Il Prof. John Mearsheimer e l’ex specialista della CIA Russia Ray McGovern discutono del conflitto ucraino e della politica degli Stati Uniti nei confronti di Mosca, presentati dal Comitato per la Repubblica a Washington.
Pubblichiamo questo scritto per presentare quattro importanti documenti che rivelano l’esistenza negli Stati Uniti di un dibattito aperto ed esplicito sulle diverse opzioni e strategie, di fatto in netto contrasto tra di esse, che dovrebbero informare la politica estera americana, specie nei confronti dei due principali competitori geopolitici: la Russia e la Cina. A differenza di quanto avviene in Europa, colpisce la trasparenza del dibattito in corso, alimentato dalla presenza di una vasta opinione pubblica e di un radicato movimento politico a sostegno di ciascuna delle tesi. Tesi che, comunque, non ostante la presenza di componenti iperoltranziste, le quali nel peggiore dei casi , comunque, come rivelato dai due articoli di Defense One, propugnano un atteggiamento più “attivo” certamente, ma che tengano in considerazione ed accettino, almeno momentaneamente, le posizioni acquisite da Putin sul terreno. Niente del genere in Europa, con una classe dirigente comunitaria e degli stati nazionali pressoché del tutto allineata alle posizioni più oltranziste e cieche. Segno che le loro ragioni di esistenza e sopravvivenza dipendono soprattutto dai loro legami di dipendenza e dall’assenza congenita di una qualsiasi organica capacità autonoma di movimento.
Il primo documento, pubblicato qui sotto, è importante certamente per la radicalità del suo contenuto, ma soprattutto per la qualità dei sottoscrittori. Tutti direttamente implicati delle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa; espressioni di settori e centri decisori potentissimi, di apparati la cui inerzia è in grado di forzare pesantemente le linee di condotta della gestione dell’amministrazione centrale americana. La vicenda della possibile cessione dei Mig29 polacchi all’Ucraina, per interposizione della NATO, è particolarmente illuminante. Non è solo il segnale di una cautela dei polacchi rispetto all’avventurismo statunitense; è il segno della capacità di azione di questi centri nell’orchestrare provocazioni e determinare le linee di condotta. E’ chiaro che il contrasto proviene da interessi anche personali ben radicati, ma anche da due punti di vista ben radicati nell’amministrazione americana; una ritiene la condotta russa fondata su un bluff, le cui carte andrebbero scoperte; l’altra la ritiene una condotta irreversibile da affrontare diplomaticamente senza rischiare ulteriormente un disastroso confronto militare generalizzato. Molto dipenderà dalla saldezza e dalla coerenza della leadership russa e dalla solidità del sodalizio sino-russo; altrettanto dipenderà dal sorgere quantomeno di un movimento di opinione europeo contrario a questo oltranzismo da avanspettacolo offerto dalle classi dirigenti europee. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Lettera aperta per la No-Fly Zone limitata.
Esprime una posizione interna alla dirigenza americana secondo la quale i russi stanno bluffando e non sono disposti ad arrivare sino ad un conflitto diretto con la NATO. Bisogna, quindi, andare a vedere il loro bluff e provocarli con una “no-fly zone”. I russi cederanno
Noi sottoscritti esortiamo l’amministrazione Biden, insieme agli alleati della NATO, a imporre una No-Fly Zone limitata sull’Ucraina a partire dalla protezione per gli aiuti umanitari corridoi concordati nei colloqui tra funzionari russi e ucraini giovedi. I leader della NATO dovrebbero comunicare ai funzionari russi che non cercano direttamente il confronto con le forze russe, ma devono anche chiarire che non tollereranno gli attacchi russi su aree civili.
La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ha causato enormi devastazioni e perdite di vita per gli ucraini. La sua guerra di aggressione premeditata, non provocata e ingiustificata ha creato la più grande crisi nel continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante gli sforzi davvero eroici dei soldati ucraini e dei cittadini medi per resistere al
saccheggio delle forze russe, l’esercito di Putin è pronto per ulteriori attacchi alle principali città, compresa la capitale Kiev. Mirare a edifici residenziali, ospedali e governo complessi, così come le centrali nucleari, le forze russe saranno responsabili di un bilancio delle vittime ancora più alto.
La comunità internazionale ha risposto rapidamente attraverso una serie senza precedenti di sanzioni e un aumento significativo dell’assistenza militare letale per aiutare l’Ucraina a difendersi. Ma è necessario fare di più per prevenire vittime e potenziali vittime su larga scala e un bagno di sangue.
Il presidente Biden e il segretario generale della NATO Stoltenberg hanno affermato che né gli Stati Uniti né la NATO ingaggeranno le forze russe sul terreno in Ucraina. Cosa noi
cerchiamo è il dispiegamento di aerei americani e della NATO non in cerca di confronto
con la Russia ma per scongiurare e scoraggiare i bombardamenti russi che si tradurrebbero in massicce perdite di vite ucraine. Questo si aggiunge alla richiesta dei leader ucraini per A-10 e MIG-29 per aiutare gli ucraini a difendersi, cosa che anche noi fortemente sosteniamo.
Già più di un milione di ucraini sono fuggiti dal loro paese per sfuggire alla brutalità scatenata da Putin. Le stime suggeriscono che quel numero potrebbe raggiungere i 5 milioni, più del 10 per cento della popolazione. Diverse migliaia di ucraini sono già morti
L’ultima aggressione di Putin, in aggiunta agli oltre 14.000 uccisi dopo la prima invasione di Putin dell’Ucraina a partire dal 2014. L’Ucraina sta affrontando un grave disastro umanitario; gli effetti si fanno sentire in tutto il continente europeo e oltre.
Il ritornello “mai più” è emerso sulla scia dell’Olocausto, e gli ucraini lo sono chiedendosi se tale impegno si applica a loro. È tempo per gli Stati Uniti e la NATO di intensificare il proprio aiuto agli ucraini prima che altri civili innocenti ne cadano vittime.
La follia omicida di Putin. Gli ucraini stanno difendendo coraggiosamente il loro paese e
loro libertà, ma hanno bisogno di più aiuto da parte della comunità internazionale. Stati Uniti- La NATO devono imporre la No-Fly Zone per proteggere i corridoi umanitari e militari aggiuntivi i mezzi per l’autodifesa ucraina sono disperatamente necessari e necessari ora.
(Nota: le affiliazioni sono solo a scopo identificativo; gli individui firmano per loro responsabilità personale.)
1. Anders Aslund, Senior Fellow, Stockholm Free World Forum
2. Stephen Blank, Senior Fellow/Foreign Policy Research Institute
3. Gen. (Ret.) Philip Breedlove, Former Supreme Allied Commander Europe
4. Paula Dobriansky, Former Under Secretary of State for Global Affairs
5. Eric S. Edelman, Former Under Secretary of Defense
6. Evelyn Farkas, Former Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia,
Ukraine, Eurasia
7. Daniel Fried, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Poland
8. Andrew J. Futey, President, Ukrainian Congress Committee of America
9. Melinda Haring, Deputy Director, Atlantic Council Eurasia Center
10. John Herbst, Former U.S. Ambassador to Ukraine
11. LtG (Ret.) Ben Hodges, Former Commanding General, United States Army
Europe
12. Glen Howard, President, Jamestown Foundation
13. Donald Jensen, Johns Hopkins University
14. Ian Kelly, Former U.S. Ambassador to Georgia and OSCE
15. John Kornblum, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Germany
16. Shelby Magid, Associate Director, Atlantic Council Eurasia Center
17. Robert McConnell, Co-Founder, U.S.-Ukraine Foundation
18. Claire Sechler Merkel, Senior Director, McCain Institute for International
Leadership
19. David A. Merkel, Former Deputy Assistant Secretary of State and
Director, National Security Council
20.Barry Pavel, Senior Vice President and Director, Atlantic Council Scowcroft
Center for Strategy and Security
21. Herman Pirchner, President, American Foreign Policy Council
22. Michael Sawkiw, Jr., Director, Ukrainian National Information Service
23. Leah Scheunemann, Deputy Director, Atlantic Council Transatlantic Security
Initiative
24. Benjamin L. Schmitt, Former European Energy Security Advisor, U.S.
Department of State
25. William Taylor, Former U.S. Ambassador to Ukraine
26. Alexander Vershbow, Former U.S. Ambassador to Russia and NATO
4. Ian Brzezinski, Former Deputy Assistant Secretary of Defense
5. Orest Deychakiwsky, Former Policy Adviser, U.S. Helsinki Commission
6. Larry Diamond, Senior Fellow, Hoover Institution and Freeman Spogli
Institute for International Studies, Stanford University
27. Kurt Volker, Former U.S. Ambassador to NATO and Special Representative for
Ukraine Negotiations
Qui sotto invece un dibattito tra quattro importanti accademici, analisti e personaggi politici che manifestano tutt’altre posizioni, ben presenti, sia pure in posizione minoritaria, nei centri decisori americani e ben recepiti da una parte sempre più larga di opinione pubblica ed di elettorato. Per chi non avesse particolare dimestichezza con l’inglese è possibile digitare il comando dei sottotitoli. La posizione analizza lo sviluppo della crisi, ne attribuisce la responsabilità agli Stati Uniti e argomenta perché i russi andranno sino in fondo nella difesa di questo interesse per loro vitale.
Il Prof. John Mearsheimer e l’ex specialista della CIA Russia Ray McGovern discutono del conflitto ucraino e della politica degli Stati Uniti nei confronti di Mosca, presentati dal Comitato per la Repubblica a Washington.
Qui sotto ancora due articoli della rivista Defense One, prossima agli ambienti militari che traccia le possibili modalità di intervento diretto in Ucraina delle forze della NATO. Questa è un’ulteriore linea interna alla dirigenza americana che non vuole correre il rischio di un confronto diretto della NATO con la Russia; vuole, però, interporre una forza ONU a guida Usa nel conflitto per ottenere il massimo e concedere il minimo nella trattativa tra Russia ed Ucraina.
Il discorso del presidente Biden sullo stato dell’Unione, che ha chiesto al resto del mondo di uscire più forte della Russia dalla crisi ucraina, coglie bene una vera strategia americana. L’esito della crisi rimane sconosciuto, ma l’ordine di sicurezza collettiva internazionale basato su regole, sotto la guida americana, ha finora risposto abbastanza bene. Eppure, lo straordinario isolamento economico e diplomatico di Mosca, e il rafforzamentodelle difese orientali della NATO, non può garantire che la Russia alla fine non invaderà l’Ucraina e creerà, con milioni di rifugiati ucraini, un’enorme crisi finanziaria per gli Stati Uniti e gli stati europei. Quasi sicuramente gli ucraini organizzeranno un’insurrezione, ma mentre ciò farà aumentare i costi di Mosca, è improbabile che costringa la Russia a ritirarsi presto.
Così anche una Russia indebolita dall’azione internazionale e dall’insurrezione potrebbe ancora essere la vincitrice, se l’ordine internazionale emergesse da questa crisi ancora più debole geograficamente, economicamente e psicologicamente. Il compito uno per quell’ordine internazionale è quindi garantire che ciò non accada, e ciò richiederà più azioni con maggiori rischi e costi. Una di queste azioni che è stata sollevata , anche dal presidente Zelenskyy, è una no-fly zone sul territorio ucraino. Questo è stato rapidamente abbattuto per molte buone ragioni . Ma il germe dell’idea ha merito, se affrontato diversamente. Qui il conflitto in Siria può essere istruttivo, in particolare, l’efficacia delle zone di sicurezza, per ridurre il conflitto, consentire l’assistenza umanitaria e, infine, produrre cessate il fuoco.
Una zona sicura umanitaria
Il governo ucraino dovrebbe essere incoraggiato a fare appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché approvi una risoluzione ai sensi del capitolo VI , che istituisca una zona di sicurezza umanitaria con un regime di cessate il fuoco nei territori ucraini confinanti con i suoi vicini occidentali. (Una risoluzione ai sensi del Capitolo VII , che consentirebbe l’applicazione legale con le truppe sotto il controllo delle Nazioni Unite, sarebbe migliore ma senza dubbio impossibile.) Un modello di questo tipo di dispiegamento di peacekeeper alle frontiere è la risoluzione 1701 , che pose fine all’incursione israeliana in Libano nel 2006.
Ci si può aspettare che la Russia ponga il veto a tale risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sulla quale l’amministrazione e gli alleati dovrebbero tentare il suo passaggio all’Assemblea Generale, come si è visto con la Risoluzione Uniting for Peace , che autorizzò l’intervento del 1950 in Corea. La scorsa settimana, una risoluzione simile dell’Assemblea Generale che condanna la Russia in Ucraina ha ottenuto la stragrande maggioranza .
Tale zona consentirebbe al governo ucraino e alle organizzazioni non governative, in collaborazione con la comunità internazionale, di allestire campi per gli sfollati interni in fuga dai combattimenti senza lasciare l’Ucraina, riducendo drasticamente i costi di sostegno e reinsediamento dei rifugiati nei paesi terzi. La posizione e la profondità della Zona dipenderebbero dalla posizione delle forze russe al momento della sua istituzione, nonché da vari fattori economici, etnici, di trasporto e geografici e dalla posizione dei paesi vicini alla Zona. Ma dovrebbe includere almeno la città strategica di Leopoli.
Il governo ucraino dovrebbe rinunciare alle operazioni militari lanciate dalla zona, ma in caso contrario la sovranità ucraina e le normali operazioni del governo continuerebbero nella zona. Una zona consentirebbe al governo ucraino in extremis di trasferirsi verso ovest sul proprio territorio piuttosto che fuggire all’estero. Ciò è fondamentale per qualsiasi tipo di “vincere” di compromesso per l’Ucraina poiché eviterebbe, se in esilio, di competere con un regime fantoccio di Mosca con una presenza nel paese. E per essere chiari, l’obiettivo finale non è una groppa di Ucraina, ma il ritorno del legittimo controllo del governo ucraino su tutto il paese.
Un ruolo militare statunitense
Quali paesi risponderanno all’appello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di inviare truppe per monitorare i confini della Zona e difenderla in caso di attacco? (Date le paure russe, la NATO come istituzione deve starne fuori.) La nostra esperienza con i conflitti passati indica che i governi schiereranno forze solo se lo stesso Consiglio di sicurezza avrà approvato una risoluzione (di nuovo, improbabile a causa del veto della Russia), o se il Gli Stati Uniti inviano le proprie truppe. Affinché questa idea abbia successo, quindi, il Presidente dovrebbe invertire, in misura limitata, la sua posizione ” no US boots-in-Ucraina “, ma per buone ragioni.
L’impegno sarebbe limitato e non sfiderebbe direttamente le forze russe. Per rassicurare i russi di nessun intento offensivo, le forze americane e altre forze esterne sarebbero limitate nel numero e nelle armi. Gli Stati Uniti potrebbero fornire monitoraggio aereo “oltre l’orizzonte” e rinforzi a terra per scoraggiare o rispondere agli attacchi contro queste forze. Nessun conflitto sarebbe iniziato se non con una decisione russa di attaccare le forze invitate in Ucraina dal suo governo legale e con un mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e una missione umanitaria.
L’esperienza siriana
In Siria, la Russia non ha agito contro le zone di sicurezza nel nord o nel sud-est contenenti truppe turche o statunitensi, anche se poche, con un’eccezione , contro le forze turche nel 2020. I russi hanno spesso minacciato ritorsioni contro le truppe statunitensi e turche e i loro siriani partner (e occasionalmente attacchi aerei israeliani) ma con quell’unica eccezione non ha intrapreso azioni letali.
Uno dei motivi per cui la zona di sicurezza ha funzionato in Siria è che ciascuna parte conosceva le linee rosse degli altri e non aveva alcun bisogno impellente di attraversarle. La Russia aveva ottenuto una vittoria disordinata e limitata in Siria sostenendo un governo amico e preservando le sue basi militari. Scacciare definitivamente gli americani, i turchi e gli israeliani, lì per le loro pressanti ragioni di sicurezza e umanitarie, sarebbe stato gradito ma non avrebbe generato un beneficio aggiuntivo sufficiente per bilanciare i rischi significativi. Supponendo che la zona di sicurezza ucraina sia relativamente piccola, potrebbe applicarsi una dinamica simile. Nessuna offensiva militare potrebbe o vorrebbe essere lanciata da esso, quindi non crea alcun motivo convincente per la Russia per rischiare di iniziare un conflitto con gli Stati Uniti.
A dire il vero, una zona di sicurezza non porrà fine alla guerra con una vittoria. Piuttosto, dovrebbe essere visto come una di una serie di mosse per negare il successo della Russia, insieme a sanzioni, disaccoppiamento economico e invio di armi all’Ucraina. Apre la porta a un compromesso diplomatico. L’amministrazione Biden ha segnalato la sua apertura a tale risultato nella sua lettera di gennaio alla Russia e dovrebbe dare seguito anche mentre i combattimenti continuano.
Ovviamente, l’approccio della zona di sicurezza comporta rischi, sia per le truppe coinvolte che per l’escalation russo-americana, in particolare perché il conflitto ucraino è esistenziale per la Russia in un modo in cui non lo era la Siria. Ma il mondo, e gli Stati Uniti, si trovano già in una situazione molto rischiosa. Inoltre, il successo americano nella creazione di una coalizione globale si basa sul presupposto che tutti condivideranno il sacrificio e i rischi. Ciò include non solo quegli stati spinti a vendere più petrolio con meno profitti, o accettare ondate di rifugiati, o nel caso della Germania, rinunciare a Nordstream 2, ma anche gli Stati Uniti, che finora sono stati poco esposti a costi e rischi. In fondo, la lotta dell’Ucraina non riguarda la forza e le risorse, perché la coalizione che gli Stati Uniti hanno messo insieme è enormemente più forte e più ricca della Russia. Piuttosto, è tutta una questione di coraggio e volontà politica.
James Jeffrey è presidente del programma per il Medio Oriente presso il Wilson Center; un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, Iraq e Albania; ed ex inviato speciale presso la coalizione globale per sconfiggere l’ISIS e capo missione in Siria.
Nessuno sa fino a che punto Vladimir Putin della Russia spingerà il suo brutale attacco all’Ucraina. I commentatori occidentali inizialmente presumevano che Putin avrebbe consentito l’esistenza di uno stato ucraino, meno il Donbas, sotto un governo fantoccio una volta conquistate Kiev, Kharkiv e Mariupol; Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è stato giustiziato; e istituito un ampio corridoio costiero tra la Crimea e la regione del Donbas. Ma dopo una telefonata del 3 marzo con Putin, il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che “il peggio deve ancora venire” e che l’ obiettivo di Putin è prendere tutta l’Ucraina e cancellare la nazione. Pochi giorni dopo, Putin ha minacciato di porre fine allo stato ucraino a meno che la resistenza non si fermasse.
Finora, la risposta principale del mondo sono state le sanzioni. È uno sforzo significativo e ha dimostrato l’unità degli Stati democratici. Tuttavia, le sanzioni funzionano solo contro i governi che sono effettivamente preoccupati per il benessere economico a lungo termine della loro gente. È del tutto evidente che Putin sacrificherà tale benessere per obiettivi immediati e il prestigio della potenza militare. Gli sforzi per fornire all’Ucraina armi aggiuntive sono tatticamente importanti, ma le forze ucraine sono semplicemente troppo piccole per sostenere una guerra convenzionale contro la Russia.
Se deve esserci un futuro per la nazione ucraina, l’Occidente deve agire immediatamente per stabilire una zona di mantenimento della pace e di soccorso umanitario nell’Ucraina occidentale non occupata. Questa “Zona di pace” sarebbe mantenuta da truppe completamente armate, della NATO, delle ” Forze di difesa dell’Unione europea ” dell’UE o, sebbene sia un’aspirazione difficile, una coalizione di stati non europei apparentemente sotto l’autorità dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite . La zona avrebbe lo scopo sia di proteggere i civili che di preservare una parvenza di indipendenza per il popolo ucraino. Se richiesto dal presidente Zelenskyy, tale azione sarebbe pienamente conforme al diritto internazionale. Come ha ripetutamente affermato Zelenskyy—più recentemente sulla scia del bombardamento russo di una centrale nucleare — “solo un’azione urgente da parte dell’Europa può fermare le truppe russe”.
Invece di affrontare le forze russe nelle loro attuali operazioni, queste forze di pace, completamente attrezzate per il combattimento, potrebbero stabilire posizioni difensive in quelle aree dell’Ucraina che i soldati di Putin non hanno ancora raggiunto, comprese le oblast di Lviv, Volyn, Zakarpattia, Rivne, Ternopil, Khmeinytski , Ivano-Frankivsk, Chernivitsi, Zhytornyr, Vinnytsia e le sezioni settentrionale e costiera di Odessa non ancora contestate. Ovviamente, la città centrale sarebbe Leopoli, dove si sono già trasferite la maggior parte delle ambasciate e molti profughi e che The Economist ha già soprannominato “ il luogo del piano Bs.” L’obiettivo sarebbe quello di creare una barriera protettiva attorno a ciò che può essere salvato di un’Ucraina sovrana che sopravviverà all’evento quasi inevitabile della caduta di Kiev e delle regioni orientali. E, sì, includerebbe una no-fly zone, ma esclusivamente al di sopra dell’area protetta.
Una volta stabilite in posizione, queste forze di pace non intraprenderebbero alcuna azione offensiva contro le forze russe che operano nel resto dell’Ucraina, ma rimarrebbero completamente preparate a difendere se stesse e il territorio che proteggono. Questi non sarebbero i “peacekeeper” leggermente armati che si sono dimostrati ampiamente inefficaci nelle passate operazioni delle Nazioni Unite. Queste forze eviteranno di avviare ostilità, ma agiranno come un potente deterrente per altre ostilità. D’ora in poi sarà una scelta di Putin se vuole combattere l’Europa, e forse il mondo, una guerra che sa che la Russia non può vincere. È probabile che una guerra del genere lo rovescerebbe, l’esito che più teme.
Escalation per de-escalation
Ironia della sorte, ciò applicherebbe una logica strategica che è stata attribuita, forse in modo alquanto impreciso, all’attuale strategia militare russa: escalation per de-escalation o escalation del controllo. In questo caso, l’escalation è la presenza di truppe occidentali nell’Ucraina non conquistata. La riduzione dell’escalation è che costringerà Putin a limitare la sua azione a ciò che afferma di fare : “liberare” il Donbas e sostituire il regime ucraino, che senza un’azione occidentale diretta è impossibile da fermare. La presenza della forza di mantenimento della pace stabilirebbe una linea rossa deterrente e ferma che consentirebbe, anzi, attirerebbe Putin a dichiarare vittoria e indietreggiare. In breve, la minaccia di un’ulteriore guerra è ciò che reprimerebbe la guerra in corso, che è una definizione efficace di deterrenza.
Il concetto reale è derivato dall’interpretazione degli scritti russi sull’uso delle armi nucleari che implicavano che l’escalation dell’uso della forza, usando piccole armi nucleari tattiche contro una forza avversaria, potrebbe indurre l’avversario a rinunciare a qualsiasi ulteriore sforzo per portare un potere ancora maggiore ( una forza convenzionale più grande o persino armi nucleari strategiche) nel conflitto. L’escalation per deescalation è stata descritta come “l’escalation di un conflitto da un livello di conflitto a un livello di violenza che fa cessare le operazioni militari da parte dell’avversario [che] sarebbe solo un esempio di come la Russia potrebbe cercare di controllare l’escalation di un conflitto. ” Come si applica alle forze nucleari statunitensi, il concetto è stato respintonella testimonianza al Congresso della leadership militare congiunta degli Stati Uniti. Ma al di fuori della posizione nucleare, corrisponde bene agli elementi della convenzionale “deterrenza per negazione”. Una forza forte, ben equipaggiata e ben addestrata (come i contingenti NATO) posta in posizioni protette ma in grado di manovrare è un deterrente che le risposte iterative non possono eguagliare.
Le prove di operazioni inette in Ucraina potrebbero non riflettere la vera competenza delle forze armate russe complessive. Ma suggerisce che spingere contro una forza di mantenimento della pace pronta al combattimento, alla fine sostenuta dalla NATO, non è una sfida che i comandanti militari russi vorrebbero affrontare.
Quali forze sono necessarie?
La fanteria leggera di tipo forza di reazione rapida formerebbe il bordo d’attacco o confine della Zona di Pace, con armature, artiglieria e forze armate combinate mantenute a distanza. Queste forze più pesanti non sarebbero una singola riserva centralizzata; sarebbero stabiliti in tutta la zona, ma in posizioni che non segnalano un’offensiva in avanti.
Preferibilmente la barriera di fanteria leggera non includerebbe truppe statunitensi (per evitare di entrare nella narrativa di Putin), ma sarebbe composta da nazioni europee della NATO e/o dell’UE, o altri membri volontari delle Nazioni Unite. Ci sono, infatti, un certo numero di nazioni che potrebbero essere disposte a fornire truppe se sovvenzionate e sostenute dall’Occidente. Le forze più pesanti sarebbero costruite attorno ad almeno tre divisioni dell’esercito americano o del corpo dei marines degli Stati Uniti (o equivalenti). Il messaggio chiaro: non intendiamo avanzare per creare una guerra generale, ma non ci ritireremo.
Le forze ucraine non farebbero parte della forza di mantenimento della pace/difensiva, ma sarebbero autorizzate a ritirarsi negli accampamenti all’interno della zona se accettassero di cessare le operazioni all’interno delle aree contese dell’Ucraina. Gli attacchi delle forze ucraine dalla Zona di Pace non sarebbero stati consentiti.
Il movimento delle forze della zona di pace avverrebbe principalmente con il trasporto via terra attraverso la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria o la Romania, e preferibilmente tutti questi. L’inserimento dell’elicottero è una possibilità, ma sarebbe meglio ridurre al minimo fino a quando la Zona di Pace non sarà inizialmente istituita e dichiarata. Se Odessa rimane non occupata, le forze potrebbero essere spostate su nave o moto d’acqua dalla Romania, dalla Bulgaria o dalla Turchia.
La potenza aerea di copertura sarebbe basata al di fuori dell’Ucraina, ma potrebbe essere presente sopra la Zona di Pace, se necessario, una volta stabilita la zona. Lo scopo è proteggere la zona, non recuperare ciò che è perduto. Predominano i caccia e gli aerei di supporto aereo ravvicinato; a meno che non ne seguisse una guerra generale, non ci sarebbe alcun ruolo per i bombardieri a lungo raggio.
Una tale posizione operativa sarebbe conforme all’esercito americano, all’aeronautica americana o alla dottrina congiunta? Affatto. Le operazioni di combattimento statunitensi si basano sul portare la battaglia al nemico nel territorio controllato dal nemico. Tuttavia, le circostanze uniche e tragiche della situazione richiedono un approccio creativo che trascenda la dottrina. L’obiettivo è preservare la sovranità ucraina in quelle aree non ancora sotto l’occupazione russa, al fine di fornire supporto umanitario al popolo ucraino e mantenere vivo un futuro indipendente per loro evitando una guerra generale con la Russia. Questo non è realizzabile attraverso semplici sanzioni. Né può essere raggiunto attraverso la guerra informatica.
Causerebbe una guerra nucleare?
L’ovvia paura che rende le nazioni occidentali diffidenti nei confronti di un intervento aperto in un conflitto ingiusto che potrebbe distruggere il presunto “ordine mondiale liberale” è la paura della guerra nucleare. La mia tesi è che questa possibilità può essere gestita limitando lo sforzo militare per preservare il territorio ancora sotto il controllo del governo ucraino. Per quanto terrificanti possano essere le prospettive di uno scambio nucleare, la deterrenza dovrebbe reggere, anche nella mente di Putin, se si evita il conflitto sul territorio russo o con le forze russe.
Le operazioni offensive che spingono i russi fuori del tutto dall’Ucraina sarebbero l’esito ideale per il conflitto, ma anche questo rispecchia la narrativa di Putin e potrebbe provocare una risposta incerta. Tali operazioni rimarrebbero di competenza delle forze militari (e civili) ucraine. La difesa dell’Ucraina non occupata è del tutto diversa.
Sostenere che una Zona di Pace istituita richiederebbe l’uso di armi nucleari russe significa sostenere che una guerra nucleare è inevitabile durante la vita di Vladimir Putin. Se questo è vero, allora il mondo non ha altra scelta che arrendersi alle sue crescenti richieste.
L’invasione dell’Ucraina non riguarda semplicemente il futuro dell’Ucraina. Riguarda il futuro globale in cui le invasioni dell’Ucraina diventano la norma. Forse è necessaria una piccola quantità di rischio riguardo a un esito nucleare. Ci siamo già stati durante la Guerra Fredda e la deterrenza ha prevalso. Putin è una creatura della Guerra Fredda.
Ha senso una difesa statica? Quale sarà il risultato?
I pianificatori operativi sosterranno che la difesa statica inerente a tale operazione nella Zona di Pace non ha un buon senso militare. E, dal punto di vista di un conflitto totale, hanno ragione. Tale linea d’azione limita la manovra operativa che è vista come la chiave della guerra moderna e forse l’attributo più desiderabile per qualsiasi forza militare. Consentirebbe una manovra tattica, ma rinuncerebbe al vantaggio dell’attacco multiasse e dell’inganno operativo.
Tuttavia, gli obiettivi, ancora una volta, non includono la distruzione delle forze nemiche, ma il mantenimento dell’attuale status quo in un territorio specifico. È per controllare il re del nemico, non per uccidere le sue pedine. I confronti con gli sforzi difensivi falliti nella storia possono essere inevitabili, ma ciò che va ricordato è che le difese forti falliscono solo quando il nemico ha forze sostanzialmente superiori, o quando le difese sono fiancheggiate; la linea Maginot è l’esempio classico. Le forze russe sono inferiori a una NATO combinata e non stanno dimostrando bene le loro capacità potenziali in Ucraina. Il potenziale per una svolta o un fiancheggiamento di una difesa ben preparata della Zona di Pace è relativamente modesto.
Quale effetto sulla narrazione?
Un’ulteriore preoccupazione sarebbe il potenziale effetto sulla “narrativa” riguardo a quale parte è l’aggressore. Putin potrebbe affermare che l’istituzione della forza di mantenimento della pace costituisce un “attacco” della NATO?
Il presidente russo a vita ha definito le sanzioni ” simili a un atto di guerra” e ha minacciato che la Russia sarà in guerra con qualsiasi nazione che fornisca o ospiti aerei ucraini. Indubbiamente, cercherà di schierare qualsiasi forza di mantenimento della pace come attacco.
Tuttavia, non è riuscito a cogliere la narrazione. Numerose nazioni hanno imposto sanzioni e fornito all’Ucraina sofisticate armi anticarro e antiaeree e Putin non è stato in grado di fermare queste azioni e non ha dichiarato loro guerra. Né è stato in grado di far girare queste azioni a sostegno delle sue argomentazioni. La chiave per i governi occidentali nel continuare a dominare la narrativa sarà usare il termine “peacekeeper” in ogni affermazione, forse come ogni seconda parola.
La messa in sicurezza immediata delle centrali nucleari ucraine di Rivne e Khmeinytski – un’azione che la forza di pace dovrebbe intraprendere in ogni caso – manterrebbe anche il predominio occidentale della narrativa date le preoccupazioni espresse in tutta Europa sugli attacchi russi alle centrali nucleari a est. Una chiara giustificazione per la forza di pace è prevenire un disastro di tipo Chernobyl causato dagli attacchi russi alle centrali nucleari.
Non ripetiamo la storia
La possibilità di istituire una Zona di Pace protetta è già in discussione in Europa. Il primo ministro portoghese Antonio Costa ha lasciato intendere che il suo governo era disposto a mettere in campo le sue (certamente piccole) forze in Ucraina. Questa discussione non è ancora penetrata nella consapevolezza degli americani e non vi è alcuna indicazione che l’amministrazione del presidente Biden stia prendendo in considerazione l’opzione. Ma dovrebbe essere discusso apertamente e ampiamente qui e considerato ora mentre può ancora essere implementato.
Alcuni esperti hanno sostenuto che gli obiettivi di Putin sono limitati. Cioè, come spesso si dice, speranza non strategia. Alcuni sostengono che non ci siano parallelismi storici poiché “il mondo è così diverso ora” a causa della tecnologia o della disponibilità di informazioni (soft power), ma questa potrebbe essere una citazione del 1939. Fonti russe affermano che Putin si considera il nuovo Stalin. Questo è stato a lungo suggerito . Tuttavia, i parallelismi con il 1939 sono ancora maggiori; Il Donbas è in gran parte i Sudeti di Putin, “l’ultima richiesta d’Europa” di Hitler. L’Ucraina è pronta a diventare la Cecoslovacchia di Putin: il resto del Paese che Hitler ha annesso mentre un mondo indifferente non ha reagito. Fortunatamente, questa volta il mondo ha reagito, ma non ha ancora reagito abbastanza.
Evitare gli errori del passato è più che una questione pratica; è anche una questione morale.
La protezione di ciò che resta dell’Ucraina è un obbligo morale. Salverebbe molte vite ucraine (e forse quelle dei coscritti russi). La decisione del popolo ucraino di muoversi verso il governo democratico e l’integrazione nella società europea è stata ispirata e incoraggiata dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Rinunciare ad agire al di là dell’imposizione di sanzioni economiche è un tradimento della fiducia e sarebbe una grave battuta d’arresto per la democrazia ovunque. Perché una nazione dovrebbe rivolgersi alla democrazia se il risultato sarà l’invasione, la morte e la sottomissione da parte di uno stato autoritario più potente?
La vera “ trappola di Tucidide ” non è il timore di nascere potenze rivali, ma di permettere che il futuro sistema internazionale venga definito dal principio che gli antichi ateniesi insegnarono con violenza ai Meliani: “i forti fanno quello che vogliono, i deboli soffrono quello che dovere.” Melos non è stato semplicemente catturato; i suoi uomini furono massacrati e le donne ridotte in schiavitù. Melos è stato ripopolato dai russi, correzioni, voglio dire, coloni ateniesi.
Questo è il futuro che Vladimir Putin (e Xi Jinping) vogliono realizzare . Soggiogare l’Ucraina sarebbe il passo più significativo per trasformare quel futuro in realtà. Per impedirlo, per preservare un mondo che lotta costantemente per la legge e la giustizia, è necessario preservare il territorio finora incontrastato dell’Ucraina istituendo e imponendo una Zona di Pace.
Sì, il risultato più probabile sarebbe un’Ucraina orientale (controllata dalla Russia) e un’Ucraina occidentale (indipendente e sovrana). Ma ciò conserverebbe la speranza che, come la Germania orientale e occidentale, l’Ucraina sarà di nuovo unita in un futuro al di là di Putin. Le sanzioni non lo faranno. Il cyber non lo farà. La guerra offensiva comporta grandi rischi. Una zona di pace forzata è l’opzione che vale la pena prendere.
Sam J. Tangredi è titolare della cattedra Leidos di Future Warfare Studies presso l’US Naval War College. È l’autore, più recentemente, di Anti-Access Warfare: Countering A2/AD Strategies. Le opinioni espresse sono completamente sue e non riflettono necessariamente le opinioni ufficiali dell’US Naval War College, del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti o di qualsiasi altra agenzia del governo degli Stati Uniti.
https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/establish-zone-peace-western-ukraine/362939/
La Russia di Putin sembra essere caduta in una trappola perfetta. Una trama tipica del mondo anglosassone del quale gli Stati Uniti sono i potenti finanziatori, ma i mediocri eredi. Una trama che ha percorso con vicende alterne gli ultimi tre secoli, ma che ha aggiunto un importante nuovo capitolo negli ultimi quarant’anni. L’uso esplicito della forza diretta da parte di Putin rivela certamente una buona capacità di reazione alla tenaglia sempre più opprimente che hanno saputo stringergli intorno. A dispetto delle apparenze ne rivela anche i limiti per il suo carattere difensivo ed estremo e per il ricorso all’ultima istanza di reazione di cui dispone solitamente una potenza, con tutti i rischi che esso comporta. Al momento, sul piano militare, l’iniziativa di Putin dovrebbe essere coronata dal successo. Dal punto di vista strategico e di lungo periodo il prezzo da pagare sarà alto e l’esito molto incerto. Dipenderà in gran parte dalle scelte di una potenza emergente ma dal bagaglio di cultura e sapienza millenarie: la Cina. Con questa dinamica, però, rischia di esaurirsi rapidamente il gioco multipolare, condizione entro la quale diverse potenze possono agire in relativa autonomia, per tornare infine ad una fase bipolare nella quale la Russia rischia di dissolversi o di aggregarsi in posizione subalterna. Vedremo se l’intervento in Ucraina rappresenta la reazione estrema oppure l’inversione definitiva di una tendenza apparsa con l’avvento di Gorbaciov e di Eltsin. Di sicuro dovrà compiere un enorme balzo in avanti nella capacità di softpower, senza il quale non è possibile sostenere il confronto di tale portata. L’unico dato certo di questa vicenda è la conferma dell’irrilevanza dei centri decisori europei messa a nudo dall’oltranzismo cieco e mutevole, ben oltre il grottesco, di questi giorni Buon ascolto, Giuseppe Germinario
NB_nel caso la visione del filmato fosse indisponibile su youtube rimane comunque quella di rumble
https://rumble.com/vwjz19-trappola-mortale-con-antonio-de-martini.html
CONSIDERAZIONI SULLA PRIMA SETTIMANA DI OSTILITA’ IN UCRAINA
[1] https://www.fdd.org/analysis/2022/03/02/putin-not-crazy-russian-invasion-not-failing/?fbclid=IwAR2zh7YXygA3pFZiZAAZZ_xAQ5ULe3Dplq4lqF4LyGmc1Bkw5XCsF0pOSso
Dopo mesi di tensione crescente sui confini fra Russia, Bielorussia e Ucraina, l’annuncio il 15 febbraio 2022 di un parziale ritiro dell’imponente schieramento russo, che avrebbe toccato, fino a quel momento, una punta massima di 147.000 soldati in posizioni avanzate (entro 300 chilometri dai confini ucraini), sembrava aver aperto la prima concreta possibilità di calo della tensione, almeno nel breve periodo.
Ma la sera del 21 febbraio il presidente russo Vladimir Putin ha infine rotto gli indugi, dopo essersi consultato col Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, decidendo di riconoscere le due repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk.
Il discorso di Putin si è caratterizzato anzitutto per l’attacco frontale all’intera classe dirigente ucraina, rea ai suoi occhi di aver fatto diventare il paese una sorta di colonia della NATO: “Gli ucraini” sono dominati da oligarchi interessati solo ai loro soldi e alle loro aziende, nonché a dividere l’Ucraina dalla Russia. Hanno sfruttato lo sconforto dei cittadini e sono arrivati a un colpo di stato, col sostegno da parte degli Stati Uniti, grazie a milioni di dollari al giorno. C’è stata una corruzione dilagante e gli ucraini si sono trovati a essere marionette”.
Il pericolo strategico per la Russia è enorme e Putin ha ricordato una presenza militare della NATO in Ucraina sotto traccia, ma probabilmente non sfuggita all’intelligence dell’FSB e dell’SVR.
“In Ucraina le armi occidentali sono arrivate con un flusso continuo, ci sono esercitazioni militari regolari nell’ovest dell’Ucraina, l’obiettivo è colpire la Russia. Le truppe della NATO stanno prendendo parte a queste esercitazioni, almeno 10 sono in corso, e i contingenti NATO in Ucraina potrebbero crescere rapidamente. I sistemi di comando delle truppe ucraine sono già integrati con la Nato e l’Alleanza ha iniziato a sfruttare il territorio ucraino con infrastrutture missilistiche”.
Teme che anche in Ucraina sorgano basi come quella di Deveselu in Romania e quella di Redzikowo in Polonia, da cui gli americani possano lanciare a sorpresa missili Tomahawk o anche di nuovo tipo, come i Lockheed PRSM a medio raggio: “L’installazione di missili balistici in Ucraina sarebbe una minaccia contro la Russia europea e gli Urali. I missili Tomahawk possono raggiungere Mosca in 35 minuti, i missili balistici in 7 minuti ed i missili ipersonici in 4 minuti. E’ un coltello alla gola della Russia.
Hanno cercato di tranquillizzarci dicendo che ci vorrà tempo. Sono stati condotti negoziati ma è scritto in molti documenti ufficiali che la Russia è il nemico numero uno dell’Alleanza Atlantica”.
Così ha parlato chiaro l’uomo del Cremlino, dopo che per settimane ha visto gli Stati Uniti e gli alleati europei della NATO glissare, in sostanza, su precise richieste di sicurezza a cui Mosca vorrebbe dare forma scritta per assicurare una stabilità di lungo periodo che l’Occidente vuole soltanto alle sue condizioni, negando parità negoziale alla controparte.
E ponendo così semi di discordia. Le questioni principali sono rimaste sul tappeto, poiché Stati Uniti e alleati non hanno di fatto tenuto conto finora di nessuna delle preoccupazioni della Russia per la propria sicurezza, per le quali il Cremlino aspira ad arrivare a un trattato scritto. Inoltre, il presidente americano Joe Biden, ha più volte ripetuto che “i russi potrebbero invadere l’Ucraina in ogni momento nei prossimi giorni”, sebbene, curiosamente, lo stesso ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, abbia detto che “la Russia non ha ancora organizzato formazioni d’attacco tra le sue forze schierate vicino ai confini”.
Il 20 febbraio una telefonata del presidente francese Emmanuel Macron al collegar russo Vladimir Putin avrebbe propiziato la possibilità di un vertice Putin-Biden. Ma non promette nulla di buono la ripresa di scontri locali nel Donbass, l’area orientale dell’Ucraina in cui dal 2014 le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, abitate da russofoni, si oppongono all’autorità di Kiev con l’appoggio di Mosca.
Lo scambio di cannonate e granate di mortaio avrebbe già provocato, fra il 17 e il 21 febbraio, almeno due morti militari fra gli ucraini e due morti civili e uno militare fra i russofoni del Donbass. Le due parti si rimpallano accuse reciproche di provocazione. D’altro canto, il presidente americano Joe Biden per primo non si è fidato dell’annuncio russo di parziale ritiro e di fine delle esercitazioni, convincendo poi a cascata il segretario della NATO Jens Stoltenberg e i governi alleati a ripetere, fra il 16 e il 21 febbraio, che “non si osservano segnali di de-escalation”.
Fra le stime degli ultimi giorni, il 17 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha sostenuto che la Russia avrebbe “fra 169.000 e 190.000 soldati” sui confini, poi il 20 febbraio la tv statunitense CNN ha parlato di “120 gruppi tattici a livello di battaglione schierati a 60 chilometri dal confine con l’Ucraina”, oltre a “35 battaglioni da difesa aerea, 500 aerei da caccia e 50 bombardieri medio-pesanti”.
La CBS dal canto suo, cita fonti CIA secondo cui “ai comandanti dell’esercito russo sono già stati consegnati gli ordini di attacco”. Arduo chiaramente discernere quanto si tratti di indiscrezioni plausibili e quanto di “guerra d’informazioni” per favorire una successiva ricostruzione che addossi solo sui russi la colpa di un conflitto.
Stesso discorso per le scaramucce in Donbass, dove l’atteggiamento offensivo che i miliziani filorussi attribuiscono alle forze di prima linea ucraine potrebbe rendere credibile l’ipotesi che Kiev, sentendosi spalleggiata dalla NATO, tenga alta la tensione nella speranza di recuperare quel territorio.
Ma i russi, a loro volta, hanno ribattuto in quei giorni, sia per bocca del presidente Vladimir Putin sia del suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che “gli Stati Uniti non hanno dato risposte soddisfacenti alle nostre precise richieste in fatto di sicurezza”. In sostanza, l’assicurazione scritta che l’Ucraina non entrerà mai nella NATO, il ritiro delle forze dell’Alleanza Atlantica dai territori degli stati membri dell’Est ammessi nell’ultimo ventennio e il conseguente divieto di basi missilistiche e nucleari sui suddetti territori.
Mosca non ha certo interesse a scatenare di sua iniziativa una guerra che, anche se rimanesse limitata al territorio ucraino, sarebbe dannosa per la sua economia, compromettendo ancor di più i rapporti commerciali con l’Europa Occidentale, già azzoppati dalle sanzioni varate dopo l’annessione della Crimea nel 2014.
Se infatti i russi hanno il coltello dalla parte del manico per quanto riguarda la dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo, che non potrà essere sostituito in tempi brevi da quello di altri fornitori come il Qatar, essi stessi, di riflesso, non possono sperare di recuperare altrettanto in fretta mancati introiti rivolgendosi ad altri compratori, come la Cina, dato che il commercio del gas si basa su investimenti infrastrutturali di lungo periodo. Ovviamente, comunque, la propensione russa a non iniziare un vero conflitto ad alta intensità va considerata al netto di possibili provocazioni sul territorio del Donbass, a cui stiamo purtroppo già assistendo.
In tutto questo, il 19 febbraio Putin ha lanciato alle potenze occidentali un importante messaggio non verbale dirigendo personalmente esercitazioni delle forze missilistiche nucleari russe, in modo da ribadire la propria capacità di deterrenza strategica, e il 20 febbraio ha dichiarato il prolungamento delle esercitazioni congiunte con la Bielorussia, che sarebbero dovute terminare quel giorno “a causa della situazione critica nel Donbass”.
Altolà per la NATO
Pur non nutrendo, probabilmente, una reale intenzione di guerra, il presidente Vladimir Putin doveva in qualche modo mostrare i muscoli, come mai aveva fatto prima d’ora, per dare un chiaro segnale alla NATO, pericolosamente arrivata sui suoi confini nell’arco di un ventennio, fino a rendere prevedibile un’adesione dell’Ucraina.
La situazione è poi parsa anche più grave al Cremlino dopo che nel 2021 le stesse autorità ucraine hanno iniziato a parlare con sempre maggiore insistenza di un possibile “recupero della Crimea”. E’ palese che le tensioni perduranti fra Kiev e Mosca rendano troppo pericoloso l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica, poiché un conflitto fra le due parti, magari scaturito da incidenti orchestrati, obbligherebbe anche l’Italia a una guerra globale contro la Russia in virtù dell’articolo 5 dell’Alleanza.
Una guerra che, a differenza degli interventi militari oltremare, lontano dalle nostre frontiere, a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni, toccherebbe in modo più o meno diretto il territorio nazionale italiano, anche solo per la presenza di basi americane come quelle di Aviano o Sigonella, con la relativa presenza di ordigni nucleari lanciabili da aerei, nella fattispecie le bombe a caduta libera B61 con potenza massima di 340 chilotoni, come anche a Ghedi, dove essi possono esser utilizzati da equipaggi dell’Aeronautica Militare Italiana in regime di “nuclear sharing” su ordine statunitense.
Ecco perchè, se davvero la crisi dovesse a fatica disinnescarsi in questi giorni a patto di promesse, anche dietro le quinte, di un mantenimento dell’Ucraina in uno status tecnicamente neutrale senza farla aderire alla NATO, si può dire che Putin, “tirando la corda” fino a ottenere almeno questo risultato, abbia fatto, sotto sotto, un favore anche all’Italia.
Su questo non sembrano esserci dubbi e, fra l’altro, riteniamo che gli eventi a cui stiamo assistendo dovrebbero insegnare qualcosa a Washington e a Bruxelles, portando a un generale ripensamento del concetto stesso di allargamento indiscriminato della NATO e, teoricamente, di qualsiasi alleanza.
Un patto solidale per la reciproca difesa militare e che presuppone l’automatismo dell’intervento a protezione di un membro attaccato produce davvero sicurezza solo se limitato a un certo numero di paesi le cui politiche estere e strategiche siano abbastanza coordinate fra loro da poter parlare di comunanza di interessi geopolitici.
Se un’alleanza finisce con l’allargarsi a paesi sempre più lontani, come distanza geografica e interessi, dai suoi primi membri storici ciò aumenta esponenzialmente il rischio che l’alleanza in questione venga a trovarsi a contatto con un numero crescente di aree di confine e di potenziali crisi aggiuntive che complichino il quadro, specialmente se uno dei membri risultasse in qualche modo aggredito da un attore esterno a causa di sue avventatezze o “fughe in avanti”.
In buona sostanza, più alleati, più possibilità che uno, o più, di essi si trovi in frizione, lungo i confini esterni dell’alleanza, con un possibile avversario, trascinando in blocco gli altri alleati in un conflitto non voluto e contrario ai loro reali interessi.
Anche per le alleanze, quindi, si potrebbe ben parlare di una sorta di “punto culminante”, per usare un’espressione che due secoli fa Karl von Clausewitz, uno dei padri della strategia, applicava alle vittorie campali. Un punto, o meglio un apice, oltrepassato il quale, l’aumento del numero dei membri di una coalizione porta più svantaggi che vantaggi, poiché fa moltiplicare i rischi per la sicurezza, anziché diminuirli, spingendo a ritenere vitali scacchieri e situazioni addizionali che in precedenza non erano percepiti tali.
Grandi alleanze possono quindi portare, per il numero stesso delle nazioni impegolatevisi, più facilmente anche a guerre generali, estese su fronti di migliaia di chilometri. Senza contare che, nello specifico caso Russia-NATO, è stata la stessa espansione a Est a far crescere le preoccupazioni di Mosca che si traducono a loro volta nell’aumento di insicurezza sul versante orientale.
Si giunge quindi al paradosso che, se dal 1999 al 2020 ben 14 paesi dell’Europa Centro-Orientale si sono aggiunti ai 16 membri “storici”, cioè i 12 fondatori dell’alleanza nel 1949, fra cui l’Italia, e i 4 aggregatisi dal 1952 al 1982, che contava l’alleanza fino alla fine del XX secolo, tale processo è stato giustificato dalla necessità presunta di proteggere quelle nazioni dal risorgere della potenza russa, la quale però è stata spronata, e indispettita, proprio dal suddetto allargamento, in un tragicomico scambio fra causa ed effetto.
Se a ciò aggiungiamo che i neo-membri dell’ultimo ventennio sono per la maggior parte nazioni medio-piccole, che di fatto hanno aggiunto poco o nulla alla forza militare complessiva della coalizione, si può dire che l’alleanza si sia sobbarcata spese aggiuntive per la difesa di paesi tendenzialmente molto deboli per soli scopi ideologico-politici, ottenendone in cambio l’aumento dei rischi.
A tal proposito, va ricordato che lo scorso 17 gennaio 2022 perfino sulla prestigiosa rivista americana di politica estera Foreign Affairs si è dato spazio a simili dubbi, con un articolo di Michael Kimmage secondo cui “è tempo per la NATO di chiudere le sue porte”.
“La NATO soffre di un grave difetto di progettazione: l’estensione profonda nel calderone della geopolitica dell’Europa Orientale è troppo grande, troppo mal definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene”. E inoltre: “Mettere fine all’espansione della NATO sarebbe un atto di autodifesa per l’alleanza stessa, dandole i doni che conferiscono una più grande limitazione e una più grande chiarezza”.
Se l’Alleanza Atlantica s’è infilata in una simile trappola è stato in sostanza per cercare di perpetuare i risultati del post-Guerra Fredda, emarginando, per quanto possibile, la Russia dall’Europa. Ciò conferma che la NATO, fondata nel 1949 per arginare l’espansionismo di una Unione Sovietica che contava sulla forza sovversiva del comunismo, si è trasformata dopo la fine della Guerra Fredda in uno strumento di contrasto della Russia in quanto tale.
In sostanza, gli Stati Uniti, la potenza leader dell’Alleanza Atlantica, e il loro principale alleato, cioè la Gran Bretagna, hanno continuato a diffidare di Mosca anche dopo la caduta del comunismo, mentre la maggior parte dei paesi continentali tendevano a espandere i loro rapporti commerciali con i russi.
Per gli americani e la dirigenza NATO da essi influenzata, è la Russia in sè, indipendentemente dai colori politici dominanti al Cremlino o alla Duma, che va trattata da perenne sorvegliato speciale. Visto dall’ottica anglosassone, l’espansione della NATO e la sua pressione geopolitico-militare per contenere la Russia, servono per impedire un duraturo sodalizio fra una Mosca più democratica, o comunque meno autoritaria rispetto ai tempi del regime comunista, e un’Europa continentale che a quel punto non avrebbe più bisogno della protezione americana, togliendo significato all’esistenza stessa della NATO, per come è stata concepita finora. In qualche modo, la persistenza del “nemico” è necessaria alla continuazione dell’alleanza.
Anche i russi se ne rendono conto e certo il braccio di ferro è diventato decisivo negli ultimi mesi, essendo ormai Mosca conscia di avere recuperato una forza militare sufficiente a difendere i propri interessi vitali in Europa. Ecco il perchè delle ripetute esercitazioni di massa russe, ineccepibili dal punto di vista del diritto internazionale perchè svolte sul proprio territorio, o su quello dell’alleata consenziente Bielorussia, ma che allarmando Kiev, Washington e Bruxelles, hanno lo scopo di portare finalmente al “dunque” una questione irrisolta da un ventennio e che ha toccato la classica “goccia che fa traboccare il vaso” con l’avvicinarsi di una ventilata ammissione dell’Ucraina nell’alleanza.
Biden incoraggia Kiev
La crisi attualmente in corso si è snodata gradualmente a partire dal novembre 2021, ma è il risultato finale di una contrapposizione montata di mese in mese fin dall’insediamento del presidente Joe Biden alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2021, tanto che si può parlare per lo scorso anno di un “primo round” del confronto che potrebbe essere servito a entrambi per “prendere le misure” dell’avversario.
Dopo l’ascesa di Biden, le autorità ucraine devono aver pensato di poter contare su un’amministrazione americana assai più favorevole a Kiev, anche per i passati rapporti d’affari del figlio del presidente, Hunter Biden, con la società ucraino-cipriota Burisma.
Mentre si accrescevano già allora le tensioni in Donbass, fra l’esercito ucraino e le milizie filorusse delle repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, una stretta contro politici ucraini ritenuti filorussi, aveva spinto già in febbraio Mosca a mobilitare un primo gruppo di 3000 paracadutisti non lontano dalla frontiera.
Ad aggravare le cose è arrivata il 24 marzo 2021 da parte del presidente ucraino Volodymir Zelensky la firma di un decreto volto a sviluppare “strategie di recupero e de-occupazione delle aree del paese temporaneamente occupate”. Ciò ha fatto temere ai russi la possibile organizzazione di azioni militari da parte di Kiev, appoggiate dagli USA, per recuperare il Donbass e/o la Crimea.
La dirigenza ucraina si è sentita a maggior ragione sostenuta dalla nuova amministrazione della Casa Bianca dopo che, il 2 aprile 2021, si è avuto il primo colloquio telefonico fra Zelensky e Biden, il quale ha parlato di “protratta aggressione russa in Crimea”, senza tener conto che la penisola è ormai annessa alla Russia dal 2014 e che la maggioranza della sua popolazione è russa o pro-russa.
Sempre il 2 aprile è stato visto atterrare a Kiev un aereo da trasporto militare americano C-130J partito dalla base NATO di Ramstein (Germania) per missione ignota. Frattanto, i russi portavano il loro schieramento a 40.000 uomini, secondo l’Ucraina, mentre le milizie del Donbass segnalavano azioni di droni, per ricognizione e anche attacco, sulle loro posizioni. Entro il 6 aprile arrivavano a Kiev senza dichiarazione alcuna su scopi e carico, ancora un grosso aereo C-17 proveniente direttamente dagli Stati Uniti, poi un C-130J e un altro C-17 decollati da Ramstein in Germania. Intanto un aereo spia americano strategico RQ-4 Global Hawk ha sorvolato per molte ore la fascia di confine Ucraina-Russia monitorando tutto coi suoi sensori dalla portata di 250 chilometri.
Il 9 aprile gli Stati Uniti si dicevano “pronti a inviare navi nel Mar Nero per la nuova crisi ucraina”, dopo che la Casa Bianca ha comunicato che “lo spiegamento di forze russe sul confine è il maggiore dal 2014”. E il 13 aprile atterravano a Kiev ancora due C-130 USA, uno proveniente da Riga, in Lettonia, l’altro da Stoccarda.
Nel corso di aprile la tensione era aumentata fino a sfociare nelle espulsioni incrociate di 10 diplomatici russi e 10 americani dalle rispettive nazioni. Il 14 aprile s’è verificato un incidente fra unità navali russe del servizio costiero dell’FSB e ucraine della Guardia Costiera nello stretto di Kerc, unico passaggio nello sbarramento geografico che la Crimea russa pone alla costa ucraina sul Mar d’Azov. Al che il 24 aprile i russi hanno decretato fino al 31 ottobre il blocco dello stretto. Intanto, sempre a fine aprile terminavano le esercitazioni russe, pur mantenendosi cospicui depositi avanzati di mezzi pesanti e munizioni, come quello di Pogonovo, in previsione di nuove manovre.
Nelle settimane seguenti, gli Stati Uniti sono tornati ad adombrare un possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO e a parole si sono detti “disponibili alla trattativa sul disarmo”, pur, di fatto, non tenendo conto dei perduranti timori russi originati dal ritiro unilaterale degli USA, fin dal 2019, dal trattato INF che vietava missili a medio raggio in Europa, nonché dal sospetto che la base antimissile americana di Deveselu, in Romania, operativa dal 2016, e quella in fase di completamento, previsto in questo 2022, di Redzikowo, in Polonia, possano occultare missili offensivi Tomahawk, o di futuro tipo a medio raggio, come lo sperimentale PRSM (Precision Strike Missile), che Lockheed Martin ha collaudato più volte nel 2021 e la cui gittata massima, non dichiarata sarebbe “superiore a 499 km”.
I russi notano che il modulo di lancio verticale Mk.41 dei missili intercettori SM-3 del sistema imbarcato Aegis, e di quello terrestre Aegis Ashore, nel caso delle suddette basi, è utilizzato anche per i Tomahawk, che così potrebbero essere schierati di nascosto troppo vicini alle frontiere russe. Il 28 maggio 2022, ad aggravare la tensione, Washington affermava che “gli Stati Uniti non torneranno nel trattato Open Skies”, sui “cieli aperti”, che garantiva la sorveglianza aerea reciproca, ma da cui già l’amministrazione precedente, quella di Donald Trump, era uscita nel 2020.
Il Cremlino ha risposto ribadendo che “gli USA hanno perso l’occasione di migliorare la situazione della sicurezza in Europa”. Fra il 10 e il 13 giugno, il viaggio di Biden in Europa, in particolare con l’incontro bilaterale col premier britannico Boris Johnson e poi col G7 in Cornovaglia, nonché il summit NATO del 14 giugno, hanno preparato il terreno a una sorta di “chiamata delle democrazie”, in contrasto con l’asse Russia-Cina.
Tanto per cambiare, negli stessi giorni la US Navy inviava nel Mar Nero l’incrociatore Laboon, con i suoi 56 Tomahawk, come simbolico messaggio verso Mosca. Già il 12 giugno, prima di incontrare il presidente americano a Ginevra 4 giorni dopo, Putin, intervistato dalla NBC, notava: “Le relazioni con gli USA sono al punto più basso degli ultimi anni. Trump era un uomo straordinario, un uomo di talento, Biden invece è un carrierista”.
Biden, dal canto suo, contribuiva senza rendersene conto a preparare i successivi rialzi di tensione, dichiarando: “La Russia non dovrà superare certe linee rosse. Non vogliamo un conflitto, ma reagiremo ad atti ostili. Per l’adesione dell’Ucraina alla NATO, la presenza di truppe russe su parte del territorio ucraino non costituisce un ostacolo. Ma prima di poter entrare nell’alleanza, Kiev dovrà ripulirsi dalla corruzione e soddisfare una serie di requisiti”. Il 16 giugno a Ginevra, al di là delle cortesie diplomatiche, nel summit Biden-Putin permaneva la frattura sui principali punti chiave.
Come se non bastasse, la pressione navale della NATO nel Mar Nero tornava ad aumentare dal 23 giugno, quando il cacciatorpediniere britannico Defender sfiorava le coste della Crimea e la base russa di Sebastopoli, suscitando cannonate d’avvertimento da unità navali dell’FSB e anche il sorvolo di un bombardiere Sukhoi Su-24M che ha sganciato in mare bombe pure ammonitrici.
La presenza nell’area di due aerei americani da pattugliamento, un EP-3E Aries e un P-8 Poseidon, ha fatto pensare ai russi che l’incidente fosse organizzato per saggiare la loro reazione difensiva. E il 27 giugno la BBC rivelava documenti segreti, misteriosamente “smarriti” presso una fermata d’autobus, da cui s’arguiva che l’incursione della nave inglese era stata volutamente organizzata per provocare Mosca. Il giorno dopo, 28 giugno, iniziava una grossa esercitazione aeronavale nel Mar Nero, la Sea Breeze, attuata da ben 32 nazioni, fra membri della NATO e altri alleati degli Stati Uniti, con 32 navi, 40 aerei e 5.000 militari.
Si riaccende la miccia
Fra agosto e settembre del 2021 gli Stati Uniti e gli alleati europei (Italia compresa) sono stati letteralmente scioccati dalla palese sconfitta subita in Afghanistan dal governo di Kabul, favorita dal troppo rapido ritiro delle truppe straniere, che ha buttato alle ortiche vent’anni di impegno (con morti e feriti) occidentale contro i talebani. La storica disfatta delle nazioni NATO ha fatto sì che i governi atlantici e la grande stampa si lasciassero sfuggire l’occasione immediata di additare la Russia per le sue colossali esercitazioni Zapad 2021, tenutesi dal 10 al 16 settembre con dispiegamento di ben 200.000 uomini, con 80 aerei e 760 mezzi di terra, fra carri armati e altri veicoli.
Partecipavano anche contingenti di varie nazioni come la stessa Bielorussia, sul cui territorio si svolgeva il grosso delle manovre, ma anche rappresentanze di Armenia, India, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan e Sri Lanka. Pur monitorate dalla NATO, queste manovre non hanno suscitato così tanta preoccupazione come quelle tenutesi tra fine 2021 e inizio 2022, sebbene coinvolgessero un numero superiore di truppe, senza contare che tre anni prima, l’edizione 2018 della Zapad aveva impegnato, pare, addirittura 300.000 uomini.
Alle soglie dell’autunno 2021 la tensione Est-Ovest è risultata incentivata dal blocco del North Stream 2, la seconda tratta del gasdotto russo-tedesco che corre sul fondo del Mar Baltico evitando il territorio ucraino.
Per la Germania, una notevole risorsa da 55 miliardi di metri cubi all’anno (per tratta) ma di cui gli stessi tedeschi sono stati costretti a privarsi sotto la spinta politica degli Stati Uniti. Il nuovo gasdotto era ormai pronto, in settembre, quando l’agenzia tedesca per le reti, la Bundesnetzagentur, o BnetzA, ha vietato il passaggio del gas con il pretesto della “posizione di monopolio” di Gazprom.
E da allora il North Stream 2 è ancora tutt’oggi a secco. Superato intanto, a fatica, lo smacco da parte dei talebani, la NATO tornava a guardare a Mosca ed espelleva per presunto spionaggio 8 membri della delegazione diplomatica russa presso la sede dell’alleanza a Bruxelles, decretando inoltre il taglio da 20 a 10 del numero dei componenti della suddetta rappresentanza. Il 20 ottobre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha quindi annunciato la “rottura dei rapporti diplomatici con la NATO a partire dal 1° novembre”, spiegando: “Non ci sono più le condizioni di base per lavorare insieme: la Russia sospenderà la sua missione presso l’Alleanza Atlantica, che non è più interessata a un rapporto equo”.
E’ stato ai primi di novembre che sono iniziate a rimbalzare sulla stampa americana e occidentale in genere, le prime notizie sul fatto che la gran parte delle truppe mobilitate per l’esercitazione Zapad 2021 erano rimaste dislocate a poche centinaia di chilometri dalle frontiere ucraine, con stime iniziali variabili fra 70.000 e 80.000.
Ciò ha fatto sì che il 2 novembre Biden inviasse a Mosca nientemeno che il capo della CIA, William Burns, che peraltro era stato ambasciatore statunitense in Russia dal 2005 al 2008, per ammonire direttamente Putin, del resto in qualche modo suo ex-collega dato il suo passato di ufficiale del KGB. L’impiego di un capo dell’intelligence per una missione diplomatica non è inusuale e già nel 2018 Trump si era avvalso dell’allora capo della CIA Mike Pompeo per preparare le aperture con la Corea del Nord, promuovendolo poi a segretario di Stato.
Ma fra Burns e Putin è probabile che il colloquio riservato sia avvenuto con scambio di reciproche minacce. Nel frattempo, il 12 novembre si apprendeva che “funzionari USA hanno avvisato l’Unione Europea del rischio di invasione russa dell’Ucraina”, esplicitando ormai l’inizio del “secondo round” tuttora in atto. Mosca rispondeva protestando per la partecipazione di bombardieri strategici americani Rockwell B-1B Lancer a esercitazioni nel Mar Nero e inviando a sua volta un paio di Tupolev Tu-160 a volare vicino alla Scozia, sollecitando il decollo su allarme di intercettori Eurofighter Typhoon della Royal Air Force.
Gli ucraini, intanto, aumentavano a 90.000 soldati la stima delle forze russe schierate, cifra subito ripresa dai media americani. Poco dopo, il 15 novembre, i russi lanciavano un loro messaggio non verbale dimostrando le loro capacità di guerra spaziale con il primo test balistico reale del missile antimissile e antisatellite A-235 Nudol, che dal poligono di Plesetsk ha raggiunto una quota superiore ai 400 chilometri centrando in pieno un vecchio satellite in disuso in orbita polare, l’ex-sovietico Cosmos 1408.
Monito terribile per le forze americane che, in virtù della loro estrema sofisticazione sono anche le più dipendenti al mondo dai satelliti da ricognizione, comunicazione e geoposizionamento. Tutto ciò avveniva nel quadro di tensioni anche fra Stati Uniti e Cina, alleata del Cremlino, motivata dalla questione di Taiwan e anche dalla stipula dell’alleanza AUKUS fra USA, Gran Bretagna e Australia in funzione anticinese.
Il 24 novembre il ministro della Difesa Segei Shoigu si è consultato col collega cinese Wei Fenghe in videoconferenza, lamentando l’esecuzione da parte americana dell’esercitazione Global Thunder con cui le forze aeree strategiche americane si sono addestrate all’attacco atomico contro la Russia: “Questo mese almeno 10 bombardieri pesanti americani si sono addestrati alla specifica ipotesi del lancio di ordigni nucleari sulla Russia, durante le esercitazioni Global Thunder, con voli di avvicinamento sia Est che da Ovest”.
Il 29 novembre, presiedendo a Riga, in Lettonia, una riunione dei ministri degli Esteri della NATO, il segretario Lens Stoltenberg invitava la Russia “alla de-escalation”. Al vertice l’alleanza concordava sul fatto di “affrontare la maggior espansione della sua difesa collettiva dopo la fine della Guerra Fredda”, menzionando “l’assistenza alla Polonia e alle repubbliche baltiche sui confini con Russia e Bielorussia” e l’aumento a 40.000 uomini della Forza di reazione rapida.
Proprio in Lettonia si svolgevano in quegli stessi giorni le esercitazioni NATO Winter Shield 2021, fino al 4 dicembre. Da Kiev si alimentavano voci di un possibile “colpo di stato” orchestrato da Mosca “attorno all’1-2 dicembre”, poi mai verificatosi.
D’altronde, all’allarme sui 90.000 soldati russi schierati “a 300 km dal confine ucraino”, il Cremlino rispondeva sostenendo che “l’Ucraina ha dislocato metà di tutte le sue forze armate, 125.000 uomini con armi pesante, nel Donbass, aggravando deliberatamente la crisi”.
E il 2 dicembre, nel giorno in cui secondo gli ucraini i russi avrebbero dovuto organizzare un golpe a Kiev, era invece l’FSB ad arrestare in Crimea tre agenti segreti ucraini che avrebbero dovuto far saltare in aria installazioni importanti, come una grande antenna radio per le comunicazioni della Flotta Russa del Mar Nero. Si trattava di Zynovy e Igor Koval (padre e figlio), secondo i russi membri del servizio di sicurezza ucraino SBU, e di Oleksandr Tsylyk, presunto uomo del Direttorato Intelligence del Ministero della Difesa di Kiev.
Il 4 dicembre 2021 il Washington Post iniziava a diffondere voci di provenienza della CIA e da foto satellitari, secondo cui gli Stati Uniti stimavano possibile “l’invasione dell’Ucraina per l’inizio del 2022 e su più fronti”, vagheggiando il raggiungimento di una forza di 175.000 uomini scaglionati in “100 gruppi tattici” con carri da battaglia e artiglieria.
Il clima in quei giorni iniziava a farsi pesante, col freddo colloquio in videoconferenza fra Putin e Biden il 7 dicembre e la contemporanea (non a caso) attivazione in Alaska del primo esemplare di Long-Range Discrimination Radar (LRDR) alla base aerea Clear. Un nuovo sistema a lunghissimo raggio asservito alla difesa antimissile degli USA e che sarebbe in grado di distinguere le vere testate dalle esche, evitando errori ai missili antimissile di Fort Greely, deputati a fermare gli ordigni provenienti da Russia o Asia.
Non aiutava il “summit delle democrazie” organizzato da Biden il 9-10 dicembre come paravento per riaffermare l’egemonia statunitense sul “mondo libero” emarginando Russia e Cina e cercando di far dimenticare la figuraccia in Afghanistan. A rinfocolare la tensione nel Donbass, frattanto, il 12 dicembre, fonti della repubblica do Donetsk hanno denunciato un attacco ucraino a mezzo di droni, che ha ucciso due miliziani filorussi.
Le richieste russe
Il 15 dicembre 2021 il Ministero degli Esteri russo ha consegnato alla vicesegretaria di Stato americana Karen Donfried, in visita a Mosca, le richieste scritte per una duratura stabilizzazione dell’Europa Orientale. Mosca chiedeva, e chiede tuttora, che venga messo nero su bianco il divieto all’Ucraina di entrare nella NATO, mantenendola stato-cuscinetto, oltre al “ritiro delle forze nucleari” sui rispettivi territori nazionali, “perchè le due potenze non usino i territori di paesi terzi per organizzare attacchi contro l’altra parte” e alla proibizione di missili a medio raggio.
Riferimenti, questi, al citato sospetto russo di utilizzo di Deveselu e Redzikowo come basi per Tomahawk o futuri missili a medio raggio più veloci, come il Lockheed PRSM. I russi dicono di puntare a “evitare un confronto militare con l’America, poichè in una guerra nucleare non ci sono né vincitori né vinti”. Fra i dettagli, le richieste comprendono il “mantenere la distanza massima fra le navi e gli aerei delle due parti” e vietare “esercitazioni sopra il livello di brigata vicino ai confini fra Russia e NATO”. Il 18 dicembre il Dipartimento di Stato di Washington cassava le proposte del Cremlino, riassumendo nella formula: “Sì al dialogo con Mosca, ma proposte inaccettabili”.
Non solo, l’indomani il giornale tedesco Der Spiegel rivelava che il comandante militare della NATO, generale Tod Wolters aveva annunciato in un briefing riservato l’esatto contrario di ciò che chiedeva Mosca, cioè l’aumento delle forze interalleate in Bulgaria e Romania, con la creazione in ognuno dei due paesi di una brigata di 1.500 soldati inquadrata nella Enhanced Forward Presence.
Vedendo che passavano i giorni, ma non giungeva risposta alle proprie richieste, i russi hanno alzato i toni. Il 21 dicembre il viceministro degli Esteri Alexander Grushko ammoniva: “La Russia reagirà in modo proporzionato. Se la NATO installerà sui territori dei suoi membri armi offensive in grado di raggiungere i nostri centri di comando in pochi minuti, noi faremo lo stesso”.
Da Mosca, già in quei giorni si lanciava l’allarme su possibili “provocazioni nel Donbass con mercenari americani”, stimando in “120 i mercenari già presenti in Ucraina per l’addestramento delle forze speciali di Kiev”. Alla fine di dicembre si susseguivano, un primo annuncio russo di “ritiro di 10.000 uomini per la fine delle manovre”, sebbene USA e NATO ribattessero che erano ancora schierati oltre 100.000 uomini, e, fra il 16 e il 31 dicembre 2021, lanci ripetuti di missili ipersonici Zircon da unità navali come dimostrazione di forza russa nel settore degli ipersonici, condita dalla pittoresca decorazione da parte di Putin del capo progettista del missile, Boris Obnosov, col titolo di “Eroe della Russia”, corrispettivo odierno dell’antico “Eroe dell’Unione Sovietica”.
Dopo un’infruttuosa telefonata fra Biden e Putin, il presidente americano ha sentito il 3 gennaio 2022 l’omologo ucraino Zelensky, parlandogli di “reazione risoluta” USA in caso di invasione del suo paese, ma nelle stesse ore il portavoce dei ribelli filorussi del Donbass, Ivan Filiponenko, parlava di concentramenti di truppe ucraine a Valuyskoye, lungo la linea di contatto, “per organizzare un punto di designazione bersagli per l’artiglieria, in previsione di un’offensiva”.
Lo stesso giorno, a riconferma del clima incerto anche nelle alte sfere, le cinque potenze nucleari del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ossia Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, si premuravano di firmare un memorandum comune che recitava: “Dichiariamo che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare, che non dovrebbe mai essere scatenata”. Il gennaio del 2022 era anche caratterizzato dalla rivolta in Kazakhstan contro il presidente Qasim Jomart Tokayev, fomentata secondo i russi da “forze esterne infiltrate nel paese”.
Da molti considerata una possibile azione di disturbo per “prendere Putin alle spalle” sottraendo il Kazakhstan alla sfera d’influenza del Cremlino, la rivolta veniva in pochi giorni debellata anche grazie a truppe russe e di altri paesi della CSTO, l’Organizzazione di Sicurezza che comprende, oltre alla Russia, anche Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.
L’8 gennaio, sulla scia della rivelazione da parte inglese di un incidente segreto avvenuto “nel tardo 2020” a 320 km al largo della Scozia, dove la fregata Northumberland della Royal Navy sarebbe entrata in collisione con “sottomarino d’attacco russo captato dai sonar”, il nuovo capo di stato maggiore delle forze britanniche, ammiraglio Sir Tony Radakin, ha minacciato che “se i russi taglieranno i nostri cavi di comunicazione sottomarina, sarà considerato un atto di guerra”.
Pochi giorni dopo, fallivano i colloqui del 10 e 12 gennaio, in bilaterale a Ginevra e in ambito Russia-NATO a Bruxelles, fra i capi delegazione americano e russo, la vicesegretaria di Stato Wendy Sherman e il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov. Così come il summit Russia-OSCE del 13 gennaio. Intanto la stampa russa dava risalto con foto e video al primissimo volo dalla pista di Kazan, il 12 gennaio, del primo bombardiere strategico Tupolev Tu-160M interamente di nuova costruzione.
La stampa americana, intanto, ha seguitato a evocare scenari di totale rottura con Mosca, come quando il 17 gennaio il New York Times ha rilanciato sull’ipotesi di armi nucleari russe dispiegate “vicino alle coste americane”, non solo perchè basate in futuro a Cuba o Venezuela, ma anche per l’avvicinamento dei sottomarini SLBM e in particolare dei misteriosi e colossali siluri-droni Status-6 Poseidon, con testata da 100 megatoni accreditata della capacità di creare maremoti sulla costa USA.
E mentre il 21 gennaio Blinken e Lavrov si incontravano inutilmente a Ginevra, dall’America il Bulletin of the Atomic Scientists, rendeva noto che “anche nel 2022 manterremo il simbolico orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock) alle ore 23.58.20, solo 100 secondi prima della mezzanotte”. E’ dal 2020 che l’associazione scientifica mantiene la lancetta così vicina all’ipotetico scoccare della guerra nucleare, il peggior livello di sempre, anche peggio che nei momenti più cupi della Guerra Fredda.
Quasi a corroborare i timori degli scienziati atomici, e sempre come messaggio verso il Cremlino, alla fine di gennaio l’US Strategic Command, che dalla sede nella base aerea Offutt di Omaha, in Nebraska, comanda la “triade” atomica intercontinentale (missili da rampe terrestri, ordigni sganciati da bombardieri e missili lanciati da sottomarini) ha tenuto le esercitazioni Global Lightning per provare la catena di comando e le comunicazioni fra basi e reparti, nonché la prontezza operativa per prepararsi, su ordine tempestivo, a pigiare i bottoni dell’Apocalisse.
Gli statunitensi hanno collaudato i nuovi terminali di comunicazione detti FAB-T, in grado di collegarsi ai satelliti Milstar anche in condizioni di estesa guerra nucleare e di distruzione di ogni altra telecomunicazione.
Ciò garantisce alle forze nucleari il contatto coi generali e col presidente degli Stati Uniti. Secondo Newsweek, a gennaio 2022 i terminali FAB-T installati erano 37 in basi terrestri e 50 su aeroplani d’attacco nucleare o da ricognizione. Altri sistemi testati sono l’MMPU, il sistema di comunicazioni delle basi dei missili Minuteman III, e il Common Very Low Frequency, a bassa frequenza, imbarcato sui bombardieri invisibili B-2 Spirit. E’ stato provato anche il Presidential and National Voice Conferencing System, con cui il presidente USA può parlare in videoconferenza, a viva voce, coi reparti atomici.
Manovre pericolose
Verso la fine di gennaio 2022, è emersa la posizione più moderata della Germania in ambito NATO, dato il suo bisogno di gas russo e il suo interscambio con Mosca. Gli USA hanno dovuto spedire a Berlino il capo della CIA Burns per spronare personalmente il cancelliere Olaf Scholz a tenere ancora bloccato il gasdotto North Stream 2, avviando nel contempo trattative con altri paesi produttori di gas, come il Qatar, per trovare metano alternativo a quello russo a beneficio degli alleati europei, ma sperando anche di poter aumentare le loro quote di esportazioni verso l’Unione Europea del gas liquefatto americano trasportato via nave.
Ma da subito emergeva la sostanziale insufficienza delle alternative, dato che il Qatar e altri estrattori devono servire primariamente nazioni molto “energivore” come il Giappone o la Corea del Sud e che aumentare l’estrazione e il trasporto si può fare in tempi lunghi, non nell’immediato. Biden ha poi annunciato il rafforzamento del dispositivo militare nei paesi NATO dell’Est, dapprima con “un massimo di 8.500 soldati”, fra cui 2.500 uomini in Polonia e 1.000 di un battaglione di veicoli da combattimento ruotati Stryker in Romania.
Il 30 gennaio, a una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dedicata alla crisi, volavano parole grosse fra l’ambasciatrice statunitense Linda Thomas-Greenfield e l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya, il quale le ha rinfacciato il precedente del 2003, quando l’allora segretario alla Difesa Colin Powell mentì sulle armi biochimiche di Saddam Hussein per giustificare l’invasione americana dell’Iraq.
Nelle stesse ore passavano dal Canale di Sicilia, dopo essere entrate in Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra 6 navi da sbarco russe, cinque della classe Ropucha e una della nuova classe Ivan Gren. Le unità Ropucha (Olenegorsky Gorniak, Kaliningrad, Minsk, Georgi Pobedonosets e Kondopoga) sono vecchie, ma rimodernate. Lunghe 112 metri, dislocano 4080 tonnellate e possono portare 10 carri armati pesanti e 340 soldati ciascuna, o in alternativa 3 carri pesanti, 8 carri leggeri e 12 autoblindo anfibie BTR.
La nave classe Gren, la Pyotr Morgunov, è invece nuovissima, operativa dal 2018, lunga 135 metri e dislocante 6.600 tonnellate. Può far sbarcare 13 carri pesanti, o 40 blindo BTR, e 300 soldati. In totale, la flottiglia porterebbe forse 1.500 soldati e 60 carri.
Sono state sorvegliate da aerei americani, come i pattugliatori P-8 Poseidon di base a Sigonella o i caccia F-18 Hornet imbarcati sulla portaerei Harry Truman, affiancata dal sottomarino nucleare Georgia, dalla portaerei italiana Cavour e dalla fregata tedesca Schleswig-Holstein. La squadra russa si è poi congiunta con altre navi russe provenienti dal Mar Rosso, via canale di Suez.
Sono l’incrociatore Varyag, il cacciatorpediniere Admiral Tributs e il rifornitore Boris Butoma, reduci da un’esercitazione nell’Oceano Indiano insieme a navi di Cina e Iran. Insieme ad altre unità, per un totale di 15 navi e 40 aerei, i russi hanno poi condotto dal 16 febbraio un’ampia esercitazione, a cui ha presenziato perfino il ministro della Difesa Sergei Shoigu, durante la quale alcuni caccia russi Su-35 hanno intercettato e sfiorato con passaggi ravvicinati un ricognitore statunitense P-8 Poseidon, che evidentemente spiava i movimenti delle navi russe.
Fra gennaio e febbraio, del resto, la flotta russa ha mobilitato 140 navi e sottomarini di tutte le sue flotte, per manovre in alto mare. E mentre unità russe s’allenavano al largo dell’Irlanda, il 1° febbraio ben 4 bombardieri strategici nucleari russi Tupolev Tu-95 hanno volato vicino alla Scozia e sono stati intercettati e allontanati da caccia britannici Eurofighter Typhoon decollati dalla base della RAF di Lossiemouth. Anche sul fronte del Pacifico fervono le manovre russe. Nelle acque delle isole Curili la flotta di Mosca ha scoperto il 12 febbraio “un sottomarino americano”, si dice classe Virginia, che forse spiava le manovre.
Stando al Ministero della Difesa russo, l’unità subacquea USA avrebbe ignorato gli appelli radio che le intimavano di “emergere immediatamente”. E’ intervenuto il cacciatorpediniere Marshal Shaposhnikov, unità classe Udaloy da 7.000 tonnellate e lunga 163 metri. Per Mosca, la nave “ha usato i relativi mezzi e il sottomarino ha lasciato le acque russe alla massima velocità”. Forse, per “relativi mezzi” i russi intendevano una bomba di profondità intimidatoria?
A Kiev, intanto, sono giunte forniture di armi anglo-americane, specie i missili anticarro Javelin, dotati di doppia carica cava in tandem per poter perforare, in due rapidissime fasi, sia le piastrelle di corazza reattiva aggiuntiva applicate sui carri armati russi, sia la vera e propria corazza dello scafo. Ma non mancano droni turchi Bayraktar TB-2, in parte già acquisiti dall’esercito ucraino, in parte promessi il 3 febbraio dal premier turco Recep Erdogan e dal suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu nel corso di una visita a Kiev.
Erdogan in questa crisi sta tentando di condurre un gioco tutto suo, avendo buoni rapporti sia con i russi, da cui compra i missili antiaerei S-400 in barba agli strali della NATO, sia con gli ucraini, e ancora il 16 febbraio ha reso noto di aspirare a fare da mediatore tra le due nazioni slave. Il 4 febbraio Putin, volato a Pechino ospite del presidente cinese Xi Jinping per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi Invernali, firmava con lui nuovi contratti strategico-economici, rinsaldando l’asse Russia-Cina che, a detta di molti commentatori è stato, nell’arco dell’ultimo ventennio, il risultato finale della politica di emarginazione del colosso russo dall’Europa, voluta primariamente da Stati Uniti e Gran Bretagna.
La tensione era così alta che il 5 febbraio l’agenzia Bloomberg lanciava su internet per errore il flash “la Russia invade l’Ucraina”, ritirandolo poco dopo imbarazzata. Proprio l’inizio delle Olimpiadi Invernali ha contribuito a diffondere l’opinione che la Russia non avrebbe mai attaccato l’Ucraina prima della fine dei giochi, il 20 febbraio, per non violare la consuetudine della “tregua olimpica” auspicabile per tutti i conflitti, e soprattutto per non fare uno sgarro all’amico Xi.
Mentre si aprivano i Giochi di Pechino, atterravano a Jasionka, in Polonia, i primi dei 1.700 soldati americani dell’82a Divisione “Airborne” inviati da Washington di rinforzo a Est, unitamente a 1.000 d’un battaglione di Stryker attesi in Romania e 300 destinati alla Germania.
I militari ucraini, intanto, attuavano esercitazioni perfino nella “zona morta” dell’area radioattiva attorno a Chernobyl, per la precisione presso la città fantasma di Pripjat. L’esercito ucraino ha potuto così compiere esercitazioni in zona urbana con munizioni vere. E il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov sosteneva che “la zona radioattiva dovrebbe fare da scudo” a una vasta parte del confine con la Bielorussia: “E’ una zona difficile da attraversare, con foreste, paludi e fiumi ed è ancora radioattiva”.
I russi stavano in quel momento rafforzando il loro schieramento in Bielorussia per ulteriori manovre previste dal 10 al 20 febbraio, il che portava ormai la NATO a valutare, su tutta la fascia di confine russo e bielorusso con l’Ucraina, almeno 130.000 uomini.
Dal canto loro, i russi hanno risposto che, su 250.000 componenti totali dell’esercito ucraino, almeno metà sarebbero schierati sulla sola linea di contatto col Donbass “con appostamento offensivo. Il 10 febbraio sono iniziate le manovre russe in Bielorussia, che dovevano terminare il 20 febbraio, ma sono poi proseguite per vari giorni, con dispiegamento di 30.000 soldati, aerei da caccia Sukhoi e missili antiaerei S-400.
Al loro avvio presenziava il capo di stato maggiore delle forze armate russe, quel generale Valery Gerasimov, a cui la NATO ha attribuito la presunta (ma non confermata) “dottrina Gerasimov” sulla guerra asimmetrica e l’infiltrazione, secondo una tendenza propagandistica occidentale a presentare come tipiche solo degli avversari delle democrazie, “malvagi” per definizione, tattiche d’inganno e mascheramento in verità comuni in ogni guerra e in ogni paese.
Una telefonata fra Biden e Putin il 12 febbraio si è arenata sulle rispettive posizioni, mentre atterravano alla base britannica di Fairford 4 bombardieri pesanti americani Boeing B-52, provenienti dalla base di Minot, in North Dakota, come parte della deterrenza verso il Cremlino.
La rete statunitense NBC diffondeva presunte rivelazioni della CIA sui piani russi: “Sono 9 le direttrici che l’esercito russo imboccherebbe in Ucraina. E’ la stima di US Army e CIA secondo cui carri armati di Mosca potrebbero raggiungere Kiev in 48 ore.
La Russia ha schierato ai confini quasi 100 su 168 gruppi tattici a livello battaglione, composti da 800 a 900 soldati ciascuno, mentre altri reparti affluiscono ogni giorno. Sarebbero dispiegate anche 6 unità speciali Spetsnaz: ogni unità è composta da 250 a 300 combattenti d’élite”. Una tale precisione potrebbe non essere dovuta alle sole foto satellitari, pur prodotte e diffuse in gran copia nelle ultime settimane, ma farebbe ipotizzare spie della CIA fra i russi perfino a livelli di comandi o di stati maggiori! A meno che non sia parte della guerra di propaganda.
Stretta finale?
Alcuni membri della NATO, come Ungheria e Croazia, si sono sfilati dalle parole d’ordine antirusse, criticando l’alleanza, e la stessa Turchia, che pure è il pilastro del settore Sud Est, di fatto si mantiene in posizione intermedia. All’inizio di febbraio, la CIA stimava che l’offensiva russa potesse scattare già il 16 febbraio, ma prima di tale scadenza, Shoigu ha preannunciato la “fine di alcune manovre” e l’inizio di un parziale ritiro. Il 14 febbraio il Center for Defense Strategies stimava le forze russe schierate su posizioni avanzate in “147.000 soldati su 87 gruppi tattici”.
Il 16 febbraio Biden, dopo aver inviato in Polonia caccia F-15 dell’USAF, ha messo in dubbio il ritiro russo parlando di “assenza di verifiche” e mostrando foto satellitari di “nuovi elicotteri e aerei in arrivo vicino al confine con l’Ucraina”, segnatamente elicotteri da trasporto truppe Mil Mi-8 e da combattimento Mil Mi-24, Mi-35 e Kamov Ka-52 presso il lago Donuzlav, in Crimea, e aerei da caccia Sukhoi Su-34 sulla pista di Primorsko-Akhtarsk, sulla sponda russa del Mar d’Azov.
Mentre l’intelligence americana rilanciava una nuova data ipotetica d’attacco per il 21 febbraio, dopo la fine delle Olimpiadi Invernali di Pechino, Putin ha ribadito più volte negli ultimi giorni che “se le richieste russe non verranno accettate, prenderemo misure tecnico-militari”. Il 16 febbraio i russi reiteravano comunicati sul ritiro di vari loro reparti: “Le unità carriste del Distretto Militare Occidentale sono state riportate alle loro basi permanenti dopo essere state trasportate per mille chilometri su ferrovia”. Il tutto accompagnato da immagini e video postati su internet.
Poi, il 17 febbraio, il New York Times sembrava per la prima volta ammettere i timori russi relativi alle basi americane di Redzikowo e Deveselu, e il 18 febbraio da Mosca si davano altri esempi del ritiro come “il ridislocamento in altri aeroporti della Russia di 10 bombardieri Sukhoi Su-24 spostati dalla Crimea” e la notifica che “un altro treno militare con personale e attrezzature delle unità di carri armati del Distretto Militare Occidentale è tornato alla sua base permanente di Nizhny Novgorod”. In Occidente, invece, si continuato a pensare a un bluff russo.
Il 18 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha azzardato che la Russia avrebbe schierati in posizione minacciosa contro l’Ucraina, “fra 169.000 e 190.000 soldati”, desunti da rapporti CIA su cui non si può dire dove finisca la realtà e inizi la stima a scopo intimidatorio. Già il giorno prima, il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sosteneva che “la Russia si prepara a combattere perchè stanno facendo scorte di sangue”, per trasfusioni ai feriti.
Spiega: “Ero un soldato. So in prima persona che non fai ciò senza motivo”. Vero è che prepararsi per ogni evenienza non è un delitto, specialmente se si teme che incidenti possano essere fabbricati dall’altra parte. Austin s’è recato poi il 18 febbraio in visita in Polonia e, proprio approfittando della tensione, ha propiziato per l’America un affare da 6 miliardi di dollari concordando la vendita all’esercito polacco di ben 250 carri armati pesanti M1 Abrams.
Frattanto, dal 17 febbraio si è ricominciato anche a sparare nel Donbass. La milizia di Donetsk per prima ha denunciato quel giorno che “gli ucraini hanno sparato sul villaggio di Mandrykino cinque granate da 82 mm”. I filorussi hanno reagito colpendo un asilo nido a Stanytsia Luhanska, col ferimento di due insegnanti.
Si sono susseguiti scambi di granate su molte località anche nei giorni seguenti e, in particolare, il 18 febbraio a Donetsk sono risuonate le sirene d’allarme, mentre presso il palazzo del governo locale un attentato ha fatto deflagrare l’automobile, una jeep UAZ verde oliva del comandante della Milizia Popolare di Donetsk, Denis Sinenkov, che però si è salvato. La milizia dichiarava inoltre di “aver sventato una infiltrazione di sabotatori ucraini”.
Nelle ore seguenti, i presidenti di Donetsk e Lugansk, Denis Pushilin e Leonid Pasechnik, ordinavano l’evacuazione di donne, vecchi e bambini in Russia, nella zona di Rostov, mobilitando invece tutti gli uomini validi dai 18 ai 55 anni a difesa del territorio. Alla mattina del 21 febbraio, risultavano già 61.000 i civili russofoni che avevano passato il confine, e le autorità del Donbass stimavano che l’obbiettivo era porne in salvo fino a 500.000.
Sarebbe in atto un gioco di provocazioni reciproche per far precipitare la situazione. Si sa che gli ucraini denunciano la presenza in Donbass di mercenari/contractors russi della compagnia Wagner, ma secondo Mosca e i secessionisti le stesse forze di Kiev si avvarrebbero di mercenari/contractors occidentali delle compagnie Lancaster-6 e Academy (ex Blackwater). Inoltre, il 18 febbraio Lavrov ha detto: “Abbiamo informazioni secondo cui mercenari da Kosovo, Albania e Bosnia-Erzogovina (filoamericani in contrasto con la vicina Serbia filorussa) stanno per essere inviati nel Donbass”.
I miliziani di Donetsk, che conterebbero su una loro rete di spie abbastanza ramificata in tutta l’Ucraina Orientale, ritengono che “l’esercito di Kiev prepara uno sbarco sulla costa del Mar D’Azov, fra i villaggi di Sartana e Kominternovo, a Est di Mariupol” e che “gli ucraini sono già pronti a trasferire presidenza e parlamento da Kiev a Lvov all’inizio delle ostilità”. D’altro canto, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha elencato possibili incidenti orchestrabili dai russi per accusare gli ucraini: “Un attacco terroristico inventato dentro la Russia, la scoperta di una fossa comune, un finto attacco con droni contro civili o un attacco finto o addirittura uno reale usando armi chimiche”.
Il 19 febbraio le autorità di Donetsk hanno accusato l’agente segreto ucraino Anton Matsanyuk, tuttora detenuto, per l’attentato con autobomba del giorno prima al capomilizia Sinenkov. Inoltre, i militi di Lugansk hanno disinnescato un ordigno esplosivo nascosto da sabotatori sotto il ponte stradale fra Malogvardeysk e il valico di frontiera di Izvarino, su cui transitano gli autobus dei profughi.
La sventata strage avrebbe creato una provocazione anche più grave delle attuali. Le milizie di Lugansk hanno anche dichiarato, il 20 febbraio, d’aver respinto un tentativo di sfondamento del fronte attuato dalla 79° Brigata di paracadutisti di Kiev, che “avrebbe cercato di passare il fiume Seversky Donets ritirandosi con gravi perdite”.
Basta insomma una scintilla per dar fuoco alla prateria, e lo stesso Putin è parso alquanto scettico sulla volontà avversaria di un’intesa: “L’Occidente troverebbe comunque il pretesto per appiopparci nuove sanzioni”.
Il 19 febbraio 2022, insieme all’alleato bielorusso Alksandr Lukashenko, ha assistito di persona, dalla sala comando del Cremlino, a esercitazioni delle forze missilistiche strategiche russe, le RVSN, o Raketnye Vojska Strategičeskogo Naznačenija, ossia “Truppe dei Razzi Strategici da Guerra”, nonché delle forze nucleari dell’Aeronautica e della Marina, che hanno eseguito lanci di missili balistici e da crociera per dimostrare all’Occidente la prontezza operativa del deterrente nucleare russo.
Le RVSN, guidate dal generale Sergei Karakayev, schierano 320 missili intercontinentali lanciabili da silos sotterranei o da rampe mobili autocarrate. Molti di essi hanno testate multiple MIRV, perciò la RVSN è forte di 1200 testate nucleari.
Nel corso delle manovre, un missile Yars, che porta 4 testate, dal poligono di Plesetsk ha centrato un bersaglio in Kamchatka, distante 5800 km. Nei cieli artici della Novaja Zemlja, caccia Mig-31 hanno sparato gli ordigni ipersonici Khinzal (“pugnale”), mentre navi e sottomarini hanno testato missili da crociera Zircon e Kalibr.
Peraltro, nella continua gara mediatica volta a diffondere inquietudini, la stampa britannica, e soprattutto il Mirror, ha diffuso il 20 febbraio la voce secondo cui i russi penserebbero di impiegare, contro le forze corazzate ucraine, e anche come mezzo per abbattere il morale del nemico, un’arma convenzionale dagli effetti simili a quelli di una bomba atomica miniaturizzata.
Sarebbe la nota bomba termobarica FOAB, dall’inglese per Father of All Bombs, “Padre di tutte le bombe”, che in russo si dice PVB, Pàpa Vseh Bomb, ma il cui acronimo ufficiale è AVBLM, cioè Aviazionnaja Vakuumnaja Bomba Povishennoi Moshnosti, che tradotto letteralmente suonerebbe “bomba a vuoto (“vacuum”) ad alta potenza per aerei”.
Le Forze aerospaziali di Mosca l’hanno sviluppata fin dal 2007 e, dato l’ingombro, può essere portata da un bombardiere Tupolev Tu-160. E’ lunga 7 metri e pesa 7 tonnellate, ma la sua forza equivale a quella di 44 tonnellate di tritolo, grazie a esplosivi segreti in grado di sviluppare altissime pressioni e temperature. Sembra che l’ordigno sia stato impiegato nel 2017 in Siria durante incursioni russe contro l’ISIS e distruggerebbe tutto nel raggio di 300 metri. Sarebbe dunque più potente della bomba termobarica americana MOAB (Madre di tutte le bombe), alias GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast, lunga 9 metri per 9800 kg di peso, che gli USA hanno in servizio dal 2003 e hanno usato in Afghanistan. L’ordigno statunitense avrebbe una forza pari a “sole” 11 tonnellate di tritolo per un raggio letale di 150 metri.
Terra e mare
Il braccio di ferro, dunque continua ed è difficile vedere per ora la luce in fondo al tunnel. Quando il 15 febbraio 2022 Putin aveva ricevuto al Cremlino il cancelliere tedesco Scholz per uno dei tanti tentativi di trattativa delle ultime settimane, all’ipotesi di una moratoria limitata, per esempio a 10 anni, sull’entrata dell’Ucraina nella NATO, lo “zar” aveva risposto deciso che “la questione va risolta adesso una volta per tutte”.
Si ha l’impressione che la Russia sia pronta a giocare il tutto per tutto, “ora o mai più”, per porre degli stabili paletti al fronte NATO, magari sperando in cuor suo che lo sbattere contro un muro possa rappresentare il prodromo di una sorta di ricaduta all’indietro dell’intero schieramento occidentale. La partita potrebbe quindi essere epocale, anche perchè ha radici molto antiche.
L’asse delle potenze marittime anglosassoni, non tollera, storicamente, una potenza terrestre egemone nel Vecchio Continente. Non è un caso che nell’attuale crisi siano stati americani e britannici, anche più degli ucraini, a soffiare sul fuoco paventando l’imminenza di una invasione russa e mostrando inflessibilità sul presunto destino occidentale di Kiev.
E’ la più recente espressione di un timore atavico del mondo inglese, proiettato sugli oceani e le colonie esterne, verso un continente europeo unificato che poteva invaderlo o affamarlo. Già nel XVI secolo era guerra aperta fra l’Inghilterra della regina Elisabetta e la Spagna degli Asburgo, che sotto Carlo V, e ancor più sotto Filippo II la minacciava, anche per motivi religiosi data la recente spaccatura fra cattolici e protestanti. Come sappiamo agli spagnoli andò male il tentativo di sconfiggere gli inglesi con l’Invincibile Armada, la grande flotta cattolica che nel 1588 fu logorata e battuta dai galeoni capitanati da abili corsari ed esploratori del calibro di Sir Francis Drake.
A quel tempo la Russia dello zar Ivan il Terribile era lontana e remota, al di là dei mari ghiacciati boreali, e solo un piccolo nucleo di “merchants adventurers” britannici faceva la spola fra Londra e il porto di Arcangelo, nel Mar Bianco, facendo perfino balenare a Ivan il sogno di proporsi come sposo di Elisabetta e realizzare una “unione personale” (a quell’epoca abbastanza in voga fra le monarchie europee) fra Russia e Inghilterra che avrebbe letteralmente ribaltato il corso successivo della storia.
Così non fu, ma la Russia risultò due secoli dopo un utile alleato dell’Inghilterra contro la Francia di Napoleone Bonaparte, il nuovo nemico che cercava all’inizio del XIX secolo d’unificare l’Europa. Per punire gli inglesi, che col loro denaro finanziavano regolarmente tutte le coalizioni antifrancesi, Napoleone decretò il 21 novembre 1806 il “blocco continentale”, vietando in pratica a tutti gli stati europei di commerciare con l’Inghilterra o di comprare merci britanniche. Alcuni mesi dopo, il 25 giugno 1807, egli saldò all’Impero francese quello russo, stipulando un patto con lo zar Alessandro I incontrandolo su una sontuosa zattera a Tilsit sul fiume Niemen.
L’incubo di un blocco eurasiatico si era materializzato per gli inglesi, ma fu relativamente breve. L’alleanza franco-russa cominciò a vacillare già nel 1810, poiché i russi cominciarono a violare il blocco continentale e a riavvicinarsi agli inglesi, temendo che Napoleone si stesse accordando con gli Asburgo d’Austria a loro detrimento. Ne scaturì la guerra del 1812, seguita dalla nota invasione della Russia che fu la tomba della Grande Armeè e prologo della definitiva sconfitta del Còrso.
Nonostante i russi le fossero stati utili per abbattere Napoleone, gli inglesi presero durante tutto l’Ottocento a reputarli dei nemici sempre più insidiosi, soprattutto per la loro spinta geopolitica verso i mari caldi.
Così, la Gran Bretagna, con gli alleati Francia e Piemonte, intervenne a fianco della Turchia nella guerra di Crimea del 1853-1856, proprio per impedire che la pressione russa sull’Impero Ottomano li portasse oltre i Dardanelli e giù fino al Mediterraneo, a insidiare la via delle Indie.
Più tardi fu la volta del “Grande Gioco” in Asia Centrale, che ebbe uno dei suoi punti culminanti nell’annessione della regione turkmena di Merv da parte dell’Impero Russo nel 1884, che associata a un collegamento ferroviario la regione del Caspio avrebbe consentito ai russi, secondo il rapporto d’intelligence “The Defence of India”, di spostare almeno 95.000 soldati e calare sull’Afghanistan e poi sull’India.
All’inizio del XX secolo, con l’alba della geopolitica come dottrina, il geografo scozzese Sir John Halford Mackinder formulò per la prima volta nel 1904 una dottrina coerente che, nelle sue linee essenziali, è ancora seguita dall’asse Londra-Washington.
Egli notò che l’immensa area centrale dell’Eurasia, soprattutto fra la regione della Moscovia, degli Urali e della Siberia, che chiamò Heartland (Terra Cuore) era praticamente invulnerabile all’azione delle potenze navali perchè lontana dalle coste e protetta dalle vastissime estensioni delle steppe, dei deserti e della taiga, mentre perfino sul versante
Nord le difficili acque dell’Oceano Glaciale Artico e le desolate coste della tundra non offrivano comunque appoggi sufficienti per grandi sbarchi. L’Heartland coincideva per la maggior parte col territorio occupato dalla Russia. E con la modernizzazione di quell’impero, favorita dalla costruzione di ferrovie strategiche come la Transiberiana e dall’industrializzazione, l’Heartland poteva mobilitare le sue enormi risorse, spostandole a Est o a Ovest per linee interne, senza che l’Impero Britannico potesse attaccarlo in patria.
Nella Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Russia furono alleate grazie alla mediazione della Francia e al fatto che avevano come nemico comune la Germania, ma dopo la rivoluzione bolscevica si temette sempre più che la Russia potesse in qualche modo coalizzarsi con la Germania e le sue capacità tecnologiche, arrivando a egemonizzare insieme a essa l’Europa e a guadagnare mari caldi da cui minacciare Londra.
Alla conferenza di Versailles del 1919 Mackinder fu tra i sostenitori della politica atta a dividere la Russia dalla Germania frapponendo fra di esse una barriera di nuovi stati originati dal crollo dell’Impero Zarista e di quello Austroungarico, come la Polonia, la Cecoslovacchia o l’Ungheria.
Tenendo conto del sorgere degli Stati Uniti d’America come nuova potenza mondiale, erede dell’Impero Britannico anche in fatto di potenza marittima, e più tardi aeronautica, lo studioso scozzese perfezionò la sua teoria sostenendo che l’Heartland avrebbe teso a controllare la cosiddetta Inner Crescent, o Mezzaluna interna, cioè le regioni peninsulari e insulari dell’Eurasia come l’Europa Occidentale, il Vicino Oriente, l’India, la Cina, la Corea e il Giappone, emarginando la Outer Crescent, la Mezzaluna Esterna da lui identificata con l’arco che dalle Americhe piegava verso Africa e Australia.
Gli Stati Uniti sarebbero stati espulsi dal sistema di potere mondiale se confinati nel loro emisfero da un Heartland che avesse progressivamente preso il controllo, come impero o più plausibilmente come blocco di alleanze, di ciò che Mackinder chiamò Isola Mondo, o World Island, cioè i tre continenti classici del mondo antico: Europa, Asia, Africa.
Sfida secolare
Fu nel 1919 che Mackinder coniò il suo celebre sillogismo: “Chi controlla l’Europa dell’Est controlla (o comanda, nell’originale inglese, egli scrive “commands”) l’Heartland, chi controlla l’Heartland controlla l’Isola Mondo, chi controlla l’Isola Mondo controlla il Mondo”. Già nel 1922 il trattato di Rapallo fra Germania e Russia fece temere un sodalizio del genere, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti, nonostante l’isolazionismo di questi ultimi, si considerarono già alleati di lungo periodo, come testimonia la conferenza navale di Washington che riservò solo al condominio anglosassone la parità delle flotte al vertice della classifica, tenendo il Giappone, e ancor più Francia e Italia, assai distanziati.
Il patto russo-tedesco di Rapallo fu utile per scambi tecnologici e anche per consentire ai militari tedeschi di addestrarsi in segreto nelle steppe russe coi mezzi proibiti dal trattato di Versailles, cioè gli aeroplani, a Lipetzk, i carri armati, a Kazan, e le armi chimiche, a Samara. Ma ancor più esplicito fu il patto Ribbentrop-Molotov (dai rispettivi ministri degli Esteri) del 23 agosto 1939, con cui in pratica Adolf Hitler e Josif Stalin si spartirono la Polonia.
Se il patto Berlino-Mosca non fu duraturo, fu a causa delle differenze ideologiche, ma non è azzardato dire che la Seconda Guerra Mondiale avrebbe avuto tutt’altro esito se Hitler, durante la visita del ministro degli Esteri sovietico Molotov a Berlino, nel novembre 1940, fosse riuscito a convincerlo a far aderire l’URSS al Patto Tripartito che la Germania aveva appena stipulato con Italia e Germania. Il rifiuto sovietico di un blocco continentale a quattro potenze portò infine il Fuhrer alla disastrosa decisione di invadere la Russia il 22 giugno 1941 con l’Operazione Barbarossa.
Come fra Napoleone e Alessandro, anche fra Hitler e Stalin, la “luna di miele” durò poco e prevalsero i sospetti reciproci. E come la Grande Armeè, anche la Wehrmacht fu inghiottita da pianure gigantesche che annunciavano già il margine occidentale di un Heartland dalle cui profondità scaturivano legioni di carri armati T-34 che non finivano mai.
Mackinder nel 1943 aggiornò la sua teoria sostenendo che anche lo sviluppo dell’aviazione contribuiva alla superiorità dell’Heartland come fortezza naturale inespugnabile, consentendo di bombardare da basi nell’entroterra le teste di ponte anfibie sulle coste dell’Inner Crescent. Nel dopoguerra la teoria di Mackinder, che intanto era morto nel 1947, fu alla base della dottrina del contenimento dell’Unione Sovietica, quando gli Stati Uniti, con la presidenza di Harry Truman, decisero di rimanere in forze in Europa, a differenza di quando nel 1918 se ne erano tornati in patria appena battuta la Germania del Kaiser.
Fondata la NATO nel 1949, per opporre un antemurale all’espansione del comunismo, gli americani allargarono poi la loro influenza a varie nazioni della “mezzaluna”, dal Pakistan al Giappone, per tentare di imprigionare l’URSS fra i suoi ghiacci. Grazie all’intuito di Henry Kissinger, nel 1972 gli USA riuscirono di fatto perfino ad allearsi con la Cina dell’anziano Mao Zedong, che pur comunista era in rotta con Mosca da anni, ponendo le basi per la successiva apertura agli investimenti occidentali che a partire dalle riforme di Deng Xiao Ping del 1979 avrebbero col tempo portato al boom produttivo cinese che ancora oggi spaventa il mondo.
Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991, sembrava a prima vista tramontata la minaccia, ma la NATO rimase, principalmente per assicurare agli Stati Uniti il controllo dell’Europa Occidentale. La Russia sembrava allora, con la presidenza di Boris Eltsin, condannata alla decadenza e Zbigniew Brezinski ne caldeggiava presso Bill Clinton il depauperamento delle risorse, ma l’attacco della NATO alla Serbia nel 1999 e l’inizio dell’allargamento a Est fecero capire a Mosca che era ora di ricostruire, pian piano, la potenza perduta.
Dal 2000 la leadership di Vladimir Putin e del suo entourage ha così lavorato per contendere agli Stati Uniti lo spazio europeo, peraltro iniziando già nel 2001 a riavvicinarsi alla Cina allora guidata da Jiang Zemin con la firma del trattato SCO, l’Organizzazione di Shanghai.
Gli anni successivi sono stati caratterizzati dal continuo rafforzamento della NATO, in sostanza, per mantenere i destini strategici della Russia e dell’Europa divisi, sebbene in alcuni casi già Putin avesse mandato segnali forti, come con la guerra in Georgia del 2008, che infatti impedì alla fine l’adesione del paese caucasico all’alleanza. Poi, nel 2014, la rivolta di piazza Maidan a Kiev, appoggiata verosimilmente dalla CIA, e il rovesciamento del presidente filorusso Viktor Yanukovich aprirono la crisi del Donbass e portarono al primo grande scontro, sfociato con l’annessione della Crimea alla Russia e con sanzioni tuttora perduranti. E ora siamo arrivati alla fase successiva, forse decisiva.
Nelle intenzioni di Washington e Londra, qualsiasi rischio vale il tenere in piedi la compattezza della NATO e l’impedire che l’Europa si inserisca in un sistema continentale con Russia e Cina, forse prefigurabile, in parte, nei piani della Nuova Via della Seta, tale da rendere l’Eurasia nel suo complesso autosufficiente rispetto al mondo anglosassone. Sarebbe il compimento dell’Isola Mondo prefigurata da Mackinder.
La potenza americana non potrebbe verosimilmente sopravvivere, ai livelli attuali, emarginata nel suo emisfero, coi soli mercati e risorse residui, tenuto conto anche del fatto che da ormai 50 anni il dollaro non è più convertibile in oro e se non è carta straccia è ancora per la reputazione da superpotenza degli USA e per lo status di unità di riferimento nel mercato petrolifero. Putin e il suo staff sanno bene tutto ciò e anche da parte loro c’è una propensione al rischio nella crisi attuale, allo scopo perlomeno di arrivare a patti che limitino l’alleanza e, forse, ne costituiscano una prima crepa che possa allargarsi col tempo.
Il Donbass, certo, è un obiettivo da difendere, ma è solo una piccola parte del dramma. Un effetto deleterio lo giocherà senz’altro la brutta abitudine delle democrazie moderne di demonizzare l’avversario ritenendolo “inferiore” e non degno di riconoscimento paritario diplomatico. Il che può solo essere foriero di sventure perchè un Occidente avvitato su sé stesso e vittima del proprio sciovinismo ideologico nei confronti del resto del mondo rischia di giudicare e muoversi in una realtà fittizia, “drogata” dall’ideologia.
E di ideologia sono morte le dittature del passato compresa l’Unione Sovietica, anche in questo la storia dovrebbe rendere più cauti e flessibili i governi dei paesi NATO. Se, come sembra probabile, da ambo le parti non ci saranno cedimenti, resterà solo il dilemma fra una guerra “calda”, ancorchè regionalizzata, tipo “guerra di Spagna del 1936” per evitare disastri nucleari, con tutto ciò che ne consegue, e una più probabile Seconda Guerra Fredda che significherà anni e anni di nuovi stati d’assedio su scala planetaria.
Se il gioco delle sanzioni e contro-sanzioni si facesse troppo duro e si delineassero blocchi continentali contrapposti, ciò significherebbe l’affossamento, forse definitivo, della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni, peraltro in un clima economico mondiale sorpreso dai venti di guerra a metà del guado, proprio mentre si stava riprendendo a fatica dalle perturbazioni della pandemia Covid-19.
Foto: Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Sukhoi, Russian Helicopters, NATO, TASS e Twitter
Mappe: Alamy, Stratfor e BBC
Vignetta: Alberto Scafella
Il mondo è sull’orlo del baratro per cosa esattamente? Perché l’Ucraina deve avere la libertà di richiedere l’ammissione alla NATO. Cioè, noi stiamo facendo questo ignominioso fracasso perché difendiamo il principio di libertà del “popolo ucraino” a chiedere di entrare nel sistema militare comandato dall’altra unica potenza nucleare con 5000 testate? Di modo così che gli USA possano piazzare missili ai bordi nord-orientali della libera e democratica Ucraina distanti tre minuti da Mosca? Così che Mosca sappia che verrà cancellata dalle cartine geografiche prima che abbia il tempo materiale di attivare la sua risposta che comunque impiegherebbe decine e decine di minuti per arrivare a Washington? Bravi!
Ed è per questo che gli americani, quattro anni fa, si sono unilateralmente ritirati dal trattato INF che regolava gli equilibri di posizionamento dei missili balistici a medio-corto raggio che vigeva dal 1987? I famosi “euro-missili” perché sono posizionati proprio qui in Europa? Che lungimiranza! Allora non è solo Putin che pianifica per tempo le sue mosse eh? Ed io che mi credevo che le grandi potenze organizzassero le cose all’ultimo minuto, in fretta e furia, all’improvviso come siamo soliti fare noi qui per promuovere il nostro interesse nazionale.
Per 42 anni (1949-1991) c’è stata una “guerra” sì, ma “fredda” e si è basata sull’equilibrio di potenza, lì dove russi ed americani sapevano che se l’uno avesse provato a nuclearizzare l’altro, l’altro avrebbe avuto il tempo di nuclearizzarlo a sua volta. Per quanto cinico, questo principio ha garantito la pace in Europa per decenni ed è per rovesciare questo principio di equilibrio che ora la “Repubblica che ripudia la guerra” manda armi alla libera e democratica Ucraina?
Quella Repubblica che ospita 70 testate nucleari americane sul suo territorio nonché, in Sicilia, il centro tecnologico che coordina tutte le comunicazioni satellitari crittate delle forze armate non NATO ma direttamente americane con una quarantina di antenne a microonde, alta e bassa frequenza? E questa Repubblica sa che così si è deciso di diventare il primo bersaglio russo in caso di conflitto di potenza che tanto non deciderà lei ma qualcun altro? La nostra democrazia ha deliberato questo? Sì, dove eravate distrattoni, la nostra democrazia ha deliberato questo, quindi, oggi deve difendere la democrazia ucraina ed il suo diritto di provocare quello con 6000 atomiche andando a rovesciare l’equilibrio di potenza salvaguardato a fatica per settanta anni.
Quindi trattare artisti, intellettuali, calciatori, atleti, imprese e giornalisti, disabili e da ultimo anche i gatti russi come indegno rifiuto dell’umanità solo perché russi è giusto? Perché sono di un paese che potrebbe trovarsi missili potenzialmente con testate atomiche a tre minuti da Mosca se l’Ucraina entrasse in quella alleanza militare il cui decisore ultimo è a Washington? Cioè loro si ritirano dal trattato di parità di potenza, mettono rampe missilistiche in Romania e Polonia, poi cominciano a chiacchierare che -perché no?- potrebbero metterle anche in Georgia o Svezia o Finlandia mentre -guarda un po’- scoppiamo tumulti in Bielorussia e Kazakistan (e chi se ne frega, tanto non so neanche dove sono, all’ora di geografia dormivo) e pensano di mettertele pure a tre minuti dalla tua capitale e tu cosa dovresti fare dopo che sono anni che gli ripeti che le cose andavano sempre peggio tra voi e gli dicevi “dobbiamo metterci intorno ad un tavolo a chiarirci e discutere”? Dovresti sorridergli benevolmente, uno shottino e una bella piroetta di kazachok.
Ecco, noi difendiamo il principio di poter fare tutto questo, solamente questo e su questo sacrifichiamo milioni e milioni di euro di perdita economica per la nostra malconcia economia e lo facciamo tutti uniti, (salvo tredici baluardi dell’onestà intellettuale), commuovendoci uniti cantando l’inno alla libertà, la libertà di mettere testate nucleari a tre minuti dalla capitale del “nemico”, che è poi quello che ci dà il gas. Bravi!
Questa è politica, la guerra è politica «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.» come scrisse quel famoso generale prussiano nel 1832, tutt’oggi studiato in tutte le accademie militari del mondo.
Quale politica? Iscrivere il tuo nemico alla stregua degli “intoccabili” perché non si fa mettere i missili a tre minuti dalla sua capitale mentre tu ne stai bello tranquillo a debita distanza su un altro continente, col Primo Ministro della più antica “democrazia” occidentale (i britannici) che senza vergogna invoca pubblicamente che qualche “onesto oligarca” liberale lo ammazzi perché è sotto steroidi, è insano, ha i postumi del long covid mentre tu proponi di cacciarlo dal Consiglio di sicurezza dell’ONU dopo settantasette anni.
E noi stiamo declinando come bravi scolaretti allineati e coperti, con decine e decine di “esperti” di una materia che in un paese atlantista occupato militarmente dagli USA da decenni non sono di parte, no. Vengono pagati di loro centro studi e dai loro giornali perché super-partes, liberi di dire quello che vogliono, certo. Questa è una preview di Meta, dove il reale diventa irreale, pur dandoci l’impressione che sia reale ed addirittura, a volte, iperrreale. Con un dispiegamento a reti e stampa unificata da far paura mentre fanno di tutto per metterti paura e rabbia di modo che tu sbavi contro quel tiranno che non accetta di rischiare di esser polverizzato dal nostro sacrosanto diritto di mettergli i missili puntati alla tempia. Bravi davvero.
Il primo giorno di questa tragedia, Putin fissando la telecamera ci ha detto di non impicciarci altrimenti “… la risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”, ripeto il concetto “mai sperimentato nella vostra storia” e ce lo ha ripetuto Lavrov l’altro giorno. Ma tanto noi dormivamo non solo all’ora di geografia, anche a quella di storia. Se lo metta bene in testa Mad Vlad, noi non siamo conigli, siamo fieri paladini della libertà e non possiamo non difendere il diritto di Zelensky di poter liberamente chiedere di entrare nella NATO. Noi siamo una civiltà, le civiltà si basano su principi, noi difendiamo i nostri principi come si difendono le mura della città (Eraclito)! Il principio di diventare alleato della potenza nucleare nemica di quello di cui sei confinante.
Quindi noi andiamo appresso ad un tizio che dopo aver vinto un talent come ballerino improvvisamente diventa molto ricco non si sa come e trova così i soldi per fondare una casa di produzione diventando attore, regista, sceneggiatore e produttore di sé stesso e fa un serial tv di 51 puntate di una storia in cui lui fa un insegnante che finisce col diventare presidente eliminando tutti i corrotti nel parlamento ucraino. Il tutto su una tv proprietà dell’oligarca secondo più ricco uomo d’Ucraina, finanziatore delle brigate che hanno fatto migliaia di morti russofoni nell’est, in causa con la Russia perché aveva molte attività economiche in Crimea. Il tizio è pure sotto indagine FBI, si chiama Kolomoisky[1]. Poi la casa di produzione diventa -oplà- un partito il cui nome e marchio è il titolo del serial che risulta registrato come partito più di un anno prima che finisca la serie in tv. Dopo tre anni di serial, appena finita l’ultima puntata, con una casa di produzione che si fa partito col nome della serie tv si presenta alle elezioni e….e….cosa? Ma le VINCE, che sciocchini che siete.
Ma questa è democrazia, come non riconoscerla! Noi poi che ci abbiamo fatto un pezzo di storia d’Italia con un signore che aveva tre televisioni e molto altro, era democrazia pure quella, no? Noi stiamo facendo quello che stiamo facendo per difendere la libertà democratica di questo signore che eletto, affida i servizi segreti ad un socio della sua casa di produzione. Lui e l’altro escono fuori nei Pandora Papers come possessori di conti off shore nelle Isole Vergini britanniche, Cipro e Belize nonché numerosi immobili al centro di Londra, ma chi se ne importa, combattono i corrotti! Forse quelli del governo precedente in carica da dopo il colpo di stato del 2014, che è stato composto facendo un casting internazionale finanziato da Soros secondo quanto diceva allora il Sole24Ore[2]? Noi dobbiamo difendere la sua libertà a pretendere di entrare anche lui nel mondo civile e democratico iscrivendosi all’alleanza militare americana che difende la libertà! Più Metaverso di questo, dai, è fantastico! Non devi neanche comprarti il visore 3D.
Noi, mandiamo armi ad un tizio che coscrive la popolazione maschile civile e nasconde le armi in città popolate per dotarsi di scudi umani mentre suoi milioni di concittadini scappano dalla loro vita per terrore e poi viene pure a spiegarci quanto si sente Pericle nel suo intimo, e ci rimprovera perché non siamo così solleciti a difendere il suo diritto di chiedere l’annessione alla NATO? Ed è pure un po’ arrabbiato perché ancora non lo abbiamo fatto entrare in due minuti nell’UE visto che lui ha certo tutti i parametri di bilancio a posto, una vera economia di mercato, ha pure lui gli oligarchi come si conviene nel libero mercato (ma non si era fatto eleggere promettendo di eliminarli?) e del tutto privo di corruzione. Cioè lui coi conti off-shore viene eletto tre anni fa perché c’era troppa corruzione ed in tre anni l’Ucraina è diventata un lindo e pinto stato di diritto? Certo, poi? Poi tiriamo fuori dal cappello 500 milioni di euro di Bruxelles di cui 450 in armi e ci apprestiamo a razionare l’energia, a “fare sacrifici” sopportando fallimenti di aziende e relativi disoccupati visto che ne abbiamo pochi, per la libertà e la democrazia che diamine!
Ma che bello spettacolo, e dire che Zelensky l’altro giorno ci ha pure urlato in lacrime di fare presto, che “questo non è un film!”. Un attore, sceneggiatore, regista, produttore di fiction che ci urla che questa non è una fiction! Lo urla al Presidente americano che ha un figlio espulso dalla US Navy perché drogato e mandato allora in Ucraina a fare il membro del consiglio di amministrazione di una compagnia di gas privata posseduta da oligarchi, dal 2014 al 2019, ricevendone lauti compensi per chissà quali abilità. Noi non siamo in una fiction! Ma è davvero meraviglioso!
E tutti i giorni, pur sapendo che è impossibile, continua ad invocare noi li si mandi l’ombrello aereo NATO per istituire una no-fly-zone, di modo che così la NATO si trovi faccia a faccia con l’altra potenza nucleare di prima grandezza. Ma visto che si sente tutti i giorni al telefono con mezzo Occidente incluso Biden e più volte al giorno, nessuno gli ha detto che sarebbe meglio non mettere in mezzo la NATO per il bene suo, dei suoi concittadini, degli interessi stessi dei popoli occidentali ma forse più che altro europei, nonché per depotenziare la propaganda di Putin? Perché lo fa, sistematicamente, recitando un soggetto ben preciso scritto da chi non sappiamo mentre gli stanno strizzando il paese con dentro il suo popolo? E perché Boris Johnson ha dichiarato che la Russia deve esser espulsa dal Consiglio di sicurezza dell’ONU quando sa che è impossibile? E perché solo ora gli USA hanno accettato di istituire una linea telefonica diretta con Mosca quando era l’ultimo punto della piattaforma presentata dai russi lo scorso anno come da testo pubblicato nella nota allegata[3]? Non era utile il telefono prima, vero? Prima era meglio che Putin andasse in paranoia al punto giusto.
Dopo esser andato a dare ciò che mi sentivo di dare alla raccolta fondi della Croce Rossa[4] per assistere quelle povere donne e bambini ucraini, nostri fratelli e sorelle non perché europei e democratici ma perché umani, come umani erano i siriani, gli yemeniti, i somali, i libici, gli jugoslavi ed i 20-30 milioni di morti per guerre promosse dagli Stati Uniti d’America negli ultimi settanta anni, io dichiaro la mia pubblica indignazione! Povera gente stritolata come noi in meccanismi più grandi di noi, di cui molti di noi non sanno nulla mentre piangono davanti alla tv sottoposti h24 alla tortura dello sdegno impotente per il Male nella sua forma più cruda. Mi sembra sia giunta l’ora di urlare “adesso basta!”. Io dichiaro di esser profondamente indignato anche se qualche imbecille dirà “ah ecco l’amico di Putin! Che schifo! Che inumanità!” Andate a dare qualche euro alla Croce Rossa invece che vomitare il vostro gratuito sdegno telecomandato, inutili idioti! Andate a pagare per i danni che provoca la vostra ignoranza che ha permesso e permette tutto ciò, collaborazionisti del Male a vostra insaputa.
Le informazioni qui contenute le trovate su Wikipedia con link a vari articoli anche americani, è tutto pubblico, noto, lampante. Il problema è che non ve lo fanno mettere in quadro. Avete poche informazioni, poche conoscenze per processarle, ordinarle, comporre in maniera plausibile. Diceva von Clausewitz anche che: «La guerra non è mai un atto isolato.» è una continuazione della politica. Questo quadro politico internazionale coi suoi problemi di equilibrio di potenza è cronicamente assente dal nostro dibattito pubblico, abbiamo altro di cui occuparci. Così quando scoppia il pandemonio, sebbene lì ci sia un conflitto da otto anni dopo che c’è stato un colpo di stato, scattano le armi culturali di distruzione mentale di massa. Non è tanto questa o quella informazione che ci manca qui in occidente, nonostante l’oscuramento di ogni emittente russa (da noi va bene, se lo fa Putin è un dittatore, ovvio), ci manca la facoltà di poterle mettere assieme.
Così Putin ha la più potente macchina di fake news ed hacker del mondo ma poi non risultano oggi attacchi hacker in occidente, ma risultano devastanti attacchi in Russia. Così Putin è rimasto al Novecento e crede ancora che le questioni internazionali si risolvono con le armi, che mentalità antica, deve essersi fatto trapanare il cervello quando era al KGB. Non come gli USA che spendono in armi il totale degli altri dieci paesi che li seguono nella classifica pubblicata ogni anno dal SIPRI di Stoccolma (cioè, nell’ordine Cina, India, Russia, UK, Arabia Saudita, Germania, Francia, Giappone, Corea del Sud, Italia, spendono assieme, ogni anno, quanto gli USA). Maddai, lo sai che Putin vuole rifarsi l’impero, sii onesto. Certo ed è da condannare per questo, non come gli USA che dal 1950 ad oggi hanno bombardato e fatto guerra a 32 paesi, più i colpi di stato ed i regime change, quella è esportazione della democrazia e delle libertà. La religione del nostro Metaverso, sarai mica ateo?
Ma non ci possiamo lamentare, da noi c’è effettivamente “la democrazia”, possiamo dire ciò che ci pare, non come i russi, l’importante è che non riusciate mai a far capire ciò che dite a chi sa niente del gioco che si sta giocando. Troppo complesso, qui siamo al principio di non contraddizione applicato alle relazioni internazionali, se non stai con noi allora stai col nemico, tertium non datur. Cosa vuoi andare a spiegare la transizione al mondo multipolare a chi passa da Sanremo al talent di giornata passando per Instagram e Netflix per legittimamente abbrutirsi dopo otto o più ore di lavoro? Noi del gioco dobbiamo essere solo le solerti truppe di complemento che vanno dove il generale ha deciso che vadano. Noi siamo i topi di Skinner che agiscono in base ad imput in cui mischiano abilmente mezzi fatti conditi da forti emozioni, somministrati in certe condizioni di contesto debitamente preparate per tempo. Il decerebroscopio agisce 7/24, bambine che piangono, orsetti nel fango, vite spezzate, palesi ingiustizie che fanno sbavare di rabbia. Sbavare, come i topi di Skinner. In questo gioco non s’improvvisa nulla, è il “gioco di tutti i giochi”, ma a voi non è chiesta l’opinione di come giocarlo, solo fare il tifo per il vostro campione che è buono e nel giusto. Questa è la democrazia di mercato, lavora, consuma e fai il tifo, non ti serve pensare, devi solo agire.
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Ihor_Kolomoyskyi
[2] https://st.ilsole24ore.com/…/se-soros-e-finanza…
https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/04/sono-indig-nato/
Come avete visto, abbiamo pubblicato il video, munito di traduzione in italiano, dell’intervento di Vladimir Putin del 21 febbraio scorso, seguito da numerosi interventi di commento e ricostruzione del contesto, per altro ancora in corso. Qui sotto, invece, pubblichiamo il testo integrale di un secondo intervento, diffuso il 24 febbraio e pubblicato meritoriamente da https://www.nicolaporro.it/cari-russi-e-questione-di-vita-o-di-morte-ecco-la-discorso-di-guerra-di-putin/?fbclid=IwAR2oNO8jfIJDCVCGnqpu1Lnfpcq7PHLAyzurl7Xno8Fmp16WVwt-QCAgFCM .
Da qui lo spunto per alcune ulteriori considerazioni che pongono con le spalle al muro nella quasi totalità il ceto politico e la classe dirigente europei, in particolar modo quello italiano, per meglio dire italico.
La NATO, come dovrebbe essere noto, si professa come una alleanza militare difensiva, prevede il ricorso all’unanimità nell’avviare azioni militari, vincola l’adesione di nuovi membri all’assenso di tutti gli stati e all’inesistenza di situazioni conflittuali all’interno di quel paese e con altri paesi, dispone di una clausola di mutuo soccorso (art. 5) in caso di aggressione ad uno degli stati membri. I redattori di questo blog, al netto comunque degli eventuali vantaggi e svantaggi derivati dall’adesione, sanno e sostengono che non è così. Tant’è che pochi sanno che la NATO è nata, scusate il gioco di parole, anni prima del Patto di Varsavia. A maggior ragione non lo è dal momento della caduta della ragione di esistere della NATO: la implosione dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991.
Per continuare ad esistere e soprattutto ad agire ha dovuto quindi ricreare e ricostruire pazientemente un nemico, estendere il concetto di minaccia diretta sia in termini di significato che di ambito geografico e geopolitico, ergersi non più solo a difensore, ma a paladino delle cosiddette libertà e dei cosiddetti diritti umani. Questo nemico dichiarato è la Russia, ma nell’ombra inizia ad apparire anche la Cina. Segno del drammatico dilemma che sta tormentando la classe dirigente americana.
Non è stato infatti un processo lineare e pacifico, sia in Europa che soprattutto, potrebbe sembrare paradossale, negli Stati Uniti, come la vulgata e la liturgia dominante vogliono far credere.
Negli Stati Uniti sono state ed oggi lo sono ancor di più numerose le voci di analisti, politici e funzionari nei centri decisionali contrari a questa impostazione. E’ il motivo per il quale questo sito porge particolare attenzione alle vicende politiche americane.
Anche i paesi europei sono stati attraversati da questa alternativa di opzioni, risoltasi formalmente e simbolicamente nello scenario pubblico con la morte sospetta di Alfred Herrhausen e Detlev Rohwedder in Germania e il “successo” di “tangentopoli” in Italia nei primi anni ’90, ma con dinamiche ben più ampie e complesse in tutto il continente. Nella concretezza del confronto politico rimane un dilemma che ancora agisce in profondità, sia pure in maniera surrettizia ed opaca, senza però una adeguata espressione politica.
Sta di fatto che i nobili propositi di emancipazione e libertà professati, si sono subito rivelati subito il veicolo e la maschera in particolare di azioni, rivoluzioni e colpi di mano di natura terroristica, particolarmente evidenti in Medio e Vicino Oriente e Nord-Africa, ma presenti purtroppo anche in Europa, in particolare Bosnia, Kossovo e Ucraina, in generale di sopraffazione di minoranze, in particolare russe, radicate a pieno titolo e diritto in Ucraina, nei tre paesi baltici, in Moldavia; della stessa violazione di principi che si attribuisce a piene mani a Putin.
Putin non ha posto essenzialmente un problema di morale, di giustizia e di verità; ha posto un contenzioso politico, trascinato ormai da oltre trent’anni e del quale i paesi occidentali si sono guardati bene da affrontare in modo aperto seguendo i canali diplomatici. Da buoni “savonarola” lo hanno piegato in termini morali e costringeranno Putin a replicare e scendere sullo stesso terreno. Potrebbe essere il prodromo e il terreno di coltura adatto ad un conflitto militare generalizzato ed aperto.
Questo articolo non è la sede adatta ad approfondire questa tematica, tagliata per la verità un po’ troppo con l’accetta.
Preme in realtà sottolineare un aspetto particolare che informa queste vicende e che viene spesso messo in ombra: la piena responsabilità e la aperta collusione della quasi totalità del ceto politico e della classe dirigente dell’Unione Europea e degli stati nazionali europei.
Non si tratta nemmeno più di porre la questione di uscire dalla NATO e dalla attuale Unione Europea e di porre la questione fondante di questo sito della postura di neutralità vigile ed armata, ben lontana purtroppo dall’essere all’ordine del giorno del dibattito politico.
Si tratta semplicemente, in apparenza semplicemente, di attenersi ai principi e alle modalità operative dichiarati dalla NATO il cui rispetto inchioda alle proprie responsabilità, a pieno titolo e a pari responsabilità, un ceto politico ed una classe dirigente degli stati nazionali europei i quali amano nascondere dietro il “ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede la NATO” il carattere volontario e partecipe delle loro scelte. Il ceto politico, il governo nazionale, lo stesso unico partito di opposizione che osa fregiarsi sempre più del vessillo patriottico, operanti in Italia sono quelli più propensi alla complicità nel colpire, spesso in maniera vigliacca e a nascondere, in maniera ancora più vile, la mano dentro il guanto ed il pugnale avvelenato della NATO e della Unione Europea. Sono convinto che tra qualche anno, a babbo morto e crimini compiuti, la magnanima desecretazione di documenti ed atti, usuale negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ci rivelerà le manipolazioni e le provocazioni in corso in Ucraina, al pari di quelle avvenute in Iraq, in Libia e in Siria, prossimamente nella ex-Jugoslavia. Gli attestati di solidarietà dei soliti noti
Pubblichiamo la traduzione del video messaggio notturno che ha dato il via alle operazioni russe in Ucraina. Putin si rivolge sia ai cittadini russi che a quelli ucraini. Il video e il testo del discorso sono stati pubblicati sul sito del Cremlino.
Cari cittadini russi! Cari amici!
Oggi, ritengo ancora una volta necessario tornare sui tragici eventi accaduti nel Donbass e sulle questioni chiave per garantire la sicurezza della Russia.
Vorrei iniziare con quanto ho detto nel mio discorso del 21 febbraio di quest’anno. Stiamo parlando di ciò che ci provoca particolare preoccupazione e ansia, di quelle minacce fondamentali che anno dopo anno, passo dopo passo, vengono create in modo rude e senza tante cerimonie da politici irresponsabili in Occidente nei confronti del nostro Paese. Intendo l’espansione del blocco NATO ad est, che sta avvicinando le sue infrastrutture militari ai confini russi.
È noto che per 30 anni abbiamo cercato con insistenza e pazienza di raggiungere un accordo con i principali paesi della NATO sui principi di una sicurezza uguale e indivisibile in Europa. In risposta alle nostre proposte, ci siamo trovati costantemente di fronte ora a cinici inganni e menzogne, ora a tentativi di pressioni e ricatti, mentre l’Alleanza del Nord Atlantico, nel frattempo, nonostante tutte le nostre proteste e preoccupazioni, è in costante espansione. La macchina militare si muove e, ripeto, si avvicina ai nostri confini.
Perché sta succedendo tutto questo? Da dove viene questo modo sfacciato di parlare dalla posizione della propria esclusività, infallibilità e permissività? Da dove viene l’atteggiamento sprezzante nei confronti dei nostri interessi e delle nostre esigenze assolutamente legittime?
La risposta è chiara, tutto è chiaro ed ovvio. L’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80 del secolo scorso si è indebolita e poi è completamente crollata. L’intero corso degli eventi che hanno avuto luogo allora è una buona lezione anche per noi oggi: ha mostrato in modo convincente che la paralisi del potere e della volontà è il primo passo verso il completo degrado e l’oblio. Non appena abbiamo perso la fiducia in noi stessi per qualche tempo, l’equilibrio di potere nel mondo si è rivelato disturbato.
Ciò ha portato al fatto che i precedenti trattati e accordi non sono più in vigore. La persuasione e le richieste non aiutano. Tutto ciò che non si addice all’egemone, al potere, viene dichiarato arcaico, obsoleto, non necessario. E viceversa: tutto ciò che sembra loro vantaggioso è presentato come la verità ultima, spinta a tutti i costi, rozzamente, con tutti i mezzi. I dissidenti sono messi in ginocchio.
Ciò di cui parlo ora non riguarda solo la Russia e non solo noi. Questo vale per l’intero sistema delle relazioni internazionali, e talvolta anche per gli stessi alleati degli Stati Uniti.
Certo, nella vita pratica, nelle relazioni internazionali, nelle regole per la loro regolamentazione, bisognava tener conto dei mutamenti della situazione mondiale e degli stessi equilibri di potere. Tuttavia, ciò avrebbe dovuto essere fatto in modo professionale, fluido, paziente, tenendo conto e rispettando gli interessi di tutti i paesi e comprendendo la nostra responsabilità. Invece no: (si è visto) uno stato di euforia da assoluta superiorità, una sorta di moderna forma di assolutismo, e anche sullo sfondo di un basso livello di cultura generale e arroganza, di coloro che hanno preparato, adottato e spinto decisioni vantaggiose solo per loro stessi. La situazione ha quindi iniziato a svilupparsi secondo uno scenario diverso.
Non bisogna cercare lontano per trovare degli esempi. In primo luogo, senza alcuna sanzione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, hanno condotto una sanguinosa operazione militare contro Belgrado, utilizzando aerei e missili proprio nel centro dell’Europa. Diverse settimane di continui bombardamenti di città civili, su infrastrutture di supporto vitale. Dobbiamo ricordare questi fatti, anche se ad alcuni colleghi occidentali non piace ricordare quegli eventi e quando ne parliamo preferiscono indicare non le norme del diritto internazionale, ma le circostanze che interpretano come meglio credono.
Poi è stata la volta dell’Iraq, della Libia, della Siria. L’uso illegittimo della forza militare contro la Libia, la perversione di tutte le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla questione libica hanno portato alla completa distruzione dello Stato, all’emergere di un enorme focolaio di terrorismo internazionale, al fatto che il Paese è precipitato in una catastrofe umanitaria che non si ferma da molti anni la guerra civile. La tragedia, che ha condannato centinaia di migliaia, milioni di persone non solo in Libia, ma in tutta questa regione, ha dato luogo a un massiccio esodo migratorio dal Nord Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa.
Un destino simile era stato preparato per la Siria. I combattimenti della coalizione occidentale sul territorio di questo Paese senza il consenso del governo siriano e senza la sanzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu non sono state altro che una aggressione.
Tuttavia, un posto speciale in questa serie è occupato, ovviamente, dall’invasione dell’Iraq, anche quella senza alcun fondamento giuridico. Come pretesto, hanno scelto informazioni affidabili presumibilmente disponibili per gli Stati Uniti sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. A riprova di ciò, pubblicamente, davanti al mondo intero, il Segretario di Stato americano agitò una specie di provetta con polvere bianca, assicurando a tutti che fosse l’arma chimica sviluppata in Iraq. E poi si è scoperto che tutto questo era una bufala, un bluff: non c’erano armi chimiche in Iraq. Incredibile, sorprendente, ma il fatto resta. C’erano bugie al più alto livello statale e alle Nazioni Unite. E di conseguenza: enormi perdite, distruzione, un’incredibile ondata di terrorismo.
In generale si ha l’impressione che praticamente ovunque, in molte regioni del mondo, dove l’Occidente viene a stabilire il proprio ordine, il risultato siano ferite sanguinanti e non rimarginate, ulcere del terrorismo internazionale e dell’estremismo. Tutto ciò che ho detto è il più eclatante, ma non l’unico esempio di disprezzo del diritto internazionale.
Ci avevano promesso di non espandere la NATO di un pollice a est. Ripeto: mi hanno ingannato. Sì, si sente spesso dire che la politica è un affare sporco. Forse, ma non nella stessa misura, non nella stessa misura. Dopotutto, tale comportamento imbroglione contraddice non solo i principi delle relazioni internazionali, ma soprattutto le norme morali generalmente riconosciute. Dov’è la giustizia e la verità qui? Solo un mucchio di bugie e ipocrisie.
A proposito, politici, scienziati politici e giornalisti americani stessi scrivono e parlano del fatto che negli ultimi anni negli Stati Uniti si è creato un vero e proprio “impero delle bugie”. È difficile non essere d’accordo, è vero. Ma gli Stati Uniti sono ancora un grande Paese, una potenza che fa sistema. Tutti i suoi satelliti non solo danno rassegnato e doveroso assenso, cantano insieme a lei per qualsiasi motivo, ma copiano anche il suo comportamento, accettano con entusiasmo le regole che propone. Pertanto, a ragione, possiamo affermare con sicurezza che l’intero cosiddetto blocco occidentale, formato dagli Stati Uniti a propria immagine e somiglianza, è tutto il vero “impero della menzogna”.
Quanto al nostro Paese, dopo il crollo dell’URSS, con tutta l’apertura senza precedenti della nuova Russia moderna, la disponibilità a lavorare onestamente con gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali, e nelle condizioni di un disarmo praticamente unilaterale, hanno subito cercato di metterci alle strette, finirci e distruggerci completamente. Questo è esattamente ciò che è successo negli anni ’90, all’inizio degli anni 2000, quando il cosiddetto Occidente ha sostenuto più attivamente il separatismo e le bande mercenarie nella Russia meridionale. Quali sacrifici, quali perdite ci costò tutto questo allora, quali prove abbiamo dovuto affrontare prima di spezzare finalmente la schiena al terrorismo internazionale nel Caucaso. Lo ricordiamo e non lo dimenticheremo mai.
Sì, infatti, fino a poco tempo fa, non si sono fermati i tentativi di distruggere i nostri valori tradizionali e di imporci i loro pseudo-valori che corroderebbero noi, la nostra gente dall’interno, quegli atteggiamenti che stanno già piantando in modo aggressivo nei loro paesi e che portano direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contraddicono la natura stessa dell’uomo. Non succederà, nessuno l’ha mai fatto. Non funzionerà neanche adesso.
Nonostante tutto, nel dicembre 2021, abbiamo comunque tentato ancora una volta di concordare con gli Stati Uniti e i suoi alleati dei principi per garantire la sicurezza in Europa e sulla non espansione della NATO. Tutto è stato vano. La posizione degli Stati Uniti non cambia. Non ritengono necessario negoziare con la Russia su questa questione fondamentale per noi, perseguendo i propri obiettivi, trascurando i nostri interessi.
E ovviamente, in questa situazione, abbiamo una domanda: cosa fare dopo, cosa aspettarsi? Sappiamo bene dalla storia come negli anni Quaranta l’Unione Sovietica abbia cercato in tutti i modi di prevenire o almeno ritardare lo scoppio della guerra. A tal fine, tra l’altro, ha cercato letteralmente fino all’ultimo di non provocare un potenziale aggressore, non ha compiuto o rimandato le azioni più necessarie e ovvie per prepararsi a respingere un inevitabile attacco. E quei passi che furono fatti alla fine si rivelarono catastroficamente ritardatari.
Di conseguenza, il paese non era pronto ad affrontare pienamente l’invasione della Germania nazista, che attaccò la nostra Patria il 22 giugno 1941 senza dichiarare guerra. Il nemico fu fermato e poi schiacciato, ma a un costo colossale. Un tentativo di placare l’aggressore alla vigilia della Grande Guerra Patriottica si è rivelato un errore che è costato caro al nostro popolo. Nei primissimi mesi di ostilità abbiamo perso territori enormi e strategicamente importanti e milioni di persone. La seconda volta che non permetteremo un errore del genere, non abbiamo alcun diritto.
Coloro che rivendicano il dominio del mondo, pubblicamente, impunemente e, sottolineo, senza alcun motivo, dichiarano noi, la Russia, il loro nemico. Infatti, oggi hanno grandi capacità finanziarie, scientifiche, tecnologiche e militari. Ne siamo consapevoli e valutiamo oggettivamente le minacce che ci vengono costantemente rivolte in ambito economico, nonché la nostra capacità di resistere a questo ricatto sfacciato e permanente. Ripeto, li valutiamo senza illusioni, in modo estremamente realistico.
Per quanto riguarda la sfera militare, la Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più importanti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di ultimi tipi di armi. A questo proposito, nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che un attacco diretto al nostro Paese porterà alla sconfitta e alle terribili conseguenze per qualsiasi potenziale aggressore.
Allo stesso tempo, le tecnologie, comprese le tecnologie di difesa, stanno cambiando rapidamente. La leadership in quest’area sta passando e continuerà a passare di mano, ma lo sviluppo militare dei territori adiacenti ai nostri confini, se lo consentiamo, durerà per decenni a venire, e forse per sempre, e creerà un quadro sempre crescente di minaccia inaccettabile per la Russia.
Anche ora, mentre la NATO si espande ad est, la situazione per il nostro Paese sta peggiorando e diventando ogni anno più pericolosa. Inoltre, in questi giorni, la leadership della NATO ha parlato apertamente della necessità di accelerare, accelerare l’avanzamento delle infrastrutture dell’Alleanza fino ai confini della Russia. In altre parole, stanno rafforzando la loro posizione. Non possiamo più semplicemente continuare a osservare ciò che sta accadendo. Sarebbe assolutamente irresponsabile da parte nostra.
L’ulteriore espansione delle infrastrutture dell’Alleanza del Nord Atlantico, lo sviluppo militare dei territori dell’Ucraina che è iniziato, è per noi inaccettabile. Il punto, ovviamente, non è l’organizzazione NATO in sé, è solo uno strumento della politica estera statunitense. Il problema è che nei territori a noi adiacenti, noterò, nei nostri stessi territori storici, si sta creando un sistema “anti-Russia” a noi ostile, che è stato posto sotto il completo controllo esterno, è intensamente colonizzato dalle forze armate dei paesi della NATO ed è dotato delle armi più moderne.
Per gli Stati Uniti e i suoi alleati, questa è la cosiddetta politica di contenimento della Russia, con evidenti dividendi geopolitici. E per il nostro paese, questa è in definitiva una questione di vita o di morte, una questione del nostro futuro storico come popolo. E questa non è un’esagerazione, è vero. Questa è una vera minaccia non solo per i nostri interessi, ma anche per l’esistenza stessa del nostro Stato, la sua sovranità. Questa è la linea rossa di cui si è parlato molte volte. L’hanno superata.
A questo proposito, e sulla situazione nel Donbass. Vediamo che le forze che hanno compiuto un colpo di stato in Ucraina nel 2014 hanno abbandonato la soluzione pacifica del conflitto. Per otto anni, otto anni infiniti, abbiamo fatto tutto il possibile per risolvere la situazione con mezzi pacifici e politici. Tutto invano.
Come ho detto nel mio discorso precedente, non si può guardare ciò che sta accadendo lì senza compassione. Era semplicemente impossibile sopportare tutto questo. Era necessario fermare immediatamente questo incubo: il genocidio contro i milioni di persone che vivono lì, che fanno affidamento solo sulla Russia, sperano solo in noi. Sono state queste aspirazioni, sentimenti, dolore delle persone che sono state per noi il motivo principale per prendere la decisione di riconoscere le repubbliche popolari del Donbass.
C’è poi una cosa che penso sia importante sottolineare ulteriormente. I principali paesi della NATO, al fine di raggiungere i propri obiettivi, sostengono in tutto i nazionalisti estremisti e neonazisti in Ucraina, che, a loro volta, non perdoneranno mai i residenti di Crimea e Sebastopoli per la loro libera scelta: la riunificazione con la Russia.
Ovviamente saliranno in Crimea, e proprio come nel Donbass, con una guerra, per uccidere, proprio come le bande dei nazionalisti ucraini, complici di Hitler, uccisero persone indifese durante la Grande Guerra Patriottica. Dichiarano apertamente di rivendicare un certo numero di altri territori russi.
L’intero corso degli eventi e l’analisi delle informazioni in arrivo mostra che lo scontro della Russia con queste forze è inevitabile. È solo questione di tempo: si stanno preparando, aspettano il momento giusto. Ora affermano anche di possedere armi nucleari. Non permetteremo che ciò avvenga.
Come ho detto prima, dopo il crollo dell’URSS, la Russia ha accettato nuove realtà geopolitiche. Rispettiamo e continueremo a trattare con rispetto tutti i paesi di nuova formazione nello spazio post-sovietico. Rispettiamo e continueremo a rispettare la loro sovranità, e un esempio di ciò è l’assistenza che abbiamo fornito al Kazakistan, che ha dovuto affrontare eventi tragici, con una sfida alla sua statualità e integrità. Ma la Russia non può sentirsi al sicuro, svilupparsi, esistere con una minaccia costante proveniente dal territorio dell’Ucraina moderna.
Permettetemi di ricordarvi che nel 2000-2005 abbiamo respinto i terroristi nel Caucaso, abbiamo difeso l’integrità del nostro Stato, salvato la Russia. Nel 2014 abbiamo sostenuto i residenti della Crimea e di Sebastopoli. Nel 2015, le forze armate sono riuscite a creare una barriera affidabile alla penetrazione dei terroristi dalla Siria in Russia. Non avevamo altro modo per proteggerci.
La stessa cosa sta accadendo ora. Semplicemente a te e a me non è stata lasciata alcuna altra opportunità per proteggere la Russia, il nostro popolo, ad eccezione di quella che saremo costretti a sfruttare oggi. Le circostanze richiedono un’azione decisa e immediata. Le repubbliche popolari del Donbass si sono rivolte alla Russia con una richiesta di aiuto.
A questo proposito, ai sensi dell’articolo 51 della parte 7 della Carta delle Nazioni Unite, con l’approvazione del Consiglio della Federazione russa e in applicazione dei trattati di amicizia e assistenza reciproca ratificati dall’Assemblea federale il 22 febbraio di quest’anno con il Donetsk Repubblica popolare e Repubblica popolare di Luhansk, ho deciso di condurre un’operazione militare speciale.
Il suo obiettivo è proteggere le persone che sono state oggetto di bullismo e genocidio da parte del regime di Kiev per otto anni. E per questo ci adopereremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, nonché per assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso numerosi crimini sanguinosi contro i civili, compresi i cittadini della Federazione Russa.
Allo stesso tempo, i nostri piani non includono l’occupazione dei territori ucraini. Non imporremo nulla a nessuno con la forza. Allo stesso tempo, sentiamo che negli ultimi tempi in Occidente ci sono sempre più parole che i documenti firmati dal regime totalitario sovietico, che consolidano i risultati della seconda guerra mondiale, non dovrebbero più essere eseguiti. Ebbene, qual è la risposta a questo?
I risultati della seconda guerra mondiale, così come i sacrifici fatti dal nostro popolo sull’altare della vittoria sul nazismo, sono sacri. Ma questo non contraddice gli alti valori dei diritti umani e delle libertà, basati sulle realtà che si sono sviluppate oggi in tutti i decenni del dopoguerra. Inoltre, non annulla il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, sancito dall’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.
Lascia che ti ricordi che né durante la creazione dell’URSS, né dopo la seconda guerra mondiale, le persone che vivono in determinati territori che fanno parte dell’Ucraina moderna, nessuno si è mai chiesto come vogliono organizzare la propria vita. La nostra politica si basa sulla libertà, la libertà di scelta per ciascuno di determinare autonomamente il proprio futuro e il futuro dei propri figli. E riteniamo importante che questo diritto – il diritto di scelta – possa essere utilizzato da tutti i popoli che vivono sul territorio dell’odierna Ucraina, da chiunque lo desideri.
A questo proposito, mi rivolgo ai cittadini ucraini. Nel 2014, la Russia è stata obbligata a proteggere gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli da coloro che tu stesso chiami “nazisti”. I residenti della Crimea e di Sebastopoli hanno scelto di stare con la loro patria storica, con la Russia, e noi lo abbiamo sostenuto. Ripeto, semplicemente non potremmo fare altrimenti.
Gli eventi di oggi non sono collegati al desiderio di violare gli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino. Sono legati alla protezione della stessa Russia da coloro che hanno preso in ostaggio l’Ucraina e stanno cercando di usarla contro il nostro paese e il suo popolo.
Ripeto, le nostre azioni sono autodifesa contro le minacce che si stanno creando per noi e da un disastro ancora più grande di quello che sta accadendo oggi. Per quanto difficile possa essere, vi chiedo di capirlo e di chiedere collaborazione per voltare al più presto questa tragica pagina e andare avanti insieme, per non permettere a nessuno di interferire nei nostri affari, nelle nostre relazioni, ma per costruirli da soli, in modo che crei le condizioni necessarie per superare tutti i problemi e, nonostante la presenza di confini statali, ci rafforzi dall’interno nel suo insieme. Io credo in questo – in questo è il nostro futuro.
Vorrei anche rivolgermi al personale militare delle forze armate ucraine.
Cari compagni! I vostri padri, nonni, bisnonni non hanno combattuto i nazisti, difendendo la nostra Patria comune, affinché i neonazisti di oggi prendessero il potere in Ucraina. Hai giurato fedeltà al popolo ucraino e non alla giunta antipopolare che saccheggia l’Ucraina e deride queste stesse persone.
Non seguire i suoi ordini criminali. Vi esorto a deporre immediatamente le armi e ad andare a casa. Mi spiego meglio: tutti i militari dell’esercito ucraino che soddisfano questo requisito potranno lasciare liberamente la zona di combattimento e tornare dalle loro famiglie.
Ancora una volta, sottolineo con forza: ogni responsabilità per un possibile spargimento di sangue sarà interamente sulla coscienza del regime che regna sul territorio dell’Ucraina.
Ora, alcune parole importanti, molto importanti per coloro che potrebbero essere tentati di intervenire negli eventi in corso. Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, dovrebbe sapere che la risposta della Russia sarà immediata e porterà a conseguenze mai sperimentate nella tua storia. Siamo pronti per qualsiasi sviluppo di eventi. Tutte le decisioni necessarie al riguardo sono state prese. Spero di essere ascoltato.
Cari cittadini russi!
Il benessere, l’esistenza stessa di interi stati e popoli, il loro successo e la loro vitalità hanno sempre origine nel potente apparato radicale della loro cultura e valori, esperienze e tradizioni dei loro antenati e, ovviamente, dipendono direttamente dalla capacità di adattarsi rapidamente a una vita in continuo cambiamento, sulla coesione della società, sulla sua disponibilità a consolidarsi, a raccogliere tutte le forze per andare avanti.
Le forze sono necessarie sempre – sempre, ma la forza può essere di qualità diversa. Al centro della politica dell’”impero della menzogna“, di cui ho parlato all’inizio del discorso, c’è principalmente la forza bruta e schietta. In questi casi, diciamo: “C’è potere, la mente non è necessaria”.
Tu ed io sappiamo che la vera forza è nella giustizia e nella verità, che è dalla nostra parte. E se è così, allora è difficile non essere d’accordo con il fatto che sono la forza e la prontezza a combattere che stanno alla base dell’indipendenza e della sovranità, sono le basi necessarie su cui puoi solo costruire in modo affidabile il tuo futuro, costruire la tua casa, la tua famiglia, la tua patria. .
Cari connazionali!
Sono fiducioso che i soldati e gli ufficiali delle forze armate russe devoti al loro paese adempiranno al loro dovere con professionalità e coraggio. Non ho dubbi che tutti i livelli di governo, gli specialisti responsabili della stabilità della nostra economia, del sistema finanziario, della sfera sociale, i capi delle nostre aziende e tutte le imprese russe agiranno in modo coordinato ed efficiente. Conto su una posizione consolidata e patriottica di tutti i partiti parlamentari e delle forze pubbliche.
In definitiva, come è sempre stato nella storia, il destino della Russia è nelle mani affidabili del nostro popolo multinazionale. E questo significa che le decisioni prese saranno attuate, gli obiettivi fissati saranno raggiunti, la sicurezza della nostra Patria sarà garantita in modo affidabile.
Credo nel vostro sostegno, in quella forza invincibile che ci dà il nostro amore per la Patria.
Vladimir Putin, 24 febbraio 2022
Al momento, sembra che i russi condurranno una profonda operazione di degradazione delle strutture militari e politiche dell’Ucraina su vasta scala. In effetti, anche per chi si occupa a modo suo di queste cose come me, nonostante l’interesse che mi ha portato a seguire in silenzio gli eventi recenti cercando di comprenderne la forma, nonostante avessi letto l’indomani il testo completo del lungo intervento di Putin, non avevo capito -fino in fondo- cosa stava dicendo. Ci piaccia o meno siamo comunque immersi nel bagno amniotico del mondo liquido-gassoso delle interpretazioni dominanti ed anche le più temperate facoltà critiche fanno fatica a rimanere lucide ed imperturbate. L’intervento diceva quello che avrebbe fatto, come, a che fini, che è poi questo è quello che ha iniziato a fare. Pensavamo fosse per lo più sceneggiata visibile sopra il livello occulto ovvero la trattativa che stava andando avanti da un bel po’ tra americani e russi, sul come ed in che modo iniziare un tavolo di trattativa ufficiale non solo sul problema ucraino, ma sul problema della sicurezza internazionale, inclusi i missili americani in Europa puntati su Mosca e molto altro. Ma pur sapendo questo, non abbiamo evidentemente voluto capire quanto quella trattativa stesse andando male e solo oggi capiamo, che in realtà stava andando malissimo ovvero da nessuna parte. Da qui, il rovesciamento del tavolo di Putin del tipo “chiacchiere a zero, adesso facciamo parlare i fatti e così vediamo chi è più duro”. Diceva Theodore Roosevelt “Parla gentilmente e portati un grosso bastone; andrai lontano”. Putin ha quindi deciso che parlare gentilmente non serve più ed il momento del “grosso bastone”.
Ora, è molto probabile scatterà verso i russi l’arma ritorsiva già annunciata da tempo, ovvero lo strozzamento finanziario inclusa l’esclusione dai circuiti SWIFT (il circuito che regola tutti i bonifici internazionali, i sistemi di pagamento interbancario), il sistema nervoso della finanza globale. Già annunciato da tempo, quindi già previsto da tempo, era lì che si voleva andare facendo fallire la trattativa sotterranea a cui già si sapeva Putin avrebbe reagito come sta reagendo. Per questo il povero Macron ha provato a farsi in quattro per evitare il destino annunciato, inutilmente. Ma evidentemente, Macron, Scholz, Draghi o chi per loro, in questo gioco sono vasi di coccio tra vasi di ferro e sembra che facciano pure finta di non saperlo. Ovviamente lo sanno benissimo, ma non lo sanno le loro popolazioni esposte ad una realtà da caverna platonica in technicolor e 3D. A quel punto, in risposta all’eventuale esclusione SWIFT, è molto probabile ci saranno contro-ritorsioni sulle forniture del gas in Europa, quella “… risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”. Una bella svegliata agli europei in modalità post-storica. Superfluo sottolineare le ricedute pratiche di questa eventualità. Come siamo finiti qui?
Innanzitutto, vorrei suggerire ai tanti che in questo momento sentono il bisogno di giudicare del bene e del male, del buono e del cattivo, di sintonizzarsi con la realtà. La realtà non ti chiede cosa ne pensi come se stessi giudicando una cosa che per quanto ti interessa, in pratica non ti riguarda. La realtà che si presenta oggi al nostro cospetto ci riguarderà sul piano concreto. Non so se avverrà, ma a questo punto è secondo me molto probabile che si procederà in escalation di ritorsioni e contro-ritorsioni e che queste colpiranno non solo il popolo ucraino e russo, ma anche europeo. Ne ho scritto tempo fa qui e vedo che negli ultimi giorni altri ben più famosi studiosi di cose geopolitiche, hanno intravisto in questa situazione, oltre alle questioni ucraine, la questione di fondo della relazione Russia-USA via Europa. Il contenzioso profondo è tra gli USA che vogliono stringere a sé i propri alleati in via esclusiva, contro Cina e Russia, per resistere il più a lungo possibile all’esito multipolare dell’ordine mondiale, un esito di cui ormai non si può più discutere il “se”, ma il “come e quando”.
Gli statunitensi sono un popolo che pesa solo meno del 5% del mondo ed ancora fa quasi il 25% del Pil mondiale, questa è la loro “ricchezza delle nazioni”, come si intuisce del tutto sproporzionata tra massa e valore. Questa sproporzione è garantita -anche- da varie forme di controllo su ampie porzioni del mondo, dirette ed indirette, ereditate dal dopoguerra. È la difesa di questa rete di dominio che impegna gli USA contro il destino multipolare di un mondo ormai a 8 miliardi di persone, prossime 10 miliardi (2050) in più di 200, diversi, Stati. Nel loro esclusivo interesse, com’è per altro ovvio che sia in termini realistici, vogliono decidere di come ordinare il mondo affinché permangano le condizioni che garantiscono quella sproporzione, da loro ritenuta “vitale”. Non esattamente il “popolo americano” che riceve i proventi di quella ricchezza in proporzioni tra più inique nel mondo occidentale, la sua parte che governa il Paese e questo sistema mondiale di interesse. Democratici, repubblicani, deep state, dopo possono anche litigare sul come farlo o come distribuirsi i proventi del bottino, ma comunque sempre indistinguibili gli uni dagli altri nell’imperativo di procurarselo.
Noi europei quindi siamo i veri destinatari del conflitto e del suo sciame di conseguenze. I princìpi, ammesso noi se ne abbia davvero, e l’ignavia ovvero il nostro non prenderci le reali responsabilità del mondo complesso, costano. Forse Putin, ci renderà noto quanto. Reso noto il costo delle possibili opzioni con cui risponderemo al “che fare?” postoci dalla cruda realtà, avremo l’ennesima sveglia dopo le ripetute crisi economiche e finanziarie, la crisi climatica ed ambientale, la crisi della democrazia, la crisi sanitaria e tutte le altre piccole-medie perturbazioni provenienti da un mondo la cui percezione realistica ci ostiniamo a rimuovere.
Chissà se basterà a farci passare dal preoccuparci all’occuparci, dubito. Ma dato che questa incertezza è basata su una ipotesi, speriamo di esserci sbagliati.
https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/02/24/se-non-te-ne-occupi-poi-ti-preoccupi/