PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA

C’è un “nocciolo duro” che collega il processo di decadenza della classe dirigente della “Seconda repubblica” e in particolare il PD, confermato dalle ultimi elezioni regionali, tutte perse dall’opposizione e l’ultima rovinosamente  (Fedriga ha riportato più del doppio dei voti del candidato PD-M5S ed altri): è la perdita di legittimità delle élite in disfacimento.

L’ironia della Storia ha fatto sì che, con le ultime elezioni politiche il primo partito e la Presidente del Consiglio della “Repubblica nata dalla resistenza” siano gli eredi di coloro che la resistenza l’avevano combattuta e dall’ “arco costituzionale” erano esclusi. Così che attualmente, contrariamente alle litanie ripetute da decenni, la volontà popolare ha rifiutato l’armamentario propagandato – fino a qualche anno fa confortato dal consenso – dal 1945. In un certo senso ha disconosciuto la paternità.

Questo, indipendentemente dal fatto che la “tavola dei valori” che  ispira la nostra costituzione, da non identificare con quella propagandata per decenni dalla sinistra (e non solo) che ne costituisce una versione parziale e ad “usum delphini”, non abbia ancora una sua legittimità, nel senso di una diffusa condivisione.

Gli è che, come scriveva Thomas Hobbes, l’essenza del rapporto politico e quindi del comando-obbedienza, è che chi pretende il comando deve dare protezione (effettiva). Con la conseguenza che se quella protezione non viene data cessa anche l’obbligo di obbedire. Questo è asserito dal filosofo di Malmesbury proprio nell’ultima pagina del Leviathan: di aver scritto il trattato “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli uomini la mutua relazione tra protezione ed obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.

E nelle pagine precedenti del Leviathan ci dà un saggio di ciò che non da protezione e quindi non serve a pretendere obbedienza. “Casistica” che ha più che qualche carattere di somiglianza con quanto praticato (anche) dalle élite decadenti, e ancor più con i cattivi risultati della loro azione di governo. Ad esempio quando Hobbes paragona la Chiesa cattolica al regno delle fate (e gli ecclesiastici alle fate) anche perché “Quale specie di moneta abbia corso nel regno delle fate non è detto nella storia; ma gli ecclesiastici  invece accettano nelle loro riscossioni la moneta, che noi coniamo, benché, quando debbano fare qualche pagamento, li facciano consistere in canonizzazioni, indulgenze e messe” e così i chierici non lavorano, ma come le fate, vivono approfittando del lavoro degli altri, banchettando con la crema del latte munto dai fedeli (o – per il potere temporale – dai sudditi).

C’è più di un’analogia con i trasferimenti di ricchezza, da tax-payers a tax-consommers operati dai governi delle élite, o ancor più con la predazione diretta (e indiretta) connessa; senza trascurare che ad ogni salasso si accompagna una enunciazione di buone intenzioni, e ancor più lo “scambio” di beni con chiacchiere.

Oppure quando Hobbes mette in guardia dall’insistere nel giustificare l’esercizio del potere col richiamo al titolo giuridico (successione, conquista, consuetudine), invece che all’effettività e risultati ottenuti. O, in senso contrario, col giustificare il proprio potere condannando le malefatte del regime precedente (invece dei risultati propri).

Il potere pubblico, assai più che ai tempi di Hobbes, ha giustificato dallo scorcio del XIX secolo il proprio intervento e così la pubblicizzazione di attività private (soprattutto nell’economia) con gli effetti in termini di sicurezza del futuro. Ma i risultati italiani nell’ultimo trentennio, quando l’influenza del PD (e predecessori) è stata determinante, sono i peggiori dell’area UE (ed euro). Onde i risultati di un’azione di governo esteso all’economia sono pessimi, e pertanto non c’è legittimità “di scambio” (protezione/obbedienza) che possa confortarla. Non resta che rivolgersi ad una legittimità fondata sulle intenzioni conformi a certi valori. Ciò ha un doppio limite: che quei valori debbano essere condivisi dalla maggioranza e, di conseguenza – e a lato – debbano essere ragionevoli.

Tuttavia condivisione ce n’è poca (v. risultati elettorali) e ragionevolezza (nel senso di obiettivi effettivamente alla portata di un’azione di governo) non di più.

Non si capisce infatti come insistere nel primario obiettivo di tutela dei c.d. “diritti umani” di esigue minoranze posponendo loro i “diritti sociali” conseguiti nel XX secolo sia produttivo di consenso, soprattutto maggioritario. Significa scambiare (con gioia?) parte dello stipendio e della pensione per promuovere le unioni tra omosessuali, l’utero in affitto, ecc. ecc. Che ci guadagna la stragrande maggioranza?

Quanto alla ragionevolezza va tenuto conto che il marxismo ha provato il carattere totalmente immaginario del proprio  esito ultimo: la società comunista, cioè il paese dei balocchi. Ma il vizio non è stato perso.

Alla natura umana e all’ordine politico sono connaturali due caratteri: la paura della morte e la preoccupazione per il futuro.

Ambedue strumenti di governo (e di accettazione – consenso) del potere politico. Quanto al primo c’è stato il tentativo di sfruttare come instrumentum regni il Covid, e poi la guerra russo-ucraina. Quest’ultima, contraddittoriamente (per la sinistra) quale lesione alla libertà e sovranità di popolo.

Ma quale beneficio ne abbia tratto il PD (e soci) non si vede.

Quanto all’ansia per il futuro: ossia (anche) della sicurezza economica (propria e di tutti): ma non si capisce quanta tranquillità agli italiani impoveriti possa venire (sia dai risultati che) dalle intenzioni dichiarate di un partito preoccupato di tutt’altro (LGTB et similia).

Hobbes scriveva che concepire il futuro presuppone l’esperienza del passato “Un concetto del futuro è solo una supposizione circa il medesimo derivante dal ricordo di ciò che è passato; e noi, in tanto concepiamo che qualcosa avverrà di qui in avanti, in quanto sappiamo che c’è qualcosa al presente che ha il potere di produrla. E che qualche cosa abbia al presente il potere di produrre in avvenire un’altra cosa, non possiamo concepirlo, se non grazie al ricordo che esso abbia prodotto la stessa cosa già altra volta”. Ricordo che non è dei migliori.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Stati Uniti, un regime senza più maschere_con Gianfranco Campa

Ci sono due modi di apprezzare le conversazioni con Gianfranco Campa. Uno non esclude l’altro. Uno è quello di soffermarsi sulla superficie della cronaca. Una sequenza intrigante di fatti ed aneddoti utili a caratterizzare lo stato di una nazione e lo spessore dei personaggi che lo governano. L’altro richiede un approccio più riflessivo e distaccato. Si possono osservare in tal modo, o per lo meno intuire le modalità di formazione e messa in atto delle decisioni, le dinamiche di esercizio del potere, l’importanza della visione e della maturità di una classe dirigente a cui è legato il destino di una nazione. Si scoprirà che gli apparati, le istituzioni per funzionare sono mossi da centri decisori che agiscono in strutture ed istituzioni, ma si formano nel tempo attraverso una rete informale di relazioni interna ed esterna ad esse. Un solido e saldo esercizio del potere richiede un equilibrio dinamico tra relazioni informali e funzioni istituzionali difficile da conservare nel tempo. Accanto e all’interno della forza di inerzia e della logica di funzionamento degli apparati agiscono la visione e le scelte dei soggetti, in cooperazione e conflitto tra di loro. Negli Stati Uniti questo equilibrio da tempo si sta dissolvendo e sembra ormai sul punto di precipitare. Da qui le forzature e i colpi di mano che spesso riescono a ferire ed annichilire l’avversario, divenuto ormai il nemico, ma che contestualmente erodono pericolosamente ed inesorabilmente la maschera di imparzialità e di legittimità del potere istituzionale. L’attuale classe dirigente statunitense vive ormai in questo stato, prigioniera di una catena di decisioni ed errori dalla quale sarà sempre più difficile liberarsi e la cui stretta spinge a decisioni sempre più distruttive e catastrofiche. L’immagine di un ex presidente, papabile di ridiventarlo, sotto le forche caudine di una giustizia arbitraria, privo del suo inseparabile stemma a stelle e strisce sul bavero della giacca può sembrare banale. E’ il segno inquietante, invece, di una parte significativa di popolo e di un suo rappresentante che non si riconoscono più in una istituzione. Mala tempora currunt. Buon ascolto. Pur con qualche difetto tecnico di trasmissione, ascoltate attentamente. Giuseppe Germinario

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Un’americana di sinistra eletta in Italia, di Carlo Lancellotti

https://www.ncregister.com/commentaries/an-american-leftist-gets-elected-in-italy

 

Un’americana di sinistra eletta in Italia

COMMENTO: Cosa dice l’ascesa di Elly Schlein sul nostro attuale momento politico.

di Carlo Lancellotti[1]

La stampa americana mainstream non presta generalmente molta attenzione alla politica italiana, se non, forse, per ridicolizzare le buffonate dell’ex premier Silvio Berlusconi o per temere il ritorno del “fascismo”. Per questo, qualche settimana fa, ero curioso di vedere come avrebbero trattato l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico, la principale formazione politica italiana di sinistra. Dopo tutto, Schlein è la prima americana a guidare un importante partito politico italiano e ad essere un possibile futuro primo ministro.

 

Anche questo non è bastato ad attirare l’interesse dei media statunitensi, ma mi è sembrato significativo.

 

Quando descrivo la Schlein come “americana”, non mi riferisco solo al fatto che è cittadina statunitense e che suo padre è di New York (è un politologo che ha sposato un’italiana e ha cresciuto la sua famiglia in Svizzera). Intendo anche dire che la sua politica è americana: Ha imparato a fare politica come attivista nelle campagne presidenziali di Obama e le sue idee corrispondono perfettamente agli standard della sinistra sociale americana di oggi.

 

Le cause “sacre”, quelle che non possono essere messe in discussione e che segnano la divisione definitiva tra amici e nemici, sono quelle che riguardano i “diritti” individuali. Poi ci sono il riscaldamento globale e altre questioni ambientali e la condizione degli immigrati. Infine, vuole istituire un salario minimo e regolamentare la “gig economy” italiana.

 

Tuttavia, anche gli assi economici della sua piattaforma non sembrano pensati per proteggere la “vecchia” classe operaia, il tradizionale bacino di utenza della sinistra. Piuttosto, sono stati pensati per soddisfare le esigenze di quella che definirei la “classe professionale aspirante”, ovvero le persone più giovani, tipicamente urbane e ben istruite come lei, che non riescono a trovare un numero sufficiente di posti di lavoro a tempo pieno nel settore dei servizi.

 

Anche il personaggio di Schlein sarà familiare ai lettori americani. È una donna relativamente giovane (37 anni), una stereotipata “millennial”. Appartiene alla classe media professionale benestante (entrambi i genitori sono professori universitari), ha frequentato buone scuole, ha vissuto in più Paesi (possiede tre passaporti), è aconfessionale e bisessuale (attualmente vive con un’altra donna). Schlein si descrive come una progressista-femminista-ambientalista “intersezionale”. Sembra vivere in un mondo di assoluta chiarezza morale, in cui è dalla parte degli angeli e lotta per la “giustizia sociale e ambientale”.

In breve, appartiene a un “tipo” che si trova in tutto il mondo occidentale, ma che ha raggiunto la sua “perfezione platonica” negli Stati Uniti. Si potrebbe quindi dire che la sua ascesa conclude l'”americanizzazione” della sinistra italiana, un processo che probabilmente è iniziato negli anni Settanta, quando il Partito Comunista Italiano ha rinunciato alla rivoluzione marxista e ha accettato di far parte dell'”Occidente” – intendendo la nuova politica laica e neocapitalista che si era sviluppata in Nord America e in Europa durante la Guerra Fredda.

 

L’elezione di Schlein ha spinto molti editorialisti italiani a citare il defunto pensatore cattolico Augusto Del Noce, il quale aveva notoriamente previsto che la sinistra post-comunista sarebbe diventata un “partito radicale di massa”, cioè un partito liberale di stampo americano investito nei diritti individuali e nella politica culturale. Del Noce, ovviamente, non poteva prevedere che un giorno il leader stesso della “nuova” sinistra italiana sarebbe stato di origine americana, ma certamente lo avrebbe trovato simbolico.

 

Se dovessi scegliere una parola per descrivere Schlein e la cultura che rappresenta (che è, essenzialmente, la cultura “liberale” dominante dell’Occidente), sceglierei borghese. Decenni fa, quando il mondo di oggi stava prendendo forma, pensatori come Jacques Ellul e lo stesso Del Noce usavano questa parola per indicare una visione dell’umanità incentrata su un’idea individualistica e mondana di felicità. Il borghese è l’uomo (o la donna) che acquista e utilizza sistematicamente beni materiali, ma anche esperienze e relazioni, per raggiungere il “benessere”. Per lui/lei l'”altro” deve essere in definitiva uno strumento, perché la sua identità è per così dire autosufficiente. Può “aver amato molti uomini e donne” (come ha detto Elly Schlein di se stessa in un’intervista), ma in definitiva c’è una distanza tra le persone che non può essere colmata perché ognuno è un “cercatore di felicità” atomico.

 

Questa visione del mondo dovrebbe essere contrapposta a quella cristiana, in cui gli esseri umani portano un’immagine della Trinità e, quindi, la felicità è intrinsecamente relazionale: Siamo letteralmente costituiti dalle nostre relazioni con altre persone (ad esempio, i nostri genitori) e raggiungiamo la nostra realizzazione finale nella relazione con Dio. Questa è l’idea di beatitudine, che è in un certo senso l’opposto dell’idea borghese di felicità. Come dice Del Noce nel suo libro L’età della secolarizzazione, “se l’uomo non partecipa affatto a qualche forma di ragione o di valore assoluto, se non si trova unito agli altri uomini da un legame ideale, allora non può vedere nella natura o negli altri uomini altro che ostacoli o strumenti per la propria realizzazione”. Basta ricordare l’antica idea che l’amore umano è infinito e non può essere saziato da alcun bene finito”.

Del Noce aggiunge:

 

“Ora, l’idea di benessere […] non è altro che la trasposizione della beatitudine agostiniana dalla dimensione verticale al piano orizzontale. L’ascesa a Dio è sostituita dall’idea della conquista del mondo, del diritto del singolo soggetto a [possedere] il mondo. Questo diritto non ha limiti perché, essendo stato chiamato nel mondo senza la sua volontà, il soggetto sente di avere diritto a una soddisfazione infinita nel mondo stesso, quasi come una compensazione per questa chiamata. Ma, naturalmente, un singolo uomo non può realizzare interamente questa conquista. Può fare degli altri i suoi strumenti, ma facendosi a sua volta strumento; e questa strumentalizzazione reciproca, questa collaborazione senza fini ideali, è ciò che oggi si chiama “socialità”. […] L’uomo del benessere sperimenta un surrogato di libertà, non più nella liberazione dai bisogni e dagli interessi inferiori e percepibili, ma nella reciprocità del processo erotico”.

 

La differenza tra le due visioni può essere facilmente individuata in ambito politico.

 

Schlein, ad esempio, è favorevole al monopolio pubblico dell’istruzione, perché è chiaro che lo Stato dovrebbe “proteggere” i bambini (in quanto individui borghesi in erba non ancora pienamente in grado di scegliere la propria religione, il proprio sesso e così via) dall’invasione della propria famiglia. L’esempio più emblematico, naturalmente, è l’aborto, su cui Schlein ha posizioni estreme e “americane”. La mente borghese non può letteralmente elaborare una situazione in cui due vite umane sono così radicalmente intrecciate che una dipende interamente dall’altra. Subisce quindi una sorta di “cortocircuito” e per affermare il diritto alla felicità di un individuo è costretta a negare il diritto stesso all’esistenza dell’altro.

 

Schlein è, a mio avviso, un esempio perfetto di un fenomeno cruciale della politica contemporanea: Negli ultimi decenni, lo spirito borghese ha trovato la sua casa politica a sinistra più che a destra. Ha persino cooptato il tradizionale linguaggio marxista della liberazione rivoluzionaria, salvo usarlo prevalentemente per combattere “guerre culturali” e difendere gli interessi di gruppi non economici (definiti da razza, sessualità, identità di genere, ecc.). Anche se in Italia persone come la signora Schlein hanno spesso nonni comunisti e hanno ereditato da loro molte idee marxiste, non sono marxisti in senso classico. La loro utopia è strettamente individualista e borghese.

 

In conclusione, resta da vedere se Schlein sarà in grado di risollevare le sorti elettorali della sinistra e di formare un governo qualche anno dopo. Analogamente a quanto accade negli Stati Uniti, i cattolici italiani hanno risposto alla sua elezione dividendosi lungo linee ideologiche, esprimendo opposizione o cercando di trovare un terreno comune, scegliendo le “questioni” che sostengono la loro preferenza.

 

A prescindere da chi abbia ragione (personalmente penso che sarebbe un pessimo primo ministro), vorrei che tutti fossero più consapevoli della visione del mondo che rappresenta, perché tale consapevolezza è il presupposto per un’opposizione intelligente e per qualsiasi tipo di dialogo.

[1] Carlo Lancellotti è professore di matematica presso il College of Staten Island e membro del programma di fisica del CUNY Graduate Center. Oltre alla sua attività di studioso di fisica, ha tradotto in inglese e pubblicato tre volumi di opere del defunto filosofo italiano Augusto Del Noce. Lancellotti ha scritto anche saggi su Del Noce e su altri argomenti, apparsi su Communio, Public Discourse e Church Life Journal. V. anche http://delnoceinenglish.org .

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Stati Uniti, conto alla rovescia_con Gianfranco Campa

Trump in attesa di incriminazione e di un probabile arresto; Ron Desantis, il probabile competitore interno al Partito Conservatore in speranzosa attesa, pronto a raccoglierne lo scettro, a compiacere la base di MAGA con slogan e dichiarazioni buone per la campagna elettorale, ma pronte ad essere smentite il giorno dopo le elezioni; una crisi finanziaria ed economica i cui tempi di marcia potranno sconvolgere i disegni dei vari attori politici. Il tentativo di porre fine contemporaneamente alla anomalia di un attore politico estraneo all’establishment dominante e di un presidente in carica improponibile per aprire la strada a leader emergenti del cerchio magico demo-neoconservatore. L’ambizione di trasformare il sentimento di repulsa verso nuove avventure militari prevalente negli Stati Uniti, in una variante bellicista che non fa che spostare l’epicentro di un confronto, nel suo auspicato epilogo bipolare, nell’area dell’Indo-Pacifico. Un quadro nel quale i paesi europei sono destinati a confermare il loro ruolo di passivi capri espiatori senza alcuna velleità di protagonismo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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APPENDICE

“Non è il critico che conta; non l’uomo che sottolinea come l’uomo forte inciampa, o dove l’esecutore di azioni avrebbe potuto farle meglio. Il merito è dell’uomo che è realmente nell’arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue; che si sforza valorosamente; che sbaglia, che viene meno più volte, perché non c’è sforzo senza errori e mancanze; ma che si sforza realmente di compiere le azioni; che conosce i grandi entusiasmi, le grandi devozioni; che si spende per una causa degna; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo di un alto risultato, e che nel peggiore, se fallisce, almeno fallisce osando molto, così che il suo posto non sarà mai con quelle anime fredde e timide che non conoscono né la vittoria né la sconfitta. ”

– Theodore Roosevelt

destra, sinistra e il nuovo già vecchio_ Con Roberto Buffagni e Vincenzo Costa

Governo di centrodestra con Giorgia Meloni, congresso costituente del PD con a capo Elly Schlein. Grandi novità che tendono a riprendere e riproporre vecchi schemi interpretativi del tutto inadeguati ad affrontare il nuovo contesto politico-sociale e geopolitico. Una contrapposizione artificiosa, probabilmente artefatta, che con sussulti e forzature non fa che riproporre temi e rivendicazioni in una cornice già fallita. Non è una fase costituente; è il compimento di un processo gia delineato quaranta anni fa. Il risultato è una classe dirigente inadeguata e un ceto politico autoreferenziale. Un guscio che si sta trasformando in una pesante cappa soffocante il paese. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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StElly nel paese dei balocchi, di Giuseppe Germinario

Così Elly Schlein, a sorpresa, almeno per chi ama farsi sorprendere, è la nuova segretaria del Partito Democratico.

Niente di originale. Una clonazione, un pollo da batteria come tanti altri, tutti identici, che avrebbero potuto emergere dal brodo di coltura sorosiano ormai coltivato da anni in quegli ambienti progressisti e nella sua città di adozione. Elly avrebbe potuto assurgere indifferentemente a Primo Ministro in Finlandia e Moldova, Ministro degli Esteri in Germania; le è capitato invece di conquistare il posto di segretario di partito in una fase a dir poco avventurosa di quella realtà politica.

Un possibile trampolino di lancio per lei a futura gloria e soddisfazione; molto probabilmente, il contestuale de profundis di un partito dalle lontane radici gloriose ormai disperse.

Una nemesi amara per il vecchio gruppo dirigente dalle lontane origini approssimativamente comuniste, in realtà in buona parte socialdemocratiche, impersonate per ultimo dal buon Stefano Bonaccini.

Agli “illuminati sulla via di Damasco” l’elettorato più o meno interessato, non si sa bene se alla resurrezione o alla dipartita, delle primarie ha preferito le certezze dell’originale, mi si perdoni l’ossimoro, clonato nel laboratorio filantropico di grandi propositi e inconfessabili misfatti.

In tempi così incerti e smarriti, l’alea del buon governo non è evidentemente più sufficiente a conservare e nemmeno a rimanere aggrappati alle leve.

Ad una lettura anche superficiale delle mozioni congressuali, gli argomenti del documento del neosegretario sono i più conformi allo spirito della carta dei valori del partito da poco resa pubblica. Ne pare di fatto una scopiazzatura più estesa della quale si tratterà a margine a parte una anticipazione irrefrenabile di tre amenità difficili da concettualizzare pur con ogni buona volontà:

  • la nozione di “giustizia climatica” se non associandola a quella biblica di “diluvio universale”

  • l’asserzione del nesso causale diretto e univoco tra la crisi climatica e la disuguaglianza sociale, quando in realtà, se proprio si vuol sottilizzare, è da una concezione elitaria e di ceto della crisi climatica, confusa per altro con quella ambientale, che si dipana il nesso causale diretto con le disuguaglianze

  • l’asserzione della formazione sociale italiana retta da un regime patriarcale.

L’aspetto dirimente di questa fase politica di quel partito è un altro.

Elly Schlein è stata eletta segretario in piena fase costituente del partito.

L’avvio di una fase “costituente” o “ricostituente” dovrebbe quantomeno prevedere una analisi rigorosa, se non proprio una revisione impietosa dell’approccio culturale, delle scelte politiche fondamentali adottate a partire almeno dagli anni ‘90 e delle ragioni della attuale condizione del paese e della nazione.

Nella carta e nelle mozioni congressuali non c’è niente di tutto questo se non qualche rara riga di adesione fideistica alla Unione Europea, di sostegno a scatola chiusa alla resistenza ucraina, di rappresentazione dello scontro geopolitico tra una democrazia assediata e un autoritarismo prevalente, di auspicio di un ritorno ad un multilateralismo a trazione statunitense.

Una rigidità dogmatica e una superficialità che fa apparire le prese di posizione dell’attuale leadership statunitense un esempio di flessibilità.

Sarebbe improprio pretendere dal Partito Democratico un ripensamento radicale o un ribaltamento delle sue ragioni costitutive. Trasformerebbe la lenta e soporifera agonia che sta percorrendo in un trauma esistenziale esiziale.

Un atto di lucidità ed onestà compatibile con le ragioni fondative del partito sarebbe però una carta dei valori che tracciasse degli orientamenti di fondo e ponesse degli interrogativi da offrire alle mozioni come traccia per risposte che giustificassero le diverse candidature.

  • La Carta avrebbe dovuto quindi contenere una riflessione critica sulla narrazione agiografica del processo di globalizzazione, sull’interpretazione del ruolo degli stati nazionali in esso, sulla funzione di collante delle dinamiche esercitata dalla condizione egemonica emersa con l’implosione del blocco sovietico e indurre quindi i candidati, con le rispettive mozioni di tentare almeno di tracciare quantomeno obbiettivi e comportamenti autonomi ed attivi, sia pure in una logica “entrista” propria della natura di quel partito. Del resto l’azione di classi dirigenti di un numero sempre maggiore di paesi, a cominciare dalla Turchia e dall’Ungheria, ma anche a modo loro della Polonia, ha evidenziato l’agibilità all’interno delle logiche di schieramento. Cosa è, del resto, alla fine, il perseguimento di obbiettivi politici interni alla Unione Europea, più ancora che nella NATO, se non una continua contrattazione e un continuo aspro confronto e conflitto tra centri decisori nazionali e statuali in una dinamica di asservimento alla forza egemone! Se sono reali l’intenzione e l’obbiettivo politico, ammesso e non concesso che sia realizzabile, di una politica estera e di difesa europea autonome, le mozioni dovrebbero essere indotte a delimitare quantomeno i livelli massimi compatibili di integrazione degli eserciti della NATO e dei complessi militari-industriali.

  • A scalare la Carta avrebbe dovuto spingere a riflettere sul trentennio di politica interna a cominciare dalle privatizzazioni e dismissioni o quantomeno nelle loro modalità di esecuzione, per poi risalire alla atavica incapacità del capitale privato di sostenere il peso politico ed organizzativo di una grande industria ed impresa strategica e sul ruolo conseguente del capitale pubblico, magari a gestione privatistica nelle sue varie modalità e possibilità; come pure a giustificare e, quindi, porre rimedio al fatto che l’ancora importante saldo attivo del risparmio nazionale non riesca ad essere reinvestito in gran parte nel territorio e a tutela e sviluppo dell’industria e delle attività nazionali. Potrebbe finalmente emergere qualche seria considerazione sulla necessità di ripristino di una serie di agenzie di supporto tecnico allo sviluppo di attività di produzione ed infrastrutturali completamente distrutto in quei decenni fatali e della cui mancanza si sente persino nella attuazione del cavallo di battaglia, di nome PNRR, del fronte più ottusamente europeista. In pratica la Carta dei Valori avrebbe dovuto porre il quesito fondamentale sui motivi del progressivo stallo e degrado del paese e della nazione negli ultimi quarant’anni, coincisi con la trasformazione del PCI e della DC e la fondazione del PD.

  • Ci sarebbe da sindacare sulla adeguatezza della Carta ad avviare una seria fase costituente su altri temi: la gestione manipolatoria ed arru(a)ffona della crisi pandemica come pure la tematica fondativa legata al cosiddetto transumanesimo. Quest’ultima introdotta in ritardo ed in forma puramente imitativa e parodistica, ma con la possibilità di arrecare altrettanti, se non peggio, danni di quanto indotti negli Stati Uniti. Un culto della singolarità, del determinismo culturale rispetto alle leggi della natura, della tecnocrazia scientifica che meriterebbero assoluta attenzione e precauzione, ma che si vedono introdotte di soppiatto nella Carta e nelle mozioni, probabilmente anche in maniera scontata ed inconsapevole. Sarebbe, forse, pretendere troppo ad una classe dirigente di questo livello.

La sorprendente incapacità di impostare correttamente, quantomeno, un percorso congressuale non è, quindi, un mero incidente in un partito dalle gloriose tradizioni organizzative.

È la conseguenza della cieca miseria intellettuale di una intera classe dirigente; della sua autoreferenzialità e della sua incapacità a porsi a rappresentare un qualsiasi modello di blocco sociale in grado di garantira una minima coesione ed una minima capacità di pesare nelle dinamiche geopolitiche per quanto deleterie e limitative.

Più che una fase costituente, si sta rivelando sempre più una sua parodia, destinata rapidamente a spegnersi nella continuità e nell’esaurimento di un processo iniziato almeno quaranta anni fa, ma dall’esito allora non interamente segnato.

Non è un caso che gli aneliti di rinnovamento e di allargamento della platea dai quali attingere i futuri gruppi dirigenti si riducano alla fine, leggendo attentamente le mozioni, ad attingere al serbatoio degli amministratori locali.

Una parodia dall’esito scontato ma attraverso un processo che richiederà, paradossalmente, il sacrificio della componente più pragmatica, ma culturalmente del tutto omologata o passiva, la quale ha saputo, nelle proprie esperienze di gestione amministrativa, almeno approfittare di qualche margine di azione consentito da questo appiattimento ed allineamento.

La sconfitta di Bonaccini rappresenta esattamente questo.

Non sarà l’unico fìo da pagare e nemmeno il più pesante.

La mozione di Elly, più delle altre, è soprattutto l’appello che con più fervore urla alla riduzione e al superamento delle disuguaglianze, al raggiungimento dell’equità fiscale, alla rivendicazione dei diritti.

Una enfasi che ha indotto gran parte dei commentatori ad attribuirle audacemente una impronta “socialdemocratica” più che “radical chic”.

Nell’economia di questo scritto si deve purtroppo glissare sull’approfondimento sulle varie accezioni attribuibili al termine di lotta alle disuguaglianze e al conseguimento dei diritti; come pur sulla mancata associazione del termine di equità fiscale a quello di vessazione, attraverso il quale il sistema fiscale colpisce indistintamente dipendenti ed autonomi e sulla mancata associazione al problema della tutela dei salari più bassi di quello dell’appiattimento dei livelli salariali normati e del basso livello di quasi tutte le retribuzioni.

Una connotazione socialdemocratica storicamente più attendibile ad un documento e ad una formazione politica dovrebbe avere il carattere specifico di un nesso stretto e inscindibile tra una politica di normazione dei diritti sociali ed il sostegno ad una politica economica in generale, industriale in particolare, fondata sulla impresa, in particolare la grande impresa e sul ruolo pubblico diretto in economia sul quale plasmare la coesione e il dinamismo di una formazione sociale. Un indirizzo, ma con modalità diverse, riconducibile anche alla connotazione comunista di un movimento.

Nelle mozioni congressuali, in particolare in quello della Schlein, non c’è niente di tutto questo, non ostante le crepe all’ortodossia liberista aperti nella fase trumpiana ed anche nel recente documento sulla sicurezza strategica (NSS) varato da Biden e trattato recentemente su questo blog.

Niente se non la caricatura dell’aperto ed acritico sostegno al piano di riconversione ecologica ed energetica e digitale che si risolve in realtà, nel suo dogmatismo e catastrofismo, in un vero e proprio programma di destrutturazione ed indebolimento non solo del residuo apparato industriale e tecnologico avanzato europeo, ma anche di altri ambiti strategici come l’agricoltura.

Tutta l’enfasi che ammanta le parole d’ordine della redistribuzione, del lavoro sicuro, dell’equità fiscale non porteranno a niente di buono; nel migliore e improbabile dei casi a qualche successo temporaneo, tipico del rivendicazionismo sindacale radicale o sedicente tale.

Si potranno regolare più rigidamente i contratti individuali di lavoro, stabilire per legge i livelli minimi salariali e magari gli standard sanitari, rendere ancora più draconiane, sulla lettera, le normative e le sanzioni fiscali, ma le dinamiche socio-economiche, la struttura economico-industriale e dei servizi, il sistema politico-amministrativo troveranno innumerevoli e fantasiose nuove vie per perpetuare una condizione di sottosalario, di basso reddito e di mercato nero, magari in una condizione di apparente legalità. Potrei citarne io stesso decine di modalità.

Rimarrà l’enorme implicazione politica di una simile impostazione. In mancanza di una questione nazionale e, soprattutto, di una politica di difesa di interesse nazionale unificante, nel migliore dei casi non farà che spingere singoli settori alla autotutela in una visione potenzialmente corporativa e intaccare ulteriormente il già precario tasso di interconfederalità delle politiche sindacali magari sotto la nobile veste di un radicalismo del quale abbiamo conosciuto già, assieme al collaborazionismo, gli esisti sterili e nefasti.

La dirigenza sindacale, con tutto il peggio di cui è capace, navigata com’è e desiderosa di non disperdere l’attuale principale legittimazione legata al riconoscimento reciproco con Confindustria, è in grado di cogliere il pericolo, ma non di contrastare efficacemente l’inerzia innescata da questi indirizzi; un ulteriore passo verso un sindacato compassionevole è ormai maturo.

L’unico aspetto positivo è che la gestione piddina della Schlein, dovesse durare, metterà a nudo l’imbroglio politico che è stato e si è rivelato il M5S (Movimento Cinque Stelle); al prezzo di portarsi, però, la serpe in casa, ma con minori infingimenti.

L’unico fattore che potrebbe prolungarne indefinitamente l’agonia, è il processo accellerato di omologazione del centrodestra ed il suo pericolosissimo avvicinamento politico e diplomatico all’ordine statunitense e all’avventurismo ottuso delle classi dirigenti polacche e baltiche.

Peggio dell’azzardo cialtrone della “buonanima”, ottanta anni fa.

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/Bonaccini_Mozione_A4-1.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/mozione_schlein_def.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/PromessaDemocratica-GIANNI-CUPERLO-2023-v8_WEB_paginedoppie.pdf

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EUROTARTUFO II, di Teodoro Klitsche de la Grange

Tra i tanti commenti, rivelazioni, dichiarazioni (e anche confessioni) in relazione al Qatargate, mi ha colpito l’intervista ad un giovane eurodeputato del PD. Ciò perché sosteneva che gli esponenti del PD  (“campo largo”, cioè anche i passati ad articolo 1) erano stati finanziati dal paese arabo, in quanto erano i più decisi difensori dei “diritti umani”. Dove la necessità, per gli emiri, che fossero tali paladini ad asseverare la maturità liberale del Qatar.

Il ragionamento che ha una qualche consistenza (chi chiederebbe a Cicciolina di certificare l’illibatezza della figlia da maritare?) ha però tanti altri punti deboli. Ci aiuta a capirli il personaggio di Fra Timoteo nella “Mandragola”. Machiavelli descrive alla perfezione il “tipo” dell’:a) ipocrita b) in vendita. In primo luogo il frate è scelto per convincere Lucrezia all’adulterio perché è il confessore della donna e della madre: le quali hanno pertanto fiducia nella di esso santità e dottrina. E in effetti il primo requisito per essere corrotti è proprio quello di ottenere fiducia: un sant’uomo (o che pare tale) è quindi il prescelto per… far peccare Lucrezia.

Il secondo è che Ligurio e Callimaco sanno che è un corrotto, disposto a sostenere qualsiasi tesi, purché a pagamento. Per cui santità e dottrina sono strumenti  dell’arricchimento del frate. Il quale tra se e se meditando sull’incarico – accettato – di persuadere Lucrezia, dice “Messer Nicia e Callimaco sono ricchi, e da ciascuno, per diversi rispetti, sono per trarre assai” e proseguendo “perché madonna Lucrezia è savia e buona: ma io la giugnerò (convincerò) in sulla bontà”. Abusare della fiducia e ingenuità dell’interlocutore è la risorsa di frate Timoteo. Nel caso del Qatargate, e del carattere pubblico delle attività  da ingannare e l’opinione pubblica, presentando come opere di bene quelle che sono opere di soldi. Va da se che in tempo di secolarizzazione si ridimensiona (ma non del tutto) la giustificazione di fra Timoteo di usare il compenso della corruzione per fare “limosine”. Giustificazione che ricorre in tanti altri casi (attuali). E non è escluso che parte di quei soldi vadano alle ong messe su dal (principale) accusato. Anzi dal Sudafrica sono in arrivo novità sul punto. Aspettiamo, fiduciosi nell’intuito di Machiavelli.

Teodoro Klitsche de la Grange

COLPA DI LETTA?_di Teodoro Klitsche de la Grange

COLPA DI LETTA?

È diventato un esercizio normale già da alcuni mesi prima delle elezioni politiche, prendersela con il segretario Letta, per il loro prevedibilissimo esito, disastroso per il PD, puntualmente verificatosi.

Intendiamoci: Letta ci ha messo del suo. Dalla proposta di aumento dell’imposta di successione per la “dote” ai giovani, al campo largo, che invece era, come prevedibile, stretto, ecc. ecc. Tuttavia farne carico al segretario appare viziato da un errore di valutazione sul quale è opportuno spendere qualche riga.

Partiamo da una considerazione: vi sono due modi estremi e opposti di valutare gli eventi storici: il primo è farne una conseguenza di fattori non individuali né dipendenti da scelte soggettive. Un esempio classico è la filosofia della Storia di Hegel per il quale questa è l’attuazione del piano della provvidenza. Lo spirito del mondo genera la storia; il ruolo dell’azione umana è così secondario, i protagonisti hanno successo in quanto attuano il piano della provvidenza. In questo senso il pensiero di Hegel è il tipo ideale della concezione “determinista”. L’altro è rapportare gli eventi a cause per lo più consistenti in attività (e passioni) umane. Così è stato interpretato come causa principale della caduta dell’Impero romano d’occidente il contrasto tra Ezio e Bonifacio e la conseguente perdita dell’Africa romana. In termini mediani, come nel pensiero di Machiavelli, si può pensare che se da una parte c’è l’influenza della fortuna, (quindi non riconducibile a una volontà di coloro che la subiscono) dall’altra c’è la virtù con la quale si limitano e s’indirizzano (almeno in parte) gli eventi causati dalla fortuna. E proprio quando la fortuna è avversa, occorre che i governanti siano più dotati di virtù.

A servirsi di tali strumenti interpretativi la tesi della scarsa fortuna del PD come dipendente dalla “colpa” di Letta non regge o regge come concausa limitata: un po’ perché tutti i suoi recenti predecessori quali Segretari hanno fatto altrettanti buchi nell’acqua; un po’ perché anche da questo, è confortata l’opinione opposta che sia la proposta politica del PD (ed i relativi mezzi) ad essere inadeguati e contrari alla “corrente” della storia contemporanea.

Come mi è capitato di scrivere più volte, con il crollo del comunismo è venuta meno la contrapposizione borghesia/proletariato con i relativi sentimenti politici.

La cui conseguenza è stata l’eclissarsi del senso politico (cioè dell’opposizione amico-nemico) e della funzione politica delle conseguenti istituzioni anche economiche e sociali. Come i partiti comunisti i quali o scompaiono e/o si mimetizzano o cambiano radicalmente (come quello cinese); od anche di istituzioni come la NATO e il Patto di Varsavia (logicamente sciolto) delle quali si capisce che ci stiano a fare: sicuramente a comunismo imploso non hanno la funzione di prima.

Tuttavia il sentimento politico cioè in primo luogo la percezione del nemico (anche come differenza etica) è elemento necessario non solo della guerra (Clausewitz) ma anche della politica (Schmitt). Senza di quello la politica (e il rapporto tra vertice e base) perde di tensione. Ed è progressivamente sostituito da un’altra contrapposizione amico-nemico: quella vecchia viene neutralizzata e ne diminuisce così la capacità di suscitare opposizioni decisive e primarie; tutt’al più conserva quella di suscitare conflitti relativi e secondari. E chi lo interpreta ne subisce la sorte: dal ruolo di protagonista decade a quello di comparsa.

La risposta del PD (e antecedenti) a questa cesura storica è stata quella di cambiare nome (anzi nomi): escamotage poco remunerativo perché da una parte i dirigenti erano gli stessi (quindi poco credibili) dall’altra elementi della vecchia opposizione erano conservati – soprattutto i più utili a tenersi il potere.

Dato però che un nemico era necessario e così delle idee da sventolare in sostituzione delle vecchie, o almeno di alcune (l’antifascismo ha resistito alla rottamazione) il nemico è diventato chi si oppone all’ideologia gender, alla famiglia nouvelle vague, chi è convinto delle radici giudaico-cristiane dell’Europa, ecc. ecc. Rispetto al vecchio nemico, cioè l’imperialismo capitalistico, il minimo che si possa dire è che è un po’ poco: più che mettere paura, spesso fa ridere. Ovvero, come l’antifascismo – e l’anticomunismo – è depotenziato in se.

Tale situazione dipende dalla storia e gli uomini, in particolare i dirigenti italiani di sinistra, l’hanno subita e non causata. In relazione alla quale poco si può fare. Anche se il PD fosse stato guidato non da Fassino, Letta o Bersani ma da Cavour o da Bismarck (o come scriveva Hegel da Cesare o da Napoleone) l’esito difficilmente sarebbe stato diverso. Perché, come sostiene il filosofo, carattere distintivo degli individui cosmico-storici è di attuare lo spirito del mondo: è questo a renderli differenti dagli altri e capaci di padroneggiare i cambiamenti.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Stati Uniti, il dopo elezioni_Con Gianfranco Campa

Nella prima parte di questa conversazione abbiamo esaminato il voto, accennato ad una analisi sociologica, stigmatizzato le troppe manipolazioni che hanno alterato significativamente i risultati e contraddetto le previsioni. http://italiaeilmondo.com/2022/11/18/… E’ il momento di trarre alcune valutazioni sulle conseguenze di questo voto, partendo dalla incomparabile capacità organizzativa messa in campo dai democratici nel bene e, soprattutto, nel male per finire con le dinamiche che si innescheranno da questo esito. Mani sapienti agiscono intorno al bersaglio grosso da neutralizzare. Il bersaglio a sua volta non sembra attraversare un momento di particolare lucidità. Potrebbe costare caro ad un movimento molto più maturo e disincantato, altrimenti in grado di ostacolare l’avventurismo dell’attuale leadership statunitense. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1vwu6k-stati-uniti-il-dopo-elezioni-con-gianfranco-campa.html

Elezioni politiche 2022! Una mappa, di Giuseppe Germinario

Partito Democratico

Cala ulteriormente nei consensi, scricchiola anche nelle sue roccaforti, ormai ridotte a due e ½. Non riesce a mantenere integralmente nemmeno il proprio elettorato europeista. Non potendo schierare i propri pezzi da novanta, vale a dire Blinken, von der Leyen, Borrell e Michel. ha dovuto accontentarsi di candidare loro ventriloqui, a partire dal perdente senza successo Enrico Letta. Tutto sommato per il momento ha limitato i danni, sperando in una riedizione di governo istituzionale nel caso Meloni non sia in grado di reggere il fardello. Il tempo, per il PD, è la determinante fondamentale. Per un po’, ma non troppo, potrà reggere l’astinenza. Nel frattempo dovrà risolvere il suo vero dilemma: legarsi mani e piedi, con la prossima nuova dirigenza, alla parodia della sinistra democratica statunitense, nella persona di Elly Schlein e decretare la propria marginalità oppure lasciare la gestione allo zoccolo duro ed arroccato degli amministratori e tentare di trattenere i radicali al proprio interno e tra i collaterali. In caso di fallimento ritornerebbe l’alternativa di Calenda e soci interni ed esterni con conseguente scissione. Il colpo più duro subito, è anche il meno visibile. Come si sa, gli ambienti del Vaticano hanno rinunciato da anni alla costruzione di un partito cattolico collaterale o d’ispirazione; hanno distribuito le attenzioni in più parti. Al momento, specie con la guerra in Ucraina in corso, il Partito Democratico non è più il principale interlocutore del Vaticano.

Assieme a Fratelli d’Italia è rimasto, comunque l’unico partito nazionale; il partito, cioè, che nel suo declino ha mantenuto la forbice più stretta di consensi tra le varie parti del paese

Movimento 5 Stelle

Le elezioni hanno consacrato la costituzione e l’affermazione del partito del progressismo compassionevole. Il de profundis dei partiti del lavoro di antica e gloriosa tradizione. Non è un processo compiuto, ma è sulla buona strada. Non potrà fare a meno di trattare di politica economica. Affronterà in modo pasticciato e disastroso il tema, così come incubato con il bonus 110% in edilizia, con la pletora di bonus estemporanei come durante la crisi pandemica e con la sindrome da catastrofismo ambientale e da conversione energetica affrettata e prematura. Una ottima base per alimentare l’assistenzialismo possibile entro il quadro del prossimo disastro economico a venire e per lasciare mani libere alla dirigenza in formazione, senza mettere in discussione i processi fondamentali. Gode del supporto e della ispirazione fondamentali di settori importanti del Vaticano e rappresenta l’unico spiraglio ad una posizione meno partigiana ed oltranzista nella crisi ucraina. La solidità del sodalizio dipenderà dalla sua capacità di strutturarsi e dalla continuità dell’attuale politica del Vaticano. Nel caso non mancheranno i punti di appoggio nelle varie lande del paese.

Lega

Un risultato disastroso per due motivi:

  • sbiadisce drammaticamente la già pallida prospettiva di costruzione di un partito nazionale

  • rimane, ma fortemente ridimensionato, lo zoccolo duro della Lega Nord e con esso l’ossatura di amministratori e quadri che hanno mantenuto in piedi il partito. La novità più allarmante è che questi ultimi hanno cominciato a guardare e in parte ad approdare verso nuovi lidi. Come numeri non è arrivata ancora alla dimensione della crisi terminale della gestione Bossi; nella progressione e profondità della crisi la situazione è ancora più perniciosa, essendo meno credibili svolte estemporanee alla Salvini. È sufficiente dare un’occhiata al programma elettorale specifico della Lega per comprenderne la gravità dei dilemmi e la scarsa credibilità del tentativo di far quadrare il cerchio. Ne parleremo meglio in seguito.

Fratelli d’Italia

Rappresenta la grande scommessa, per meglio dire l’azzardo, del quadro politico nazionale. Troppa frenesia nel farsi accogliere e legittimare dall’attuale leadership statunitense. La condizione del suo iniziale successo, visti i tempi ormai sempre più brevi delle parabole dei politici emergenti in questo ventennio, è la permanenza dell’attuale leadership statunitense oppure il successo nel movimento trumpiano di una nuova versione delle politiche neocon, specie in politica estera. Troppo euforico appiattimento alle politiche più oltranziste degli Stati Uniti che la avvicinano più al nazionalismo suicida e fantoccio di stampo polacco che alla disinvoltura politica di Orban, Un atteggiamento del quale già Salvini, a suo tempo, ha pagato un prezzo salato, anche se determinato da altri motivi e contingenze. La lezione non pare essere servita. I margini operativi della Meloni e la qualità della sua dirigenza sono stretti ed inversamente proporzionali alla sete di governo e di occupazione dei posti. Mario Draghi le ha già preparato la polpetta avvelenata dei “poteri speciali” e Berlusconi provvederà, a tempo debito, ad organizzare la giostra delle migrazioni parlamentari per condizionare le sue scelte ed eventualmente portare alla sua defenestrazione. L’interrogativo fondamentale è questo: sino a quando gli Stati Uniti riterranno di qualche importanza sostenere l’Unione Europea e che ruolo potrà giocare la Meloni in questa riconsiderazione? La figura antitetico-polare a Mario Draghi?

Le liste “antisistema”

Il flop dovrebbe parlare da solo e insinuare dei dubbi anche tra i più ferventi adepti. È la conferma di una concezione della battaglia politica maturata nel ‘68 e che viene riproposta in maniera imperterrita non ostante le sconfitte parodistiche in Italia e dalle conseguenze ben più drammatiche in altre aree del mondo, come l’America Latina.

Mancano troppi fattori e condizioni necessari a costruire un partito e un movimento politico serio; in nome dell’emergenza, rimandandole, non si fa niente per costruirle:

  • una base culturale solida inesistente e, quando abbozzata, sempre piegata alla comoda individuazione e riproposizione di un fattore unico determinante in ultima istanza le strutture e le dinamiche di potere, nella fattispecie il ruolo del capitale finanziario. Una base culturale che comporta la capacità di creazione e penetrazione di strutture appropriate e di finanziamenti sufficienti;

  • la necessità di acquisire referenti nei centri e nelle strutture di potere ed amministrative;

  • l’individuazione dei soggetti sociali portanti di un rivolgimento sociale e politico, i quali non possono essere di certo gli strati marginali e periferici di una formazione sociale.

Lenin, a suo tempo, imprigionato dallo schema teorico dell’utopia marxista, ma da grande stratega e tattico che era, aveva riservato sì alle casalinghe la funzione di governo, ma nella fase compiuta di realizzazione del comunismo. Ancora si fatica a cogliere questo particolare tutt’altro che insignificante.

Se ne parlerà più approfonditamente una volta smaltita la sbornia postelettorale, giusto per non entrare nel calderone delle polemiche sulla responsabilità di sconfitte preannunciate e cercate.

Mi scuso per l’omissione delle altre formazioni sul campo.

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