i francesi (sì, noi, perché proviamo molta empatia nei confronti del popolo americano) Si sentirebbe meglio d’ora in poi perché la personalità molto ansiogena di Trump ha lasciato il posto a una figura rassicurante incarnata da Joe Biden. Ma la meno esagerata di queste tre espressioni è senza dubbio la più sintomatica:

Si parla anche di un ritorno alla normalità, come se questi quattro anni di presidenza fossero anormali. Devono apparire come una stranezza, un errore nella storia che ha urgente bisogno di essere cancellato e dimenticato. È in una damnatio memoriaeche i nostri media vorrebbero condannare Donald Trump. Questo trattamento dell’informazione, totalmente di parte, culmina in due fatti giornalistici che hanno attirato la mia attenzione: primo, anche se abbiamo condannato la messa in scena del potere nell’americano praticata da Donald Trump, la cerimonia di inaugurazione ridicolmente kitsch di Joe Biden, che ha coinvolto Jennifer Lopez e Lady Gaga con il suo microfono d’oro, per non parlare dei voli lirici sulla democrazia salvati in extremis da un presunto colpo di stato, non ha suscitato alcun sarcasmo giornalistico. Al contrario, una forma di meditazione, a testimonianza di una piena e totale adesione a questo scenario hollywoodiano del “tutto è bene quel che finisce bene”, ha costituito l’atteggiamento consensuale dei giornalisti che hanno seguito l’evento. Poi, il commento che Joe Biden ha iniziato il suo mandato firmando quasi due dozzine di ordini esecutivi che ribaltano le decisioni del suo predecessore ha chiaramente reso inutile qualsiasi revisione del record del suo predecessore, che è normalmente una costante richiesta e molto necessaria quando il leader lascia il potere. In altre parole, sembra inteso che Donald Trump, come lui sceglie, non ha fatto nulla che valesse la pena ricordare, incompetente che è (tesi di recesso), oppure ha preso solo decisioni sbagliate, dannose com’è (tesi dell’incubo); ma a che serve soffermarsi su quello che ha fatto o non ha fatto visto che, vedete, il suo mandato era solo una parentesi, ormai chiuso. che è normalmente una costante obbligatoria e molto necessaria quando un leader lascia il potere. In altre parole, sembra capito che Donald Trump, come lui sceglie, non ha fatto nulla che meriti di essere ricordato, incompetente che sia (tesi di recesso), o abbia preso solo decisioni sbagliate, dannose com’è (tesi dell’incubo) ; ma a che serve soffermarsi su quello che ha fatto o non ha fatto visto che, vedete, il suo mandato era solo una parentesi, ormai chiuso. che è normalmente una costante obbligatoria e molto necessaria quando un leader lascia il potere. In altre parole, sembra capito che Donald Trump, come lui sceglie, non ha fatto nulla che meriti di essere ricordato, incompetente che sia (tesi di recesso), o abbia preso solo decisioni sbagliate, dannose com’è (tesi dell’incubo) ; ma a che serve soffermarsi su quello che ha fatto o non ha fatto visto che, vedete, il suo mandato era solo una parentesi, ormai chiusa.

https://www.revueconflits.com/trump-biden-medias-riocreux-ingrid/

BREXIT, AFFRONTO O REGALO PER L’EUROPA?_di Hajnalka Vincze

BREXIT, AFFRONTO O REGALO PER L’EUROPA?

Portfolio – 28 gennaio 2021
Nota di notizie

Dietro le infinite lamentele sulla “perdita” del Regno Unito, in realtà molti si rallegrano, chi per un motivo, chi per un altro. I sostenitori dell’Europa federale ritengono che la strada sia chiara ora che il nemico giurato di qualsiasi idea di pooling (approfondimento dell’integrazione) è definitivamente fuori gioco. I campioni di un’Europa indipendente – che dipenderebbe meno dall’America – sorridono alla partenza del “cavallo di Troia” degli Stati Uniti, credendo che il loro momento sia finalmente arrivato: senza Londra, l’eterna torpediniera di qualsiasi iniziativa politica dell’Unione, l’Europa potrebbe anche diventare uno dei poli del potere nel mondo. Tale ragionamento non è del tutto infondato, ma non tiene conto dei malumori interni dei restanti Ventisette.

Sempre presente nelle teste

La Gran Bretagna ha sempre avuto una visione molto particolare della costruzione europea. Ha preferito stare lontano dal suo lancio; non solo, ha creato un’area di libero scambio che dovrebbe competere con esso e renderlo obsoleto sin dal suo inizio. Rendendosi conto del loro fallimento, gli inglesi cambiarono strategia: entrarono per meglio silurare, questa volta dall’interno, tutto ciò che prometteva di diventare più di un semplice mercato aperto. Che si trattasse di tariffe protettive, diritti sociali, autonomia strategica o politica industriale, Londra è stata un freno. Di conseguenza, le lotte più dure e frequenti l’hanno opposta alla Francia, paladina di un’Europa politica e indipendente. Quindici anni fa Jean-Claude Juncker, l’allora primo ministro lussemburghese, ha giustamente osservato, dopo una battaglia franco-britannica particolarmente dura nell’UE: “Qui si confrontano due filosofie. Ho sempre saputo che un giorno o l’altro sarebbe venuto a galla ”.

(Credito fotografico: Reuters)

Non è un caso che ciò sia avvenuto proprio in questo momento. Londra è stata rafforzata dall’adesione, nel 2004, del primo gruppo di paesi dell’Europa centrale e orientale. Nel dilemma “allargare o approfondire” che ha definito i dibattiti per tutti gli anni ’90, la Gran Bretagna spingeva per l’allargamento dell’UE più rapido e più ampio possibile nella speranza di abbattere l’inclinazione politica diluendo il progetto in un gigantesco supermercato. Di fronte a ciò, i francesi – e di tanto in tanto i tedeschi – cercavano di salvare, se necessario sotto forma di un’Europa a più velocità, l’essenza politico-strategica del progetto. Un tentativo coronato da scarso successo. Dopo l’ingresso dei nuovi Stati membri, seguaci della visione britannica, tutto suggeriva che lo scenario di un’Europa dei supermercati addormentata nell’inesistenza geopolitica sotto l’ala protettrice della NATO avrebbe prevalso per sempre.

È vero che lo spirito dei tempi ha lavorato a favore di Londra. Durante i quindici anni trascorsi dal crollo dell’ordine bipolare, il modello globalista-neoliberista controllato a distanza da Washington ha innestato una marcia in più, mentre la NATO, invece di scomparire con la Guerra Fredda, si è adattata, rinvigorita e ha persino effettuato una vera mutazione. In queste circostanze, Londra non ha avuto troppe difficoltà a promuovere, nelle parole dell’ambasciatore Usa, “la posizione comune anglo-americano all’interno dell’UE”. In vista del referendum sulla Brexit, il presidente Obama ha messo in guardia gli elettori britannici: la presenza di Londra è la garanzia che l’UE rimanga economicamente aperta e militarmente attaccata all’America. Sarà interessante osservare, dopo la Brexit, come si comporteranno i paesi membri che fino ad ora, su questi due temi, si nascondevano comodamente dietro Londra.

Minare, dall’esterno

Allo stesso modo, saranno intriganti da osservare gli sforzi che gli inglesi dispiegheranno, d’ora in poi dall’esterno, per indebolire qualsiasi dimensione politica e strategica dell’Unione. Un esempio molto divertente è il caos intorno al sistema di navigazione satellitare, Galileo (“GPS europeo”). Londra è sconvolta dalla perdita, a seguito della Brexit, del suo accesso automatico al “servizio pubblico regolamentato” (PRS) crittografato e ultra sicuro, controllato dai governi e dalle istituzioni dell’UE e in gran parte dedicato agli usi militari. La Gran Bretagna ha giurato il giorno dopo il referendum sulla Brexit che avrebbe messo in atto un proprio sistema simile, dicendo: “la sicurezza dei nostri soldati non può dipendere da un sistema esterno, che non dipende da esso”. Curioso argomento del Paese che, al lancio del programma Galileo, aveva lottato con le unghie e con i denti per impedire ogni uso militare. Con il pretesto del GPS e della NATO, non aveva trovato nulla di imbarazzante nell’essere, insieme a tutti gli altri europei, dipendente da un sistema sotto il controllo esclusivo americano.

Risultato della contesa: oggi l’Europa ha un proprio sistema di navigazione satellitare globale, mentre Londra può solo sperare in una costellazione regionale attaccata al GPS. Per una volta, l’Europa non ha ceduto ai tentativi britannici di sbrogliare. Perché Londra aveva chiesto, al di là dell’accesso diretto, un posto e una voce nel corpo di “governo” e controllo di Galileo. Esattamente come chiede un accesso privilegiato al Fondo europeo per la difesa (FES) destinato ai programmi europei di armamento, dal bilancio dell’UE. Questo gli avrebbe permesso di prendere due piccioni con una fava. Perché la Gran Bretagna ha sempre fatto di tutto per rendere le istituzioni della politica di difesa dell’UE più “flessibili”, cioè permeabili agli alleati della NATO che non sono membri dell’Unione. Da ora in poi, proverà a continuare lo stesso lavoro di affondamento, ma questa volta dall’altra parte dell’uscio.

Faccia a faccia franco-tedesco

Il successo dei tentativi britannici dipende dal fatto che i restanti Stati membri vi cedano o meno. Innanzitutto la Germania, caratterizzata da un’eterna ambiguità ma che generalmente si trova (sulla questione del grande mercato transatlantico di libero scambio o sul primato dell’Alleanza atlantica) piuttosto vicina agli inglesi. Charles Grant, il direttore del Centre for European Reform con sede a Londra, ha avvertito i parlamentari di Sua Maestà all’inizio degli anni 2010: la Gran Bretagna non può permettersi di essere passiva all’interno dell’UE, perché la sua emarginazione rischierebbe di avvicinare le posizioni di Berlino su queste questioni a quelle francesi. Non è un caso che oggi, a seguito della Brexit, la meccanica interna del motore franco-tedesco sia sotto i riflettori.

Con la partenza di Londra, Parigi e Berlino hanno perso un forte alleato all’interno dell’UE, ovviamente su argomenti diversi. Per la Francia, la Gran Bretagna è stata utile nella misura in cui – a differenza della maggior parte dei paesi membri, Germania inclusa – comprendeva l’importanza cruciale di costruire capacità militari (anche se Londra lo considerava piuttosto all’interno della struttura della NATO) e che era ferocemente desiderosa di preservare il carattere intergovernativo delle politiche estere, di sicurezza e di difesa europee. Per i tedeschi, gli inglesi sono stati un prezioso freno, sempre pronti a bloccare qualsiasi iniziativa francese che mirasse ad emarginare la NATO o mettere in discussione i principi del libero scambio deregolamentato. A seguito della Brexit, questo comodo scudo scompare su entrambi i lati; Francia e Germania si trovano ora faccia a faccia.

È sempre più difficile negare che, dietro i grandi discorsi europeisti, i due cerchino di posizionarsi nel modo più vantaggioso possibile l’uno sull’altro. Parigi vorrebbe correggere la sopraffazione economica tedesca proponendo meccanismi di solidarietà finanziaria europea, sempre più collettivizzanti. Berlino, da parte sua, si sta sforzando di neutralizzare le risorse diplomatiche e militari francesi (come il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o la superiorità nella tecnologia delle armi) spingendo, nell’UE, per una sempre maggiore integrazione in queste aree e sostenendo un passaggio delle decisioni a maggioranza qualificata. I due cercano di raccogliere intorno a loro quanti più alleati politici possibili, consapevoli delle rispettive debolezze.

La fine, ma la fine di cosa?

Chris Patten, ex commissario europeo per le relazioni esterne e rettore dell’Università di Oxford, ha prontamente ricordato un disegno della Chained Duck degli anni ’70 che mostrava un minuscolo Primo Ministro britannico, a letto, tra le braccia di una voluttuosa regina, Europa. Quest’ultimo, ovviamente seccato, gli disse: “Entra o esci, mio ​​caro Wilson. Ma smettila con questo ridicolo andirivieni ”. Con la Brexit, gli inglesi finalmente hanno obbedito e se ne sono andati, ma solo dopo più di quarant’anni. Inoltre, nel frattempo avevano in gran parte ridisegnato l’Europa striminzita. Come efficaci portatori dell’ideologia dominante degli ultimi decenni, sono riusciti a diluire il progetto al punto che, oggi, la stragrande maggioranza dei restanti Stati membri perseguirà la linea atlantista-neoliberista. O piuttosto lo avrebbero perseguito … se gli eventi non fossero stati di ostacolo.

Perché in questo periodo di cose ne stanno accadendo a livello internazionale. La pandemia del nuovo coronavirus ha inferto un colpo grave, persino fatale agli occhi di molti, a un dogma globalista-neoliberista che vacilla già da dieci anni. Chi meglio  nell’illustrarlo se non il prestigioso Financial Times di Londra, la Bibbia dei decisori europei, il cui giornale stesso nel suo editoriale dell’aprile 2020 ha sostenuto una rottura con gli orientamenti degli ultimi quattro decenni e ha chiesto un maggiore interventismo da parte dei governi, più ridistribuzione, più spesa statale a favore dei servizi pubblici. Sul fronte transatlantico, la presidenza di Donald Trump ha avuto un effetto rivelatore simile. Dietro i grandi consessi occidentali programmati a intervalli regolari, la realtà è sempre più evidente: alleanza o no, le relazioni sono principalmente determinate dai rapporti di forza tra gli Stati Uniti e l’Europa.

Ciò è generalmente vero anche per lo stato attuale delle relazioni internazionali. La riconfigurazione dei centri di gravità ha dissipato le illusioni sul trionfo universale, inevitabile, del modello liberale occidentale; ha riproposto il confronto tra grandi potenze. Ciò rivaluta, nell’Ue, “la dimensione politica” e “l’autonomia strategica”, le stesse caratteristiche che la concezione britannica avrebbe voluto scacciare una volta per tutte. È questa combinazione di sviluppi esterni (e non la Brexit) che probabilmente rimescolerà le carte in Europa. L’ex primo ministro britannico Harold Macmillan è stato intervistato da un giornalista alla fine degli anni ’50 su ciò che più influenza la politica del governo. La sua risposta: “Gli eventi, mio ​​caro ragazzo, gli eventi! “. Il dilemma dei 27 paesi dell’UE in questi giorni è se rispondere all’accelerazione degli eventi secondo il punto di vista dell’impasse britannico o preferire rilanciare il progetto dell’Europa politica. Ovviamente stanno facendo quello che sanno fare meglio: esitano.

Il testo completo, in ungherese, è disponibile sul sito Portfolio, cliccando qui .

https://hajnalka-vincze.com/list/notes_dactualite/591-le_brexit_camouflet_ou_cadeau_pour_leurope

fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie ( e deleterie) fedeltà, di Massimo Morigi

 Governo Draghi e  lotta alla pandemia fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie ( e deleterie) fedeltà e sottomissioni  e povertà dell’attuale sovranismo

 

Di Massimo Morigi

 

 

In data 15 marzo 2020 sul nostro blog veniva pubblicato  Emergenza Coronavirus. Un appello (http://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210109122918/http://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/), un manifesto programmatico rivolto alle migliori e più consapevoli forze del paese, inteso non solo ad individuare le contromisure specifiche per uscire dall’attuale emergenza pandemica ma anche a precisare quelle contromosse strategiche per eliminare gli atavici problemi strutturali del nostro paese e che la pandemia non aveva fatto altro che acuire. Così concludeva l’ Appello: «Il coronavirus stesso è diventato un veicolo ed uno strumento di confronto e conflitto geopolitico. Gli aiuti sono estemporanei, limitati al momento al contributo della sola Cina, per altro in apparenza responsabile della diffusione del virus, interessati e soprattutto del tutto inadeguati alla necessità. Occorrono una autorità decisionale, una gerarchia, un coordinamento di sforzi che possano garantire non solo l’assistenza sanitaria, la limitazione della diffusione di un virus ancora di fatto sconosciuto, l’ordine pubblico. Non basta. Devono provvedere a rappresentare realisticamente la situazione, a ricostruire un tessuto economico con promozioni, sollecitazioni, incentivi ed interventi diretti a ricostruire le filiere produttive necessarie a garantire nel miglior modo possibile le forniture di sussistenza e i materiali sanitari minimi necessari ad affrontare l’emergenza. La nazione è ancora ricca delle capacità e competenze professionali ed imprenditoriali necessarie; sono da motivare, incentivare e coordinare. Il Governo e buona parte dei vertici istituzionali purtroppo stanno rivelando, pur in una condizione di straordinaria emergenza, la loro inadeguatezza e la loro scarsa autonomia decisionale, la loro permeabilità alle pressioni esterne. Una incertezza deleteria solo in parte comprensibile in una condizione di emergenza inusuale. Una condizione suscettibile di sviluppi e tentazioni inquietanti e dirompenti se non corretta da una attribuzione chiara di responsabilità ed obbiettivi ad organismi direttamente preposti alla gestione della crisi e sotto la diretta responsabilità politica della massima autorità dello Stato. Ai giuristi il compito di definire l’ambito di intervento compatibile e alla massima istituzione di porre in atto le decisioni e le strutture organizzative.». Ora le prime mosse del governo Draghi che è subentrato  al governo degli scappati di casa nel combattere la pandemia sembrano prendere la direzione indicata un anno fa dal nostro appello. Vediamo succintamente di articolare il giudizio che allo stato non può che rimanere sospeso e che disegna uno scenario illuminato da sprazzi di strategia ma ottenebrato dalle ombre  di vecchie e deleterie fedeltà e sudditanze. Ovviamente ottimo che si voglia far intraprendere alla campagna vaccinale un radicale cambio di passo irrorando col più micidiale diserbante le ridicole e truffaldine primule e  affidando il compito a chi professionalmente è formato a gestire le emergenze (protezione civile ed esercito), e ancor meglio che  si abbia avuto il coraggio di licenziare anche brutalmente chi, nelle migliori delle ipotesi, si è dimostrato incapace, pasticcione ed arrogante (non si fa il nome non tanto per paura di querele ma perché il magliaro in questione, fosse solo per la sua incredibile pasticcioneria e supponenza,  meriterebbe la pena di Erostrato, che noi, in mancanza di meglio, siamo i primi ad irrogare). Bene anche che, contro il parere dei vari virologi da pollaio e/o da salotto televiso, si sia presa la decisione di guerra di “sparare” nell’immediato, un immediato che ha tutte le terribili potenzialità di un annichilimento totale delle residue capacità economico-sociali della nazione, tutti i vaccini Pfizer disponibili per riservarsi poi solo in un secondo tempo ancora da definire ma, vista la scarsità delle scorte di questo vaccino, non i tempi indicati nel protocollo di somministrazione, la seconda dose. Insomma, la guerra si fa con i soldati che si hanno a disposizione e che devono essere tutti impiegati in una mobilitazione totale nella presente situazione di incombente disastro e non con quelli sognati nei propri deliri di onnipotenza (o di supponenza o di vera e propria cialtrona e predatoria malafede) e l’irrorazione col diserbante agente arancio dei virtuali campi di primule non è altro che, come si sta vedendo, l’inizio di una vera e propria campagna militare che mobilita tutte le forze dello Stato e della società contro l’agente patogeno. Bene anche che si minacci le case farmaceutiche di produrre in proprio i vaccini, anche se queste minacce di per sé non rimediano nell’immediato alla carenza di vaccini (nell’immediato, perché in una tempistica appena un po’ più dilatata è evidente che la faccenda potrà essere risolta solo con una produzione vaccinale nazionale dei vaccini  e quindi in questa dimensione temporale la minaccia è tutt’altro che insensata) ma male che non si affermi espressamente che in questo caso, come per altro in tutti i casi dove è implicata la sicurezza nazionale, i diritti sui brevetti devono valere meno di niente  (lo ha detto  invece la Chiesa cattolica, vedi Avvenire all’URL https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210227080751/https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, qualche volta la Chiesa cattolica, anche perché negli ultimi anni vilmente attaccata dalle massime organizzazioni internazionali che la vorrebbero annullare politicamente e spiritualmente in nome di un degradato dirittoumanismo e criminale e geneticamente modificato multiculturalismo da laboratorio, sembra trovare, anche se solo reattivamente e rapsodicamente,  il vecchio smalto temporalista…). Ma, infine, male, anzi malissimo, che non si voglia ricorrere a vaccini, come il russo Sputnik in primo luogo ed anche il Sinovac cinese, che possano anche dare solo l’impressione che l’Italia abbia anche seppur timidamente  intrapreso una nuova politica estera informata alla consapevolezza che la realtà  dello scenario internazionale è improntata ad un sempre maggiore (e conflittuale) multipolarismo e che quindi le vecchie appartenenze  ed alleanze se interpretate meccanicamente e non tenendo presente la nuova dinamica multipolare sono la sicura ricetta verso il disastro. E se da questo punto di vista, il nuovo governo non dà proprio alcuna rassicurazione (meglio non irritare il buon zio Biden …), basti vedere non solo il discorso alla Camera del nuovo presidente del Consiglio di una così stretta ortodossia europeista e filoatlantica da denotare una sorta di vera e propria volontaria rimozione dal suo orizzonte di senso degli scenari post ’89 ma anche tutto il suo curriculum che proprio su questa rimozione è stato con successo costruito, danno ancor meno fiducia le c.d. forze sovraniste italiane, le quali quelle rappresentate in Parlamento o hanno de facto abbonato i vecchi scenografici furori o non riescono, pur mantenendoli, di animarli con contenuti adeguati mentre quelle non rappresentate in Parlamento, pur non avendo formalmente retoricamente abbandonato la loro causa, in quanto a mancanza di concrete linee operative alla luce del nuovo governo e della rinnovata lotta antipandemica non hanno ugualmente saputo elaborare una adeguata strategia di risposta  e a livello politico e a livello tecnico-operativo sul fronte delle realistiche e militarmente conformate proposte per combattere il virus. Insomma si è sentita da parte di costoro, dentro o fuori dal Palazzo, esalare la pur minima idea in merito alla necessità di sospendere l’efficacia dei brevetti e/o della dotazione e/o formazione di un nuovo complesso  politico-militare-industrale autonomo e veramente sovranista, ci si passi il termine tutt’altro in sé spregevole ma molto meno apprezzabile nella versione dei suoi aedi,  per combattere non solo la presente pandemia e anche le future, ma anche tutte le terribili sfide che ci presenta il presente mondo multipolare, un mondo dove le vecchie appartenenze e soggezioni rischiano di essere letali per il nostro paese? Il nuovo governo ci dischiude, quindi, inediti e dinamici scenari, caratterizzati dall’inizio di nuovi ed efficaci approcci strategici che convivono con la riconferma, rese semmai ancora più dure e tetragone visto il curriculum e le alte capacità del nuovo presidente del Consiglio, delle vecchie fedeltà e sottomissioni. Un quadro altamente contraddittorio dove, purtroppo, il morente e già vecchio sovranismo italiano non ha più assolutamente nulla da dire. E se per ora la tesi e l’antitesi sembrano politicamente  affidate solo all’abile e capace  (ma anche pericolosissimo, in ultima istanza) nuovo venuto alla politique politicienne (ovviamente non alla politica intesa nel senso del vero e reale esercizio del potere, a meno che non si sia tanto babbei da ritenere che un protagonista per tanti anni delle maggiori istituzioni finanziarie italiane ed internazionali possa essere definito con la ridicola parola di tecnico), per l’antitesi dobbiamo ritornare al nostro Emergenza Coronavirus. Un appello  di cui si è detto  all’inizio. Forse non è molto, forse dal punto di vista di una coerente filosofia della prassi, ai bei concetti e alle giuste parole manca la carne  viva di quelle che un tempo si sarebbero dette le masse. Ma vogliamo solo ricordare che nella politica le cose vanno un po’ come in biologia. In entrambi i casi si tratta di dialettiche dai tempi molto lunghi e similmente alla dialettica pandemica (che fra l’altro una ingenua mentalità vorrebbe  ora risolta in pochi mesi dagli iniziali giusti provvedimenti del governo mentre si tratterà di una vicenda di ben più lunga pezza e ci auguriamo di tutto  cuore che il nuovo presidente del Consiglio sia perfettamente consapevole di questa elementare verità, anzi ne siamo sicuri: anche  da qui l’efficacia ed anche la pericolosità del nuovo capace inquilino di Palazzo Chigi) anche quella politica, ora rinnovata e resa ancor più tumultuosa e contraddittoria dalla prima, dispiegherà le sue evoluzioni su tempi molto lunghi e del tutto imprevedibili nei loro drammatici frutti. E noi in tutte queste future evoluzioni contiamo di esserci e non solo da spettatori e proprio per questo rinnoviamo con ancor maggior forza e determinazione  l’appello già fatto un anno or sono.

POPOLO, ELITE, DEMOCRAZIA, di Pierluigi Fagan

POPOLO, ELITE, DEMOCRAZIA. (Post pensante, quindi pesante) Il “populismo” era una espressione politica manifestatasi a cavallo tra XIX e XX secolo in Russia, negli Stati Uniti d’America e in periodi relativamente più recenti in Sud America. Le prime due manifestazioni politiche fotografavano una opposizione tra una vasta porzione di popolo, agricolo, contro i poteri dominanti del tempo, tempi in cu la composizione sociale era molto semplificata. Leggermente diversa la composizione sociale in Sud America, figlia del diverso corso storico di quel continente. Papa Francesco (che è argentino), ebbe a ricordare che secondo lui, populismo era anche quello di Hitler e del suo partito-movimento che s’impose durante le convulsioni finali della Repubblica di Weimar.
Ho sempre nutrito una infastidita diffidenza verso l’utilizzo recente di questa categoria, in quanto democratico radicale non ho mai capito la differenza tra populismo e demagogia, stante che un democratico sa molto bene cos’è la demagogia in quanto storica malattia degenerativa proprio della democrazia. Non solo la categoria è incerta ma la sua applicazione mi è sembrata molto a casaccio. AfD, FN, Vox, FdI, ad esempio, mi sembrano legittimi partiti di destra, non vedo cosa c’entri il populismo. Avranno la loro percentuale di inclinazione demagogica, ma in comune a molte altre forze politiche in questi tempi di “democrazia spettatoriale”. Non ho neanche mai capito cosa c’entrasse la Brexit col populismo. E’ stata una etichetta intrisa di giudizio negativo, applicata appunto un po’ a casaccio per delegittimare posizione politiche avversarie. Forse se ne può accettare l’utilizzo descrittivo nel caso polacco, ungherese e di Trump, in buona parte per la forma di qualche tempo fa nel caso M5S e Lega, ma sono tutti casi da meglio precisare.
Non è un caso che questa categoria politica nasca come fenomeno politico concreto tra fine XIX ed inizi XX secolo, assieme al suo riflesso teorico. Questa è la “Teoria delle élite” di Mosca-Pareto-Michels. Ma la teoria era descrittiva, il suo utilizzo in chiave prescrittiva che cioè preveda politicamente che possa esistere una possibile contrapposizione secca tra élite e popolo inteso come il 99% di Occupy Wall Street (non a caso fenomeno americano), è un passaggio non compreso in quella teoria. Forse compresa da Michels quando da socialdemocratico tedesco diventò simpatizzante del fascismo italiano della prima ora, ma il caso individuale non è riflesso nella teoria in quanto tale.
Se la contrapposizione élite vs popolo esiste in descrizione, vale anche in prescrizione? Cioè esiste una via politica concreta che opponga le élite al popolo? Direi proprio di no, tranne in un caso. Il caso che prevede questa contrapposizione è quello vagamente oppositivo, ma una opposizione che non sviluppa una sua visione alternativa del potere, solo di interpreti, è movimento di opinione non movimento politico. Quando da movimento di vaga opinione diventa movimento concretamente politico, rischia solo di sostituire una élite ad un’altra, una élite sfidante “buona” fintanto che si contrappone a quella cattiva, ma destinata a trasformarsi inevitabilmente in “cattiva” quando prenderà il ruolo di élite dominante a sua volta. Come faccia una intenzione populista a riportare il potere al popolo, non è mai detto perché diventerebbe una teoria della democrazia che nessuno si sogna minimamente di promuovere davvero.
Sono cinque i fattori che hanno favorito l’affermarsi di questa partizione “popolo vs élite”. Il primo è la torsione globalista-finanziaria del modo economico occidentale, un nuovo modo che di sua natura intrinseca premia moltissimo pochissimi e pochissimo moltissimi. Il secondo è il fondo di impotenza che questa partizione induce, chi sa oggi come contrastare e riformulare il sistema in modo che non produca questa asimmetria di poteri? Il terzo è il collasso del pensiero politico di sinistra occorso all’indomani del ’91. Questo ha lasciato il campo a due fazioni di destra, populiste si sono manifestate le destre conservatrici finalmente in grado di assurgere al ruolo di difendenti il “popolo” considerato un omogeneo post-classista (il concetto di classe, a destra, fa l’effetto che l’aglio fa ai vampiri), in opposizione a quelle liberal-globaliste tacciate di progressismo-elitista, ma non meno di destra anch’esse. Anche parti una volta di sinistra si sono accodate a questa “furia del dileguare” della dicotomia destra-sinistra propagandata dalle destre. Del resto quando il cervello va in pappa l’indistinto della “notte in cui tutte le vacche sono nere” diventa l’unico modo di far funzionare l’apparato interpretativo. Il quarto fattore è la sempre più pronunciata divergenza tra complessità obiettiva del mondo e nostre facoltà di interpretarla. Sintomo di questa divergenza è la fioritura di teorie del complotto che antropomorfizzano e semplificano processi impersonali complessi. Il quinto e più importante, è la crisi ormai decennale della democrazia rappresentativa occidentale. Se in origine la democrazia altro non è che l’assemblea decisionale di individui facenti parte della forma di vita associata, la democrazia rappresentativa ha aggruppato questi individui in partiti e la degenerazione populista ha ulteriormente aggruppato i comunque plurali partiti in una massa indistinta, il popolo. Quest’ultimo passaggio, oltre per la coazione degli altri quattro fattori, si è creato per degenerazione democratica decennale in favore della democrazia spettatoriale. Da spettatori a consumatori il passo è stato breve, la politica diventa una faccenda di marketing, il politico è diventato il prodotto, il voto l’atto d’acquisto. Questo filone degenerativo origina delle specifiche teorie elitiste attive sulla “maggioranza silenziosa” nate in America negli anni ’60.
Il tutto prospera oltreché sui fenomeni nel mondo, da un totale abbandono della teoria politica democratica. Una forma detta “democrazia” ce la siamo trovata fatta quando siamo nati, ormai la generazione che ha vissuto la non democrazia sta scomparendo fisicamente e con lei almeno il ricordo del prima. Se quella forma meritasse o meno il titolo di democrazia non l’abbiamo mai discusso davvero e fino in fondo, perché poco chiaro cosa s’intendesse per “democrazia” in quanto tale. In teoria politica occidentale abbiamo Machiavelli, Bodin, Hobbes, Locke, Montesquieu, il “popolo” sotto forma di Terzo Stato di Sieyès, Tocqueville, vari conservatori à la Burke, Marx, Lenin, a parte Rousseau e pur coi suoi limiti, nessuno era democratico. Le origini del sistema parlamentare sono elitiste, dalla Gloriosa rivoluzione inglese di fine XVII secolo che affonda le sue radici nelle assemblee baronali dei tempi della Magna Charta (inizio XIII secolo). Un sistema nato elitista non diventa democratico solo perché si amplia la base elettorale, è un problema strutturale. C’è anche chi con somma impudenza epistemica usa con nonchalance l’ossimoro della “democrazia di mercato” come fosse un concetto. Da quando un ossimoro può diventare un concetto? qui siamo alla bancarotta logica. Quel sistema è stato usato di malavoglia dai seguici del marxismo-leninismo, tacciato di “democrazia borghese” è stato usato in attesa di fare un qualche salto rivoluzionario. Dove il fatto rivoluzionario s’è compiuto come in Russia, la fase dei soviet è durata lo spazio di un mattino, la fretta rivoluzionaria e le pressioni anti-rivoluzionarie, hanno portato a forme oligarchiche teorizzate già nel concetto di avanguardia del popolo (autonominata tale come tutte le élite).
Insomma, ci siamo dichiarati democratici senza sapere bene cosa significasse, quindi abbiamo accettato il lungo e costante processo di degenerazione attiva della democrazia condotto da élite sapienti, ci siamo ritrovati in assetti sociali descrivibili come élite vs popolo, abbiamo preso una descrizione e l’abbiamo fatta diventare una prescrizione stabilendo che è il popolo a dover dominare e non l’élite, abbiamo aspiranti nuove élite che in nome del popolo vogliono soppiantare quelle vigenti come già successe dalla Rivoluzione francese in poi.
Noi non siamo mai stati democratici, inutile piangere ciò che non c’è mai stato, piangiamo una vaga e romantica intenzione mai diventata pratica politica.

Molto interessante, grazie

Pierluigi

. Noterella brevissima: il potere (qualsiasi potere) è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente. Il potere ugualmente distribuito tra tutti non esiste né può esistere, e l “uno vale uno” del M5* ne è la dimostrazione empirica. Sintesi, le élites ci sono sempre state e ci saranno sempre. Di qui sorgono le questioni a) legittimazione delle – b) ampiezza delle – c) ricambio delle – d) inclusività delle – e) efficacia nella leadership/capacità di competere con altre – f) coesione valoriale tra – e popolo eccetera.

Roberto Buffagni

Dalla nascita delle società complesse cinquemila anni fa, le élite ci sono sempre state. Che da ciò tu tragga certezza che sempre ci saranno è un “non sequitur”.

Pierluigi Fagan

E’ una argomentazione probabilistica + una di logica formale che si basa sul fatto che il potere è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente

Roberto Buffagni

L’induzione è sempre probabilistica. Ma le probabilità lasciano spazio a possibilità contrarie

Pierluigi Fagan

Infatti non dico che sia impossibile, mai dire mai. Mi sembra molto, molto improbabile, ma io sono un reazionario

Roberto Buffagni

A me interessava solo fa notare che una cosa storicamente rarissima e legata a condizioni molto speciali, non diventa probabile se nessuno si applica a pensarla per poi provarla a farla diventare possibile.

NB_Tratto da facebook

 

Conosci il tuo nemico, di George Friedman

Conosci il tuo nemico

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

Di: George Friedman

La cosa più importante nel poker è sapere contro chi stai giocando. Devi conoscere la sua

debolezza – non tutte, intendiamoci, ma una debitamente fatale. Perché il poker è un gioco

complesso, richiede una vastità di talenti umani che devi presumere che i punti di forza del

tuo avversario siano molti. Con una debolezza puoi possedere il tuo avversario, e forse la notte.

Lo stesso vale per il gioco delle nazioni. C’è una tendenza tra le persone e le nazioni ad essere

genuinamente consapevoli delle proprie mancanze e ad ignorare le debolezze altrui.

Gli Stati Uniti vivono un momento particolarmente difficile per arrivare a una valutazione

globale delle altre nazioni, in particolare delle loro debolezze. Ciò è in parte dovuto all’enorme

numero di nazioni con le quali una grande potenza deve confrontarsi, in parte perché i suoi

cittadini tendono ad essere ipercritici nei confronti della propria nazione e quindi sovrastimano

le altre nazioni. Altrettanto spesso scambiano i punti di forza per punti deboli o viceversa.

Prima della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno sottovalutato ampiamente il

Giappone su tutto; dalla sua capacità di produrre aerei da combattimento di qualità superiore

alla sua incapacità di pensare attraverso un’astuta mossa d’apertura. Gli Stati Uniti

disconoscevano anche le loro debolezze; l’esercito e la marina erano tra loro nemici mortali.

In molti modi, non rispondevano a nessuno. Washington pensava che le forze navali giapponesi

avrebbero collaborato con il loro esercito, pianificando operazioni congiunte, condividendo

strutture e così via. Di conseguenza, le opportunità sono andate perdute.

Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti consideravano l’Unione Sovietica come un’immagine

speculare di se stessi. Contava i carri armati di Mosca ed era sbalordito dal loro numero, senza

rendersi conto che in molti casi erano in rovina o che avrebbero avuto grossi problemi a

mantenere l’erogazione del carburante durante l’offensiva. Gli Stati Uniti giunsero alla

conclusione che i sovietici avrebbero invaso la NATO in breve tempo, e quindi fecero piani

per l’uso di armi nucleari tattiche. I politici statunitensi non si sono mai preoccupati di

chiedersi: se i sovietici ci hanno inchiodati, perché non agiscono? Questa eccellente domanda

è stata discussa raramente. Il potere sovietico era un dato di fatto, tranne per il fatto che i

sovietici non attaccavano perché non potevano. In altre parole, gli Stati Uniti si preoccupavano

dei punti di forza dell’Unione Sovietica piuttosto che delle sue debolezze.

Quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq, pensavano che la missione principale fosse la distruzione

dell’esercito di Saddam Hussein e che una volta ottenuto ciò avrebbero potuto imporre loro la

propria volontà. Non capiva che il regime si basava su una società armata, violenta e capace.

Né capiva il ruolo che avrebbero giocato gli sciiti. In questo caso, gli Stati Uniti hanno perso la

forza dietro l’apparente debolezza dell’Iraq. Il risultato fu una guerra prolungata che gli Stati

Uniti hanno perso non vincendola.

Da allora la Cina è diventata il principale avversario di Washington. Come con i sovietici, gli

Stati Uniti contano il materiale militare come se solo questo ci dicesse del potere della Cina.

La marina cinese non ha combattuto una battaglia tra flotte dal 1895, quando il Giappone le

ha schiacciate. In un confronto con gli Stati Uniti, né l’aviazione cinese né la marina hanno

abbastanza esperienza in battaglia. Né hanno la memoria istituzionale della guerra per

sostenerli. Tutte le esercitazioni e l’equipaggiamento più brillante del mondo non preparano

alla guerra ammiragli o sottufficiali inesperti.

Con il Giappone, gli Stati Uniti non sono riusciti a riconoscere quel profondo difetto nelle forze

armate. Nella Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno sopravvalutato il loro nemico. In Iraq, gli

Stati Uniti non sono riusciti a capire la struttura della resistenza che avrebbero incontrato.

E ora con la Cina, non riescono a riconoscere un nemico ben addestrato ma inesperto.

Nel poker, non capire le debolezze degli altri giocatori o, peggio, non vederne nessuna, è un

errore costoso. Ma sono solo soldi. Il fallimento degli Stati Uniti nel capire l’Iraq gli è costato

molto sangue e risorse. Non vedendo la principale debolezza militare della Cina, gli Stati Uniti

agiscono con una timidezza che non è del tutto giustificata e perdono l’opportunità di

ristrutturare forse pacificamente le loro relazioni con la Cina.

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LA CARNASCIALATA E L’IMPEACHMENT DI TRUMP, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA CARNASCIALATA E L’IMPEACHMENT DI TRUMP

Le vicende successive all’irruzione a Capitol Hill ci hanno indotto a tornare ad intervistare Machiavelli, sempre così premuroso e disponibile.

Ecco cosa ci ha detto.

Cosa pensa dell’irruzione dei sostenitori di Trump al Congresso?

Che è stata una gran carnascialata. Ai tempi miei per fare un golpe s’usavano pugnale e veleno. Nel secolo scorso fucili e carri armati. A parlare, come fa la vostra stampa, di colpo di stato, Cile e così via si entra nella comicità. Ma tant’è: vi vogliono prendere tutti per grulli.

Ma è stato violato il tempio della democrazia… Ai tempi nostri si ammazzava in quello di Dominenostro, dove i Pazzi assalirono i Medici in una delle più belle chiese del mondo, e spensero Iuliano. A pugnalate e non in costume e con le corna.

Ma è stato violato qualcosa di sacro…

Voi il senso del sacro lo celate così bene che l’avete perso. A forza di negarlo non sapete più dove sta. Il che non vuol dire che non ci sia. Solo che lo tirano fuori solo quando serve ad abbindolare il popolo. Utile a legittimare il potere nell’occasione opportuna, e dimenticato in tutte le altre. Guardate come rispettano, a casa vostra, la volontà del popolo: negli ultimi dieci anni avete cambiato sette governi, uno solo dei quali poteva vantare di avere la maggioranza dei suffragi popolari espressi nelle elezioni. Spesso i capi del governo non erano stati eletti neppure in un’assemblea di condominio, e poco o punto conosciuti al popolo. Anche perché, visti i risultati, a conoscerli li avrebbe accuratamente evitati.

A cosa è dovuta, secondo Lei, quest’abitudine a prendere per grandi e decisivi eventi di scarsa rilevanza. E così a promuoverli da carnascialate a eventi storici?

Gli è che voi non volete vivere nella storia né studiarla, ma ne avete una nostalgia nascosta, che spesso vi sollecita non la ragione, ma la fantasia. Così credete di vivere eventi epocali, mentre invece state assistendo, appunto, a carnascialate. D’altra parte vivete rischiando poco, assai meglio che in qualsiasi altra epoca, ma vi annoiate parecchio. Compensate così la piattezza del reale con l’eccitazione del fantastico. Noi avevamo a che fare con le picche svizzere e le spade spagnole, e dovevamo stare ben attenti a guardarci da entrambe. Voi spade e picche le dovete creare e così vi limitate ai giochi da computer.

E che ne pensa del processo a Trump per, come dice lei, la carnascialata?

Che tutti sapevano come sarebbe andata, mancando al Senato i numeri per la condanna ed essendo evidente che la carnascialata non era nulla di preoccupante, oggi.

Ma è un sintomo per il futuro. Scriveva Lenin che non si combattono le battaglie che si sanno perse in partenza. Ed è vero come regola, ma talvolta posso esserci delle eccezioni.

Solo che le cause profonde della carnascialata non si eliminano con i processi: né quelli che si vincono e ancor più se si sanno persi.

Lei ha scritto che i processi politici sono utili alla Repubblica.

Purché si concludano con una giusta valutazione dei fatti per cui si accusa “le accuse giovano alle repubbliche quanto le calunnie nuocono”.

Il buon senso ha fatto sì, che, seguendo gli ordini, sia stato conseguito il risultato meno dannoso. Hanno dato sfogo agli omori senza attizzarne altri, contrapposti.

Allora meritano la sua approvazione?

Per ora si. Per il futuro, vedremo.

Teodoro Klitsche de la Grange

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