Italia e il mondo

Rassegna stampa tedesca 67a puntata a cura di Gianpaolo Rosani

Risalta il drastico cambio di retorica dell’editoriale. Il punto di vista di Mosca trova spazio nella
propaganda occidentale. Le sanzioni non servono e tutto ciò che finora è stato fatto per l’Ucraina non
serve a fermare i russi. Non perché la Russia è una malvagia dittatura, ma perché si tratta di un
problema esistenziale. D’improvviso, la “brutale aggressione non provocata e del tutto ingiustificata
dell’Ucraina da parte della dittatura russa” trova invece una giustificazione: Mosca si sente accerchiata.
Ne segue che è inutile continuare con il sostegno finanziario, l’Ucraina non potrà che perdere in una
guerra di logoramento. Perché questo cambio? (commento estratto da @ClaraStatello su Telegram 22.12.2025)

21.12.2025
LIBERTÀ DI OPINIONE – EDITORIALE
Verità dolorose
Le forze dell’Ucraina stanno diminuendo, la Russia resiste e l’America volta le spalle: non sono buone
premesse per gli europei per essere ottimisti, afferma Jacques Schuster

È ora di affrontare la realtà, con lucidità, senza pietà, anche se dolorosa. L’Ucraina perderà la guerra contro
la Russia. Il Paese è impantanato in una guerra di logoramento contro l’aggressore russo, che lentamente
ma inesorabilmente sta prosciugando le sue forze.

Gli Stati Uniti devono concentrarsi nuovamente sui loro interessi fondamentali, così come li intende
Trump. Il governo degli Stati Uniti guarda con disprezzo alle élite liberali dell’UE, ovvero ai governi
e alle istituzioni, e sostiene persino i partiti di destra e di estrema destra nel Vecchio Continente. E
così l’Europa occupa solo il terzo posto nella lista delle priorità del documento. Mentre Rutte e
anche il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul continuano a puntare sul partenariato,
dall’altra parte dell’Atlantico sembra che non sia più così. Una sorpresa per l’opinione pubblica
tedesca ed europea? Non proprio. Piuttosto un momento di radicale onestà.

13-19.12.2025
L’Europa in affanno
Gli Stati Uniti dicono addio al liberalismo occidentale. Cosa prevede la nuova strategia di sicurezza
statunitense e come reagisce l’Europa?

Di Leon Holly e Tanja Tricarico
Chi giovedì pomeriggio ha ascoltato il segretario generale della NATO Mark Rutte ha potuto constatare dal
vivo come si intenda tenere a freno l’agitazione suscitata dalla strategia di sicurezza nazionale degli Stati
Uniti. Durante la sua visita a Berlino, Rutte non ha dato alcun segno che il 4 dicembre gli Stati Uniti avessero
ufficialmente chiesto il divorzio dall’Europa con il loro nuovo documento sulla sicurezza.

L’Europa è stata a lungo il figlio viziato della politica mondiale: moralmente superiore, ma in caso
di emergenza dipendente dalla protezione dei genitori americani. Il 2026 è l’anno in cui il figlio
dovrà andarsene di casa. Non è una tragedia, ma un’emancipazione attesa da tempo. Assistiamo
a sviluppi tecnologici affascinanti, alcuni dei quali anche in Germania. E in realtà tutti gli economisti
prevedono che l’economia tedesca tornerà a crescere, almeno un po’. A quali sviluppi presteremo
particolare attenzione nel 2026? Guardando al nuovo anno, dobbiamo abbandonare l’illusione che
questa sia una crisi che finirà presto, che Donald Trump sia un fenomeno temporaneo, che gli Stati
Uniti torneranno presto a rivolgersi all’Europa, che la Cina diventerà un partner costruttivo e che la
Russia si accontenterà di piccoli guadagni territoriali in Ucraina. Dobbiamo piuttosto accettare che
l’instabilità è il nuovo stato di aggregazione, espressione di un periodo di transizione di cui non è
ancora chiaro dove porterà, in un mondo in cui il vecchio non è ancora del tutto morto e il nuovo
non è ancora del tutto tangibile.

03.12. 2025
2026 – Il prezzo della libertà
Elezioni decisive negli Stati Uniti, prova del fuoco per l’intelligenza artificiale e una piccola rivoluzione
nella nostra vita quotidiana: queste sono le tendenze decisive del prossimo anno.

Una panoramica del caporedattore dell’Handelsblatt Sebastian Matthes.
Conoscete quel breve istante, quella frazione di secondo in cui vi dondolate su una sedia e superate quel
momento di assenza di gravità tra equilibrio e caduta libera?

Le certezze di politica estera che hanno plasmato anche Merz, stanno ora svanendo. Trump se ne
infischia del partenariato transatlantico, l’unità dell’Europa sta svanendo. La missione di Merz è
impedire che la situazione peggiori. Anche in futuro dovrà tenere a bada Trump e gli europei. Il
vero lavoro, però, lo aspetta in Germania. Senza il sostegno dei tedeschi, la sua parola non ha
quasi alcun peso nel mondo. Sempre più tedeschi sono favorevoli a ridurre gli aiuti all’Ucraina.
L’AfD alimenta i timori di declino sociale facendo riferimento ai miliardi destinati a Kiev. Incoraggia
coloro che credono che la capitolazione dell’Ucraina porrebbe fine al conflitto. Anche nell’Unione di
Merz alcuni desiderano un riavvicinamento alla Russia. Merz deve opporsi, deve spiegare che una
pace alle condizioni della Russia incoraggerebbe Putin a ulteriori aggressioni. Che un’Ucraina forte
rende anche la Germania più sicura. I tedeschi dovranno affrontare alcune difficoltà, e il cancelliere
dovrebbe dirlo con sincerità.

19.12.2025
EDITORIALE
La prova più difficile
Friedrich Merz ha davanti a sé un compito più arduo di quello di qualsiasi altro cancelliere prima di lui.
Deve difendere la sicurezza dell’Europa. Ci riuscirà solo se si impegnerà maggiormente per ottenere il
sostegno dei tedeschi

Di Marina Kormbaki
Sono settimane decisive, ne sono certi i consiglieri del cancelliere. In questi giorni, i più bui dell’anno, si
deciderà il futuro dell’Ucraina, si dice in circoli riservati.

Il cancelliere tedesco sta cercando con tutte le sue forze di riunire gli europei disponibili e di
mantenerli in gioco come attori. Quasi tutte le iniziative dell’anno che sta volgendo al termine sono
partite da lui: bisogna constatare che la volontà è forte, ma le possibilità sono limitate. Gli europei
riescono ripetutamente a intervenire nel processo negoziale americano-russo a favore dell’Ucraina
e nel proprio interesse, ma altrettanto spesso devono riconoscere che i successi sono di breve
durata. Mentre Helmut Kohl, durante l’ultimo grande sconvolgimento dell’Europa, ha afferrato il
“mantello della storia” e non lo ha più lasciato andare, ora ci si sente trascinati da uno
“spostamento geopolitico” che è difficile controllare. Il presidente americano mostra brutalmente
agli europei qual è il loro posto nel nuovo ordine mondiale.

12.12.2025
L’Europa tra tutti i fronti
Il dramma dell’Ucraina, il canto del cigno dell’ordine liberale: il cancelliere cerca con tutte le sue forze di
difendere il vecchio continente.

Di Jochen Buchsteiner e Konrad Schuller
Ancora una volta un momento decisivo, questa volta in grande stile, a Berlino.

La trasformazione del paradigma del conflitto va di pari passo con la trasformazione del concetto di
politica: osserviamo la forza assertiva di una politica che ha riconosciuto nella controversia un
modello di business che cerca in ogni occasione approcci e occasioni per mettere in scena
opposizione e discordia con ampio effetto. Il potere di colonizzazione digitale, che ormai sembra
mettere in ombra tutti i sogni di un posto al sole del passato, fa sì che siano soprattutto coloro che
si distinguono per il loro deciso disprezzo a trovare ascolto. E che camuffano questo disprezzo da
bellicosità. Camuffare è la parola giusta, perché punzecchiare o provocare qualcuno non significa
affatto litigare con lui. La parola si realizza solo attraverso la vicinanza all’interlocutore. Ciò non
significa necessariamente attraverso il contatto visivo, ma attraverso il riferimento diretto a ciò che
l’avversario dice e intende. Litigare è una tecnica culturale che può essere appresa, ma anche
disimparata.

10.12.2025
Pluralismo o guerriglia?
Sulla litigiosità e la stanchezza delle controversie in Germania

Di Simon Strauss – Nato nel 1988 a Berlino, storico, redattore della “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e fondatore dell’iniziativa
“Arbeit an Europa e.V.”.
In questo Paese si litiga troppo poco e troppo. La controversia è la nostra compagna costante, ma si
nasconde dietro la staccionata del giardino.

Il governo statunitense ha il suo «modo particolare» di procedere, sospira un alto diplomatico
europeo a Washington. Non si è più «automaticamente coinvolti»; non si può più contare su nulla.
E questa è ancora una descrizione gentile della situazione. Finché le telecamere sono accese, i
capi di Stato europei lodano doverosamente gli sforzi di mediazione di Trump. «Apprezzo il lavoro
svolto dal governo americano sotto la guida del presidente», ha affermato Macron quando ha
incontrato Zelenskyj a Parigi all’inizio di dicembre. Ma non appena i capi di Stato sono tra loro, non
nascondono il fatto che non vedono Trump e i suoi collaboratori come alleati, bensì come rivali che
nutrono più simpatia per Vladimir Putin che per i loro ex partner. «Stanno facendo dei giochetti, sia
con voi che con noi», ha detto il cancelliere Merz durante la conferenza stampa, riferendosi agli
ucraini e ai leader dell’UE. Il tono che Trump usa nei confronti dell’Europa oscilla tra disprezzo,
compassione e aperta ostilità: finché l’Europa non deciderà di camminare con le proprie gambe,
sarà indifesa di fronte allo scherno. L’Europa potrà sopravvivere solo se terrà testa alla Russia e
diventerà più indipendente dagli Stati Uniti.

12.12.2025
Due canaglie, un obiettivo
COME TRUMP E PUTIN ATTACCANO L’EUROPA
Alleanze – Il presidente degli Stati Uniti Trump non nasconde il suo disprezzo per il vecchio continente e
stringe un patto con il leader del Cremlino Putin. L’Europa non trova una strategia contro l’alleanza dei
malfattori

Tradimento

Di Christian Esch, Matthias Gebauer, Konstantin von Hammerstein, Julia Amalia Heyer, Britta Kollenbroich, Paul-Anton Krüger, René
Pfister, Mathieu von Rohr, Fidelius Schmid, Michael Weiss
Ci sono momenti in cui gli europei non nascondono la loro disperazione. Il 1° dicembre, ad esempio,
quando i leader di diversi paesi dell’UE si sono riuniti in una teleconferenza riservata.

Gli Stati Uniti si stanno trasformando da egemoni benevoli, cosa che in realtà non sono sempre
stati, a superpotenza egoista a caccia di prede. L’Europa gioca solo un ruolo secondario in questa
visione del mondo. Trump relega il vecchio continente in secondo piano. Nella strategia del 2017,
durante il primo mandato di Trump, si affermava ancora che l’Europa e gli Stati Uniti dovevano
collaborare per contrastare l’aggressione russa. Ora non si legge più nulla di una lotta tra
democrazie e autocrazie come la Cina. Al contrario, gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa con
tono paternalistico da un’“autodistruzione della civiltà” causata dalla migrazione. Se l’Europa si
lascia dividere, andrà a fondo e finirà nel menu di questo nuovo mondo di predatori. Forse questo
è il campanello d’allarme. Questa volta Trump lo invia gentilmente nero su bianco.

07.12.2025
Editoriale
Trump se ne frega dell’Europa e della morale
Nella loro nuova strategia di sicurezza, gli Stati Uniti puntano l’attenzione sull’America Latina e sull’Asia.
Al presidente Trump non interessa ciò che Russia e Cina fanno nelle loro zone di influenza. Ma vuole
esportare la sua rivoluzione populista nell’UE.

DI CHRISTIAN ULTSCH
Per chi non l’ha ancora capito dopo undici mesi dall’elezione di Trump, ora lo può leggerlo nelle 29 pagine
della Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti: gli Stati Uniti stanno ridefinendo le loro priorità di
politica estera.

WELT AM SONNTAG ha valutato per mesi i canali di reclutamento in tutta la Russia e ha parlato
con numerosi intermediari e reclute. Nonostante le immense perdite, l’esercito russo continua a
crescere, con grande stupore dei servizi segreti e dei diplomatici occidentali. Essi considerano
questo sviluppo fondamentale sia per eventuali negoziati di pace che per il rischio di un’ulteriore
espansione russa. Se Putin riuscirà a continuare a finanziare gli enormi premi (e i pagamenti in
caso di morte) e a trovare gli uomini necessari la Russia potrà continuare la guerra costosa e
logorante che caratterizza il conflitto in Ucraina dal secondo anno di guerra.

07.11.2025
Il ricco raccolto dei cacciatori di teste del
Cremlino
La Russia sopporta elevate perdite di guerra grazie alla sua particolare capacità di rinnovare
costantemente la forza delle sue truppe. Con premi, cancellazione dei debiti e la promessa di un
avanzamento sociale, i più poveri vengono attirati nell’esercito, che nel 2026 potrebbe addirittura
raggiungere una forza di 1,5 milioni di soldati.

Di EKATERINA BODYAGINA E IBRAHIM NABER
Per molti uomini in Russia, la guerra sembra ormai un’offerta di lavoro inevitabile. Sull’app di messaggistica
Telegram, accanto alle notizie quotidiane compaiono offerte per missioni al fronte con premi fino a 42.900
euro, una fortuna in un Paese in cui lo stipendio medio è ben al di sotto dei 1000 euro al mese.

Trump perseguita i suoi avversari politici, ad esempio sommergendoli di accuse. Cerca
ripetutamente di impiegare l’esercito all’interno del Paese per ottenere il controllo delle città
scomode. Maltratta i gruppi emarginati, soprattutto gli immigrati, che a volte fa arrestare
brutalmente per strada. Usa la sua carica per procurare entrate a sé stesso e alla sua famiglia.
Tutto ciò è più tipico di un regime autoritario che di una democrazia. Inoltre, il presidente attacca le
istituzioni che dovrebbero controllare lui e il suo governo, come la magistratura, quando non
decidono come lui ritiene giusto. Opprimere gli avversari e gli indesiderati, favorire gli amici e la
famiglia: questa è la formula di Trump in una frase. E’ un corruttore dei costumi politici, un
corruttore della democrazia. In natura, ciò che è corrotto non può essere riportato al suo stato
precedente. Questo non vale per la politica. Ma per gli Stati Uniti sarà difficile riprendersi da
Trump.

02.12.2025
EDITORIALE – IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Il corruttore
Sotto Donald Trump, i principi della democrazia stanno andando in frantumi

Di Dirk Kurbjuweit
Non può essere, ma è così. Questa è la frase che ha accompagnato il primo anno del secondo mandato di
Donald Trump. Esprime ciò che un cittadino di orientamento liberale e democratico prova di fronte al
presidente degli Stati Uniti:

Come ha potuto il Consiglio europeo concedere un prestito nonostante l’opposizione di Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia, dato che una decisione del genere deve essere presa
all’unanimità? Il prestito è stato ottenuto con la promessa a Budapest, Praga e Varsavia di non
imporre ai tre paesi il pagamento immediato di 1,5 miliardi di euro di debiti in sofferenza, ma di farli
pagare politicamente in un secondo momento. “I tre paesi non devono pagare nulla ora, ma lo
faranno in seguito a livello politico”. Ciò significa che in tutte le decisioni future (ad esempio nei
negoziati ora in corso sul bilancio dell’UE 2028-2034), l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la
Slovacchia non potranno contare su alcuna concessione. E la Polonia, quarto membro del gruppo
di Visegrád, potrebbe rimanere profondamente offesa da questa azione.

20.12.2025
Credito UE invece di Euroclear: il piano A è
morto, viva il piano B
Ucraina. Il bilancio dell’UE servirà come garanzia per il credito concesso a Kiev. Tuttavia, l’accesso al
denaro russo in Belgio non è ancora del tutto escluso.

DI MICHAEL LACZYNSKI Bruxelles/Vienna
È una soluzione con cui tutti possono convivere, o meglio devono convivere, al momento attuale. L’UE
accenderà un prestito a tasso zero dell’importo di circa 90 miliardi di euro, con il quale l’Ucraina potrà
continuare la sua lotta difensiva contro la Russia nei prossimi due anni.

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Un altro fallimento: il vertice EUCO subordina il rimborso del nuovo “prestito” all’Ucraina alla vittoria totale sulla Russia_di Simplicius

Un altro fallimento: il vertice EUCO subordina il rimborso del nuovo “prestito” all’Ucraina alla vittoria totale sulla Russia

Simplicius 23 dicembre
 
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Il vertice del Consiglio europeo che si è tenuto dal 18 al 19 dicembre a Bruxelles è stato dichiarato una grande “vittoria” dagli eurocrati, quando in realtà si è trattato ancora una volta di un clamoroso fallimento per il regime marcio della von der Leyen e per il suo tentativo di utilizzare i beni russi rubati per la guerra in Ucraina.

L’obiettivo era quello di cercare di sequestrare e utilizzare completamente i beni, piuttosto che semplicemente “immobilizzarli”, ma invece tutto ciò che sono riusciti a fare è stato creare un “prestito” di 90 miliardi di euro per l’Ucraina, attingendo dalle proprie casse, ben lontano dai 210 miliardi che avrebbero voluto. E tutto questo è stato fatto nel modo più interessante possibile:

Il vertice EUCO è stato un disastro per Ursula von der Leyen e Friedrich Merz. Nonostante disponesse di una maggioranza qualificata in EUCO, l’opposizione del Belgio e di altri sei paesi ha impedito il sequestro dei beni russi. Nonostante la promessa di concedere all’Ucraina una somma compresa tra 140 e 210 miliardi di euro, l’EUCO ha deciso di concederne solo 90 miliardi e, ciliegina sulla torta, la forte opposizione di Francia e Italia ha fatto sì che l’accordo di libero scambio con il Mercosur fosse rinviato. L’UE è più divisa che mai.

Un’altra analisi che spiega in modo più dettagliato la distribuzione del denaro:

Il Consiglio europeo ha deciso di concedere all’Ucraina un prestito di 90 miliardi di euro a tasso zero attingendo dal bilancio dell’UE.

Il piano di sequestrare i beni russi e utilizzarli per finanziare il prestito è fallito perché troppi Stati membri dell’UE si sono opposti durante la riunione dell’EUCO.

Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ottenuto il diritto di non partecipare al finanziamento di questo prestito, il che significa che la somma di 90 miliardi sarà ripartita proporzionalmente in base al PIL dei restanti 24 Stati membri.

Sebbene l’EUCO abbia acconsentito a concedere questo prestito, il meccanismo giuridico per la sua effettiva concessione a Kiev non è stato ancora reso noto e ci vorranno ancora alcune settimane prima che venga definito.

Il piano originale per i beni russi congelati (oltre 200 miliardi di dollari) prevedeva che 95 miliardi di dollari fossero destinati al pagamento dei debiti esistenti dell’Ucraina nei confronti del FMI, della BCE e del G7, mentre il resto sarebbe stato utilizzato per finanziare nuovi acquisti di armi e altre spese legate alla guerra.

In altre parole, l’importo concordato è appena sufficiente per mantenere il Paese a galla ancora per un po’ e impedirne il fallimento, ma non fornisce la capacità di andare oltre o di acquisire in modo significativo nuove capacità militari.

Ma ecco il punto più importante e sorprendente: il prestito è interamente subordinato al fatto che l’Ucraina riceva prima i risarcimenti dalla Russia; ovvero solo se e quando l’Ucraina riceverà i risarcimenti dalla Russia, l’Ucraina sarà obbligata a rimborsare il prestito. Questo è stato spiegato da diverse figure di spicco dell’EUCO, come si può vedere di seguito:

E come può l’Ucraina costringere la Russia a pagare centinaia di miliardi di risarcimenti? È semplice: vincendo la guerra.

Quindi, se l’Ucraina vincerà la guerra, l’UE riavrà indietro i suoi soldi. Sembra una scommessa sicura, no?

Scherzi a parte, ciò significa due cose: in primo luogo, che l’UE ha appena derubato criminalmente i propri cittadini di 90 miliardi di euro, emettendo essenzialmente un prestito falso che in realtà è un altro sussidio gratuito, dato che non c’è alcuna possibilità che venga mai rimborsato, poiché l’Ucraina non ha alcuna possibilità di vincere in modo decisivo la guerra in modo tale da “costringere” in qualche modo la la Russia a pagare i risarcimenti: un concetto ridicolo che nessuno, nemmeno tra il bestiame dell’UE, potrebbe immaginare che abbia una possibilità di verificarsi.

Ma il secondo punto è molto più significativo e inquietante: lega legalmente l’UE come parte in guerra, conferendole un interesse fondamentale nella vittoria contro la Russia. Ciò significa che da questo momento in poi l’UE è praticamente obbligata a fare tutto il possibile per sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, al fine di recuperare i beni dei propri cittadini, rubati in modo criminale.

Viktor Orban ha approfondito questo punto in modo molto convincente in un post imperdibile su X:

Per la prima volta nella storia dell’Unione europea, 24 Stati membri hanno concesso congiuntamente un prestito di guerra a un Paese esterno all’Unione. Non si tratta di un dettaglio tecnico, ma di un cambiamento qualitativo. La logica di un prestito è chiara: chi presta denaro vuole essere rimborsato. In questo caso, il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare.

Affinché questo denaro possa essere recuperato, la Russia dovrebbe essere sconfitta. Questa non è la logica della pace, ma quella della guerra. Un prestito di guerra rende inevitabilmente i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché la sconfitta comporterebbe anche una perdita finanziaria. Da questo momento in poi, non si tratta più solo di decisioni politiche o morali, ma di rigidi vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: la guerra.

La logica bellica di Bruxelles si sta quindi intensificando. Non sta rallentando, non si sta attenuando, ma sta diventando istituzionalizzata. Il rischio oggi è più grande che mai, perché il proseguimento della guerra è ora accompagnato da un interesse finanziario. L’Ungheria sta deliberatamente evitando di intraprendere questa strada pericolosa. Non prendiamo parte a iniziative che inducono i partecipanti a prolungare la guerra. Non cerchiamo una via rapida verso la guerra, ma un’uscita verso la pace. Non si tratta di isolazionismo, ma di sobrietà strategica. Questo è nell’interesse dell’Ungheria e, a lungo termine, anche nell’interesse dell’Europa.

Rileggi: «La logica di un prestito è chiara: chi presta denaro vuole riaverlo indietro. In questo caso, il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare».

I cechi, gli ungheresi e gli slovacchi sono riusciti a sottrarsi con successo a tale obbligo, lasciando che fossero gli Stati europei più servili a trasferire il conto sui propri cittadini sempre più impoveriti. Detto questo, non sorprende che siano state avanzate minacce nei confronti dei paesi che si sono opposti:

Alla fine, si è trattato solo dell’ultimo di una lunga serie di disastri disperati per il regime dell’UE: presentato come un modo per “far pagare la Russia”, in realtà sono ancora una volta i cittadini europei ad affogare e a pagare il conto, come al solito.

I vignettisti politici dell’IA hanno fatto nuovamente centro:

Il primo ministro belga Bart De Wever, sempre più esplicito nelle sue dichiarazioni, ha anche criticato il tedesco Merz e ha giustamente salutato il successo di alcune piccole nazioni europee che si sono distinte nella resistenza alle politiche totalitarie oppressive del marcio regime dell’UE:

Un trionfante Bart De Wever critica Friedrich Merz per aver insistito così tanto sul prestito di riparazione.

«Oggi abbiamo dimostrato che anche la voce degli Stati membri di piccole e medie dimensioni conta. Le decisioni in Europa non sono prese solo dalle capitali più grandi».

Infatti, i principali giornali scandalistici stanno ora attaccando la Francia e Macron per aver presumibilmente “pugnalato alle spalle” Merz, appoggiando “pubblicamente” le ambizioni globaliste di Merz di impossessarsi di 210 miliardi di euro di fondi russi, ma nutrendo segretamente serie riserve al riguardo:

https://www.ft.com/content/99d256e6-8501-4ab8-81d2-d937d5888f01

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz stava compiendo un ultimo tentativo per convincere i leader dell’UE a utilizzare 210 miliardi di euro di beni sovrani russi congelati per aiutare l’Ucraina, quando si è reso conto che gli mancava un alleato fondamentale: Emmanuel Macron.

“Macron ha tradito Merz, e sa che dovrà pagare un prezzo per questo”, ha affermato un alto diplomatico dell’UE a conoscenza diretta dei colloqui di giovedì. “Ma è così debole che non ha avuto altra scelta se non quella di schierarsi con Giorgia Meloni”.

E qual è la ragione principale dell’improvviso ripensamento di Macron e del suo apparente cambiamento di posizione sulla Russia in generale, dato che anche lui ha rotto le righe annunciando che l’Occidente dovrebbe “parlare con la Russia” dopo che Kaja Kallas ha causato un putiferio questa settimana ammettendo di istruire (leggi: costringere con la forza) i diplomatici stranieri a rompere i rapporti diplomatici con la Russia?

Beh, la risposta è semplice: l’economia francese sta crollando e Macron sa bene che il finto “prestito” del signore del crimine von der Leyen metterebbe di fatto la Francia nei guai per miliardi di eurodollari che non può permettersi di ripagare:

https://www.politico.eu/articolo/francois-bayrou-la-bomba-francese-rimette-il-tema-della-sostenibilità-del-debito-all’ordine-del-giorno/

L’ultimo dato ha visto il debito pubblico francese raggiungere il livello record storico del 117% del PIL, con un aumento vertiginoso di 66 miliardi di euro in soli tre mesi, dopo un incremento di 71 miliardi nel trimestre precedente:

https://www.bfmtv.com/economia/economia-sociale/finanze-pubbliche/è-aumentato-ancora-di-66-miliardi-di-euro-in-3-mesi -il-debito-pubblico-francese-sale-a-117-4-del-pib-un-nuovo-picco-storico_AD-202512190296.html

Infatti, dietro i disperati tentativi della von der Leyen di sostenere l’Ucraina, ora nell’UE c’è più incertezza e disunione che mai. Da un paio di settimane fa:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-12-03/l’italia-frena-il-programma-nato-per-l’acquisto-di-armi-statunitensi-per-l’ucraina

Il ministro degli Esteri italiano ha affermato che sarebbe “prematuro” per il suo Paese partecipare a un programma della NATO per l’acquisto di armi statunitensi per l’Ucraina, alla luce dei negoziati di pace in corso.

“Se raggiungiamo un accordo e i combattimenti cessano, le armi non saranno più necessarie”, ha dichiarato mercoledì ai giornalisti a Bruxelles Antonio Tajani, che è anche vice primo ministro. “Saranno necessarie altre cose, come le garanzie di sicurezza”.

Bloomberg ha persino ammesso apertamente che, proprio come nel caso della Francia, anche il cambiamento di rotta dell’Italia è stato determinato dalla crisi economica e dalla mancanza di fondi:

Queste dichiarazioni sono il segnale più chiaro finora che il governo di Giorgia Meloni ha cambiato strategia sull’Ucraina dopo aver esaurito i fondi e aver superato le tensioni all’interno della coalizione di governo.

Nonostante tutti questi sviluppi, dobbiamo concludere che, alla fine dei conti, Victor Orban ha ragione nella sua valutazione: anche se l’Europa sta precipitando sempre più nell’abisso, non c’è dubbio che legare il fondo di salvataggio ucraino da 90 miliardi di euro alla vittoria definitiva sulla Russia sia stata una sorta di colpo di grazia strategico da parte della von der Leyen e dei suoi controllori globalisti.

In questo modo, hanno messo i paesi europei con le spalle al muro e sotto pressione, per così dire. Si tratta di una sorta di ricatto efficace: von der Leyen sa che non sarà lei a subire le conseguenze, perché non è direttamente responsabile nei confronti dei cittadini europei, dato che è solo una burocrate tirannica non eletta. Pertanto, saranno i singoli leader fantoccio degli Stati sotto di lei che ora saranno costretti a ricorrere a tutti i mezzi estremi per portare avanti la guerra contro la Russia, in modo da poter recuperare il denaro dei loro cittadini senza subire un suicidio politico; la von der Leyen stessa è efficacemente protetta da questa minaccia, data la sua posizione totalmente irresponsabile, senza elettori diretti da lei rappresentati.

In breve, questa mossa esercita una maggiore pressione sui leader fantoccio dell’Unione Europea affinché facciano tutto il possibile per aiutare l’Ucraina a combattere contro la Russia «fino all’ultimo ucraino».

A questo proposito, c’è stato un altro sviluppo interessante, dato che è un argomento che abbiamo appena trattato nell’ultimo articolo a pagamento: in particolare, il modo in cui le élite distorcono la realtà presentando affermazioni soggettive come fatti.

L’esempio che ho utilizzato è stato il gran numero di recenti dichiarazioni riguardanti la presunta disponibilità della Russia a “dichiarare guerra alla Russia”. Un nuovo articolo di Reuters ha affermato che i servizi segreti statunitensi hanno recentemente concluso che Putin intende “riconquistare” non solo tutta l’Ucraina, ma anche “parti dell’Europa che appartenevano all’ex impero sovietico”.

WASHINGTON/PARIGI, 19 dicembre (Reuters) – I rapporti dell’intelligence statunitense continuano ad avvertire che il presidente russo Vladimir Putin intende conquistare tutta l’Ucraina e rivendicare parti dell’Europa che appartenevano all’ex impero sovietico, secondo quanto riferito da sei fonti vicine all’intelligence statunitense, anche se i negoziatori cercano di porre fine alla guerra che lascerebbe alla Russia un territorio molto più ridotto.

Il rapporto falso è chiaramente un’altra operazione di intelligence volta a minare gli sforzi di pace di Trump e prolungare la guerra. La cosa più interessante in questo caso particolare è il fatto che il direttore dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard abbia immediatamente smentito questa presunta “informazione”:

Lei giustamente solleva il famoso paradosso moderno secondo cui la Russia sarebbe una stazione di servizio indigente, incapace di sfamare le proprie truppe o persino di riconquistare una piccola percentuale dell’Ucraina, ma che in qualche modo starebbe anche pianificando di invadere e conquistare tutta l’Europa. Questo è stato nuovamente sottolineato da una serie di articoli di propaganda isterica pubblicati negli ultimi giorni, che – per quanto possa essere difficile da credere – continuano a superare ogni precedente minimo storico:

Alcune ultime cose:

Putin ha tenuto la sua grande conferenza stampa di fine anno: ecco alcuni punti salienti.

È interessante notare che Putin ha ammesso che la Russia non dispone di droni pesanti come il Baba Yaga ucraino, ma che comunque supera di gran lunga l’Ucraina in termini di numero totale di droni “su ogni fronte”:

È interessante notare che, nella sua conferenza stampa, Zelensky ha affrontato anch’egli la questione dei droni, lamentando che se l’Ucraina non riceverà la prossima massiccia iniezione di denaro, lo Stato sarà costretto a ridurre drasticamente la produzione di droni:

Zelensky ha anche accennato al fatto che l’Ucraina ha esaurito completamente gli intercettori per alcuni dei sistemi missilistici antiaerei che utilizza:

A tal proposito, ricordate la nuova e temibile arma miracolosa, il missile “Flamingo”, che avrebbe sicuramente devastato la Russia da un giorno all’altro? Qui Poroshenko rivela che il missile in realtà non colpisce alcun bersaglio ed è puramente un'”arma psicologica”:

Putin ha anche minacciato gli europei di tentare di conquistare Kaliningrad. Egli afferma che se qualcuno tentasse di muovere un passo contro Kaliningrad, il conflitto assumerebbe una dimensione completamente nuova, su “larga scala”, e che tutti gli aggressori sarebbero “distrutti”:

Zelensky ha anche fatto un’altra osservazione molto interessante. Proprio la settimana scorsa lui o il suo traduttore hanno commesso un errore dicendo che i “cadaveri” della NATO saranno allineati lungo la nuova linea di demarcazione tra la Russia.

Ora sembra aver lanciato una minaccia, intenzionale o meno, contro il presidente degli Stati Uniti per non aver sostenuto l’Ucraina. Egli afferma che l’Ucraina potrebbe entrare a far parte della NATO in futuro perché, sebbene gli Stati Uniti non sostengano questa mossa ora, potrebbero farlo in futuro perché “alcuni politici vivono e altri muoiono”. Interpretatelo come volete, ma la maggior parte delle persone concorda sul significato che sembra avere:

Infine, Putin ci ha anche aggiornato sul numero delle truppe russe, che secondo lui attualmente sono 700.000 nella zona SMO:

È interessante notare che Syrsky ha anche rivelato in una riunione che la Russia schiera circa 710.000 soldati nella zona SMO:

Per una volta, vediamo una certa concordanza nei numeri tra le due parti.

Un nuovo articolo dell’Economist evidenzia e sottolinea questo aspetto:

https://www.economist.com/europe/2025/12/17/ukraine-scrabbles-for-handholds-against-russias-massive-assault

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Il nostro spettacolo moderno

Simplicius 21 dicembre∙
 
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“Nelle società in cui prevalgono le moderne condizioni di produzione, tutta la vita si presenta come un immenso accumulo di spettacoli… Lo spettacolo non è una collezione di immagini, ma una relazione sociale tra le persone, mediata dalle immagini.” -Guy Debord, La società dello spettacolo

Il nostro mondo moderno e la sua ecosfera politica hanno subito profondi cambiamenti negli ultimi due decenni e, in particolare, negli ultimi anni. Ci sono stati molti fattori responsabili, come il ben noto aumento dei social media, vari cambiamenti culturali, in particolare tra la popolazione giovanile, ma anche altri catalizzatori più sinistri e difficili da individuare.

Hanno creato un mondo governato dall’immagine superficiale e dall’icona piuttosto che dall’idea reale e concreta. È una sorta di caverna di Platone riportata in vita come uno spettacolo di menestrelli di civetteria politica, dove marionette travestite recitano le loro battute preparate in modo tale che i gesti emotivi e le impressioni siano l’essenza stessa del messaggio, piuttosto che i suoi accenti. Le parole sono nascoste, distorte, appropriate indebitamente fino a perdere completamente il loro significato, e nessuno sembra preoccuparsene fintanto che la recitazione presenta l’appropriato slancio performativo.

Alcuni l’hanno paragonata all’idea di una “realtà post-verità” come sottoprodotto della nostra moderna frammentazione digitale, dove la “verità” esiste solo come un insieme di milioni di prospettive sparse, ciascuna con le proprie rappresentazioni, citazioni, “fonti”, sostenitori e meccanismi di amplificazione artificiale, tutti diversi e infiniti.

Ma la questione è più profonda e riguarda il modo in cui le nuove generazioni, così importanti, elaborano le informazioni, o in particolare il tipo di informazioni e gli “stili di presentazione” che preferiscono o che risuonano meglio con loro. Il processo di frammentazione ha trasformato l’ecosfera politica moderna in una sorta di “tabula rasa” dove tutto è uguale e dove il passato non ha alcun vantaggio in termini di peso storico rispetto alle influenze sgargianti e al fascino seducente del presente.

I leader di oggi si distaccano dalla memoria storica e fanno affidamento esclusivamente sull’appello agli istinti limbici e alle passioni istintive. Basta osservare l’attuale cast di menestrelli poco carismatici dell’apparato dell’UE, che ignorano sfacciatamente le realtà storiche oggettive per alimentare le loro narrazioni di bassa lega. Mi viene in mente la recente incredulità affettata di Kaja Kallas all’idea che la Russia abbia sconfitto i nazisti nella Seconda guerra mondiale, in un pigro tentativo di perpetuare l’immagine della Russia come “Altro” ancestrale dell’Occidente:

Anche la sua padrona von der Leyen intreccia incongruenze storiche nelle sue dichiarazioni con la stessa impunità, perché non è più il contenuto stesso a determinare il messaggio, bensì solo la presentazione, lo spettacolo che ne deriva: ciò che conta è il tipo di carica emotiva che il titolo principale può suscitare in un breve comunicato stampa.

Questa simulazione ha generato il panorama politico più bizzarro mai visto finora. I leader mentono da tempo immemorabile, ma almeno in passato spesso possedevano prestigio personale, carisma e magnetismo, la capacità di ispirare realmente con i loro messaggi di speranza, anche se forse manipolatori. Ma l’attuale generazione di “leader” ha abbandonato ogni pretesa di fascino e magnetismo per diventare di fatto dei fantocci al servizio degli interessi delle grandi aziende e dell’influenza oligarchica, semplici portavoce e casse di risonanza che si limitano a trascrivere i manifesti dei loro finanziatori.

Perché è successo questo? La risposta è semplice: in passato, i leader dovevano temprarsi nel fuoco della competizione, misurandosi con la realtà oggettiva stessa. Si distinguevano contendendo avversari politici dotati di intelligenza acuta e capacità di persuasione non offuscate dalle distrazioni moderne e dalla scarsa capacità di concentrazione.

Oggi, il globalismo iperconnesso e finanziarizzato della nostra epoca ha creato una vasta matrice di manipolazione che ha normalizzato la diluizione sia della meritocrazia che dei processi politici e democratici autentici, al punto che i leader moderni non vengono più eletti in base al loro coraggio personale, al loro carisma o ai loro successi, ma piuttosto selezionati dagli interessi particolari delle aziende in base alla loro servilità. Non sorprende che una percentuale crescente dei leader di oggi abbia un background nel settore bancario e finanziario, come il tedesco Friedrich “BlackRock” Merz, il canadese Mark “Goldman Sachs” Carney, il francese Emmanuel “Rothschild” Macron e molti altri.

Il modo in cui questa rete di capitali ha avvolto il mondo ha creato una fonte inesauribile di “interessi particolari” con lo scopo di influenzare le elezioni, in particolare ora che le principali società di media si sono fuse completamente con i loro sponsor aziendali per diventare un’unica membrana metastatica sovrapposta, conferendole un potere illimitato di influenzare qualsiasi processo politico secondo necessità.

«Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro favoriscono la formazione di unità produttive più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un’oligarchia del capitale privato il cui enorme potere non può essere efficacemente controllato nemmeno da una società politica organizzata democraticamente. ” -Einstein, Why Socialism? (1949)

Siamo sempre più esposti a messaggi e narrazioni politiche completamente distanti dalla realtà, con affermazioni di pura soggettività vendute come fatti grazie al “merito” della performance stessa; basta dire qualcosa con sufficiente convinzione e solennità affettata e le “squadre di pulizia” dei media corporativi fanno il resto.

Una delle tattiche chiave utilizzate oggi da ogni politico moderno, in particolare da quelli impiegati come servitori o inconsapevoli burattini del regime globalista, è quella di presentare le opinioni come affermazioni di fatto con un entusiasmo studiato. Questo è stato recentemente utilizzato da personaggi come Keir Starmer, Lindsey Graham, Marco Rubio, Mark Rutte e praticamente ogni tirapiedi del marcio pantheon dell’UE. Un esempio che non richiede l’attribuzione a nessun portavoce particolare della lista sopra riportata, poiché praticamente tutti loro hanno pronunciato qualche leggera variazione di questa affermazione: “Putin non si fermerà. È intenzionato ad attaccare l’Europa per ricostruire l’Impero russo».

Secondo chi? Dove hai ottenuto queste “informazioni”? Quali sono le tue fonti? Nessuno si preoccupa di chiedere, e i media corrotti spianano la strada a questi attori in accordo con i loro benefattori comuni.

Questo stile di linguaggio politico ha infestato praticamente ogni dichiarazione moderna delle figure che rappresentano il regime. Si tratta di opinioni non attribuite mascherate da affermazioni di fatto, espresse con la stessa convinzione studiata e la stessa spavalderia ingiustificata, al fine di spegnere quella parte del cervello del pubblico responsabile del pensiero critico e dell’autoriflessione. “È affermato con tanta sicurezza, con un’assertività perfettamente dosata, la fronte aggrottata e lo sguardo penetrante, che non c’è modo di metterlo in discussione!”, pensa inconsciamente lo spettatore medio. E questa tendenza moderna diventa particolarmente eclatante quando proviene da personaggi caduti in disgrazia e non eletti, che non hanno alcun mandato pubblico reale né un background applicabile in nulla che sia lontanamente collegato a ciò di cui stanno parlando: mi vengono in mente Kaja Kallas e molti altri.

Inoltre, i leader odierni vengono scelti solo per le loro qualità estetiche superficiali, ovvero per il loro “aspetto”, piuttosto che per le loro reali capacità: sono attori nel senso più puro del termine. Qui l’archetipo aquilino di Macron intendeva simboleggiare una qualità magistrale dello Stato francese da tempo perduta, conferendo un peso fittizio a dichiarazioni altrimenti vuote:

Oppure l’infinita sfilata di donne fatali, destinate a trasmettere un’immagine di accogliente affabilità, per non parlare del fatto che distraggono lo sguardo maschile con le loro disarmanti astuzie da maestrina, mentre le loro lingue biforcute e i loro subdoli doppi giochi seminano le narrazioni del Regime nei cuori e nelle menti degli ingenui sottomessi da questo cavallo di Troia strategicamente trasformato in arma, sotto forma di “delicata femminilità”.

L’ex ministro della Difesa lituano Dovile Sakaliene, la cui unica qualifica precedente era quella di sostenitrice dei diritti LGBT e dell’aborto, una volta ha fatto una gaffe descrivendo il “muro” anti-drone ideale dell’Europa come qualcosa di simile al “muro di Game of Thrones”, come un altro esempio di questo:

Link Twitter

Il lavoro dei politici di oggi non è altro che occupare semplicemente lo spazio che un rappresentante realmente qualificato avrebbe potuto conquistare e utilizzare per il bene pubblico. Gli sponsor aziendali che ora controllano praticamente ogni ruolo politico preferiscono di gran lunga che un funzionario “inutile” si limiti a “occupare” la carica, senza fare nulla, per garantire che nessun candidato realmente popolare possa ottenere il posto e potenzialmente ribaltare o far deragliare lo status quo degli “interessi particolari”. A questi “pesi morti” vengono poi periodicamente assegnati piccoli compiti o dichiarazioni stereotipate, in linea con il loro basso QI e la loro servilità bovina, per aiutare a portare almeno una modesta brocca d’acqua al regime. Mi viene in mente John Fetterman.

Il panorama digitale moderno dei nostri vari mezzi di consumo in generale ha creato un ambiente altamente dinamico in cui regna sovrano il breve termine, e qualsiasi presunzione disonesta può essere scusata o giustificata in virtù della necessità di “competere” in questo arena frenetica. E quando non può essere debitamente giustificata, viene facilmente insabbiata o nascosta sotto il tappeto da qualche notizia sensazionale artificiale o da qualche notizia importante diffusa ad arte. Di seguito, Merz dimostra come politici apertamente irresponsabili come lui possano diffondere menzogne oscene senza preoccuparsi delle ripercussioni:

Le architetture dei social media vengono quindi intenzionalmente riprogettate per favorire lo scorrimento infinito di titoli e didascalie, come in TikTok e in tutte le altre app in stile “reel” che ora predominano nell’ecosfera digitale, proprio per consentire alle testate giornalistiche mainstream di ingannare per omissione, manipolando ogni titolo e didascalia per distorcere in modo disonesto la narrazione, sapendo bene che le app stesse scoraggiano la lettura approfondita delle notizie.

È strano come questa invisibile “cattedrale” delle strutture di potere aziendale abbia preso il controllo di quasi ogni aspetto delle nostre vite senza che ce ne accorgessimo, cuocendoci lentamente come rane e mascherando ogni nuova invasione con i fronzoli della cultura moderna degenerata. Ad esempio, gli stadi sportivi sono ora quasi esclusivamente decorati con nomi di banche: Chase Field, Citi Field, Citizens Bank Park, PNC Park, Bank of America Stadium, EverBank Field, Lincoln Financial Field, M&T Bank Stadium, U.S. Bank Stadium, Barclays Center, Capital One Arena, KeyBank Center, PNC Arena, TD Garden, Wells Fargo Center e molti altri.

Come mai anche i centri delle nostre città sono dominati da enormi pilastri della finanza, monumenti alla nostra schiavitù sotto forma di torri bancarie e grattacieli di società finanziarie, che in qualche modo godono indiscutibilmente del privilegio esclusivo di occupare gli immobili più essenziali, convenienti ed esclusivi, mentre sminuiscono i nostri skyline con le loro grottesche celebrazioni del proprio potere? Si potrebbe pensare che i centri cittadini, in particolare, dovrebbero favorire i cittadini: l’unità centrale, vitale e fondamentale della civiltà, attorno alla quale queste città sono state originariamente costruite. Invece, i centri cittadini delle moderne capitali occidentali fanno tutto il possibile per frustrare e creare disagi ai cittadini umili, privilegiando in ogni modo i titani finanziari globalisti che non hanno radici naturali nelle regioni che oscurano con le loro imponenti icone di ricchezza. Supponendo che il potere spirituale di una civiltà si concentri al centro, ciò che abbiamo permesso è che le banche erigano strategicamente i loro templi alla bancarotta spirituale proprio nel cuore dei più importanti centri di aggregazione della nostra società.

Come per ogni cosa, però, i “progressi” dell’era moderna che hanno trasformato le cose in questo modo hanno anche dato a noi più illuminati la possibilità di smascherare e diffondere questi demoni “invisibili”. Anche se i politici di oggi, storicamente privi di contenuti, continuano a ingannare le masse, il loro effetto sta gradualmente perdendo potere.

Il problema è che le persone sono diventate così stanche e insensibili all’inganno palese che hanno iniziato semplicemente a ignorarlo, nonostante le bugie non abbiano più effettivamente effetto su di loro. Ciò ha portato a uno scenario molto strano: la fiducia e l’audience delle principali fonti di informazione sono crollate ai minimi storici, il che implica che le persone si stanno “svegliando”, ma allo stesso tempo l’impunità con cui operano ora i membri del regime è cresciuta a dismisura; com’è possibile?

Questo enigma può essere spiegato solo dal disinteresse record della popolazione e dal suo “disinteresse” nei confronti di tutti i media e dell’impegno civico in generale; le persone sono diventate completamente paralizzate dalla consapevolezza che la loro voce non conta in quello che è ovviamente un sistema truccato. È come se il famigerato “esperimento dei ratti annegati” prendesse vita, dove l’immaginaria “disperazione” porta i ratti a morire rapidamente quando immersi nell’acqua, mentre permettere ai ratti di provare prima un po’ di “speranza” sotto forma di essere “salvati” almeno una volta dà loro una resistenza futura incommensurabile e la capacità di sopravvivere indefinitamente nella stessa immersione. Per molti versi, le persone sono diventate altrettanto insensibili alla propria impotenza in un sistema di totale bancarotta morale e politica e di mancanza di anima.

Detto questo, viviamo in un’epoca di grandi divergenze paradossali e, mentre una parte importante della società si rassegna alla paralisi, un’altra si risveglia con un nuovo senso di giusta indignazione. Lo vediamo, ironicamente, proprio nel cuore stesso del Regime, nella grande rivolta degli agricoltori di Bruxelles che sta avvenendo in questo momento:

Bruxelles sta affrontando un grave blocco logistico a causa delle proteste su larga scala degli agricoltori che stanno sconvolgendo la città.

Per protestare contro l’accordo commerciale UE-Mercosur, oltre 1.000 trattori hanno bloccato le principali vie di transito e i tunnel.
#Bruxelles #FarmersProtest2025

La storia ha dimostrato che basta una piccola avanguardia organizzata per realizzare grandi cambiamenti, e che le masse addormentate probabilmente non rimarranno a lungo inerte e disinteressate, una volta che potranno assistere ai primi segni reali della disintegrazione del regime. Lo abbiamo visto accadere negli Stati Uniti, dove l’impero della “cultura woke” sembrava avere un controllo illimitato, fino a quando non è crollato improvvisamente, quasi dall’oggi al domani, come un imperatore senza vestiti.

Quanto tempo ci vorrà ancora prima che il potere fittizio dei burattini vuoti che si atteggiano a leader mondiali si esaurisca definitivamente e la loro capacità di parlare senza conseguenze cominci finalmente a essere chiamata a rispondere delle proprie responsabilità?

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Il mondo alle undici_di Aurélien

Il mondo alle undici.

Smettila di urlarmi contro.

Aurélien17 dicembre
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Quando ero molto più giovane, ero un po’ un telegiornalista. Per gran parte di quel periodo non c’era una TV facilmente reperibile, e in ogni caso gli orari di trasmissione erano limitati. Quindi, inevitabilmente, ascoltavo molto la radio, e la mia giornata era scandita dal telegiornale del mattino, se ero sveglio, e da The World at One (“con William Hardcastle”) e The World Tonight (“con Douglas Stuart”) di Radio 4. Ricordo questi programmi, pur dimenticandone un’infinità di altri, per il modo calmo e autorevole con cui trattavano gli eventi del Paese e del mondo. I resoconti dall’estero provenivano da corrispondenti esteri già presenti sul posto, che vivevano nella regione da anni, se non decenni. La copertura della politica britannica era affidata a corrispondenti politici di lunga data, che sapevano tutto e tutti. Entro i limiti della natura umana, e tenendo conto della costante possibilità di influenze esterne, hai davvero avuto la sensazione, dopo aver ascoltato un pezzo di cinque minuti del “corrispondente della BBC per l’Africa orientale”, di aver compreso meglio di prima il conflitto degli anni ’70 tra Etiopia e Somalia nel Corno d’Africa.

A quei tempi, le barriere all’ingresso nel mondo dei media radiotelevisivi erano molto elevate. Non mi riferisco solo alla possibilità di trasmettere, che era strettamente regolamentata dalla legge nella maggior parte dei paesi, ma semplicemente alla possibilità di farsi notare e di qualificarsi per il numero limitato di minuti disponibili in TV e radio, e per i pochi spazi di colonna sui giornali. Questo aveva i suoi inevitabili svantaggi, ovviamente, come qualsiasi sistema limitato, ma, nel migliore dei casi, faceva due cose. La prima era quella di concentrare i servizi di trasmissione su argomenti che i redattori consideravano più significativi. In un sistema del genere, soprattutto per i canali finanziati dal governo, la quota di pubblico e l’attrazione dell’attenzione non erano la priorità principale. Fu solo in questo modo, ad esempio, che l’innovativo Civilisation di Kenneth Clark o i primi episodi di Flying Circus dei Monty Python avrebbero potuto essere trasmessi: ciascuna era un’impresa rischiosa a modo suo, e nessuna delle due sembrava un successo garantito all’inizio.

L’altro era quello di incoraggiare i formatori di opinione, e in particolare i politici, a concentrarsi sulle questioni più importanti quando venivano intervistati, perché potevano avere solo uno spazio di novanta secondi ogni tanto. Certo, a quei tempi i politici si attaccavano a vicenda con la stessa ferocia di oggi, ma c’erano meno insulti personali e protagonismi, perché non c’era tempo per questo. La copertura mediatica della politica rifletteva anche l’organizzazione politica relativamente semplice dell’epoca: c’erano, in generale, partiti consolidati di sinistra e di destra, che dicevano cose diverse e, quando erano al governo, si comportavano in modo diverso. Le politiche di una parte venivano difese da loro e criticate dall’altra, in modi generalmente comprensibili.

A livello internazionale, il quadro della Guerra Fredda forniva una grammatica per comprendere il mondo, che spesso era anche comprensibile. Un movimento o un paese veniva sostenuto da una parte, quindi il suo avversario favoriva automaticamente l’altra. La fine del dominio portoghese in Angola, ad esempio, significò che i vari movimenti di resistenza di diverse convinzioni etniche e politiche potevano ora dedicare tutto il loro tempo a combattersi tra loro senza la distrazione di dover combattere anche contro il potere coloniale. Poiché l’Unione Sovietica sosteneva il partito marxista MPLA, in gran parte il partito dell’élite costiera meticcia , l’Occidente sostenne istintivamente i suoi avversari. Questo fu in gran parte il modello per comprendere anche altre parti del mondo e, sebbene fosse un po’ superficiale, non era del tutto sbagliato. Come vedremo, però, le complessità sottostanti, in qualche modo nascoste dall’euristica della Guerra Fredda, tornarono a tormentarci in seguito, e i conflitti in Algeria, in Rhodesia o in Vietnam si rivelarono molto più complessi e sfumati di quanto la gente fosse disposta ad ammettere all’epoca, o di cui addirittura non fosse consapevole.

Non che il mondo fosse necessariamente “migliore” allora, né in Occidente né altrove. Dopotutto, era l’epoca della guerra del Vietnam, dei Khmer Rossi in Cambogia, dei colpi di stato militari e delle dittature in America Latina e Africa, di una brutale guerra civile in Nigeria e di molti altri orrori. Anche in Europa, ci furono la sanguinosa rivolta in Ungheria nel 1956 e quella pacifica di Praga nel 1968, un colpo di stato militare/politico in Francia nel 1958 e un tentativo di colpo di stato nel 1961, per non parlare della disperata crisi politica del 1968, del rovesciamento del regime di Salazar in Portogallo nel 1974 e della morte di Franco l’anno successivo, e naturalmente del terrorismo dilagante negli anni ’70, per non parlare del conflitto in Irlanda del Nord.

Eppure la maggior parte di questi conflitti e crisi poteva essere spiegata in modo razionale. (La Cambogia era un’eccezione anche all’epoca). Le dinamiche della decolonializzazione, la rivalità tra le Grandi Potenze, le dispute sui confini e sul territorio, le lotte economiche e le nefaste attività della superpotenza di cui più si diffidava, sembravano sufficienti a spiegare la maggior parte delle cose. E anche allora, conflitti complessi come quello dell’Irlanda del Nord, che sembravano non finire mai, erano visti dall’opinione pubblica britannica principalmente con esasperazione e incomprensione (“bombardiamolo e basta!”) e, per lo più, con totale indifferenza alle questioni. A un livello più quotidiano, le proteste politiche su larga scala dell’epoca erano normalmente dirette a obiettivi tangibili e relativamente facili da comprendere, che si fosse d’accordo o meno.

Ora, è banalmente facile liquidare tutto questo come nostalgia (ho deciso che le accuse di nostalgia per il passato sono l’ultima spiaggia di chi è costretto a difendere un presente indifendibile). Ma non solo, come ho sottolineato, il mondo allora era tutt’altro che ideale, ma era anche molto diverso strutturalmente, e più facile da capire, o almeno da spiegare. Non si trattava solo del confronto Est-Ovest sostanzialmente stabile: c’erano altre influenze strutturali, come tassi di cambio fissi e prezzi delle materie prime stabili, così come ogni sorta di pratiche economiche concordate a livello internazionale e nazionale, e sindacati forti nella maggior parte dei paesi con un ruolo formale di negoziazione. Nel complesso, i governi sono riusciti a gestire le loro economie in modo pragmatico, con una crescita costante e una bassa disoccupazione. Et cetera.

Come siamo arrivati ​​da lì a dove siamo è una storia interessante e deprimente, e una in cui, curiosamente, i media svolgono probabilmente un ruolo almeno altrettanto importante delle persone e delle istituzioni che ne erano l’oggetto. Tutto inizia, ovviamente, con la mania di deregolamentazione e privatizzazione che ha travolto i governi occidentali dall’inizio degli anni ’80. Insolitamente, questo radicale cambiamento di politica non si basava su un’esigenza evidente o addirittura su una richiesta popolare, ma su pura ideologia. Negli anni ’30, i governi britannici cercarono di affrontare i problemi di alloggi precari e disoccupazione utilizzando i disoccupati per costruire case dignitose che i poveri potessero permettersi di affittare. (Io sono nato in una di queste). Cinquant’anni dopo, quando c’era di nuovo urgente bisogno di nuove abitazioni e la disoccupazione era di nuovo aumentata bruscamente, un successivo governo britannico decise di svendere il patrimonio di edilizia popolare a chi aveva soldi. Un simile comportamento era razionalmente inspiegabile, e fu un primo esempio di eventi che sembravano provenire da un’altra dimensione, e lasciavano la gente a grattarsi la testa e a chiedersi perché .

Era possibile fornire qualche giustificazione borbottata per “una nazione di proprietari di case”, ma in realtà, proprio come l’idea che il settore privato potesse gestire le risorse nazionali “in modo più efficiente”, non si trattava altro che di un gigantesco atto di fede, e i suoi inevitabili fallimenti venivano accolti, come sempre, con la scusa che le varie politiche semplicemente non erano state sperimentate abbastanza bene o per abbastanza tempo. Fu questa sensazione di essere improvvisamente governati da marziani – routine oggi nella maggior parte dei paesi – che diede inizio alla lunga discesa verso un sistema interno ed estero che oggi appare semplicemente incomprensibile.

Nessuno ha mai cercato di spiegare all’epoca perché la deregolamentazione dei media radiotelevisivi fosse una buona idea, o almeno razionale. Si mormorava di solito che la “concorrenza” fosse una cosa positiva, per ragioni diverse, eppure i sondaggi d’opinione mostravano che molto rapidamente le persone diventavano meno soddisfatte della produzione televisiva e radiofonica rispetto a prima. Le spiegazioni, ovviamente, sono banalmente economiche. I nuovi canali televisivi, in particolare, dovevano trovare un modo per autofinanziarsi, e questo significava pubblicità. Ma la pubblicità effettivamente disponibile era solo una certa quantità, e ora doveva essere distribuita su molti più destinatari. E gli introiti pubblicitari dipendevano dagli ascolti, e c’era solo un numero limitato di persone che guardavano, ora divise tra molti più canali. Pertanto, l’unico modo per i nuovi canali di sopravvivere era acquistare (dato che raramente potevano permettersi di produrre) programmi al prezzo più basso possibile. Nella maggior parte dei casi, questo significava acquistare e, se necessario, doppiare programmi dagli Stati Uniti, perché le economie di scala li rendevano molto economici. Me ne accorsi per la prima volta, se non ricordo male, in una stanza d’albergo a Parigi alla fine degli anni ’80, quando dei venti canali TV disponibili, quattro trasmettevano versioni doppiate di diversi programmi americani di poliziotti e ladri degli anni ’70. Mi chiesi quante persone stessero effettivamente guardando. In teoria, i canali meno “efficienti”, qualunque cosa ciò significasse, avrebbero dovuto chiudere, ma in pratica la maggior parte di loro resisteva tenacemente. (Inutile dire che nessuno ha mai voluto guardare un canale televisivo solo perché è “efficiente”.) Quindi, come osservò all’epoca Springsteen, si potevano avere 57 canali e niente in onda. Per la prima volta, iniziammo a confrontarci con il paradosso che una maggiore scelta apparente significasse una minore varietà reale.

Ben presto, la TV 24 ore su 24 divenne la norma, con gli stessi vincoli economici. I budget pubblicitari e il pubblico non aumentarono, ma si ridussero ulteriormente. Il risultato fu in parte la fuga dalla qualità (ad esempio, i “reality TV”), ma anche le conseguenze del semplice fatto che nel mondo accadevano molte più cose di quante i canali TV potessero coprire. Per i canali di informazione 24 ore su 24 come la CNN, le limitazioni di budget significavano coprire solo poche notizie importanti, e doverle ripetere più e più volte durante il giorno, magari con piccole variazioni e aggiornamenti. Questo poteva essere meno ovvio se si passava per un aeroporto o si era seduti in un bar, ma ricordo di aver lavorato in clandestinità, a volte per giorni interi, durante una crisi di lunga durata, ed essere stato portato alla distrazione dall’infinita ripetizione delle stesse storie sui numerosi televisori che ci circondavano. Gran parte della copertura si basava, in realtà, su nient’altro che speculazioni, o su presunte storie che poi si rivelarono false. Così un esperto blaterava su qualcosa che poteva o non poteva essere accaduto, e un’ora dopo un altro esperto presentava un’opinione diversa ma altrettanto ipotetica, mentre i produttori si davano da fare freneticamente per trovare un terzo esperto che dicesse qualcosa di diverso. Dopo alcune settimane, e quando ogni giorno provavo a lavorare, soffrivo della terza o quarta ripetizione di questo ciclo, ero pronto a sbattere la testa contro il muro.

Tutto questo accadeva prima di Internet, ma segnava l’inizio della mercificazione delle informazioni sul mondo, e della loro presentazione su larga scala, ma in singoli pezzi di dimensioni ridotte, interrotti di continuo dalla pubblicità e quasi sempre privi di profondità o contesto. L’obiettivo, dopotutto, non era qualcosa di così antiquato come informare, ma attrarre spettatori e vendere pubblicità e abbonamenti. Il declino probabilmente è iniziato con lo scoppio dei combattimenti nell’ex Jugoslavia, e soprattutto dopo il crollo della Bosnia nel 1992. Qui abbiamo iniziato a imbatterci nel problema di fondo che persiste e si è aggravato fino a oggi: troppi eventi, troppe opinioni, ma troppa poca conoscenza ed esperienza effettiva. E, del resto, troppo poco interesse ad acquisire qualsiasi conoscenza effettiva. Sei un politico o un “analista strategico” e ti viene offerto uno spazio di due minuti in TV o alla radio il giorno dopo per parlare degli sforzi di pace europei in Bosnia (che erano incalcolabili). Dirai modestamente “Mi dispiace, non ne so niente” o passerai il resto della giornata a leggere velocemente una storia della Jugoslavia? Certo che no: aprirai bocca e vedrai cosa ne uscirà. Verrai pagato per quello che dici.

Credo che questo sia stato l’Anno Zero della tendenza verso la nostra attuale situazione di informazione infinita e scarsa conoscenza reale. Quasi nessuno aveva qualcosa di interessante o di valore da dire, quasi nessuno conosceva il Paese o ne parlava la lingua, ma la richiesta di opinioni era tale che quasi chiunque poteva contribuire. Il risultato è stato una sorta di rabbioso caleidoscopio di resoconti e impressioni sconnessi, mescolati a giusta indignazione e non poco odio. Per la prima volta, forse, la gente scriveva articoli sui giornali non sugli eventi in sé, ma su come quelle immagini in TV li facevano sentire. Non sorprende che i tentativi di “discutere” i problemi reali si siano trasformati in litigi. Poiché il tempo via satellite era costoso, le notizie arrivavano a pezzetti e spesso prive di contesto (ironicamente, lo stesso vale oggi, ma per ragioni diverse). I politici, così come gli esperti e il pubblico in generale, avevano difficoltà a comprendere cosa stesse succedendo, a partire dai frammenti sconnessi trasmessi dai giornalisti appena scesi dall’aereo, in un momento in cui quei giornalisti stavano appena iniziando a considerarsi i legislatori non riconosciuti del mondo. A volte questo poteva essere gravemente fuorviante. Per molto tempo, la BBC ha iniziato la sua copertura notturna dei combattimenti in Bosnia con pochi secondi di filmato d’archivio di una granata che colpiva un grattacielo. Ciò è effettivamente accaduto in diverse occasioni (ho visto i risultati), ma ha dato l’impressione fuorviante che tali eventi accadessero quotidianamente, o almeno frequentemente. Eppure, in realtà, la maggior parte delle vittime musulmane a Sarajevo erano soldati uccisi e feriti nei combattimenti. Ma queste impressioni persistono.

Va detto, però, che il problema non era solo l’ignoranza e la distorsione mediatica. Anche a posteriori, la fantasmagorica miscela di violenza, crudeltà, opportunismo, cinismo e corruzione di quel conflitto sembra inspiegabile – l’ho definita più volte come Hieronymus Bosch interpretato dai Fratelli Marx. Lentamente, i più perspicaci hanno iniziato a rendersi conto che nel mondo stavano accadendo cose oscure e terribili che non potevamo, o non volevamo, comprendere in termini tradizionali. E gli eventi raccapriccianti della guerra civile e le sue conseguenze in Ruanda sembravano sfidare qualsiasi tipo di spiegazione, lasciando la gente senza fiato. Non molto tempo dopo, degli aerei si schiantarono contro alti edifici e la gente cominciò a chiedersi se il mondo fosse davvero impazzito. L’invasione russa dell’Afghanistan nel 1979 era sembrata almeno comprensibile in termini di Grande Potenza, ma chi diavolo erano i Talebani e da dove venivano? Del resto, com’era possibile che in Iran alla fine del XX secolo ci fosse una Repubblica Islamica? Ormai niente aveva più senso.

Ciò che cominciò a essere evidente fu che il mondo era sempre stato più complicato di quanto la camicia di forza ideologica del confronto Est-Ovest lo avesse fatto apparire. Sì, questo era un fattore importante, persino dominante in alcuni casi, ma tutti i tipi di gruppi sul campo avevano un’agenzia e perseguivano i propri interessi, riuscendo spesso a mettere le due parti l’una contro l’altra. Sì, inoltre, il confronto forniva una sorta di stabilità e impediva che alcuni degli episodi più pericolosi sfuggissero al controllo. Ciononostante, anche all’epoca, la storica antipatia culturale tra il Nord del Vietnam (la Corte) e il Sud (i mercanti), o la complicata politica interna dei movimenti di liberazione africani non erano esattamente un segreto, ma tendevano a essere relegati in secondo piano per ragioni ideologiche e, a dire il vero, anche razziali. Non si pensava davvero che i leader non occidentali potessero avere un’agenzia, o che potessero avvalersi di grandi potenze per ottenere sostegno e finanziamenti in cambio di qualche superficiale osservazione pro o antisovietica o di un voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quando il quadro intellettuale della Guerra Fredda crollò, ci fu un periodo di totale disorientamento politico e intellettuale

Ci furono due reazioni ampie e correlate, che perdurano ancora oggi. Una fu una sorta di nostalgia intellettuale (sì, la parola è appropriata qui) per le certezze della Guerra Fredda, e il desiderio da parte di politici ed esperti di vedere gli eventi mondiali ancora come una lotta tra grandi nazioni con ambizioni imperialistiche in competizione, e di liquidare il ruolo degli attori locali come insignificante. L’altra è la ricerca disperata di una qualche narrazione strutturante – qualsiasi – che renda la confusione del mondo odierno meno totale. La finanza internazionale, la competizione per le risorse energetiche e minerarie, la religione, la City di Londra, il sionismo mondiale, lo Stato Profondo, lo Stato ancora più Profondo, gli UFO e le basi aliene, e una dozzina di altre spiegazioni competono e a volte si sovrappongono, nel tentativo di far sembrare il mondo comprensibile come un tempo. E naturalmente tutte forniscono quadri interpretativi prefabbricati che possono essere facilmente imposti agli eventi della vita reale: non è necessario sapere nulla della situazione in sé, perché si può sempre trovare qualcosa a supporto di qualsiasi argomentazione.

Ho suggerito che l’attuale confusione intellettuale derivi sia dalla complessità non riconosciuta e spesso rifiutata del mondo moderno, sia dai cambiamenti nel modo in cui ne veniamo informati. Ma è necessario sottolineare che i problemi del mondo moderno si riscontrano tanto, se non di più, in Occidente quanto al di fuori di esso. (In effetti, molti stati non occidentali sono ora governati meglio di noi.) Il collegamento, a mio avviso, è che qualcosa di simile alla deregolamentazione è stato applicato anche alla politica. Se ci pensate, i partiti politici tradizionali erano collettivisti: dovevano esserlo, poiché un partito politico in cui ognuno pensa per sé è un’assurdità logica. E in effetti i politici di oggi si comportano sempre più come dirigenti di un’azienda privata, fregandosi a vicenda per andare avanti, passando da un partito all’altro mentre i loro colleghi si spostano da un’azienda all’altra, e in alcuni casi abbandonando il partito per fondare una start-up altrove. Non che la politica sia mai stata priva di faide e lotte intestine – sarebbe sciocco dirlo – ma almeno c’era il riconoscimento che i conflitti palesi e la slealtà flagrante erano dannosi per il partito che si rappresentava. Ora a nessuno sembra importare.

Se ci pensate logicamente, un sistema politico basato sugli interessi del singolo politico è piuttosto bizzarro. Ad esempio, le politiche effettivamente attuate dai governi, o persino annunciate dai governi, sono questioni secondarie. Ciò che conta sono gli interessi e la promozione dell’individuo, anche se quella persona sostiene cose del tutto ridicole. Ciò ha portato, ad esempio, a una grottesca competizione tra i leader europei per essere più radicali del loro vicino riguardo all’Ucraina. Le assurdità perpetrate sono comprensibili solo se si presume che queste persone vivano in una sorta di mondo virtuale, dove nulla di ciò che dicono ha implicazioni pratiche, e comunque tutto verrà dimenticato domani, quindi chi se ne frega? Ciò che conta sono i titoli, lo status e il successo nel radicalizzare i propri rivali. In effetti, non ci sono ricompense per le tradizionali virtù della calma e del buon senso: tutto ciò che conta è fare più rumore degli altri. Siamo ormai alla fine della politica razionale in Occidente, e i marziani apparsi per la prima volta negli anni ’80 sembrano aver preso completamente il sopravvento. È difficile immaginare una combinazione più pericolosa di un mondo complesso e instabile e di governi occidentali che non si comportano più in modo razionale.

Questa irrazionalità si estende naturalmente anche alla politica interna. In molti casi, ciò che fanno i governi non ha alcun senso, che lo si approvi o no. Di nuovo, mi sembra il caso di alzare il volume a undici su ogni argomento. L’idea non è più, come lo è sempre stata, quella di fornire una buona leadership e un buon governo, ma piuttosto di fare carriera gridando più forte e avanzando proposte più oltraggiose dei propri avversari, o persino dei propri alleati fittizi. I politici non sentono più il bisogno nemmeno di fingere di servire gli interessi nazionali: dopotutto, la politica è solo una voce nel loro curriculum prima di passare ad altro, e non può portare ricompense maggiori dell’essere ben noti. Quindi si potrebbe ragionevolmente supporre che il signor Trump voglia distruggere l’economia americana, ma ciò presuppone uno scopo e un obiettivo razionale. Per quanto ne so, a lui semplicemente non importa, purché riceva la copertura mediatica. E in effetti la politica moderna nelle nazioni occidentali sembra in gran parte una questione di ottenere maggiore copertura mediatica gridando più forte ed essendo più oltraggiosi dei propri concorrenti, ed è per questo che l’attuale gruppo di leader occidentali sembra sempre più una parodia o una caricatura dei politici tradizionali, come bambini che competono per attirare l’attenzione.

Ciò non sarebbe possibile, ovviamente, senza i cambiamenti nei media di cui ho parlato prima e le loro recenti evoluzioni patologiche. Oggigiorno, le barriere all’ingresso, un tempo considerevoli, si sono ridotte praticamente a zero. Supponendo di riuscire a raccogliere i fondi (un punto su cui torno), si può creare un canale YouTube, con più spettatori di molti canali televisivi convenzionali. Gestire questo Substack non mi costa praticamente nulla, e i miei saggi vengono in genere letti da 12.000-15.000 persone, ovvero circa la tiratura di una piccola rivista cinquant’anni fa. Di conseguenza, le barriere all’ingresso sono praticamente minime: non è necessario sapere nulla e non costa nulla.

Ma allora come si fa ad avere successo, che si misuri il successo in base a lettori e spettatori o in base ai guadagni? Come si finanzia la propria catena YouTube? Come si fa a farsi notare tra le centinaia o addirittura migliaia di persone che producono contenuti simili? Come in politica, come in ciò che resta dei media tradizionali, bisogna gridare più forte di chiunque altro. A volte, questo può essere un semplice scambio: ho visto questa storia sul web oggi, non ne so molto sull’argomento, ma ecco un articolo d’opinione pieno di oscenità e insulti, quindi mandatemi dei soldi. A volte basta. Consciamente o inconsciamente, questi scrittori capiscono che costruire un brand di successo, proprio come essere un politico di successo oggi, dipende dal dire alle persone ciò che vogliono sentirsi dire, preferibilmente a volume alto, ed evitare di dire loro ciò che non vogliono sentirsi dire. Questo include confortarle con la convinzione che la responsabilità delle cose brutte del mondo ricade su persone di cui hanno sentito parlare, e che quindi possono fischiare, fischiare e ritenere responsabili, piuttosto che sulla gente del posto di cui non hanno sentito parlare. Dopotutto, le persone sono generalmente disposte a pagare almeno qualcosa per vedere i propri sentimenti istintivi legittimati da qualcuno con un nome e una reputazione che sappia scrivere frasi coerenti.

In primavera, il mercato era sconvolto dall’idea che una guerra nucleare con la Russia fosse inevitabile perché, ehm, gli ucraini avevano lanciato un attacco con droni contro un aeroporto di cui nessuno ora ricorda il nome, dove i russi avevano di stanza alcuni aerei con capacità nucleare. Naturalmente, se dici “questo è irresponsabile e provocatorio” o “questo rappresenta un’escalation potenzialmente pericolosa”, il tuo commento si perde nel clamore, quindi devi praticamente dire “siamo a pochi giorni dalla guerra nucleare!” solo per essere notato. (Certo, se fossimo a pochi giorni dalla guerra nucleare non avrebbe senso fare appello agli abbonamenti a pagamento, ma allora sei razionale.) E naturalmente, l’incidente ora è dimenticato, ma, come con le infinite iniziative nate male di Trump, il valore effimero, la pubblicità e gli abbonamenti a pagamento sono stati guadagnati.

I politici e i demagoghi carismatici lo hanno sempre saputo. Non ha senso parlare a bassa voce quando si può urlare, non ha senso urlare quando si può urlare a tutto volume. Tali individui disdegnano la logica e la razionalità: il loro fascino è comunque rivolto in gran parte ai propri sostenitori e, se mai sperano di convincere altri, lo fanno sottomettendoli a forza. Gran parte di Internet (e, del resto, gran parte della vita politica odierna) è così. Mi chiedo spesso cosa succederebbe se prendessi alcuni elementi da una delle diatribe di Hitler contro la City di Londra, l’Impero britannico e le ambizioni degli Stati Uniti e li pubblicassi nella sezione commenti di uno o due siti Internet “alternativi” che mi vengono in mente. Sospetto che verrebbe tutto ben accolto.

Naturalmente si tratta di un processo di escalation, almeno verbalmente, quindi il vostro linguaggio deve essere estremo quanto quello del prossimo esperto, altrimenti non verrete presi sul serio sul mercato. Quindi, se le nazioni europee vengono descritte come “stati clienti” per l’Ucraina da un esperto, qualcuno deve intensificare la tensione chiamandole “vassalli”, e qualcun altro le battezzerà “possedimenti imperiali”, e quindi dovete ricorrere a un termine come “burattini”. Naturalmente, né voi né alcun altro esperto ha esperienza diretta della realtà delle relazioni dell’Europa con gli Stati Uniti, ma il vostro obiettivo non è informare o spiegare, bensì confortare le reazioni istintive dei vostri lettori, intrattenere e guadagnare denaro. Abbiamo assistito allo stesso processo di inflazione verbale su Gaza, che contribuisce a spiegare, anche se non giustifica minimamente, l’antipatia dei governi occidentali per le proteste correlate, e che ha alienato alcuni di coloro che altrimenti potrebbero essere sostenitori. Ma d’altronde non c’è retromarcia in questo tipo di polemica. Tutto deve essere sempre più radicale.

Ed è un processo su cui nessuno ha più il controllo. I politici sono felicissimi di poter raggiungere direttamente la massa degli elettori, probabilmente per la prima volta nella storia, senza passare attraverso il meccanismo di selezione delle interviste e senza dover rispondere alle noiose domande dei giornalisti. In un colpo solo, tutta la complessa attività che conoscevo, quella di garantire che i governi trasmettessero il loro messaggio, si riduce alla possibilità di inviare un tweet a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il problema, ovviamente, è che prima dei social media, i ministri venivano accuratamente istruiti su cosa dire e su come evitare di fare brutta figura. Ora, nulla può impedire a un ministro o a qualsiasi altro politico, dopo un pranzo particolarmente buono, di sparare un messaggio sui social media di cui si pente cinque minuti dopo. Ma chi se ne frega? Si dicono: domani sarà tutto dimenticato.

Lo stesso Hitler sosteneva che la gente crederebbe più facilmente a una grande bugia che a una piccola: avrebbe fatto bene su YouTube, perché le spiegazioni generiche sono più attraenti e facili da assimilare di quelle attente e sfumate. (Ironicamente, l’esempio di Hitler della Grande Bugia – che l’esercito tedesco fosse stato sconfitto sul campo di battaglia nel 1918 – era ovviamente vero, ma d’altronde è così che vanno le cose). Pertanto, i politici in difficoltà hanno sempre attribuito la colpa dei problemi del paese a una potenza straniera, come hanno fatto Hitler e molti altri, che si tratti di russi, americani, francesi, cinesi o di astrazioni come il “neoimperialismo” o la “finanza internazionale”. Ma perché fermarsi qui? Con un po’ di impegno, si possono escogitare interi schemi paranoici, più sono radicali, meglio è. Dopotutto, una teoria che spiega tutto sarà sempre più attraente di una che spiega solo poche cose. E come per la dottrina religiosa (che è l’origine intellettuale ultima di questo modo di pensare), le apparenti contraddizioni possono sempre essere risolte a un livello superiore, con spiegazioni sempre più complesse che implicano sempre più strati di ipotesi. Ma se si parte dalla convinzione emotiva che Tutto è Connesso e Tutto Era Previsto, allora non resta che escogitare una spiegazione che sia il più ampia possibile e che comprenda assolutamente tutto. E in effetti, tali spiegazioni hanno un chiaro vantaggio di Mercato, in termini di tempo necessario per assimilarle, rispetto alla ricerca autonoma, che è difficile.

Ma supponiamo che tu decida di farlo. Supponiamo che tu decida di scrivere qualcosa sul nuovo governo in Siria e sulla reazione occidentale. Non sei mai stato nella regione e non parli la lingua, ma perché questo dovrebbe impedirtelo? Poi inizi a sfogliare Wikipedia e già tutto inizia a sembrare complicato. Non hai tempo di parlare degli Ottomani (ottomani?) e del periodo del Mandato, ma sembra che Assad fosse un tipo piuttosto cattivo, ma tollerato dall’Occidente perché il suo governo era laico, e poi questo tizio si è dato fuoco in Tunisia nel 2011, se n’è dimenticato, e l’Occidente ha fatto un pasticcio grosso sostenendo Ben Ali per troppo tempo, e poi quando sono iniziate manifestazioni simili in Siria e il regime ha reagito con estrema violenza e le unità dell’esercito sunnita si sono ribellate, non lo sapevano, e poi sono iniziati seri combattimenti, l’Occidente ha deciso che Assad era spacciato, quindi entriamo in gioco ora in modo da poterci prendere il merito e influenzare un nuovo governo in un’area strategica, ma Assad è riuscito a resistere e l’iniziativa è passata nelle mani dei jihadisti, e l’Occidente, che ora aveva bruciato le sue navi con Assad e voleva disperatamente liberarsi di lui, ha iniziato a offrire armi e addestramento a chiunque si opponesse a lui e questo si è rivelato avere delle brutte ripercussioni in seguito, questo sta iniziando a darmi il mal di testa. Ma da dove viene questo tizio di Al-Sharaa? Beh, a quanto pare è più complicato di quanto pensassi, perché non ha mai fatto parte di Al Qaeda, che a quel tempo era praticamente a pezzi e stava perdendo consensi a favore di una generazione più giovane di populisti che volevano il Califfato come adesso, senza saperlo, e hanno preso il controllo di parti dell’Iraq (Iraq?) saccheggiando armi e veicoli statunitensi dall’esercito iracheno, espandendosi in Siria con jihadisti stranieri, dimenticandosi di tutto questo, ma poi sono intervenuti i russi (i russi?) e hanno stabilizzato la situazione. E poi alla fine Assad cade, ma questo coinvolge anche i curdi ( chi? ) e in qualche modo Hezbollah e gli iraniani sono coinvolti, e mi fa male il cervello. No, c’è molto di più da dove viene e darò la colpa di tutto alla CIA. È più facile.

Sembra che siamo ormai intrappolati in una sorta di escalation mediatico-politica inarrestabile, un treno senza freni che procede a valle. La classe politica ha rinunciato a ogni pretesa di essere un’autorità politica e agisce in modi che nessuno al di fuori può comprendere, e forse non ha comunque una spiegazione razionale, senza sapere veramente o preoccuparsi di ciò che sta facendo. Questo è il risultato finale della politica deregolamentata, proprio come le teorie paranoiche, le lotte sui social media e l’escalation isterica del linguaggio sono sintomi della deregolamentazione dei media e della fine delle barriere all’ingresso. Ogni aspetto di questo processo alimenta ogni altro aspetto, e non riesco a immaginare come andrà a finire, se non male. Non c’è più discussione: non so da quanto tempo la gente scriveva o parlava nel tentativo di convincere e persuadere, o persino di informare. Ora, questo processo di deregolamentazione ha raggiunto il suo inevitabile stadio finale di totale frammentazione: piccoli gruppi, politici o esperti che si urlano contro e cercano di sottomettersi a vicenda. Ci stiamo sicuramente avvicinando a una sorta di climax, come la fine di un’opera di Ionesco o di una farsa di Feydeau, in cui tutto crolla completamente. Non torneremo mai più al mondo del Mondo Uno.

Per quanto mi riguarda, non sono bravo a urlare e scrivo per cercare di informare e spiegare, solo quando penso di avere qualcosa da aggiungere. Ho intenzione di continuare a farlo anche l’anno prossimo.

Dove sta il nuovo trucco?_di WS

Interessante questo  articolo  di Big Serge. Dal punto di vista    geostrategico,     dimostra una cosa essenziale: la Germania accese la WW2 senza conoscere né il suo nemico né se stessa!

 E allora, non solo la dirigenza tedesca rimase infatti per tutta la guerra abbacinata dall’idea di trovare un “modus vivendi” con chi l’aveva spinta nella “trappola polacca” , ma anche assolutamente confusa sulle proprie finalità  strategiche  e sui  mezzi realmente disponibili per perseguirle.

Facendo, quindi, guerra violando il noto principio di Sun Tzu, non poteva che perderla.

 Comunque non è che conoscendo bene entrambe le cose, ” se stesso” e “il proprio nemico”,  la  Germania  la guerra avesse poi  tante probabilità  di   vincerla, accertato lo straordinario sbilancio di partenza nelle ” risorse mobilitabili” (+) ,  nel mentre   invece la coerenza strategica ” degli anglosassoni ” fu assoluta ,una volta  che   essi  ebbero ricevuto nel gennaio del ’39 l’ordine di marcia dai “banksters”.

Perché le WW  si  fanno  solo  quando i “banksters” ne  hanno bisogno e  di solito usano  gli stessi  trucchi.

 Infatti  il parallelismo  tra  la futura WW3  che appunto  i “banksters” si preparano a portare alla Russia e  la WW2   che  allora portarono  alla Germania  è evidente; su questo vale la pena di soffermarci.

 Partiamo dai punti di analogia : 

1)  Putin è il “nuovo Hitler”,   il dittatore  alla guida dell nuova “minaccia revanchista”: cosa  confermata dalla  “nuova  aggressione ingiustificata  da lui portata alla “coraggiosa vittima” ( provocatrice): l’ Ucraina di oggi, ora  al posto di quello che allora della Polonia.

Chi  di voi non  ha sentito  questo “coro”       calatoci in testa   da anni     a “me(r)dia unificati ?

2) L’ attuale dirigenza russa cerca disperatamente un accordo con il suo nemico esattamente come allora fece quella tedesca . Non lo vediamo   anche questo  in questo  continuo   “teatro di pace” ?

3) il rapporto di “risorse mobilitabili” e ancora una volta 5:1 a vantaggio del Bankstan.   Questo è un dato oppugnabile     derivabile  dalle  statistiche ,  e  chi  crede   che    i popoli asserviti   ai banksters    stavolta   non  andranno  a morire  per i LORO interessi , si illude.

 E se vogliamo aggiungere carne al fuoco, ci possiamo    cogliere  un ulteriore analogia:

3a) anche stavolta gli U$A partiranno facendo finta di essere “neutrali”. Non vedete  l’ analogia  tra il Trump di oggi  e il Roosevelt  del 1940 ?

 Questi 3 e 1/2 “punti” ci spiegherebbero   abbastanza  del  perché i “banksters” restino ancora altamente confidenti nella  la PROPRIA vittoria, esattamente come lo rimasero anche quando nel primo anno della WW2 tutti rimasero sorpresi dalle strabilianti vittorie tedesche.

 Quindi la “partita” è già ” segnata” ? Non proprio , perché ci sono delle differenze e anche addirittura una importante  difformità . 

 Partiamo appunto da questultima su di un punto  che allora fu decisivo a provocare il collasso della Germania:

(4) il ruolo dell’URSS , che nella  WW2  spezzò la schiena   di una  Germania  che l’ aveva  attaccata per “disperazione  strategica.  Potrebbe     domani nella WW3       essere  della   Cina  il ruolo  che fu de L’ URSS  nella WW2 ?

Vediamo  un po nel  dettaglio  questa  fantasiosa  ipotesi .

In  effetti  nei prodromi della WW2,  perlomeno fino  al 1933,   anche  Germania   e URSS      furono  abbastanza “simbiotiche” in quanto  ognuno aveva bisogno di ciò che l’ altro aveva: materiali grezzi contro prodotti industriali.

 Ma tra il 1933 e il 1939 tutto questo era cessato per la dichiarata volontà della dirigenza tedesca di costituire “un proprio spazio vitale ad est” ai danni del “mondo slavo”.

A parziale giustificazione di questa  aggressiva “intenzione programmatica” c’ era pure ,ideologicamente analoga, “l’intenzione programmatica” dell’ URSS di portare “il comunismo in Europa”.

Insomma Germania e URSS erano nemici dichiarati anche se, per la propria prosperità, avevano bisogno “l’ uno dell’ altra”.

 Vediamo invece l’attuale rapporto Russia- Cina .

Anch’essi ,  entrambi programmaticamente     nel mirino  del Bankstan, hanno “bisogno l’una de l’ altra” seppur a parti rovesciate rispetto al caso precedente.   Infatti    ora  è sotto  attacco  diretto  il “fornitore   di materiali grezzi”   e non  “il fornitore  di prodotti industriali ,   come  “l’altra  volta”.

Ma al contrario ,  i due di adesso non hanno alcuna ” ostilità dichiarata”  tra loro ,  ed entrambi dichiarano   assolutamente insensato rimanere semplici  spettatori di  una possibile aggressione subita dall’altro.

Certo, non sono “alleati” ritenendosi entrambi ” maschi alfa” , ma il loro  informale   “patto  di non  aggressione”  è ora  molto più  credibile     tanto  da non    avere  alcuna necessità di metterlo su  carta, perché  non hanno alcuna necessità di sopraffarsi vicendevolmente e nessun vantaggio a vedere l’altro nelle grinfie del Bankstan.

Certo, adesso è la Russia a trovarsi in piena “linea di fuoco” , ma è veramente fuori da ogni pensiero strategico razionale che la Russia attacchi per ” disperazione strategica” la Cina , o inversamente che sia la Cina ad attaccare la Russia per spartirsela poi col Bankstan , quando già ora la Cina può avere  dalla Russia  tutto ciò che gli serve con un semplice commercio fatto da posizione di vantaggio. 

Quindi non solo il fattore 4 manca, ma potrebbe essere addirittura rovesciato!

 E ci solo altri fattori “disanaloghi” a vantaggio della Russia 

a) La  Russia oggi,  al contrario  della  Germania  di allora, non ha gravi  carenze  di risorse primarie. Non  solo può  lavorarle  da  sé , ma al bisogno  può    commerciarne  ad libitum   con la Cina per  sopperire  ai propri bisogni  industriali.

b) Al contrario    della Germania  di allora ,   che non riuscì mai     a colpire seriamente  anche  solo la  Gran Bretagna,  la Russia oggi  dispone  di  notevoli  capacità  di  colpire  a morte l’ intero Bankstan.

Certo, ricorrendo in    questo    anche all’ arma nucleare; sarebbe certamente un  atto  di “disperazione  strategica “  gravissimo   che  non porterebbe  alla “vittoria”;  di sicuro  porterebbe  la morte  all’intero Bankstan.

 E un Bankstan  che spingesse  la Russia   a questa  “disperazione  strategica “  sarebbe molto più disperato.

Infatti  perché mai i “padroni  del’ universo”  dovrebbero mettere    tutto quello  che già  hanno   in questa   roulette… russa?

Quindi    si ritorna   alla  questione       di  quattro  anni  fa . Dove   trovano i banksters   la motivazione   per  perseguire    questa  WW3 ?    Certezza  di vittoria    come   quando  accesero la WW2 ,  nera disperazione,  o peggio  di tutto , follia messianica ?

E nel caso  di una  reale  “certezza” ,  su  quale  fattore qui  non contemplato  essa poggia ?C’è  forse  un  NUOVO  “trucco”  che non abbiamo ancora  capito ?

Non lo  sappiamo ora , come non lo sapevamo quattro anni  fa , ma ora possiamo  capire  perché  la Russia  proceda in questa    WW3  con  “molta prudenza ”  invece   di precipitarcisi  in avanti   come la Germania  nelle due precedenti.

Quindi   se lo chiedono   certamente   anche   al  Kremlino:  dove  sta il NUOVO  trucco ?

  (+)Dai dati statistici de l’ epoca , mettendoci dentro anche i soliti ” camerieri francesi”  il Bankstan partiva con un vantaggio 5:1 nelle risorse industriali e umane , senza contare le gravi carenze  di approvvigionamento  la ” Gross Deutchland” aveva in partenza in termini di agricoltura e risorse minerarie .

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TRUMP E IL RATTO D’EUROPA (II)_di Teodoro Klitsche de la Grange

TRUMP E IL RATTO D’EUROPA (II)

Dato che non cessa il dibattito sul National Security Strategy 2025 di Trump, siamo andati a chiedere lumi al sempre cortese Niccolò Machiavelli, il quale ci ha ricevuto.

A concentrarsi sul nocciolo del NSS 2025 questo qual è? E cosa lo distingue dal pensiero delle élite europee?

Il Trump l’è il migliore dei miei allievi, almeno nella vostra parte del mondo. Ciò che accomuna le sue argomentazioni e la distinzione dal pensiero dei governanti europei è che ha capito assai bene che chi trascura la realtà per andare appresso all’immaginazione è destinato a rovinare se stesso e la propria comunità.

Ma non crede che, in definitiva, le buone intenzioni e le belle prospettive possano costituire un punto di incontro tra le comunità umane?

Certo: a patto che tutti i governanti e i governati del pianeta le condividano. Ma questo non risulta né a me né a nessuno. Neppure a quelli che lo pensano, giacché per primi – e logicamente – indicano il nemico, che è colui che non condivide le loro immaginazioni. Cioè Trump, ma anche tanti altri: Putin, Xi, Modi, gli Aiatollà, ecc. ecc. Cioè la grande maggioranza di governanti e governati del mondo.

Ma non crede che nel futuro possano crearsi dei modelli di cooperazione e coordinamento?

Può darsi nel futuro. Fino a quel momento vale quello che scrissi nel Principe: che si governa (e si combatte) con le leggi e la forza. Ma occorre per farlo che le leggi pretese siano accettate dai governati. Il che, adesso, non risulta anche per parte dell’Europa. Se nel futuro ciò si realizzerà, forse sarà possibile.

In cos’altro differisce  il Trump-pensiero da quello “corrente”?

In primo luogo che si basa su fatti ed esperienza storica (cioè sulla realtà), come da me fatto quando mi vestivo elegante per ragionare sulle vicende passate. Ad esempio nel documento si legge: “Chi un Paese ammette entro i propri confini – in quale numero e da dove – definirà inevitabilmente il futuro di quella nazione. Qualsiasi Paese che si consideri sovrano ha il diritto e il dovere di definire il proprio futuro… Nel corso della storia, le nazioni sovrane hanno proibito la migrazione incontrollata e concesso la cittadinanza solo raramente agli stranieri, che dovevano soddisfare criteri rigorosi. L’esperienza dell’Occidente negli ultimi decenni conferma questa antica saggezza. In molti Paesi del mondo, la migrazione di massa ha messo sotto pressione le risorse interne, aumentato la violenza e altri crimini, indebolito la coesione sociale, distorto i mercati del lavoro e minato la sicurezza nazionale”. Quando i romani, i quali tra l’altro, concedevano la cittadinanza con notevole larghezza, persero il controllo dell’immigrazione, l’Impero d’Occidente collassò in circa un secolo.

Al posto di quello subentrarono i regni romano-barbarici che erano tutt’altro dall’impero distrutto (anche se ne conservavano qualche vestigia).

Accusano Trump di non desiderare alleati, ma solo allineati alla visione americana.

Anche le mosche vogliono guidare i cavalli, perfino in politica. Figurarsi se non lo desidera il capo della prima superpotenza del pianeta. Accusare Trump di ciò è sfondare una porta aperta. Attraverso la quale passano tutti.

Ma Trump ha il senso del limite che diversi suoi predecessori avevano smarrito. Scrive infatti che “L’epoca in cui gli Stati Uniti sorreggono da soli l’intero ordine mondiale come Atlante è finita. Tra i nostri molti alleati e partner contiamo decine di nazioni ricche e sofisticate che devono assumersi la responsabilità primaria per le loro regioni e contribuire molto di più alla nostra difesa collettiva”. Io ho sempre sostenuto che per essere indipendenti occorre disporre di potenza e virtù propria, e non fondarsi su quella di altri. Indicando ciò, Trump indica la via maestra per determinare liberamente il proprio destino.

Ma tanto in Europa non vogliono capirlo.

Col rischio di finire a servizio permanente di altri. Oggi Trump, domani Xi o Modi passando per Putin. Gli è che si immaginano che la lotta per il potere si faccia con le favole.

Come scrissi secoli fa, discorrendo dei profeti disarmati o armati “Nel primo caso, sempre capitano male e non conducono cosa alcuna: ma quando dependono da lloro proprii e possono forzare, allora è che rare volte periclitano: di qui nacque che tutti e profeti armati vinsono e li disarmati ruinorno”. Vale in ogni caso, ma ancor più per coloro che credono – e spesso è così – di portare novità, come sostenevo “se uno principe ha tanto stato che possa, bisognando, per sé medesimo reggersi, o vero se ha sempre necessità della defensione d’altri. E per chiarire meglio questa parte, dico come io iudico coloro potersi reggere per sé medesimi che possono, o per abbondanzia di uomini o di danari, mettere insieme uno exercito iusto”.

Gli altri è meglio che si organizzino a difesa, la quale necessita in particolare, della fedeltà e convinzione dei sudditi. Che già ridotta,  diminuisce ancora, come si legge nel documento.

Mi pare però che l’abbiano capito anche in Europa, dato che, specie la Germania, si stanno riarmando.

Era ora. Solo che per non perdere la faccia, seguono già il pensiero di Trump, ma lo attaccano per far dimenticare decenni di prediche contrarie, recitate a ogni piè sospinto. Alcuni a quelle prediche sono così affezionati che mostrano di non averlo capito neppure oggi.

Concludendo che cos’altro l’ha colpita?

Il fatto che Trump abbia ricordato a tutti quello che ha sostenuto il mio successore Hobbes: che lo scambio politico è tra protezione ed obbedienza – lo ripete più volte. Non si obbedisce a chi non protegge: ma se protegge ha diritto all’obbedienza.

Le élite europee le quali pretenderebbero la protezione americana, a gratis e con infedeltà (parziale) compresa, non manifestano il coraggio della libertà politica, tanto si sono mummificate nelle loro illusioni.

La ringrazio tanto

L’aspetto, quando vuole.

Todoro Klitsche de la Grange

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Trump annuncia il blocco navale totale delle esportazioni petrolifere “sanzionate” del Venezuela_di Simplicius

Trump annuncia il blocco navale totale delle esportazioni petrolifere “sanzionate” del Venezuela

Simplicius 18 dicembre
 
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Sembra che l’amministrazione Trump si stia finalmente preparando a intensificare il conflitto venezuelano una volta per tutte, dopo che lo stesso Trump aveva dichiarato ai giornalisti che “presto” sarebbero iniziati “attacchi terrestri” sul suolo venezuelano. Trump ha poi superato ogni limite annunciando un blocco navale totale delle petroliere venezuelane nel modo più pomposo che più si addice al suo solito modo di fare:

Questo è avvenuto dopo che le forze speciali statunitensi avevano già sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela proprio la settimana scorsa, con l’accusa di trasportare petrolio venezuelano “soggetto a sanzioni” destinato all’esportazione. È stata inventata una complessa storia su come la petroliera fosse legata alla “flotta ombra” del Venezuela con collegamenti a Hezbollah e all’Iran, se si può credere a questa assurdità:

Il 10 dicembre 2025, gli Stati Uniti hanno sequestrato la petroliera Skipper nel Mar dei Caraibi al largo delle coste del Venezuela. La Skipper era stata sanzionata dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nel 2022 per il suo presunto coinvolgimento in una flotta ombra di navi dedita al traffico di petrolio che coinvolgeva il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e Hezbollah.

Recentemente, i giornalisti hanno persino chiesto a Trump se il blocco riguardasse più il “traffico di droga” o in realtà il “petrolio”, con Trump che ha lasciato intendere che si tratta di tutte queste cose insieme e anche di più, rivelando in un colpo solo il complotto imperialista.

Ora, come si è visto nel precedente articolo, Trump ha raddoppiato il suo ultimo motivo narrativo, accusando il Venezuela di “rubare” il petrolio degli Stati Uniti:

Stephen Miller, consigliere di punta di Trump e vice capo di gabinetto della Casa Bianca per le politiche, ha rincarato la dose con una retorica escalatoria:

Qui un canale analitico russo ha fornito la vera notizia su questo cosiddetto petrolio rubato:

Di quale petrolio “rubato” sta parlando Trump?

Il 28 febbraio 2007 Hugo Chávez, allora presidente del Venezuela, firmò una legge sulla nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi.

A tutte le società straniere operanti nel Paese è stato offerto di partecipare a joint venture, in cui almeno il 60% delle azioni sarebbe appartenuto alla società statale PDVSA.

Il decreto presidenziale ha colpito le società americane Chevron Corp., ConocoPhillips, Exxon Mobil Corp., la britannica BP, la francese Total SA e la norvegese Statoil ASA, che hanno perso il controllo dei giacimenti petroliferi in fase di sviluppo nel bacino del fiume Orinoco.

A quel tempo, gli investitori stranieri mantenevano una certa autonomia solo nei giacimenti petroliferi della cintura petrolifera dell’Orinoco, dove avevano svolto un ruolo di primo piano prima della firma della legge. Negli anni ’90, il governo venezuelano ha consentito l’ingresso di operatori stranieri nell’Orinoco perché i giacimenti di quella zona erano considerati poco promettenti e richiedevano ingenti investimenti di capitale.

Tuttavia, gradualmente, le principali compagnie straniere hanno aumentato la produzione di petrolio nell’Orinoco fino a 600 mila barili al giorno. Fin dall’inizio, gli operatori stranieri hanno svolto attività di esplorazione, produzione e costosa lavorazione primaria del petrolio greggio nei giacimenti dell’Orinoco in collaborazione con PDVSA.

Secondo alcuni dati, l’ammontare degli investimenti delle suddette società nei beni successivamente nazionalizzati ammontava ad almeno 17 miliardi di dollari.

Alcune delle richieste delle compagnie petrolifere straniere sono state successivamente soddisfatte dalle autorità venezuelane attraverso un risarcimento monetario diretto.

Ma non tutte, e la questione non è ancora completamente risolta: alcune aziende continuano a chiedere un risarcimento e hanno avviato procedimenti presso organismi arbitrali stranieri.

#Venezuela

Informatore militare

Per inciso, secondo quanto riferito, una petroliera denominata Hyperion, appartenente alla cosiddetta “flotta ombra” della Russia, si sta avvicinando al Venezuela, con molti che attendono con apprensione le azioni degli Stati Uniti come prova del nove per capire quanto gli Stati Uniti oseranno adottare uno stile di confronto “aggressivo” nei confronti della Russia direttamente:

È interessante notare che la petroliera russa “Hyperion” è entrata nelle acque dei Caraibi diretta verso il terminal Jose, in Venezuela.

La nave è soggetta alle sanzioni dell’OFAC statunitense… il che significa che fa parte della cosiddetta “flotta ombra”.

Fonti indipendenti di monitoraggio marittimo hanno riferito che le petroliere russe soggette a sanzioni continuano a operare nei terminal venezuelani come il Jose Terminal, nonostante Washington cerchi di impedirlo. –

È stato anche riferito che le petroliere russe in transito nel Mar Baltico hanno ora iniziato a dotarsi di sentinelle armate, il che ha alimentato “voci” sulla “natura” precisa di queste misure di sicurezza:

Una strana situazione è stata segnalata nel Mar Baltico. La Marina svedese riferisce che uomini armati in uniforme militare sono stati avvistati a bordo di petroliere russe della “flotta ombra” nel Mar Baltico.

La flotta ombra della Federazione Russa è protetta dal personale militare, ha dichiarato il capo del comando operativo della Marina svedese, Marco Petkovic, in onda sul canale televisivo svedese SVT Nyheter.

Secondo lui, personale militare in uniforme e uomini armati – presumibilmente dipendenti di società di sicurezza private – sono stati avvistati su petroliere russe che operavano eludendo le sanzioni occidentali.

Uno dei sussurri ammiccanti, tematicamente, da un canale affiliato a Wagner:

Le guardie di sicurezza private che proteggono le petroliere dai pirati sono sospettosamente giovani, magre e abili nell’uso delle armi.

Ora ci sono nuove regole per la missione che coinvolge la “flotta ombra”, compreso l’uso di missili guidati anticarro e sistemi missilistici Strela.

Beh, questo darà ai bucanieri baltici con la gamba di legno qualcosa su cui riflettere e da far tremare le loro ossa.

Il russo Lavrov ha giustamente sottolineato che gli europei chiudono volutamente un occhio sulla pirateria illegale degli Stati Uniti nei Caraibi per placare Trump, forse una sorta di codice dei pirati con un occhio solo. Da RT:

L’Europa tace sugli attacchi statunitensi nei Caraibi per ottenere il favore di Trump sulle loro proposte di pace per l’Ucraina — Lavrov

La Russia è “preoccupata” per gli attacchi della Marina statunitense contro imbarcazioni civili e per una probabile operazione di terra

” Quasi tutti i paesi lo trovano inaccettabile, tranne gli europei”

È solo un altro esempio della famosa doppia morale basata sull’inganno doppelmoral.

E a proposito degli standard morali ed etici dell’Occidente:

La Camera respinge con due voti la risoluzione sui poteri di guerra in Venezuela

Il disegno di legge promosso dai democratici avrebbe impedito a Trump di intraprendere azioni militari contro Maduro

Un ostacolo in meno per Trump

Passando alla Russia, Putin ha fornito il proprio aggiornamento militare di fine anno, durante il quale ha rilasciato diverse dichiarazioni interessanti.

Qui ribadisce che la Russia “preferirebbe” risolvere il conflitto militare con mezzi diplomatici, ma se ciò fosse impossibile, lo risolverebbe sicuramente con mezzi militari:

Qui Putin fa una dichiarazione classica: un tempo la Russia aspirava a entrare a far parte del mondo “civilizzato” dell’Occidente, ma ora si rende conto che in realtà lì non c’è altro che degrado:

Putin ha persino causato un enorme scalpore definendo i leader europei “maialetti”:

Sebbene Dugin abbia approfondito la sfumatura:

https://www.politico.eu/articolo/russia-vladimir-putin-definisce-i-leader-europei-piccoli-maiali/

Belousov ha inoltre annunciato che, secondo il Ministero della Difesa russo, l’Ucraina ha perso 500.000 soldati uccisi in azione, con un totale di 1,5 milioni di vittime:

È stato presentato questo grafico, che mostra 1.496.700 vittime, 213.000 pezzi di equipaggiamento militare distrutti, nonché il 70% della capacità energetica dell’Ucraina nelle centrali termiche fuori uso insieme al 37% delle risorse idroelettriche:

In Ucraina, oltre il 70% delle centrali termiche e oltre il 37% delle centrali idroelettriche sono state messe fuori uso, ha riferito Belousov. Le capacità energetiche di Kiev sono diminuite di oltre la metà.

L’efficacia degli attacchi mirati delle truppe russe è di un ordine di grandezza superiore a quella delle forze armate ucraine.

Un’altra dichiarazione rivelatrice di Belousov riguardava l’uso dei droni da parte della Russia. Per molto tempo ci sono state fornite le cifre ufficiali dell’Ucraina relative alle perdite russe causate dai droni rispetto all’artiglieria, ecc., ma fino ad ora non avevamo la versione russa di tali cifre.

Qui viene rivelato che la Russia infligge apparentemente il 50% delle sue perdite al nemico tramite droni FPV:

La formazione delle truppe dei sistemi senza pilota sarà completata nel 2026, ha affermato Belousov. Egli ha sottolineato che la natura delle azioni dell’esercito russo è cambiata.

Ora, fino alla metà delle perdite nemiche sono dovute ai droni FPV. Le forze armate russe hanno raggiunto una doppia superiorità nell’uso degli UAV rispetto al nemico.

“In prima linea tra le truppe ci sono le unità “Rubicon”. Hanno distrutto più di 13.000 unità di armi e attrezzature, ovvero più di un quarto dei danni causati dal fuoco degli aerei senza pilota. Il centro ‘Rubicon’ ha ottenuto riconoscimenti internazionali. La sua esperienza di combattimento è riportata in importanti pubblicazioni internazionali, comprese quelle americane e britanniche. E il regime di Kiev ha dichiarato ‘Rubicon’ una minaccia alla sicurezza nazionale”, ha affermato Belousov.

Nel 2025 l’esercito russo ha ricevuto dieci volte più motociclette e buggy rispetto al 2024.

La maggiore mobilità delle unità consente loro di sfondare il “muro di droni” che Kiev sta cercando di costruire.

Il piano di reclutamento delle forze armate russe per quest’anno è stato superato, con quasi 410.000 cittadini che si sono arruolati per prestare servizio a contratto.

Le stime ucraine relative alle perdite russe si aggirano solitamente intorno al 60-70% secondo i droni FPV ucraini:

https://www.forbes.com/sites/davidhambling/2025/02/18/nuovo-rapporto-i-droni-ora-distruggono-due-terzi-degli-obiettivi-russi/

Questo ha senso, perché la Russia dispone di una preponderanza molto maggiore di artiglieria e forze aeree, responsabili di una certa percentuale delle perdite nemiche, mentre l’Ucraina è costretta a fare affidamento in misura molto maggiore solo sui droni. Tuttavia, per molte persone anche la cifra del 50% relativa alla Russia sarebbe una sorpresa, poiché ci sono ancora molti “scettici dei droni” che credono che l’artiglieria, l’aviazione e altre risorse russe superino di gran lunga e oscurino l’uso dei droni.

Syrsky ha recentemente fornito la sua personale conclusione in una nuova intervista:

Il compagno Syrysky riferisce che la Russia sta conducendo un’operazione offensiva strategica sul territorio dell’Ucraina con un contingente di 710 mila persone.

In questo contesto, il comandante in capo ucraino ha chiesto ai partner di aumentare il volume degli aiuti internazionali all’Ucraina, in particolare nel campo della difesa aerea e delle armi da combattimento a lungo raggio.

Infine, oggi gli analisti hanno riportato anche i dati relativi ai danni alle infrastrutture ferroviarie dell’Ucraina, che quest’anno hanno registrato un aumento considerevole:

In seguito all’analisi odierna del Ministero della Difesa russo. Secondo i dati ucraini, negli ultimi otto mesi sono stati registrati oltre 100 attacchi alle infrastrutture ferroviarie dell’Ucraina.

Si tratta del doppio degli attacchi alle ferrovie registrati negli anni 2023 e 2024 messi insieme.

La priorità degli attacchi è rappresentata dalle regioni orientali dell’Ucraina, quelle confinanti con le Repubbliche Popolari di Luhansk e Donetsk (LNR e DNR).

In breve, quest’anno la Russia ha davvero intensificato la distruzione di tutte le infrastrutture dell’Ucraina in modo concertato.

E come potremmo concludere senza un altro piccolo cenno di saluto al perenne treno della paura britannico, che continua la sua discesa caricaturale nella farsa:


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Di Tocci in Tocci_a cura di Giuseppe Germinario

L’Europa si rende finalmente conto di essere sola?

La nuova strategia di sicurezza nazionale di Washington ratifica un rapporto conflittuale.

Nathalie Tocci ha trovato ospitalità simultanea su Foreign Affairs e Foreign Policy. Niente male. Nathalie Tocci, degna figlia ed erede di Walter Tocci, già vicesindaco di Roma e parlamentare del PCI, DS, Democratici, ect, dall’alto della sua presidenza dello IAI (l’americanissimo Istituto Affari Internazionali) rappresenta il raccordo, il cordone ombelicale che unisce il progressismo italico ed europeo e la componente più guerrafondaia demo-neocon. Sull’onda della contrapposizione destra-sinistra, le componenti europee più codine faranno dell’antimperialismo il loro vessillo….finché ci saranno Trump e Putin. La faccia tosta non manca. Sarà che la poltrona comincia a scottare? Alla larga!_Giuseppe Germinario

By Nathalie Tocci, the director of the Istituto Affari Internazionali.

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Ursula von der Leyen in Riga, Latvia
Ursula von der Leyen a Riga, Lettonia

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5 dicembre 2025, ore 12:36

Gli europei si sono illusi che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia imprevedibile e incoerente, ma alla fine gestibile. È stranamente rassicurante, ma sbagliato. Dal discorso del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance denigranteL’Europa alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a febbraio sulla nuova strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti che è stato rilasciatoIl 4 dicembre, l’amministrazione Trump ha da tempo una visione chiara e coerente per l’Europa: una che dà priorità ai legami tra Stati Uniti e Russia e cerca di dividere e conquistare il continente, con gran parte del lavoro sporco svolto dalle forze nazionaliste ed estremiste europee che ora godono del sostegno sia di Mosca che di Washington. È giunto il momento che l’Europa si renda conto che, quando si tratta della guerra tra Russia e Ucraina e della sicurezza del continente, nella migliore delle ipotesi è sola. Nella peggiore delle ipotesi, ora deve affrontare due avversari: la Russia a est e gli Stati Uniti di Trump a ovest.

Il secondo mandato di Trump

Ogni volta che Trump o i membri della sua amministrazione hanno attaccato l’Europa, compresa l’Ucraina, gli europei hanno incassato il colpo con un sorriso forzato e si sono prodigati per adulare la Casa Bianca. Ritengono che questa sia una mossa astuta, che sfrutta l’apparente incoerenza e vanità di Trump per riportarlo nell’orbita transatlantica. Eppure, ogni volta che Trump ha rivolto la sua limitata attenzione alla guerra in Ucraina, si è schierato con la Russia, dal Trappola nell’Ufficio Ovale fissata per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a febbraio, al tappeto rossopresentato al presidente russo Vladimir Putin in Alaska ad agosto, al “piano di pace” in 28 punti probabilmente scritto a Mosca. In ogni occasione, gli europei hanno incassato il colpo, impegnandosi a mantenere vivo il dialogo con Washington e a salvare ciò che resta del legame transatlantico. Gli europei hanno porto così tante guance a Trump che viene da chiedersi se ne abbiano ancora qualcuna.

Ma l’Europa ha scommesso invano su un infinito “Giorno della Marmotta”. Per quanto riguarda l’Europa, l’Ucraina e la Russia, l’amministrazione Trump è stata straordinariamente coerente. Trump vuole che la guerra in Ucraina finisca, soprattutto perché la considera un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, in particolare agli accordi commerciali previsti tra il suo entourage e gli amici del Cremlino. L’ordine mondiale liberale è finito; al suo posto arriva la sopravvivenza del più forte. Piuttosto che la vecchia competizione tra superpotenze, Trump è desideroso di perseguire una collusione imperiale sia con la Russia che con la Cina. Il resto del mondo, compresa l’Europa, è nel menu coloniale.

Strategicamente, ciò ha una certa logica a breve termine. Ideologicamente, è in linea con il sostegno ai partiti e ai governi di estrema destra in Europa e oltre. Queste forze non solo condividono le opinioni nazionaliste e socialmente conservatrici sostenute dal MAGA, ma stanno anche lavorando per dividere l’Europa e svuotare il progetto di integrazione europea, con le forze di centro-destra che fanno da utili idioti collaborando con loro. Non c’è nulla di meno patriottico dei presunti patrioti e sovranisti europei che si dedicano a svuotare l’unità europea mentre perseguono la collusione con la Russia. La visione delineata nella nuova Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti è scarsa in termini di politiche concrete riguardanti l’Europa, ma il messaggio del documento è chiaro: l’unico legame transatlantico concepibile è quello tra le forze di estrema destra, dove gli americani alfa dominano i loro servitori europei. È un esattamente parallelo della visione e della strategia che la Russia di Putin ha perseguito nei confronti dell’Europa per anni.

Se Trump non ha ancora soggiogato l’Europa ai suoi desideri, non è grazie alle astute manovre europee. Adulare Trump chiamandolo “papà”, riempiendolo di regali e adulanti Invitarlo a cene reali non salverà né l’Ucraina né le relazioni transatlantiche. Né lo faranno la frenetica diplomazia europea, i viaggi collettivi a Washington o i piani di pace alternativi. Se Trump non ha ancora realizzato la sua visione della guerra in Ucraina e di un nuovo equilibrio di potere in Europa, è semplicemente perché Putin sta ancora facendo il difficile. Ma contare sul fatto che Putin minacci sempre gli accordi tra Stati Uniti e Russia non può essere la strategia di sicurezza dell’Europa.

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Cosa dovrebbero fare invece gli europei?

La buona notizia è che esiste una massa critica di cittadini e governi europei che comprendono che la sicurezza europea passa per Kiev. Tra questi figurano Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia, paesi nordici, Stati baltici, Paesi Bassi, Spagna e, con qualche riserva, Italia, se non altro perché gli italiani sono restii a rimanere esclusi. Essi riconoscono che la guerra di conquista imperiale della Russia inizia con l’Ucraina, ma non finisce con essa, e che la capitolazione di Kiev non farebbe altro che liberare risorse russe per aprire nuovi fronti contro l’Europa. L’Ucraina è, tragicamente, la porta che impedisce alla guerra ibrida già in corso in Europa di trasformarsi in un attacco militare molto più grave.

La seconda buona notizia è che l’Europa ha delle leve, forse più degli Stati Uniti, quando si tratta della guerra in Ucraina. Da quando Trump è entrato in carica, il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina si è arrestato. È l’Europa che detiene la maggior parte dei beni congelati della Russia, impone le sanzioni che hanno un impatto reale, sostiene economicamente l’Ucraina e fornisce la maggior parte degli aiuti militari. In parte grazie agli investimenti europei in Ucraina, una quota crescente della difesa del Paese poggia ora sulla propria industria nazionale.

Non si tratta di dipingere un quadro eccessivamente roseo. Gli Stati Uniti rimangono assolutamente fondamentali per l’Ucraina e l’Europa, soprattutto per le informazioni di intelligence che forniscono e che consentono all’Ucraina di intercettare gli attacchi russi con droni e missili contro le città e le infrastrutture ucraine, nonché di identificare obiettivi per attacchi in profondità nel territorio russo. Oltre a ciò, gli Stati Uniti profittano vendendo armi che gli europei acquistano per l’Ucraina, armi che l’Europa non produce in quantità sufficienti o non produce affatto.

Ciò evidenzia un dilemma più ampio che riguarda la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa. L’Europa sta cercando di ridurre le proprie vulnerabilità aumentando la spesa per la difesa, ma spesso ciò comporta l’acquisto di ulteriori armi dagli Stati Uniti. Sta riducendo le proprie vulnerabilità a breve termine a costo di aumentare la propria dipendenza a lungo termine dagli Stati Uniti, che ora sfruttano la dipendenza dei propri alleati nominali. Gli europei sono ben lontani dal risolvere questo dilemma.

Sebbene non sia ancora visibile una risposta sistemica al dilemma della sicurezza europea, gli europei dispongono degli strumenti necessari per impedire la capitolazione dell’Ucraina e creare le condizioni per una pace giusta. Ciò che manca, e che deve essere affrontato, sono due ingredienti.

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Il primo è la capacità dell’Europa di concentrarsi sul proprio obiettivo strategico. I leader e le istituzioni europee hanno una comprensione astratta della strategia a lungo termine, ma nella pratica sono spesso coinvolti in interessi particolari e a breve termine. Questo è particolarmente evidente nel caso del Belgio e della Banca centrale europea. posizioni miopi sull’utilizzo dei beni congelati della Russia per aiutare l’Ucraina. Sebbene vi siano indubbiamente dei rischi finanziari e legali, questi sono insignificanti rispetto ai costi politici, economici e di sicurezza che l’Europa potrebbe dover sostenere se l’Ucraina dovesse cadere.

Il secondo ingrediente è il coraggio. I leader europei dovrebbero trovare il coraggio di andare a Washington, ringraziare cortesemente Trump per i suoi sforzi di “pace” e convincerlo che il mondo è pieno di altri conflitti che richiedono la sua attenzione. Gli europei possono dire: quando si tratta dell’Ucraina, possiamo gestire la guerra. Tutto ciò che chiediamo è di mantenere il flusso di informazioni e continuare a dare il via libera agli acquisti di armi mentre guadagniamo tempo per costruire le nostre.

L’Europa non può promettere di porre fine alla guerra oggi, ma può impegnarsi a creare le condizioni per una sicurezza sostenibile nel continente. E se fosse necessario ricorrere alle lusinghe, l’Europa può persino rassicurare Trump che, quando arriverà il giorno della pace, sarà lieta di dedicargli un monumento. aquadrato,o uno splendente, premio d’oro per lui.

Come l’Europa ha perso

Il continente riuscirà a sfuggire alla trappola di Trump?

Matthias Matthijs e Nathalie Tocci

Gennaio/febbraio 2026 Pubblicato il 12 dicembre 2025

I leader europei con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca, agosto 2025 Alexander Drago / Reuters

MATTHIAS MATTHIJS è professore associato di Economia politica internazionale presso la Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università Johns Hopkins e Senior Fellow per l’Europa presso il Council on Foreign Relations.

NATHALIE TOCCI è James Anderson Professor of the Practice presso la Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università Johns Hopkins a Bologna e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.

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Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è tornato in carica nel gennaio 2025, l’Europa si è trovata di fronte a una scelta. Mentre Trump avanzava richieste draconiane per un aumento della spesa europea per la difesa, minacciava le esportazioni europee con nuovi dazi doganali e sfidava i valori europei di lunga data sulla democrazia e lo Stato di diritto, i leader europei potevano assumere una posizione conflittuale e opporsi collettivamente oppure scegliere la via della minor resistenza e cedere a Trump. Da Varsavia a Westminster, da Riga a Roma, hanno scelto la seconda opzione. Invece di insistere nel negoziare con gli Stati Uniti come partner alla pari o di affermare la loro autodichiarata autonomia strategica, l’UE e i suoi Stati membri, così come i paesi non membri come il Regno Unito, hanno adottato in modo riflessivo e coerente un atteggiamento di sottomissione.

Per molti in Europa, questa è stata una scelta razionale. I sostenitori centristi della politica di appeasement sostengono che le alternative – opporsi alle richieste di Trump in materia di difesa, ricorrere a una escalation di tipo cinese nelle trattative commerciali o denunciare le sue tendenze autocratiche – sarebbero state dannose per gli interessi europei. Gli Stati Uniti avrebbero potuto abbandonare l’Ucraina, ad esempio. Trump avrebbe potuto proclamare la fine del sostegno statunitense alla NATO e annunciare un significativo ritiro delle forze militari statunitensi dal continente europeo. Ci sarebbe potuta essere una guerra commerciale transatlantica su vasta scala. Secondo questo punto di vista, è solo grazie ai cauti tentativi di placare gli animi da parte dell’Europa che nessuna di queste cose si è verificata.

Questo, ovviamente, potrebbe essere vero. Ma tale prospettiva ignora il ruolo che la politica interna europea ha svolto nel promuovere l’accordo in primo luogo, nonché le conseguenze politiche interne che la politica di appeasement potrebbe avere. L’ascesa dell’estrema destra populista non è solo un fenomeno politico americano, dopotutto. In un numero crescente di Stati dell’UE, l’estrema destra è al governo o è il principale partito di opposizione, e coloro che sono favorevoli all’appeasement nei confronti di Trump non ammettono facilmente quanto siano ostacolati da queste forze nazionaliste e populiste. Inoltre, spesso ignorano come questa strategia contribuisca a rafforzare ulteriormente l’estrema destra. Cedendo a Trump in materia di difesa, commercio e valori democratici, l’Europa ha di fatto rafforzato quelle forze di estrema destra che vogliono vedere un’UE più debole. La strategia europea nei confronti di Trump, in altre parole, è una trappola controproducente.

C’è solo un modo per uscire da questo circolo vizioso. L’Europa deve adottare misure per ripristinare la propria capacità di agire laddove è ancora possibile. Anziché aspettare fino al gennaio 2029, quando secondo un pensiero magico l’attuale incubo transatlantico giungerà al termine, l’UE deve smettere di strisciare e costruire una maggiore sovranità. Solo così potrà neutralizzare le forze politiche che la stanno svuotando dall’interno.

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DISTURBO DA DEFICIT DI AMBIZIONE

L’acquiescenza dell’Europa nei confronti di Trump sulla spesa per la difesa è la scelta più sensata. La guerra in Ucraina è una guerra europea, che mette a rischio la sicurezza dell’Europa. Il catastrofico incontro alla Casa Bianca tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel febbraio 2025, durante il quale quest’ultimo è stato rimproverato e umiliato, è stato un segnale inquietante che gli Stati Uniti potrebbero abbandonare completamente l’Ucraina, minacciando immediatamente la sicurezza del fianco orientale dell’Europa. Di conseguenza, al vertice NATO del giugno 2025, gli alleati europei hanno riconosciuto le preoccupazioni di Washington sulla ripartizione degli oneri in Ucraina e in generale hanno promesso di aumentare drasticamente la loro spesa per la difesa al cinque per cento del PIL, acquistando anche molte più armi di fabbricazione americana a sostegno dello sforzo bellico di Kiev.

Poi, dopo che Trump ha steso il tappeto rosso al presidente russo Vladimir Putin ad Anchorage, in Alaska, a metà agosto, un gruppo di leader europei, tra cui Zelensky, si è recato a Washington nel tentativo collettivo di persuadere Trump. Sono riusciti a mettere alle strette il presidente degli Stati Uniti sostenendo le sue ambizioni di mediazione e sviluppando piani per una “forza di rassicurazione” europea da schierare in Ucraina nel caso (improbabile) in cui Trump fosse riuscito a negoziare un cessate il fuoco. Si può sostenere che questi accurati sforzi di placazione abbiano funzionato: oggi Trump sembra avere una considerazione molto più alta dei leader europei; sembra aver deciso di consentire agli europei di acquistare armi per l’Ucraina; ha esteso le sanzioni alle compagnie petrolifere russe Lukoil e Rosneft; e non si è effettivamente ritirato dalla NATO.

Ma questo risultato è più il frutto dell’intransigenza di Putin che della diplomazia europea. Inoltre, è un successo solo se confrontato con la peggiore alternativa possibile. Finora gli europei non sono riusciti a ottenere un ulteriore sostegno americano per l’Ucraina. Non sono nemmeno riusciti a spingere il presidente degli Stati Uniti ad approvare un pacchetto di nuove sanzioni globali contro la Russia, con un disegno di legge bipartisan che prevede misure attive paralizzanti in sospeso al Congresso. E concentrandosi sul conseguimento di vittorie politiche con Trump, non hanno ancora sviluppato una strategia europea solida e coerente per la loro difesa a lungo termine che non dipenda essenzialmente dagli Stati Uniti.

Esercitazioni militari della NATO nei pressi di Xanthi, Grecia, giugno 2025Louisa Gouliamaki / Reuters

Il nuovo obiettivo del cinque per cento per le spese militari, ad esempio, non è stato determinato da una valutazione europea di ciò che è fattibile, ma piuttosto da ciò che avrebbe soddisfatto Trump. Questo cinico stratagemma è stato reso evidente quando il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha inviato dei messaggi di testo a Trump salutando la sua “GRANDE” vittoria all’Aia, messaggi che Trump ha poi ripubblicato con gioia sui social media. Nel frattempo, molti alleati europei, tra cui grandi paesi come Francia, Italia e Regno Unito, hanno accettato l’obiettivo del cinque per cento ben sapendo di non essere in una posizione fiscale tale da poterlo raggiungere in tempi brevi. Anche gli impegni europei ad “acquistare americano” sono stati presi con entusiasmo senza alcun piano concreto per ridurre in modo significativo tali dipendenze militari strutturali in futuro.

Il fallimento dell’Europa nell’organizzare la propria difesa può essere interpretato come una mancanza di ambizione, direttamente collegata al fervore nazionalista che ha travolto il continente negli ultimi cinque anni. Con l’ascesa dei partiti politici di estrema destra, il loro programma ha frenato il progetto di integrazione europea. In passato, questi partiti spingevano per uscire completamente dall’UE, ma dopo il ritiro del Regno Unito nel 2020, ormai ampiamente riconosciuto come un fallimento politico, hanno optato per un programma diverso e più pericoloso, che consiste nel minare gradualmente l’Unione Europea dall’interno e soffocare qualsiasi sforzo sovranazionale europeo. Per vedere l’effetto del populismo di estrema destra sulle ambizioni e sull’integrazione europee, basta confrontare la risposta significativa alla pandemia di COVID-19, quando l’UE ha mobilitato collettivamente oltre 900 miliardi di dollari in sovvenzioni e prestiti, con le deludenti iniziative di difesa odierne. Per difendere collettivamente l’Europa dalle aggressioni esterne, che rappresentano senza dubbio una minaccia molto più grave, l’UE ha raccolto solo circa 170 miliardi di dollari in prestiti.

L’ironia, ovviamente, è che proprio perché le forze di estrema destra hanno reso impossibile una forte iniziativa di difesa dell’UE, i leader europei hanno ritenuto di non avere altra scelta che affidarsi a un uomo forte proveniente dall’America. Tuttavia, è improbabile che l’estrema destra stessa paghi il prezzo politico di questa sottomissione. Al contrario, l’obiettivo del 5% di spesa per la difesa e la sicurezza della NATO rischia di diventare ulteriore argomento a favore dei populisti, soprattutto nei paesi lontani dal confine russo, come Belgio, Italia, Portogallo e Spagna. I leader europei potrebbero dover compromettere la spesa pubblica per la sanità, l’istruzione e le pensioni pubbliche per raggiungere l’obiettivo, alimentando la narrativa dell’estrema destra sul dilemma “armi o burro”.

UNA CASA DIVISA

La capitolazione europea alle richieste commerciali di Trump è ancora più autodistruttiva. Almeno nel campo della difesa, le relazioni transatlantiche non sono mai state tra pari. Ma se gli europei sono dei pesi leggeri in campo militare, sono orgogliosi di essere dei giganti economici. Le dimensioni del mercato unico dell’Unione Europea e la centralizzazione della politica commerciale internazionale nella Commissione Europea hanno fatto sì che, quando Trump ha scatenato una guerra commerciale nel mondo, l’UE fosse in una posizione quasi altrettanto favorevole quanto la Cina per condurre trattative difficili. Quando il Regno Unito ha rapidamente accettato una nuova aliquota tariffaria del dieci per cento con gli Stati Uniti, ad esempio, l’ipotesi generale al di fuori degli Stati Uniti era che il potere di mercato molto maggiore dell’UE le avrebbe consentito di ottenere un accordo molto più vantaggioso.

Il commercio era anche l’area in cui, in vista delle elezioni statunitensi del 2024, era già stata messa in atto una discreta quantità di “Trump proofing”, con i paesi europei che hanno brandito sia la carota, come l’acquisizione di più armi americane e gas naturale liquefatto, sia il bastone, come un nuovo strumento anti-coercizione che conferisce alla Commissione europea un potere significativo di ritorsione in caso di intimidazioni economiche o vere e proprie prepotenze da parte di Stati ostili.

Ad esempio, in risposta all’annuncio del presidente degli Stati Uniti di dazi del 25% su acciaio e alluminio nel febbraio 2025, i funzionari della Commissione europea avrebbero potuto attivare immediatamente un pacchetto preparato di circa 23 miliardi di dollari in nuovi dazi su beni statunitensi politicamente sensibili, come la soia dell’Iowa, le motociclette del Wisconsin e il succo d’arancia della Florida. Quindi, in risposta ai dazi reciproci del “Liberation Day” di Trump nell’aprile 2025, avrebbero potuto scegliere di attivare il loro “bazooka” economico, come viene spesso definito lo strumento anti-coercizione. Poiché gli Stati Uniti continuano ad avere un surplus significativo nel cosiddetto commercio invisibile, i funzionari dell’UE avrebbero potuto prendere di mira le esportazioni di servizi statunitensi verso l’Europa, come le piattaforme di streaming e il cloud computing o alcuni tipi di attività finanziarie, legali e di consulenza.

Ma invece di intraprendere (o anche solo minacciare di intraprendere) un’azione collettiva di questo tipo, i leader europei hanno trascorso mesi a discutere e a minarsi a vicenda. Questo è l’ennesimo esempio di come gli attori di estrema destra, sempre più forti, stiano indebolendo l’UE. Storicamente, i negoziati commerciali sono stati condotti dalla Commissione europea, con i governi nazionali in secondo piano. Quando la prima amministrazione Trump ha cercato di aumentare la pressione commerciale sull’UE, ad esempio, Jean-Claude Juncker, allora presidente della Commissione europea, ha allentato le tensioni recandosi a Washington e presentando a Trump un accordo semplice incentrato sui vantaggi reciproci.

L’Europa ha adottato in modo riflessivo e coerente un atteggiamento di sottomissione.

Nella seconda amministrazione Trump, tuttavia, la situazione non poteva essere più diversa. Questa volta, la posizione negoziale della Commissione è stata indebolita fin dall’inizio da un coro dissonante, con Stati membri chiave che hanno espresso preventivamente la loro opposizione alle ritorsioni. In particolare, il primo ministro italiano Giorgia Meloni, beniamina dell’estrema destra di Trump, ha invocato il pragmatismo e ha messo in guardia l’UE dal dare il via a una guerra dei dazi. Anche la Germania ha esortato alla cautela; il nuovo governo, guidato dal cristiano-democratico Friedrich Merz, era preoccupato per la recessione, che avrebbe ulteriormente rafforzato l’estrema destra di Alternativa per la Germania (AfD), il principale partito di opposizione. Francia e Spagna, al contrario, hanno governi di centro o di centro-sinistra e hanno favorito una linea più dura e dazi di ritorsione più incisivi. (Vale la pena notare che la Spagna è anche l’unico paese della NATO che ha rifiutato categoricamente di aumentare la propria spesa per la difesa al nuovo standard del cinque per cento).

Il livello di disunione europea era così profondo che, tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate, le aziende giunsero addirittura alla conclusione che sarebbe stato meglio negoziare autonomamente: le case automobilistiche tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW condussero parallelamente le proprie trattative con l’amministrazione Trump sui dazi automobilistici. Solo alla fine di luglio 2025, dopo mesi di paralisi, Bruxelles ha accettato i dazi statunitensi del 15% sulla maggior parte delle esportazioni dell’UE, cinque punti percentuali in più rispetto a quanto negoziato dal Regno Unito.

Di fronte alle crescenti critiche interne sull’accordo, i leader europei hanno nuovamente affermato che l’UE non aveva altra scelta: poiché Trump era determinato a imporre dazi a tutti i costi, sostengono, i dazi di ritorsione avrebbero finito per danneggiare solo gli importatori e i consumatori europei. La ritorsione, in questa ottica, avrebbe significato spararsi sui piedi. Peggio ancora, avrebbe potuto rischiare di scatenare l’ira di Trump e vederlo scagliarsi contro l’Ucraina o abbandonare la NATO.

Ma ancora una volta, si tratta di una logica senza via d’uscita. Un’Europa che accetta l’estorsione economica transatlantica come un dato di fatto è un’Europa che permette al proprio potere di mercato di erodersi, incoraggiando ulteriormente l’estrema destra. Secondo un importante sondaggio condotto alla fine dell’estate scorsa nei cinque maggiori paesi dell’UE, il 77% degli intervistati ritiene che l’accordo commerciale tra UE e Stati Uniti “favorisca principalmente l’economia americana”, mentre il 52% concorda sul fatto che si tratti di “un’umiliazione”. La sottomissione dell’Europa non solo fa apparire Trump più forte, aumentando l’attrattiva di imitare le sue politiche nazionalistiche in patria, ma elimina anche la logica originale dell’integrazione europea: che un’Europa unita può rappresentare più efficacemente i propri interessi. Se il Regno Unito post-Brexit riuscirà a ottenere da Trump un accordo commerciale migliore di quello dell’UE, molti si chiederanno giustamente perché valga la pena rimanere con Bruxelles.

LA DIPLOMAZIA SOPRA LA DEMOCRAZIA

Il compromesso più netto in Europa è stato quello sui valori democratici. Nel corso del 2025, Trump ha intensificato i suoi attacchi alla libertà di stampa, ha dichiarato guerra alle istituzioni governative indipendenti e ha minato lo Stato di diritto esercitando pressioni politiche sui giudici affinché si schierassero dalla sua parte. E ha portato questa lotta in Europa: il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance e il segretario alla Sicurezza interna Kristi Noem hanno apertamente interferito o preso posizione nelle elezioni in Germania, Polonia e Romania.

Vance, ad esempio, non ha incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2025, ma ha incontrato la leader dell’AfD Alice Weidel e ha criticato pubblicamente la politica tedesca del firewall che esclude il partito dai negoziati di coalizione mainstream. A Monaco, Vance ha anche criticato aspramente l’annullamento del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania da parte della Corte costituzionale di quel paese alla luce delle prove significative dell’influenza russa attraverso TikTok. Nel suo discorso ha affermato che la più grande minaccia per l’Europa proviene dall’interno e che i governi dell’UE stanno agendo nella paura dei propri elettori. Noem, dal canto suo, ha compiuto il passo straordinario di esortare apertamente il pubblico di Jasionka, in Polonia, a votare per il candidato di estrema destra Karol Nawrocki, definendo il suo avversario centrista un leader assolutamente disastroso.

Invece di respingere tali interferenze elettorali ostili, tuttavia, la leadership dell’UE è rimasta in gran parte in silenzio sulla questione, probabilmente sperando che la cooperazione in altri ambiti potesse sopravvivere. Questo approccio transazionale è particolarmente evidente nell’indagine della Commissione europea sulla disinformazione su X, la piattaforma di social media di proprietà dell’ex alleato di Trump Elon Musk. Inizialmente, Bruxelles aveva mosso accuse pesanti contro X, tra cui quella di amplificare le narrazioni filo-Cremlino e di smantellare i suoi team per l’integrità elettorale in vista delle elezioni europee. Da allora, però, l’indagine ha subito un rallentamento ed è stata minimizzata: a X sono state concesse ripetute proroghe per l’adeguamento e Bruxelles ha segnalato una preferenza per il “dialogo” piuttosto che per le sanzioni.

Il presidente francese Emmanuel Macron e Trump alla Casa Bianca, agosto 2025Al Drago / Reuters

Questa strategia non solo non sta producendo accordi nell’interesse europeo, ma ha anche un costo politico: normalizza le mosse illiberali negli Stati Uniti, riducendo al contempo lo spazio a disposizione dell’Europa per difendere gli standard liberali all’interno e all’estero. I leader di destra hanno già abbracciato i messaggi politici provenienti da Washington. Dopo le dichiarazioni di Vance a Monaco, ad esempio, i funzionari ungheresi hanno elogiato il “realismo” del vicepresidente. E dopo l’omicidio della personalità di destra americana Charlie Kirk, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha condannato la “sinistra che incita all’odio” negli Stati Uniti e ha avvertito che “l’Europa non deve cadere nella stessa trappola”. In tutto il continente, i partiti di estrema destra hanno colto questi momenti per presentarsi come parte di una più ampia contro-élite occidentale, mentre i leader europei mainstream, timorosi di alimentare le tensioni con gli Stati Uniti, si sono astenuti dal denunciare la retorica con la stessa forza con cui lo avrebbero fatto in passato.

Come per le spese militari e il commercio, molti in Europa sostenevano che non valesse la pena provocare gli Stati Uniti sul tema del regresso democratico. Dopo tutto, era improbabile che la reazione europea potesse influenzare la politica interna americana. Alcuni sostenitori di una risposta europea più passiva teorizzano che il sostegno aggressivo dei seguaci di Trump all’estrema destra in Europa potrebbe gettare i semi della sua stessa rovina. Sia in Australia che in Canada, i candidati pro-Trump in testa alle elezioni hanno finito per perdere nelle elezioni della primavera del 2025.

Alcuni primi risultati hanno dimostrato che questa strategia potrebbe funzionare anche in Europa. Vance e Musk, ad esempio, hanno offerto il loro pieno sostegno all’AfD, ma ciò non ha avuto alcun effetto percepibile sul risultato in Germania. In Romania, il candidato filo-russo e filo-Trump in testa alle elezioni presidenziali ha perso, mentre nei Paesi Bassi i liberali hanno fatto un’impressionante rimonta. In Polonia, invece, il candidato sostenuto da Noem ha finito per vincere le elezioni presidenziali. Anche nella Repubblica Ceca ha vinto il miliardario populista e sostenitore di Trump. Sebbene le prove non siano ancora conclusive, è chiaro che la politica di appeasement ha offerto scarsa protezione contro la deriva illiberale dell’Europa. Attenuando la sua difesa dei valori democratici all’estero, l’UE ha reso più difficile affrontare il loro deterioramento all’interno.

UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO?

Gli europei sanno già cosa devono fare per interrompere questo circolo vizioso. La road map per un’UE più forte è stata delineata nel 2024 con due relazioni complete redatte da due ex primi ministri italiani che miravano a sfruttare i successi del fondo di recupero post-pandemia dell’UE. Enrico Letta e Mario Draghi hanno proposto di approfondire il mercato unico dell’UE in settori quali la finanza, l’energia e la tecnologia e di istituire una nuova importante iniziativa di investimento attraverso prestiti congiunti.

Ma nonostante l’attenzione positiva che queste proposte hanno ricevuto inizialmente, la maggior parte di esse rimane lettera morta solo un anno dopo. I leader europei devono affrontare elettori preoccupati per il costo della vita, scettici nei confronti di un’ulteriore integrazione e sensibili a qualsiasi iniziativa di debito congiunto di grande entità che possa sembrare un trasferimento di sovranità o aumentare i rischi fiscali. Ciò che occorre, quindi, non è un altro progetto massimalista, ma uno sforzo mirato su ciò che è ancora politicamente realizzabile. Sebbene non esista un rimedio unico, l’Unione può compiere piccoli passi in materia di difesa e commercio che ridurrebbero la sua dipendenza dagli Stati Uniti, e può apportare modifiche alle sue relazioni con la Cina e alla sua politica energetica che ripristinerebbero la sua capacità di azione e rafforzerebbero la sua autonomia.

Negli ultimi anni l’UE ha cercato di affrontare il problema della propria architettura di sicurezza. Ad esempio, ha lanciato il Fondo europeo per la difesa, ha creato un quadro per coordinare i progetti comuni e ha istituito lo Strumento europeo per la pace, che è stato utilizzato per finanziare le forniture di armi all’Ucraina (fino a quando l’Ungheria non lo ha bloccato). Ha inoltre sviluppato una politica industriale di difesa e proposto un piano di preparazione alla difesa per il 2030 che prevede iniziative relative a droni, terra, spazio, difesa aerea e missilistica. Ma questi strumenti sono ancora per lo più aspirazionali e, quando danno risultati, questi sono limitati e lenti, concentrati principalmente sul coordinamento industriale della difesa e su missioni su piccola scala.

Hanno anche messo in luce il tallone d’Achille dell’UE: il requisito dell’unanimità in materia di politica estera e di sicurezza. Un’organizzazione in cui tutti i 27 membri hanno pari voce in capitolo può essere facilmente ostacolata. Orban, ad esempio, ha posto il veto almeno dieci volte sugli aiuti e sui negoziati di adesione con l’Ucraina e sulle sanzioni alla Russia. Oltre al veto, il membro ungherese della Commissione europea, Oliver Varhelyi, è stato recentemente accusato di far parte di una presunta rete di spionaggio a Bruxelles. Sebbene si tratti per ora solo di un’accusa, ciò solleva la questione più ampia se esista ancora una fiducia politica sufficiente per discutere questioni di sicurezza fondamentali.

L’obiettivo del cinque per cento di spesa della NATO è acqua al mulino dei populisti.

I membri dell’UE hanno anche sensibilità divergenti nei confronti degli Stati Uniti: i paesi dell’Europa orientale e nordica continuano a vedere Washington come il loro garante ultimo della sicurezza, mentre la Francia, la Germania e alcune parti dell’Europa meridionale preferiscono una maggiore autonomia. Nel frattempo, i membri dell’UE che non fanno parte della NATO, come Austria, Irlanda e Malta, sono ostacolati dalle leggi costituzionali sulla neutralità che limitano la partecipazione alla difesa collettiva. Inoltre, diversi membri hanno conflitti bilaterali irrisolti, come la disputa tra Turchia e Grecia su Cipro e il Mediterraneo orientale.

Anziché elaborare una risposta dell’UE al problema della difesa europea, una strada più realistica consiste in una “coalizione dei volenterosi” europea. Il gruppo che si è coalizzato attorno al sostegno militare all’Ucraina costituisce una buona base per un’alleanza di questo tipo. Sebbene ancora informale, questo gruppo – guidato da Francia e Regno Unito e che comprende Germania, Polonia e Stati nordici e baltici – ha iniziato a prendere forma attraverso regolari incontri di coordinamento tra i ministri della difesa e accordi bilaterali di sicurezza, in particolare gli accordi di sicurezza guidati dall’Europa con Kiev firmati a Berlino, Londra, Parigi e Varsavia lo scorso anno. Ha dimostrato il proprio impegno nei confronti di Kiev indipendentemente dai cambiamenti politici negli Stati Uniti o nei paesi membri, sostenuto da forniture di armi continue, impegni di aiuto bilaterale a lungo termine e programmi congiunti di addestramento e approvvigionamento volti a mantenere lo sforzo bellico dell’Ucraina anche se il sostegno degli Stati Uniti dovesse vacillare. La sua logica è sia normativa che strategica: questi Stati comprendono che la sicurezza europea dipende in ultima analisi dalla difesa militare e dalla sopravvivenza nazionale dell’Ucraina.

La coalizione non è stata perfetta, ovviamente. Finora il suo obiettivo è stato troppo astratto, incentrato sull’ipotetica forza di rassicurazione, e solo di recente ha spostato la sua attenzione sul sostegno delle difese dell’Ucraina senza il supporto degli Stati Uniti. Man mano che si evolve, dovrebbe concentrarsi sul potenziamento, il coordinamento e l’integrazione delle forze convenzionali. E, in ultima analisi, dovrebbe affrontare la questione più difficile che la difesa europea si trova ad affrontare: la deterrenza nucleare.

La deterrenza nucleare è quasi un argomento tabù in Europa, poiché non esiste una valida alternativa all’ombrello americano: le deterrenze nucleari francese e britannica sono inadeguate a contrastare il vasto arsenale nucleare russo. Ma europeizzare tale deterrenza apre innumerevoli dilemmi, come il finanziamento di una capacità nucleare franco-britannica ampliata, la determinazione delle modalità di decisione sul suo utilizzo e la fornitura del supporto militare convenzionale necessario per consentire una deterrenza nucleare e una forza di attacco.

La questione di come garantire la deterrenza nucleare in Europa è tuttavia così importante che gli europei non possono continuare a ignorarla. La Polonia e la Francia hanno compiuto un primo passo quando hanno firmato un trattato bilaterale di difesa a maggio, e i leader polacchi hanno accolto con favore l’idea del presidente francese Emmanuel Macron di estendere l’ombrello nucleare francese agli alleati europei. Si tratta di un inizio promettente, ma queste discussioni non dovrebbero svolgersi a livello bilaterale; idealmente, dovrebbero estendersi alla coalizione dei volenterosi. L’obiettivo non è quello di sostituire la NATO, ma di garantire che, se Washington dovesse fare un passo indietro improvviso, l’Europa possa comunque reggersi in piedi di fronte alle minacce esterne.

ENERGIA DEL PERSONAGGIO PRINCIPALE

La stessa logica vale anche per il commercio. La prosperità dell’Europa si è sempre basata sull’apertura, ma l’accordo sbilanciato dell’UE con Trump ha messo in luce quanto sia facile sfruttare l’impegno del blocco a favore del libero scambio e commercio transatlantico. Tuttavia, l’UE ha partner che condividono la sua stessa visione. Ha già avviato iniziative di diversificazione, firmando e attuando accordi commerciali con Canada, Giappone, Corea del Sud, Svizzera e Regno Unito. Dovrebbe approfondire questi legami commerciali, ma anche andare avanti firmando e ratificando altri accordi con India, Indonesia e i paesi del Mercosur in America Latina, accelerando al contempo i negoziati e raggiungendo accordi con Australia, Malesia, Emirati Arabi Uniti e altri paesi.

Al di là degli accordi bilaterali, l’UE dovrebbe investire in una strategia più ampia per sostenere il sistema commerciale globale stesso. L’Organizzazione mondiale del commercio è completamente paralizzata dal 2019, quando il suo organo di appello ha cessato di funzionare perché gli Stati Uniti hanno bloccato la nomina di nuovi giudici. L’UE, tuttavia, potrebbe sviluppare un meccanismo alternativo per la risoluzione delle controversie e la definizione delle regole collaborando con i membri dell’Accordo globale e progressivo di partenariato transpacifico. Con oltre 20 paesi che rappresentano collettivamente oltre il 40% del PIL globale coinvolti nel commercio con l’UE, tale sforzo creerebbe di fatto un complemento all’OMC. Offrirebbe uno sbocco per la cooperazione tra potenze medie che condividono l’interesse dell’Europa a mantenere un ordine aperto e basato su regole. E dimostrerebbe che l’Europa rimane in grado di plasmare la governance economica globale piuttosto che limitarsi a reagire alle mosse degli Stati Uniti o della Cina sulla scacchiera geopolitica.

Per dimostrare ulteriormente questa capacità di agire, l’Europa deve finalmente sviluppare una politica autonoma nei confronti della Cina. Con l’intensificarsi della concorrenza tra Stati Uniti e Cina, la politica europea nei confronti della Cina è diventata funzionale a quella di Washington. Durante l’amministrazione Biden, questo non era considerato un problema: l’Europa era strategicamente dipendente dall’intelligence statunitense e alla mercé dei quadri di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti, ma aveva un partner affidabile e prevedibile oltreoceano. Ora, però, con la politica cinese di Trump che oscilla tra l’escalation e la conclusione di accordi, l’Europa ha perso il suo orientamento. Bruxelles continua ad applicare dazi sui veicoli elettrici cinesi e a lamentarsi del sostegno segreto di Pechino agli sforzi bellici della Russia in Ucraina. Ma non è chiaro come l’UE possa opporsi alla Cina mentre Washington stringe accordi bilaterali con Pechino alle sue spalle.

Il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic a Bruxelles, agosto 2025Yves Herman / Reuters

Per riconquistare la propria credibilità come attore globale, l’UE dovrebbe perseguire una doppia strategia nei confronti della Cina: ferma e lucida quando è in gioco la sicurezza dei suoi membri, ma pragmatica e economicamente impegnata altrove. In materia di sicurezza, l’Europa non sarà in grado di convincere la Cina a interrompere gli scambi commerciali e l’acquisto di petrolio e gas dalla Russia. Tuttavia, gli europei potrebbero persuadere Pechino a smettere di esportare in Russia beni a duplice uso, ovvero quelli preziosi sia per scopi militari che civili. La Cina si aspetterebbe ovviamente qualcosa in cambio, comprese concessioni che alcuni in Europa potrebbero considerare sgradevoli, come l’impegno da parte della NATO a non cooperare più formalmente con i partner dell’Asia orientale.

L’Europa deve anche affrontare la sua difficile situazione energetica. Dall’invasione russa dell’Ucraina, gli europei hanno sostituito una vulnerabilità, ovvero la dipendenza dal gas russo, con un’altra, ovvero la forte dipendenza dal gas naturale liquefatto statunitense. Sebbene questo cambiamento fosse inevitabile nel breve termine, non può costituire la base per la sicurezza energetica a lungo termine, soprattutto data la volatilità delle relazioni transatlantiche. Essendo un continente povero di combustibili fossili, l’UE deve intraprendere un percorso più sostenibile. Ciò significa, come minimo, ampliare la propria rete di partner energetici e coltivare fornitori in Medio Oriente, Nord Africa e altre regioni. Ma significa anche raddoppiare gli sforzi sul Green Deal europeo, che attualmente viene indebolito da leggi omnibus sostenute dal centro-destra e dall’estrema destra.

La politica del Green Deal è difficile, soprattutto in un contesto di crisi del costo della vita e crescita lenta. Ma l’alternativa, ovvero il mantenimento dell’esposizione ai combustibili fossili e la vulnerabilità geopolitica, è molto peggiore. Il messaggio dovrebbe essere chiaro: la diversificazione energetica non riguarda solo il cambiamento climatico, ma anche la sovranità. Inoltre, una strategia industriale verde credibile contribuirebbe a creare i posti di lavoro ad alta tecnologia che i partiti nazionalisti sostengono di voler difendere. Dimostrerebbe che la decarbonizzazione e la forza economica possono rafforzarsi a vicenda nella pratica.

IL POTERE DEL NO

Nel loro insieme, queste misure non trasformerebbero l’Europa dall’oggi al domani. Tuttavia, inizierebbero a modificare la dinamica politica che ha intrappolato il continente in un ciclo di deferenza e divisione. Ogni iniziativa – preparazione alla difesa, diversificazione commerciale, politica interna nei confronti della Cina, transizione energetica e autonomia – dimostrerebbe che l’Europa è ancora in grado di agire collettivamente e strategicamente in condizioni avverse. Il successo su uno qualsiasi di questi fronti rafforzerebbe la fiducia sugli altri e creerebbe un sostegno politico per misure più audaci.

L’obiettivo più ampio è quello di ripristinare la consapevolezza che il destino dell’Europa è ancora nelle sue mani. L’autonomia strategica non richiede un confronto con Washington né l’abbandono dell’alleanza atlantica. Richiede la capacità di dire no quando necessario, di agire in modo indipendente quando gli interessi divergono e di sostenere un progetto coerente al proprio interno. L’appeasement è stata per troppo tempo la posizione predefinita dell’Europa. È stata comprensibile, persino razionale in alcuni casi, ma alla fine si è rivelata controproducente e ha alimentato le fiamme di una reazione nazionalista.

L’alternativa non è la demagogia o l’isolamento, ma un’azione costante e deliberata. Se l’Europa riuscirà a metterla in atto, potrà uscire da questo periodo di turbolenze transatlantiche come attore più autonomo, più unito e più rispettato sulla scena mondiale rispetto al passato.

Rassegna stampa tedesca 66a puntata a cura di Gianpaolo Rosani

Chi in questi giorni ascolta manager, imprenditori, banchieri o avvocati specializzati in diritto
economico parlare del governo e del Bundestag, ha l’impressione che essi non solo rifiutino
decisioni politiche concrete, ma anche l’intero laborioso processo della democrazia parlamentare.
L’attrattiva dei sistemi autocratici cresce, il confine tra la legittima frustrazione per la mancanza di
riforme e i dubbi generali sul sistema diventa sempre più labile. Peter Leibinger, presidente della
Confederazione dell’industria tedesca, ritiene che la Germania come sede economica sia «in
caduta libera». Questo è sbagliato e vergognosamente banale. Con le chiacchiere su un
inarrestabile declino della Germania si crea un clima di panico al quale nessun governo può
reagire in modo adeguato. Il fatto che molti esponenti dell’economia stiano già perdendo la
pazienza è inappropriato, ingiusto e miope. Questo non danneggia solo il governo, ma la
democrazia nel suo complesso.

12.12.2025
EDITORIALE
Capi smisurati
Le critiche mosse al governo da manager e rappresentanti dell’economia sono esagerate. Ciò danneggia
la democrazia.

Di Tim Bartz
Il governo federale non è ancora riuscito a invertire il clima economico in Germania. È comprensibile che
ciò generi malcontento.

L’Estonia non è solo un paese confinante con la Russia, ma anche un pioniere nella difesa
informatica. Da quando nel 2007 il paese ha subito un grave attacco, la sicurezza della rete è
presa molto sul serio. All’epoca, presunti aggressori russi avevano paralizzato ministeri, banche e
media con cosiddetti attacchi denial-of-service, che sono durati diverse settimane. Oggi la NATO
ha due avamposti a Tallinn, tra cui l’importante centro di ricerca e formazione per la difesa
informatica (CCDCOE). Anche l’incubatore NATO per le tecnologie a duplice uso con sede a
Londra, chiamato Diana, ha un ufficio regionale qui dal 2023. Nonostante le sue piccole
dimensioni, con solo 1,3 milioni di abitanti, l’Estonia ha un importante ecosistema di start-up. A
Tallinn, un ufficiale sottolinea che la NATO rimane un’alleanza difensiva nella sua visione di sé. Ma
nel cyberspazio esiste una “zona grigia” tra attacco e difesa. In futuro, la NATO intende avvalersi
anche dell’intelligenza artificiale (IA) per le sue operazioni.

13.12. 2025
Prepararsi alla guerra cibernetica
Nel corso della più grande esercitazione cibernetica della NATO, 29 alleati si preparano all’emergenza in
Estonia. L’alleanza militare sta persino sviluppando un proprio chatbot con intelligenza artificiale per le
operazioni. Il quotidiano Handelsblatt era presente.

Di Carsten Volkery – Tallinn
La tensione è ancora palpabile in Ryly Bumpus. L’ufficiale dell’aeronautica militare statunitense si trova in
una stanza isolata e altamente sicura a Tallinn, in Estonia, e spiega come distingue le notizie false da quelle
vere nel bel mezzo di un conflitto bellico.

Witkoff non ha finora ottenuto alcun risultato con il leader russo. Sembra essere troppo
impressionato dal suo carisma da autocrate e ha già più volte comunicato in modo errato la
posizione russa alla Casa Bianca. Forse è per questo che questa settimana l’uomo d’affari
Kushner, dall’aria seria, ha potuto accompagnarlo a Mosca per la prima volta. Il marito della figlia
maggiore di Trump non ricopre alcuna carica ufficiale e non ha alcuna competenza in materia di
Russia, proprio come Witkoff, ma Kushner ha recentemente contribuito a mettere a punto il piano
di pace per Gaza. La visita dei due americani al Cremlino potrebbe essere stata il culmine
provvisorio dell’ultima iniziativa di pace di Trump per l’Ucraina.

05.12.2025
Pace? Solo quella voluta da Putin
Dopo quattro anni di guerra, l’economia del Paese è fortemente compromessa. Tuttavia, il Cremlino non
intende accettare l’accordo di pace orchestrato da Trump.

Di Ann-Dorit Boy, Christina Hebel
Almeno questa volta Steve Witkoff non si presenta da solo davanti al leader russo. Quando Vladimir Putin
ha accolto l’inviato speciale di Donald Trump martedì sera al Cremlino, accanto a lui, seduto al tavolo
bianco lucido, c’era Jared Kushner, genero del presidente americano.

Sul suo social network Truth Social, Trump si è rivolto alle compagnie aeree, ai piloti, ai trafficanti
di droga e ai trafficanti di esseri umani: “Da questo momento in poi, dovete considerare chiuso
l’intero spazio aereo venezuelano”. Anche se una simile dichiarazione non ha alcun peso dal punto
di vista del diritto internazionale, ha avuto un effetto immediato: numerose compagnie aeree
provenienti da Colombia, Cile, Brasile, Spagna e Portogallo hanno sospeso i loro collegamenti,
causando notevoli disagi al traffico aereo civile. Obiettivo: cambio di regime. Le operazioni
statunitensi presentano le caratteristiche di uccisioni extralegali, il che ha apparentemente causato
tensioni all’interno del Pentagono.

01.12.2025
Trump vuole mettere in ginocchio il regime
venezuelano
Il presidente degli Stati Uniti chiude lo spazio aereo sopra il Venezuela e minaccia di ampliare le
operazioni militari. Allo stesso tempo, lascia aperta una porta per i negoziati.

Dal nostro corrispondente ANDREAS FINK Buenos Aires/Caracas
Le minacce degli Stati Uniti contro la leadership venezuelana stanno diventando sempre più pesanti. Nel
fine settimana, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato pubblicamente “chiuso” l’intero
spazio aereo venezuelano.

Friedrich Merz, quando era candidato alle elezioni, avrebbe probabilmente deriso e criticato il
piano pensionistico da lui stesso annunciato. Friedrich Merz, ora il cancelliere, ammette che non ci
sono buoni argomenti a favore, ma deve assolutamente placare la sua coalizione, più
precisamente l’SPD, che non vuole più sbloccare il pacchetto. Ma non è solo questo: anche i
cristiano-sociali di Markus Söder vogliono qualcosa (la pensione delle madri) e anche alcuni
membri dell’Unione sono interessati alla pensione attiva. Tre interessi di partito vengono quindi
soddisfatti, ma alla fine nessuno è contento.

STERN
03.12.2025
EDITORIALE

Il musicista Prince non ha mai lavorato in un ufficio. Tuttavia, riusciva a immaginare perfettamente la
riluttanza di chi, il lunedì mattina, deve recarsi al lavoro su una metropolitana affollata.

Tutti gli Stati membri dell’UE dovrebbero fornire garanzie affinché Euroclear e lo Stato belga non
debbano sostenere da soli i costi in caso di richieste di risarcimento da parte della Russia. I capi di
governo intendono approvare il prestito in linea di principio durante il vertice UE del 19 dicembre.
Nei prossimi giorni sono attesi anche i primi testi giuridici della Commissione, che illustreranno
come saranno strutturati il prestito e le garanzie. Tuttavia, si profilano ulteriori incognite. Diversi
Stati membri dell’UE hanno respinto la richiesta belga di garanzie illimitate. È possibile fornire
garanzie su un importo fisso, ad esempio nel caso in cui un tribunale arbitrale decida a favore della
Russia e Euroclear debba restituire i beni. Tuttavia, non è possibile emettere un assegno in bianco
per tutti gli altri rischi ipotizzabili. La Banca centrale europea (BCE) non garantirà il prestito. Se il
Belgio impedirà il prestito di riparazione, agli Stati membri dell’UE rimarranno solo due opzioni per
finanziare l’Ucraina: aiuti bilaterali o debiti comuni dell’UE. Tuttavia, molti governi non hanno il
margine di manovra necessario nei loro bilanci nazionali.

03.12. 2025
Il Belgio sabota il prestito di riparazione dell’UE
L’accesso al patrimonio russo si sta rivelando difficile. Secondo le informazioni del quotidiano
Handelsblatt, il Belgio intende dare il proprio consenso, ma solo per finta. L’UE sospetta una tattica
dilatoria.

Di Jakob Hanke Vela, Carsten Volkery Bruxelles – Collaborazione: Leonidas Exuzidis
Il governo belga intende approvare in linea di principio il prestito di riparazione dell’Unione Europea (UE)
per l’Ucraina, riferiscono alti funzionari coinvolti nei negoziati.

Da mesi il settore automobilistico sta facendo pressioni a Bruxelles per ottenere norme meno
rigide. L’industria fa riferimento alla difficile situazione economica e sostiene che l’Europa
continuerebbe a perdere terreno nella concorrenza internazionale a causa della rigida attenzione
rivolta alle auto esclusivamente elettriche. I costruttori automobilistici tedeschi stanno lottando con
un forte calo dei profitti a causa dei dazi statunitensi, della forte concorrenza in Cina e della cautela
dei consumatori in Europa. L’apertura tecnologica a Bruxelles aiuta i produttori nazionali ad
attenuare la loro debolezza nel settore delle auto elettriche. I marchi VW e Mercedes vendono il
17% delle loro auto nuove nell’UE come veicoli puramente elettrici, mentre per BMW la
percentuale è del 22%. Le quote sono superiori alla media mondiale, ma inferiori alle ambizioni
iniziali. I produttori intendono contrastare questa tendenza con nuovi modelli. Le auto elettriche
attualmente disponibili non hanno riscosso successo presso molti clienti per motivi estetici e
tecnici. Mancano inoltre modelli economici che consentano di avvicinarsi alla mobilità elettrica.
Inoltre, lo sviluppo delle colonnine di ricarica è in ritardo, soprattutto nell’Europa orientale e
meridionale.

03.12. 2025
I beneficiari dei veicoli plug-in
Bruxelles intende ora consentire alternative alle auto elettriche dopo il 2035. Attualmente, i veicoli ibridi
plug-in stanno crescendo più rapidamente di qualsiasi altro tipo di propulsione, nonostante gli svantaggi.

Di J. Hanke Vela, O. Scheer, M. Scheppe
Se l’Unione Europea abolirà i motori a combustione interna, saranno soprattutto i produttori tedeschi a
trarne vantaggio. Mercedes, BMW, Volkswagen e Audi, infatti, raggiungono in Europa una quota di vendita
superiore alla media con veicoli ibridi e a combustione interna.

Angela Merkel ha scritto un voluminoso libro di memorie, sale regolarmente sul palco e interviene
persino nella politica, ad esempio criticando la linea del suo successore Friedrich Merz. Lo fa
perché le sta a cuore il Paese o per la sua immagine nella storia? E come mai le critiche al suo
mandato di cancelliera sono così forti, ma anche la nostalgia per il suo tono, per la sua persona?
Durante un’ora speciale su Stern avrò l’opportunità di intervistare dal vivo l’ex cancelliera. L’evento
di giovedì sera è già tutto esaurito (vedi: popolarità immutata).

STERN
10.12.2025
EDITORIALE

Quando gli terribili attentati terroristici dell’11 settembre 2001 colpirono l’America nel profondo, il giorno
dopo “Le Monde” titolava: “Nous sommes tous Américains”, siamo tutti americani.

A differenza dei precedenti documenti strategici USA, Mosca non è più menzionata come una
minaccia per l’Europa o l’Occidente. Gli esperti discutono se ci si trovi di fronte a un definitivo
“divorzio transatlantico” o se il partenariato stia semplicemente cambiando, evolvendo verso
un’Europa che in futuro agirà in modo più indipendente. Il documento dimostra chiaramente una
cosa: la base di valori comuni tra Europa e Stati Uniti si è ridotta.

STERN
10.12.2025
Quanto è pericolosa la strategia di sicurezza di
Trump per l’Europa?

Di Moritz Gathmann, corrispondente estero
Quando i presidenti degli Stati Uniti neoeletti pubblicano la loro “strategia di sicurezza nazionale”,
raramente ciò suscita scalpore al di fuori degli ambienti specialistici.

Dopo sette mesi in carica, Friedrich Merz è impopolare quanto lo era Olaf Scholz dopo due anni. I
cittadini non hanno molta fiducia in lui e nel suo governo, l’economia non decolla, il clima è
negativo. Ciononostante, Merz può ancora diventare un cancelliere importante. Proprio perché non
ha ancora affrontato seriamente nessuna grande riforma, non ne ha ancora fallita nessuna. Il 2025
è stato come un riscaldamento, che non è stato privo di incidenti e ha sollevato interrogativi sulla
formazione. Ma tutto è ancora possibile. Nella controversia sulle pensioni, Merz ha dimostrato per
la prima volta una leadership risoluta, almeno alla fine. Ha resistito, contro tutte le critiche. Inizierà
ora a governare davvero?

STERN
10.12.2025
Qualcun altro vuole mettersi contro di me?
Friedrich Merz ha mostrato per la prima volta fermezza nella controversia sulle pensioni. Vediamo fin
dove riuscirà ad arrivare.

Di Nico Fried e Veit Medick – Nico Friedha accompagnato il Cancelliere in Medio Oriente e lo ha trovato sorprendentemente
rilassato. Veit Medick, nel frattempo, ha avuto l’impressione che Friedrich Merz non dovrebbe sentirsi troppo sicuro di sé all’interno
dell’Unione.
Via di qui. Solo poche ore dopo il voto sul pacchetto pensionistico a Berlino, venerdì Friedrich Merz è volato
a Bruxelles.

La rete energetica ucraina raggiunge il punto di svolta finale mentre aumentano i timori: Kiev potrebbe trovarsi di fronte a un blackout totale_di Simplicius

La rete energetica ucraina raggiunge il punto di svolta finale mentre aumentano i timori: Kiev potrebbe trovarsi di fronte a un blackout totale

Simplicius16 dicembre
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Un altro giorno, un altro giro di guerra, allarmismo e propaganda da parte degli eurocrati in preda al panico che cercano disperatamente di insabbiare il crollo dell’Ucraina con la narrativa della “Russia che invade l’Europa”:

I “figli e le figlie” della Gran Bretagna devono essere pronti a combattere contro la Russia, ha affermato il maresciallo capo dell’aeronautica e capo di stato maggiore della difesa del Regno Unito, Richard Nayton, secondo quanto riportato da SkyNews.

Secondo lui, esiste il rischio di un attacco russo al Regno Unito ed è necessario informare la popolazione civile del Paese, “famiglie e nuclei familiari”, su come prepararsi a “una vasta gamma di minacce fisiche reali”.

“La situazione è più pericolosa di quanto abbia mai visto nella mia carriera”, ha affermato Nayton.

Alcuni dei tentativi più sfacciati stanno raggiungendo un livello di assurdità tale da risultare quasi inverosimile. Date un’occhiata a quest’ultimo e vedete se la testa non vi gira dalla sedia:

https://nypost.com/2025/12/10/world-news/russia-planned-bombings-on-us-bound-cargo-planes-poisoning-water-supplies-as-part-of-covert-war-against-europe-report/

Secondo un nuovo sconvolgente rapporto, la Russia ha impiegato sabotatori “gig worker” per compiere attacchi in tutta Europa, tra cui il tentativo di bombardare aerei cargo diretti negli Stati Uniti, far deragliare treni e persino avvelenare l’acqua fornita.

Un’analisi di una serie di attacchi ibridi e sabotaggi negabili, verificatisi in Europa negli ultimi anni, ha evidenziato l’esistenza di una rete di freelance impiegati da agenti russi per testare la vulnerabilità del continente alla guerra, hanno dichiarato gli esperti al Financial Times.

Keir Giles, esperto di Russia presso il think tank Chatham House, ha avvertito che gli attacchi resi pubblici sono solo la punta dell’iceberg, avvertendo i funzionari europei che gli incidenti non possono essere semplicemente liquidati come sabotaggi di singoli attori.

Non c’è nemmeno bisogno di esaminare le “prove” inesistenti per dedurre quanto questa storia sia piena di sciocchezze.

Il programma 60 Minutes della CBS ha realizzato un servizio completo sul riarmo e l’addestramento dell’esercito tedesco in vista della presunta guerra imminente che le élite desiderano ardentemente ordire. Guarda il video completo qui .

La TV tedesca ha addirittura iniziato a prendere in giro la cosiddetta imminente invasione della Germania da parte della Russia:

Parte del segmento su Rheinmetall e su quanto “fantastica” sia la situazione attuale dell’azienda:

Peccato che lo stesso non valga per il resto dell’industria tedesca:

https://archive.ph/EwdWa

Da martedì la Volkswagen interromperà la produzione di veicoli nel suo stabilimento di Dresda: sarà la prima volta nei suoi 88 anni di storia che la casa automobilistica chiuderà la produzione in Germania.

La chiusura della linea di produzione dello stabilimento avviene in un momento in cui il più grande produttore automobilistico europeo è sotto pressione in termini di liquidità a causa delle scarse vendite cinesi e della debole domanda in Europa, nonché dei dazi statunitensi che gravano sulle vendite in America.

La cabala europea ha addirittura tirato in ballo il nuovo capo dell’MI6 britannico ucraino , Blaise Metreweli, la cui discendenza diretta dai nazisti abbiamo trattato qui .

https://www.thetimes.com/uk/defence/article/britain-front-line-russia-putin-mi6-blaise-metreweli-d9l9w5lb8

Sembra che l’UE¹ si stia trasformando in una sorta di setta suicida matriarcale, come qualcosa uscito dall’universo di Dune . Almeno alcuni dei nostri superstiti più lucidi e sani di mente stanno iniziando ad avere la giusta idea:

L’ultimo circo di “negoziati” ha prodotto una “concessione” ucraina di non appartenenza alla NATO, ma ancora nessun ritiro delle truppe dal Donbass .

Zelensky: “Né de jure né de facto riconosceremo il Donbass come russo”

Stranamente, le voci secondo cui la Russia sarebbe favorevole all’adesione dell’Ucraina all’UE hanno suscitato alcune critiche da parte dei commentatori filorussi. Ma perché la Russia dovrebbe avere problemi con l’adesione dell’Ucraina all’UE? È uno scenario vantaggioso per tutti, dato che l’ammissione dell’Ucraina al decrepito blocco la condannerebbe una volta per tutte e sarebbe un netto svantaggio per tutti i soggetti coinvolti, ma un enorme vantaggio per la Russia.

Per concludere questa sezione, abbiamo un video molto appropriato di oggi in cui il traduttore di Zelensky ha apparentemente commesso un errore confondendo le parole “truppe” con la parola ucraina per “cadaveri”, che suona molto simile, lasciando Zelensky apparentemente ad annunciare che i cadaveri della NATO e dell’UE saranno allineati lungo la linea di demarcazione dopo il “cessate il fuoco”, una sorta di lapsus freudiano che è molto più accurato di quanto i suoi autori possano mai avere la chiarezza di realizzare:

Ironicamente, il tedesco Merz ha tentato di indurre la Russia ad accettare un contingente di truppe natalizie, disperatamente alla ricerca di un minimo di tregua per il deterioramento dell’AFU:

Il cancelliere tedesco Merz ha proposto alla Russia di dichiarare una tregua di Natale:

“Forse il governo russo ha ancora qualche residuo di umanità e lascerà la gente in pace per qualche giorno. Questo potrebbe essere l’inizio della pace.”

La notizia principale continua a essere quella dei devastanti attacchi della Russia alla rete energetica ucraina, che stanno iniziando a suscitare urgente attenzione nei principali centri di propaganda dei media tradizionali. Oggi dal WaPo:

https://www.washingtonpost.com/world/2025/12/15/ukraine-russia-electricity-energy-infrastructure-attacks/

Riepilogo:

Kiev e l’Ucraina orientale sono prossime a un’interruzione totale della corrente elettrica, riporta il Washington Post, citando alcune fonti.

“Siamo ormai a un passo da un’interruzione totale della corrente elettrica a Kiev”, ha affermato una persona a conoscenza della situazione della crisi energetica.

I sistemi di trasmissione dell’elettricità da ovest, dove attualmente si concentra la produzione, verso est sono a rischio di guasto, il che minaccia di dividere il Paese in due parti.

“Se non siamo sull’orlo di” un’interruzione totale della corrente elettrica nella parte orientale del paese, “siamo comunque molto vicini ad essa”, ha affermato un alto diplomatico europeo.

Il Cremlino sta anche “perseguendo una strategia diversa di creazione di isole [energetiche]”, in modo che le singole regioni “siano tagliate fuori da qualsiasi produzione e fornitura di elettricità, nonché dall’attuale sistema di trasmissione”.

Gli esperti non sono stati in grado di prevedere quanti attacchi sarebbero stati necessari alla Russia per portare la situazione a questo punto. Anche la difesa aerea ucraina è indebolita, il che potrebbe complicare la protezione del resto del sistema energetico.

Il tono appare un po’ più serio rispetto all’inverno del 2024: leggi qui sotto la parte sottolineata dell’articolo:

Il Washington Post ammette poi che la richiesta di cessate il fuoco di Zelensky in materia di energia è stata un ultimo disperato tentativo per scongiurare il collasso energetico totale:

Una soluzione proposta da Kiev potrebbe essere un cessate il fuoco energetico, in base al quale la Russia cesserebbe i suoi attacchi alle infrastrutture energetiche e l’Ucraina porrebbe fine ai suoi attacchi a lungo raggio alle infrastrutture russe di petrolio e gas. Giovedì e venerdì, i servizi di sicurezza ucraini hanno dichiarato che droni ucraini hanno attaccato e bloccato una piattaforma petrolifera russa nel Mar Caspio.

Se non fosse che ultimamente gli attacchi al petrolio e al gas russi sono diminuiti e non sembrano causare la benché remota costernazione al fiorente settore energetico russo, allora perché la Russia dovrebbe assecondare una richiesta così insignificante?

“Stiamo reagendo il più velocemente possibile, ma la situazione sta diventando sempre più difficile”, ha affermato Maxim Timchenko, CEO di DTEK, la più grande azienda energetica privata dell’Ucraina. “Abbiamo perso una parte significativa della nostra capacità. Un obiettivo chiave ora è trovare apparecchiature sostitutive in diverse parti d’Europa, che possiamo consegnare rapidamente in Ucraina. I componenti più importanti sono trasformatori e compressori di gas”.

La domanda più importante a questo punto per l’Ucraina in generale è: quanto dell’attuale “status quo” è un “bias di normalità” terminale, in cui le cose sembrano funzionare finché un improvviso e totale collasso sistemico non fa semplicemente precipitare la situazione fuori controllo da un giorno all’altro?

L’unica domanda è se la Russia voglia provocare un simile “collasso totale” della rete elettrica ucraina, o semplicemente portare la rete al limite estremo, come abbiamo già ipotizzato, per avere una sorta di giudizio finale che incombe sull’Ucraina e che può essere utilizzato rapidamente in qualsiasi momento, se necessario.

Lo stesso Zelensky ha ammesso oggi che non una sola centrale elettrica nel Paese è rimasta immune dagli attacchi russi, un fatto alquanto sconvolgente se ci si pensa:

Dal ‘Presidente dell’Unione dei consumatori di servizi di pubblica utilità dell’Ucraina’:

️ Kiev si sta preparando a massicce interruzioni di corrente che possono durare fino a 20-22 ore al giorno durante le temperature gelide

Il presidente dell’Unione dei consumatori dei servizi di pubblica utilità, Popenko, ha avvertito che entro una o due settimane, con temperature previste intorno ai -5°C, i residenti di Kiev potrebbero rimanere senza elettricità per 20-22 ore al giorno.

Le interruzioni di corrente nella capitale raggiungono già le 16 ore, anche a temperature superiori allo zero. L’Ucraina è prossima a un blackout quasi totale a Kiev e nella parte orientale del Paese, scrive il Washington Post.

Ascolta attentamente qui sotto:

Odessa e altre regioni non sembrano molto lontane:

E ora ci sono notizie secondo cui la Russia starebbe preparando un nuovo massiccio attacco energetico per domani notte, mentre i bombardieri Tu-95 che trasportano missili Kh-101 sarebbero nelle fasi finali di preparazione.

Passiamo ora ad alcuni aggiornamenti in prima linea.

La notizia più importante arriva ancora una volta da Gulyaipole, dove le truppe russe hanno superato il centro che avevano raggiunto l’ultima volta e ora sembrano aver preso d’assalto l’ultima parte occidentale della città, dall’altra parte del fiume Haichur:

Ma in tutta onestà, la storia ancora più importante è come le truppe russe abbiano già superato la MSR di Gulyaipole e la linea difensiva, e si stiano spingendo verso ovest verso la linea successiva, come riportato dalle mappe di Suriyak :

Rapporto sull’assalto e la cattura di Varvarivka, visibile nella mappa sottostante, appena a nord di Gulyaipole:

In una prospettiva più ampia, possiamo vedere che le truppe russe hanno già oltrepassato la principale linea logistica vitale Pokrovske-Gulyaipole e si stanno dirigendo verso quella Orokhov-Novomykolaivka:

Lo spazio tra i due è semplicemente un altro spazio vuoto pieno di campi che probabilmente verrà ricoperto molto rapidamente, proprio come lo era lo spazio precedente tra i fiumi Yanchur e Haichur.

Non sorprendetevi se nel giro di un paio di mesi o meno l’intera area evidenziata in blu verrà spazzata via dal colosso russo:

Per riferimento, i due piccoli cerchi gialli sopra (che rappresentano i villaggi di Sosnivka e Temyrivka) sono stati catturati nell’agosto e nel settembre del 2025. Ciò significa che in circa tre mesi, le forze russe hanno attraversato quello spazio morto verso l’attuale linea del fiume Haichur, che è già stata violata. In effetti, Komar, che potete vedere appena a est dei cerchi gialli, è stata catturata a giugno, quindi potete vedere che ogni tre mesi circa le forze russe si espandono verso ovest a un ritmo simile.

Tuttavia, il ritmo è ora molto più veloce e sembra accelerare, il che significa che non è escluso che l’area evidenziata in blu possa essere occupata in un periodo compreso tra uno e mezzo e due mesi, o anche meno.

A questo ritmo, la città di Zaporozhye verrebbe raggiunta in nove mesi o meno. E una volta raggiunto questo obiettivo, si aprirebbero possibilità interessanti. Una volta avevo scritto di come la città di Zaporozhye potesse rappresentare uno dei pochi punti di accesso affidabili per la Russia attraverso il Dnepr, dato che dispone di diversi ponti robusti e di una diga stradale che permetterebbe alle truppe russe di attraversare il fiume, facilitando l’occupazione della riva occidentale del Dnepr e portando alla cattura di Nikolaev e Odessa.

L’ultimo importante aggiornamento che tratteremo mostrerà la rapidità con cui le truppe russe non solo hanno conquistato Seversk, ma l’hanno anche aggirata molto più a ovest:

Direzione Seversk . L’esercito russo avanzava “sulle spalle” del nemico in fuga, quindi le Forze Armate ucraine furono rapidamente respinte dalla cava di gesso sul lato di Svyato-Pokrovsky, e le nostre truppe entrarono a Reznikovka fin dall’inizio, dove iniziarono i combattimenti. Qui, lungo il fiume Sukhaya, si può attraversare a piedi i villaggi di Reznikovka e Kaleniki per raggiungere Rai-Aleksandrovka.

Ricordiamo che Seversk è stata presa in una sola settimana, e la sua cattura definitiva è avvenuta appena due giorni fa. Ora guardate quanto le truppe russe stanno già avanzando oltre i confini occidentali della città.

Se questo è un segno della mancanza di difese dell’ambiente dopo la caduta della fortificata Seversk, allora dipinge sicuramente un quadro desolante per l’Ucraina, perché tra questa zona e Slavyansk non c’è altro che terreni agricoli deserti con a malapena un paio di piccoli villaggi sparsi intorno:

Ecco come si presentano oggi l’autostrada e la linea di rifornimento ucraina tra Izyum e Slavyansk.

Detto questo, il comando russo in questa regione è stato a lungo criticato per la sua inadeguatezza, quindi dobbiamo aspettare e vedere quanto successo avranno nell’avanzare oltre le rovine della roccaforte verso un territorio più favorevole.

Un ultimo video per concludere il reportage.

L’ambasciatore russo nel Regno Unito, Andrey Kelin, respinge candidamente tutta la farsa dei “piani” e degli “accordi” e afferma senza mezzi termini che, a questo punto, alla Russia serve solo la resa completa dell’Ucraina:


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