Covid e vaccini, qualcosa non quadra, con Max Bonelli

La recente ondata pandemica è stata l’occasione e il moltiplicatore di appetiti e manipolazioni di una rete di potere e di interessi da sempre all’opera, ma che ha trovato il momento opportuno per scardinare anche la sola parvenza di equilibrio di interessi e di sussunzione o quantomeno contemperamento dell’interesse privato alle esigenze e alla salute di una comunità. I redattori del sito, nella serie di articoli ed interventi, hanno sempre cercato di distinguere l’esistenza oggettiva del problema, compresa la necessità della ricerca scientifica e della problematica complessa che sottende anche nella fase di speriementazione, dalla manipolazione scandalosa della gestione, ben condita di cialtroneria e mire di pesante condizionamento; fermo restando che affrontare un problema simile comporta sempre e comunque una gestione politica ben lontana da pretese di “neutralità”. La gestione della pandemia, purtroppo, rappresenta solo un episodio di questa pesante manipolazione sempre più rude ed ostentata, espressione di élites tanto sicure di sè quanto arroccate e fragili, insensibili alle esigenze di coesione ed equilibrio sociale. In questa conversazione affrontiamo un aspetto di questa gestione in Svezia. Sottolineo che l’Italia ha vissuto situazioni ancora più paradossali, a partire dalla azione censoria e persecutoria di astanti particolarmente portati ad un proscenio da baraccone di luna park. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3qzc9a-postumi-di-una-pandemia-con-max-bonelli.html

Qui sotto, invece, i link di riferimento della conversazione:

https://rumble.com/v1do1rb-covid-vaccination-and-turbo-cancer-pathological-evidence-with-english-subti.html

https://vigilantnews.com/post/turbo-death-from-turbo-cancers-were-in-trouble-says-dr-ryan-cole

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Stati Uniti, elezioni presidenziali! Il nemico dichiarato Con Gianfranco Campa

Tra colpi bassi, schermaglie, mosse e contromosse la campagna per assurgere al ruolo di candidato alle presidenziali statunitensi comincia a muovere i propri spietati ingranaggi. Tante rivalità ma per scacciare in qualche maniera uno spettro che si sta trasformando in un incubo incombente del quale sarà sempre più urgente, ma ancora più costoso liberarsi: Donald Trump. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3i08p6-stati-uniti-elezioni-presidenziali-il-nemico-dichiarato-con-gianfranco-camp.html

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POTERI INVADENTI, POTERI INVASIVI, POTERI DECADENTI_Con Augusto Sinagra

Le vicende politiche italiane degli ultimi quaranta anni hanno conosciuto una costante: la crescente influenza e determinazione delle scelte politiche da parte del Presidente della Repubblica. Un’opera che, svolta discretamente e spesso contrastata sino agli anni ’80, ha finito per imporsi progressivamente e platealmente. Da figura prevalentemente di garanzia degli equilibri tra istituzioni si è trasformata in soggetto (iper)attivo. Un processo che non a caso accompagna il peso crescente di particolari ordinamenti, nella fattispecie il giudiziario, e una dinamica di feudalizzazione dei gruppi di poteri e decisionali interni allo stato. Un garante, quindi, dell’indiscutibilità del sistema di alleanze internazionali cui è assogettato il paese e della conservazione degli attuali centri decisori a qualunque costo, tanto più a dispetto della evidente necessità e volontà di cambiamento confusamente espressa in questi anni. Il paradosso è che a sostenere questa trasformazione surrettizia e degradante degli assetti istituzionale sono quelle forze politiche che ipocrritamente da anni strillano allarmate contro una svolta presidenzialista in qualche modo regolamentata normativamente. L’apoteosi di una politica dei colpi di mano e di un ceto politico e dirigente decadente, autocratico ed autoreferenziale, esiziale per le sorti della nazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3d1iu8-poteri-invadenti-poteri-invasivi-poteri-decadenti-con-augusto-sinagra.html

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Scontro di simboli, in realtà piuttosto seri, di AURELIEN

Scontro di simboli
Sono piuttosto seri, in realtà.

AURELIEN
23 AGO 2023
Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili here . e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili  here. Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e sto discutendo la possibilità di pubblicare anche alcune traduzioni in francese. Grazie a tutti i traduttori. Passiamo ora al tema principale.

Vivere durante la Guerra Fredda non è stato privo di momenti di ansia e persino di paura: c’erano volte in cui si andava a letto chiedendosi se al mattino ci si sarebbe svegliati come un croccante radioattivo. Eppure, nonostante l’angoscia e le crisi seriali, c’era qualcosa di abbastanza confortante in quei giorni: la certezza morale con cui l’Occidente si sentiva in grado di guardare il mondo. Dopo tutto, in generale, gli standard di vita in Occidente erano più alti, c’era più libertà politica e non c’erano recinzioni che tenessero le persone dentro. (In effetti, pochi anche tra i più feroci critici della politica occidentale hanno mai pensato seriamente di andare a vivere in Unione Sovietica).

Lo stesso valeva a livello strategico. Le forze della NATO erano equipaggiate, addestrate ed esercitate per una battaglia difensiva in Germania, e di fatto non sarebbero state in grado di organizzare un’operazione aggressiva: semplicemente non esistevano le infrastrutture per permetterlo. Nel frattempo, l’Armata Rossa aveva una dottrina formale di guerra offensiva preventiva e le sue truppe erano equipaggiate e addestrate per operazioni offensive.

L’effetto di tutto ciò fu quello di scoraggiare molte speculazioni o analisi. Si presumeva non solo che l’Unione Sovietica vedesse la NATO come un’alleanza puramente difensiva, ma anche che capisse che la NATO interpretava correttamente la politica sovietica come aggressiva, e che stesse rispondendo ad essa. Perciò non so quanto spesso ho sentito o letto resoconti di politici dei Paesi della NATO che si assicuravano a vicenda che “i russi sanno che non rappresentiamo una minaccia per loro”. Alcuni di noi, all’epoca, si chiedevano se fosse così semplice, e questo è uno dei motivi per cui la maggior parte di noi non è mai andata oltre le poltrone. Sicuramente, pensavamo, bisognava tenere conto dei postumi del trauma della Seconda Guerra Mondiale, e non solo delle sofferenze, ma anche del ricordo della mancanza di preparazione dell’Armata Rossa nel 1941. Ma, come ho detto, questa non era una visione popolare all’epoca.

Quando la guerra fredda è stata bruscamente cancellata, c’è stata un’ondata di visite reciproche da parte degli staff militari e di intelligence delle due parti, e le persone che sono andate nel Patto di Varsavia sono tornate con storie quasi impossibili da credere. Sì, credevano che fossimo una minaccia. Sì, pensavano che un attacco della NATO potesse arrivare con un preavviso di appena due ore, motivo per cui gli ufficiali di stanza in Germania non potevano mai allontanarsi dalle loro unità per più di quel tempo, nemmeno in licenza, e perché c’erano hangar riscaldati pieni di carri armati riforniti di carburante e con munizioni già caricate, pronti a partire, mentre i loro equipaggi dormivano in capanne non riscaldate accanto a loro.

Man mano che i documenti diventavano disponibili dopo la caduta del Patto di Varsavia e la fine dell’Unione Sovietica, diventava chiaro che questi atteggiamenti arrivavano fino ai vertici del sistema sovietico. E quando i documenti del governo della DDR divennero disponibili dopo l’unificazione, divenne chiaro che il discorso pubblico della DDR, secondo cui il regime della Germania Ovest era solo un nazista rinato, non era solo un insulto politico, era letteralmente ciò che pensavano e la base della loro intera politica estera e di sicurezza. (Si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che i leader coinvolti stessero compensando il fatto di non aver avuto alcun ruolo attivo nella Seconda guerra mondiale: erano nascosti a Mosca);

Eppure l’Unione Sovietica disponeva di servizi di intelligence militare altamente qualificati, e la Statsi della Germania Est si era infiltrata a fondo nel governo di Bonn, ottenendo un notevole accesso alla politica e al processo decisionale della NATO. Nessun analista serio a Mosca, con tutto questo a disposizione, poteva davvero pensare che la NATO stesse pianificando una guerra offensiva e, ovviamente, per estensione, poiché la NATO non stava pianificando una guerra offensiva, l’alleanza era del tutto incapace di immaginare che qualcuno potesse pensare che lo stesse facendo. In questo modo, la guerra fredda è stata ancora più pericolosa di quanto si potesse immaginare all’epoca. Non a causa delle frasi giornalistiche sui “dieci minuti di distanza dalla guerra nucleare” – le procedure di rilascio del nucleare non funzionano così – ma a causa della totale e catastrofica incapacità delle due parti di comprendere le motivazioni e gli obiettivi dell’altra. Sentivo allora, e sento tuttora, che le due parti sapevano tutto l’una dell’altra, tranne ciò che era veramente importante. È un peccato che questa totale incomprensione reciproca non sia mai stata molto pubblicizzata in Occidente, in quanto messa da parte dai festeggiamenti per la vittoria e dal caos generale che seguì la fine della Guerra Fredda. Del resto, non ha mai avuto grande risonanza nemmeno in Russia.

Sebbene la Guerra Fredda sia stata speciale da questo punto di vista, non è stata unica. Piuttosto, fu un esempio particolarmente grossolano di qualcosa che si riscontra a tutti i livelli, dalle relazioni personali fino alla politica internazionale: l’incapacità di accettare che un’altra persona, un organismo o un Paese possa avere le proprie ragioni per fare ciò che fa, che gli sembrano valide e che, molto spesso, può esporre in modo coerente se gli viene chiesto. Più un sistema politico è potente e radicato, più questa incapacità diventa grave e potenzialmente pericolosa. Lo vediamo attualmente in Ucraina, e tornerò sull’argomento più avanti, ma restiamo per un momento alla Guerra Fredda, perché l’esempio ha altre lezioni per noi.

Perché l’Unione Sovietica avrebbe dovuto presumere che la NATO li avrebbe attaccati, quando tutte le analisi tecniche dicevano che la NATO non aveva questa capacità? Ora, parte della ragione era ideologica: La dottrina marxista-leninista presupponeva che, nel momento in cui il trionfo mondiale del sistema comunista fosse stato imminente, gli imperialisti avrebbero lanciato una guerra totale all’ultimo respiro, volta a vanificare tale trionfo. Come sempre accade con queste dottrine, è difficile sapere quanto sia stata presa sul serio, ma la risposta sembra essere almeno ragionevolmente seria. E se si crede a una dottrina del genere, questo influenza il modo in cui si guarda al mondo e ciò che si vede in esso. Ma c’era dell’altro. Nel 1941, l’Unione Sovietica era disastrosamente impreparata alla guerra. Gli storici si stanno ancora scontrando sugli eventi del 1936-41 e sul grado di responsabilità delle purghe staliniane e, più in generale, delle politiche di Stalin per questa impreparazione. Ma l’unica lezione che tutti coloro che avevano l’età per attraversare la guerra si portarono via fu: mai più. Invece di aspettare, avrebbero colpito per primi. Invece di cercare di rimandare l’inevitabile conflitto, lo avrebbero iniziato. E nel breve termine avrebbero costruito le loro forze armate fino a raggiungere un livello di grandezza, potenza e prontezza tale che nessun aggressore le avrebbe attaccate a cuor leggero. Il pensiero che queste dimensioni e questa potenza potessero preoccupare gli altri non sembra essere entrato nei calcoli politici.

Quindi, in un senso molto reale, l’Armata Rossa del 1989 era ciò che avrebbe dovuto essere l’Armata Rossa del 1941. Simbolicamente, era un tentativo di cancellare il disastro del 1941, quasi come se non fosse mai accaduto. Il fatto che le circostanze oggettive fossero molto diverse non è stato preso in considerazione. Gli effetti di questo trauma sono visibili ancora oggi, in alcuni discorsi di Putin e nella sua dichiarazione dell’anno scorso secondo cui forse avrebbe dovuto agire più rapidamente sull’Ucraina e non cercare, come fece Stalin, una soluzione diplomatica. Naturalmente non siamo più nel 1941, come non lo eravamo durante la Guerra Fredda, ma la politica simbolica ha una sua dinamica, indipendente dal tempo e dalle circostanze.

Ironia della sorte, i responsabili delle decisioni in Occidente hanno vissuto un processo essenzialmente parallelo. Erano perseguitati non solo dalla distruzione dell’Europa tra il 1940 e il 1945, ma ancor più dalla persistente e ossessiva convinzione che in qualche modo, se solo fossero stati abbastanza intelligenti, tutto ciò avrebbe potuto essere evitato e la minaccia di Hitler affrontata in un momento precedente. In realtà, naturalmente, gli statisti degli anni Trenta avevano un problema insolubile: più di quanto lo avesse l’Unione Sovietica. La Germania era stata sconfitta nel 1918, ma la sua base industriale non era stata danneggiata, la sua popolazione era sostanzialmente superiore a quella della Francia e non c’era nulla che si potesse fare, alla fine, per impedirle di riarmarsi e di vendicarsi di Versailles. La sua economia non era appesantita dal debito, poiché, a differenza di Gran Bretagna e Francia, il suo sforzo bellico era stato finanziato da prestiti interni, che l’inflazione aveva cancellato. A un certo punto sarebbe sorto un governo che avrebbe cercato di rovesciare le limitazioni militari di Versailles e di ricostruire le proprie forze. Perciò il commento attribuito al maresciallo Foch nel 1919 – “questa non è una pace, è un armistizio per vent’anni” – sebbene perspicace, non era in realtà una conclusione così difficile da raggiungere. Come i sovietici, l’Occidente cercava di ritardare l’inevitabile: la generazione di leader nazionali degli anni Trenta aveva vissuto la guerra e quasi tutto sembrava preferibile ad altre montagne di morti. Alla fine, la Seconda guerra mondiale non era davvero evitabile, anche se è stato possibile costruire scenari elaborati in cui sarebbe stata meno probabile. Ma mentre la guerra con un altro regime tedesco avrebbe potuto arrivare più tardi, o essere meno distruttiva, una volta che i nazisti erano al potere la guerra era inevitabile e destinata a essere totale, perché l’intera dinamica del regime nazista era orientata alla guerra e la sua stessa sopravvivenza dipendeva da una serie di guerre vittoriose. In queste circostanze, la risposta britannica e francese – un programma di riarmo d’emergenza combinato con un tentativo di risolvere pacificamente le rivendicazioni territoriali della Germania dopo il 1918 – era praticamente l’unica politica disponibile.

Alla riunione di Monaco del 1938, i britannici e i francesi fecero uso della loro superiorità militare, di cui Hitler era scomodamente consapevole, per minacciare la guerra se la Germania avesse lanciato un’invasione della Cecoslovacchia. (Ma non si poté fare nulla per fermare l’assorbimento dei Sudeti, che erano stati annessi alla Cecoslovacchia nel 1919, in una tipica costruzione a puzzle delle Grandi Potenze, ironicamente per dare al nuovo Paese una frontiera difendibile. (E anche tra i più feroci critici dell’accordo di Monaco, allora come oggi, sono pochi quelli che sostengono la necessità di una guerra che devasta nuovamente l’Europa e che causa milioni di morti, per evitare che un gruppo di tedeschi si unisca a un altro.

Eppure, l’orrore e la devastazione della guerra sono stati tali che fin dall’inizio hanno scatenato una pulsione quasi nevrotica a trovare un’alternativa, qualsiasi alternativa, alle politiche che erano state effettivamente seguite negli anni Trenta. Le fantasie di guerre preventive (che si dissolvono semplicemente guardando una carta geografica) o di un’alleanza occidentale-sovietica (che richiede ai polacchi di accettare l’occupazione da parte dell’Armata Rossa) sono iniziate immediatamente, e sono continuate fino ad oggi. Se solo… qualcosa.

Ma se non si può cambiare il passato, si può almeno cercare di evitare che si ripeta e così, come per l’Unione Sovietica, l’Occidente dopo il 1945 ha cercato di cancellare la macchia del passato facendo le cose in modo diverso. Come l’Unione Sovietica temeva un’altra guerra istigata dall’Occidente, così l’Occidente ora temeva che l’Unione Sovietica avrebbe usato la debolezza europea per estendere il suo controllo territoriale, come aveva fatto la Germania negli anni Trenta. (Inutile dire che il realismo di questi timori è del tutto irrilevante se consideriamo la situazione a livello simbolico). Leggendo le memorie e i documenti dell’epoca, è sorprendente quanto le classi politiche europee fossero paralizzate dalla paura per la possibilità di una crisi di sicurezza con l’Unione Sovietica, tanto più dopo il consolidamento del potere sovietico nell’Europa orientale. Diventa quindi evidente che il Trattato di Washington del 1949 rappresentava simbolicamente l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea che negli anni Trenta non c’era mai stato e che, secondo molti, avrebbe fatto riflettere Hitler. Allo stesso modo, la costruzione dell’alleanza militare della NATO dopo il 1950 era simbolicamente il fronte militare unito contro Hitler che avrebbe evitato la sconfitta del 1940. La motivazione era la stessa dell’Unione Sovietica dopo il 1945: mai più.

Il problema, naturalmente, è che quando si applica la politica simbolica al mondo reale, si ottengono inevitabilmente risultati sbagliati e pericolosi. E quando due gruppi diversi rispondono allo stesso fallimento storico percepito da direzioni diverse, e ciascuno usa le relazioni con l’altro come meccanismo per riscrivere efficacemente il passato, beh, forse siamo stati abbastanza fortunati a non essere patatine radioattive, dopo tutto. La situazione era complicata dal fatto che nessuno dei due voleva difendere le politiche degli anni Trenta e tutti cercavano un modo per prendere le distanze dai responsabili dell’epoca. Dopo la morte di Stalin nel 1953, Kruscev, che era stato vicino al dittatore, si affannò a seguire la buona regola politica secondo cui i morti possono essere facilmente incolpati perché non possono rispondere. Le lezioni erano semplici da imparare: più armi, maggiore preparazione, maggiore diffidenza verso l’Occidente. In Occidente la situazione era più complicata, ma la narrazione dominante fu rapidamente stabilita da due uomini, Churchill e De Gaulle, che avevano ciascuno ragioni per presentarsi come voci nel deserto. L’immensamente influente storia della guerra di Churchill (di cui scrisse alcune parti) stabilì la narrazione ufficiale, di ozio e debolezza che permettevano “agli empi di riarmarsi”. Churchill avrebbe saputo che si trattava di sciocchezze – il riarmo britannico era iniziato nel 1936 e gli Spitfire e gli Hurricane del 1940 erano in fase di sviluppo da anni – ma era essenziale per l’affermazione della sua immagine di salvatore nazionale. Allo stesso modo, De Gaulle promosse l’immagine fallace di un esercito francese inadeguatamente armato e in inferiorità numerica, sopraffatto dalla Wehrmacht, ma che avrebbe comunque vinto se avesse adottato le sue proposte di guerra corazzata di massa.

Il trionfo di questi discorsi ha portato da allora a una mentalità che vede gli ultimi anni Trenta come un deposito infinito di lezioni per il futuro e di errori da evitare. Ciò ha prodotto, in particolare, una disperata ricerca di nuovi eventi e individui che potessero in qualche modo essere utilizzati come surrogati del Terzo Reich e di Hitler, indipendentemente dalla loro effettiva diversità. Nell’Europa esausta della fine degli anni Quaranta, fu facile vedere Stalin come il “nuovo Hitler” e agire di conseguenza. Ma la stessa logica fu presto applicata altrove: la guerra in Algeria, ad esempio, era il tentativo di Stalin di smembrare la Francia proprio come aveva fatto Hitler nel 1940. La spedizione di Suez fu lanciata per impedire a Nasser (il “nuovo Hitler” degli anni Cinquanta) di spargere guerra e distruzione in tutto il Nord Africa. I nuovi Hitler sono stati trovati ovunque, e Patrice Lumumba, il politico congolese, e persino Nelson Mandela, sono stati visti come gli equivalenti di Conrad Heinlein, il leader nazista nei Sudeti, che preparava la strada alla conquista sovietica dell’Africa. La guerra del Vietnam è stata notoriamente combattuta secondo questa stessa logica, ma, quindici anni dopo, le stesse argomentazioni sono state addotte per la guerra del Golfo 1.0: il presidente Bush aveva letto, come ha osservato all’epoca, libri sulla Seconda guerra mondiale. E quando suo figlio era al potere e la Guerra del Golfo 2.0 si avvicinava, l’invasione dell’Iraq poteva essere vista come la guerra preventiva che era stata sognata fin dal 1938.

Il punto, naturalmente, è che l’espiazione simbolica del passato – che è ciò di cui ci occupiamo qui – non ha un punto finale evidente. Non si può mai dire che sia finita, perché il passato è ancora passato. O, per dirla con William Faulkner: “Il passato non è morto. Non è nemmeno passato”. In questo, l’espiazione simbolica differisce dalla riconciliazione storica vera e propria, o anche dalle richieste di restituzione. Il Trattato dell’Eliseo del 1962, come la visita di Kohl/Mitterrand a Verdun nel 1984, rappresentava una risoluzione simbolica di centinaia di anni di animosità e competizione. Non era assoluta, e non poteva esserlo, ma i due eventi hanno rappresentato un riconoscimento a livello di élite che non aveva senso continuare l’inimicizia e che una qualche forma di cooperazione era essenziale. Ma l’espiazione, essendo simbolica e non limitata nel tempo e nello spazio, non può mai avere fine.

In Russia, come in Occidente, siamo ormai a diverse generazioni di distanza dagli eventi della Seconda guerra mondiale e dalle sue origini. La prima generazione, che ha vissuto la guerra, ha reagito alle proprie esperienze. La seconda generazione ha reagito piuttosto a ciò che le veniva raccontato, a ciò che era scritto nei libri di storia e al modo in cui gli eventi di quegli anni venivano confezionati e compresi. Nella terza generazione, molte di queste idee sono entrate subliminalmente nell’inconscio dei responsabili delle decisioni e sembrano rappresentare principi generali, se non proprio il “buon senso”. In Occidente, ad esempio, parlare di “resistenza all’aggressione” è ormai completamente avulso dal contesto storico in cui ha avuto origine ed è diventato una formula priva di significato, anche se continua a guidare il pensiero e la visione del mondo di chi occupa posizioni importanti. Tali idee sono diventate segni e, come tutti sappiamo, il significante non è la stessa cosa del significato.

Ora è evidente, credo, da dove derivi gran parte dell’incomprensione reciproca sull’Ucraina e perché la situazione sia così pericolosa. Sembra improbabile che Mosca si consideri letteralmente di fronte a un Quarto Reich, così come sembra improbabile che l’Occidente creda di trovarsi di fronte a un tentativo di conquista dell’intera Europa. Il problema è che siamo limitati dalla nostra conoscenza ed esperienza nei modelli concettuali che abbiamo a disposizione, e quindi spesso ci rifugiamo in modelli che almeno crediamo di capire, anche se non riflettono necessariamente la realtà degli eventi storici con precisione, per non parlare di quelli odierni. Questo per dire che una domanda tipica in una crisi non è “cosa sta succedendo qui?”, ma piuttosto “a quale esempio storico che ricordo di aver letto sembra assomigliare di più?”. Quanto più lontano è l’esempio storico reale, quanto più tenue è la nostra conoscenza di esso, tanto meno ha valore. Ma questo non ci impedisce di aggrapparci ad esso, perché ci fornisce un modo per capire ciò che vediamo, soprattutto quando abbiamo poco tempo a disposizione per decidere.

Ma è ovvio non solo che la storia non si ripete, ma che anche eventi storici solitari sono percepiti in modi diversi da attori diversi. Come ho suggerito, l’Unione Sovietica e l’Occidente hanno tratto lezioni dallo stesso insieme di eventi storici, ma le hanno applicate in modi molto diversi. Da quello che posso giudicare, i sentimenti russi nei confronti della politica occidentale in Ucraina (sempre tenendo conto della postura politica) si collocano in modo relativamente diretto nella linea di pensiero della Guerra Fredda, il che non sorprende data la centralità dell’esperienza del 1941-45 nella storia russa moderna. Ma l’Occidente ha una visione molto più confusa e frammentata di quello stesso periodo, quando nazioni diverse combattevano su fronti diversi, quando le stesse nazioni erano divise e alcune erano di fatto neutrali. La narrazione dominante del periodo è in gran parte anglosassone e francese e non può essere raccontata a nessun livello di dettaglio senza offendere qualcuno e provocare polemiche. Esiste quindi in gran parte come un insieme di vuote formule verbali (“resistere all’aggressione” e così via), che tuttavia sono state abbastanza potenti da lanciare guerre e uccidere persone.

Sembra poco probabile che l’Occidente e la Russia vedano le cose allo stesso modo, o che riconoscano la validità del punto di partenza dell’altro. Inoltre, ognuno di loro sembra condividere l’incapacità apparentemente universale di credere che l’altra parte pensi veramente quello che dice. Questo è ciò che io definisco effetto McEnroe (“non puoi fare sul serio!”) ed è probabilmente il più grande ostacolo alle relazioni sensate e produttive tra gli Stati. (Ovviamente vale anche per gli individui e i gruppi, ma questo è un altro discorso). Ci spinge a scartare con irritazione le spiegazioni più complesse a favore di quelle banali e riduttive, perché, dopo tutto, non possono essere serie. La situazione è aggravata dal fatto che molto di ciò che pensiamo dell’Altro è comunque inconscio e formulato solo a metà. I governi occidentali hanno motivazioni complicate e profonde per le loro azioni in Ucraina, comprese alcune quasi religiose, ma in generale i loro rappresentanti non hanno la cultura intellettuale per cercare di spiegarle, e forse nemmeno per capire appieno perché stanno facendo quello che fanno. Quindi, di fronte a questa inarticolazione dei leader occidentali quando cercano di rendere conto delle loro azioni, non sorprende che i critici della stessa politica occidentale, sia interna che estera, si rifugino sempre più nelle fantasie di leader europei in qualche modo teleguidati da tecniche di controllo mentale della CIA. Almeno è una spiegazione.

Non è solo l’Occidente a essere suscettibile di questi problemi – abbiamo già fatto l’esempio dell’Unione Sovietica/Russia – ma è vero che la dottrina liberista dell’Occidente lo rende particolarmente vulnerabile. Il liberalismo nega l’importanza della storia, della cultura e della tradizione e vede tutte le decisioni (comprese, implicitamente, quelle politiche) come prese per ragioni di massimizzazione dell’utilità su base puramente razionale e con informazioni perfette. Quindi l’invasione russa dell’Ucraina è stata una decisione puramente razionale, basata sulla massimizzazione dei benefici attesi, e la risposta occidentale è stata un tentativo di negarlo, massimizzando i benefici, soprattutto economici, per se stessi. Probabilmente avrete letto qualche variante o derivato di questa idea di recente, e se è quasi pietosamente inadeguata a spiegare ciò che sta accadendo, ha il pregio di essere facile da capire e da applicare. Non c’è bisogno di sapere nulla: si può semplicemente presumere che una serie di cose siano vere perché lo sono universalmente.

Questo non è un problema nuovo, ma nel complesso è un problema le cui precedenti manifestazioni non hanno avuto un grande impatto sulla vita in Occidente, o almeno sulla vita delle élite. Consideriamo ad esempio il fondamentalismo islamico. Negli ambienti elitari occidentali si dà per scontato che la religione sia una costruzione interamente sociale. Pertanto, nessuno “crede” realmente nella propria religione, ma d’altra parte dovremmo rispettare le credenze religiose dei non europei in quanto significanti culturali di gruppi sfruttati ed emarginati, o qualcosa del genere, anche se contravvengono alla legge o agli standard dei diritti umani. Va detto che questo argomento è talvolta parzialmente valido. Nei Balcani, ad esempio, le cosiddette distinzioni “religiose” sono essenzialmente sociali e politiche: in effetti i musulmani erano solo la vecchia classe dirigente. Ma l’argomentazione non è sistematicamente vera e crolla di fronte a persone la cui visione del mondo è interamente basata sulla loro religione e che agiscono come se fosse effettivamente vera. La tradizione moderna dominante dell’ecumenismo, che risale agli anni Sessanta, incorpora l’assunto opposto: le religioni non sono vere: sono sistemi etici come tutti gli altri, solo con cerimonie annesse.

Eppure la maggior parte del mondo non la pensa così, così come non la pensava la maggior parte del mondo occidentale un secolo fa. Una delle cose più difficili da spiegare per gli storici è che per gran parte della storia occidentale le persone pensavano che la loro religione fosse letteralmente vera e agivano di conseguenza. L’Impero romano perseguitava sporadicamente i cristiani perché si rifiutavano di adorare gli dei romani e quindi potevano incorrere nel loro sfavore, che a sua volta avrebbe minacciato la sicurezza dello Stato. L’osservanza religiosa era una questione di sicurezza nazionale. Le guerre religiose e le persecuzioni successive erano dovute essenzialmente al fatto che i diversi attori avevano visioni diverse della dottrina cristiana, e che avere quella sbagliata poteva mandarti all’inferno per l’eternità: così, ad esempio, l’Inquisizione e la necessità di impedire la diffusione di dottrine eretiche che avrebbero potuto mettere in pericolo le anime di milioni di persone. La nostra società moderna trova tali idee incomprensibili e quindi presume che non siano valide e che la stragrande maggioranza della razza umana abbia mentito a se stessa e agli altri per migliaia di anni. Per questo motivo, i fattori non religiosi (che, a dire il vero, esistevano anche in quantità) sono in genere considerati un aiuto per spiegare questo tipo di eventi storici.

Non sorprende quindi che nella nostra epoca iper-secolare sia difficile accettare l’idea che là fuori possano esserci persone che credono che la loro religione sia letteralmente vera e che coloro che non condividono la loro particolare interpretazione della fede siano nemici da distruggere letteralmente. Queste idee erano così lontane dalla comprensione liberale occidentale che solo i terribili eventi del 2015-16 le hanno rese note al pubblico. Anche in quel caso, l’opinione pubblica d’élite non è riuscita a farsene una ragione. Forse le nostre società erano troppo intolleranti? Forse era colpa del colonialismo occidentale (anche se l’Austria, se non ricordo male, aveva poche colonie nei Paesi musulmani). Da alcuni anni l’opinione pubblica occidentale d’élite gestisce la questione nervosamente, come una bomba a mano, sperando che sparisca, anche se il numero di aderenti all’Islam politico (l’idea che gli Stati debbano essere gestiti esclusivamente secondo il dogma islamico) continua a crescere. (Poiché non siamo in grado di comprendere la loro mentalità, non facciamo alcuno sforzo per farlo e riteniamo che ci sia qualcosa di sbagliato, da qualche parte, e che ciò che sembra accadere sia solo un miraggio di qualche tipo. Qualsiasi altra cosa richiede di modificare le nostre convinzioni su ciò che le persone possono credere e su ciò di cui possono essere capaci, e in generale non siamo preparati a farlo. Vent’anni fa, ricordo di aver visto la traduzione di un manuale di istruzioni di Al Qaeda per la costruzione di un’arma casalinga, rozza ma efficace, per la distribuzione di gas velenoso su un’ampia area per causare vittime di massa in spazi ristretti. L’arma era particolarmente consigliata per uccidere le persone in luoghi che erano focolai di peccato, dove si riunivano uomini e donne non sposati: le discoteche, ad esempio. Comprendere questo tipo di mentalità richiede un salto di comprensione di cui pochi di noi oggi sono capaci.

Né tali salti sono sempre sicuri. L’Islam politico, pur con tutti i suoi pericoli, è un corpo di pensiero coerente che risale a un secolo fa, ai primi Fratelli Musulmani in Egitto. I suoi precetti sono piaciuti agli elettori di tutto il mondo arabo e decine di migliaia di persone, non necessariamente provenienti da Paesi musulmani, sono andate a morire per esso. Esiste la terrificante possibilità, per quanto remota, che se accettiamo che fanno sul serio ed esaminiamo seriamente le loro convinzioni, potremmo scoprire che le nostre certezze iniziano a crollare. E in effetti questo è ciò che sembra essere accaduto a un certo numero di giovani europei impressionabili, cresciuti in società laiche, secondo principi liberali basati sulle tipiche assunzioni a priori di quel credo, senza che nulla sotto di loro li sostenga.

Nelle società occidentali, oggi vediamo il mondo soprattutto come una questione di Ego. Se non riesco a capire qualcosa, deve essere sbagliato. Se un evento contraddice la mia visione del mondo, non può essere vero. Se una teoria o un precetto mi angoscia, non può essere vero. La nostra società odierna opera secondo quello che io chiamo il Principio di Sherlock Holmes inverso: quando si è eliminato tutto ciò che è ideologicamente inaccettabile, ciò che rimane, per quanto stupido, deve essere la verità.

Questo tipo di pensiero è molto recente, come ci si potrebbe aspettare, e differisce, per ironia della sorte, dalle pratiche di epoche che ci piace pensare meno “tolleranti” della nostra. Per esempio, fin dalla Chiesa primitiva era comune che gli scrittori ortodossi attaccassero le scuole meno ortodosse presentando ampie citazioni delle loro opere e mostrando poi come fossero sbagliate. (Praticamente tutto ciò che sapevamo sullo gnosticismo fino a poco tempo fa proveniva dalle citazioni di autori gnostici in un libro ostile del vescovo Ireneo del II secolo). Al contrario, in questi giorni si può leggere sul Grauniad un furioso atto d’accusa contro l’opera di qualche pensatore moderno, e alla fine non si sa nulla di ciò che quel pensatore pensa veramente. È facile capire perché: il mio Ego può essere danneggiato dall’essere esposto a idee che potrei trovare scomode.

Il risultato di tutto ciò, ovviamente, è che abbiamo perso non solo la capacità di capire – che è sempre stato un problema – ma anche la volontà di farlo. Non siamo più in competizione tra di noi per sconfiggere le idee: siamo in competizione per denunciarle con più forza del prossimo, e denunciare il prossimo per non averle denunciate con la stessa forza. Ho smesso da tempo di leggere le discussioni tra sostenitori e oppositori della guerra in Ucraina, ad esempio: nessuna delle due parti è disposta ad accettare che l’altra faccia sul serio, e così il dibattito degenera rapidamente in insulti reciproci e ripetizioni infinite di posizioni approvate da ciascuna parte.

Ma i veri problemi sono a un livello superiore. Se nella nostra cultura e nella nostra vita quotidiana abbiamo rinunciato anche solo a cercare di capire perché le persone pensano e agiscono in modo diverso da noi, questo è già abbastanza negativo per la nostra cultura e la nostra società, e in definitiva è negativo per noi. Ma è molto peggio quando coloro che guidano il destino della società fanno lo stesso rifiuto. Trent’anni fa, il primo ministro britannico John Major fu (meritatamente) deriso per aver detto che sul crimine dovremmo “capire meno e condannare di più”. Al giorno d’oggi, praticamente l’intero sistema politico funziona così.

La comprensione autentica è, dopo tutto, una minaccia per il nostro Ego. Riconoscere che altre persone hanno, in tutta sincerità, opinioni che noi troviamo sbagliate, banali o addirittura disgustose, è al di là delle capacità della maggior parte di noi, perché in fin dei conti ci fa capire quanto traballanti e fragili possano essere i presupposti attraverso i quali noi stessi comprendiamo il mondo. Inoltre, riconoscere che le persone possono agire per ragioni che non comprendono appieno, o che non riescono a spiegare, richiede un salto intellettuale che non è mai stato facile e che oggi è di fatto impossibile. Ma alla fine è altrettanto importante sfatare il mito degli Stati razionali che massimizzano l’utilità quanto quello degli attori economici che massimizzano l’utilità.

Su questo si potrebbe scrivere molto di più (forse un futuro saggio?) ed è importante sottolineare quanto siano potenti paradigmi interpretativi consolidati e semidimenticati in politica, ovunque. Per fare un esempio di attualità, l’Africa è stata vista attraverso la lente della competizione tra grandi potenze per centocinquant’anni, al punto che i commentatori non riescono letteralmente a vedere gli eventi in altro modo, come accade attualmente in Niger. Allo stesso modo, poiché l’unico modello che la maggior parte delle persone conosce per uno Stato potente e presente in tutto il mondo è quello dell’Impero, questo modello viene tirato in ballo per spiegare l’attuale situazione degli Stati Uniti, anche se non è utile.

Ma è anche vero che abitudini intellettuali simili esistono anche al di fuori dell’Occidente, come saprete se avete trascorso molto tempo in parti del mondo che sono sempre state colonie e dove la storia è sempre stata imposta da estranei. Basta fare un giro nel Mediterraneo meridionale e occidentale, per esempio, o un po’ più a sud, in Africa, per trovare luoghi che sono stati colonie di un tipo o di un altro fin dai tempi dei Romani. Quando tutto nella vostra storia è stato organizzato da altri, c’è la tentazione di supporre che lo sia anche il presente, anche se l’idea non ha alcuna logica. Ricordo che una volta rimasi intrappolato in un lento ascensore con un accademico arabo che cercava disperatamente di convincermi che lo Stato Islamico (allora molto in vista) era una creazione della CIA e che, se avevo bisogno di una prova, beh, usavano Toyota Land Cruiser, prodotte, ovviamente, in America. Quando gli spiegai che questi veicoli, come molti altri, erano stati saccheggiati dalle scorte dell’esercito iracheno, sembrò sbalordito: evidentemente l’idea non gli era mai venuta in mente prima. La porta dell’ascensore si aprì prima che potesse riprendere fiato.

A volte, quando gli occidentali tornano a casa, scrivono conversazioni di questo tipo per i loro colleghi. Ma in breve tempo, se si frequentano zone del mondo in cui la cospirazione è il modo di pensare dominante, si impara a non farlo, perché nessuno vi crederà. Non c’è niente di più difficile da accettare del fatto che le stesse ansie e paure storiche, le stesse “lezioni del passato”, gli stessi modi di pensare profondamente radicati ma solo in parte consapevoli che sentiamo noi stessi, sono sentiti anche da altri, altrove, a modo loro. Siamo sicuri che non possono essere seri, e naturalmente loro sentono lo stesso nei nostri confronti.

Il gratificante aumento del numero di abbonati (ormai più di 4000) significa che le persone leggono e commentano i miei vecchi saggi, e in alcuni casi chiedono le mie risposte. Mi dedicherò a questo appena possibile.

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Il futuro dei BRICS, di  Antonia Colibasanu

The Future of the BRICS

Il gruppo ha obiettivi ambiziosi, ma poco da sostenere.

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Dal 22 al 24 agosto, i membri del gruppo BRICS terranno un vertice a Johannesburg. Si prevede che discuteranno due questioni chiave: l’allargamento e la possibilità di adottare una moneta comune. Entrambe le questioni sono fondamentali per il futuro di questa partnership di cinque grandi Paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. La discussione su questi due temi in particolare è destinata a convalidare il gruppo come forza internazionale, anche se finora sono stati fatti pochi progressi su entrambi i fronti. Le opinioni sulla traiettoria futura del gruppo variano a seconda della prospettiva. Alcuni ritengono che giocherà un ruolo crescente negli affari internazionali con il declino dell’Occidente, mentre altri lo considerano in gran parte irrilevante, data la mancanza di convergenza sulle principali questioni politiche ed economiche tra i suoi membri.

Per capire come il gruppo potrebbe svilupparsi in futuro, dobbiamo innanzitutto capire come si è arrivati a questo punto. Nel 2001, l’ex capo economista di Goldman Sachs Jim O’Neill coniò per la prima volta il termine “BRIC”, che all’epoca non includeva il Sudafrica, per descrivere i mercati in crescita che, secondo le sue previsioni, avrebbero superato l’Occidente. All’epoca, i Paesi non vedevano la necessità di formare un blocco formale per promuovere la cooperazione tra loro. Solo nel 2009 la Russia ha ospitato il primo vertice dei BRIC e ha dichiarato che la crisi finanziaria globale del 2008 era la prova che le principali economie emergenti del mondo dovevano collaborare per impedire all’Occidente di controllare il destino dell’economia globale e il loro stesso sviluppo. È importante notare che il 2008 è stato anche l’anno in cui la Russia ha invaso la Georgia, ha annunciato la sua dissociazione dal sistema di valori occidentali e ha iniziato a cercare di ripristinare il potere sugli Stati ex sovietici coltivando alleati in Asia e oltre. Dal punto di vista della Russia, i BRIC sono diventati una piattaforma politica anti-occidentale da sostenere.

Nel contesto della recessione economica globale, anche la Cina ha avvertito la necessità di ridurre la propria dipendenza dai mercati occidentali e, in particolare, dal dollaro statunitense. Ha visto nei BRIC una sede attraverso la quale diversificare il proprio portafoglio commerciale. Il Brasile e l’India, invece, hanno visto l’opportunità di influenzare la politica globale e di promuovere le proprie prospettive sulla scena mondiale. Ciascun membro, in particolare Cina e Russia, vedeva nell’Africa il continente chiave attraverso il quale diversificarsi dall’Occidente. Così, nel 2010, hanno invitato il Sudafrica a entrare nel gruppo.

Con il passare del tempo, la Cina si è concentrata sempre più sulla politica monetaria. Nel 2015, la Cina ha sostenuto la creazione di due istituzioni economiche dei BRICS, il Contingent Reserve Arrangement e la New Development Bank, che dovevano essere alternative al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. La Cina è la principale fonte di fondi per la CRA e detiene il 40% dei suoi diritti di voto. Inoltre, nel 2015, ha lanciato un proprio sistema di messaggistica e regolamento interbancario basato sullo yuan, chiamato Cross-Border Interbank Payment System, per ridurre l’uso del dollaro nella sua economia e promuovere lo yuan come valuta internazionale.

L’attenzione alla de-dollarizzazione è cresciuta nel 2022, quando l’aumento del commercio tra Russia e Cina, unito al finanziamento da parte della Russia di un sistema di trading parallelo, ha portato a una crescita della quota dello yuan nel mercato finanziario russo. Sanzionata dall’Occidente, la Russia ha fatto perno sulla Cina, adottando lo yuan come una delle sue valute principali per le riserve internazionali, il commercio estero e persino alcuni servizi bancari personali. Allo stesso tempo, la Russia aveva bisogno di espandere la propria influenza all’estero per accedere a rotte commerciali alternative. Mentre la Cina è il leader economico del gruppo, la Russia ne è il leader politico. È quindi naturale che i BRICS discutano del potenziale di creazione di una moneta comune e di espansione ora, a più di un anno dall’inizio della guerra economica globale seguita all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e all’imposizione di sanzioni a Mosca da parte dell’Occidente.

È importante notare, tuttavia, che la diminuzione dell’uso del dollaro nell’ultimo anno non è stata il risultato della scelta della Russia di utilizzare lo yuan al posto del dollaro, ma delle misure adottate dagli Stati Uniti per rendere il dollaro meno disponibile per il mercato russo. La de-dollarizzazione, come politica piuttosto che come reazione alle sanzioni occidentali, potrebbe essere raggiunta solo se i BRICS adottassero una moneta comune – qualcosa di simile all’euro, lanciato nel 1999 dai membri dell’Unione Europea. Tuttavia, per introdurre una nuova moneta non basta emettere banconote e dichiararle pronte all’uso. Richiede un’autentica convergenza economica tra le nazioni partecipanti attraverso un mercato comune, che sarà proibitivamente difficile da stabilire per i BRICS, considerando le profonde divergenze tra le loro economie. Mancano di una struttura economica e di un sistema di governance comuni. Non occupano nemmeno lo stesso continente, figuriamoci se condividono i confini. Lo sviluppo di un mercato comune efficiente richiederebbe la costruzione di nuove infrastrutture, tra cui sistemi di sicurezza e di assicurazione per proteggere le rotte commerciali, cosa quasi impossibile per i BRICS perché nessuno dei suoi membri è una potenza navale globale.

Più fondamentalmente, la condivisione di una valuta richiede anche che i partecipanti abbiano un alto grado di fiducia l’uno nell’altro, in modo da poter stabilire le regole per l’emittente della valuta – un’istituzione che coordinano congiuntamente (come la Banca Centrale Europea). Gli utenti del dollaro e dell’euro confidano che gli emittenti di queste valute stampino un numero sufficiente di banconote per garantire i pagamenti e assicurare l’accesso e la convertibilità. Questo livello di fiducia non è evidente tra i BRICS e non è chiaro come verrebbe emessa una moneta comune.

È chiaro, tuttavia, che i Paesi BRICS non accetterebbero di adottare una valuta esistente di uno dei loro membri. Sebbene l’India abbia riferito di aver utilizzato lo yuan cinese negli scambi con la Russia, finora solo alcuni raffinatori di petrolio sono stati disposti a effettuare pagamenti in questo modo. Lo yuan non è liberamente convertibile sul mercato globale dei cambi, il che rende la sua disponibilità oggetto delle politiche di Pechino. Attualmente la banca centrale russa deve chiedere a Pechino il permesso di effettuare grandi transazioni in yuan, cosa che la banca centrale indiana difficilmente farà a breve. Le controversie in corso tra Pechino e Nuova Delhi su una serie di questioni renderanno molto difficile il coordinamento su qualsiasi cosa.

Poiché la “yuanizzazione” non è una possibilità per i BRICS, l’adozione di una nuova valuta sembra essere l’unico modo per soppiantare il dollaro. Sebbene la possibilità sia stata ampiamente discussa dai media, non c’è alcuna indicazione che siano stati fatti progressi. Diverse domande chiave rimangono senza risposta. Che cosa ci vuole perché l’India e la Cina collaborino così strettamente da integrare le loro economie? Cosa servirebbe a Russia, Brasile e Sudafrica per integrarsi con loro? Quali interessi economici condividono? E dato che nessuno dei Paesi BRICS ha valute convertibili, come potrebbe un’istituzione finanziaria creare una moneta BRICS e garantirne la disponibilità alle imprese e ai privati internazionali?

Così, anche la Russia, che è stata la più grande sostenitrice dei BRICS, afferma che la creazione di una moneta unificata è un obiettivo a lungo termine. Ma anche questo sembra un pio desiderio. È improbabile che i membri dei BRICS riescano a risolvere le loro differenze e a costruire una fiducia sufficiente per emettere una moneta unica. In realtà, non sembrano condividere altro che la diffidenza verso l’Occidente, e anche su questo non sono completamente uniti.

L’espansione dei membri è un’altra questione su cui il gruppo è alla ricerca di un consenso. I membri hanno discusso la possibilità di un BRICS+ dal 2017 e la Cina ha sollevato la questione l’anno scorso, ospitando il vertice BRICS. Secondo un funzionario sudafricano, 23 Paesi hanno chiesto ufficialmente di entrare a far parte dei BRICS, mentre 40 hanno espresso informalmente interesse per l’adesione. Questo può sembrare un numero impressionante di potenziali membri, ma l’adesione formale è complicata perché non esiste un processo ufficiale di adesione, se non su invito da parte di tutti gli Stati membri, come è accaduto con il Sudafrica nel 2010.

BRICS Members and Applicants
(click to enlarge)

Con la guerra che infuria in Ucraina, l’allargamento sembra ora più urgente. Poiché i Paesi occidentali non sono più disposti a fare affari con la Russia, Mosca ha cercato di espandere la propria influenza nei Paesi che sono rimasti neutrali alla guerra, anche attraverso i BRICS, che fin dall’inizio dovevano servire come piattaforma attraverso la quale i membri potessero esercitare un’influenza internazionale. I Paesi neutrali hanno raccolto i frutti degli sforzi di lobbying di entrambe le parti, rilasciando dichiarazioni sulla necessità di calma e sfruttando al contempo l’opportunità di avanzare le proprie posizioni strategiche.

Nella spinta lobbistica di Mosca, i suoi colleghi membri dei BRICS sono stati un punto di partenza naturale. Oltre ad aumentare gli scambi con la Cina, la Russia ha migliorato i legami con il Brasile, che vedeva come un potenziale nuovo mercato per i suoi fertilizzanti e prodotti petroliferi. Il commercio tra i due Paesi è aumentato di almeno il 7% nel 2022, facilitato in parte dalla Cina, che ha trasportato le merci tra i due Paesi, soprattutto su rotaia.

Negli ultimi cinque anni, anche il commercio tra Brasile e Cina è aumentato. Il Brasile ha approfittato delle tensioni commerciali della Cina con gli Stati Uniti aumentando le esportazioni, soprattutto di prodotti alimentari, verso il partner BRICS. Tuttavia, rimane fortemente dipendente dagli Stati Uniti, che rappresentano un mercato importante per i prodotti brasiliani ad alto valore aggiunto. È anche il principale acquirente estero del settore minerario brasiliano, che rappresenta il 50% delle esportazioni complessive del Paese e circa il 3% della forza lavoro totale.

Nel frattempo, la Russia ha trovato un mercato (e un percorso) alternativo per il suo petrolio in India. L’India ha acquistato petrolio russo a prezzi scontati per il proprio uso interno, diventando allo stesso tempo una sorta di canale per le esportazioni energetiche russe per raggiungere i mercati occidentali nonostante le sanzioni. I piani di Mosca di investire in infrastrutture portuali in India come parte del Corridoio di Trasporto Nord-Sud potrebbero aiutare in questo senso.

Ma per quanto la Russia si impegni a sviluppare i loro legami economici, l’India, come il Brasile, dipende ancora dagli Stati Uniti, che sono il suo principale partner commerciale e il suo principale alleato strategico. Nuova Delhi è membro del gruppo di sicurezza Quad, che comprende Stati Uniti, Giappone e Australia. Dal punto di vista della sicurezza, quindi, le relazioni dell’India con la Russia possono arrivare solo fino a un certo punto. L’India ha bisogno degli Stati Uniti (e più in generale dell’Occidente) per garantire le rotte di navigazione nell’Oceano Indiano, da cui dipende la sua economia.

Inoltre, il sostegno dei Paesi BRICS all’allargamento è diviso. Ad esempio, mentre tutti e cinque i Paesi hanno accettato di discutere la potenziale adesione dell’Argentina, il Brasile, secondo quanto riferito, si oppone alla discussione di qualsiasi ulteriore espansione. Come l’India, il Brasile vuole mantenere stretti legami con gli Stati Uniti, mentre cerca di migliorare i suoi legami con l’Europa. Utilizza i BRICS per esprimere la propria posizione sugli affari globali, ma segue fondamentalmente una strategia di non allineamento, concentrandosi sul proprio imperativo principale: integrare le proprie regioni settentrionali e meridionali e raggiungere la stabilità socio-economica.

Corteggiati da Stati Uniti, Cina e Russia, Brasile, India e altri Paesi del Sud globale vedono l’opportunità di migliorare la propria posizione a livello globale. Tuttavia, la loro cronica instabilità interna limita la loro capacità di capitalizzare le opportunità attuali, che a loro volta stanno cambiando rapidamente. Inoltre, anche se i BRICS stanno perseguendo un coordinamento più attivo rispetto al passato, la maggior parte delle interazioni significative tra i membri dei BRICS e con i potenziali nuovi membri avviene a livello bilaterale. Con le loro relazioni limitate da preoccupazioni economiche, politiche e di sicurezza, la possibilità di espandere l’adesione, così come la possibilità di stabilire una moneta comune, sembra al momento lontana.

Italia in regressione _ con Pasquale Katana Cicalese

L’Italia vive ormai da diversi decenni una condizione di progressiva regressione anche in rapporto alla già precaria situazione dei paesi europei.
Esiste senza dubbio un generale abbassamento dei livelli reali dei salari, degli stipendi e dei redditi di ampi strati di lavoro autonomo. Complici le politiche sindacali e la disarticolazione dei movimenti organizzati che hanno caratterizzato la vita e il conflitto sociopolitico caratteristico degli anni ’60/’70; è però gran parte della struttura produttiva del paese ad aver perso dinamicità ed autonomia di indirizzo. Sempre più evidente la pesante influenza sulle condizioni generali di un ceto politico e di una classe dirigente dagli orizzonti limitati, completamente subordinata ed assorbita da strategie esterne e in balia delle dinamiche geopolitiche sempre più convulse. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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La realtà vorrebbe dire la sua, di Aurelien

La realtà vorrebbe dire la sua.
Chiamata per Tom e Daisy Buchanan

AURELIEN
2 AGO 2023

In precedenti saggi ho parlato delle carenze della Casta Professionale e Manageriale (PMC) internazionale. Questa non è un’altra diatriba contro di loro (cerco di evitare le diatribe, se possibile), ma piuttosto una riflessione su alcune delle ragioni per cui hanno fatto un tale pasticcio del mondo, e su ciò che potrebbe accadere ad esso, e a loro, come risultato. Se la vostra definizione di “speranza” include la progressiva scomparsa della PMC, o almeno una massiccia riduzione della sua influenza, allora questo saggio ha una certa lievitazione di speranza qualificata, poiché credo che la PMC abbia effettivamente esaurito la sua strada in un’ampia varietà di settori.

In un precedente saggio, ho parlato dell’infantilizzazione di gran parte della cultura politica occidentale oggi, anche nel caso di argomenti seri come l’Ucraina. Credo che questo sia in gran parte colpa della PMC, una casta per la quale nulla è mai completamente reale, gran parte della vita è un gioco o un modello matematico, o una serie di numeri in un rapporto, e dove è sempre possibile abbandonare le cose quando vanno male, e ricominciare da capo. Come casta, sono fondamentalmente frivoli, per quanto si prendano sul serio, e, come i bambini, non vogliono mai assumersi la responsabilità o la colpa di nulla. La loro casta è protetta non solo dal denaro (comprende, ad esempio, docenti universitari mal pagati), ma anche da una forte disciplina ideologica, da legami di istruzione, esperienza, collaborazione professionale e persino familiari. Chiude i ranghi istintivamente contro persone come voi e me.

Soprattutto, è una casta che è stata educata a pensare allo stesso modo (o se pensate che “pensare” sia troppo generoso, a dire e credere le stesse cose). Questo avviene in parte all’università, naturalmente, ma anche nelle scuole di business e negli MBA più avanti negli anni, nelle “conferenze” e nei “seminari” e nei corsi per “giovani leader”. Anche in questo caso, “educazione” è forse la parola sbagliata, perché tradizionalmente implica la trasmissione della conoscenza, che non è una priorità per le sedicenti istituzioni di apprendimento di questi tempi. Mi è venuta piuttosto in mente la Teoria dell’adolescenza permanente del romanziere e critico Cyril Connolly, basata sulle sue riflessioni sul periodo trascorso a Eton. Egli sosteneva che le esperienze vissute dai ragazzi nei loro anni formativi nella scuola pubblica inglese erano così intense da dominare le loro vite e arrestare il loro sviluppo, e che questo fatto spiegava molto della società britannica del suo tempo. Ammettendo che gli studenti universitari di oggi si trovino più o meno allo stesso livello di sviluppo intellettuale e personale dei coetanei di Connolly a Eton, credo che l’analogia sia utile: la PMC internazionale è talmente segnata dall’eterna adolescenza dei sistemi educativi moderni che il suo sviluppo è essenzialmente arrestato lì. Allo stesso modo, ciò che lega i suoi membri non è l'”istruzione” che ricevono, che spesso è sommaria, ma gli atteggiamenti sociali, i contatti personali e l’ideologia di cui si nutrono, dato che tutte le università occidentali si assomigliano sempre più.

Allo stesso modo, ai tempi di Connolly, si accettava che le scuole pubbliche non servissero principalmente a impartire conoscenze, ma a “formare il carattere”, attraverso la disciplina, i giochi di squadra e l’inculcazione di un’etica cristiana del servizio. Non è un’educazione che vorrei aver ricevuto, ma bisogna ammettere che i suoi alunni hanno continuato a combattere e morire in guerra, a scalare montagne, a esplorare parti lontane del mondo, a contribuire alla gestione del Paese e, in alcuni casi, a intraprendere carriere intellettuali di rilievo, come Connolly e il suo esatto contemporaneo George Orwell. Le università e le business school d’élite della PMC svolgono oggi più o meno la stessa funzione sociale: oggi si può decorare il proprio discorso non con riferimenti classici ma con cliché da IdiotPol, ma lo scopo della propria formazione è ancora quello di garantire che si parli la lingua del potere e che si venga riconosciuti. Ma d’altra parte, essere un ministro junior, un mediatico o un funzionario di una ONG non è proprio come scalare una montagna, comandare una nave da guerra o lavorare con i partigiani nell’Europa occupata.

Naturalmente, le università non sono sempre state come sono ora. Si pensi che anche quaranta o cinquant’anni fa erano destinate alla minoranza di studenti con un’inclinazione intellettuale che volevano approfondire gli studi. Molte lauree erano di tipo professionale (medici, avvocati, ingegneri, persino teologi) e altre servivano a formare i futuri insegnanti in quella che già allora stava diventando una professione da laureati nella maggior parte dei Paesi. Altre costituivano una formazione intellettuale generale per coloro che sarebbero andati a ricoprire incarichi governativi e amministrativi, e altre ancora mantenevano l’arredo intellettuale generale della nazione: dall’archeologia alla zoologia. Molti altri giovani si accontentavano di entrare subito nel mondo del lavoro, mentre altri seguivano apprendistati tecnici. La maggior parte delle lauree aveva un’applicazione pratica: anche gli economisti studiavano in gran parte il funzionamento dell’economia. Ma molte persone non laureate potevano e hanno fatto ottime carriere.

La frequenza di massa all’università è un’idea recente e le sue origini sembrano essere diverse nei vari Paesi. Nei Paesi anglosassoni viene generalmente liquidata come un racket finanziario, e in parte lo è, ma dovrebbe anche essere vista come una tipica misura neoliberale: una laurea è qualcosa che si dovrebbe avere il diritto di possedere se si può pagare o prendere in prestito il denaro per conseguirla. (Si basa anche sulla (falsa) premessa che l’istruzione di per sé sia sufficiente per la crescita economica e la prosperità). Ma in altri Paesi, dove l’istruzione universitaria è ancora effettivamente gratuita, l’obiettivo è molto più quello di nascondere gli altissimi livelli endemici di disoccupazione giovanile. In Francia, ad esempio, dove il superamento del Baccalaureato dà diritto a un posto all’università, il “Bac” stesso è stato talmente svalutato, al fine di aumentare il livello di superamento e quindi il numero di studenti all’università, che gli studenti di oggi a diciotto anni sono indietro di due o tre anni rispetto ai loro omologhi di cinquant’anni fa (poiché i libri di testo sono prescritti a livello nazionale, è possibile misurare questo declino in modo oggettivo su un periodo di tempo).

La frequentazione massiccia delle università, spesso senza un corrispondente aumento del personale docente, e il passaggio al lavoro occasionale degli insegnanti universitari in molti Paesi, significa che in termini di qualità le lauree non possono più essere quelle di una volta. Ma significa anche che i diplomi devono essere cuciti insieme in modo che gli studenti meno intellettuali possano superarli, e tali diplomi, ovviamente, diventano più popolari tra gli studenti in generale perché sono meno difficili. Negli ultimi decenni si è assistito a un’esplosione di lauree in materie come le Relazioni Internazionali, gli Studi Culturali e gli Studi Commerciali (il prototipo di laurea PMC), il cui contenuto intellettuale effettivo è spesso trascurabile e che non fornisce ai suoi studenti PMC gli strumenti per fare qualcosa. Naturalmente, i laureati in PMC di questi corsi, con magari un anno post-laurea in una Business School o un Master in Diritto dei Diritti Umani, scivolano senza sforzo verso lavori di gestione, ONG, politica e amministrazione, dove non è richiesta la conoscenza della materia, ma dove le abilità sociali, il networking e il senso di superiorità che deriva da un’educazione costosa garantiscono il successo. La maggior parte delle persone che hanno lavorato in grandi organizzazioni possono raccontare storie dell’orrore di questi idioti con credenziali che hanno rovinato team e organizzazioni per stupidità e ignoranza. Ma questo è il PMC per voi.

Queste persone si riconoscono dal loro vocabolario dichiarativo e dai loro atti performativi, che sono in gran parte conseguenza di un’educazione che privilegia il conformismo e penalizza il pensiero originale. In questo senso, le università sono in gran parte una continuazione dell’infanzia. In passato, a partire dal Medioevo, l’università era l’ambiente in cui i giovani più intellettuali crescevano, sia intellettualmente che personalmente, sapendo che non tutte le loro esperienze sarebbero state felici. L’idea moderna che la vita non sia una sfida da affrontare, ma una minaccia da cui i bambini devono essere protetti, trova la sua naturale conclusione nel prolungamento dell’infanzia fino all’università, dove gli studenti si aspettano di essere protetti da qualsiasi cosa negativa possa accadere loro e di veder assecondate le loro debolezze intellettuali.

Il risultato, come confermerà chiunque abbia a che fare con le università di oggi, è la crescita esplosiva dei “servizi agli studenti”, destinati a perpetuare il ruolo dei genitori assenti nella vita di uno studente. Come nel caso dei genitori, i risultati sono spesso contrastanti e incoerenti, e a volte le diverse ingiunzioni sono difficili da conciliare tra loro. Nella maggior parte delle università di cui ho avuto esperienza, i requisiti accademici sono trattati con una certa flessibilità, mentre i codici sociali (spesso non scritti, o almeno interpretati in modo molto libero) sono applicati in modo molto più rigido. Il plagio o la copia possono comportare un avvertimento, se si ha una buona scusa, mentre una parola fuori posto dopo un bicchiere di troppo può essere la fine della carriera universitaria. Non si tratta di uno sproloquio sui giovani d’oggi (non faccio sproloqui): In realtà mi dispiace per alcuni studenti che ho incontrato, che hanno scelto di rimanere nel sistema universitario a un livello superiore alle loro reali capacità o necessità, perché non si sentono pronti ad affrontare il mondo esterno, ma hanno paura di commettere un errore che potrebbe portare alla loro espulsione da esso. E ho incontrato amministratori che non sapevano più cosa fare con loro. Nessun insegnante vuole che i suoi studenti falliscano, e molti studenti oggi vogliono avere successo, ma l’università riconfigurata dalla PMC rende la vita di entrambi più difficile del necessario. E il PMC è contento di questo: accetta che, per ottenere la propria perpetuazione, le istituzioni debbano essere rovinate e che la maggior parte di coloro che vi sono coinvolti debbano soffrire. A sua volta, questo atteggiamento riflette un approccio essenzialmente adolescenziale e frivolo alla vita, con la garanzia di impunità per le proprie azioni come un bambino assecondato.

La PMC non ha alcun interesse nella trasmissione della conoscenza a qualsiasi livello: anzi, la conoscenza può essere una minaccia, perché crea centri di potere separati con una propria legittimità. Così abbiamo visto la PMC abbracciare e soffocare settori come quello dell’assistenza medica, essenzialmente sminuendo ciò che non può capire (le complicate questioni mediche) ed enfatizzando ciò che può capire (le presentazioni in Powerpoint dei risultati finanziari). Dopo tutto, è abbastanza facile far venire medici e infermieri dall’estero, no? Finché non lo è. Allo stesso modo, il governo può essere ridotto a obiettivi, politiche dichiarative, azioni performative e tweet, perché il governo non è fondamentalmente serio, vero? Finché non lo è. Soprattutto, anche se il PMC accetta che le persone che sanno davvero le cose e possono farle sono effettivamente necessarie, cerca di mantenere le distanze da loro. Un professore di diritto dei diritti umani è accettabile, un procuratore di reati finanziari no.

Con il passare del tempo, i più ambiziosi e aggressivi tra i laureati della PMC sono andati a ricoprire ruoli importanti nelle istituzioni, spesso in lavori che in passato non esistevano, perché non erano considerati necessari. (È stato ampiamente notato che nella stessa settimana in cui è iniziata la guerra in Ucraina, la NATO ha nominato un responsabile della diversità a tempo pieno. Le priorità vanno rispettate, dopotutto, e la NATO, come tutte le organizzazioni, in realtà non fa nulla, è solo una scatola di giocattoli con cui giocare). E usano queste posizioni di potere per diffondere la loro ideologia, attraverso “workshop” e “corsi di formazione” obbligatori, spesso dedicati a temi che non hanno alcuna esistenza oggettiva.

Questa insensibilità deriva in parte dal rafforzamento ideologico collettivo (consumare gli stessi media, rispecchiare le opinioni altrui, tenere a distanza di sicurezza i punti di vista alternativi), in parte dal senso di impunità (c’è sempre un altro lavoro da qualche parte se sbagli) e in parte dal potere che il PMC internazionale ha di imporre la propria ideologia e coprire i propri errori. È, in effetti, l’impunità di ogni classe dirigente corrotta della storia. Per esempio, anche se non avete mai letto Il grande Gatsby, probabilmente vi sarete imbattuti in questa citazione:

“Erano persone sbadate, Tom e Daisy: distruggevano cose e creature e poi si ritiravano nei loro soldi o nella loro grande sbadataggine, o in qualunque cosa li tenesse insieme, e lasciavano che altri rimediassero al disordine che avevano combinato”.

Che è più o meno la storia delle élite, storicamente. Tom e Daisy erano protetti da qualcosa di più del denaro: avevano posizione sociale, reti, “educazione” e soprattutto la “grande noncuranza” di Fitzgerald: erano così sicuri della propria superiorità che non si curavano molto della gente comune. Questa è la PMC di oggi: il pericolo principale che rappresentano per persone come voi e me è la fatale fiducia collettiva e radicata che loro e le loro idee non possano mai sbagliare, e che alla fine nulla sia mai veramente serio. Se rompono qualcosa, non importa.

Ho già fatto l’esempio delle università, ma in realtà l’atteggiamento del PMC nei confronti di tutte le istituzioni è che sono (a) luoghi in cui possiamo creare posti di lavoro per persone come noi e (b) oggetti interessanti su cui fare esperimenti socio-politici. Le scuole sono un caso simile, purché siano scuole di altri. Quindi il PMC è ancora ipnotizzato dal tremolio delle braci morenti dell’ideologia della de-scolarizzazione degli anni Sessanta. L’educazione come repressione, la libertà di apprendimento dei bambini, l’abbattimento della gerarchia insegnante-alunno in un’esperienza di co-apprendimento in cui non ci sono risposte sbagliate. (Quando negli anni ’70 le persone cercavano di convincermi che l’educazione fosse una forma di violenza, chiedevo loro cosa pensassero dell’ignoranza).

Non sarebbe interessante e divertente, pensavano alcuni decenni fa, applicare alcune di queste idee e vedere cosa succede? Ok, le persone noiose che sanno davvero le cose ci dicono che questo ha portato a un calo catastrofico delle capacità di lettura e scrittura della gente comune, e che i datori di lavoro non riescono a trovare personale che sappia leggere abbastanza bene da impilare gli scaffali dei supermercati. Ma bisogna ammettere che si tratta di un’idea interessante e che comunque non siamo responsabili delle conseguenze. Un tempo la sinistra, che considerava l’istruzione una causa sacra, sarebbe intervenuta per opporsi a questi esperimenti, ma la moderna sinistra nozionistica non ha più una base di classe di massa e quindi non ha bisogno né vuole un elettorato istruito, perché si è defilata per unirsi al PMC diversi decenni fa. Così l’educazione dei bambini comuni diventa un teatro di sperimentazione performativa per assicurarsi tweet di approvazione. Le autorità francesi, di fronte al continuo declino degli standard educativi, qualche anno fa hanno deciso che il vero problema era… “l’omofobia” nelle scuole, e che quindi ci doveva essere “tolleranza zero” per essa, tranne quando proveniva da genitori di stretta fede musulmana, perché razzismo. Credo che stiano ancora cercando di risolverlo, ma è una questione che riguarda gli insegnanti mal pagati delle aree più difficili, che devono affrontare le conseguenze pratiche. Progettiamo subito una nuova campagna contro la “transfobia” nelle scuole, con seminari obbligatori per gli insegnanti. Inutile dire che questa grande disattenzione non si estende ai loro figli, che vengono educati in istituti tradizionali con una disciplina rigida e metodi di insegnamento antiquati. E così il divario tra l’educazione ricevuta dai figli della PMC e quella dei figli della gente comune cresce ogni anno.

Naturalmente non c’è niente di più divertente e interessante che rifare le società degli altri. Questo gioco ha l’ulteriore vantaggio che tutto ciò che si distrugge dovrà essere ripulito da altre persone di altri Paesi. Esiste infatti un’intera classe itinerante di “esperti” di PMC che si spostano da un Paese in crisi all’altro, lasciando dietro di sé una scia di rottami, a volte caos politico, a volte veri e propri rottami. Molti anni fa, mezzo addormentato all’aeroporto di Vienna una mattina presto, in attesa di una coincidenza per Sarajevo, ho visto seduto di fronte a me un giovane serio con un’elegante valigetta con il logo della Missione delle Nazioni Unite in Cambogia, senza dubbio diretto a creare scompiglio in una delle innumerevoli organizzazioni internazionali che cercano di rifare la Bosnia secondo i loro desideri. E da allora il numero di queste persone si è moltiplicato, girando per il mondo e lasciando una scia di distruzione normativa che Tom e Daisy non avrebbero mai potuto immaginare. Poiché la PMC non sa davvero nulla di nulla, i suoi rappresentanti trattano le altre nazioni, soprattutto quelle deboli in conflitto, come una scatola di mattoncini Lego da sistemare in una configurazione normativa piacevole, senza conseguenze. Quando Kabul è caduta in mano ai talebani, un paio di anni fa, non ho potuto fare a meno di pensare alla delegazione del Ministero degli Affari Femminili (creato dall’Occidente e finanziato dall’Occidente) e delle ONG associate finanziate dall’Occidente che avevo ospitato una volta: tutte donne della classe media con istruzione occidentale, che generalmente parlavano inglese. Spero che siano riuscite a correre abbastanza velocemente.

“Normativo” è la parola giusta. Poiché l’educazione della PMC non implica effettivamente l’apprendimento di qualcosa di utile, i suoi rappresentanti mostrano un’enorme disattenzione nei confronti di ciò che accade realmente sul campo: tutto ciò che chiedono è che ciò che è accaduto possa essere presentato come un successo, o almeno come un’interessante esperienza di apprendimento, dimostrando che “le misure del successo” devono essere più “granulari”, o che “è necessario un migliore coordinamento tra le parti interessate” o infine che “il nostro messaggio deve essere più mirato”. Ma non c’è, e non può esserci, alcuna accettazione del fatto che le loro idee possano essere sbagliate, perché sono per definizione normativamente corrette.

Questo non vuol dire che il PMC abbia un’ideologia organizzata: tutt’altro. Quello che ha è una serie di slogan normativi vagamente liberali, ognuno dei quali appartiene a una particolare lobby, che a volte si scontrano l’uno con l’altro. In passato, ad esempio, il PMC era banalmente antimilitarista, senza sapere nulla di questioni militari. Oggi è banalmente (e aggressivamente) militarista, senza aver imparato nulla sulle questioni militari nel frattempo. Quindi, poiché c’è una necessità normativa identificata dal PMC di “salvare” una popolazione da qualche parte che i media dicono essere a rischio, allora bisogna inviare forze anche se non esistono. In questo modo di pensare, i conflitti e persino la guerra non sono fondamentalmente seri. Minacciare la guerra contro la Russia e la Cina è solo una posizione retorica, come un tweet: non implica che qualcosa di serio accadrà davvero. Se succede, beh, è laggiù e non ci riguarda. Allo stesso modo, la PMC sembra credere contemporaneamente che le donne siano una forza di pace e che quindi debbano essere rappresentate in modo sproporzionato nei negoziati sui conflitti, ma anche che le donne siano in grado di combattere e uccidere tanto quanto gli uomini, e che debbano essere promosse alle più alte posizioni di comando in combattimento. Ma gli eserciti, come tutte le organizzazioni, sono essenzialmente decorativi e poco seri: non importa come funzionano, l’importante è il loro aspetto.

In Francia, di recente, le organizzazioni femministe hanno esercitato un’intensa attività di lobbying per ottenere maggiori risorse da destinare alla violenza contro le donne da parte della polizia (che altre parti del PMC francese nel frattempo liquidano come irrimediabilmente razzista e vogliono abolire). Ma hanno taciuto sulla terribile aggressione e mutilazione di una ragazza adolescente in una zona povera di Tolosa, avvenuta di recente per aver indossato abiti troppo succinti, perché gli aggressori erano… beh, potete immaginare da quale comunità provenissero. Nel frattempo, alcune femministe della comunità degli immigrati hanno esortato le vittime di violenza domestica a non denunciare la violenza alla polizia perché ciò potrebbe “stigmatizzare” gli immigrati nel loro complesso. E così via, ma le contraddizioni dell’ideologia del PMC non derivano dall’ipocrisia in quanto tale (anche se questa è sempre un problema in politica), ma piuttosto da un’incoerenza di pensiero e da un’ampia disattenzione sul fatto che i diversi slogan siano o meno in conflitto tra loro. Le conseguenze pratiche di queste confusioni, dopo tutto, devono essere risolte da altri.

Prima che tutto ciò inizi a sembrare troppo deprimente, ricordiamo che la PMC non è così potente come sembra, perché alla fine non sa nulla e non può fare nulla. Se vogliamo, è uno Stato che ha il monopolio formale della forza, ma la cui polizia è in gran parte non addestrata e non è in grado di affrontare i criminali gravi. In effetti, per la sua sopravvivenza la PMC dipende dalla polizia vera e propria, che nella maggior parte dei Paesi è impegnata ad alienare e che in ogni caso non morirà per proteggere i suoi lussuosi appartamenti.

Inoltre, se non si può fare appello ai loro sentimenti più sottili (poiché gli ideologi sono generalmente irraggiungibili in questo modo), si può sperare di vederli scomodati o addirittura spaventati, e in alcuni casi questo sembra accadere, poiché argomenti che prima erano chiusi contro le polemiche hanno iniziato ad aprirsi. Un esempio è quello dell’immigrazione.

Diciamo che venticinque anni fa, quando studiavamo diritto dei diritti umani, abbiamo scritto una relazione di fine corso molto apprezzata sul diritto intrinseco dei cittadini di qualsiasi Paese di vivere in qualsiasi altro Paese, ed è sempre stato ovvio che questo deve essere normativamente corretto. L’immigrazione di massa deve anche essere una buona cosa dal punto di vista pragmatico: più ristoranti etnici, prezzi più bassi con una forza lavoro meno costosa, facile accesso alle pulizie e a persone disposte a lavorare in orari non sociali. È vero che, già all’epoca, gli esperti sottolineavano i pericoli dell’importazione massiccia di società con costumi e valori molto diversi, scaricate in aree povere già prive di risorse, che spesso non parlavano la lingua madre e portavano con sé reti religiose e criminali, nonché l’assoluta necessità di fornire risorse massicce per assimilare ed educare queste persone. Ma ricordiamo di aver sostenuto nel nostro articolo che l’Occidente aveva un imperativo categorico kantiano ad accettare queste persone, e c’era qualcosa in Kant sul fatto che tali imperativi fossero automaticamente possibili, o qualcosa del genere, non è vero? Ad ogni modo, nei commenti settimanali antirazzisti che scriviamo per un mezzo di comunicazione adiacente al PMC, di solito sosteniamo qualcosa del genere. I dettagli devono essere risolti da altri: il nostro compito è solo quello di individuare gli obblighi morali da imporre loro.

Ma le cose potrebbero cambiare un po’. Cara, l’Agenzia ha telefonato per dire che la nostra donna delle pulizie non può più venire. A quanto pare il marito ha subito molte pressioni da parte dei nuovi vicini per non permettere alla moglie di andare a lavorare fuori, e non so dove troveremo qualcuno che venga fino in centro a pulire il nostro appartamento di 150 metri quadrati. Sì, caro, e il ristorante che ci piace in piazza non apre più il sabato sera: ci sono stati troppi disordini e violenze a causa delle lotte tra bande di spacciatori. Che fine ha fatto il mondo? E il direttore del supermercato locale ha detto che ora dovranno chiudere alle 20, perché gli autisti degli autobus si rifiutano di andare in periferia di notte per paura di essere attaccati, e quindi il personale non può tornare a casa. È una vera sofferenza.

Nulla di tutto ciò è inventato, tra l’altro. Anche se per il momento il PMC è stato in grado di imporre una rigida disciplina ideologica alle discussioni sui recenti disordini in Francia, la sua presa sul discorso si sta chiaramente indebolendo, e altrettanto chiaramente sta iniziando ad avere paura di se stesso. Una buona guida è la sezione dei commenti dei lettori di Le Monde agli articoli che dicono che è tutta colpa della violenza della polizia blah blah blah del razzismo strutturale blah blah, e che in generale sono stati assolutamente sprezzanti. E Le Monde ha la reputazione di censurare i commenti più critici, quindi il cielo sa come erano. Quando hai perso i lettori di Le Monde …. Nel frattempo, gli intrepidi esploratori dei media adiacenti al PMC, che si avventurano nelle aree ad alta densità di immigrati, riferiscono con toni scioccati, scioccati, che molti degli abitanti del luogo, provenienti da famiglie di immigrati, stanno pensando di votare per la Le Pen come l’unica in grado di trovare una via d’uscita dall’attuale situazione.

Poi c’è tutta quella roba degli studi critici, che ha creato tanti dipartimenti universitari e tanti buoni posti di lavoro per il PMC nell’amministrazione universitaria, dove non è necessario sapere nulla, ma che fungono da trampolino di lancio per acquisire potere anche su altre istituzioni. Ma all’improvviso, sembra che i nostri figli prendano sul serio tutta questa roba del Gender: non vogliono più avere relazioni, perché alle ragazze è stato insegnato che gli uomini sono intrinsecamente aggressivi e violenti, e ai ragazzi è stata imposta la paura di essere accusati di queste cose. A entrambi è stato insegnato che tutte le relazioni umane sono solo lotte di potere e che si tratta di chi ha il controllo. Non è mai stato questo il piano, e la nostra vasta compiacenza sugli effetti di questo insegnamento sta venendo meno. Qualcuno dovrebbe risolvere la questione. E questa faccenda del cambio di sesso, che era così bella quando la leggevamo nei romanzi sulla cultura di Iain Banks, si rivela un po’ più complicata nella vita reale: suicidi e altro. E poi, naturalmente, c’è Covid, dove il PMC, che ha bisogno che Covid finisca per poter fare il brunch, si è improvvisamente reso conto che Covid ha un proprio punto di vista sull’argomento, e che dichiarare che qualcosa è finito non significa effettivamente che lo sia. Chi l’avrebbe mai detto?

All’estremo opposto, c’è la questione della guerra, del conflitto, della pace e dell’uso della violenza. Come ho detto sopra, il PMC contiene idee irrimediabilmente contrastanti su questi argomenti, a volte sostenute dalla stessa persona a giorni alterni, ma ciò che distingue il PMC nel suo complesso è, in primo luogo, la totale ignoranza delle questioni militari e, in secondo luogo, la forte convinzione che la loro ignoranza non abbia importanza. Nient’altro può spiegare la spaventosa alienazione dalla realtà delle élite politiche e mediatiche di oggi: evidentemente hanno imparato alla Business School che la domanda crea la propria offerta (ora non ricordo i dettagli) e sembrano sinceramente credere che basti annunciare una nuova divisione corazzata per far sì che gli imprenditori si attivino per aprire fabbriche che consegnino carri armati entro la fine dell’anno, e che un esercito possa essere creato da un giorno all’altro se si paga abbastanza.

Le sanzioni, che sono normativamente giuste a prescindere dalle conseguenze, sono qualcosa che abbiamo imparato al corso di diritto internazionale e sono un’idea davvero interessante. Sì, potrebbero esserci delle conseguenze per le nostre popolazioni, le nostre economie e le nostre industrie, sì, le cose potrebbero andare in frantumi, ma poi ci ritiriamo nella nostra grande negligenza e lasciamo che siano gli altri a occuparsi delle conseguenze. Finché, naturalmente, le conseguenze non iniziano a colpirci personalmente, in modo inequivocabile, come penso accadrà.

Il PMC può pensare solo in modo normativo e in termini astratti, da cervello sinistro. L’Ucraina sta vincendo perché ci sono delle ragioni. Se l’Ucraina non sta vincendo, ciò implicherebbe che le idee normative che guidano il PMC devono essere sbagliate, e questo è impossibile. Quindi l’Ucraina sta vincendo. Ancora più importante, la Russia deve perdere, e qualsiasi forza che lo renda possibile, compresi i macho con tatuaggi nazisti, deve essere sostenuta. Poiché questa casta vive in un mondo in cui il discorso è l’unica realtà, come hanno imparato da qualche parte all’università, non ricordo bene i dettagli, sono cresciuti con l’idea che il controllo del discorso significa controllo della realtà. Ripetete dopo di me: questi non sono tatuaggi nazisti. Quando la verità è troppo dolorosa da gestire, si cerca di cancellarla e se non funziona si trova uno spazio sicuro da qualche parte. Il problema è che, mentre questo approccio può funzionare in un sistema, come quello universitario, in cui si ha un controllo pratico totale, non può funzionare quando il mondo reale bussa alla tua porta e devi fare qualcosa.

Cosa che accade sempre più spesso. Siamo arrivati al punto in cui negare l’esistenza dei problemi e imporre il silenzio a chi si controlla non basta più a contenere il problema. È ora che la PMC cresca, ma non credo che sia in grado di farlo. A livello individuale, la maggior parte di queste persone non è molto temibile: sono troppo inconsistenti per essere malvagi, troppo infantili per essere sinistri. Come classe, sono uniti contro gli estranei, ma al di là di questo, non c’è letteralmente nulla che li unisca se non un vasto compiacimento nei confronti di tutti e di tutto il resto. Ma non è certo che gli affari del mondo occidentale siano mai stati gestiti da una casta di persone più superficiali, più insicure e più immature.

Il che mi ha fatto pensare, come si fa, a un altro romanzo ambientato in una società altrettanto rarefatta e pubblicato più di un secolo prima di quello di Fitzgerald. Mi riferisco a Les Liaisons dangéreuses di Pierre Choderlos de Laclos (negli anni Ottanta ne è stata fatta una versione cinematografica in lingua inglese con Glenn Close). La storia riguarda due aristocratici malvagi, il visconte di Valmont e il marchese di Merteuil. Il Marchese convince il Visconte a sedurre Cécile, un’adolescente di un convento che sta per sposarsi con il Conte di Gercourt, perché Gercourt è un ex amante con cui lei ha litigato. (La rappresentazione glaciale e virtuosa di un mondo di manipolazione rituale degli altri e di vuoto edonismo seriale ricorda stranamente quella del romanzo di Fitzgerald, soprattutto per il senso di assoluta impunità di cui godono tutti i personaggi principali. Seducono le persone e distruggono le loro vite, lasciando che siano gli altri a rimediare al disastro. (Cécile alla fine fugge in convento). Formano una casta, come i personaggi di Fitzgerald, che si difende dagli estranei, ma dove tutti sembrano impegnati a sfruttare gli altri (il marchese si diverte a torturare le ex amanti nella speranza che lei le riprenda, per esempio).

Si è tentati di vedere la PMC di oggi come una sorta di versione adolescenziale da bar dell’aristocrazia europea della fine del XVIII secolo, che parla una lingua comune, isolata dal contatto con la gente reale, che si sposta da un paese all’altro, educata ora in università d’élite piuttosto che da precettori privati e in Grand Tour. E naturalmente l’aristocrazia del romanzo di Laclos ha fatto una brutta fine, una manciata di anni dopo la sua pubblicazione nel 1782.

Tuttavia, Laclos stesso non sembra aver anticipato la Rivoluzione e, sebbene i suoi personaggi principali facciano entrambi una brutta fine, non è per ragioni politiche, così come l’inutile omicidio di Gatsby alla fine del romanzo non è in realtà il prodotto di nulla se non della gelosia e dell’incomprensione. Quindi, se da un lato si è tentati di fantasticare su una rivoluzione che spazzerà via dal potere questa casta, dall’altro la loro fine effettiva (che credo si stia avvicinando) sarà probabilmente più banale e meno brusca.

Come ho già sottolineato in precedenza, non esiste un’ideologia o un movimento in attesa in grado di prendere il posto del PMC, né esistono strutture intermedie che possano organizzare la sua caduta e la sua sostituzione. È un peccato, perché in effetti il PMC è vulnerabile e sarebbe un bersaglio facile da spazzare via. Penso piuttosto che un po’ alla volta, persona per persona e istituzione per istituzione, la PMC comincerà a crollare sotto lo stress di situazioni che non possono essere ridotte a tweet e slide di Powerpoint. Dove troverete i politici in grado di guardare negli occhi una Russia forte e potente e di rispondere con concessioni realistiche e promesse di buona condotta piuttosto che con facce sciocche e insulti? Dove troverete gli opinionisti dei media che spiegheranno che il riscaldamento globale non è quello che vorremmo, ma quello che è e che dovremo fare? Quanto dureranno ancora i gruppi per i “diritti umani” che ci dicono che i governi non devono costringere le persone a fare qualcosa per evitare la diffusione di Covid?

In passato abbiamo assistito alla sostituzione totale delle classi dirigenti. Qui non credo sia possibile. Ma non vedo nemmeno conversioni damascene. Se sei un esperto di diritti umani normativi che ha passato vent’anni a dare lezioni ai governi di tutto il mondo su come dovrebbero comportarsi, cosa farai quando queste idee saranno brutalmente messe da parte mentre la civiltà occidentale lotta per sopravvivere? Beh, suppongo che si possa andare a lavorare in un supermercato, ma è discutibile che molte persone di questo tipo abbiano le qualifiche pratiche per farlo.

Ci saranno lacrime prima di andare a dormire.

https://aurelien2022.substack.com/p/reality-would-like-a-word?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=135654192&isFreemail=true&utm_medium=email

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UN CASO INTERESSANTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN CASO INTERESSANTE

Spesso si ripete che l’Italia è un grande laboratorio politico dato che è la prima a sperimentare novità: e, con altrettanta frequenza, questo è vero.

Uno dei casi è proprio Forza Italia. Denominata partito personale, leggero anche per contrapporlo a quelli della I repubblica connotati da apparati assai più ideologizzati, professionalizzati e pervasivi.

Orsono venticinque anni mi capitò di scrivere su Berlusconi e Forza Italia, confrontandone l’allora breve esistenza politica con regole e parametri presi da Machiavelli e da un acuto giurista tedesco, Rudolf Smend. Questi è rimasto nella dottrina costituzionale come colui che ha valorizzato l’integrazione, cioè il rapporto tra vertice e base come “divenire dinamico dell’unità politica”, cioè (anche) come produzione di un idem sentire, che consolidasse e rendesse effettive unità e azione politica. Scrive Rudolf Smend “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali, quelli che più necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a cominciare dai partiti fino allo Stato. Notavo che Forza Italia, data la forte personalità del capo era cospicuamente dotata di integrazione personale (anche se difettava nei dirigenti intermedi).

A distanza di oltre 5 lustri si può confermare che l’integrazione personale (tramite il leader) è stato il principale fattore d’integrazione e probabilmente quella che ha consolidato l’esistenza del partito. Lo dimostrano il numero enorme di preferenze (nelle elezioni che le consentivano) a Berlusconi, gli assai più modesti risultati nelle elezioni locali, e comunque quando il cavaliere non si candidava, l’evidente ascendente dello stesso sull’elettorato. E perfino il complotto anti-Berlusconi che ne ha portato, tramite legge Severino, alla di esso privatizzazione: la (voluta) privazione del ruolo pubblico del cavaliere dopo la condanna definitiva è stato probabilmente il fatto che ha maggiormente contribuito al sorpasso della Lega su Forza Italia alle elezioni politiche del 2018. Proprio per la preponderanza che aveva l’integrazione personale nella “tenuta” di Forza Italia la tattica preferita dal centrosinistra è stata quella di attaccare il leader avversario sul piano personale (e “privato”).

Anche perché gli altri due mezzi (tipi) d’integrazione individuati da Smend, in Forza Italia di converso erano assai deboli. Nella vita di ogni struttura le procedure di decisione e discussione sono – come scriveva Smend – “prevalentemente indirizzate alla formazione della volontà comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà, indirizzata a scopi comuni”. Ma da quanto risulta tale mezzo è stato sempre poco praticato: i “congressi” di Forza Italia più che un modo per realizzare la volontà comune e selezionare la dirigenza (almeno in parte), sembravano convention aziendali per promuovere i prodotti offerti (in genere sono anche questo, ma era la proporzione prevalente a minare, alla lunga, la solidità dell’insieme).

Tra l’altro i sistemi elettorali per lo più adoperati hanno ridotto la possibilità che la selezione della dirigenza politica, in modo democratico, fosse “compensata” in sede elettorale. Questo perché la collocazione in collegi e listini consente ai vertici dei partiti un potere di designare gli eletti assai superiore alla vecchia legge elettorale proporzionale con preferenza, così che si è parlato – correttamente – per lo più di un parlamento di nominati.

Quanto all’integrazione materiale, cioè attraverso la comune adesione a “tavole di valori” comuni, all’inizio si manifestava per lo più in negativo cioè contrapponendosi al centrosinistra. Presentava il limite di essere in parte nebulosa, in altra stemperata in più rivoli, ma soprattutto non ha retto il confronto con le realizzazioni dei governi Berlusconi. I quali, malgrado maggioranze parlamentari cospicue, realizzavano poco di quanto promesso. Certo meglio di quanto avrebbe fatto il centrosinistra o i governi “tecnici” o “simil-tecnici”, ma comunque modesto rispetto alle promesse ma soprattutto alle aspettative dell’elettorato. Di guisa che circa due terzi del bacino elettorale di Forza Italia si è riversato sulla Lega e Fratelli d’Italia, partiti che quindici anni fa insieme avevano consensi pari a un terzo di quelli del partito di Berlusconi.

E adesso? La risposta è tutt’altro che facile e Tajani avrà un bel da fare. Venuto meno il fattore Berlusconi, estremamente difficile a sostituirsi, non resta che puntare sugli altri fattori d’integrazione e su mezzi di selezione del personale politico meno “autocratico”.

Scriveva Michels che la democrazia non è concepibile senza organizzazione. Nel caso di Forza Italia vale anche l’inverso e l’organizzazione non è concepibile senza democrazia. E così anche con la discussione a tutti i livelli dell’organizzazione. Questa serve a selezionare i capi, come ad acquisire e diffondere idee (anche) nuove. Serve sia all’integrazione funzionale che a quella materiale. Così come alla coesione dell’insieme.

Riuscirà l’impresa? È nuova, sicuramente per l’Italia, ma non mi risulta che sia stata realizzata altrove, almeno in Europa. Non resta che fare gli auguri, ricordando che il merito nel riuscirci è pari alle difficoltà da superare.

Teodoro Klitsche de la Grange

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La Russia alza la posta in gioco con un audace attacco al porto danubiano, di SIMPLICIUS THE THINKER

Quando la Russia ha iniziato i suoi grandi attacchi a Odessa, ci siamo tutti chiesti fino a che punto la MOD russa avrebbe portato le cose. Abbiamo visto mappe come la seguente, che mostra tutte le navi container che risalgono il Danubio verso i porti ucraini confinanti con la Romania, e ci siamo chiesti se la Russia le avrebbe colpite, essendo così vicine ai confini di uno Stato della NATO:

Queste domande hanno trovato risposta oggi, quando la Russia ha sferrato un duro colpo al porto ucraino di Reni, a due passi dalla Romania.

Si tratta di un fatto importante perché dimostra una nuova postura dura da parte del Ministero della Difesa russo. Non solo hanno colpito oggetti che si trovavano letteralmente al confine con la NATO, ma sembravano addirittura danneggiare navi di grano, che potrebbero appartenere a Paesi della NATO.

Questo è stato chiaramente fatto per inviare un segnale forte, volto a trasmettere la serietà della Russia nel rifiutare l’accordo sul grano.

Come si può vedere qui di seguito, quelli che sembrano essere interi silos di grano sono stati schiacciati al porto:

Posso solo supporre che una delle ragioni di questa scelta, già prevista da altri commentatori, sia che la Russia renda impossibile assicurare qualsiasi nave che tenti di aggirare i corridoi precedenti con il nuovo passaggio del Danubio. Si vuole dimostrare che questa è davvero una zona di guerra e che nessuno dovrebbe passare senza l’espressa approvazione del capo amministratore della zona di guerra.

Ricordiamo che questo era l’elenco ufficiale dei requisiti che la Russia avrebbe dovuto soddisfare per ripristinare l’accordo sul grano:

Elenco dei requisiti ufficiali della Russia, il cui soddisfacimento renderà possibile il ripristino dell’accordo sul grano.1. Una conclusione reale e non speculativa delle sanzioni sulla fornitura di grano e fertilizzanti russi ai mercati mondiali.2. Devono essere rimossi tutti gli ostacoli per le banche e le istituzioni finanziarie russe che servono alla fornitura di cibo e fertilizzanti.3. Devono essere riprese le consegne alla Russia di pezzi di ricambio e componenti per le macchine agricole e l’industria dei fertilizzanti.4. Tutti i problemi con il noleggio delle navi devono essere risolti. Devono essere risolte tutte le questioni relative al noleggio delle navi e all’assicurazione delle forniture alimentari russe per l’esportazione, e deve essere assicurata tutta la logistica delle forniture alimentari.5. Devono essere garantite condizioni illimitate per l’espansione delle forniture di fertilizzanti russi e delle materie prime per la loro produzione, compreso il ripristino del funzionamento del gasdotto per l’ammoniaca Togliatti-Odessa.6. Devono essere sbloccati i beni russi relativi all’industria agricola.7. Deve essere ripristinata la natura umanitaria originaria dell’accordo sul grano. Nelle ultime settimane, l’elenco delle richieste si è allungato da 5 a 7. L’Occidente sembra estremamente improbabile che possa fare qualcosa per i Paesi in difficoltà, non per i Paesi ricchi. È estremamente improbabile che l’Occidente le soddisfi. Erdogan non ha le risorse per influenzare l’Occidente su questi temi. Pertanto, la probabilità di estendere l’accordo sul grano alle stesse condizioni è estremamente bassa.
L’Ucraina sta cercando disperatamente di mantenere in vita l’accordo inventando ogni sorta di proposte bizantine e piene di tecnicismi, come la seguente:

L’Ucraina ha diffuso una lettera attraverso l’Organizzazione marittima internazionale con informazioni sulla creazione di corridoi marittimi alternativi (verde – acque basse, rosso – acque profonde) all’interno del mare territoriale ucraino e della zona economica esclusiva per l’utilizzo da parte delle navi per l’esportazione di prodotti agricoli dai porti ucraini o per l’uscita delle navi che sono rimaste bloccate nei porti dallo scorso febbraio. Si afferma che il risarcimento è previsto per “i danni causati mentre le navi si trovano nelle acque territoriali ucraine quando tali navi viaggiano da/verso i porti marittimi aperti ucraini per trasportare merci”.Nel contesto, questa frase significa probabilmente che la condizione per ricevere il risarcimento è il danno alla nave causato all’interno delle acque territoriali dell’Ucraina.Tuttavia, il corridoio rosso (in acque profonde) passa quasi interamente al di fuori delle sue acque territoriali.

Per complicare ulteriormente le cose, un piano prevede di spedire il grano su rotaia fino a Izmail, ma questo porta il grano a superare il ponte di Zatoka, spesso preso di mira:

“Il grano ucraino sarà consegnato per ferrovia attraverso Izmail, dove si trova un grande porto commerciale. Allo stesso tempo, la città è collegata al resto dell’Ucraina, anche attraverso il ponte strategico che attraversa l’estuario del Dniester, situato a Zatoka. Negli ultimi giorni è stato regolarmente attaccato, non ci sono informazioni affidabili sulle sue condizioni, ora il traffico sul ponte è chiuso”.
Negli attacchi di Odessa della scorsa settimana, alcuni rapporti sostenevano che la Russia avesse colpito il ponte e danneggiato la parte ferroviaria. Non ci sono state conferme, ma la Russia ha preso di mira questo ponte numerose volte in passato, anche con droni navali. E pochi giorni dopo gli attacchi della scorsa settimana, sono giunte altre notizie secondo cui la Russia lo colpirà di nuovo con droni navali per dimostrare i suoi nuovi droni navali sulla scia degli attacchi con droni navali dell’Ucraina a Kerch.

In ogni caso, la Russia ha la capacità di distruggere questo ponte o di metterlo continuamente “fuori uso”, in modo tale che le spedizioni coerenti e tempestive di grano via ferrovia sarebbero disastrosamente complicate, se non completamente annullate.

Inoltre, è stato riferito che i Paesi europei non vogliono che l’Ucraina spedisca il proprio grano direttamente a loro tramite ferrovia e sono intenzionati a non permetterlo. Certo, non ho ancora capito l’esatta ragione di questa scelta – forse i miei intrepidi lettori lo sanno e possono informarci nei commenti. Posso solo ipotizzare che potrebbe avere a che fare con il fatto che l’Europa non ha le infrastrutture necessarie per gestire una tale quantità di grano su rotaia o forse con ulteriori problemi assicurativi, come nel caso delle rotte di trasporto. Bisogna ricordare che i treni in teoria trasporterebbero molto meno di una nave da carico e che quindi sarebbe necessaria una quantità sproporzionata di treni per trasportare lo stesso carico di una nave, rendendo la logistica molto più inefficiente – o almeno così presumo.

Inoltre, ecco un’altra prospettiva sui vari scioperi:

In base allo sciopero notturno di Odessa e Nikolaev, è necessario comprendere quanto segue. Boris Rozhin: 1. Le Forze Armate ucraine hanno da tempo stazionato e immagazzinato armi e munizioni nei porti e, molto probabilmente, erano sicure che queste scorte fossero al sicuro grazie all’accordo sul grano.
2. Le detonazioni notturne a Odessa ci permettono di concludere che tutto ciò che è stato portato nei porti, probabilmente per il gruppo “Sud” delle Forze Armate dell’Ucraina, è stato immagazzinato nel modo più stretto possibile. Alcuni magazzini nella zona portuale sono ancora in fiamme.
3. Il volume delle munizioni e delle attrezzature distrutte è ancora difficile da capire, tuttavia, se le armi e l’A.C. erano fondamentali per le Forze Armate dell’Ucraina, Kiev ne richiederà urgentemente altre nel prossimo futuro.
4. Per compensare la fornitura di armi distrutte, sarà necessario spendere una quantità significativa di tempo. Dato che una parte significativa dei proiettili da 152 e 155 mm, così come altre armi, vanno nella zona dell’offensiva ucraina letteralmente dalle ruote, l’APU dovrà cambiare lo schema e il metodo di consegna, e questo è un tempo aggiuntivo che non è disponibile.
Nel frattempo, Zelensky ha pregato la NATO di convocare un consiglio Ucraina-NATO sulla situazione del grano per salvarla:

Ora che siamo tutti sgranati, commentiamo ancora un po’ gli sviluppi della situazione polacca. In precedenza, Putin ha incontrato Lukashenko per un giro nella zona di San Pietroburgo. Lukashenko ha avuto alcune cose interessanti da dire. Ecco l’imperdibile video sottotitolato integrale del loro colloquio pubblico informale:

I miei punti principali:

Si afferma che più di 15 Leopard e 20 Bradley sono stati distrutti in una singola battaglia recente, quando l’AFU ha fatto un nuovo tentativo di incursione vicino a Rabotino ieri
Dal 4 luglio, l’AFU ha subito “molto di più” di 26.000 KIA
Le brigate polacche vengono trasferite verso il confine con la Bielorussia
Si sta sviluppando un piano che prevede l’annessione dell’Ucraina occidentale da parte della Polonia in cambio dell’adesione dell’Ucraina alla NATO.
Il punto fondamentale: La divisione dell’Ucraina è inaccettabile per la Bielorussia. E se necessario, la Bielorussia è pronta ad “agire” per evitare che la Polonia la avvolga dalla direzione sud.
Wagner implora Lukashenko di lasciargli invadere la Polonia. Si tratta probabilmente di una minaccia semi-linguistica per tenere la Polonia sulle spine.
Lukashenko incarica Putin di fare una panoramica ufficiale con il Ministero della Difesa russo sulla decisione della Bielorussia di agire – potenzialmente in modo militare – contro la Polonia qualora questa tentasse di annettere l’Ucraina occidentale.
Ci sono alcune cose da analizzare. In primo luogo, bisogna ricordare che queste interazioni “frontali” sono praticamente teatro. Sono rappresentazioni sceniche destinate a trasmettere al pubblico ciò che è già stato discusso e deciso a porte chiuse. Tutto ciò che Lukashenko ha detto è stato scelto in modo molto preciso per essere detto e capito, non solo per il pubblico, ma anche per la leadership polacca e della NATO.

Il dato più significativo è che Lukashenko sembra insinuare che la Bielorussia sarebbe costretta a reagire militarmente a qualsiasi annessione polacca dell’Ucraina occidentale. Il motivo dichiarato è che la Bielorussia è già circondata dai baltici e dai polacchi a est e a ovest, e non può permettere che lo Stato sia strategicamente compromesso anche a sud.

Questo non è solo un discorso a parole, possiamo vedere da una mappa che la Polonia al confine meridionale della Bielorussia mette tutta la Bielorussia occidentale, in particolare la città di Brest e le regioni circostanti, in una potenziale tenaglia se la Polonia decidesse di attaccare in futuro:

Possono facilmente tagliare fuori Brest in un colpo solo.

Naturalmente, Lukashenko ha formulato questa minaccia dicendo che avrebbe agito solo se gli ucraini occidentali lo avessero “richiesto” alla Bielorussia. Tuttavia, ci sono molti modi per generare tali “richieste”, che esistano o meno, in caso di necessità.

L’altro punto importante è che Lukashenko ha chiesto formalmente a Putin di rivedere questo piano con le forze armate russe, il che implica che ci sarà un coordinamento tra le forze armate dello Stato dell’Unione.

Come ho detto, gran parte di questo è stato fatto espressamente per inviare un messaggio alla Polonia e alla NATO come deterrente. Tuttavia, come ho detto nei recenti rapporti, il semplice fatto che questi piani siano ora discussi apertamente e candidamente al più alto livello, dai vertici statali della Bielorussia e della Russia, significa che il piano polacco/NATO deve essere reale e portato avanti in modo corretto nella sua realizzazione.

Abbiamo discusso di queste cose per mesi, ma spesso sono state viste come voci speculative o dubbie. Ora i tempi sono cambiati perché l’Ucraina è rimasta senza opzioni e sta fallendo catastroficamente sul campo di battaglia.

Proprio oggi, un’altra unità polacca di 200 veicoli blindati ed equipaggiamento sarebbe arrivata vicino al confine bielorusso:

#BREAKING 🇵🇱

La Polonia ha appena iniziato a trasportare altre 200 unità di attrezzature nel Voivodato di Podlaskie, vicino al confine con la Bielorussia.
E anche la seguente notizia è apparsa sui giornali:

La Polonia creerà un nuovo battaglione di genieri, che si specializzerà nella conduzione di operazioni nel corridoio di Suwalki, lungo il confine con la Lituania, riferisce l’ERR.I primi soldati saranno invitati a far parte della nuova formazione entro la fine di quest’anno.Il corridoio di Suwalki è una sezione della Polonia nord-orientale, situata tra la Bielorussia e Kaliningrad. Il controllo di questo corridoio separa i Paesi baltici dagli altri Paesi della NATO, che è chiaramente preoccupata per questo corridoio e sarebbe un potenziale obiettivo per Wagner/Bielorussia se la guerra diventasse una guerra tra Russia e NATO.
Ora, per quanto riguarda l’altra cosa di cui hanno discusso Lukashenko e Putin. Negli ultimi giorni si è assistito a un rinnovato sforzo offensivo ucraino in direzione di Rabotino-Orekhov. Si capisce che si tratta di un tentativo “serio” quando si ricomincia a usare l’equipaggiamento di punta della NATO, come i Leopard e i Bradley, piuttosto che i colpi di sondaggio con i MaxxPro e simili.

Gli attacchi sono stati nuovamente respinti dalle forze russe, con perdite terribili per l’AFU. Ci sono letteralmente decine di video di perdite di mezzi corazzati, con molti nuovi Leopard 2 e Bradley distrutti. Eccone un assaggio:

Leopard 2A4:

Leopard:

M2 Bradley completamente intatto catturato dalle forze russe:

Ancora Bradleys distrutti:

Un’enorme raccolta di nuovi Leopard 2A6 colpiti da droni Lancet, oltre a colpi FPV su Bradley:

Qui due Bradley su tre vengono distrutti, mentre l’ultimo riesce a fuggire:

E un altro:

Cattura in massa di prigionieri di guerra ucraini:

E ci sono infiniti altri video grafici che mostrano campi di AFU morti, come questo, e questo, e questo, così come molti altri video di blindati non-Leopard/Bradley distrutti solo nell’ultimo giorno, come qui, qui, qui e qui.

In breve, le perdite sono astronomiche.

Anche gli ufficiali ucraini cominciano ad ammettere la scomoda verità. Qui uno dichiara candidamente che stanno semplicemente “esaurendo gli uomini”:

Altre brigate ucraine si stanno ammutinando, come questa che opera nella zona del ponte Antonovsky di Kherson, bombardata dalla Russia da settimane. Essi affermano che solo il 20% del loro battaglione è rimasto in vita a causa delle azioni criminalmente negligenti dei loro comandanti:

Detto questo, l’Ucraina sta ottenendo qualche successo solo nell’area di Bakhmut-Artemovsk, ma a caro prezzo. Lì, hanno inviato le unità d’élite di Azov a cercare guadagni e sono riuscite a respingere le forze russe. Il tutto è culminato in una perdita particolarmente grave oggi, quando i VDV russi sono caduti in un’imboscata nella punta meridionale di Klescheyevka, con circa 5-10 morti.

Ma ho già detto che l’AFU sta riversando tutto in quest’area, e ogni centimetro sta costando loro molto caro, cosa che, scioccamente, è stata persino ricordata dal Kiev Post:

Come alcuni hanno sottolineato, se persino il Kiev Post fa tali ammissioni, allora le cose devono andare davvero male.

In generale, continuano a filtrare notizie e fughe di notizie che suggeriscono perdite molto più gravi per l’AFU di quanto molti avessero calcolato. Ecco una recente fuga di notizie ucraina che afferma che l’AFU ha 310.000 morti:

A sostegno di ciò c’è un’altra nuova pubblicazione di un team che traccia in modo granulare le perdite di personale ucraino e ha adattato un modello matematico per estrapolare le perdite “confermate” in una proiezione stimata. Ecco cosa hanno scoperto:

Se lo desiderate, potete vedere qui la loro lunga e complicata metodologia basata su equazioni.

È interessante notare che, per confrontare i numeri, se ricordate, in precedenza avevo stimato che l’AFU attualmente deve avere circa 200-250k truppe. È plausibile che ce ne siano più di 395k, soprattutto perché di recente c’è stata un’ondata di mobilitazione forzata molto pesante, anche se io propenderei per la stima meno generosa.

Ma quello che volevo aggiungere ai calcoli in corso è che il consigliere presidenziale ucraino Podolyak ha recentemente dichiarato che, secondo i dati interni dell’Ucraina, la Russia ha attualmente 360.000 forze totali come parte della SMO. Si tratta di un numero interessante, dato che si avvicina anche alla mia stima, senza contare che i 150-180 mila uomini recentemente aumentati sono per lo più riservati alle nuove armate di riserva di Shoigu. Anche se è vero che si tratta di una stima poco prudente, con oltre 450.000 unità possibili: tutto dipende da alcune cose su cui non abbiamo dati, come il numero totale di militari che hanno lasciato il servizio l’anno scorso.

Comunque, alla luce di queste cose e delle massicce perdite dell’AFU che sono state scoperte, ho trovato questo nuovo video piuttosto interessante. Il conduttore di talk show russo Soloviev ha visitato il fronte e ha intervistato l’ex generale russo “deceduto” Mordvichev (uno di quei “generali russi uccisi” di cui ho parlato in precedenza e che sono stati sfatati).

Mordvichev è il comandante del Distretto Militare Centrale russo e del “Centro di Gruppo” della SMO – il che significa che è molto in alto, non un semplice scribacchino o sergente di brigata. Gli è stato chiesto il suo parere su come si svilupperà il conflitto da qui in avanti. Ascoltate la sua risposta:

Punti principali:

Afferma con sicurezza che l’offensiva dell’AFU si esaurirà entro agosto. Poi ci sarà una grande pausa, durante la quale non si otterrà nulla, anche nel corso dell’inverno. Conclude con la previsione che la guerra finirà in primavera.

Naturalmente, la grande domanda è cosa farà la Russia dopo. E quando glielo si chiede, sembra demordere in un modo che posso solo supporre sia semplicemente un silenzio professionale, in quanto ovviamente non vuole svelare i piani offensivi della Russia.

Ma è molto allettante il fatto che uno dei principali comandanti di raggruppamento dell’SMO ritenga che tutto sarà finito entro la primavera. Cosa può dargli tanta fiducia? Da un lato, è chiaro che deve parlare sulla base delle perdite disastrose e insostenibili che l’AFU sta attualmente subendo, e deve anche sapere che la NATO non ha più molti blindati e armi pesanti da inviare, per non parlare delle munizioni.

La sua previsione si rivelerà arrogante? Potrebbe essere, tutto è possibile. Ma se si studiano i suoi modi e il suo portamento, non si ha l’impressione che sia un uomo arrogante, ma piuttosto che sappia qualcosa che noi non sappiamo.

Credo che l’intervista completa sarà pubblicata sul Canale 1 della Russia; se riuscirò a procurarmela, la caricherò integralmente in futuro. Ma il video leggermente più esteso offre qualche indizio in più.

Si noti che la traduzione automatica è sbagliata nella prima. In realtà sta parlando dell’Ucraina che ha usato in modo improprio le munizioni a grappolo senza alcun effetto contro le forze russe, anche se si legge che ha detto che “noi” le abbiamo usate. In realtà conferma ciò che ho detto in precedenza, ovvero che le munizioni a grappolo sono per lo più inutili e vengono usate solo per disperazione.

Afferma inoltre che il suo gruppo, da solo, ha fatto 31 prigionieri solo ieri.

Ma l’indizio più grande di cui ho parlato è quello che dice all’inizio. Afferma che la Russia sta conducendo una “difesa attiva” che consente alle forze russe di mantenere alcune iniziative tattiche e, in generale, di essere in una posizione tale da poter prendere l’iniziativa in qualsiasi momento quando si è inclini.

Spiega poi che le attuali difese si trasformeranno in una sorta di “cooperazione” di tali iniziative che porterà a quella che possiamo presumere essere un’offensiva russa attiva su tutti i fronti. Afferma che è necessario più tempo, ma che ciò avverrà “in futuro”.

Data l’altra sua dichiarazione sul crollo “primaverile” dell’AFU, possiamo dedurre ed estrapolare che egli ritiene che la difesa attiva della Russia crescerà continuamente fino a sfondare le linee degli EAU, come sta accadendo attualmente nella direzione Kharkov-Kremennaya. E forse, nel corso dell’inverno e della prossima primavera, immagina che questa valanga possa finalmente travolgere completamente l’AFU.

Per come stanno andando le attuali perdite di armi pesanti, do a questa ipotesi il timbro di una chiara possibilità, a meno che non ci siano annunci importanti da parte della NATO, come ad esempio che gli Stati Uniti facciano il passo più lungo della gamba, in stile “hail-mary”, e diano all’Ucraina tutte le sue migliaia di carri armati Abrams in disuso, o qualcosa di simile.

Anche se, a dire il vero, i carri armati sono l’ultima delle preoccupazioni. La più importante è di gran lunga l’artiglieria, che sta subendo una massiccia riduzione. Non sono sicuro di quanto la NATO abbia ancora a disposizione in quel reparto, anche se di recente continuo a vedere nuove spedizioni di M109L italiani. Ma questo nuovo grafico di uccisioni confermate di Lancet racconta una storia:

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🔥 🔥

Le munizioni rotanti russe “Lancet” hanno mostrato un’efficienza del 96%. Nella DNR, su 150 lanci, non più di dieci droni kamikaze non hanno colpito il bersaglio.
Si noti che nei mesi precedenti erano stati confermati circa 50 colpi al mese, con un’impennata fino a circa 90 nel mese di luglio. Sappiamo che i Lancet amano – forse in modo sproporzionato – dare la caccia all’artiglieria, dato che le loro principali prede sono le aree posteriori, mentre gli FPV si occupano di quelle anteriori. Tra l’altro, questi sono solo quelli confermati visivamente e di cui è stato pubblicato il video, probabilmente ce ne sono molti altri.

Se siete interessati, ecco un’intervista al comandante del battaglione Kaskad (Cascade) della DPR sull’uso diffuso dei droni Lancet. Egli rivela cose come lo spostamento dell’artiglieria dell’AFU dalle aree di prima linea dove sanno che operano i Lancet.

La produzione russa di droni sta salendo alle stelle in questo momento. Ho già fornito il numero: l’AFU stessa dichiara 10k droni prodotti/acquistati, mentre la Russia ne produce 45-50k al mese. Una nuova foto del battaglione russo Sudoplatov mostra una singola consegna di droni FPV che hanno appena preso, per darvi un esempio:

Il noto analista russo Starshe Edda lo riassume come segue:

Starshe Edda: Osservando la tendenza all’uso dei droni FPV da parte del nostro esercito, sono giunto alla conclusione che presto assisteremo a un aumento a valanga delle sconfitte nemiche con questo tipo di arma. Lancet sarà il braccio lontano e l’ammiraglia dei droni kamikaze che operano a profondità operativa, mentre i droni FPV si occuperanno della profondità tattica. Ma la cosa più importante non è nemmeno questa, bensì una progressione geometrica nella crescita dei calcoli dei droni professionali.
La Russia sta prendendo estremamente sul serio i droni di prima linea. Alcuni degli ultimi sviluppi sono i seguenti:

La produzione di UAV a Mosca è quadruplicata – ha dichiarato il sindaco SobyaninUna rete di centri scientifici e pratici sarà costruita in tutto il Paese.Nel 2025, circa 40 mila studenti studieranno nelle università nel campo dei sistemi aerei senza pilota, nel 2030 – circa 180 mila persone, ha dichiarato il servizio stampa del dipartimento a RIA Novosti.
Questo include, in generale, gli ultimi aggiornamenti sulla produzione industriale russa:

Il numero di armi ed equipaggiamenti acquistati è aumentato di 1,8 volte dal marzo 2022, e di oltre 5 volte nel 2023 Le consegne di UAV del tipo “Orlan” sono aumentate di 53 volte “Uralvagonzavod” ha aumentato la fornitura e la revisione dei carri armati T-72 e T-90 di 3. 6 volte, “Kamaz” – di circa 180 mila persone – ha aumentato la sua capacità di produzione. 6 volte, “Kamaz” – le consegne di veicoli di 17,6 volte Le consegne di BMP-3 sono aumentate di 2,1 volte, quelle di BTR-82A di 4 volte, quelle di “Tigr-M” di 2 volte Le consegne di elicotteri Ka-52 sono aumentate di 2 volte, quelle di Mi-28 di 3 volte.
E i seguenti numeri scioccanti del vice primo ministro russo:

La produzione di munizioni in Russia è aumentata di oltre 12 volte, ha dichiarato ManturovIl volume mensile di produzione di munizioni ha superato il volume annuale per il 2022Il volume mensile di produzione di armi di distruzione da parte delle imprese industriali russe della difesa ha superato il volume di produzione per l’intero anno scorso, ha dichiarato lunedì il vice primo ministro, ministro dell’Industria e del Commercio Denis Manturov.
Ha poi aggiunto che qualsiasi interruzione delle forniture viene rapidamente sostituita:

“Dall’inizio di quest’anno, molti tipi di armi e di equipaggiamenti militari speciali sono già stati prodotti molto di più rispetto all’intero anno scorso. E se parliamo di armi di distruzione, stiamo raggiungendo un livello in cui le consegne in un solo mese superano l’ordine totale dell’anno scorso”, ha detto Manturov al Consiglio sul buon funzionamento delle imprese dell’industria della difesa nel Distretto Federale del Volga, sottolineando che quasi tutte le imprese, salvo rare eccezioni, mantengono programmi senza precedenti in termini di termini e volumi. “La produzione di munizioni in Russia nel solo mese di luglio 2023 ha superato le cifre dell’intero anno scorso, secondo quanto dichiarato dal Ministro russo dell’Industria e del Commercio Denis Manturov in occasione di un consiglio sul funzionamento delle imprese del settore della difesa nel distretto federale del Volga.
In effetti, la produzione sta aumentando a tal punto che Andrey Gurulev ritiene che potrebbe stimolare un’altra mobilitazione in futuro. Questo implica chiaramente qualcosa che abbiamo già discusso qui, ovvero che uno dei fattori chiave che hanno frenato una potenziale seconda mobilitazione per la Russia è stato semplicemente il fatto di non avere abbastanza attrezzature e munizioni di qualità per armare tutti. Ricordiamo che la prima mobilitazione ha creato la più grande forza russa dalla Seconda Guerra Mondiale, e che per tutto questo tempo la Russia ha giocato a rimpiattino per equipaggiarla adeguatamente. Ora, con l’impennata della produzione bellica, potrebbe aprirsi la strada a un’altra chiamata di truppe, che potrebbe portare la SMO a una fine molto più rapida:

Una nuova mobilitazione parziale è possibile con un aumento del fatturato industriale in Russia. Questa condizione è stata definita da un membro del Comitato della Duma di Stato per la Difesa, il tenente generale Andrey Gurulev
: “La mobilitazione parziale deriva da parametri completamente diversi. Dalla capacità della nostra industria di fornire il gruppo che attualmente svolge compiti di combattimento. Oggi la nostra industria è in grado di fornire il gruppo che si trova da solo. Se qualcosa è più di questo, allora verrà preso in considerazione”, ha detto.
Come si può vedere, però, egli sembra affermare che gli attuali livelli di produzione sono appena sufficienti a fornire l’attuale raggruppamento, ma se aumenteranno ancora di più “saranno presi in considerazione” – ovviamente, a questo ritmo, si prevede che continueranno ad aumentare.

Ho già ipotizzato in passato la possibilità che la Russia possa riproporre il programma dell’anno scorso, convocando un’altra mobilitazione in autunno e utilizzando poi tutto il periodo morto dell’inverno per addestrare le nuove truppe, giusto in tempo per avere una nuova forza massiccia pronta per le offensive primaverili dell’anno prossimo, per finire l’AFU. Intendiamoci, non credo che accadrà, ma è solo una possibilità da considerare.

Comunque, tutto questo per dire che con questi sviluppi, possiamo vedere come la proiezione del generale Mordvichev possa essere plausibile. Dopotutto, tornando a Lukashenko all’inizio, c’è una ragione per cui la Polonia e la NATO stanno ora scalpitando a tal punto da giustificare risposte di alto livello da parte di Lukashenko/Putin. Devono sapere che la fine dell’Ucraina è vicina.

Questo si collega anche al fatto che la stessa AFU si aspetta che la Russia inizi a colpire in massa le infrastrutture energetiche per questo inverno, proprio come l’ultima volta:

Scusate la traduzione un po’ confusa, ma in pratica dice che la Russia sta facendo il lavoro preliminare di preparazione dell’intelligence nella ricognizione degli obiettivi che causeranno il maggior numero di danni alle infrastrutture energetiche, ecc.

Se si aggiungono queste cose alla mia precedente proiezione, risalente a molto tempo fa, secondo la quale, con il ciclo elettorale del 2024 alle porte, se l’Ucraina non mostrerà grandi vittorie ai suoi gestori entro la fine di quest’anno, gli Stati Uniti dovranno scaricarla, tutto converge verso prospettive molto negative per l’AFU nei primi due trimestri del prossimo anno.

Detto questo, l’Ucraina potrebbe prepararsi a un ultimo colpo di coda nella sua “controffensiva”. I nuovi attacchi alla Crimea sono visti da alcuni come il lavoro preparatorio per cercare di tagliare i rifornimenti alle “retrovie” della Russia, mentre gli attacchi degli ultimi giorni potrebbero, alla luce di ciò, essere azioni di sondaggio, alla ricerca di punti deboli per la forza principale.

Vento del Sud: è necessario considerare l’attacco missilistico Storm Shadow in un’unica chiave con l’uso di attacchi di droni in Crimea nel giro di pochi giorni. Ci sono tentativi di disabilitare il sistema di supporto logistico del gruppo delle Forze Armate russe alla vigilia dell’offensiva. E tenendo conto dell’attacco di imbarcazioni senza equipaggio sul ponte di Crimea, è necessario anche isolare l’area delle operazioni di combattimento. Inoltre, oggi nei pressi di Orekhove, per la prima volta nelle ultime settimane, le Forze Armate ucraine hanno utilizzato un numero abbastanza elevato di veicoli da combattimento di fanteria Bradley rispetto alle tre settimane precedenti.Quindi, ad oggi, ci sono chiaramente segnali che ci permettono di concludere che Kiev ha iniziato la seconda fase di un’operazione offensiva strategica (o, almeno, finge di averla iniziata).
Come si può notare, l’analista di cui sopra dà inizio alla seconda fase del tentativo di offensiva.

A proposito, dato che altri hanno chiesto informazioni su quanto sopra e si chiedono come l’Ucraina sia stata in grado di colpire la Crimea con Storm Shadows negli ultimi due giorni, ecco l’articolo di Rybar che fornisce alcune spiegazioni. L’idea di base è che abbiano lanciato uno sciame di droni di massa che presumibilmente ha sopraffatto le difese aeree e ha permesso agli SS di “intrufolarsi”:

Attacco combinato delle forze armate ucraine in Crimea – @Rybar ReportNelle prime ore del mattino, le forze ucraine hanno nuovamente lanciato un attacco alla penisola di Crimea. Inizialmente, più di una dozzina di droni sono stati abbattuti dai sistemi di difesa aerea della 31esima Divisione aviotrasportata russa sopra Kirovskoye, Krasnoperekopsk e Dzhankoy. Secondo il Ministero della Difesa, sono stati distrutti 17 UAV. Questo attacco aereo è molto particolare in termini di percorso. I droni sono decollati dall’aeroporto di Dolgintsevo, vicino a Krivoy Rog, e hanno volato lungo la regione di Nikolaev fino a Odessa, prima di essere diretti verso la Crimea, coprendo una distanza significativa di oltre 500 km. La scelta di un tale percorso indica l’elaborazione di nuove rotte più complesse per ingannare le forze russe. Poco dopo, gli aerei Su-24 dell’aeronautica ucraina hanno lanciato quattro missili da crociera Storm Shadow: tre hanno preso di mira un deposito di munizioni vicino a Volnyansk e uno ha colpito una base di riparazione vicino a Novostepnoye. Insieme all’attacco di sabato e a quello di qualche giorno fa contro un hangar a Stary Krym (dove sono stati utilizzati anche gli Storm Shadow), le forze armate ucraine hanno impiegato per tre volte gli armamenti britannico-francesi contro la penisola russa. L’aumento degli attacchi alla Crimea con diversi tipi di armi, insieme all’intensificazione delle azioni di controbatteria lungo i fronti in direzione di Zaporozhye, confermano i preparativi per una nuova fase di offensiva.
Non solo, ma come si può vedere l’attacco aveva vettori non comunemente sofisticati, con droni che volavano su rotte strane. Come si può vedere in basso, anche Rybar conclude che questo segnala la nuova fase dell’offensiva.

Quindi, nei prossimi giorni potremmo assistere a un altro grande tentativo di spinta nel corridoio meridionale.

Inoltre, credo che la minaccia dello ZNPP possa ripartire anche in agosto. Questo è stato il mese in cui il bacino di Kakhovka è stato più asciutto durante il caldo estivo. E ieri l’AIEA ha iniziato a giocare nuovi trucchi di provocazione annunciando di aver scoperto mine antiuomo russe “sul perimetro” dell’impianto ZNPP. Beh, è ovvio. Con l’Ucraina che non vede l’ora di mettere sotto pressione l’impianto da un momento all’altro per il bacino idrico, è ovvio che la Russia minerà il perimetro.

In ogni caso, il bacino si presenta attualmente in questo modo, e sembra che alcune persone vi abbiano già piantato una coltivazione di patate:

Cliccate sull’immagine qui sopra per vederla ad altissima risoluzione.

Vi lascio con quest’ultima analisi che si collega bene a tutti i punti precedenti:

Le nostre truppe hanno sfondato la difesa delle Forze Armate dell’Ucraina nella regione di Kharkiv e si stanno muovendo verso Kupyansk. Il nemico scrive che l’esercito russo utilizza attivamente un potente piombo nell’artiglieria. Sparano pacchetti ad ogni fruscio. Tutte le forze della cresta in altri luoghi. Li abbiamo stesi bene. Ricordate come ci hanno steso all’inizio del NWO, costringendoci a riposare contro la “fortezza”?

Non c’è più nulla di tutto questo.

Il nemico ha tutte le forze a Zaporozhye, a Kherson e al confine con la Bielorussia, e noi siamo passati all’offensiva dove è necessario per chiudere il problema della regione di Belgorod. È importante capire questo: non appena il fronte inizia a muoversi con forza, le Forze Armate dell’Ucraina perdono i loro vantaggi in termini di tecnologia, intelligence e precisione. Non importa: difesa attiva o offensiva, l’importante è che escano da sotto gli “ombrelli”.Tutto il resto è rigorosamente secondo la scienza militare: trovare un varco, raccogliere un potente pugno lì con un vantaggio schiacciante di artiglieria e aerei, sfondare l’artiglieria, rovesciarla e far rotolare il nemico verso altre linee difensive.La stessa cosa non ha funzionato per le Forze Armate dell’Ucraina a Zaporozhye. Non c’è una superiorità schiacciante nell’arte, non c’è nemmeno l’aviazione, non è stato possibile rompere le parti lineari. Il nemico sta gradualmente riuscendo in alcune zone del Donbass, ma anche lì ogni centimetro gli viene concesso al prezzo di un’impresa. In generale, la questione del Donbass può essere chiusa solo con una caldaia o una semi-caldaia. Il movimento è iniziato da nord, non ancora da sud, stiamo aspettando i risultati della controffensiva.In generale, la nostra situazione è ora più vantaggiosa di quella del nemico. Ora hanno la spada di Damocle di Wagner che pende sul centro e sull’ovest dell’Ucraina, a nord si sono spinti in avanti, a sud abbiamo contrattaccato con successo. Noi possiamo allungare loro, loro non possono allungare noi. Da un punto di vista politico-militare loro hanno solo uno o due punti di attacco reali, noi ne abbiamo 4-5. È troppo presto per gioire, ma il teatro delle operazioni sembra promettente. Perdite ancora inutili da ridurre
E qualche filmato finale. Primo: le recenti visite di Putin e Lukashenko nella zona di Kronstadt:

Poi: l’inizio dei lavori per il ponte di Kerch:

E infine, due interviste. Sono tradotte automaticamente dall’I.A., quindi purtroppo ci sono alcune infelicità e testi sballati qua e là, per i quali mi scuso: è il meglio che posso fare per ora. Ma spero che sia sufficiente per capire la maggior parte dei concetti.

Il primo, con un soldato russo mobilitato della 58ª armata che sta trattenendo l’AFU a Zaporozhye:

La seconda è una nuova intervista esclusiva con il leggendario comandante dei Marines russi di un’unità dell’810ª Brigata di Fanteria Navale della Flotta del Mar Nero, nome di battaglia “Struna” (String), ma meglio conosciuto come “l’uomo dello zaino rosso”. La sua squadra ha bombardato Azov a Mariupol, dove il suo eroismo è stato messo in mostra nei rapporti quotidiani. Ma finora il suo volto e la sua vera identità erano sempre stati offuscati. Ora viene svelato per la prima volta.

Una breve introduzione come promemoria:

L’eroe dell’assalto a Mariupol ha mostrato il suo volto. Struna – INTERVISTA COMPLETAOriginariamente da Kirov. In guerra, fin dai primi giorni, ha ricoperto il ruolo di comandante di un plotone d’assalto anfibio del Corpo dei Marines, anche se sognava di entrare nelle Forze aviotrasportate. “Struna” è un nominativo legato al comandante dell’unità.Nelle battaglie dell’intero periodo dell’assalto a Mariupol nella primavera del 2022. “Struna” divenne noto per il suo eroismo e fu ricordato da molti grazie alle relazioni di Filatov e a uno zaino rosso che spiccava vivacemente sullo sfondo dell’uniforme verde.Di fatto, la prima grande intervista di Struna senza maschera. In precedenza, tutto il Paese lo conosceva solo come un uomo mascherato con uno zaino rosso, diventato uno dei simboli della liberazione di Mariupol. Durante i combattimenti ha perso una gamba. Ora cammina già con una protesi.

POLL

Quante possibilità ci sono che l’OMU finisca con la capitolazione dell’Ucraina entro la prossima primavera?
Quasi una certezza.
È possibile.
Nessuna possibilità. La guerra continuerà.
La Russia perderà la guerra.
259 VOTI – 6 GIORNI RIMANENTI


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Complicità, di Andrea Zhok

L’abbraccio di solidarietà di Conte a Speranza, con a fianco una plaudente Elli Schlein, in occasione dell’approvazione della Commissione d’inchiesta sulla gestione pandemica, è una delle scene più ributtanti viste in parlamento da lungo tempo. Un promemoria che ogni voto a sinistra nel presente contesto è un voto non semplicemente buttato, ma a diretto sostegno dell’ipocrisia, della malafede, della peggiore umanità.
Il tema della strategia pandemica è stato soppiantato, come è giusto che sia, da altri problemi più urgenti; e Dio solo sa se di problemi non abbondiamo.
Tuttavia questi personaggi, e chi vi ha dato credito, devono sapere che il senso di ricatto e minaccia vissuto negli anni della pandemia non se ne andrà mai. Quel senso di ricatto e minaccia prodotto dalle stesse “istituzioni democratiche” che avrebbero dovuto tutelare la popolazione e che invece sono state la principale causa di un disastro sanitario senza precedenti.
Lo so che ancora molti, moltissimi, non hanno capito (né voluto capire) cosa sia successo. Se la sono cavata e tanto basta. E adesso che – come ampiamente segnalato a suo tempo – ci troviamo con un servizio sanitario nazionale tracollato e de facto privatizzato, fanno spallucce, e sperano di cavarsela ancora.
Dalla riduzione dei posti letto prima della pandemia, alla mancanza di implementazione di un piano pandemico aggiornato, alla rinuncia forzosa alle terapie domiciliari, al criminale protocollo “tachipirina + vigile attesa”, alle sanzioni ai medici che cercavano di curare, ai lockdown indiscriminati con promesse di ristori risultati ridicoli, all’imposizione indiscriminata e scriteriata di inoculazioni sperimentali, ai ricatti progressivi e crescenti, sul lavoro, sui mezzi pubblici, all’università, per l’accesso agli uffici pubblici, all’omertà indotta sugli effetti avversi, alle campagne di demonizzazione dei renitenti, ai contratti di fornitura secretati, al fiume di soldi pubblici passati direttamente nelle casse delle case farmaceutiche senza toccare il servizio pubblico, tutto questo e molto altro c’è in quell’abbraccio di solidarietà tra complici.
Qualunque sia l’esito della commissione d’inchiesta – rispetto a cui le aspettative non sono alte – sappiate che comunque non dimenticheremo e che alla giustizia, se non a quella giudiziaria almeno a quella storica, arriveremo.

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