SITREP 9/20/23: Attriti e disordini, di Simplicius The Thinker

NB_I video mancanti sono comunque disponibili nel link originale

https://simplicius76.substack.com/p/sitrep-92023-friction-and-turmoil?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=137203989&utm_campaign=email-post-title&isFreemail=false&r=9fiuo&utm_medium=email

SITREP 9/20/23: Attriti e disordini

di Simplicius The Thinker

Dato che sono un appassionato di approfondimenti e seguirò sempre le questioni importanti man mano che si sviluppano, ho voluto iniziare con la continuazione di una linea precedente. In uno degli ultimi rapporti abbiamo parlato delle potenziali mobilitazioni da entrambe le parti, dei numeri delle truppe e di come ciò si colleghi ai prossimi sviluppi del conflitto nel futuro a medio termine.

Ho riferito che vi erano nuove indicazioni secondo cui la forza russa di 300.000 uomini, recentemente reclutata, sarebbe stata utilizzata per ruotare le truppe precedentemente mobilitate a partire da settembre-ottobre del 2022.

Tuttavia, il presidente della Duma di Stato Andrey Kartapolov ha messo a tacere le speculazioni con un nuovo decreto che afferma direttamente che le truppe precedentemente mobilitate non saranno “smobilitate” come pensavo, e che il loro mandato terminerà solo con la fine della SMO stessa:

Torneranno a casa dopo aver completato un’operazione militare speciale. Non è prevista alcuna rotazione. Hanno diritto a ferie per ogni sei mesi di servizio, e ora vanno in ferie”, ha detto il deputato.
Tuttavia, si continua a dichiarare che i nuovi reclutati saranno utilizzati per le rotazioni in corso di tipo normale, come i feriti, eccetera, ma semplicemente che i 300 mila mobilitati dall’anno scorso non saranno smobilitati in massa fino alla fine della guerra.

Questa è una buona notizia, perché significa che la Russia sta costruendo le sue forze. È interessante notare che, a questo proposito, il generale Milley ha rilasciato una nuova dichiarazione in cui fa riferimento al fatto che la Russia ha 200.000 o “più di 200.000” truppe in Ucraina. Ancora una volta ricordiamo che ho ripetutamente ribadito che la Russia sta usando molte meno truppe di quanto si sia portati a credere. Se ora hanno solo più di 200.000 uomini in Ucraina dopo mobilitazioni di massa e centinaia di migliaia di nuovi arruolamenti, immaginate cosa avevano all’inizio? Per questo motivo rimango fedele a quanto ho riferito, ovvero che la Russia ha utilizzato solo 70-80 mila uomini nelle fasi iniziali della SMO, e non molto di più anche al momento dell’anniversario del primo anno.

In definitiva, però, potrebbe esserci un inganno deliberato da parte della Duma russa, che potrebbe non voler rivelare completamente i propri piani di guerra futuri. Quindi, per quanto ne sappiamo, è possibile che stiano costruendo i nuovi reclutati per un grande pugno d’attacco, mentre per ora li sminuiscono come una sorta di riserve.

Proseguendo, l’altro grande argomento per il quale abbiamo un aggiornamento sono le perdite ucraine. La notizia bomba di ieri è arrivata dal capo del commissariato militare della regione di Poltava:

\Le perdite del rifornimento delle Forze Armate dell’Ucraina dello scorso anno ammontano al 90% – commissario militare di PoltavaQuesto riconoscimento è stato fatto dal capo facente funzioni del TCC regionale di Poltava, il tenente colonnello delle Forze Armate dell’Ucraina Vitaly Berezhnoy.

Quindi, sta dicendo che circa il 90% di tutti i soldati reclutati in tutta la sua grande regione sono diventati vittime. Come ho scritto ieri nella mailbag, alcuni hanno fatto un calcolo a ritroso per ottenere una cifra teorica di 400.000 persone estrapolata per l’intera AFU:

Quindi se l’Ucraina ha mobilitato 700.000 persone e ha un esercito di 300.000, per un totale di 1.000.000 Si possono prevedere perdite di circa 800.000: – di cui 400.000 sarebbero feriti, circa la metà può tornare – 400.000 uccisi
Secondo notizie non verificate, Zelensky si sarebbe “indignato” e avrebbe chiesto il licenziamento del commissario di Poltava.

Inoltre, un combattente ucraino ha pubblicato la conferma delle cifre di Poltava dalla sua stessa unità, sul suo conto:

Dice anche che alcune divisioni hanno cifre di perdite ancora peggiori. Quanto si può fare peggio di un tasso di perdite dell’80-90%?

Il fatto è che sta diventando sempre più chiaro che alcune delle peggiori e più estreme previsioni sulle perdite ucraine potrebbero in effetti essere vere. Questo si estende a cose come la cattura di prigionieri di guerra, ad esempio con il nuovo rapporto di ieri secondo cui già 3.500 soldati dell’AFU si sono arresi dal lancio del nuovo progetto russo di avere una speciale “frequenza di resa” su tutti i canali radio dove gli ucraini possono comporre e arrendersi in modo sicuro alle forze russe:

Dal lancio del progetto Volga, in cui le Forze armate ucraine sono invitate a collegarsi alla frequenza 149.200 per arrendersi, poco più di 3.500 soldati e ufficiali nemici si sono arresi volontariamente. Di fatto, un’intera brigata di “controffensiva”.
Il problema è che questo progetto ha solo pochi mesi di vita. Ciò significa che 3.500 si sono arresi solo da luglio o giù di lì, quando credo sia stato lanciato. Questo spiegherebbe l’improvvisa impennata a 18.000 prigionieri di guerra totali, poiché il nuovo canale radio ha reso molto conveniente per l’AFU arrendersi in modo sicuro, il che era classicamente una delle principali barriere che impedivano la loro resa. Temevano che uscendo in campo aperto, ecc. sarebbero stati colpiti da cecchini nervosi o da chiunque non avesse visto la loro bandiera bianca improvvisata.

Ma il nuovo canale permette loro di coordinare completamente la resa con le forze russe avversarie, che danno loro istruzioni su dove e come farlo e poi informano tutti gli amici vicini di non sparare sulle truppe ucraine. Lo si può vedere in questo video, girato proprio nel momento in cui è stato lanciato il canale radio:

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La cosa interessante è che in questo periodo abbiamo assistito a un enorme aumento di video di arrese “di massa”, sotto forma di interi gruppi di truppe. Solo ieri e oggi, per esempio:

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E anche nel momento in cui scriviamo, è arrivato un video nuovo di zecca con la didascalia specifica che questo gruppo di soldati ucraini ha usato il canale speciale “Volga” per arrendersi alle forze russe:

Un nuovo “partito” di militanti delle Forze armate ucraine si è arreso alla DPRIl filmato mostra ucraini mobilitati che sono “stanchi di combattere”. Per farlo, hanno utilizzato uno speciale canale radio russo aperto.Ricordiamo che a metà luglio è stata chiamata la frequenza 149.200: su di essa, ogni ucraino che decide di arrendersi può andare in onda e chiamare il nominativo “Volga”.
Purtroppo, a questo punto le truppe ucraine vengono solo falciate. Un mese o due fa abbiamo visto che hanno iniziato a passare a tattiche di “assalto alla carne”, perché la loro armatura aveva iniziato a scarseggiare in modo scomodo. Ora ci sono numerose prove di questo, sotto forma di video che mostrano truppe ucraine a piedi che attraversano semplicemente i campi aperti, o che al massimo usano i loro veicoli leggeri di mobilità rimasti:

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Guardate il video qui sopra, vedete come le truppe dell’AFU erano ammassate nelle strisce erbose tra i campi? Ora, guardate il video qui sotto che mostra la vista da terra di un soldato dell’AFU che barcolla nella desolazione. Si tratta di un video imperdibile che mostra quanto l’AFU stia pagando per ogni centimetro quadrato dei suoi assalti alla carne:

 

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C’è anche questo rapporto che sembra sottolineare il calo delle armature:

Ecco una piccola ma curiosa notizia. Le Forze armate ucraine hanno annunciato il cambio di nome e quindi la trasformazione della 92ª Brigata meccanizzata nella 92ª Brigata d’assalto. Cosa significa tutto questo? La Brigata meccanizzata è composta da quattro compagnie meccanizzate equipaggiate con veicoli blindati pesanti di supporto. Una Brigata d’assalto ha solo due compagnie meccanizzate e altre due di fanteria veterana senza corazzatura. Questo dimostra che la disponibilità di veicoli corazzati da parte ucraina sta effettivamente diminuendo in modo significativo.
E qui c’è una buona descrizione recente della nuova tattica che l’Ucraina sta utilizzando nell’area di Rabotino:

Gli ucraini e i loro supervisori hanno capito che ora siamo di fronte a una guerra di trincea e di fanteria, e quindi stanno usando sempre più munizioni a grappolo. Secondo le mie sensazioni, ora vengono utilizzate due munizioni a grappolo per ogni munizione a frammentazione ad alto esplosivo. I blocchi di gomma da masticare si stanno precipitando verso Novoprokopovka. Di conseguenza, la loro progressione si presenta così: per diversi giorni stirano le trincee con l’artiglieria, mentre si accumulano in piccoli gruppi nei sotterranei di Rabochino. All’ora stabilita, corrono all’assalto a piedi. Se l’assalto all’opornik (punto di forza) successivo fallisce, tutto si ripete di nuovo e così via finché lo sbarco non viene cancellato dalla faccia della terra”.
Con anche questo corollario:

Nonostante tutte le critiche, la linea Surovikin svolge ancora il suo compito. Sì, gli ucraini l’hanno raggiunta nella zona di Verbovoye, ma l’hanno presa d’assalto a piedi. I veicoli blindati non hanno sfondato, il che significa che anche dopo la perdita delle prime linee, i “denti di drago” continuano a svolgere la loro funzione.
Quando i veicoli blindati sono diventati un elemento ausiliario sul campo di battaglia, la fanteria, l’artiglieria, i droni e la guerra elettronica sono saliti alla ribalta. Chi realizza la costruzione corretta in questo quadrato otterrà un vantaggio sul campo di battaglia nel prossimo futuro.
Come corollario, ho trovato interessante questa statistica, anche se non sono certo che sia vera:

Durante l’intera battaglia di Kursk, la parte sovietica ha utilizzato 400 mila mine. Ora, solo tra Pyatikhatki e Gulyai – Pole – questo è principalmente il sito di Rabochino – Verbovoe – la nostra squadra ha messo 480 mila mine e questa cifra continua a crescere! Si è notato che anche nelle loro profonde retrovie, l’APU, quando avanza verso la linea del fronte, si imbatte spesso nelle nostre mine, nelle quali hanno effettuato dei passaggi già a giugno.
È probabile, però, che sia vero, viste le capacità su scala industriale che la Russia possiede ora nel posare le mine con le capacità di sminamento automatico RAAM e FASCAM, che spargono centinaia di mine alla volta dopo essere state sparate dall’artiglieria tubolare.

Come ultimo accenno al tema delle perdite, nella mailbag di ieri avevo parlato di forze partigiane e mercenari. Ora i mercenari britannici stanno fuggendo dall’Ucraina perché sono terrorizzati per la loro vita a causa del recente aumento di mercenari uccisi in modo extragiudiziale, o meglio assassinati dal loro stesso popolo:

Leggete quello che dice sopra: “Finirò per morire se continuo”.

Il gruppo sta ricevendo un duro contraccolpo per aver portato alla luce le recenti uccisioni di mercenari nelle retrovie, come gli altri mercenari britannici trovati morti con le mani legate dietro la schiena.

Il video fa riferimento a un altro mercenario di nome Macer Gifford, che ne parla qui sotto ed esprime anch’egli il desiderio di andarsene:

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Ed ecco il notiziario britannico sui mercenari morti recentemente ritrovati, in cui si ammette che la Russia probabilmente non è il colpevole:

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Anche un mercenario polacco ha riferito quanto siano sconcertanti le perdite da parte dell’AFU:

Cosa sta guadagnando l’Ucraina in tutto questo massacro? Non c’è stato praticamente alcun progresso: gli insediamenti che dicono di aver “catturato”, come Klescheyevka, rimangono in realtà nella zona grigia e nessuna delle due parti può entrarvi. In effetti, sorprendentemente, anche gli insediamenti “catturati” – come è effettivamente ora – mesi fa, come Staryomayorsk e Urozhayne, non sono nemmeno controllati dall’Ucraina. Continuano a essere per lo più zone grigie, con piccoli gruppi che entrano da nord e vengono poi cacciati dall’artiglieria.

È una prova di ciò che la Russia ha detto all’inizio: le guerre di artiglieria hanno semplicemente raso al suolo tutti questi luoghi (che includono Klescheyevka, Andreevka, ecc.), consentendo ora a entrambe le parti di occuparli ulteriormente, perché semplicemente non ci sono più oggetti dietro cui ripararsi.

Le nuove riprese del drone di Klescheyevka confutano la pretesa dell’Ucraina di controllarla, poiché mostrano una landa desolata senza truppe di nessuna delle due parti che la occupano:

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Infine, ci sono voci come la seguente. Ma prendetele con le molle:

Mobilitazione generale in cambio di armi e rifiuto delle elezioniUn’interessante versione dei piani di Zelensky per una visita negli Stati Uniti da parte del deputato popolare Dubinsky è stata pubblicata dal canale ucraino ZeRada.Secondo il deputato popolare, Zelensky riceverà armi e smetterà di insistere sulle elezioni obbligatorie del prossimo anno in cambio di una mobilitazione totale e dell’invio di tutti al fronte – dalle donne e gli adolescenti ai disabili e agli anziani.Fino all’ultimo…
D’altra parte, nel teatro del Mar Nero e della Crimea, l’Ucraina ha ottenuto qualche risultato che le permette di mantenere a galla la sua guerra dell’informazione. Non si tratta ovviamente di una coincidenza, ma piuttosto del fatto che, a causa del fallimento dell’offensiva, l’Ucraina è stata costretta a riorientare le risorse verso qualcosa di nuovo che le garantisse “punti vittoria” sui media.

Questo ha portato a una nuova campagna su larga scala contro la Crimea, che include le recenti incursioni su piattaforme petrolifere abbandonate che l’Ucraina sta cercando di utilizzare come aree di sosta per le unità DRG per tentare incursioni notturne sulle coste della Crimea. Si sostiene che queste unità stiano anche cercando di sorvegliare le difese della Crimea, come un lanciatore russo S-300 che sarebbe stato colpito a Yevpatoria.

Ora hanno preso di mira i cantieri navali di Sebastopoli, colpendo la nave da sbarco russa di classe Ropucha e forse il sottomarino diesel di classe Kilo. Dico forse perché le foto “trapelate” del sottomarino sembrano essere potenzialmente false in quanto:

non corrispondono alle riprese satellitari
sono state “trapelate” / postate per la prima volta da account ucraini
sono stranamente pixelate/censurate quando le riprese video trapelate della nave proprio accanto al sottomarino erano chiare e non censurate
non ci sono filmati satellitari successivi che mostrino una distruzione più chiara, quando invece c’è stata in ogni altro colpo, come per l’Il-76, ecc.
hanno anche affermato che la nave da pattugliamento russa Sergey Kotov è stata colpita da droni navali e completamente affondata, ma si è rivelato un falso, indicando una campagna di informazione coordinata dall’Ucraina
Molti stanno facendo un gran parlare di questi attacchi, usandoli per mettere insieme una narrazione secondo cui l’Ucraina sta guadagnando forza nelle sue capacità di attacco e sta “assottigliando” le difese della Russia, degradando la sua capacità di proteggere la Crimea, e che tutto questo porterà all’abbandono e alla riconquista della Crimea.

Ma si tratta di un’ingegnosa opera di ingegneria narrativa da parte dell’Ucraina. La maggior parte dei singoli pezzi non è correlata. Per esempio, l’attacco agli S-300 di Yevpatoria ha poco a che fare con la capacità dell’Ucraina di colpire Sebastopoli a 70 km di distanza, dato che un’unità radar a quella distanza non può nemmeno vedere un bersaglio che si muove in mare o a bassa quota.

Né gli attacchi all’impianto di riparazione di Sebastopoli sono necessariamente indicativi di nuove capacità. Proprio come gli attacchi alla lontana base aerea russa di Pskov, completamente estranea alla SMO, l’Ucraina sta prendendo di mira aree più vulnerabili e potenzialmente trascurate per fare colpo.

Per esempio, nelle vicinanze di Sebastopoli ci sono interi ormeggi pieni delle più potenti, costose e avanzate navi russe. Perché non hanno potuto colpire e distruggere quelle? Invece sono stati costretti a colpire un bacino di riparazione che ospitava due navi già fuori servizio, che in effetti erano lì ferme da mesi. È la stessa argomentazione che ho fatto in precedenza sul fatto che la Russia ha interi campi d’aviazione pieni di jet di prima linea, elicotteri Ka-52, ecc. e che l’Ucraina non è stata in grado di toccarli, affidandosi invece ad attacchi furtivi che producono fanfare su aree trascurate e insignificanti nelle retrovie.

Detto questo, anche se si trattava solo di una vecchia nave da sbarco che non serve alle SMO, è comunque un colpo doloroso, soprattutto se è vero che anche il sottomarino è stato colpito o distrutto. Naturalmente, il Ministero della Difesa russo ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui si afferma che entrambe le navi saranno riparate, ma alcuni esperti ritengono che ciò sia improbabile visti i danni potenziali. Dovremo aspettare e vedere, ma dato che entrambi i vascelli erano già fuori servizio, non è che la capacità della Russia sia stata ridotta nel breve termine.

L’unica domanda da porsi sarà se la Russia riuscirà a colmare le lacune che hanno permesso a questi (secondo quanto riferito) 3 Storm Shadows di aggirare la rete. Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che erano 10 in totale e che 7 sono stati abbattuti, quindi è possibile che si sia trattato di un attacco di saturazione che ha sopraffatto le difese aeree. Va ricordato che se fosse stato così facile per l’Ucraina, l’avrebbe ripetuto di nuovo e avrebbe messo fuori uso tutte le navi russe a Sebastopoli. Il fatto che siano riusciti a farlo solo una volta mi indica che si tratta di un’azione pianificata a lungo e che sono in grado di portare a termine solo una volta ogni tanto.

In generale, possiamo concludere che, sebbene questi attacchi diano l’apparenza di forza e di “successo” di qualche tipo, seguono un tema comune, quello di colpire oggetti abbandonati o derelitti con scarse connessioni con le SMO, il che dimostra solo la debolezza e la disperazione dell’Ucraina nel creare vittorie mediatiche. Dal colpire i grattacieli di Mosca agli aerei da trasporto vuoti da qualche parte vicino al Golfo di Finlandia, fino a colpire navi in avaria ferme in un’officina di riparazione, nessuno di questi attacchi costituisce un vero e proprio attacco decisivo o dannoso alle capacità militari russe attive. Questo è il risultato più importante e la linea di fondo.

Nel frattempo, Shoigu ha concluso i negoziati con Kim:

E si è già spostato rapidamente in Iran, per incontrare il ministero della Difesa iraniano:

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Ci si aspetta che vengano firmate cose importanti. La voce più significativa dei colloqui con la Corea del Nord è che la Russia potrebbe aver concluso accordi per ottenere oltre 10 milioni di proiettili d’artiglieria da 122 e 152 mm dalla Corea del Nord. Se anche solo lontanamente vero, si tratta di un numero significativo che rappresenta un utilizzo di granate per 1-3 anni, a seconda dell’intensità. Sparare 30.000 proiettili al giorno equivale a poco più di 10 milioni all’anno.

Un aumento così massiccio di granate – se vero – potrebbe dare alla Russia abbastanza per lanciare comodamente un’offensiva massiccia in futuro senza preoccuparsi di attingere alle riserve di emergenza. Ricordate quello che ho detto molte volte in precedenza: una debolezza è che la Russia deve sempre mantenere una grande riserva di proiettili per l’eventualità che la NATO lanci una sorta di attacco furtivo e scoppi una guerra su larga scala. Ciò significa che la Russia potrebbe avere diversi milioni di proiettili come riserva di emergenza che non può toccare dal punto di vista dottrinale.

Per quel che vale, il capo dell’SBU Budanov ha detto che la Russia ha già iniziato a ricevere le spedizioni:

Si parla anche di un potenziale acquisto di MLR e sistemi di artiglieria nordcoreani a lungo raggio, ma questo è tutto da vedere.

La Corea del Nord fornirà alle Forze armate russe circa 10 milioni di proiettili di calibro 122 e 155 mm”, spiega l’analista politico Yuri Baranchik. “Diverse fonti riferiscono inoltre che la Repubblica Democratica Popolare di Corea fornirà a Mosca un sistema MLRS moderno e potente come il KN-09″. Ricordo che il sistema KN-25 è stato introdotto da Pyongyang nel 2019 e vanta una gittata di oltre 400 km. È una sorta di versione migliorata dell’HIMARS”, ha detto Baranchik.

***

Poi volevo parlare brevemente dei frenetici eventi geopolitici che si stanno verificando in questo momento.

Non solo sono ricominciate le ostilità nel Nagorno-Karabakh, ma si sta riunendo un’importante assemblea generale delle Nazioni Unite, dove Zelensky è volato a New York per presentare quello che potrebbe essere uno dei suoi ultimi grandi casi di sostegno.

L’incontro delle Nazioni Unite si svolge all’ombra delle escalation ucraine sul grano, che hanno visto Polonia, Ungheria e Slovacchia bandire il grano ucraino, dando il via a un’azione legale da parte dell’Ucraina stessa.

Ora non corre buon sangue e la pazienza della Polonia si è un po’ esaurita, tanto che la Polonia ha cancellato il previsto incontro con Zelensky all’assemblea delle Nazioni Unite:

E il presidente polacco ha rilasciato con amarezza questa brutta dichiarazione sull’Ucraina:

Presidente polacco “Una persona che sta annegando è estremamente pericolosa perché può trascinarti negli abissi. Può far annegare il soccorritore. L’Ucraina si sta comportando come un annegato che si aggrappa a tutto ciò che può, ma noi abbiamo il diritto di difenderci dal male che ci viene fatto”.
In effetti, l’Ucraina è stata sottoposta a numerosi attacchi in questo momento di crisi. Il presidente della Camera McCarthy sta bloccando ulteriori aiuti, chiedendo a condizione di ottenere prima una verifica personale da parte di Zelensky sulla destinazione dei dollari americani:

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Due cose sul video qui sopra:

In primo luogo, è probabile che McCarthy voglia dare l’immagine di “mettere gli americani al primo posto” prima del proverbiale assegno in bianco all’Ucraina.

Ma anche così, nella remota possibilità che quanto sopra abbia anche solo un briciolo di genuinità, dirò che questa è una perfetta illustrazione di ciò che intendevo quando ho spiegato nella serie mailbag perché l’Ucraina è costretta ad andare sempre avanti, anche a costo di un massacro di massa. Perché nel momento in cui smettono di fornire ai loro sponsor l’illusione o la percezione del successo e del trionfo, i rappresentanti di ciascun Paese inizieranno a chiedersi “dove stanno andando i loro soldi”, mentre la pazienza dei loro elettori si affloscia.

Al di là di questo, il compito di Zelensky è quello di rinnovare il più possibile il sostegno agli armamenti, e parallelamente ci sono stati rapporti su alcune delle nuove spedizioni, che includono i Leopard 1 tedeschi. Purtroppo, ci sono già problemi in paradiso, poiché un nuovo rapporto sostiene che l’Ucraina ha rifiutato il primo lotto di Leopard perché nessuno di essi funzionava… è quasi troppo comico per essere reale:

Tre importanti ammissioni che aprono gli occhi in questa sola nota:

1. Ricordate che per mesi ho riferito di come la Germania stesse accelerando e velocizzando una piccola spedizione di emergenza di Leopard 1 a luglio, al fine di colmare le lacune dovute all’imprevista distruzione delle principali unità corazzate ucraine durante le fasi iniziali della “controffensiva”. A quanto pare, stando a quanto riportato sopra, anche quella spedizione d’emergenza è risultata inutile.

2. Ammettono che l’Ucraina non è in grado di riparare o di mantenere queste attrezzature, quindi suppongo che si tratti di una cosa usa e getta, come uno di quegli RPG che si buttano via dopo, o forse, per essere ancora più precisi, come la carta igienica.

3. Il motivo per cui quanto sopra è più importante di quanto sembri è la prossima folle ammissione: si afferma che l’attuale lotto di carri armati è defunto semplicemente a causa dello sforzo sperimentato durante l’addestramento leggero per il quale sono stati utilizzati. Mettete insieme le due idee: da un lato i carri armati sono inutilizzabili e si rompono dopo un uso leggero, dall’altro l’Ucraina ammette di non avere alcuna capacità di mantenere o riparare questi carri armati…

Cosa rimane?

In breve, si tratta di un fiasco completo, che va a sostegno della mia affermazione secondo cui queste ultime misure provvisorie non sono altro che tentativi di propaganda in fase terminale di pura disperazione. Lo stesso vale per gli ATACM, gli F-16, ecc.

Ma questo non impedisce a Zelensky non solo di elemosinare di più, ma anche di usare con insincerità la tattica della paura, sostenendo che la Russia mira a conquistare tutta l’Europa. Ascoltate qui le sue risposte quando il conduttore chiede quanto denaro ci vorrà ancora?

Inoltre, afferma che l’Ucraina non può fermare l’offensiva nemmeno per Rasputitsa, che sta già iniziando. Questo perché teme che il sostegno degli alleati inizi a diminuire, come sembra stia già accadendo, il che è esattamente ciò su cui ho insistito:

Alla luce di tutti questi scongiuri, l’ultimo pacchetto americano è stato notato come 17 volte più piccolo dei precedenti fondi di assistenza:

Nel 46° pacchetto di aiuti militari all’Ucraina del 6 settembre, gli Stati Uniti hanno incluso armi ed equipaggiamenti militari per un valore di soli 175 milioni di dollari. Si tratta di una cifra 17 volte inferiore al più grande al momento, il 29° pacchetto di aiuti militari, che è stato annunciato il 6 gennaio 2023.È inoltre degno di nota il fatto che alla fine del primo mese dell’offensiva, le Forze Armate statunitensi hanno dovuto spendere più di 2 miliardi di dollari non previsti. Dopo le prime perdite significative nelle direzioni di Zaporizhia e Donetsk Sud, le Forze Armate ucraine hanno avuto bisogno di un sostanzioso risarcimento per le attrezzature e gli equipaggiamenti militari persi, per il quale gli Stati Uniti hanno stanziato un totale di oltre 2 miliardi di dollari in quattro tranche – il 13 e il 27 giugno, e il 7 e il 25 luglio. Una parte significativa di queste somme è stata spesa per ulteriori forniture di veicoli da combattimento di fanteria M2 Bradley e di veicoli corazzati Stryker. (Cronaca militare del TG)

***

Probabilmente commenterò più approfonditamente la situazione dell’Armenia in un’altra occasione, poiché non volevo che questo post diventasse troppo lungo dopo il precedente iper-lungo. Per ora mi limiterò a dire che la situazione è molto complessa e che ci sono chiare provocazioni contro la Russia da parte armena, come la seguente folla pagata che canta epiteti russi sgradevoli verso Lavrov e Putin:

Tutti ormai sanno che non ci si può fidare di Pashinyan:

Sembra sempre più che le provocazioni siano una campagna deliberatamente orchestrata da Pashinyan e dai suoi collaboratori della CIA per spingere la Russia fuori dall’Armenia, dopo aver incolpato la Russia del crollo della pace. In questo modo gli Stati Uniti possono intervenire e offrire una risoluzione, per poi iniziare una nuova gestione americana della regione e iniziare ad attivare questo fianco contro la Russia.

Ciò è evidente dal fatto che anche nei giorni e nelle settimane precedenti a oggi sono aumentate le “provocazioni” contro le truppe di pace russe, come questa della scorsa settimana:

Tali provocazioni non avvengono mai “organicamente”, ma sono sforzi coordinati da ONG e agenzie di intelligence in ogni caso.

Ora è chiaro che gli Stati Uniti stanno cercando di “attivare” tutte le regioni intorno alla Russia per destabilizzarla il più possibile, come sforzo continuo per indebolire la campagna ucraina. Questo segue altri annunci di questo tipo:

E fa seguito ai crescenti attacchi alle forze russe e alle forze alleate della Russia in tutto il mondo, dalla Siria all’Africa. Tra questi, i recenti attacchi che hanno ucciso i soldati di Wagner, dopo le notizie secondo cui le agenzie di intelligence francesi starebbero addestrando i ribelli a colpire Wagner:

Il collegamento tra i ribelli tuareg in Mali e la FranciaIl canale russo Rybar ha ottenuto un’informazione interessante, ma attesa. A quanto pare, l’agenzia di intelligence francese DGSE ha una stretta connessione con il movimento Azawad nel nord del Mali.L’attacco alla città di Bourem è stato un test delle forze della milizia e delle capacità dell’esercito maliano e delle restanti unità della PMC “Wagner”. Attualmente, i ribelli tuareg sotto la guida di agenti francesi si stanno preparando per un’offensiva sulla città di Gao. La Francia ha promesso di sostenere i tuareg nei loro tentativi di creare uno Stato indipendente e contro i militanti jihadisti. Tutto questo viene fatto per indebolire l’influenza filo-russa nel Sahel e allo stesso tempo per motivare altri gruppi terroristici a intensificare gli attacchi alle forze armate del Mali.
Ma anche se gli Stati Uniti e gli alleati stanno disperatamente cercando di infiammare il mondo per indebolire la Russia nelle sue periferie in ogni modo possibile, tutti questi sforzi sono poco più che pula al vento e non avranno alcun effetto sull’OMU. E come sempre dobbiamo ricordare che tutto questo impallidisce in confronto alla guerra ibrida/asimmetrica di maggior successo condotta dalla Russia contro gli atlantisti in Africa e altrove.

Concludo questa sezione con questi post. In primo luogo il post di RussiansWithAttitudes sulla situazione in Armenia, che solleva molti punti positivi:

Un’ultima considerazione sulla questione Armenia/Karabakh: un’enorme percentuale del popolo armeno, forse la maggioranza, non ha alcun desiderio di difendere e combattere per il Karabakh. Hanno desiderato qualcuno che li liberasse da questo fastidioso problema. Hanno trovato questo qualcuno: Volevano un politico che vendesse gli armeni del Karabakh, ma in un modo che non facesse sentire in colpa gli armeni in Armenia. In altre parole, avrebbe dovuto creare una falsa narrativa in cui la colpa fosse in realtà della Russia. L’immaginario “sostegno russo all’Azerbaigian” è stato il mito politico chiave in Armenia (e ancor più nella diaspora) negli ultimi anni. Hanno eletto una persona che li avrebbe salvati dal problema del Karabakh. Lo hanno rieletto dopo che ha vergognosamente perso una guerra per la quale avevano avuto 30 anni per prepararsi (e non hanno scavato una sola trincea). Se il popolo armeno fosse contrario a Pashinyan, lo butterebbe fuori. Non l’hanno fatto e non lo faranno. Pashinyan consegnerà il Karabakh agli azeri. Lo farà in modo tale da poter dare la colpa ai “malvagi russi che ci hanno pugnalato alle spalle”. Farà esattamente ciò per cui è stato eletto: sbarazzarsi del Karabakh e salvare gli armeni in Armenia dal senso di colpa di aver tradito i loro connazionali.Attualmente, il governo e la società armena stanno lavorando molto più duramente alla costruzione di una narrativa che spieghi perché è colpa di Mosca se l’intera popolazione dell’Artsakh è stata violentata, torturata e uccisa con strumenti agricoli, piuttosto che lavorare sulla loro preparazione militare.Non vogliono che la Russia o l’Iran proteggano il Karabakh. Non vogliono proteggere il Karabakh da soli. Vogliono solo una scusa morale per il loro tradimento nei confronti dei loro connazionali armeni. È un peccato, perché gli abitanti dell’Artsakh sono molto coraggiosi e sono pronti a combattere e a morire per la loro terra. Ma la Russia non può aiutarli se l’Armenia non vuole farlo. Dal punto di vista della logica geostrategica, l’unica cosa che conta per la Russia in Armenia in questo momento è il corridoio Zangezur che si collega all’Iran. Gli sforzi diplomatici russi hanno salvato l’Armenia da una completa catastrofe militare nel 2020. Le forze di pace russe hanno fatto in modo che almeno una parte dell’Artsakh rimanesse armena, ma la Russia non può impegnarsi a proteggere l’Artsakh se lo Stato armeno non si impegna a farlo. Lo Stato armeno spera di poter vendere i suoi connazionali come Danegeld agli azeri e continuare a zoppicare, magari con il supporto vitale dell’Occidente. Si tratta di un’illusione, ovviamente. Ma è quello che hanno deciso. Non si possono salvare le persone contro la loro volontà. Pertanto, la Russia non dovrebbe essere coinvolta, se non per salvaguardare i propri interessi diretti.
E poi quello che Dmitry Medvedev ha scritto oggi su Pashinyan:

Un giorno, uno dei miei colleghi di un Paese fraterno mi disse: “Sono un estraneo per voi, non mi accetterete”, ha detto Dmitry Medvedev a proposito del primo ministro armeno.” Ho risposto quello che dovevo: “Non giudicheremo dalla biografia, ma dai fatti”. Poi ha perso la guerra, ma stranamente è rimasto al suo posto. Poi ha deciso di incolpare la Russia per la sua incompetente sconfitta. Poi ha ceduto parte del territorio del suo Paese. Poi ha deciso di flirtare con la NATO, e sua moglie ha sfidato i nostri nemici con dei biscotti. Indovinate quale destino lo attende…”.
***
Un’ultima notizia interessante e varia.

La guerra dei droni della Russia si sta scaldando. Di seguito un video che mostra quanto sia diventato letale l’uso dei droni FVP da parte della Russia: la fanteria non è più al sicuro da nessuna parte, i droni la inseguono in ogni angolo:

Non ho trovato il video
Ed ecco un esempio di una piccola boutique russa di assemblaggio di droni che produce 1000 pezzi al mese:

Non ho trovato il video
Sempre più spesso la narrativa occidentale è che la Russia vuole la Polonia e/o i Paesi Baltici e che gli Stati Uniti dovranno presto unirsi alla guerra. Non solo questa è stata la principale frase di Zelensky nel video che ho postato in precedenza, ma sia Nikki Haley che Mike Pence hanno scelto questa minaccia come principale punto di attacco della loro campagna elettorale:

Il prossimo:

Si dice che Wagner tornerà presto in prima linea, anche se non si sa sotto quale bandiera:

Inizialmente si sosteneva che Wagner sarebbe stato in qualche modo coinvolto con le forze russe della Rosgvardia, ma ciò rimane incerto.

A proposito di Wagner, un episodio assurdo si è verificato in Siria. Si tratta di un lungo post che incollo in modo che chi non è particolarmente interessato possa saltarlo, ma se è vero, mostra il tipo di reale animosità e ostilità che esiste tra Wagner e il Ministero della Difesa russo, che ha portato a tutti i brutti affari che sono emersi quest’anno.

Si tratta del generale russo Yunus-bek Yevkurov, che Prigozhin si è inimicato anche quando ha preso il controllo di Rostov:

Da knyaz_cherkasky:

Mi scuso in anticipo con i miei abbonati se non ho risposto a nessuno, ma le parole non possono descrivere quello che stava succedendo qui di notte. Non so nemmeno se sia possibile descriverlo per non seminare il panico (dovreste chiederlo alle persone severe con le spalline sotto le giacche), ma i siriani sono sotto shock, e tutto era a un soffio dal pasticcio tra i Wagner e il nostro Ministero della Difesa, e secondo le voci sia in Siria che in Libia, tra cui la cosiddetta. Una “marcia per la giustizia” (la rivolta di Wagner di Prigozhin) sarebbe stata una passeggiata per bambini. In realtà, a causa di ciò, il mio trasferimento del secondo gruppo di archeologi a Palmira per lavorare nel teatro è stato interrotto, poiché il passaggio attraverso il T4 per Palmira è stato bloccato. Ma, a quanto pare, tutto si è risolto – Wagner è riuscito a raggiungere Mosca, gli elicotteri sono stati cancellati in tempo. I siriani parlano eccitati e dicono che tutto è stato come nel film.Per non scrivere un post a parte e, allo stesso tempo, rispondere a numerose domande, aggiungerò che si sta già discutendo di mezza Siria a est di Furukulus.L’incidente di ieri è il seguente: Wagner, dopo il divieto di volare attraverso Khmeimim e l’annullamento dei permessi da parte del Ministero degli Esteri russo, si è accordato con il Ministero della Difesa siriano e ha organizzato voli di rotazione verso l’Africa, attraverso la base aerea siriana T4. Quando l’aereo è decollato, gli elicotteri russi sono stati alzati in volo e i camion dei pompieri sono entrati in pista per impedirne l’atterraggio. Ai siriani è stato detto che se l’aereo atterra, verrà aperto il fuoco su di esso. Inoltre, i soldati siriani, che avevano ricevuto l’ordine di accettare l’aereo, per qualche tempo hanno resistito alle azioni del Ministero della Difesa russo sulla pista stessa, ma quando hanno visto gli elicotteri in volo, hanno ritenuto opportuno ritirarsi. Poiché il carburante dell’aereo in volo (un aereo cargo proveniente dalla Libia) si stava esaurendo, si è posto il problema di non riuscire a tornare in Libia. A casa di Wagner, coloro che si stavano preparando per l’incontro si sono messi in contatto con la Libia e, secondo le voci, hanno detto che se l’aereo fosse stato abbattuto, Wagner in Libia avrebbe colpito la base del Ministero della Difesa in risposta. La cosa più divertente (se può essere divertente) è che a bordo c’erano 170 siriani, contractor Wagner, che stavano tornando a casa dopo un contratto in Libia). I siriani me lo hanno raccontato eccitati, con gli occhi spalancati, agitando le braccia e chiedendo – cosa sta succedendo lì?
È chiaro che la Russia ha creato un mostro con il gruppo Wagner, ma era necessario per l’epoca.

A questo proposito, Surovikin è stato avvistato alla guida di una delegazione militare russa in Algeria, il che significa che è tornato all’ovile:

In che veste, però? Non si sa ancora.

Il prossimo:

Un incidente molto strano e interessante. La Russia ha diffuso il filmato di un drone Lancet-3M, una nuova variante con raggio d’azione esteso, che ha colpito un jet Mig-29 ucraino presso l’aeroporto di Dolgintsevo, vicino a Krivoy Rog:

Ci sono molte cose da dire al riguardo, in quanto apre un intero argomento di discussione.

In primo luogo, la buona notizia è che dimostra che i Lancet possono ora spingersi a più di 70 km o più dietro le linee nemiche, che è la distanza del campo d’aviazione dal lato russo del Dnieper.

Tuttavia, ha sollevato molte domande su come sia possibile che un campo d’aviazione apparentemente pieno di aerei funzionanti possa essere lasciato indisturbato così vicino alla linea del fronte, dato che nel video si vedono diversi altri aerei. Alcuni hanno suggerito che alcuni di essi potrebbero essere aerei donatori in naftalina per ottenere pezzi di ricambio. Anche sulla base di questa foto che mostra una pila di pneumatici, alcuni hanno suggerito che l’Ucraina si stesse preparando a coprire gli aerei con i pneumatici, come ha fatto di recente la Russia, o a bruciare i pneumatici per creare del fumo di occultamento, percependo un attacco imminente – il che potrebbe indicare che gli aerei erano appena arrivati prima del colpo:

Ho già parlato a lungo dei campi d’aviazione dell’Ucraina. Il punto cruciale è che i loro aerei si spostano molto per evitare che gli attacchi russi siano indovinati. I pochi aerei rimasti saltano da un campo d’aviazione all’altro, oltre che su piste autostradali ad hoc e hangar letteralmente costruiti nelle strade secondarie. Scorrete fino a metà pagina per vedere il mio approfondimento:

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Ciononostante, la questione solleva altri interrogativi. A 70 km dalla linea del fronte sono a portata di mano gli MLRS pesanti (Smerch) e una serie di altri sistemi (Iskander, ecc.) che potrebbero distruggere quegli aerei. Sappiamo che giorni fa la Russia ha annunciato di aver distrutto 5 aerei proprio in quel campo:

Poiché non conosciamo la data esatta del video del Lancet, potrebbe essere avvenuto prima o dopo. Il che significa che il Lancet potrebbe benissimo essere stato l’attacco iniziale dopo la prima ricognizione degli aerei sul posto, e che il successivo attacco missilistico è seguito subito dopo. Questa è la spiegazione più logica.

Tuttavia, dal momento che questo ha suscitato una discussione più ampia tra gli altri esperti, ne incollerò alcuni tra i più convincenti perché ritengo che il dibattito sul perché la Russia non possa “annientare” tutti i campi d’aviazione dell’Ucraina in una volta sola sia importante. Ancora oggi, la maggior parte dei profani non riesce a capirlo e crede che sia facile lanciare una sorta di “attacco” di massa per spazzare via interi campi d’aviazione rendendoli completamente inutilizzabili, oltre a distruggere qualsiasi cosa vi sia parcheggiata.

Ma non è proprio così che funziona. Il motivo principale è che alcuni di questi campi costruiti dai sovietici, come quello di Starokonstantinovka, sono così giganteschi che è difficile immaginarne o apprezzarne le dimensioni per una persona comune. Non c’è nessun tipo di attacco che possa spazzare via completamente una cosa del genere, a meno che non si tratti di un attacco nucleare. Ma lascerò che sia il seguente esperto a spiegarlo:

Dopo l’ennesimo raid riuscito dei Su-24M ucraini con missili Storm Shadow, decollati dalla base aerea di Starokonstantinov, si è ricominciato a chiedere “perché non distruggiamo i missili nemici, gli aerei e le loro basi?”. La risposta, come sempre, è abbastanza semplice e banale: perché non possiamo. Non si tratta di accordi dietro le quinte che molti inventano per spiegare ciò che sta accadendo. Il fatto è che le basi dei missili e dei bombardieri nemici sono ben protette sia da rifugi che da sistemi di difesa aerea, e la ricezione tempestiva di informazioni da parte della ricognizione satellitare della NATO permette loro di ritirare i propri velivoli diverse ore prima dell’attacco, cosa di cui abbiamo anche scritto più volte.Allo stesso tempo, semplicemente non usiamo testate a grappolo per i missili da crociera Kalibr o X-101, che potrebbero immediatamente coprire interi siti dell’aviazione ucraina (se fosse possibile catturarli allo scoperto) o discariche di esemplari non volanti che vengono portati via per i pezzi di ricambio di quelli ancora in volo. E i missili in grado di colpire efficacemente robusti rifugi in cemento armato sono pochi ed estremamente costosi.D’altra parte, come dimostra la pratica, il nostro tentativo di giocare in difesa passiva finisce con il nemico che ha l’iniziativa e, avendo accumulato solo pochi missili difficili da uccidere, semplicemente sfonda la difesa aerea in un punto specifico e provoca gravi danni a cui non si può resistere.Informatore militareRybar: “Perché non possiamo prendere e distruggere i campi d’aviazione, i porti e i nodi ferroviari ucraini?”.
Una buona risposta a questa domanda è stata data dal teorico militare americano Edward Luttwak in un suo recente articolo.Secondo lui, solo per un raid dell’aviazione britannica sulla Germania durante la Seconda guerra mondiale, gli aerei potevano sganciare 2560 tonnellate di munizioni: Si tratta di un quantitativo superiore al totale delle munizioni sganciate dai missili da crociera russi su obiettivi in territorio ucraino dall’inizio della CDF.
La natura dei combattimenti è cambiata radicalmente da allora. Se allora 700 (!) bombardieri potevano partecipare a un attacco, ora non c’è nemmeno un numero così elevato di aerei e di personale di volo. Oggi, questo approccio, se il nemico ha una difesa aerea, porterà al fatto che le già scarse tavole si esauriranno semplicemente in un mese o due.Sia il “Kalibry” che l’X-101 sono mezzi efficaci per una distruzione puntuale. Ma non vale certo la pena aspettare che una salva di 10 missili sia in grado di demolire qualche grande fabbrica sovietica che l’Ucraina ha ereditato, per ragioni oggettive. E questo vale anche per altri prodotti simili, siano essi Tomahawk o Storm Shadow.
Lo si vede chiaramente nell’esempio dell’attacco statunitense alla base aerea siriana di Shayrat nel 2017: con il lancio di 59 missili e colpi precisi, non si è verificato alcun “paesaggio lunare” in quel luogo, e gli aerei del campo d’aviazione hanno iniziato a decollare il giorno dopo. (Rybar)
Un punto sollevato dal primo è che se la Russia avesse missili appositamente progettati per colpire le piste di atterraggio, potrebbe almeno fare un lavoro un po’ migliore per annullare potenzialmente le piste (anche se sarebbero comunque fisse). Alcuni Paesi hanno missili speciali per questo scopo, ad esempio il Matra Durandal della Francia:

Il Durandal è una bomba anti-pista sviluppata dall’azienda francese Matra (ora MBDA), progettata per distruggere le piste degli aeroporti ed esportata in diversi Paesi. Un semplice cratere in una pista potrebbe essere semplicemente riempito, ma il Durandal utilizza due esplosioni per spostare le lastre di cemento di una pista, rendendo così la pista molto più difficile da riparare.
La Russia ha bombe che fanno questo, per esempio le Betab-500ShP, ma devono essere sganciate da un jet, il che le esclude. Si dice che il P-270 Moskit e alcuni altri missili abbiano funzioni secondarie anti-pista, anche se non credo che siano specificamente progettati per questo come il Durandal, con la doppia esplosione, ecc. Ma non sono sicuro che la Russia abbia tentato di usarli sulle piste.

In definitiva, le piste possono essere riparate e persino riempite con relativa facilità, quindi non è il deterrente più grande e non sono sicuro di quanto sia buono il compromesso tra il tempo guadagnato e il costo dei missili utilizzati. È buono per qualcosa come un Paese del terzo mondo, dove si può disabilitare la loro unica pista di atterraggio, ma contro una potenza militare come l’Ucraina potrebbe non creare un grande ostacolo.

A questo proposito, ecco una nuova foto di un Su-34 russo in volo con le bombe glide Fab-500M62 UMPK attaccate.

Il prossimo:

La Russia ha diffuso un nuovo spot militare che sembra “accennare” alla futura conquista di Kiev e Odessa:

Il prossimo:

Tra le notizie di “Tutto va bene in Ucraina”, abbiamo il seguente resoconto:

Il governo ucraino propone che i detenuti producano energia elettrica pedalando sulle biciclette.Tale proposta di legge è stata registrata dal deputato del popolo Sergei Grivko (Servo del Popolo), il quale ha proposto di consentire ai detenuti di produrre energia elettrica utilizzando generatori di biciclette in cambio di una pena detentiva più breve. “Se entro un mese si conformeranno agli standard stabiliti dal Ministero della Giustizia, allora il periodo di detenzione sarà ridotto di 3 giorni, ma non più di 10 mesi all’anno. In altre parole, nel corso di un anno, un detenuto può ridurre il periodo di detenzione di 30 giorni. Questo avrà un impatto diretto sul risparmio sul suo contenuto – fino a circa l’8% (fino a 200 milioni di UAH)”, scrive Grivko.

Concetto interessante. Quindi, i prigionieri possono ridurre la loro pena diventando criceti che generano elettricità.

Infine, vi lascio con questo edificante campionario di popolazioni ucraine e russe in strada, alla domanda se sia gradito che la parte avversa venga bombardata? Come sempre, traete le vostre conclusioni:


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Russia Ucraina 45a puntata! Reattività ed adattamento Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il conflitto in Ucraina prosegue in apparenza senza una soluzione di continuità in tempi immediati e prevedibili. La distruzione di risorse e le perdite di uomini sono da parte ucraina immani. Ciò non ostante la presa ferrea e cinica del regime sulla popolazione, quella ideologica particolarmente efficace su una parte di essa consente di protrarre il confronto e di continuare ad assumere a costi improponibili l’iniziativa sul campo. I due contendenti, uno contando quasi esclusivamente sulle proprie forze, l’altro sul sostegno esterno insostituibile della NATO praticamente su ogni aspetto della guerra, stanno rivelando notevoli doti di flessibilità, di adattamento e di iniziativa che lasciano trasparire la natura esistenziale di questo conflitto. Saranno da un lato l’esaurimento delle forze di uno dei contendenti e il dettato delle esigenze politiche interne agli Stati Uniti a determinarne le modalità e i tempi dell’epilogo. Più il conflitto procede nel tempo, per altro, più si definiscono i termini del confronto e dello scontro interno alle gerarchie politiche e militari. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Su un appello alla riforma dell’esercito degli Stati Uniti. Con Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni

La sicumera di una élite, per oltre un ventennio certa di aver raggiunto il predominio militare assoluto e il controllo egemonico del pianeta e l’elezione a nemico di avversari incapaci di sostenere con qualche probabilità di successo un confronto militare in campo aperto da una parte; dall’altra la reazione determinata ed efficace del governo russo alla drammatica crisi di decomposizione degli anni ’90 e l’emersione definitiva, anche se non del tutto consolidata, ma sottovalutata, di nuovi attori protagonisti nello scenario geopolitico. E’ il contesto nel quale ha potuto crogiolarsi l’inerzia della macchina militare statunitense e l’elefantiasi del suo complesso industriale, pur con gli innegabili punti di forza tuttora esistenti. E’ la guerra a mettere a nudo i limiti e i pregi delle forze in campo. La Russia ha dimostrato di possedere la necessaria flessibilità e riserva di potenza pur tra i tanti problemi emersi. Gli Stati Uniti possono godere della posizione della conduzione dall’esterno del conflitto in Ucraina, senza mettere sul terreno di battaglia forze dalle perdite significative. Vedremo se sarà il pungolo sufficiente a riformare l’apparato militare secondo i canoni definiti dal documento di riferimento della conversazione http://italiaeilmondo.com/2023/09/15/…. Buon ascolto, Giacomo Gabellini, Giuseppe Germinario

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Massimo Morigi

Il sito italiaeilmondo.com ha iniziato a rivolgere quattro domande a Aurelien[1], e continua a proporle, identiche, a diversi amici, analisti, studiosi italiani e stranieri.

Oggi risponde il nostro collaboratore Massimo Morigi

Qui il collegamento con la raccolta di tutti gli articoli sino ad ora pubblicati_Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

DA MASSIMO MORIGI RISPONDENDO ALLE DOMANDE GIÀ POSTE AD Aurélien E POI AGLI ALTRI AMICI DE “l’ITALIA E IL MONDO”

  1. Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

La domanda n.1 deve essere necessariamente diversamente formulata, e la corretta formulazione è «Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori anglo-americani nella guerra in Ucraina?», in quanto nella vicenda specifica (come in tutte quelle che riguardano le decisioni veramente strategiche del c.d. occidente) di decisori europei – escludendo ovviamente dal novero degli c.d. europei quei paesi dell’est e del nord-Europa di nuova aggiunta all’UE o di prossima unione alla stessa che per ragioni storiche hanno il dente avvelenato contro la Russia e che vedono nella NATO come il suo logico antemurale – non s’è vista traccia. Sotto questo punto di vista, penoso l’atteggiamento che ha assunto la Francia. Se per quanto riguarda l’Italia e la Germania il servilismo verso la NATO è del tutto scontato vista il progressivo dileguarsi in seguito alla caduta del muro di Berlino di una qualsivoglia politica estera autonoma da parte di questi due paesi (torneremo sull’Italia), per quanto riguarda la Francia si è trattato di barattare la schiena curva ai diktat angloamericani in cambio di una sorta di mano libera (ma libera si fa per dire, perché il margine di azione della Francia lasciato dagli angloamericani è assai stretto e condizionato) in Africa. All’Esagono, auguri e figli maschi!, come si suol dire.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Alla domanda due si è già risposto in parte con la risposta n.1, nel senso che se la guerra di Ucraina è stata un errore di una classe dirigente, di un eventuale errore della classe dirigente statunitense (e in subordine di quella britannica) si deve parlare, tenendo ovviamente presente che quando si parla di classi dirigenti non le si deve mai intendere come blocchi monolitici che prendono questa o quella decisione. Il termine classe dirigente è una drastica semplificazione creata per dare un senso apparentemente logico e con una teleologia ispirata alla logica aristotelica a decisioni che in realtà sono il frutto di fortissimi scontri fra gruppi ferocemente contrapposti. A questo proposito è di tutta evidenza che per comprendere appieno queste dinamiche e per una riscrittura delle categorie della politica ci sarebbe anche la necessità di adottare paradigmi logico-filosofici diversi, uno dei quali è il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, ma non è questa la sede specifica per discuterne, mentre su un piano più strettamente storico, è ovvio che si risponde di sì, cioè che siamo di fronte per il c.d. occidente al fallimento della cultura liberal-illuministica che se, sul piano delle élite porta a non capire le reali dinamiche storico-sociali di un mondo che va verso sempre un maggiore multipolarismo, sul piano del popolo tende a creare delle masse culturalmente abbruttite ed economicamente disperate sulle quali si possono svolgere le più cupe e criminali operazioni, una delle quali, mi preme particolarmente sottolineare questo punto, è favorire in tutti i modi possibili ed immaginabili la denatalità delle popolazioni. È di tutta evidenza che con l’attuale denatalità dell’occidente e con la conseguente composizione per età di queste popolazioni dove i vecchi sormontano i giovani, non sono assolutamente concepibili né rivoluzioni più o meno violente né rivoluzioni più o meno culturali. Con i vecchi non si può fare nessun tipo di rivoluzione, in essi prevale la paura di vivere male gli ultimi anni della loro vita e tutto il resto può ben andare al diavolo, il massimo che ci si può aspettare da costoro è qualche – giustissima, per carità! – protesta per innalzare le misere pensioni.

3)La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Discende logicamente dalle prime due risposte che la crisi di questo occidente è assolutamente irreversibile, sarebbe necessario, per farla breve, più cultura, politica e non, e più popolo e per essere assolutamente chiari, le ondate migratorie che assaltano il c.d. occidente sono assolutamente inadeguate sia per creare più cultura che per creare più popolo per il semplice fatto che questa sostituzione culturale (non etnica, i poveretti di destra che usano quest’ultima terminologia non fanno altro che dimostrare la loro inadeguatezza nel definire il fenomeno, anche se unita all’intuizione del pericolo, ma una intuizione che non trova le parole per esprimersi vale meno di niente ed è anzi dannosa) non sprigiona alcuna contraddizione all’interno della società ma solo maggiori richieste securitarie da parte degli autoctoni, per giunta per lo più pensionati o in via di, e il giochetto del divide et impera (fra chi vuole più sicurezza, la destra, e chi vuole più libertà, la sinistra, stanca erede della tradizione illuministico-liberale, entrambe gabbate nei loro rispettivi elettorati perché il problema vero è il sempre maggior restringimento degli spazi di libertà diffusa e condivisa, perché vera libertà, come ha più volte sottolineato la dottrina del Repubblicanesimo Geopolitico, altro non è che un concreto potere cellularmente diffuso in tutti gli strati della società) è fatto.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Certo, sì, sono ricollegate alle loro tradizioni premoderne ma, sinceramente, la mobilitazione – o l’addormentamento – delle masse richiede sempre qualche slogan, il fatto veramente importante è che questi slogan di stampo premoderno permettono di contrapporsi con successo alla narrazione illuministico-liberale che fa il gioco del c.d.blocco occidentale, cioè degli Stati uniti e del suo reggicoda Gran Bretagna, seguiti dalla attuale compagnia cantante dove l’Italia è l’ultima ruota del triste e sgangherato carro. Importante sottolineare che di narrazioni premoderne si tratta e di narrazioni illuministico-liberali si tratta, cioè che in entrambi i casi si tratta di retoriche di mobilitazione e/o smobilitazione delle masse, con una differenza però. Le retoriche atavistiche tendono comunque a far emergere un mondo multipolare e a far prevalere le mobilitazioni popolari, la qual cosa se contiene dei pericoli di totalitarismo favorisce l’irrobustimento e la fiducia in sé dei vari popoli verso il quali sono indirizzate queste retoriche, mentre le retoriche liberal-illuministiche vanno non solo interamente nella direzione di un disegno imperialistico, ça va sans dire, ma soprattutto alla disintegrazione culturale ed anche demografica del popolo. Se proprio vogliamo tenerci per buono il termine ‘democrazia’ (vi prego non ridete per il mio uso di questa parola che più sputtanata non potrebbe essere), si può dire che il c.d. occidente va verso una democrazia senza popolo, inteso questo ‘senza’ nel senso sia dal punto di vista culturale, cioè un popolo sempre più abbruttito, ma anche un popolo sempre più in decrescita demografica. E così questo nuovo tipo di dominio totalitario è servito. Un’ultima parola per quanto riguarda l’Italia, non per niente il nostro blog si chiama “L’Italia e il Mondo”. L’Italia è il paese dove quanto detto finora riguardo la crisi dell’occidente è più evidente che in tutti gli altri paesi investiti da questa degenerazione cultural-demografica (e per essere veramente realisti riguardo il suo ruolo nello scenario del c.d. occidente, esso è direttamente condizionato dalla sua dipendenza culturale ed economica dalla sfera angloamericana; detto brutalmente: nel suo attuale stato delle cose l’Italia altro non è che un paese costretto a comportarsi come un vile soldato di ventura che arruolatosi per la paga e/o per sfuggire ai suoi debiti, deve rispondere signorsì ogni qual volta viene chiamato a combattere. Situazione plasticamente rappresentata nella sua scriteriata ma anche ineluttabile partecipazione alla guerra di Ucraina e tutto il resto sono racconti di fate).

Condivido però con Machiavelli, tramite il sempre ottimo Teodoro Klitsche de la Grange «che per rigenerare una repubblica occorre “ritornare” al principio.» E su questo sarò breve. Questo principio non è certo la costituzione del ’48 dove, dettaglio più comico non si potrebbe immaginare alla luce dell’attuale situazione, l’Italia ripudia la guerra (se mi si passa la battuta, ripudiare la guerra ha lo stesso valore etico ed operativo di ripudiare il mal di denti, ma ad una nazione che ha perso la guerra ed è ridotto allo stato di colonia degli Stati uniti questo ed altro bisogna perdonare!), ma il nostro Risorgimento e non tanto il Risorgimento oleografico (Cavour voleva l’unità d’Italia?, manco per idea, egli voleva solo allargare il regno del Piemonte fino all’Italia centrale e oleografia che fra l’altro tralascia il piccolo dettaglio che l’unità d’Italia, oltre alla Francia che palesemente aiutò l’espansionismo del Piemonte, ebbe dietro le quinte la Gran Bretagna per sostituirsi al dominio nella penisola italica dell’impero austroungarico e per far fuori il Regno delle due Sicilie che non voleva uniformarsi alla sua politica imperialista nel Mediterraneo e contro la Russia: il Regno delle due Sicilie aveva proclamato la sua neutralità nella guerra di Crimea, una neutralità de facto favorevole alla Russia, uno sgarro che la Gran Bretagna non gli poteva certo perdonare, corsi e ricorsi…, si veda in proposito “Eugenio di Rienzo, Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee, Rubettino, 2012” ed anche la mia conferenza tenuta il 10 marzo 2023 alla Casa Matha di Ravenna, “Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi”, all’URL https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM , dove affermo con la massima chiarezza che la spedizione dei Mille senza l’appoggio della flotta britannica non sarebbe stata possibile e i garibaldini sarebbero finiti in pasto ai pesci) ma proprio quel Risorgimento sconfitto dalla storia perché in totale antitesi col progetto imperialistico sabaudo che non poteva accettare la nascita e la costruzione di un vero ed autentico popolo italiano come avrebbe voluto Giuseppe Mazzini (il sud, in poche parole, una volta conquistato dalla dinastia sabauda tramite la spedizione dei Mille, svolse egregiamente il ruolo di un territorio da sfruttare con tecniche di prelievo delle risorse economiche ed umane tipiche delle metropoli del Vecchio continente verso le colonie extraeuropee). E quindi, oltre ad un ritorno a Mazzini, bisogna tornare a pensare a Gramsci e al suo moderno principe centro unificatore e di irradiazione di pedagogia e politica popolar-proletaria, il cui compito, con profonde similitudini con l’azione mazziniana di educazione nazionale sotto l’insegna di Dio e Popolo, sarebbe stato quello di costruire un popolo rivoluzionario. Quindi il realismo politico di Machiavelli e poi Mazzini e poi Gramsci che seppur del Risorgimento critico senza sconti e del secondo non certo un grande estimatore ma che entrambi avevano ben capito che senza un popolo, e non una massa anomica e dispersa sul modello liberal-illuminista, nessuna azione politica realmente progressiva e di autentica libertà ed anche rivoluzionaria è possibile. Penso che da costoro sia assolutamente necessario ripartire e, per quanto ci riguarda come “L’ Italia e il Mondo”, indirizzare i nostri sforzi. 

Massimo Morigi, settembre 2023

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Cosa gli Stati Uniti impareranno, e non impareranno, dalla loro guerra in Ucraina di Bernhard Horstmann

Cosa gli Stati Uniti impareranno, e non impareranno, dalla loro guerra in Ucraina

di Bernhard Horstmann

https://www.moonofalabama.org/2023/09/what-the-us-will-learn-and-not-learn-from-the-war-in-ukraine.html#more

La rivista trimestrale Parameters dell’U.S. Army War College ha pubblicato un interessante articolo sulle capacità belliche degli Stati Uniti:

https://italiaeilmondo.com/2023/09/15/lezioni-dallucraina-per-le-forze-armate-del-futuro/

L’abstract recita:

Cinquant’anni fa, l’esercito degli Stati Uniti si trovò di fronte a un punto di inflessione strategica dopo il fallimento dello sforzo controinsurrezionale in Vietnam. In risposta alle lezioni apprese dalla guerra dello Yom Kippur, fu creato lo United States Army Training and Doctrine Command [Comando per l’addestramento e la dottrina dell’esercito degli Stati Uniti, N.d.C.] per riorientare il pensiero e la dottrina sulla minaccia convenzionale sovietica. L’Esercito di oggi deve accogliere il conflitto russo-ucraino come un’opportunità per riorientare la forza, trasformandola in un esercito lungimirante e formidabile come quello che vinse l’operazione Desert Storm. Questo articolo suggerisce i cambiamenti che l’Esercito dovrebbe apportare per preparare il successo nelle operazioni di combattimento multidominio su larga scala nell’odierno punto di inflessione strategico.

È normale che un esercito analizzi le guerre in corso o appena concluse e ne tragga delle conclusioni. Tali sforzi dovrebbero poi portare a cambiamenti nella struttura militare o nelle sue procedure.

Tuttavia, è improbabile che lo sforzo di cui sopra porti ai cambiamenti auspicati dagli autori.

Gli autori sottolineano correttamente che il comando e il controllo delle truppe via radio è problematico quando il nemico ha i mezzi per rilevare tutto il traffico radio:

La guerra Russia- Ucraina evidenzia che la segnatura elettromagnetica emessa dai posti di comando degli ultimi 20 anni non può sopravvivere contro il ritmo e la precisione di un avversario che possiede tecnologie basate su sensori, guerra elettronica e sistemi aerei senza equipaggio o ha accesso alle immagini satellitari; questo include quasi tutti gli attori statali o non statali che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a combattere nel prossimo futuro. 

La soluzione sta nell’uso estensivo del Comando di Missione (nell’originale tedesco: Auftragstaktik) che consente ai leader subordinati di pianificare e operare autonomamente nel contesto dato:

Quando Milley era capo di Stato Maggiore dell’Esercito, spiegava il comando di missione attraverso il concetto di “disobbedienza disciplinata”, in cui i subordinati sono autorizzati a compiere una missione per raggiungere lo scopo prefissato dal comandante, anche se per farlo devono disobbedire a un ordine o a un compito specifico. In assenza di una comunicazione perfetta, si deve poter confidare che l’ufficiale subalterno o il soldato prenderanno la decisione giusta in battaglia, senza dover chiedere l’approvazione per piccoli aggiustamenti.

Questo è un problema culturale. Il comando di missione deve essere vissuto e sperimentato fin dal primo giorno in cui un civile diventa un soldato. Il corpo degli ufficiali americani è più abituato all’ordine diretto e al controllo. La cultura del Comando di Missione non è gradita perché gli errori delle unità subordinate vengono ancora imputati al livello di comando superiore.

Il Comando di Missione usa meno comunicazione rispetto all’ordine diretto e al controllo ed è più robusto quando la merda colpisce il ventilatore. Ma, a differenza delle forze armate tedesche, l’esercito americano non è mai stato all’altezza. Dubito che la situazione cambierà.

 

Il problema successivo è il numero elevato di vittime:

La guerra tra Russia e Ucraina sta mettendo a nudo significative vulnerabilità della profondità strategica del personale dell’Esercito e della sua capacità di sopportare e rimpiazzare le perdite11. I pianificatori medici di teatro dell’Esercito possono prevedere una percentuale costante di circa 3.600 caduti al giorno, tra gli uccisi, i feriti o gli affetti da malattie o altre lesioni non ricevute battaglia.12 Con un tasso di rimpiazzo previsto del 25%, il sistema del personale richiederà 800 nuove unità al giorno. Per fare un confronto, gli Stati Uniti hanno subito circa 50.000 perdite in due decenni di combattimenti in Iraq e Afghanistan. In operazioni di combattimento su larga scala, gli Stati Uniti potrebbero subire lo stesso numero di vittime in due settimane.

Il tasso di sostituzione del 25% è probabilmente troppo basso. Considerate questo[1] titolo attuale di “Strana”(traduzione automatica):

Su 100 persone, ne sono rimaste 10-20. Il capo del TCC di Poltava ha raccontato le perdite nel suo distretto[2]

Il TCC è l’amministrazione ucraina responsabile del reclutamento dei coscritti.

 

Su 100 persone mobilitate nell’autunno dello scorso anno, ne sono rimaste 10-20, il resto sono morti, feriti e disabili.

Lo ha dichiarato il capo del TCC regionale di Poltava, Vitaliy Berezhnoy, intervenendo ieri alla 39ª sessione del Consiglio comunale di Poltava.

Il problema è che gli Stati Uniti non hanno più le riserve necessarie per sostenere un conflitto di grandi dimensioni:

l’Esercito degli Stati Uniti si trova ad affrontare una terribile combinazione tra carenza nel reclutamento e riduzione della Individual Ready Reserve [Riserva composta da ex membri effettivi o della riserva dell’esercito, N.d.C.] Questa carenza nel reclutamento, pari a quasi il 50% nelle carriere che preparano le truppe di prima linea, è un problema longitudinale. Ogni soldato di fanteria e forze corazzate che non reclutiamo oggi è una risorsa strategica per la mobilitazione che non avremo nel 2031. La Individual Ready Reserve, che era di 700.000 unità nel 1973 e di 450.000 nel 1994, è ora composta da 76.000 unità. Questi numeri non sono in grado di colmare le lacune esistenti nella forza attiva, per non parlare del rimpiazzo delle perdite o dell’espansione delle forze in un’operazione di combattimento su larga scala.[3] 

Gli autori raccomandano di reintrodurre una coscrizione parziale.

 

Dal punto di vista politico questo non è possibile. Qualsiasi presidente che lo facesse si troverebbe di fronte all’immediata ostilità dei suoi elettori.

Inoltre, c’è il problema piuttosto grande che la maggior parte dei giovani cittadini statunitensi non sono nemmeno qualificati per la coscrizione[4]:

Un nuovo studio del Pentagono mostra che il 77% dei giovani americani non sarebbe idoneo al servizio militare senza una deroga a causa del sovrappeso, dell’uso di droghe o di problemi di salute mentale e fisica.

Una diapositiva che illustra i risultati del 2020 Qualified Military Available Study del Pentagono, condivisa con Military.com, mostra un aumento del 6% rispetto all’ultima ricerca del 2017 del Dipartimento della Difesa, secondo cui il 71% degli americani non sarebbe idoneo al servizio.

“Se si considerano i giovani squalificati per un solo motivo, i tassi di squalifica più diffusi sono il sovrappeso (11%), l’abuso di droghe e alcol (8%) e la salute medica/fisica (7%)”, si legge nello studio, che ha esaminato gli americani di età compresa tra i 17 e i 24 anni. Lo studio è stato condotto dall’Ufficio del personale e della preparazione del Pentagono.

Inoltre, la maggior parte dei giovani non è interessata a prestare servizio nell’esercito[5]:

 

Solo il 9% dei giovani si mostra propenso a prestare servizio, secondo i dati del Dipartimento della Difesa condivisi con ABC News. È il numero più basso degli ultimi 15 anni.

Il secondo ex alto funzionario militare ha detto che il problema del reclutamento è un segno di problemi sociali più ampi.

È uno specchio del nostro Paese. È il nostro Paese, e quei reclutatori vedono questi problemi in prima persona ogni giorno”, ha detto l’ex funzionario.

Il punto successivo del documento di “Parameters” è l’ampia introduzione dei droni:

L’uso onnipresente di veicoli aerei senza pilota, di veicoli di superficie senza pilota, di immagini satellitari, di tecnologie basate su sensori, di smartphone, di collegamenti dati commerciali e di intelligence open-source sta cambiando radicalmente il modo in cui gli eserciti combatteranno sul terreno, proprio come i veicoli aerei senza pilota hanno cambiato il modo in cui le forze aeree conducono le operazioni in questo secolo.17 Questi sistemi, insieme alle emergenti piattaforme di intelligenza artificiale, accelerano drasticamente il ritmo della guerra moderna.

Le forze armate occidentali non hanno ancora introdotto i droni nella scala necessaria. Le forze armate ucraine e russe hanno fatto bene. Hanno riconosciuto che i droni sono, come le munizioni, beni di consumo e l’Ucraina ne avrebbe persi 10.000 al mese. Oltre ai droni da ricognizione, i droni armati con visuale in prima persona (FPV) hanno portato a un ampio uso dei droni nel ruolo di artiglieria di precisione.

Qualsiasi unità che si radunerà sul futuro campo di battaglia verrà immediatamente individuata e colpita. Questo complica la preparazione di qualsiasi operazione di grandi dimensioni.

 

Ciò richiederà, secondo l’autore, un nuovo livello di inganno nella preparazione alla battaglia. Richiede anche una maggiore ricognizione e intelligence multidominio a tutti i livelli. Ogni leader di gruppo dovrebbe avere a disposizione un tablet e le informazioni necessarie.

Questo punto è probabilmente il più facile da risolvere. Occorre solo attendere che siano disponibili le strutture produttive necessarie per produrre le quantità massicce di droni necessarie e per ottenere un sistema di informazione a basso costo fino all’ultimo livello.

Gli altri problemi, il comando di missione, le riserve di personale e l’idoneità al reclutamento, sono questioni culturali che resisteranno al cambiamento.

L’esercito statunitense, come molti altri occidentali, non è attualmente in grado di combattere su larga scala come sta facendo l’esercito russo.

Questo non riguarda solo l’esercito, ma anche la marina e l’aeronautica. La capacità di costruzione navale degli Stati Uniti è 200 volte inferiore a quella della Cina[6]. Le navi della Marina americana sono delle boiate mal concepite[7]. I jet F-35 hanno tassi di disponibilità operativa terribili[8].

Nonostante tutto ciò, i politici statunitensi continuano a istigare guerre contro competitori di alto livello.

I risultati di una guerra contro la Russia o la Cina con le forze militari di cui gli Stati Uniti dispongono attualmente sarebbero imbarazzanti. Sarebbe molto meglio non provarci mai.

[1] https://twitter.com/I_Katchanovski/status/1703021253425021061/history

[2] https://strana.today/news/445457-nachalnik-poltavskoho-ttsk-rasskazal-o-situatsii-s-mobilizatsiej-v-svoem-okruhe.html

[3] https://italiaeilmondo.com/2023/09/15/lezioni-dallucraina-per-le-forze-armate-del-futuro/

[4] https://www.military.com/daily-news/2022/09/28/new-pentagon-study-shows-77-of-young-americans-are-ineligible-military-service.html

[5] https://abcnews.go.com/Politics/military-struggling-find-troops-fewer-young-americans-serve/story?id=86067103

[6] https://www.foxnews.com/world/chinese-shipbuilding-capacity-over-200-times-greater-than-us-navy-intelligence-says

[7] https://asiatimes.com/2023/09/takeaways-from-us-navys-littoral-combat-ship-fiasco/

[8] https://www.defensenews.com/air/2022/03/16/full-weapons-tester-report-highlights-f-35-availability-software-problems/

Troppo di non molto, di Aurelien_a cura di Roberto Negri

Troppo di non molto

Vincere la giornata perdendo la guerra.

 

AURELIEN

13 SET 2023

Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni italiane e Italia e il Mondo ha recentemente pubblicato una mia intervista, in inglese e in italiano. Grazie a tutti i traduttori.

 

Negli ultimi saggi ho avuto modo di parlare del disastroso declino delle capacità del governo, delle istituzioni e del settore privato nel mondo occidentale. Anche altri sono intervenuti, come John Michael Greer e Yves Smith di Naked Capitalism, che non solo ha creato un forum di discussione sul tema ma ha anche fornito alcuni importanti contributi. Questo saggio, tuttavia, non è un ennesimo sfogo o geremiade contro questa indubbia incompetenza dilagante, ma piuttosto un tentativo di comprendere e spiegare una delle sue caratteristiche più sconcertanti: perché i politici in Occidente oggi sono così incapaci di fare i politici?

Cosa intendo con “incapaci”? Considerando per il momento la politica come un’attività puramente tecnica, sembra ovvio che chi entra in politica dovrebbe avere o pianificare di acquisire una serie di competenze di base come in qualsiasi altro ambito. Da un falegname ci si aspetta che sappia segare con precisione il legno, da un commercialista che sia a suo agio con le cifre, da un attore che sappia entrare nella psicologia di diversi personaggi. Lo stesso vale per i politici. Cosa ci aspettiamo da loro?

Innanzitutto, un ragionevole livello di intelligenza innata e una ragionevole capacità di pensare, scrivere e parlare in modo coerente e comprendere concetti. Non intendo nulla di particolarmente eccezionale: per cominciare, il livello di intelligenza media di un diplomato sarebbe sufficiente. Ma la politica comporta anche altre abilità: fra queste, la capacità di comprendere e parlare di molti argomenti diversi, di affrontare in modo efficace dibattiti e interviste, di rivolgersi agli elettori per conquistare il loro voto, di stringere alleanze e  capire come trattare con gli avversari, di vedere i flussi sotterranei del potere e di capire e saper reagire ai cambiamenti delle tendenze politiche. Quando si è al potere è necessario avere un’idea di ciò che si vuole fare e almeno un’idea di massima su come farlo. Inoltre, i politici devono avere una solida  struttura fisica e psicologica per far fronte agli impegni di lavoro e sopportare infinite critiche, alcune delle quali personali, senza esserne influenzati.

Niente di tutto questo è tremendamente ambizioso o impegnativo, eppure ciò che mi colpisce, avendo osservato la politica dalla prima linea per circa mezzo secolo, è il modo in cui negli ultimi decenni queste competenze di base sono decadute nei Paesi occidentali. C’è una lunga lista di potenziali esempi, ma permettetemi di citarne solo alcuni fra i più evidenti. In quasi tutti i Paesi occidentali, i partiti politici sembrano non sapere più come farsi votare. Grandi percentuali dell’elettorato non votano, e quelli che lo fanno votano con riluttanza per la meno ripugnante fra le possibili alternative. L’idea di avere politiche e visioni che vadano oltre le slide di Powerpoint e gli slogan, o che siano destinate a essere realmente attuate, sembra completamente assente. (Emmanuel Macron è stato eletto due volte sulla base di un programma sintetizzabile in “non essere Marine Le Pen”). Allo stesso modo, pochi governi dei Paesi occidentali sembrano avere idea di come gestire i propri parlamenti, far approvare le leggi o persino convincere l’opinione pubblica e i media non allineati alle visioni della classe dirigente. E anche a livello individuale i politici si presentano ormai come creature vulnerabili che compiangono sé stesse per il fatto di essere perseguitate dai loro avversari. Ma “cattivo” o “incompetente” non sono critiche personali, piuttosto giudizi tecnici, non diversi da quelli sul lavoro di un idraulico o di un avvocato.

 

Non è sempre stato così. Certo, i politici sono sempre stati impopolari (“politico” era un insulto già ai tempi di Shakespeare) e non c’è mai stata un’età dell’oro in cui i politici erano in genere onesti e competenti e avevano a cuore gli interessi della nazione. Tuttavia. Tuttavia cinquant’anni fa, ad esempio, le campagne elettorali erano condotte in gran parte attraverso incontri pubblici, e a volte migliaia di persone si presentavano per ascoltare un personaggio popolare, applaudire o contestare. Alcuni politici e i loro programmi erano veramente popolari e suscitavano un entusiasmo reale, non finto. E quando venivano eletti cercavano di mantenere l eloro promesse.

Nel 1951, il governo conservatore di Winston Churchill fu eletto anche sulla base della promessa di costruire 300.000 alloggi popolari all’anno. Non si trattava di una cifra calcolata da un gruppo di lavoro, né di una promessa vana che sarebbe stata dimenticata dopo le elezioni. Si trattava di una promessa che fu sostanzialmente mantenuta, sotto la guida di Harold Macmillan, il Ministro per gli Alloggi (immaginate, un Ministro per gli Alloggi!). Le Municipalità locali, spesso utilizzando la propria manodopera, ne costruirono due terzi. Oggi, nonostante la consapevolezza della necessità di risolvere la disperata carenza di alloggi che affligge la Gran Bretagna, il numero di nuove case popolari costruite ogni anno è nell’ordine delle migliaia. Ma in passato mantenere tali promesse era considerato normale: era l’epoca della ricostruzione del sistema ferroviario, della costruzione delle prime autostrade e di molte nuove università. Lo stesso accadde in Europa, dove la ripresa dalla guerra avvenne rapidamente, in gran parte grazie alle risorse e alle capacità locali che erano sopravvissute ai combattimenti. E poi c’è stata la modernizzazione. Si racconta che all’inizio degli anni ’60 De Gaulle e il suo primo ministro Georges Pompidou stessero sorvolando Parigi in elicottero, osservando i caotici ingorghi che l’era dell’automobile aveva portato. “Dobbiamo fare qualcosa per questo caos”, disse De Gaulle. Nel giro di pochi anni fu aperta la prima linea di metropolitana ad alta velocità (RER) e la circonvallazione intorno a Parigi, già iniziata, fu rapidamente completata. Poco dopo arrivò la crisi petrolifera e il governo francese decise, più o meno da un giorno all’altro, di espandere massicciamente l’industria nucleare del Paese: il responsabile dell’industria energetica (allora di proprietà statale) fu convocato e gli fu ordinato di provvedere. Nel giro di pochi anni i reattori cominciarono ad entrare in funzione. Poco dopo, il governo decise di introdurre il Minitel, un antesignano di Internet, semplicemente regalando una macchina a tutti coloro che ne volevano una. Fu un successo strepitoso e permise ai francesi, ad esempio, di acquistare i biglietti ferroviari on line un decennio prima che ciò fosse possibile nella maggior parte degli altri Paesi.

 

Ma forse pensate che tutto questo sia un po’ banale e limitato alla politica interna. Che dire dei grandi affari di Stato, gli Esteri e la Sicurezza, per esempio? I governi erano ugualmente attivi in questo campo? Ecco un esempio molto significativo. Sia la Gran Bretagna che la Francia uscirono dalla Seconda guerra mondiale con la consapevolezza che, se non fosse stato per i loro imperi, eserciti, materie prime e profondità strategica le cose sarebbero probabilmente finite molto peggio di come sono andate. Il primo pensiero fu quindi quello di mantenere i loro imperi coloniali per conservare lo status di Grandi Potenze e, nel caso della Gran Bretagna, una sorta di parità con gli Stati Uniti. Ma divenne rapidamente chiaro che mantenere gli Imperi avrebbe rappresentato un onere finanziario troppo gravoso per essere sostenibile e, dopo la disfatta di Suez, il loro valore strategico divenne molto più aleatorio. In pochi anni il governo britannico cambiò completamente rotta e la maggior parte dei possedimenti inglesi divenne rapidamente indipendente. In poco più di un decennio non rimase praticamente nulla e l’intero focus strategico si spostò sull’Europa e sull’Atlantico. La transizione francese fu ancora più rapida: salito al potere, De Gaulle non solo uscì dalla palude della guerra d’Algeria ma decise che l’onere di mantenere le altre colonie superava gli eventuali benefici: tutte divennero indipendenti in un paio d’anni.

Ma questo non è dovuto alla sola presenza in quegli anni di veri e propri giganti, anche se lo erano. Fino a una generazione fa, la maggior parte dei leader occidentali mostrava ancora un ragionevole grado di competenza politica. Prendiamo ad esempio il 1991. In quell’anno, Washington fu in grado di aggregare una forte coalizione internazionale per la guerra in Kuwait, con una diplomazia capace e intelligente e con obiettivi politici definiti. (Più tardi, nello stesso anno, durante i negoziati per l’Unione politica di Maastricht, i britannici, isolati su molte questioni e sotto la non brillante guida di John Major, raggiunsero comunque molti dei loro obiettivi. Questo in parte perché Major aveva davanti a sé un manuale di istruzioni con il testo di ogni clausola che doveva essere concordata, un commento sugli obiettivi britannici e, se necessario, una controproposta. Secondo persone che hanno partecipato a quei negoziati nessun altro leader nazionale ha avuto questo livello di supporto, e del resto i britannici sono stati uno dei pochi Stati in quel contesto ad aver definito degli obiettivi politici, anche se non li hanno raggiunti tutti. Il paragone con la Brexit è quasi troppo doloroso per essere evocato.

Nel raccontare questi episodi si tende a soffermarsi sulle competenze tecniche, sui livelli di istruzione e qualificazione, sul reclutamento di specialisti, sull’organizzazione del governo e così via, tutti aspetti senz’altro importanti. Ma mentre un Paese può funzionare con una burocrazia decente e un settore privato capace, per raggiungere davvero degli obiettivi occorre una classe politica in grado innanzitutto di definirli e perseguirli. Questi obiettivi non devono necessariamente essere decisi esclusivamente dalla classe politica: possono anche essere ampiamente condivisi dalle élite nazionali, come ad esempio avviene in molti Paesi asiatici. Ma è essenziale che i politici in carica definiscano e perseguano tali obiettivi, se si vuole che il Paese vada avanti. Chiunque abbia lavorato in una struttura di Governo vi dirà quanto sia esasperante trovarsi di fronte a leader politici che non sanno cosa vogliono, o non riescono ad articolarlo.

Vorrei ora analizzare brevemente alcune delle possibili spiegazioni di questa situazione – paragonabile all’impossibilità di trovare un falegname che sappia segare in linea retta – prima di passare a parlare dell’influenza catastrofica che essa ha avuto sulla gestione della crisi ucraina da parte dell’Occidente attraverso un paio di altri esempi significativi.

I politici sono ovviamente il riflesso della società da cui provengono e del serbatoio di talenti disponibili. I cambiamenti nella società implicano quindi  inevitabilmente che coloro che entrano in politica portino con sé l’impronta di questi cambiamenti, i problemi e le debolezze, come ad esempio il deterioramento degli standard educativi. È certamente vero che l’atmosfera frivola e frenetica della cultura popolare occidentale di oggi è molto diversa dal mondo serio e rigoroso in cui Macmillan o De Gaulle facevano politica. Dall’altra parte, le ricerche dimostrano che nella maggior parte dei Paesi occidentali la classe politica è più privilegiata e più acculturata che mai. I suoi membri provengono generalmente da famiglie con un reddito più elevato, hanno ricevuto un’istruzione lunga e costosa presso istituzioni prestigiose e beneficiano di estese reti di relazione familiari e professionali. Sono quindi mediamente più istruiti e preparati dei loro predecessori di cinquant’anni fa: non hanno scuse. Pensiamo a un caso come quello di Ernest Bevin, uno dei più grandi segretari agli Esteri britannici e l’uomo che più di ogni altro è stato artefice della nascita della NATO, che è nato in povertà, non ha avuto alcuna istruzione formale e ha fatto carriera nel movimento sindacale. Eppure ha impressionato tutti, compresi i diplomatici di Oxbridge, per la sua innata intelligenza e la sua straordinaria capacità di lavoro, oltre che per la cura per il suo staff.

Un altro fattore è costituito dalle caratteristiche connaturate della attuale classe politica. Un rapido esame delle principali figure politiche fino al 1990 circa mostra un’ampia varietà di background, istruzione ed esperienze di vita. In tutti i principali parlamenti occidentali, fino a pochi anni or sono, erano presenti politici che avevano iniziato la loro vita come lavoratori manuali. Oggi non ce ne sono più. Il declino dei partiti politici di massa, soprattutto a sinistra, ha prosciugato il serbatoio di coloro che sono cresciuti in condizioni difficili, spesso attraverso scioperi e picchetti e i feroci contrasti interna dei sindacati, e le cui convinzioni sono state formate in modo preponderante dall’esperienza. (La profonda avversione di Bevin per il comunismo, ad esempio, non era una astratta posizione di principio ma il risultato delle sue esperienze sindacali e dell’antagonismo di classe contro gli intellettuali che dominavano il Partito Comunista in Gran Bretagna: del resto, non era nemmeno un ammiratore tout court degli Stati Uniti o dell’Impero). Ma i politici provenivano anche da carriere borghesi standard: avvocati, insegnanti e conferenzieri, medici, militari, piccoli imprenditori, persino contabili. Ma la loro caratteristica comune era quella di aver esercitato una professione prima di entrare in politica, scelta che in ogni caso tendevano a compiere non prima della mezza età. Molti erano stati attivi anche nella politica locale, dove non si potevano certo evitare le questioni quotidiane.

Al contrario la classe politica di oggi, sotto la bandiera del “professionismo”, è diventata sempre più dilettante nella sua capacità di fare cose che contino davvero, in parte a causa della limitatezza del proprio background ed esperienza. Un aspirante politico al giorno d’oggi inizia con una laurea in una materia teorica presso un’università prestigiosa (“relazioni internazionali”, magari) e si dedica alla politica studentesca, creando contatti e preparandosi per il futuro. Dopodiché, un master in Diritto dei diritti umani, per esempio, e un paio di stage prestigiosi e un indirizzario sempre più ampio. E poi un lavoro di base in un think-tank o in un gruppo di pressione, un periodo come assistente parlamentare in patria o a Bruxelles, un lavoro nell’apparato del partito, un lavoro nell’ufficio di un ministro, un lavoro di gestione in un think-tank e poi, forse, molto precocemente, la possibilità di essere eletti. Esperienza totale in tutto ciò che non sia puro carrierismo: praticamente zero.

Ma ci sono altre due caratteristiche dei sistemi politici odierni, collegate tra loro, che a mio avviso hanno maggiore importanza, anche se sono meno evidenti. Una (conseguenza di questo tipo di “professionismo”) è che oggi le carriere politiche si fanno quasi esclusivamente all’interno dell’apparato del partito politico cui si appartiene. Un corollario ovvio, anche se perverso, è che i vostri nemici sono in primo luogo membri del vostro stesso partito piuttosto che di partiti avversari. La depoliticizzazione della politica e il restringimento dello spettro di idee politiche accettabili che hanno caratterizzato l’ultima generazione fanno sì che le differenze autentiche con gli altri partiti politici siano spesso di poco conto e possano diventare davvero importanti solo quando ci sono le elezioni e quando è necessario trovare qualche argomento plausibile per cui l’elettorato non dovrebbe votare per un altro partito.

Ma la carriera non si fa battendo l’opposizione nel paese o in uno scontro parlamentare, bensì legandosi a persone importanti, individuando e aderendo alla tendenza che si pensa possa prevalere nei dibattiti interni al partito, attenendosi scrupolosamente alla linea del partito in ogni occasione ed essendo pronti a tradire i propri amici e alleati, per non dire le proprie convinzioni, quando è opportuno farlo. Ora, la politica è sempre stata un po’ così e la maggior parte dei politici, anche se non tutti, hanno avuto una vena carrieristica. Ma negli ultimi anni la politica è sempre più diventata solo carrierismo. Come è prevedibile in una società liberale, la politica è egoriferita al singolo, alla sua carriera, prospettive e futuro dopo aver lasciato la politica. Il quale può anche prendere parte a una lotta tra fazioni per il controllo del partito, ma l’idea che il partito stesso possa avere degli interessi, o che qualche gruppo esterno al partito possa avere una qualche importanza, gli risulta completamente estranea. È questo, più di ogni altra cosa, a spiegare perché oggi la politica interna ai partiti è così feroce e perché i politici usano così spesso i social media per attaccare i propri teorici alleati piuttosto che i loro avversari.

Se tutto questo vi ricorda vagamente la politica in uno Stato monopartitico, forse è perché è proprio così. In uno stato del genere, la politica funziona esattamente in questo modo: aspre lotte interne tra fazioni, scarso interesse per le opinioni di chi è al di fuori del partito e continui tentativi di scalarne le gerarchie alla ricerca di più potere e dei vantaggi che ne derivano. Una delle ragioni del catastrofico collasso della Bosnia nel 1992, fra le altre, consiste nel fatto che nessuno dei partiti politici presentatisi alle elezioni che l’Occidente ha imposto al neonato Stato aveva una reale esperienza di politica democratica, del logorante processo di discussione, dibattito, costruzione di coalizioni e convincimento dell’opinione pubblica. Il vecchio Partito Comunista Jugoslavo non funzionava così. Così, da un lato i politici in cerca di voti hanno giocato l’unica carta che avevano a disposizione, l’etnia, e dall’altro, quando si è trattato di costituire un parlamento, non avevano assolutamente idea di come farlo funzionare. All’epoca pensavamo di avere qualcosa da insegnare loro. Ora non è più così evidente.

E naturalmente in uno Stato monopartitico esiste una nomenklatura che identifica non solo coloro che detengono il potere politico e governativo, ma anche coloro che hanno influenza sui media, i think tank, l’industria e persino le professioni, e che si muoveranno facilmente in questi ambienti. Abbiamo visto questo sistema insinuarsi lentamente anche nei Paesi occidentali. Al giorno d’oggi un ministro del Governo ed ex consulente manageriale potrebbe essere sposato con un noto giornalista politico, avere un fratello con una posizione di rilievo nel settore privato che finanzia varie ONG, una sorella che dirige un influente think-tank e che sta cercando di entrare in politica, essere il migliore amico di un diplomatico di alto livello ritiratosi per lavorare in una banca, che è sposato con il direttore di un’azienda di servizi privatizzata, il cui fratello è un alto funzionario della Banca d’Inghilterra… la rete è potenzialmente infinita. (Se pensate che stia esagerando, leggete alcuni dei commenti su Naked Capitalism del columnist Colonel Smithers e alcuni dei loro reportage sulle relazioni incestuose della nomenklatura negli Stati Uniti. E non fatemi parlare della Francia ….).

L’ultimo elemento, riflesso della precedente, è il trionfo assoluto dell’immagine sulla sostanza. Se i partiti non si preoccupano più di avere una base di massa, se si affrontano le elezioni parlamentari solo assumendo consulenti per diffamare l’opposizione, se l’unico obiettivo personale è salire nella gerarchia del partito, allora è inevitabile che l’immagine sia tutto. Ciò che si dice è più importante di ciò che si fa, soprattutto se si è interiorizzata l’idea che il governo non può in ogni caso fare molto, e si cerca piuttosto il consenso dei propri pari, dentro e fuori dal partito. (Questo tipo di politica è iniziato negli anni Novanta e nel Regno Unito è associato soprattutto al governo Blair, in particolare negli ultimi anni. A quell’epoca si era già sviluppata una nomenklatura e le decisioni del governo venivano prese sempre più spesso in riunioni informali, alle quali partecipavano persone che non erano state elette e che non avevano le necessarie qualifiche professionali. C’era un numero crescente di “consiglieri”, essenzialmente apprendisti politici, cui non era richiesta alcuna qualità personale se non l’ambizione e l’assoluta fedeltà al loro sponsor e protettore. L’avanzamento di carriera non derivava dalla competenza o dall’onestà ma dal sapere, per dirla nel gergo dell’epoca, “cosa vuole Tony”. All’epoca di quel disastro che fu il governo di Boris Johnson era difficile dire chi fosse influente e responsabile di qualcosa nel governo, ammesso che qualcuno lo fosse.

È stato sotto l’azione del chief spin doctor di Blair, Alastair Campbell, che l’enfasi si è spostata decisamente dalla politica all’apparenza. Il governo divenne ossessionato dall’immagine e dal controllo della percezione pubblica, e garantire una copertura positiva nei media divenne un obiettivo importante in sé, se non il più importante. Come in uno Stato monopartitico, il controllo di ciò che era ammesso nel discorso pubblico era l’unica cosa che contava davvero e, per un certo periodo, l’opposizione Tory si trovò in uno stato di tale disgregazione che vincere le elezioni era comunque facile. L’espressione che riassume questo approccio (che Campbell l’abbia coniata o meno) è “win the day “, letteralmente “vincere la giornata”: in sostanza, l’idea che alla fine di ogni giornata ciò che contava davvero era che i media riflettessero la linea del governo su una determinata questione. E tale linea poteva avere solo un rapporto incidentale con la realtà. Le statistiche ufficiali, ad esempio, erano in definitiva ciò che il governo sosteneva che fossero, purché i media vi credessero.

Penso che sia già ovvio che la trasformazione della vita politica occidentale in un passatempo amatoriale, carrieristico, ripiegato su sé stesso, elitario, guidato dall’ego e ossessionato dall’immagine non avrebbe avuto un esito felice. E infatti non lo ha avuto. Voglio quindi esaminare brevemente due casi, e poi l’Ucraina, per vedere come tutto questo si è tradotto nella vita reale.

Forse ricorderete il malcontento in Francia all’inizio dell’anno per le modifiche volte a far lavorare più a lungo i francesi per avere pensioni più basse. Non mi occupo qui del merito della questione (dubbia, e questo era uno dei problemi politici), ma della gestione politica, da parte di un governo senza maggioranza, di una politica profondamente impopolare. La prima reazione di qualsiasi politico saggio sarebbe stata quella di dire: “Non fatelo”. Dopotutto, i dati ufficiali evidenziavano che verso i sessant’anni di età una frazione significativa della popolazione attiva francese già era economicamente inattiva perché disoccupata (i giovani costano meno) o invalida dal lavoro. In effetti, con la nuova età pensionabile fissata a 64 anni, la classe operaia francese media si troverebbe già in cattive condizioni di salute e in molti casi defunta. Un bel risparmio. Inoltre, l’argomento dell’equilibrio finanziario evocato dal governo era difficilmente conciliabile con la spesa senza limiti per combattere il Covid, per non parlare dei miliardi inviati in Ucraina.

Quindi chiunque con un briciolo di sensibilità politica avrebbe detto a Macron: se non vuoi ritirare questa sciocca proposta, rendila più presentabile. Ad esempio, un’età pensionabile generalizzata di 64 anni significava che l’operaio che aveva lasciato la scuola a 16 anni avrebbe lavorato forse dieci anni in più rispetto al giornalista o al banchiere che avrebbero studiato fino a venticinque anni. Perché non utilizzare invece un sistema a punti, in modo che quando si è lavorato per un certo periodo di tempo si possa andare automaticamente in pensione? D’altronde, questa idea si ritrova in altre parti del sistema francese. La posizione del governo, al contrario, è stata di assoluta rigidità.

Il che equivale a dire che il vero problema era l’ego di Macron e il suo desiderio di imporsi platealmente su questi francesi recalcitranti e, appunto, “vincere la giornata”. Il tema, alla fine, non era importante: ciò che contava era la prospettiva dell’eroica vittoria sul popolo francese. A questo ha contribuito il fatto che si trattava di un argomento che Macron poteva effettivamente comprendere e su cui (a differenza del Covid o dell’Ucraina) aveva il potere di influire. Tuttavia, anche se alla fine Macron ha fatto approvare la legge con una procedura costituzionale concepita per affrontare emergenze eccezionali, ciò ha allontanato ancora di più l’elettorato dal sistema politico e il suo partito probabilmente subirà danni enormi in termini di consenso nelle elezioni 2027. E per quale motivo? A che pro, si sarebbe chiesto qualsiasi politico esperto della vecchia scuola?

Si è scritto molto sulla Brexit, ma, a parte le argomentazioni astratte, voglio focalizzarmi su quella che ritengo essere la questione chiave: la pura incompetenza. Da Primo Ministro con una maggioranza risicata David Cameron si è concentrato esclusivamente, come il presidente di un qualsiasi Politburo, sulla propria sopravvivenza e posizione nel partito.  Una piccola ma rumorosa fazione anti-Bruxelles stava creando problemi, quindi perché non lanciare loro l’osso di un referendum che il governo sapeva avrebbe vinto? Questo avrebbe risolto il problema. (In realtà non l’avrebbe fatto, poiché queste persone erano dei veri fanatici che non si sarebbero mai arresi: e questo è la prima valutazione politica totalmente errata). A differenza dell’accurata gestione del referendum europeo del 1975 da parte di Jim Callaghan, Cameron non ha fatto alcun tentativo di definire e attuare una strategia, né di contattare i governi europei per rassicurarli su ciò che stava accadendo. L’arroganza e l’incompetenza hanno impedito al governo di condurre una campagna credibile per il Remain, cercando solo di spaventare e costringere la popolazione a votare a favore: il tipico comportamento di un governo che non sa più come vincere le elezioni se non con gli insulti. Il risultato è stato il più grande disastro politico evitabile dei tempi moderni, anche se quello che è seguito è stato anche peggiore. Cameron, fedele allo spirito egoriferito e ripiegato su sé stesso della politica contemporanea, non ha avuto esitazioni quando i risultati sono stati resi noti: è scappato, e ora pare stia facendo fortuna consigliando altri. La povera vecchia satira sta rimanendo senza lavoro ultimamente.

Theresa May ha ereditato una situazione disperata ma non impossibile. Tutto sommato, qualsiasi politico della vecchia scuola avrebbe saputo cosa fare. Un’attenta valutazione della situazione, colloqui con tutti i partiti, nodi legali da risolvere, discussioni con i partner europei, dibattiti in parlamento… avrebbero potuto passare anni e portare a un cambio di governo o a un consolidamento della maggioranza.  E anche se, alla fine, la Brexit fosse risultata inevitabile, un governo competente si sarebbe preparato adeguatamente. Un principio basilare di qualsiasi negoziato è che non si iniziano mai i colloqui senza obiettivi chiari, senza una buona conoscenza di ciò che vuole la controparte e senza un quadro di massima su ciò che si è disposti a scambiare con cosa. Ma la Brexit è stato il primo vero esempio del nuovo stile della politica occidentale. Tutto ciò che contava per la May era la sua posizione all’interno del partito (inizialmente era contraria alla Brexit) e il preservare tale posizione uscendo dall’UE il più rapidamente possibile, anche se non c’era stata alcuna preparazione preliminare e il governo non aveva obiettivi oltre all’uscita. La sua attenzione era interamente concentrata sul fronte interno: mantenere i media dalla sua parte, “vincere la giornata”, tenere unito il partito e concedere qualsiasi promessa o compromesso necessario per mantenere la sua posizione. Dopo il disastroso fallimento di un’elezione generale indetta appositamente per rafforzare la sua posizione all’interno del partito si è ritrovata ostaggio di un gruppo di fondamentalisti protestanti irlandesi, ai quali ha prestato molta più attenzione di quanta ne abbia riservata ai suoi “partner” negoziali a Bruxelles. Al contrario, sembra che sia stato fatto ben poco per definire una strategia, e i britannici sono passati da una crisi all’altra, battuti in ogni fase da una Commissione che aveva un mandato chiaro e lo ha rispettato. Quando Johnson ha preso il potere, il trionfo della “nuova” politica è stato completo: nulla contava se non “vincere la giornata”. Non importava quante bugie fossero state dette, quanti problemi fossero stati nascosti, quanta fantasia fosse stata messa in campo: la vita reale passava in secondo piano e i futuri problemi che si accumulavano avrebbero potuto essere risolti, beh, in futuro. Il sistema britannico, un tempo solido, era ormai l’ombra di sé stesso, ma anche il sistema migliore è impotente quando i politici sono ossessionati da questioni interne e mediatiche e si chiedono non “cosa vogliamo”, ma “come apparirà”.

A questo punto dovrebbe risultare chiaro come l’Ucraina sia semplicemente l’epitome di questo fenomeno, solo su scala molto più ampia. La “politica” occidentale è gestita da una nomenklatura ormai internazionale, che guarda a sé stessa con orgoglio e approvazione ma è limitata nella sua libertà individuale di espressione e azione come lo era il Comitato Centrale del Partito Comunista Rumeno. I leader nazionali non sono preoccupati dalla crisi in sé, che a malapena comprendono, ma dalla gestione della loro immagine all’interno del proprio Paese e del proprio partito politico, per non parlare del confronto con i colleghi internazionali. Nessuno può permettersi di apparire meno determinato, meno impegnato nei confronti dell’Ucraina, meno antirusso del proprio vicino o del proprio avversario politico. Come la Stasi di un tempo, i media e i social media di oggi esaminano ogni dichiarazione, e persino ogni silenzio, su ogni questione alla ricerca di segni di deviazionismo ideologico. Non sorprende quindi che la nomenklatura passi così tanto tempo a negoziare con sé stessa ciò che potrebbe accettare come esito della crisi: ciò che conta non è ciò che i russi accetteranno, ma ciò che è accettabile per i media, per il proprio partito politico e per i colleghi internazionali, e in ultima analisi per il proprio ego.  Incontrandosi e parlandosi incessantemente, assicurandosi continuamente che la guerra è quasi vinta e Putin sta per cadere, non c’è il tempo o la voglia di cercare di scoprire cosa pensano realmente i russi. Perché dovrebbe essere importante, dopo tutto?

Inoltre, questi leader nazionali sono generalmente impopolari presso i loro elettori, o sono arrivati al potere di recente per inerzia, sostituendo leader che lo erano diventati. Non hanno la minima idea di come gestire l’opinione pubblica se non con minacce e spacconate, il che spiega forse la loro estrema sensibilità alle critiche o addirittura al pensiero indipendente. Abili nel manovrare all’interno del loro partito e abituati a un’attenzione mediatica su tutte le questioni importanti, non riescono a gestire la necessità di convincere gli altri con prove e argomentazioni razionali, poiché non hanno mai dovuto apprendere questa abilità. Ricorrono a minacciare le nazioni non occidentali perché non hanno più le capacità di persuaderle e, in effetti, nella maggior parte dei casi non sanno più cosa stanno facendo o perché, se non che è la stessa cosa che fanno tutti gli altri. Non hanno una visione strategica e nemmeno obiettivi razionali a medio termine, ma solo una serie di totem simbolici: sono come un gruppo di pellegrini che si dirigono alla cieca verso una meta favolosa, tenendosi per mano, sperando in un miracolo.

Queste persone hanno perso il contatto con la realtà anni fa. L’unica cosa che conta è produrre un’informazione d’impatto, vera o meno non importa, che domini la copertura mediatica dell’oggi. Se la storia di domani contraddice quella di oggi, non importa: la gente avrà già dimenticato. Forse ricordate le ridicole storie di un paio di mesi fa sui soldati russi che usavano le pale in combattimento. È stata una notizia divertente per un giorno o poco più, ma ovviamente non è mai stato pensata per essere presa sul serio, né tanto meno per essere verificata. È servita a “vincere la giornata”, dopodiché ha potuto essere gettata. L’incriminazione di Vladimir Putin da parte della Corte penale internazionale ha avuto un grande effetto propagandistico, che era l’unico scopo che si prefiggeva. Le storie di avanzate e ritirate, di vittime russe e di equipaggiamenti distrutti non sono destinate a essere prese alla lettera: sono semplicemente espedienti per vincere la guerra propagandistica di giornata. (E questa guerra non è con i russi, cosa che potrebbe essere almeno comprensibile, ma con l’opinione pubblica occidentale). Questa scuola politica vive di una forma di magia: le cose annunciate accadranno automaticamente, senza che sia necessario fare nulla. Alla fine, questa riduzione delle tasse produrrà X mila nuovi posti di lavoro, Y mila medici saranno assunti nell’arco di X anni, quindi cosa c’è di male nel dire che il Paese Z fornirà all’Ucraina tutte le armi di cui ha bisogno per sempre? Dopo tutto, nessuno prende sul serio questo tipo di promesse, giusto?

E questo ci porta al lento, angosciante inizio della consapevolezza che alla fine sarà necessaria una qualche forma di accordo politico, e al modo surreale, dilettantesco e completamente incentrato sul fronte interno con cui se ne sta discutendo ora. È difficile sfuggire all’idea che la Brexit possa essere un buon indicatore della confusione, dell’ignoranza, dell’arroganza e della disunione con cui l’Occidente potrebbe cercare di affrontare la fine della crisi ucraina. Ma questo è un argomento per un altro articolo. Nel frattempo, l’epitaffio di questa scuola politica potrebbe essere: non importa quante volte si vince la giornata se si finisce per perdere la guerra.

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Gli USA e l’impoverimento dell’Europa, di ROBERTO IANNUZZI

Gli USA e l’impoverimento dell’Europa

Mentre Washington ha nuovamente imposto la sua “indispensabilità” nel continente europeo, l’Europa rischia di diventare la retrovia impoverita di un Occidente in declino.

21 LUG 2023
(Image by pxhere)

Lo scorso aprile, un trionfale articolo dell’Economist intitolato “The lessons from America’s astonishing economic record” affermava che “la più grande economia del mondo sta lasciando i suoi competitori sempre più nella polvere”.

La scomoda verità – ha però osservato Graham Allison, uno dei massimi politologi americani – è che l’Economist giunge a questa sbalorditiva conclusione proprio escludendo l’unico vero competitore degli Stati Uniti: la Cina.

Il paragone a cui si limitava il noto settimanale britannico era fra gli USA e gli altri paesi del G7. In questa competizione, gli Stati Uniti non solo sono avanti ma stanno accrescendo il loro distacco.

Il punto scottante, sottolinea Allison, è che a partire dalla fondazione del G7 circa mezzo secolo fa, la quota del PIL globale a cui contribuisce il gruppo è andata progressivamente diminuendo.

Queste sette economie, che negli anni ’70 del secolo scorso determinavano oltre il 60% dell’output mondiale, oggi ne rappresentano solo il 44% (appena il 30% se misurato a parità di potere d’acquisto).

Mentre la sfida decisiva dei prossimi anni sarà quella fra USA e Cina, ciò a cui stiamo assistendo è una sorta di “cannibalismo” economico fra paesi dell’Occidente.

Se nel 2008 l’economia dell’Unione Europea era poco più grande di quella americana (16,2 trilioni di dollari contro 14,7), nel 2022 l’economia USA ha raggiunto i 25 trilioni mentre quella di UE e Regno Unito insieme non ha toccato neanche i 20 trilioni.

Il divario continua ad aumentare, e non è solo una questione di tenore di vita. E’ la crescente dipendenza europea dagli Stati Uniti in materia di tecnologia, energia, finanza e difesa che sta erodendo ogni residua aspirazione di “autonomia strategica” dell’Europa.

Il panorama tecnologico europeo è dominato da compagnie americane come Microsoft, Amazon e Apple. Mentre la Cina ha sviluppato i propri giganti tecnologici, le poche compagnie europee che emergono vengono spesso acquistate dagli Stati Uniti.

Se nel 1990 l’Europa produceva il 44% dei semiconduttori a livello mondiale, questa percentuale è scesa attorno al 9% nel 2020. Con una quota pari al 12%, gli USA non se la passano meglio.

Ma mentre Washington ha messo in campo un’ambiziosa politica industriale con i provvedimenti dell’Inflation Reduction Act (IRA) e del CHIPS and Science Act, le grandi aspirazioni europee riguardo alla transizione ecologica ed a quella digitale rischiano di rimanere sulla carta.

Di fronte agli ingenti sussidi industriali messi in campo dall’IRA, che rischiano di svantaggiare pesantemente l’industria dell’UE, la Commissione Europea ha mostrato una sconcertante passività.

Nel frattempo, per il tanto sbandierato Green Deal europeo che dovrebbe costare 620 miliardi di euro, la Commissione ha stanziato appena 82,5 miliardi, lasciando presagire che esso rimarrà probabilmente poco più di uno slogan.

E mentre lo status di valuta di riserva mondiale di cui gode il dollaro permette a Washington di finanziare i propri piani, i problemi congeniti dell’unione monetaria europea pongono limiti molto più stringenti all’UE.

Dopo il crollo del muro di Berlino, per alcuni anni era forse sembrato che l’Europa fosse meno dipendente dall’America. Ma, puntando sull’allargamento a est della NATO e dell’UE, Washington ha creato un nuovo serbatoio di paesi strettamente legati agli USA, allo stesso tempo spostando il baricentro dell’Unione e dell’Alleanza Atlantica.

Sfruttando abilmente il conflitto ucraino, gli Stati Uniti hanno nuovamente imposto la loro indispensabilità nel continente europeo, spingendo i propri alleati a rompere ogni rapporto con Mosca ed a rinunciare alle fonti energetiche russe a basso costo.

Ciò ha creato un ulteriore squilibrio fra le due sponde dell’Atlantico. Mentre gli USA dispongono di proprie fonti di gas e petrolio a buon mercato, i prezzi energetici europei sono schizzati alle stelle.

La Germania, motore della crescita UE, ha visto il proprio modello di prosperità fondato sulle esportazioni progressivamente demolito dall’elevata inflazione e da spese quadruplicate a causa della sua improvvisa dipendenza dalle costose fonti energetiche statunitensi. Ciò ha posto il paese in recessione.

Il problema, comune ad altri paesi dell’Unione, accresce ulteriormente il rischio di una migrazione delle imprese europee sull’altra sponda dell’Atlantico, e di una progressiva deindustrializzazione del vecchio continente.

Gli europei hanno cominciato a impoverirsi. A differenza degli Stati Uniti, i consumi in Europa stanno diminuendo. L’Ue ora contribuisce al 18% della spesa globale per i consumi, a fronte di un contributo americano pari al 28%. Quindici anni fa, sia gli USA che l’UE contribuivano a circa un quarto di tale spesa.

Nel frattempo, la militarizzazione dell’Europa a seguito dello scontro con la Russia, in assenza di una robusta industria europea della difesa, è destinata a creare ulteriore dipendenza dall’industria bellica americana.

Già prima del conflitto, circa metà della spesa militare europea andava ad arricchire il complesso militare-industriale statunitense.

E alla luce della competizione con Pechino, Washington sta esercitando pressioni sui paesi europei affinché riducano anche i propri interessi commerciali ed i propri investimenti in Cina.

Nel panorama della nuova competizione globale, l’Europa rischia dunque di diventare la retrovia impoverita (se non addirittura il campo di battaglia) di un Occidente in declino.

https://robertoiannuzzi.substack.com/p/gli-usa-e-limpoverimento-delleuropa

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Perché Zelensky è stato eccessivamente sulla difensiva nella sua ultima intervista all’Economist? _ ANDREW KORYBKO

Perché Zelensky è stato eccessivamente sulla difensiva nella sua ultima intervista all’Economist?

ANDREW KORYBKO
14 SET 2023

L’analisi sostiene che il suo nuovo atteggiamento è dovuto al fatto che alcuni funzionari occidentali stanno probabilmente già tenendo colloqui non ufficiali con la Russia.

La caratteristica spavalderia di Zelensky è stata notevolmente assente dalla sua ultima intervista con The Economist. Ha invece dato l’impressione di essere eccessivamente sulla difensiva, probabilmente perché si è finalmente reso conto che l’entità, la portata e il ritmo degli aiuti multidimensionali dei suoi patroni occidentali non possono continuare all’infinito. Di seguito sono riportati i punti salienti dell’intervista che indicano questo cambiamento di atteggiamento, che saranno poi analizzati per aiutare gli osservatori a capire meglio dove potrebbe essere diretta la guerra per procura tra NATO-Russian proxy war.

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* Zelensky ridimensiona le aspettative di una rapida vittoria massimalista

– Volodymyr Zelensky non vuole pensare a una guerra lunga, né tanto meno parlarne agli ucraini, molti dei quali sognano ancora una vittoria rapida. Ma è proprio a questo che si sta preparando. Devo essere pronto, la mia squadra deve essere pronta per la lunga guerra, ed emotivamente sono pronto”, ha dichiarato il presidente ucraino in un’intervista a The Economist”.

* Comincia a sospettare che i suoi sostenitori occidentali gli stiano mentendo spudoratamente.

– “Ho questa intuizione, leggendo, sentendo e vedendo i loro occhi [quando dicono] ‘saremo sempre con voi'”, dice, parlando in inglese (una lingua in cui è sempre più fluente). Ma vedo che lui o lei non sono qui, non sono con noi”.

* Sembrano sempre più interessati a riprendere i colloqui con la Russia.

– “Alcuni partner potrebbero vedere le recenti difficoltà dell’Ucraina sul campo di battaglia come un motivo per costringerla a negoziare con la Russia. Ma ‘questo è un brutto momento, visto che Putin vede la stessa cosa’”.

* Zelensky sostiene che chi riduce gli aiuti all’Ucraina farebbe gli interessi della Russia.

– “Il presidente ucraino è ben consapevole dei rischi per il suo Paese se l’Occidente iniziasse a ritirare il suo sostegno economico. Ciò danneggerebbe non solo l’economia ucraina, ma anche il suo sforzo bellico”. Lo dice in termini crudi. Se non si sta con l’Ucraina, si sta con la Russia e se non si sta con la Russia, si sta con l’Ucraina. E se i partner non ci aiutano, significa che aiuteranno la Russia a vincere. Questo è quanto”.

* Tuttavia, considerazioni di carattere elettorale potrebbero far sì che ciò accada.

– Con molti dei suoi alleati occidentali (tra cui l’America) che terranno le elezioni l’anno prossimo, Zelensky sa che sostenere il sostegno sarà difficile, soprattutto in assenza di progressi significativi sul fronte”.

* Sta quindi tramando per manipolare gli elettori e spingerli a fare pressione sui loro politici contro di loro.

– “È ancora convinto che il modo migliore per convincere i governi, [per far loro] credere di essere dalla parte giusta, sia quello di spingerli attraverso i media. La gente legge, discute, decide e spinge”, dice.

È stata l’opinione pubblica a spingere i politici ad aumentare le forniture di armi all’Ucraina nei primi giorni della guerra. Ridurre questi aiuti, sostiene, potrebbe far arrabbiare non solo gli ucraini, ma anche gli elettori occidentali. Inizieranno a chiedersi a cosa sia servito tutto questo sforzo. La gente non perdonerà [i loro leader] se perderanno l’Ucraina”.

* Tuttavia, Zelensky sta coprendo le sue scommesse elogiando Trump nel caso in cui torni al potere.

– Se Putin spera che una vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del 2024 gli consenta di vincere, si sbaglia. Trump non sosterrebbe mai Vladimir Putin. Non è quello che fanno gli americani forti”.

* Sta anche cercando di fare pressione su Biden ricordandogli la debacle in Afghanistan.

– “Si aspetta che Joe Biden mantenga la rotta se verrà rieletto. (‘Vogliono l’Afghanistan, seconda parte?’)”.

* Zelensky implora l’UE di accettare l’Ucraina come membro per risollevare il morale del suo popolo.

– Zelensky spera che l’Unione Europea non solo continui a fornire aiuti, ma che quest’anno apra i negoziati sul processo di adesione dell’Ucraina. (Si prevede che questa mossa avverrà in occasione di un vertice a dicembre): “Sosterrà il morale in Ucraina. Darà energia alla gente”.

* Difende inoltre la lentezza della controffensiva sostenendo che essa salva le vite dei suoi soldati.

– “L’Ucraina avrebbe perso “migliaia” se avesse seguito il consiglio di impegnare molte più truppe, dice. Questo non è il tipo di guerra in cui “il leader di un Paese dice che il prezzo non ha importanza”. Questa è la differenza tra lui e Vladimir Putin. Per lui la vita non è niente”.

* Zelensky ritiene che coloro che parlano con Putin siano ingannati da un moderno Hitler.

– “Coloro che scelgono di parlare con l’uomo del Cremlino si stanno ‘ingannando’, proprio come i leader occidentali che firmarono un accordo con Adolf Hitler a Monaco nel 1938 per poi vederlo invadere la Cecoslovacchia. L’errore non è la diplomazia. L’errore è la diplomazia con Putin. Lui negozia solo con se stesso”.

* Accenna minacciosamente al fatto che i rifugiati ucraini potrebbero insorgere se l’Occidente riducesse gli aiuti al loro Paese.

– “Non c’è modo di prevedere come i milioni di rifugiati ucraini nei Paesi europei reagirebbero all’abbandono del loro Paese. Gli ucraini si sono generalmente “comportati bene” e sono “molto grati” a coloro che li hanno ospitati. Non dimenticheranno questa generosità. Ma non sarebbe una “bella storia” per l’Europa se dovesse “spingere queste persone in un angolo””.

* L’Ucraina avrà bisogno di un “nuovo contratto sociale” se non otterrà presto la massima vittoria.

– Una lunga guerra di logoramento significherebbe un bivio per l’Ucraina.

Il Paese perderebbe ancora più persone, sia al fronte che nell’emigrazione. Richiederebbe una “economia totalmente militarizzata”. Il governo dovrebbe sottoporre questa prospettiva ai suoi cittadini, dice Zelensky, senza specificare come; un nuovo contratto sociale non potrebbe essere una decisione di una sola persona. A quasi 19 mesi dall’inizio della guerra, il Presidente afferma di essere “moralmente” pronto per il cambio. Ma affronterà l’idea con il suo popolo solo se la debolezza agli occhi dei suoi sostenitori occidentali diventerà una “tendenza”.

È arrivato quel momento? No, non ancora, dice. Grazie a Dio”.

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Tutto ciò che ha condiviso è la naturale evoluzione dei punti contenuti nelle seguenti analisi:

* 25 August: “The NYT & WSJ’s Critical Articles About Kiev’s Counteroffensive Explain Why It Failed

* 29 August: “Zelensky’s Latest TV Interview Shows How Much The Conflict’s Dynamics Have Shifted

* 31 August: “Vivek Ramaswamy’s Plan For Ending The NATO-Russian Proxy War In Ukraine Is Pragmatic

* 4 September: “Kiev’s Military Shake-Up Suggests That Peace Will Remain A Distant Prospect

* 9 September: “WaPo Reported That Ukrainians Are Distrustful Of The West & Flirting With A Ceasefire

Tutte le parti si stanno stancando, Kiev vuole ancora andare avanti, ma i calcoli occidentali stanno cambiando.

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Leggendo tra le righe dell’ultima intervista di Zelensky emergono i seguenti punti:

* Alcuni funzionari occidentali stanno probabilmente già tenendo colloqui non ufficiali con la Russia.

* Ciò è probabilmente dovuto a una combinazione di dinamiche strategico-militari e di interessi elettorali.

* Per questo Zelensky è eccessivamente sulla difensiva e cerca aggressivamente di fare pressione su di loro per farli riconsiderare.

* Teme che la continuazione degli aiuti sia subordinata alla ripresa ufficiale dei colloqui da parte di Zelensky.

* Sta quindi tramando per intromettersi nelle loro prossime elezioni con mezzi da infowar.

* Zelensky potrebbe anche ordinare all’SBU di organizzare rivolte di rifugiati ucraini in tutta Europa.

* Se fallisce e i colloqui sono inevitabili, spera nell’adesione all’UE come consolazione.

* Zelensky potrebbe poi indire le elezioni e riprendere i colloqui se vince rivendicando un mandato popolare.

Per quanto riguarda il primo punto, questi articoli dei media occidentali e russi suggeriscono un interesse reciproco per i colloqui:

* The New Yorker: “The Case for Negotiating with Russia

* The New York Times: “As Ukraine’s Fight Grinds On, Talk of Negotiations Becomes Nearly Taboo

* RT: “Sergey Poletaev: The West knows Ukraine’s counteroffensive is failing. So what’s plan B?

* TASS: “Russia can’t stop hostilities if Ukraine conducts counteroffensive, Putin says

* TASS: “Kiev delays talks making it more difficult to negotiate later — Lavrov

Il primo pezzo promuove le argomentazioni di Samuel Charap della RAND Corporation a favore di un cessate il fuoco, mentre il secondo lamenta che l’élite occidentale nel suo complesso non è ancora pronta a prendere seriamente in considerazione la possibilità di fermare lo spargimento di sangue. Quello di RT aggiunge alcuni argomenti russi per spiegare perché un cessate il fuoco potrebbe essere nell’interesse del Cremlino, mentre gli ultimi due della TASS mostrano che i suoi alti funzionari sono effettivamente interessati a questo, anche se non si possono fare progressi tangibili (almeno ufficialmente) finché non finisce la controffensiva.

Gli sviluppi strategico-militari oggettivamente esistenti nel corso dell’estate e le narrazioni soggettivamente interpretate che oggi vengono spinte da entrambe le parti della guerra per procura tra NATO e Russia nelle ultime settimane suggeriscono in modo convincente un crescente interesse a congelare il conflitto. Detto questo, all’interno di entrambe le parti ci sono forze potenti che non vogliono che ciò accada, per non parlare di Kiev. Questo complica quindi il cammino verso la pace, ma tutto si sta muovendo in quella direzione nonostante loro.

Come sostenuto in tutto questo pezzo, Zelensky è stato eccessivamente sulla difensiva nella sua ultima intervista con The Economist proprio perché alcuni funzionari occidentali stanno probabilmente già tenendo colloqui non ufficiali con la Russia. Il suo team e i suoi sostenitori liberal-globalisti nei circoli politici statunitensi potrebbero ancora ricorrere a false bandiere e provocazioni per sabotare il tutto, quindi i prossimi mesi potrebbero essere caratterizzati da pericolosi drammi, ma se l’attuale traiettoria rimarrà sulla buona strada, il conflitto potrebbe finalmente iniziare a congelarsi all’inizio del prossimo anno.

https://korybko.substack.com/p/why-was-zelensky-overly-defensive

 

Dall’Economist

Donald Trump non sosterrà mai Putin, dice Volodymyr Zelensky
Ma il presidente ucraino teme che alcuni dei sostenitori occidentali del suo Paese stiano perdendo la fede
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy fa un gesto al suo pubblico
immagine: reuters
10 settembre 2023 | KYIV

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Volodymyr Zelenskiy non vuole pensare a una lunga guerra, né tanto meno parlarne agli ucraini, molti dei quali sognano ancora di vincere in fretta. Ma è proprio a questo che si sta preparando. “Devo essere pronto, la mia squadra deve essere pronta per la lunga guerra, ed emotivamente sono pronto”, afferma il presidente ucraino in un’intervista a The Economist. Parlando ai margini della yes conference, un pow-wow internazionale a Kyiv, è calmo, composto e cupo. Un anno fa, nello stesso contesto, l’atmosfera era elettrica ed euforica; la notizia del successo delle forze ucraine nel respingere la Russia dalla regione di Kharkiv risuonava su tutti gli smartphone presenti nella sala.

Quest’anno l’atmosfera è molto diversa. A tre mesi dall’inizio della controffensiva, l’Ucraina ha compiuto solo modesti progressi lungo l’importantissimo asse meridionale nella regione di Zaporizhia, dove sta cercando di interrompere il “ponte di terra” dalla Russia alla Crimea di Vladimir Putin. La questione di quanto tempo ci vorrà, o se ci riuscirà, pesa sulla mente dei leader occidentali. Essi continuano a parlare bene, impegnandosi a stare al fianco dell’Ucraina “fino a quando sarà necessario”. Ma il signor Zelensky, un ex attore televisivo con un senso acuto del suo pubblico, ha rilevato un cambiamento di umore tra alcuni dei suoi partner. “Ho questa intuizione, leggendo, sentendo e vedendo i loro occhi [quando dicono] ‘saremo sempre con voi'”, dice, parlando in inglese (una lingua in cui è sempre più fluente). “Ma vedo che lui o lei non sono qui, non sono con noi”.

Apre le mani in un gesto di frustrazione. Alcuni partner potrebbero vedere le recenti difficoltà dell’Ucraina sul campo di battaglia come un motivo per costringerla a negoziare con la Russia. Ma “questo è un brutto momento, perché Putin vede la stessa cosa”.

Non essendo riuscito a sopraffare l’Ucraina in tempi brevi, Putin sembra determinato a sfiancare il Paese e a logorare la determinazione dei suoi partner a continuare a finanziarlo e a rifornirlo di armi. Il suo obiettivo è rendere l’Ucraina uno Stato disfunzionale e spopolato, i cui rifugiati causano problemi in Europa. Ma Zelensky afferma che la Russia stessa è fragile. Putin “non capisce che nella lunga guerra perderà. Perché non importa se il 60% o il 70% [dei russi] lo sostiene. No, la sua economia perderà”. Quando l’Ucraina aumenterà i suoi attacchi all’interno della Russia, i russi inizieranno a porsi domande scomode sull’incapacità del loro esercito di proteggerli, “perché i nostri droni atterreranno”. L’autorità del presidente russo è stata indebolita dall’ammutinamento in giugno di Yevgeny Prighozhin, capo del gruppo di mercenari Wagner, poi assassinato. Secondo Zelensky, si indebolirà ulteriormente.

Allo stesso tempo, il presidente ucraino è ben consapevole dei rischi per il suo Paese se l’Occidente iniziasse a ritirare il suo sostegno economico. Ciò danneggerebbe non solo l’economia ucraina, ma anche il suo sforzo bellico. Lo dice in termini crudi. “Se non si sta con l’Ucraina, si sta con la Russia e se non si sta con la Russia, si sta con l’Ucraina. E se i partner non ci aiutano, significa che aiuteranno la Russia a vincere. Questo è quanto”. Con molti dei suoi alleati occidentali (tra cui l’America) che terranno le elezioni il prossimo anno, Zelensky sa che sostenere il sostegno sarà difficile, soprattutto in assenza di progressi significativi sul fronte.

Il presidente ucraino ha saputo fare appello alle opinioni pubbliche occidentali, spesso scavalcando i loro politici. È ancora convinto che il modo migliore “per convincere i governi, [per far loro] credere di essere dalla parte giusta, sia quello di spingerli attraverso i media. Le persone leggono, discutono, decidono e spingono”, afferma. È stata l’opinione pubblica a spingere i politici ad aumentare le forniture di armi all’Ucraina nei primi giorni della guerra. Ridurre questi aiuti, sostiene, potrebbe far arrabbiare non solo gli ucraini, ma anche gli elettori occidentali. Inizieranno a chiedersi a cosa sia servito tutto questo sforzo. “La gente non perdonerà [i loro leader] se perderanno l’Ucraina”.

Se Putin spera che una vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del 2024 gli consenta di vincere, si sbaglia. Trump non sosterrebbe mai Vladimir Putin. “Non è questo che fanno gli americani forti”. Si aspetta che Joe Biden mantenga la rotta se verrà rieletto. (E spera che l’Unione Europea non solo continui a fornire aiuti, ma che quest’anno apra i negoziati sul processo di adesione dell’Ucraina. (Si prevede che questa mossa avverrà in occasione di un vertice a dicembre): “Sosterrà il morale in Ucraina. Darà energia alla gente”.

Mantenere il morale alto è fondamentale. Per questo motivo, secondo Zelensky, anche i limitati progressi in prima linea sono essenziali. “Ora c’è movimento. È importante”. Dopo pesanti perdite iniziali e tattiche adattate frettolosamente, i soldati ucraini hanno finalmente perforato la prima delle tre principali linee difensive russe nella regione di Zaporizhia. Zelensky insiste sul fatto che un grande passo avanti può ancora essere fatto: “Se li spingiamo da sud, scapperanno”.

Anche sul fronte secondario della controffensiva, vicino alla città orientale di Bakhmut, le forze ucraine stanno lentamente riprendendo territorio. “Durante i primi giorni della guerra su larga scala, continuavamo a essere respinti. Ogni giorno. Hanno preso alcune città, centinaia di villaggi”, racconta. Ora le forze ucraine stanno avanzando a fatica. Ma le truppe devono affrontare un compito erculeo per trasformare i progressi lungo uno dei due assi in una svolta strategica.

In risposta alle lamentele occidentali sulla lentezza dell’offensiva, Zelensky afferma che essa riflette l’estremo livello di pericolo. La riconquista del territorio deve essere bilanciata con la salvaguardia del maggior numero possibile di vite umane. I soldati devono ridurre i rischi: effettuare ricognizioni, usare droni, evitare scontri diretti. L’Ucraina avrebbe perso “migliaia di persone” se avesse seguito il consiglio di impegnare molte più truppe, dice. Questo non è il tipo di guerra in cui “il leader di un Paese dice che il prezzo non conta”. Questa è la differenza tra lui e Vladimir Putin. “Per lui la vita non è niente”.

Dopo mesi di aspettative per la controffensiva, Zelensky sta adattando attentamente il suo messaggio alla realtà. La vittoria non arriverà “domani o dopodomani”, dice. Ma non è un sogno fantastico. L’Ucraina merita di vincere e l’Occidente dovrebbe sostenerla. L’esercito russo sta perdendo “molte persone” e sta ridispiegando le sue riserve per fermare l’avanzata ucraina, dice: “Significa che perdono”.

Battendo forte sul tavolo, Zelensky rifiuta categoricamente l’idea di un compromesso con Vladimir Putin. La guerra continuerà “finché la Russia resterà in territorio ucraino”, dice. Un accordo negoziato non sarebbe permanente. Il presidente russo ha l’abitudine di creare “conflitti congelati” ai confini della Russia (ad esempio in Georgia), non come fine a se stessi, ma perché il suo obiettivo è quello di “restaurare l’Unione Sovietica”. Coloro che scelgono di parlare con l’uomo del Cremlino si stanno “ingannando”, proprio come i leader occidentali che firmarono un accordo con Adolf Hitler a Monaco nel 1938 per poi vederlo invadere la Cecoslovacchia. “L’errore non è la diplomazia. L’errore è la diplomazia con Putin. Lui negozia solo con se stesso”.

La riduzione degli aiuti all’Ucraina non farà altro che prolungare la guerra, sostiene Zelensky. E creerebbe rischi per l’Occidente nel suo stesso cortile. Non c’è modo di prevedere come i milioni di rifugiati ucraini nei Paesi europei reagirebbero all’abbandono del loro Paese. Gli ucraini si sono generalmente “comportati bene” e sono “molto grati” a coloro che li hanno ospitati. Non dimenticheranno questa generosità. Ma non sarebbe una “bella storia” per l’Europa se dovesse “spingere queste persone in un angolo”.

Nel frattempo, una lunga guerra di logoramento significherebbe un bivio per l’Ucraina. Il Paese perderebbe ancora più persone, sia in prima linea che a causa dell’emigrazione. Sarebbe necessaria “un’economia totalmente militarizzata”. Il governo dovrebbe sottoporre questa prospettiva ai cittadini, dice Zelensky, senza specificare come; un nuovo contratto sociale non potrebbe essere una decisione di una sola persona. A quasi 19 mesi dall’inizio della guerra, il presidente dice di essere “moralmente” pronto per il cambio. Ma affronterà l’idea con il suo popolo solo se la debolezza agli occhi dei suoi sostenitori occidentali diventerà una “tendenza”. È arrivato quel momento? No, non ancora, dice. “Grazie a Dio”. ■

https://www.areion24.news/?fbclid=IwAR3DbON5sLHQkdta5wfdscR2spzwqo_RPOhhpoEhHDdwt3sDe7IwBhbCX2k

Dalla rivista francese Diplomatie di settembre/ottobre

Si sono svolti incontri segreti tra russi e americani.

Dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina nel febbraio 2022, non c’è stato alcun segnale di una fine del conflitto nelle prossime settimane o mesi. Per quanto riguarda Kiev, la controffensiva lanciata a giugno non si è dimostrata efficace, se non decisiva (al momento di andare in stampa) e al momento della stampa di questo numero) e i suoi alleati i suoi alleati hanno annunciato quest’estate l’invio di nuovi equipaggiamenti militari, come bombe a grappolo e missili a lungo raggio. Per quanto riguarda Vladimir Putin e i suoi generali, la linea ufficiale è ben calibrata: tutto va bene e ci sarà solo una resa totale dell’Ucraina per porre fine a questa “operazione militare speciale”, come le autorità di Mosca definiscono questo conflitto.

Tuttavia, secondo diverse fonti diplomatiche, dietro le quinte si fa sempre più sentire un’altra voce. Secondo il canale televisivo americano NBC News, <<un gruppo di ex alti funzionari della sicurezza nazionale statunitense ha avuto colloqui segreti con persone sospettate di essere vicine al Cremlino, nel tentativo di gettare le basi per i negoziati per la fine alla guerra in Ucraina >>.
Essi includono Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo e sostenitore di Putin. Durante questi incontri, americani e russi avrebbero discusso del futuro dei territori occupati o di possibili compromessi. << Uno degli obiettivi è quello di mantenere aperti i canali di comunicazione con la Russia, ove possibile, e di determinare dove potrebbe esserci spazio per un compromesso

PER WASHINGTON, È NECESSARIO PORRE FINE A QUESTO CONFLITTO
CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MORTI.
per quanto riguarda i futuri negoziati, i compromessi e la diplomazia per porre fine alla guerra, NBC News sottolinea che l’amministrazione Biden e il suo gabinetto sono a conoscenza di questi scambi americano-russi, ma non sono direttamente coinvolti. Secondo quanto riferito, è stata presa in considerazione la possibilità di una zona demilitarizzata e di un cessate il fuoco, sotto la supervisione congiunta di truppe ONU o OSCE. Tuttavia, questa potrebbe essere solo una soluzione imperfetta nella pratica, poiché non garantirebbe l’eventuale firma di un trattato di pace e rischierebbe addirittura di congelare il confronto, come quello che esiste tra le due Coree. Tuttavia, e senza minimamente vacillare nel loro sostegno all’Ucraina,
gli Stati Uniti si stanno preparando attivamente per la fine di questo
conflitto russo-ucraino. Lo scorso maggio, William Joseph Burns, direttore della CIA (in carica dal 2021) ha parlato con i vertici militari ucraini che gli hanno riferito che la controffensiva avrebbe permesso di liberare nuovi territori.
<< entro l’autunno >>. È su questo calendario che Washington sembra voler elaborare una sorta di piano postbellico. Secondo le nostre informazioni
Secondo le nostre informazioni, gli Stati Uniti stanno dando al generale di Kiev
di fare progressi sul fronte, ma quando arriva quel momento

Quando l’11 luglio si è aperto a Vilnius, capitale lituana, il vertice della NATO con la
alla presenza dei 31 leader dei Paesi dell’Alleanza e del Presidente Zelensky, un tweet di Gerard Araud, ex ambasciatore francese a Washington tra il 2014 e il 2019 dopo essere stato rappresentante permanente della Francia alle Nazioni Unite, aveva sollevato gli animi in vista di futuri negoziati: << In alcune conferenze, un fantasma infesta i corridoi. (…) A Vilnius, il fantasma è il desiderio americano di negoziare se possibile con la Russia >>. E mentre il presidente Joe Biden aveva espresso ufficialmente la sua opposizione all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, oggi l’ex ambasciatore francese negli Stati Uniti si è spinto oltre su Twitter: << Il vero argomento che nessuno osa sollevare è la vera ragione del rifiuto americano di aderire: il desiderio di Washington di mantenere aperta l’opzione di negoziare con la Russia. >> È vero che ci sono almeno due ragioni per la determinazione americana a negoziare.
SONO IN CORSO DISCUSSIONI CON SERGEI LAVROV, IL CAPO DELLA DIPLOMAZIA RUSSA.
In primo luogo, l’obiettivo è quello di porre fine alla più grande guerra tra Paesi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Con decine di migliaia di soldati morti da entrambe le parti, città rase al suolo, civili bombardati e uccisi gratuitamente e crimini di guerra commessi. Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden è tormentata da un conflitto, quello che lo vede contrapposto alla Cina su questioni come Taiwan, il riavvicinamento Cina-Russia e il Pacifico.
<< Gli americani sono totalmente coinvolti nella guerra in Ucraina, ma hanno la testa in Cina… >>, ha dichiarato un importante esponente europeo al settimanale settimanale << L’Obs >> all’inizio dell’anno. Per Washington, il mondo di domani si giocherà in Asia.

Marc Peyssal

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Misure di coercizione economica (note come “sanzioni”), loro uso ed efficacia, di Jacques Sapir

Misure di coercizione economica (note come “sanzioni”), loro uso ed efficacia

Sep 7, 2023

Il crescente numero di casi di misure di coercizione economica imposte da Stati o gruppi di Stati per costringere un altro Stato a cambiare o abbandonare la propria politica[1] rappresenta uno sviluppo importante. Le sanzioni contro la Russia[2], imposte nel periodo 2014-2017[3] o dalla fine di febbraio 2022[4], sono un esempio, ma altri casi che riguardano Cuba, Iran e Corea del Nord non sono meno significativi. Questa tendenza non è del tutto nuova. Già nell’antichità e nel Medioevo, l’uso di armi economiche era comune, al punto da essere incluso nella panoplia degli strumenti di conflitto armato. Ma l’idea che la sola coercizione economica potesse produrre risultati politici sufficienti a evitare il ricorso al conflitto armato è stata una grande innovazione. Essa deriva dalla Prima guerra mondiale.

Questa idea era in linea con la nozione di “guerra economica”. Ma mentre quest’ultima integrava uno sforzo puramente “militare” nel contesto di un conflitto, l’attuale nozione di coercizione economica pretende di sostituire il conflitto armato. Per cercare di capire questi sviluppi attuali, dobbiamo ripercorrere la storia delle sanzioni economiche dalla loro prima comparsa negli anni Venti.

I. Il concetto di “guerra economica
Il concetto di “guerra economica” è polisemico[5]. La sua stessa definizione è problematica perché riunisce processi conflittuali, in altre parole “relazioni amico/nemico”[6], e altri semplicemente competitivi[7]. In Francia, il portale di intelligence economica lo descrive come: “un processo e una strategia decisi da uno Stato nell’ambito dell’affermazione del proprio potere sulla scena internazionale. Si realizza attraverso l’informazione in campo economico e finanziario, tecnologico, giuridico, politico e sociale”[8]. Delbecque e Harbulot la associano alla guerra cognitiva e alla guerra dell’informazione, in una logica di guerra asimmetrica al servizio del potere nazionale totale[9]. È quindi chiaro che questa nozione si sta sviluppando parallelamente a quella di strategia[10], ma anche di strategia economica.

Tuttavia, il termine è stato utilizzato più volte sia dagli storici che dai politologi[11]. Per gli storici, sarà utilizzato per descrivere l’intreccio di tensioni economiche e militari[12], ma anche misure tipicamente associate ai conflitti armati come i blocchi (che sono generalmente considerati un atto di guerra[13]) e, nel linguaggio militare, il divieto di comunicazione[14]. Il risultato del conflitto non è più il confronto diretto delle risorse militari delle due parti coinvolte, ma l’esaurimento economico, o la carestia, causata dal blocco[15]. Da questo punto di vista, il blocco può essere assimilato a una forma di “strategia indiretta”, che mira a far piegare l’avversario senza impegnare il grosso delle proprie forze. I conflitti a partire dal XIX secolo hanno dato origine a diversi tipi di “blocco”, da quello imposto dalle marine britanniche, francesi e russe contro l’Impero Ottomano durante la guerra d’indipendenza greca (che portò alla battaglia navale di Navarin nel 1826), al blocco della Germania e dell’Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale, passando per il blocco esercitato dal governo dell’Unione contro quello della Confederazione durante la guerra civile americana[16]. In questo caso, la guerra e l’economia sono di fatto collegate. Nel campo della scienza politica, invece, questa nozione viene utilizzata per caratterizzare in modo più dettagliato la componente puramente economica delle guerre e il ruolo del desiderio di controllo delle risorse nello scatenare le guerre. Va notato, tuttavia, che un atto di guerra economica, pur mirando a dare un vantaggio a chi lo compie, può non essere necessariamente antitetico a un indebolimento in cambio di chi lo compie[17].

Questo è il caso particolare di un ipotetico “effetto boomerang”, un fenomeno che è stato analizzato in particolare in relazione alla prima ondata di sanzioni contro la Russia nel 2014-2017[18].

Da quel momento in poi, si ricorre all’analisi costi-benefici per determinare se l’azione è più favorevole a una parte rispetto all’altra. John Maynard Keynes, molto colpito dal costo umano della Prima guerra mondiale, ma anche dall’effetto distruttivo del blocco navale franco-britannico sulla Germania, ha difeso il potenziale pacificatore delle sanzioni economiche[19]. Ma questo è probabilmente dare troppo peso alla razionalità economica. È un dato di fatto che l’uso di questa nozione è variato nel tempo. Per questo motivo ci concentreremo qui sulla sua forma moderna.

II. Raggiungere obiettivi strategici senza fare la guerra?
La nozione di “guerra economica” sembra essere apparsa ufficialmente nel contesto della Prima guerra mondiale (1914-1918). Inizialmente, era intrinsecamente legata alla nozione stessa di guerra.

Il blocco[20] messo in atto dai franco-britannici contro la Germania, un blocco che nessuno poteva ignorare avrebbe colpito duramente un’economia dipendente dall’importazione di alcune materie prime, ebbe un impatto considerevole sulle rappresentazioni della guerra economica. Diede origine a contromisure, tra cui la riorganizzazione dell’economia tedesca, che fu messa in atto praticamente nei primi giorni del conflitto[21]. Già nell’agosto del 1914, Walther Rathenau (1867-1922), direttore dell’azienda elettrica AEG, aveva avvertito l’esercito che il Paese non aveva un programma di approvvigionamento e che presto avrebbe esaurito le munizioni. Pochi giorni dopo fu istituito il Dipartimento dei materiali bellici (Kriegsrohstoffabteilung o KRA[22]). Questo dipartimento fu diretto dallo stesso Rathenau, che lo diresse fino al 1915. Queste contromisure possono servire come esempio contemporaneo. Il KRA riaprì le fabbriche e incoraggiò anche la sostituzione dei materiali disponibili con quelli rari. Un esempio fu l’utilizzo del processo Haber-Bosch per la produzione di ammoniaca, quando le potenze alleate bloccarono le importazioni di salnitro cileno [23].

Dopo la Prima Guerra Mondiale, le misure ispirate a quelle attuate dai Paesi dell’Intesa furono codificate nel diritto pubblico internazionale e nell’ambito della Società delle Nazioni (Lega) [24]. L’articolo 16 della Carta della Lega prevedeva un arsenale di misure di guerra economica volte a rendere impossibile la prosecuzione di un conflitto[25]. In effetti, la Società delle Nazioni ha dovuto affrontare diversi conflitti interstatali durante la sua esistenza.

Tableau 1Conflits traités par la SDN (1920-1940)

  1. Conflit suédo-finlandais 1920 (Iles d’Åland)
  2. Conflit polono-lituanien (Vilna, 1920 – 1923)
  3. Conflit italo-grec (Corfou, 1923)
  4. Conflit de Mossoul, 1924 – 1925 (Grande-Bretagne, Turquie)
  5. Conflit gréco-bulgare 1925 (Demir Kapou)
  6. Guerre du Chaco 1928-1938 (Paraguay-Bolivie-Brésil)
  7. Conflit sino-japonais concernant la Mandchourie 1931 – 1932
  8. Conflit de Leticia (Colombie-Pérou) 1933 – 1934
  9. Guerre italo-éthiopienne 1935-1936
  10. Guerre russo- finlandaise, 1939 – 1940

 

Mentre la “guerra del Chaco” fornì l’opportunità di discutere alcune misure di coercizione economica,[26] l’articolo 16 della Carta della Lega fu realmente messo alla prova durante il conflitto italo-etiopico del 1935-1936. Dopo diversi anni di preparazione, il 2 ottobre 1935 l’Italia di Mussolini decise di invadere l’Abissinia, nome con cui era conosciuta l’Etiopia[27]. Il 3 ottobre 1935, dopo il bombardamento di Adigrat e Adoua, l’imperatore Hailé Selassié (il Negus) sottopose prontamente la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sottolineando la “violazione della frontiera dell’Impero e la violazione del Patto da parte dell’aggressione italiana”. Un comitato di coordinamento, noto come Comitato dei 18, fu incaricato di applicare le sanzioni previste dall’articolo 16 della Società delle Nazioni. Questo comitato escluse fin dall’inizio le sanzioni militari ed ebbe grandi difficoltà, a causa dell’ostruzione francese, a definire le sanzioni economiche[28]. Il Comitato dei 18 annunciò sanzioni finanziarie ed economiche “relativamente benigne”[29]. Fu vietata la vendita all’Italia di alcuni materiali cosiddetti “strategici” come minerali, gomma e mezzi di trasporto[30]. Il Comitato propose di andare oltre e di estenderle all’acciaio, al coke, al petrolio e al ferro. Anche in questo caso, la Francia – in nome del patto Laval-Mussolini del 1935 – si oppose a queste misure[31]. Riuscì persino, con l’aiuto della Gran Bretagna, a far fallire le misure riguardanti il petrolio e i prodotti petroliferi. Il fallimento delle sanzioni ebbe quindi molteplici cause[32]. In primo luogo, come abbiamo detto, Francia e Regno Unito erano riluttanti ad applicarle. In secondo luogo, il fatto che molte di queste misure non erano coercitive. Infine, la Società delle Nazioni non era pienamente rappresentativa della comunità internazionale[33]. Il rifiuto degli Stati Uniti di partecipare, seguito dal ritiro del Giappone, indebolì la sua rappresentatività.

La guerra d’Abissinia minò quindi la credibilità della Lega. Ma non fu l’unico esempio di sanzioni economiche prima del 1945. In seguito all’aggressione del Giappone alla Cina nel 1937, gli Stati Uniti, che non erano membri della Lega, cercarono di imporre sanzioni. Nel 1938 decisero di sospendere il trattato del 1911 che concedeva al Giappone lo status di nazione più favorita e nel 1939 inasprirono la loro posizione con l’Export Control Act del 1940, che vietava l’esportazione di attrezzature aeronautiche e di rottami metallici, ampiamente utilizzati nell’industria giapponese. Di fronte alla decisione del Giappone di occupare l’Indocina francese nel 1940, si decise di congelare i beni giapponesi negli Stati Uniti, una misura che tagliò in gran parte l’accesso del Giappone al petrolio e spinse i leader giapponesi ad attaccare gli Stati Uniti[34].

Anche in questo caso, possiamo parlare di un fallimento delle sanzioni economiche, inizialmente senza dubbio perché troppo leggere e, in seguito, perché divennero così efficaci da non lasciare al Giappone altra scelta che la capitolazione politica o l’attacco agli Stati Uniti. Da questo punto di vista, è possibile che si tratti di una forma di “effetto boomerang” delle sanzioni, ma questo effetto fu comunque preso in considerazione dal governo statunitense. Dopo la guerra, tuttavia, l’Export Control Act del 1940 fu utilizzato per definire l’Export Control Act del 1949 e l’Export Control Act del 1951, che costituirono la base della politica di sanzioni economiche perseguita dagli Stati Uniti durante la Guerra Fredda[35].

III. Le sanzioni economiche durante la Guerra Fredda e i loro effetti
Dopo la Seconda guerra mondiale, la questione delle sanzioni economiche è stata ripresa, ma con il costante desiderio di evitare gli errori commessi dalla Società delle Nazioni. La questione dell’applicazione e del rispetto delle sanzioni da parte della comunità internazionale nel suo complesso era al centro del dibattito[36]. Un altro punto importante era ovviamente la posizione dominante degli Stati Uniti. La Carta delle Nazioni Unite, nel suo Capitolo VII dedicato alle “Azioni nei confronti delle minacce alla pace, delle violazioni della pace e degli atti di aggressione”, riprende la logica dell’articolo 16 della Società delle Nazioni[37] con diversi articoli che vanno dalle sanzioni economiche (art. 41) all’uso della forza armata (art. 42). La Carta menziona la possibilità che queste misure abbiano un effetto negativo, in altre parole un effetto boomerang, su un membro delle Nazioni Unite (art. 50). Il concetto di coercizione economica, di misure simili alla guerra economica[38], è quindi ben radicato nel diritto internazionale. Tuttavia, queste misure sono strettamente legate al Consiglio di Sicurezza (UNSC). Le sanzioni unilaterali sono in teoria condannate dalle Nazioni Unite, ma ciò non ne ha impedito l’uso[39], soprattutto da parte degli Stati Uniti.

L’efficacia delle sanzioni è dipesa da molti fattori. Il principale è il divario economico tra il Paese (o il gruppo di Paesi) che decide le sanzioni e il Paese “bersaglio”. Questo divario è stato generalmente superiore a 10:1 in termini di PIL, e a volte molto di più, riflettendo la posizione unica degli Stati Uniti alla fine della guerra nel 1945. Tuttavia, questa situazione è cambiata nel tempo.

Uno dei casi più interessanti è stato l’insieme di sanzioni imposte al Sudafrica a causa della sua politica di apartheid[40], così come le sanzioni imposte alla Rhodesia (oggi Zimbabwe) nel 1966[41]. Le sanzioni contro il Sudafrica furono adottate tardivamente, nonostante una condanna anticipata adottata dalle Nazioni Unite nel 1964, su richiesta della Bolivia e della Norvegia, perché il Consiglio di Sicurezza riteneva che la politica di apartheid perseguita dal Sudafrica stesse seriamente turbando la pace e la sicurezza internazionale[42]. Nel caso della Rhodesia, dopo un tentativo fallito da parte del Regno Unito, fu infine adottata (con dieci voti favorevoli e un’astensione) una risoluzione presentata dalla Bolivia e dall’Uruguay che dichiarava che il Consiglio di Sicurezza: “Determina che la situazione risultante dalla proclamazione dell’indipendenza da parte delle autorità illegali della Rhodesia del Sud è estremamente grave, che è opportuno che il governo del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord vi ponga fine e che il suo perdurare costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”[43]. Questa condanna, d’altra parte, portò più rapidamente alle sanzioni e la Gran Bretagna attuò persino un semi-blocco navale della Rhodesia per garantire che le sanzioni fossero effettivamente applicate[44].

IV. Qual è stato l’effetto delle misure di coercizione economica adottate dall’ONU e di quelle unilaterali degli Stati Uniti?
I vari casi in cui la comunità internazionale decise di attuare la coercizione economica ebbero risultati a dir poco contrastanti.

Tableau 2 Succès et échecs des sanctions économiques internationales

 Objectif 1945-1969 1970-1989 1990-2000
Succès Échec Succès Échec Succès Échec
Capacité à modifier la politique du pays cible 5 4 7 10 8 7
Changement de régime et démocratisation 7 6 9 22 9 23
Arrêt d’opérations militaires 2 2 0 6 0 3
Modification de la politique militaire (hors conflit) 0 6 4 10 2 4
Autre changement important de politique 2 13 3 4 5 5
 Total
Tout cas confondus 16 31 23 52 24 42
Cas où les Etats-Unis sont impliqués 14 14 13 41 17 33
Sanction unilatérale prises par les Etats-Unis 10 6 6 33 2 9
Ratio échec/succès global 1,94 2,26 1,75
Ratio échec/succès par rapport à des conflits ou des politiques militaires 4,00 4,00 3,50
Ratio échec/succès global pour les sanctions unilatérales des Etats-Unis 0,60 5,50 4,50

Source : Hufbauer G.C., Schott J.J., Eliott K.A., Oegg B., Economic sanctions reconsidered , Washington DC, The Peterson Institute For International Economics, 3rd ed., 2007 Table 5.1., p. 127

Questi esempi sollevano il problema dell’efficacia generale delle sanzioni economiche, ovvero della loro capacità di indurre il Paese destinatario a modificare sostanzialmente la propria politica e a cercare un accordo con i Paesi che le applicano, anche quando sono decise dalle Nazioni Unite[45]. Le sanzioni non sono state applicate solo nell’ambito delle Nazioni Unite. Sono state applicate anche sanzioni unilaterali, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Queste pratiche sono considerate “illegali” se si segue la Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, riflettendo il suo ruolo di superpotenza politica e militare nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno utilizzato la coercizione economica, in altre parole le sanzioni economiche, su un’ampia gamma di obiettivi. Va sottolineato che non hanno usato solo sanzioni economiche, ma anche operazioni segrete e un’influenza politica generale sull’élite politica del Paese bersaglio[46]. Le sanzioni hanno così assunto la dimensione di una “guerra economica” globale imposta dagli Stati Uniti e, più in generale, dal “mondo occidentale” [47].

Ciò ha avuto un impatto sull’efficacia delle sanzioni. Queste misure sono sempre adottate per indurre una decisione politica da parte del Paese che ne è oggetto. Tuttavia, le sanzioni applicate per motivi “militari” hanno sempre avuto scarso successo.

Tableau 3 Succès et échec des sanctions unilatérales américaines

Nombre de cas
1945-1969
Succès 14
Echec 14
1970-1989
Succès 13
Echec 41
1990-2000
Succès 17
Echec 33

Source : Hufbauer G.C., Schott J.J., Eliott K.A., Oegg B., Economic sanctions reconsidered , Washington DC, The Peterson Institute For International Economics, 3rd ed., 2007 Table 5.2., p. 129

Inizialmente (1945-1969), i politici statunitensi riuscirono a ottenere un alto livello di successo, come si può vedere nella Tabella 3. Ma nel corso dei decenni, i cambiamenti nell’economia globale hanno minato l’efficacia delle sanzioni unilaterali. Tuttavia, nel corso dei decenni, i cambiamenti nell’economia globale hanno minato l’efficacia delle sanzioni unilaterali.

Subito dopo la Seconda guerra mondiale, l’economia statunitense era il serbatoio finanziario per la ricostruzione dei Paesi devastati dalla guerra. Era anche il principale fornitore, e talvolta l’unico, di beni e servizi essenziali per l’economia globale.

Negli anni ’60, gli Stati Uniti sono rimasti la principale fonte di aiuti economici per i Paesi in via di sviluppo. Ma dagli anni Sessanta i flussi commerciali e finanziari si sono diversificati, le nuove tecnologie si sono diffuse e il bilancio degli aiuti esteri statunitensi si è praticamente prosciugato. La ricostruzione in Europa e l’emergere del Giappone sono entrati in competizione con gli Stati Uniti e la crescita economica globale ha ridotto il numero di Paesi vulnerabili alle sanzioni economiche[48]. La spiegazione più ovvia e importante della diminuzione dell’efficacia delle sanzioni statunitensi è quindi il declino relativo della posizione degli Stati Uniti nell’economia mondiale[49], ma anche il fenomeno della “deglobalizzazione” accompagnato da una “de-occidentalizzazione” degli scambi economici[50].

V. Il problema della coerenza e della persistenza nell’azione
Ma non è l’unico. Gli Stati Uniti non sempre hanno portato a termine ciò che hanno iniziato[51]. Molto spesso, le misure di coercizione economica richiedono tempo per avere un effetto apprezzabile. Ma più tempo passa, maggiore è il rischio di un’inversione delle preferenze politiche negli stessi Stati Uniti. Infatti, mentre le sanzioni sono generalmente il risultato di un cosiddetto consenso “bi-partisan”, questo è spesso legato a complesse negoziazioni tra i due partiti, democratici e repubblicani. Sebbene questi negoziati portino generalmente a un compromesso, raramente si traducono in un compromesso stabile a lungo termine. L’emergere di nuove priorità o di nuovi obiettivi politici interrompe il compromesso inizialmente raggiunto[52]. Inoltre, queste misure possono talvolta avere un effetto a catena sull’economia statunitense, causando cambiamenti nelle opinioni dell’elettorato che devono essere presi in considerazione dall’élite politica. Esiste quindi chiaramente un problema di incoerenza politica.

Va notato che questo problema non è limitato agli Stati Uniti e che può sorgere anche nel caso di misure di coercizione economica adottate nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Infine, nel caso di misure adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, anche i cambiamenti nelle scelte dei Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza possono essere un fattore di incoerenza o di mancanza di persistenza se le misure coercitive devono essere mantenute per un periodo abbastanza lungo. Questi problemi di incoerenza o di mancanza di persistenza sono problemi importanti quando si esaminano gli effetti delle misure di coercizione economica.

C’è poi il problema della fattibilità della misura coercitiva. Così, nei casi in cui l’obiettivo delle sanzioni era quello di imporre la non proliferazione nucleare o di convincere un Paese a rinunciare al proprio programma nucleare – come nel caso delle misure rivolte a India, Pakistan, Libia, Iran e Iraq – il rifiuto di consegnare materiale chiave era naturalmente un elemento importante nella combinazione di queste politiche. Tuttavia, con la progressiva comparsa di altri fornitori di componenti sottoposti a sanzioni, spesso disposti a vendere, e in alcuni casi con il successo dei Paesi presi di mira nel produrre essi stessi le attrezzature necessarie, l’obiettivo della non proliferazione si è rivelato gradualmente irraggiungibile. È stata la perdita del monopolio tecnologico da parte degli Stati Uniti e la diffusione generale di queste tecnologie o capacità tecnologiche in tutto il mondo a indebolire il loro potere di imporre sanzioni. Infine, mentre le misure finanziarie facevano parte del pacchetto di sanzioni in oltre il 90% degli episodi precedenti al 1973, erano presenti solo nei due terzi dei casi successivi. Anche la gamma delle sanzioni finanziarie è cambiata. Anche in questo caso, in alcuni casi, erano disponibili altre fonti di assistenza finanziaria.

Nel complesso, l’efficacia delle sanzioni economiche è sempre stata scarsa ed è peggiorata nel periodo successivo al 1970. Anche quando lo squilibrio economico tra il Paese che decide di applicare le sanzioni e il Paese bersaglio era considerevole, come nel caso delle sanzioni unilaterali adottate dagli Stati Uniti contro Cuba, molto raramente hanno ottenuto l’effetto desiderato[53]. Si è inoltre sviluppato un crescente dibattito sugli effetti di queste sanzioni sul Paese o sui Paesi che le hanno emesse. Il Consiglio per gli Affari Emisferici ha addirittura sostenuto che le sanzioni hanno causato più danni agli Stati Uniti che a Cuba[54].

VI. La questione della coercizione economica nel mondo post-Guerra Fredda
Con la fine della Guerra Fredda, le Nazioni Unite hanno iniziato a imporre sanzioni economiche con maggiore frequenza. Tuttavia, i vincoli finanziari e le differenze politiche tra gli Stati membri hanno limitato il campo d’azione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC). Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta spesso sanzioni mirate quando è costretto a “fare qualcosa”. Il mutevole contesto internazionale e una definizione di pace e sicurezza collettiva in continua evoluzione hanno portato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a imporre molte più sanzioni negli anni ’90 che nei 45 anni precedenti[55]. L’emergere di nuovi conflitti e sfide ha cambiato la direzione delle politiche sanzionatorie, ma non ne ha diminuito l’uso[56].

Va notato, tuttavia, che la natura di queste sanzioni è cambiata dopo che le sanzioni contro l’Iraq e Haiti hanno suscitato forti preoccupazioni e proteste per i danni collaterali imposti ai civili[57]. Ci troviamo quindi di fronte a un “effetto boomerang” da parte dell’opinione pubblica, soprattutto nei Paesi occidentali. Le Nazioni Unite sono passate dagli embarghi completi di un tempo a misure più limitate, come l’embargo sulle armi, le restrizioni ai viaggi e il congelamento dei beni[58]. Le restrizioni commerciali sono state limitate a beni strategici – le lucrose esportazioni di diamanti dalle aree controllate dai ribelli in Angola e Sierra Leone e un embargo sul petrolio contro la Sierra Leone per un breve periodo quando i ribelli controllavano la capitale. È interessante notare che i Paesi dell’Europa occidentale, che avevano resistito vigorosamente alle pressioni statunitensi per imporre sanzioni contro l’Iran, la Libia e Cuba, sono diventati molto più attivi quando i disordini etnici hanno colpito da vicino nei Balcani[59]. Di conseguenza, le Nazioni Unite imposero sanzioni commerciali e finanziarie complete contro l’Iraq, l’ex Jugoslavia e Haiti, e varie sanzioni mirate (di solito embargo sulle armi e sanzioni sui viaggi) contro l’Afghanistan, la Libia, la fazione UNITA in Angola, il Ruanda, la Liberia, la Somalia, il Sudan, l’Etiopia e l’Eritrea, la Sierra Leone e la Costa d’Avorio.

L’Iraq nel 1990 è stato il caso più importante di applicazione delle sanzioni e anche il caso di più alto profilo dell’era post-Guerra Fredda. Ma le sanzioni non riuscirono a costringere le truppe irachene a lasciare il Kuwait. Le sanzioni successive non sono riuscite a liberare l’Iraq da Saddam Hussein, anche se la pressione delle sanzioni ha contribuito a localizzare, distruggere e prevenire la nuova acquisizione di armi di distruzione di massa prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003. Questo crea un interessante precedente. Le sanzioni ONU sono state un successo nella misura in cui l’obiettivo era quello di impedire il riarmo dell’Iraq[60]. Tuttavia, sono state presentate come inefficaci dagli Stati Uniti per giustificare la propria invasione dell’Iraq senza alcun mandato delle Nazioni Unite.

Anche la consapevolezza dei danni collaterali, altrimenti noti come “effetto boomerang”, ha portato a un contraccolpo[61]. Il rischio di un “effetto boomerang” ha iniziato ad essere preso molto più seriamente. Le preoccupazioni si sono concentrate su due aree: le conseguenze umanitarie, come è avvenuto nel contesto delle sanzioni globali in Iraq[62], e i costi dell’applicazione delle sanzioni per gli Stati in prima linea, come i vicini balcanici dell’ex Repubblica di Jugoslavia durante il conflitto bosniaco o durante la crisi del Kosovo. Inoltre, l’esperienza dell’Iraq, della Jugoslavia, di Haiti e di altri Paesi ha creato una “stanchezza da sanzioni” tra molti membri delle Nazioni Unite e una riluttanza a imporre nuove sanzioni su larga scala fino a quando non saranno risolte le questioni dei danni collaterali alle vittime innocenti[63] e agli Stati in prima linea. Va aggiunto che la manipolazione della propaganda statunitense, in particolare durante l’intervento della NATO in Kosovo e in Serbia[64], e persino la sistematica disinformazione praticata dai governi su questo tema e rivelata dalle ONG[65], possono aver contribuito a una crescente riluttanza da parte degli Stati membri dell’ONU a impegnarsi nelle sanzioni, e persino a dubbi sull’imparzialità degli interventi delle Nazioni Unite[66].

Le conseguenze degli interventi “umanitari” sulle popolazioni che dovrebbero proteggere sono sempre più evidenti, come nel caso di Haiti[67] e del Kosovo[68]. È stato quindi dimostrato che gli effetti negativi dell’intervento, che si tratti di operazioni militari o di sanzioni economiche ritenute in grado di evitare l’intervento militare, possono essere dello stesso ordine degli effetti negativi del non intervento. Ciò ha contribuito a sollevare dubbi sulla legittimità di tali interventi.

Conclusioni
I risultati dell’uso delle sanzioni come arma diplomatica sono quindi relativamente deludenti e chiaramente inferiori a quanto sperato dai fondatori della Società delle Nazioni nel 1919-1920. Nel complesso, l’efficacia delle sanzioni è stata stabile e debole nel corso del XX secolo. Ciò può essere attribuito a diversi fattori

1 La volontà politica del Paese destinatario delle sanzioni di attuare quella che considera una politica vitale per la propria sopravvivenza, e il sostegno di un’ampia parte della popolazione di cui può beneficiare.
2 La capacità del Paese bersaglio di rompere l’isolamento, o il tentativo di isolamento, a cui è soggetto e di mantenere flussi commerciali significativi nei prodotti oggetto delle sanzioni[69].
3 La capacità del Paese destinatario di sostituire i prodotti locali di qualità equivalente con quelli soggetti a sanzioni. Questa capacità è tanto maggiore quanto maggiore è la capacità generale dell’economia del Paese e quanto maggiori sono i legami del Paese con il resto del mondo[70].
L’esperienza americana delle sanzioni unilaterali al di fuori del quadro delle Nazioni Unite ha prodotto risultati anch’essi molto dispersivi. Data la preminenza economica, tecnologica e politica degli Stati Uniti, queste sanzioni potevano essere efficaci negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta. In seguito, si sono rivelate molto meno efficaci, e persino controproducenti, man mano che gli Stati Uniti perdevano la loro preminenza economica e tecnologica. L’accelerazione del declino economico degli Stati Uniti, ma anche dei Paesi “occidentali”, ha portato a un ripensamento sull’efficacia delle sanzioni “unilaterali” o imposte da un piccolo numero di Paesi. Tuttavia, questo non è stato percepito in molti Paesi, sia per motivi ideologici sia per l’uso spesso “ingenuo” delle statistiche economiche internazionali[71].

In generale, le sanzioni erano molto inefficaci quando si trattava di fermare le operazioni militari. Lo si era già notato nel periodo tra le due guerre, con i conflitti nel Chaco e in Abissinia. L’abuso dello spirito e della lettera delle sanzioni da parte degli Stati Uniti nel caso di Cuba, e ancor più nel caso dell’Iraq, ha portato anche a una massiccia delegittimazione del principio delle sanzioni. Questo ha portato diversi Paesi a ritirarsi dalla pratica delle sanzioni e ha contribuito a ridurne ulteriormente l’efficacia.

A questo proposito occorre tenere presente un fatto. La proliferazione delle sanzioni economiche all’inizio degli anni ’90, dopo la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS, ha provocato notevoli reazioni negative, non solo negli Stati Uniti, ma anche alle Nazioni Unite e tra i partner commerciali degli Stati Uniti. L'”effetto boomerang” è diventato sempre più visibile. Questo effetto può essere amplificato solo nella misura in cui le sanzioni vengono adottate da un solo Paese, per quanto importante, o da un gruppo di Paesi che non rappresentano la comunità internazionale.

Jacques Sapir

Direttore di studi presso l’EHESS e docente presso la Scuola di Guerra Economica

Direttore del Centro per lo studio delle modalità di industrializzazione

Membre étranger de l’Académie des Sciences de Russie

[1] https://www.ohchr.org/en/unilateral-coercive-measures Voir aussi, Olson R.S., “Economic Coercion in World Politics: With a focus on North-South Relations” in World Politics, vol. 31, n°4, July 1979, pp. 471-494.

[2] Carpentier-Charlety E., « Le Mirage des Sanctions » in Fondation Jean Jaurès, March 30, 2022, https://www.jean-jaures.org/publication/le-mirage-des-sanctions-economiques/

[3] Bēlin M. and Hanousek J., “Making sanctions bite: the EU-Russian sanctions of 2014”, April 29th 2019, VoxEU – CEPR, https://www.consilium.europa.eu/fr/infographics/eu-sanctions-against-russia-over-ukraine/ . Voir aussi Van Bergeijk P.A.G., “Russia’s tit for tat”, April 25th, 2014, in VoxEU-CEPR, https://voxeu.org/article/russia-s-tit-tat et Ashford E., “Not-so-Smart Sanctions: The Failure of Western Restrictions Against Russia”, in Foreign Affairs, vol. 95, n°1, January-February 2016, pp. 114-120.

[4] Voir, https://www.consilium.europa.eu/fr/policies/sanctions/restrictive-measures-against-russia-over-ukraine/#economic ainsi que https://www.piie.com/blogs/realtime-economics/russias-war-ukraine-sanctions-timeline et https://finance.ec.europa.eu/eu-and-world/sanctions-restrictive-measures/sanctions-adopted-following-russias-military-aggression-against-ukraine_en

[5] Delbecque E. et Harbulot C., La guerre économique, Paris, ed. « Que sais-je ? », 2011, n° 3899

[6] Schmitt C., La notion de politique (1932), trad. M.-L. Steinhauser, Paris, Calmann-Lévy (Liberté de l’esprit), 1972, p. 66 et Schmitt C., « Éthique de l’État et État pluraliste » (1930), in Parlementarisme et démocratie, trad. J.-L. Schlegel, Paris, Seuil, 1988, p. 143-144.

[7] Daguzan J-F, Lorot P., (dir) Guerre et économie, Paris Ellipses, 2003

[8] https://portail-ie.fr/resource/glossary/95/guerre-economique

[9] Delbecque E. et Harbulot C., La guerre économique, op.cit.

[10] Harbulot C., L’art de la guerre économique : surveiller, analyser, protéger, influencer, Versailles, VA Éditions, 2018.

[11]  Laïdi A., Aux sources de la guerre économique: Fondements historiques et philosophiques, Paris, Armand Colin 2012

[12] Laïdi, A., Histoire mondiale de la guerre économique, Paris, Perrin, 2020. Voir aussi, Crouzet F., La guerre économique franco-anglaise au XVIIIe siècle, Paris, Fayard, 2008.

[13] Oppenheim L., International law : a treatise, Clark, N.J, Lawbook Exchange, 2005 (1re éd. 1920), 799 p., 2 vol, p. 53. D’Amato, Anthony A. 1995. International Law and Political Reality: Collected Papers, p. 138

[14] Appelé « SLOC interdiction », et où SLOC signifie « Sea Lines of Communication”.

[15] On doit noter comme premier cas documenté le blocus naval exercé par Sparte contre Athènes, qui obligea cette dernière à se rendre. Boardman, John & Griffin, Jasper & Murray, Oswyn. 2001. The Oxford History of Greece and the Hellenistic World, p. 166.

[16] Cowley R., et G. Parker. The Reader’s Companion to Military History New York: Houghton Mifflin,1996.

[17] Coulomb F., « Pour une nouvelle conceptualisation de la guerre économique », in Jean- François Daguzan et Pascal Lorot (dir.), Guerre et économie, op.cit.

[18] Bali M., “The Impact of Economic Sanctions on Russia and its Six Greatest European Trade Partners: a Country SVAR Analysis”, in Finansy I Biznes [Finance & Business], Vol. 14 (n°2), 2018, pp.45-67; Bali M. & Rapelanoro N., “How to simulate international economic sanctions: A multipurpose index modelling illustrated with EU sanctions against Russia”, in International Economic, Vol. 168, December 2021, pp. 25-39; Giumelli, F.,– «The Redistributive Impact of Restrictive Measures on EU Members: Winners and Losers from Imposing Sanctions on Russia ». Journal of Common Market Studies, March 2017, pp. 1-19; Kholodilin, K. and Netsunajev, A., « Crimea and Punishment: The Impact of Sanctions on Russian and European Economies ». Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung DISCUSSION PAPERS, No. 1569, 2016.

[19] Coulomb F. et Matelly S., « Bien-Fondé et opportunité des sanctions économiques à l’heure de la mondialisation » in Revue Internationale et Stratégique, n° 97, 2015-1, pp. 101 – 110.

[20] Vincent, C. P., The Politics of Hunger. The Allied Blockade of Germany, 1915-1919, Athens, OH, Ohio University Press, 1985 ; Siney, M. C., The Allied Blockade of Germany, 1914-1916, Ann Arbor, MI, The University of Michigan Press, 1957; Farrar, M. M., Conflict and Compromise. The Strategy, Politics and Diplomacy of the French Blockade, 1914-1918, La Haye, Mouton, 1974.

[21] Dallas, G., 1918: War and Peace, Londres, John Murray, 2000.

[22] Williamson, D. G. (1978). « Walter Rathenau and the K.R.A. August 1914-March 1915 » in

 Zeitschrift für Unternehmensgeschichte / Journal of Business History, Vol. 23, 1978, (2), pp. 118–136, (https://www.jstor.org/stable/40694617 ). Voir aussi Sapir J., L’économie mobilisée, Paris, La Découverte, 1990.

[23] Asmuss, B., « Die Kriegsrohstoffabteilung » (https://www.dhm.de/lemo/kapitel/ersterweltkrieg/industrie-und -wirtschaft/kriegsrohstoffabteilung.html ) Deutsches Historisches Museum.

[24] Ferrand B., « Quels fondements juridiques aux embargos et blocus aux confins des XXe et XXIe siècles »,  in Guerres mondiales et conflits contemporains, n° 214, Presses universitaires de France, 2004, pp. 55-74.

[25] Traité de Versailles – Pacte de la Société des Nations, consultable à l’adresse suivante : https://mjp.univ-perp.fr/traites/sdn1919.htm

[26] Farcau B.W., The Chaco War. Bolivia and Paraguay 1932-1935, Westport Connecticut and London, Praeger, 1996.

[27] Baer, G. W., The Coming of the Italo-Ethiopian War,  Cambridge, MA: Harvard University Press, 1967.

[28] de Juniac G., Le dernier Roi des Rois. L’Éthiopie de Haïlé Sélassié, Paris, L’Harmattan, 1994

[29] Marcus H., A History of Ethiopia, University of California Press, 2002

[30] de Juniac G., Le dernier Roi des Rois. L’Éthiopie de Haïlé Sélassié, op.cit..

[31] Marcus H., A History of Ethiopia, op.cit..

[32] Bonn, M. J., “How Sanctions Failed” in  Foreign Affairs n°15/1937, (January), pp. 350–61.

[33] Northedge F.S., The League of Nations: its life and times, 1920-1946, Leicester, Leicester University Press, 1988,

[34] Worth, Roland H., Jr., No Choice But War: the United States Embargo Against Japan and the Eruption of War in the Pacific, Jefferson, North Carolina: McFarland, 1995..

[35] Silverstone P.H., « The Export Control Act of 1949: Extraterritorial Enforcement“, in University of Pennsylvania Law Review, Vol. 107, n°3, Janvier 1959, pp. 331-362.

[36] Doxey, M.P., Economic Sanctions and International Enforcement, 2d ed. New York: Oxford University Press for Royal Institute of International Affairs, 1980.

[37] https://www.un.org/en/about-us/un-charter/chapter-7

[38] Adler-Karlsson, G., 1968. Western Economic Warfare, 1947–1967: A Case Study in Foreign Economic Policy. Stockholm, Sweden: Almqvist and Wiksell, 1968.

[39] « Déclaration relative aux principes du droit international touchant les relations amicales et la coopération entre les États conformément à la Charte des Nations unies », résolution 2625 (XXV), adoptée par l’Assemblée générale des Nations unies au cours de sa vingt-cinquième session, le 24 octobre 1970, https://www.un.org/french/documents/ga/res/25/fres25.shtml / https://treaties.un.org/doc/source/docs/A_RES_2625-Eng.pdf

[40] Galtung, J., “On the Effects of International Economic Sanctions: With Examples from the Case of Rhodesia” in World Politics 19 (April), 1967, pp. 378–416.

[41] https://www.lemonde.fr/archives/article/1966/12/07/londres-demande-a-l-o-n-u-de-decreter-des-sanctions-contre-la-rhodesie_2683412_1819218.html

[42] https://www.un.org/securitycouncil/sites/www.un.org.securitycouncil/files/fr/sc/repertoire/64-65/64-65_11.pdf

[43] https://www.un.org/securitycouncil/sites/www.un.org.securitycouncil/files/fr/sc/repertoire/64-65/64-65_11.pdf

[44] Avenel, Jean-David. « Introduction », Guerres mondiales et conflits contemporains, vol. 214, no. 2, 2004, pp. 3-6.

[45] Pape, R.A., “Why Economic Sanctions Do Not Work ?” in International Security Vol. 22, No. 2 (Fall, 1997), pp. 90-136.

[46] Blechman, B. M., and Kaplan S.S., Force Without War: U.S. Armed Forces as a Political Instrument. Washington: Brookings Institution, 1998.

[47] Askari H.G, Forrer J., Teegen H. and Yang J., Economic Sanctions: Examining Their Philosophy and Efficacity, Westport, Praeger, 2003

[48] Hirschman, A. O. National Power and the Structure of Foreign Trade, expanded edition. Berkeley: University of California Press., 1980.

[49] Haas, R. N. Economic Sanctions and American Diplomacy. New York: Council on Foreign Relations, 1998

[50] Sapir J., La Démondialisation, (nouvelle édition augmentée et mise à jour) Paris, Le Seuil, 2021

[51] Hufbauer, G. C., Schott J.J., and Elliott. K.A. Economic Sanctions Reconsidered: History and Current Policy. Washington: Institute for International Economics. 1985

[52] Art, Robert J., “Bureaucratic Politics and American Foreign Policy: A Critique,” in Policy Sciences, n°4 (1973); Perlmutter, Amos, “The Presidential Political Center and Foreign Policy: A Critique of the Revisionist and Bureaucratic-Political Orientations,” in World Politics, Vol. 27 (101971)

[53] Spadoni, P.. Failed sanctions: why the U.S. embargo against Cuba could never work. Gainesville: University Press of Florida, 2010.

[54] Peppet M., “Blockade Harms more US than Cuba”, February 19, 2009, https://web.archive.org/web/20180317022046/https://www.coha.org/blockade-harms-us-more-than-cuba/

[55] Cortright, D, and Lopez G.A., The Sanctions Decade: Assessing UN Strategies in the 1990s. Boulder, CO, Lynne Rienner Publishers, 2000.

[56] Hufbauer, G. C., and Thomas Moll, “Using Sanctions to Fight Terrorism”. In Terrornomics, eds. Sean S. Costigan and David Gold. Burlington, VT: Ashgate., 2007.

[57] Drezner, D. W., The Sanctions Paradox: Economic Statecraft and International Relations, Cambridge Studies in International Relations n°65, Cambridge, Cambridge University Press, 1999.

[58] Elliott, K. A. “Analyzing the Effects of Targeted Sanctions” in Smart Sanctions: Targeting Economic Statecraft, ed. David Cortright and George A. Lopez. Boulder, CO: Rowman & Littlefield Publishers, Inc, 2002.

[59] Hufbauer, G. C., and Oegg B., “The European Union as an Emerging  Sender of Economic Sanctions” in Aussenwirtschaft 58 (Jahrgang, Heft IV). Zurich; Ruegger, 2003, pp. 547–71.

[60] Cortright D., Lopez G.A., “Containing Iraq: Sanctions worked” in Foreign Affairs, July/August 2004.

[61] George A.L., and Simons W.E.. The Limits of Coercive Diplomacy. Boulder, CO: Westview Press. 1994

[62] Arnove, A., Iraq Under Siege: The Deadly Impact of Sanctions and War, Boston, South End Press, 2000.

[63] Pekmez J., The Intervention by the International Community and the Rehabilitation of Kosovo, rapport commandité par le projet « The Rehabilitation of War-Torn Societies » coordonné par le CASIN (Centre for Applied Studies in International Negotiations), Genève, janvier 2001

[64] Note confidentielle du ministère de la Défense allemand, analysée dans Jürgen Elsässer, La RFA dans la guerre du Kosovo, chronique d’une manipulation, Paris, L’Harmattan, 2002, p. 48-51.

[65] Human Rights Watch, Under Orders – War Crimes in Kosovo, Genève, 2001, rapport consultable et téléchargeable sur http://www.hrw.org/reports/2001/Kosovo et Human Rights Watch, Civilian Deaths in the NATO Air Campaign, HRW Reports, vol. 12, n° 1 (D), février 2000, téléchargeable sur http://www.hrw.org/reports/2000/nato

[66] « The UN’s own damning verdict on its created civil defence force is fresh evidence of the failure of Special Representative Bernard Kouchner to establish the rule of law in Kosovo » (John Sweeney et Jens Holsoe, « Revealed : UN-backed unit’s reign of terror », The Guardian, dimanche 12 mars 2000)

[67] Pouligny-Morgant B., «  L’intervention de l’ONU dans l’histoire politique récente d’Haïti : Les effets paradoxaux d’une interaction » in Pouvoirs dans la Caraïbe [En ligne], 10 | 1998, mis en ligne le 09 mars 2011, http://journals.openedition.org/plc/576

[68].« Kosovo sex industry », sur http://www.peacewomen.org/news/Losovo/newsarchives02/kosovose

[69] Voir Sapir J., “Wendet sich der Wirtschaftskrieg gegen Russland gegen seine Initiatoren?” in Stefan Luft, Sandra Kostner (Editors): Ukrainekrieg. Warum Europa eine neue Entspannungspolitik braucht, Frankfurt am Main, 2023, Westend-Verlag

[70] Adewale A.R., « Import substitution industrialisation and economic growth – Evidence from the group of BRICS countries” in Future Business Journal, n°3, 2017, pp. 138-158, p. 142-143. Mukherjee, S., “Revisiting the Debate over Import-substituting versus Export-led Industrialisation” in Trade and Development Review, 5(1), 2012, pp.  64–76. Berezinskaya, O., et Alexey V., Production import- and strategic import substitution mechanism-dependence of the Russian industry in Voprosy Ekonomiki n°1, 2015, pp. 103–15.

[71] Sapir J., « Assessing the Russian and Chinese Economies Geostrategically” in American Affairs, vol. VI, n°4, 2022, pp. 81-86.

https://cr451.fr/les-mesures-de-coercition-economique-appelees-sanctions-leur-usage-et-leur-efficacite/

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Lezioni dall’Ucraina per le forze armate del futuro, di Katie Crombe & John A. Nagl_a cura di Roberto Buffagni

Traduciamo questo recentissimo articolo di due studiosi dell’U.S. Army War College, apparso nel numero di autunno del trimestrale dell’istituzione accademica dell’Esercito statunitense, “Parameters”.

Un anno fa, nell’autunno del 2022, lo United States Army Training and Doctrine Command ha incaricato un piccolo gruppo di studiosi di seguire il conflitto russo-ucraino, dividendosi le principali aree di studio. Gli articoli specifici ad esse dedicati usciranno in futuro.

Questo che presentiamo è un articolo che riassume ed evidenzia i più rilevanti risultati di quegli studi. È difficile sottovalutarne l’importanza, perché in estrema sintesi, gli studi raccomandano un’urgente e radicale riforma strutturale dell’Esercito degli Stati Uniti, comprensiva di un passaggio da una forza esclusivamente volontaria – come sono oggi tutte le forze armate NATO – al ritorno un reclutamento fondato sulla leva obbligatoria parziale.

Quest’ultima raccomandazione consegue alla valutazione dell’elevatissimo livello di perdite che subirebbero le forze NATO in un conflitto analogo a quello in corso in Ucraina, che il capitolo a ciò dedicato prevede in 3.600 perdite al giorno, ossia più di 100.000 perdite al mese.

Nella IIGM, le FFAA statunitensi subirono un totale di 405,399 morti, di cui 291,557 in battaglia, e 670,846 feriti, v. https://dcas.dmdc.osd.mil/dcas/app/summaryData/casualties/principalWars

Buona lettura. Roberto Buffagni

Un appello all’azione:

Lezioni dall’Ucraina per le forze armate del futuro

Katie Crombe & John A. Nagl, “A Call to Action: Lessons from Ukraine for the Future Force,” Parameters 53, no. 3 (2023), doi:10.55540/0031-1723.3240. https://press.armywarcollege.edu/parameters/vol53/iss3/10/

ABSTRACT: Cinquant’anni fa, l’esercito degli Stati Uniti si trovò di fronte a un punto di inflessione strategica dopo il fallimento dello sforzo controinsurrezionale in Vietnam. In risposta alle lezioni apprese dalla guerra dello Yom Kippur, fu creato lo United States Army Training and Doctrine Command [Comando per l’addestramento e la dottrina dell’esercito degli Stati Uniti, N.d.C.] per riorientare il pensiero e la dottrina sulla minaccia convenzionale sovietica. L’Esercito di oggi deve accogliere il conflitto russo-ucraino come un’opportunità per riorientare la forza, trasformandola in un esercito lungimirante e formidabile come quello che vinse l’operazione Desert Storm. Questo articolo suggerisce i cambiamenti che l’Esercito dovrebbe apportare per preparare il successo nelle operazioni di combattimento multidominio su larga scala nell’odierno punto di inflessione strategico.

 

Andrew S. Grove, presidente e CEO di Intel Corporation, nel 1988 ha coniato l’espressione punto di inflessione strategico” per designare un cambiamento fondamentale nel benessere di un’organizzazione.1

Egli ha rappresentato visivamente il punto di inflessione come il momento esatto in cui la natura dell’organizzazione cambia in modo sottile ma profondo e duraturo, conducendola sulla via della crescita o del declino. In questo punto di svolta, i leader più abili e creativi riconoscono e accettano questa sfida, facendo progredire le loro organizzazioni per affrontarla. I leader rigidi, esitanti o avversi al rischio non accettano la sfida, portando all’irrilevanza e, in ultima analisi, al fallimento della loro organizzazione.

Cinquant’anni fa, nel 1973, l’esercito degli Stati Uniti si trovò di fronte a un punto di inflessione strategico. L’intervento degli Stati Uniti in Vietnam aveva lasciato l’esercito demoralizzato, e la leadership americana aveva assistito alla quasi sconfitta delle forze armate egiziane equipaggiate con mezzi sovietici contro le forze di difesa israeliane, equipaggiate con mezzi statunitensi, nella guerra dello Yom Kippur. In risposta, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti istituì lo United States Army Training and Doctrine Command [Comando per la formazione e la dottrina dell’Esercito degli Stati Uniti] (TRADOC) per riorientare il pensiero e la dottrina sulla minaccia convenzionale sovietica. Per guidare l’impresa, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti (CSA) Creighton William Abrams Jr. scelse il Generale William E. DePuy, un intellettuale rivoluzionario e un leader in combattimento. La nuova organizzazione di DePuy fu incaricata di studiare la guerra dello Yom Kippur per sviluppare concetti, guidare le modifiche agli approvvigionamenti e ai materiali e preparare l’esercito a combattere una guerra moderna.2 Il Segretario alla Difesa James R. Schlesinger, Abrams e DePuy si resero conto che l’Esercito si trovava in una fase critica e che solo un cambiamento monumentale avrebbe potuto preparare le forze armate al cambiamento del carattere della guerra. Sarebbero passati 50 anni prima che emergesse il prossimo grande punto di inflessione che avrebbe suggerito la necessità di cambiamenti nella dottrina e nei materiali.

Cinquant’anni dopo, l’Esercito si trova di fronte a un nuovo punto di inflessione strategico, una scelta che modifica il modo fondamentale in cui l’Esercito degli Stati Uniti si prepara alla prossima battaglia. Mentre l’establishment della Difesa esce da 20 anni di operazioni di controinsurrezione e inizia a prendere in considerazione un futuro di operazioni di combattimento su larga scala, il conflitto russo-ucraino in corso mette in evidenza il carattere mutevole della guerra: una guerra futura caratterizzata da sistemi d’arma autonomi avanzati, intelligenza artificiale e una percentuale di perdite che gli Stati Uniti non sperimentavano dalla Seconda guerra mondiale.

Un esercito americano ancora alle prese con le lezioni dell’Afghanistan deve accogliere il conflitto russo-ucraino come un’opportunità per progredire verso la creazione di una forza e di una direzione strategica lungimirante e formidabile come quella che il TRADOC ha costruito per gli Stati Uniti prima dell’operazione Desert Storm.3 Nell’autunno del 2022, un gruppo di docenti e studenti dell’US Army War College si è riunito intorno a questo appello all’azione. Il team riteneva che la guerra tra Russia e Ucraina, che si stava svolgendo sotto i loro occhi, fosse un campanello d’allarme per l’Esercito in tutte le funzioni tradizionali di combattimento, che richiedeva anche un cambiamento culturale di tutta l’impresa di istruzione, addestramento e dottrina dell’Esercito, per integrare le nuove lezioni apprese e guidare il cambiamento in tutti i livelli dell’Esercito.

Istruzione, formazione e le radici del TRADOC

Durante la sua prima esperienza in Normandia, DePuy ha visto la sua divisione perdere il 100% dei suoi uomini arruolati e il 150% dei suoi ufficiali in sei settimane, così ricevendo una profonda lezione sulle conseguenze di una leadership inadeguata e di un addestramento insufficiente. Per il resto della sua carriera si è dedicato allo sviluppo dei leader, in particolare a equilibrare la necessità dell’educazione e dell’addestramento. DePuy ha capito la necessità di collegare il cosa e il come (formazione) con il perché e il se (educazione) in un contesto formativo orientato all’efficacia delle prestazioni.

È importante notare che dopo la guerra dello Yom Kippur, DePuy ha anche riorientato la dottrina verso l’elaborazione di manuali di combattimento che insegnassero specificamente alle truppe di prima linea e di supporto come l’Esercito avrebbe combattuto su un campo di battaglia moderno a tutti i livelli, dalla squadra al quartier generale di divisione.4 L’obiettivo dei manuali era orientare soldati e ufficiali sui modi pratici per ottimizzare i sistemi d’arma dell’Esercito americano, e ridurre al minimo le vulnerabilità dei sistemi del nemico. Voleva far uscire lo sviluppo del combattimento dalla prospettiva di un futuro ambiguo e lontano, per passare a un addestramento in tempo reale capace di anticipare le minacce imminenti.5 Infine, DePuy credeva che un’accurata selezione e addestramento dei soldati, compreso l’addestramento dei leader e delle unità, fosse fondamentale per raggiungere la prontezza di combattimento. L’eredità di DePuy vive oggi in due comandi. Lo United States Army Futures Command [Comando Futuri Sviluppi dell’Esercito degli Stati Uniti, N.d.C.] ha la responsabilità di individuare le priorità di trasformazione e innovazione, e dovrebbe certamente prestare molta attenzione alla guerra in Ucraina, ma il figlio primogenito di DePuy, il TRADOC, può riportare l’Esercito alle basi dell’educazione, dell’addestramento e dello sviluppo della dottrina al ritmo che prese alla sua fondazione, un ritmo che ha portato a una spietata definizione delle priorità e a una nuova valutazione.

Perché ora?

Il generale Mark A. Milley, Capo degli Stati Maggiori Riuniti, ha definito l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 la “più grande minaccia alla pace e alla sicurezza dell’Europa e forse del mondonei suoi 42 anni di servizio in uniforme.6 Il conflitto in Europa e l’arrivo dell’intelligenza artificiale e dei sistemi d’arma autonomi e ipersonici indicano cambiamenti fondamentali nel carattere della guerra e nel modo in cui combattono le forze armate.7 Come dopo la Guerra dello Yom Kippur, l’Esercito degli Stati Uniti deve esaminare la guerra russo-ucraina per trarne insegnamenti per la dottrina, l’organizzazione, l’addestramento, i materiali, l’educazione militare professionale e lo sviluppo dei leader dell’Esercito, e deve integrare tutti questi insegnamenti nell’organizzazione,

addestramento ed equipaggiamento di una forza in grado di vincere i futuri conflitti di qualsiasi tipo. Su richiesta del TRADOC, un piccolo gruppo di docenti e studenti dell’Army War College ha iniziato quest’anno un esame che ha fruttato un certo numero di risultati meritevoli di ulteriore approfondimento nei settori del comando e del controllo, del comando di missione, del rimpiazzo e della reintegrazione dei caduti, dell’intelligenza artificiale, dell’intelligence, dell’inganno e delle operazioni multidominio. Mentre il team del War College ha prodotto analisi su ciascuna di queste aree, che speriamo di pubblicare presto, contenute nella lunghezza di un articolo, il presente articolo si occuperà dei punti salienti di ciascuna area, a turno.

Comando e controllo

Vent’anni di operazioni di controinsurrezione e antiterrorismo in Medio Oriente, in gran parte rese possibili dal dominio aereo, nelle comunicazioni e nel campo elettromagnetico, hanno generato catene di comando che si affidavano a linee di comunicazione perfette e incontestate e a una straordinaria e accurata immagine operativa condivisa del campo di battaglia, trasmessa in tempo reale a personale co-locato in grandi centri operativi congiunti. La guerra Russia- Ucraina evidenzia che la segnatura elettromagnetica emessa dai posti di comando degli ultimi 20 anni non può sopravvivere contro il ritmo e la precisione di un avversario che possiede tecnologie basate su sensori, guerra elettronica e sistemi aerei senza equipaggio o ha accesso alle immagini satellitari; questo include quasi tutti gli attori statali o non statali che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a combattere nel prossimo futuro. L’Esercito deve concentrarsi sullo sviluppo di sistemi di comando e controllo e di posti di comando mobili che consentano il movimento continuo, la collaborazione distribuita e la sincronizzazione di tutte le funzioni belliche per ridurre al minimo la segnatura elettronica. Secondo quanto ci viene riferito, i posti di comando dei battaglioni ucraini sono composti da sette soldati che scavano una buca e ne saltano fuori due volte al giorno; anche se questo standard sarà difficile da raggiungere per l’Esercito americano, indica una direzione molto diversa da quella dei posti di comando fortificati che abbiamo seguito per due decenni.8

La cultura si mangia la strategia a colazione

Forse più importante della messa in campo di nuovi sistemi di comando e controllo è il cambiamento culturale necessario per integrare il comando e il controllo distribuito, più comunemente noto come comando di missione. Quando Milley era capo di Stato Maggiore dell’Esercito, spiegava il comando di missione attraverso il concetto di “disobbedienza disciplinata”, in cui i subordinati sono autorizzati a compiere una missione per raggiungere lo scopo prefissato dal comandante, anche se per farlo devono disobbedire a un ordine o a un compito specifico. In assenza di una comunicazione perfetta, si deve poter confidare che l’ufficiale subalterno o il soldato prenderanno la decisione giusta in battaglia, senza dover chiedere l’approvazione per piccoli aggiustamenti.9

Il comando di missione non è una dottrina da scrivere, testare e accantonare. Deve essere vissuto, addestrato, provato e accolto come parte integrante delle operazioni quotidiane e dell’addestramento in guarnigione e in combattimento a ogni livello. L’avvento dell’intelligenza artificiale offre alle forze armate statunitensi l’opportunità di immaginare daccapo il comando di missione, e di testarlo in ambienti di simulazione virtuale. Non possiamo aspettarci che una brigata che microgestisce i compiti della guarnigione possa eseguire con successo le operazioni di combattimento, al tasso di logoramento che si registra nelle moderne operazioni di combattimento su larga scala. La disobbedienza disciplinata richiede iniziativa per comprendere e realizzare le intenzioni, gli obiettivi finali, i vincoli e le restrizioni voluti dal comandante. I leader e i subalterni devono essere brillanti nelle nozioni di base, ma devono anche essere in grado di integrare il cambiamento e di pensare in modo critico. La fiducia è l’ingrediente essenziale per il comando di missione, ma cambiare la cultura organizzativa dell’Esercito per incoraggiare i leader senior a responsabilizzare e sostenere i subordinati è un compito enormemente difficile, che richiederà un’attenzione specifica da parte dei leader senior dell’Esercito.10

Perdite, rimpiazzi e reintegrazioni

La guerra tra Russia e Ucraina sta mettendo a nudo significative vulnerabilità della profondità strategica del personale dell’Esercito e della sua capacità di sopportare e rimpiazzare le perdite11. I pianificatori medici di teatro dell’Esercito possono prevedere una percentuale costante di circa 3.600 caduti al giorno, tra gli uccisi, i feriti o gli affetti da malattie o altre lesioni non ricevute battaglia.12 Con un tasso di rimpiazzo previsto del 25%, il sistema del personale richiederà 800 nuove unità al giorno. Per fare un confronto, gli Stati Uniti hanno subito circa 50.000 perdite in due decenni di combattimenti in Iraq e Afghanistan. In operazioni di combattimento su larga scala, gli Stati Uniti potrebbero subire lo stesso numero di vittime in due settimane.13

Oltre alla disobbedienza disciplinata necessaria per eseguire un efficace comando di missione, l’Esercito degli Stati Uniti si trova ad affrontare una terribile combinazione tra carenza nel reclutamento e riduzione della Individual Ready Reserve [Riserva composta da ex membri effettivi o della riserva dell’esercito, N.d.C.] Questa carenza nel reclutamento, pari a quasi il 50% nelle carriere che preparano le truppe di prima linea, è un problema longitudinale. Ogni soldato di fanteria e forze corazzate che non reclutiamo oggi è una risorsa strategica per la mobilitazione che non avremo nel 2031.14 La Individual Ready Reserve, che era di 700.000 unità nel 1973 e di 450.000 nel 1994, è ora composta da 76.000 unità.15 Questi numeri non sono in grado di colmare le lacune esistenti nella forza attiva, per non parlare del rimpiazzo delle perdite o dell’espansione delle forze in un’operazione di combattimento su larga scala. Ne consegue che il concetto anni ’70 di una forza interamente volontaria ha superato la sua validità, e non è in linea con l’attuale ambiente operativo. La rivoluzione tecnologica descritta di seguito suggerisce che questa forza ha raggiunto l’obsolescenza. Il fabbisogno di truppe per operazioni di combattimento su larga scala potrebbe richiedere un ripensamento della forza tutta volontaria degli anni ’70 e ’80, e un passaggio alla coscrizione parziale.16

Il mutamento del carattere della guerra

L’aumento drastico del numero di caduti, con le conseguenti implicazioni per la struttura delle forze e i requisiti di disponibilità di personale, è solo uno dei molti cambiamenti drammatici nel carattere della guerra. L’uso onnipresente di veicoli aerei senza pilota, di veicoli di superficie senza pilota, di immagini satellitari, di tecnologie basate su sensori, di smartphone, di collegamenti dati commerciali e di intelligence open-source sta cambiando radicalmente il modo in cui gli eserciti combatteranno sul terreno, proprio come i veicoli aerei senza pilota hanno cambiato il modo in cui le forze aeree conducono le operazioni in questo secolo.17 Questi sistemi, insieme alle emergenti piattaforme di intelligenza artificiale, accelerano drasticamente il ritmo della guerra moderna. Strumenti e tattiche che erano considerati capacità di nicchia nei conflitti precedenti stanno diventando sistemi d’arma primari che richiedono formazione e addestramento per essere compresi, sfruttati e contrastati. Gli attori non statali e gli Stati nazionali meno capaci possono ora acquisire e capitalizzare tecnologie che avvicinano i poteri di Davide a quelli di Golia.

Al di là dei cambiamenti militari, le società transnazionali del settore commerciale stanno svolgendo un ruolo operativamente significativo nello spazio di battaglia dell’intelligenza artificiale e dell’informazione. Queste aziende private stanno aumentando esponenzialmente l’efficacia dell’elaborazione, dello sfruttamento e della diffusione dell’intelligence, del puntamento dinamico e del fuoco. Un partenariato pubblico-privato fondato sulla trasparenza è essenziale nella preparazione e nell’impegno in un conflitto. Questa partnership dovrebbe formarsi già in guarnigione, e le esercitazioni di addestramento con aziende private andrebbero incorporate nei giochi di guerra, nella pianificazione, nelle esercitazioni e nella sperimentazione, per assicurare che i soldati abbiano familiarità con i sistemi che potrebbero rivelarsi vitali nei combattimenti futuri – e in modo che le aziende private possano comprendere meglio le capacità di cui le forze armate hanno bisogno.18

Integrazione dell’inganno e uso più intenso di intelligence non classificata

L’incorporazione di intelligence open-source e declassificata nello spazio informativo si è dimostrata immediatamente efficace all’inizio del conflitto ucraino, modificando le reazioni interne, internazionali e avversarie al momento della sua diffusione. Questa tecnica giocherà un ruolo importante nei conflitti futuri e, quando sarà vantaggioso, l’intelligence open-source dovrà essere integrata nell’intelligence fusion [capacità di integrare tutte le fonti di intelligence nella “knowledge matrix”, N.d.C.] per garantire una rapida diffusione al pubblico, sempre assicurandosi che il beneficio della divulgazione dell’intelligence valga il possibile rischio per le fonti e i metodi, insito in qualsiasi sforzo di declassificazione. Sebbene molti esempi di applicazione delle informazioni open- source alla guerra in Ucraina non possano essere discussi in questo articolo, uno che può essere discusso è il crowdsourcing di possibili crimini di guerra per consentire l’attribuzione e l’eventuale perseguimento dei colpevoli.19

Al di là dell’incorporazione di intelligence open-source, l’istruzione e l’addestramento militare professionale dell’Esercito devono includere istruzioni di base sulle operazioni di inganno, data la trasparenza senza precedenti osservata durante le operazioni in Ucraina. Le Forze armate ucraine sono eccezionalmente abili nell’inganno a livello strategico, operativo e tattico, un effetto che richiede sinergia e fiducia per integrare le capacità nei vari settori.20

Operazioni multidominio

L’Esercito degli Stati Uniti continua a fare progressi significativi nello sviluppo delle operazioni multidominio (MDO), con la sua terza task force MDO, che ha

raggiunto la piena capacità operativa nel maggio 2023. Queste task force, specifiche per ogni teatro, incorporano effetti di precisione a lungo raggio, tra cui cyber, guerra elettronica, intelligence e fuoco a lungo raggio per contrastare le minacce ibride di Russia e Cina.21 Sebbene le task force MDO si stiano modernizzando rapidamente, anche il resto dell’esercito deve comprendere e incorporare i principi delle operazioni multidominio che caratterizzeranno le guerre future. I requisiti di comunicazione e visualizzazione per una task force MDO onnisciente e onniveggente sono significativi e in gran parte inamovibili, il che significa che le unità di manovra più piccole devono comprendere le capacità di una task force MDO senza necessariamente avere libero accesso ad essa. Le unità più piccole devono anticipare le lacune nelle difese nemiche e sfruttare i vantaggi emergenti.22 L’anticipazione, lo sfruttamento e il comando di missione non avvengono spontaneamente, in modo organico; tutti richiedono formazione, addestramento e dottrina.

Dopo aver esaminato le operazioni multidominio durante il conflitto tra Russia e Ucraina, il team di studio afferma che l’Esercito dovrebbe rivalutare i ruoli e le responsabilità dei quartier generali di scaglione per tenere conto delle operazioni multidominio e di altre strutture organizzative emergenti come la Penetration Division [Divisione corazzata pesante, N.d.C.].23 L’Esercito deve espandere i collegamenti tra esercitazioni congiunte, combattenti a livello divisionale, e rotazioni per l’addestramento al combattimento, per insegnare la sincronizzazione della convergenza e delle armi combinate nel contesto delle operazioni multidominio.24 I manuali del passato “come si combatte” di DePuy, reinventati come piattaforme di chat alimentate da basi di conoscenza generativa dell’intelligenza artificiale, e sovrapposti alle rotazioni del Centro nazionale di addestramento, alle esercitazioni dei combattenti di divisione e di corpo d’armata, e all’addestramento delle piccole unità, costituirebbero l’attività di convergenza definitiva.

E allora?

Grove riteneva che un punto di inflessione strategico raramente si annuncia da sé, ma si presenta piuttosto come un’occasione che, se colta, può portare chiarezza nel caos e far imboccare una nuova strada, che permetta all’organizzazione di affrontare la sfida del momento, piuttosto che seguire una strada comoda ma senza uscita. L’Esercito di oggi ricorda quello del 1973, ricco di esperienze, conoscenze e opportunità di cambiamento. Il TRADOC è stato istituito per trasformare l’Esercito nella

potenza terrestre meglio addestrata, equipaggiata, guidata e organizzata del mondo. Le esperienze di DePuy nella Seconda Guerra Mondiale e in Vietnam e lo studio della Guerra dello Yom Kippur lo hanno portato a credere che la trasformazione dell’Esercito in una potenza terrestre in grado di sconfiggere un nemico moderno richiedesse una revisione concettuale e dottrinale a livello di Esercito. Riteneva che gli ufficiali dovessero essere intellettualmente capaci, e dava importanza a coloro che erano in grado di risolvere i problemi con rapidità e di istituzionalizzare rapidamente il cambiamento in tutta l’organizzazione.

L’Esercito del 2023 si trova di fronte a un punto di inflessione simile, un’opportunità per rivalutare l’istruzione militare professionale che soldati e ufficiali ricevono nei centri di eccellenza TRADOC, le loro esperienze di addestramento nei centri di formazione nazionali e l’addestramento e l’istruzione quotidiani che ricevono nel corso della carriera. Il concetto di battaglia aerea in appoggio alle forze di terra derivato dalla guerra dello Yom Kippur (dopo il fallimento dell’incursione nella Difesa attiva) potrebbe ora trasformarsi in una battaglia terrestre con intelligenza artificiale, informata dalla guerra Russia- Ucraina e da un futuro di veicoli da combattimento terrestri in gran parte senza equipaggio o con equipaggio remoto. L’Esercito deve riesaminare l’impalcatura di tutto, dai corsi di base alle scuole di guerra, e orientare le lezioni su ciò che si impara oggi, incorporando l’azione bellica in tempo reale nelle aule e nei campi di battaglia simulati. Sebbene la modernizzazione sia spesso focalizzata sull’aspetto materiale del progresso, il lavoro più pesante si svolge quando si integra il nuovo materiale con la dottrina, l’organizzazione, l’addestramento, la leadership, il personale e le strutture. Per rimanere al passo con il rapido cambiamento del carattere della guerra, il TRADOC deve guidare questa iniziativa ora, adattando l’istruzione e l’addestramento in tempo reale. Sebbene la crisi sia un utile crogiolo per l’innovazione, l’Esercito degli Stati Uniti deve assicurarsi di catturare questi rapidi cambiamenti in modo che possano essere immediatamente inseriti nella dottrina, implementati nell’addestramento e inseriti nella vita quotidiana dei soldati in guarnigione e in combattimento.

Le Forze Armate dell’Ucraina stanno pagando con il sangue lezioni che non solo preservano la loro libertà, ma possono anche aiutare l’Esercito degli Stati Uniti a dissuadere e, se necessario, a combattere e vincere guerre future a un costo inferiore di vite e di spesa.25 Sarebbe un disonore per i sacrifici di questi soldati e per la memoria del generale DePuy non prestare la massima attenzione.

Katie Crombe

Il tenente colonnello Katie Crombe è una stratega dell’esercito attualmente assegnata allo Stato Maggiore Congiunto. È stata il capo dello staff di un progetto di ricerca integrato commissionato dal TRADOC durante l’anno accademico 2023 presso l’US Army War College.

John A. Nagl

John A. Nagl è professore di studi sul combattimento presso l’US Army War College. È stato direttore di un progetto di ricerca integrato commissionato dal TRADOC durante l’anno accademico 2023 presso l’US Army War College.

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Chadwick, Steve. “MDO and the Ukrainian War.” Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023.

Dukes, Brian. “Senior Leader Resilience and Replacement.” Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023.

Grabchak, Volodymyr, and Myra Naqvi. “Ukrainian History and Perspective.” Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023.

Huffman, Clay. “Intelligence in the Ukraine War.” Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023.

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Ringraziamenti: Gli autori desiderano ringraziare gli autori degli articoli citati in questo articolo e i membri del team di facoltà Al Lord, Jerad Harper, Rebecca Jensen e Dan Miller; gli studenti Dale Caswell, Matt Holbrook, Thomas Kunish, Jason Lojka, Povilas Strazdas

1 Andrew S. Grove, Only the Paranoid Survive: How to Exploit the Crisis Points That Challenge Every Company (New York: Currency Doubleday, 1996), 32.

2 Henry G. Gole, General William E. DePuy: Preparing the Army for Modern War (Lexington: University Press of Kentucky, 2008)

3 John A. Nagl, “Why America’s Army Can’t Win America’s Wars,” Parameters 52, no. 3 (Autumn 2022): 7–19, https://press.armywarcollege.edu/parameters/vol52/iss3/3/ .

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5 Brownlee and Mullen, Changing an Army, 189.

6 Jim Garamone, “Potential for Great Power Conflict ‘Increasing,’ Milley Says,” DOD News, U.S. Department of Defense (website), April 5, 2022, https://www.defense.gov/News/News-Stories /Article/Article/2989958/potential-for-great-power-conflict-increasing-milley-says/ .

7 John Grady and Sam LaGrone, “CJCS Milley: Character of War in Midst of Fundamental Change,” USNI News (website), December 4, 2020, https://news.usni.org/2020/12/04/cjcs-milley-character -of-war-in-midst-of-fundamental-change

8 Colloquio tra un ufficiale generale dell’esercito statunitense e il comandante di un battaglione ucraino

9 C. Todd Lopez, “Future War Requires ‘Disciplined Disobedience,’ Army Chief Says,” Army (website), May 5, 2017, https://www.army.mil/article/187293/future_warfare_requires_disciplined disobedience_army_chief_says

10 Jamon K. Junius, “Mission Command in the Ukraine War” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023).

11 Brian Dukes, “Senior Leader Resilience and Replacement” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023); and Dennis Sarmiento, “Medical Implication of the Ukrainian War” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023).

12 Headquarters, Department of the Army (HQDA), Sustainment Operations, Field Manual (FM) 4-0 (Washington DC: HQDA, July 2019), 4-4.

13 Department of Defense (DoD), Casualty Status (Washington, DC: DoD, May 22, 2023), https://www.defense.gov/casualty.pdf.

14 Stephen K. Trynosky, “Paper TigIRR: The Army’s Diminished Strategic Personnel Reserve in an Era of Great Power Competition” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023), 22.

15 Trynosky, “Paper TigIRR,” 20

16 Kent Park, “Was Fifty Years Long Enough? The All-Volunteer Force in an Era of Large-Scale Combat Operations” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023)

17 Jay Bradley, “Fires in the Ukraine War” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023)

18 Schuyler Moore and Mickey Reeve, “U.S. Central Command Holds a Press Briefing on Their Employment of Artificial Intelligence and Unmanned Systems” (transcript), U.S. Department of Defense (website), December 7, 2022, https://www.defense.gov/News/Transcripts/Transcript/Article/3239281 /us-central-command-holds-a-press-briefing-on-their-employment-of-artificial-int/.

19 Deb Amos, “Open Source Intelligence Methods Are Being Used to Investigate War Crimes in Ukraine,” Newshour, PBS (website), June 12, 2022, https://www.npr.org/2022/06/12/1104460678 /open-source-intelligence-methods-are-being-used-to-investigate-war-crimes-in-ukr

20 Clay Huffman, “Intelligence in the Ukraine War” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023).

21 Charles McEnany, “Multi-Domain Task Forces: A Glimpse at the Army of 2035,” Association of the United States Army (website), March 2, 2022, https://www.ausa.org/publications/multi-domain -task-forces-glimpse-army-2035.

22 Jesse L. Skates, “Multi-Domain Operations at Division and Below,” Military Review (January-February 2021), 68–75, https://www.armyupress.army.mil/Journals/Military-Review /English-Edition-Archives/January-February-2021/Skates-Multi-Domain-Ops/

23 Nathan A. Jennings, “Considering the Penetration Division: Implications for Multi-Domain Operations,” Land Warfare Paper 145 (Arlington, VA: Association of the United States Army, 2022), https:// www.ausa.org/publications/considering-penetration-division-implications-multi-domain-operations

24 Steve Chadwick, “MDO and the Ukrainian War” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023).

25 Volodymyr Grabchak and Myra Naqvi, “Ukrainian History and Perspective” (Strategic Research Paper, US Army War College, Carlisle, PA, 2023).

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