Il buio che ci sta davanti: dove è diretta la guerra in Ucraina, di JOHN J. MEARSHEIMER_a cura di Roberto Buffagni

 Questo recentissimo articolo di John Mearsheimer, che traduciamo e pubblichiamo, raccoglie gli argomenti fondamentali degli interventi pubblici recenti e prossimi del grande studioso americano. Difficile sopravvalutarne l’importanza. In esso si ritrovano, corredati da un ampio apparato di note e documenti, gli elementi essenziali della situazione in Ucraina, e dei suoi prossimi, probabili sviluppi. Come d’uso, Mearsheimer li esprime con la massima semplicità e chiarezza, in uno sforzo di obiettività e perspicuità che gli fa onore.

Buona lettura,

Roberto Buffagni

 

https://mearsheimer.substack.com/p/the-darkness-ahead-where-the-ukraine?utm_source=profile&utm_medium=reader2

Il buio che ci sta davanti: dove è diretta la guerra in Ucraina

 

JOHN J. MEARSHEIMER

23 GIUGNO 2023

Questo articolo esamina la probabile traiettoria futura della guerra in Ucraina.[1] Affronterò due questioni principali.

 

Primo: è possibile un accordo di pace significativo? La mia risposta è no. Siamo in una guerra in cui entrambe le parti – l’Ucraina e l’Occidente da una parte e la Russia dall’altra – si vedono come una minaccia esistenziale che deve essere sconfitta. Dati gli obiettivi massimalisti di entrambe le parti, è quasi impossibile raggiungere un trattato di pace praticabile. Inoltre, le due parti hanno divergenze inconciliabili per quanto riguarda il territorio e il rapporto dell’Ucraina con l’Occidente. Il miglior risultato possibile è un conflitto congelato che potrebbe facilmente trasformarsi in una guerra calda. Il peggiore esito possibile è una guerra nucleare, che è improbabile ma non si può escludere.

 

In secondo luogo, qual è la parte che probabilmente vincerà la guerra? La Russia alla fine vincerà la guerra, anche se non sconfiggerà in modo decisivo l’Ucraina. In altre parole, non conquisterà tutta l’Ucraina, ciò che sarebbe necessario per raggiungere tre degli obiettivi di Mosca: rovesciare il regime, smilitarizzare il Paese e tagliare i legami di sicurezza di Kiev con l’Occidente. Ma finirà per annettere un’ampia porzione di territorio ucraino, trasformando l’Ucraina in un moncone di Stato disfunzionale. In altre parole, la Russia otterrà una brutta vittoria.

 

Prima di affrontare direttamente questi temi, sono necessarie tre considerazioni preliminari. Innanzitutto, sto cercando di prevedere il futuro, cosa non facile da fare, visto che viviamo in un mondo incerto. Pertanto, non sto sostenendo di avere la verità; infatti, alcune delle mie affermazioni potrebbero essere smentite. Inoltre, non sto dicendo ciò che vorrei che accadesse. Non sto facendo il tifo per una parte o per l’altra. Sto semplicemente dicendo ciò che penso accadrà con il procedere della guerra. Infine, non sto giustificando il comportamento russo o le azioni di nessuno degli Stati coinvolti nel conflitto. Sto solo spiegando le loro azioni.

 

Ora passiamo alla sostanza.

 

Dove siamo oggi

Per capire dove sta andando la guerra in Ucraina, è necessario innanzitutto valutare la situazione attuale. È importante sapere come i tre attori principali – Russia, Ucraina e Occidente – pensano alle minacce che li circondano e concepiscono i loro obiettivi. Quando parliamo di Occidente, tuttavia, ci riferiamo soprattutto agli Stati Uniti, poiché gli alleati europei prendono ordini da Washington, quando si tratta di Ucraina. È inoltre essenziale comprendere l’attuale situazione sul campo di battaglia. Cominciamo con le minacce che circondano la Russia e i suoi obiettivi.

 

Le minacce secondo la Russia

È chiaro sin dall’aprile 2008 che i leader russi considerano una minaccia esistenziale gli sforzi dell’Occidente per far entrare l’Ucraina nella NATO e farne un bastione occidentale ai confini della Russia. In effetti, il Presidente Putin e i suoi luogotenenti lo hanno ripetutamente sottolineato nei mesi precedenti l’invasione russa, quando stava diventando chiaro che l’Ucraina era quasi un membro de facto della NATO.[2] Dall’inizio della guerra, il 24 febbraio 2022, l’Occidente ha aggiunto un ulteriore livello a questa minaccia esistenziale, adottando una nuova serie di obiettivi che i leader russi non possono fare a meno di considerare estremamente minacciosi. Di seguito dirò di più sugli obiettivi occidentali, ma è sufficiente dire che l’Occidente è determinato a sconfiggere la Russia e ad espellerla dai ranghi delle grandi potenze, se non a provocare un cambiamento di regime o addirittura a innescare una disgregazione della Russia analoga a quella dell’Unione Sovietica nel 1991.

 

In un importante discorso pronunciato lo scorso febbraio (2023), Putin ha sottolineato che l’Occidente è una minaccia mortale per la Russia. “Durante gli anni che hanno seguito la dissoluzione dell’Unione Sovietica“, ha detto, “l’Occidente non ha mai smesso di cercare di incendiare gli Stati post-sovietici e, soprattutto, di finire la Russia in quanto maggiore porzione sopravvissuta dell’estensione storica del nostro Stato. Hanno incoraggiato i terroristi internazionali ad aggredirci, hanno provocato conflitti regionali lungo il perimetro dei nostri confini, hanno ignorato i nostri interessi e hanno cercato di contenere e sopprimere la nostra economia“. Ha poi sottolineato che “l’élite occidentale non fa mistero del suo obiettivo, che è, cito, ‘la sconfitta strategica della Russia’. Cosa significa questo per noi? Significa che hanno intenzione di finirci una volta per tutte“. Putin ha poi aggiunto che: “questo rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro Paese“.[3] I leader russi vedono anche il regime di Kiev come una minaccia per la Russia, non solo perché è strettamente alleato con l’Occidente, ma anche perché lo considerano figlio delle forze fasciste ucraine che hanno combattuto a fianco della Germania nazista contro l’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale.[4]

 

Gli obiettivi della Russia

La Russia deve vincere questa guerra, poiché ritiene di dover affrontare una minaccia alla propria sopravvivenza. Ma che aspetto ha la vittoria? Il risultato ideale, prima dell’inizio della guerra nel febbraio 2022, era trasformare l’Ucraina in uno Stato neutrale e risolvere la guerra civile nel Donbass, che opponeva il governo ucraino ai russi etnici e ai russofoni che volevano una maggiore autonomia, se non l’indipendenza, per la loro regione. Sembra che questi obiettivi fossero ancora realistici durante il primo mese di guerra, e sono stati infatti alla base dei negoziati di Istanbul tra Kiev e Mosca nel marzo 2022.[5] Se all’epoca i russi avessero raggiunto questi obiettivi, l’attuale guerra sarebbe stata evitata o sarebbe finita rapidamente.

 

Ma un accordo che soddisfi gli obiettivi della Russia non è più possibile. L’Ucraina e la NATO sono legate a doppio filo per il prossimo futuro e nessuna delle due è disposta ad accettare la neutralità ucraina. Inoltre, il regime di Kiev è un anatema per i leader russi, che lo vogliono eliminare. Essi parlano non solo di “de-nazificare” l’Ucraina, ma anche di “smilitarizzarla”, due obiettivi che presumibilmente richiederebbero la conquista di tutta l’Ucraina, la costrizione alla resa delle sue forze militari e l’insediamento di un regime amichevole a Kiev[6].

 

Una vittoria decisiva di questo tipo non è probabile per una serie di ragioni. L’esercito russo non è abbastanza numeroso per un compito del genere, che richiederebbe probabilmente almeno due milioni di uomini.[7] In effetti, l’attuale esercito russo ha difficoltà a conquistare tutto il Donbass. Inoltre, l’Occidente farebbe di tutto per impedire alla Russia di conquistare tutta l’Ucraina. Infine, i russi finirebbero per occupare enormi quantità di territorio densamente popolato da ucraini etnici che detestano i russi e si opporrebbero ferocemente all’occupazione. Cercare di conquistare tutta l’Ucraina e piegarla alla volontà di Mosca finirebbe sicuramente in un disastro.

 

A parte la retorica sulla de-nazificazione e la smilitarizzazione dell’Ucraina, gli obiettivi concreti della Russia prevedono la conquista e l’annessione di un’ampia porzione di territorio ucraino, trasformando al contempo l’Ucraina in un moncone di Stato disfunzionale. In questo modo, la capacità dell’Ucraina di condurre una guerra contro la Russia sarebbe notevolmente ridotta ed è improbabile che essa si qualifichi per l’adesione all’UE o alla NATO. Inoltre, un’Ucraina distrutta sarebbe particolarmente vulnerabile alle interferenze russe nella sua politica interna. In breve, l’Ucraina non sarebbe un bastione occidentale al confine con la Russia.

 

Che aspetto avrebbe questo stato disfunzionale? Mosca ha ufficialmente annesso la Crimea e altri quattro oblast’ ucraini – Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporozhe – che insieme rappresentano circa il 23% del territorio totale dell’Ucraina prima dello scoppio della crisi nel febbraio 2014. I leader russi hanno sottolineato di non avere alcuna intenzione di cedere quel territorio, che in parte non è ancora controllato dalla Russia. In effetti, c’è motivo di pensare che la Russia annetterà altro territorio ucraino, se avrà la capacità militare di farlo a un costo ragionevole. È difficile, tuttavia, dire quanto ulteriore territorio ucraino Mosca cercherà di annettere, come chiarisce Putin stesso[8].

 

È probabile che il pensiero russo sia influenzato da tre calcoli. Mosca ha un forte incentivo a conquistare e annettere permanentemente il territorio ucraino che è densamente popolato da etnie russe e russofone. Vorrà proteggerli dal governo ucraino – che è diventato ostile a tutto ciò che è russo – e assicurarsi che in Ucraina non ci sia una guerra civile come quella che ha avuto luogo nel Donbass tra il febbraio 2014 e il febbraio 2022. Allo stesso tempo, la Russia vorrà evitare di controllare un territorio largamente popolato da ucraini di etnia ostile, il che pone limiti significativi a un’ulteriore espansione russa. Infine, per trasformare l’Ucraina in un moncone di Stato disfunzionale bisognerà che Mosca si appropri di notevoli quantità di territorio ucraino, in modo da essere ben posizionata per arrecare danni significativi alla sua economia. Il controllo di tutte le coste ucraine lungo il Mar Nero, ad esempio, darebbe a Mosca una notevole influenza economica su Kiev.

 

Questi tre calcoli suggeriscono che la Russia probabilmente tenterà di annettere i quattro oblast’ – Dnipropetrovsk, Kharkiv, Mykolaiv e Odessa – che si trovano immediatamente a ovest dei quattro oblast’ che ha già annesso – Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporozhe. Se ciò accadesse, la Russia controllerebbe circa il 43% del territorio ucraino prima del 2014.[9] Dmitri Trenin, uno dei principali strateghi russi, ritiene che i leader russi cercherebbero di conquistare ancora più territorio ucraino, spingendosi a ovest nell’Ucraina settentrionale fino al fiume Dnieper e prendendo la parte di Kiev che si trova sulla sponda orientale del fiume. Scrive che “un passo logico successivo“, dopo aver preso tutta l’Ucraina da Kharkiv a Odessa, “sarebbe quello di espandere il controllo russo a tutta l’Ucraina a est del fiume Dnieper, compresa la parte di Kiev che si trova sulla sponda orientale del fiume. Se ciò accadesse, lo Stato ucraino si ridurrebbe fino a comprendere solo le regioni centrali e occidentali del Paese“.[10]

 

Le minacce secondo l’Occidente

Può sembrare difficile da credere oggi, ma prima dello scoppio della crisi ucraina nel febbraio 2014, i leader occidentali non vedevano la Russia come una minaccia per la sicurezza. I leader della NATO, ad esempio, al vertice dell’Alleanza del 2010 a Lisbona, parlavano con il presidente russo di “una nuova fase di cooperazione verso un vero partenariato strategico”.[11] Non sorprende che l’espansione della NATO prima del 2014 non fosse giustificata in termini di contenimento di una Russia pericolosa. In realtà, è stata la debolezza russa a permettere all’Occidente di far passare a Mosca le prime due tranche di espansione della NATO, nel 1999 e nel 2004, e poi a permettere all’amministrazione di George W. Bush di pensare, nel 2008, che fosse possibile costringere la Russia ad accettare l’ingresso nell’alleanza di Georgia e Ucraina. Ma questa ipotesi si è rivelata sbagliata e quando nel 2014 è scoppiata la crisi ucraina, l’Occidente ha improvvisamente iniziato a dipingere la Russia come un nemico pericoloso che doveva essere contenuto, se non indebolito[12].

 

Dall’inizio della guerra nel febbraio 2022, la percezione dell’Occidente nei confronti della Russia si è costantemente inasprita fino al punto in cui Mosca sembra essere vista come una minaccia esistenziale. Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO sono profondamente coinvolti nella guerra dell’Ucraina contro la Russia. In realtà, fanno praticamente tutto tranne premere il grilletto o i comandi per l’invio dei missili.[13] Inoltre, hanno chiarito il loro impegno inequivocabile a vincere la guerra e a mantenere la sovranità dell’Ucraina. Pertanto, perdere la guerra avrebbe conseguenze enormemente negative per Washington e per la NATO. La reputazione di competenza e affidabilità dell’America ne risulterebbe gravemente danneggiata, con ripercussioni sul modo in cui i suoi alleati e i suoi avversari – in particolare la Cina – si rapporterebbero con gli Stati Uniti. Inoltre, quasi tutti i Paesi europei che fanno parte della NATO ritengono che l’alleanza sia un ombrello di sicurezza insostituibile. Pertanto, la possibilità che la NATO venga gravemente danneggiata – forse addirittura distrutta – se la Russia vince in Ucraina è motivo di profonda preoccupazione tra i suoi membri.

 

Inoltre, i leader occidentali dipingono spesso la guerra in Ucraina come parte integrante di una più ampia lotta globale tra autocrazia e democrazia, in una prospettiva intrinsecamente manichea. Inoltre, si dice che il futuro del sacrosanto ordine internazionale basato sulle regole dipenda dalla vittoria contro la Russia. Come ha detto Re Carlo lo scorso marzo (2023), “la sicurezza dell’Europa e i nostri valori democratici sono minacciati“.[14] Allo stesso modo, una risoluzione introdotta nel Congresso degli Stati Uniti in aprile dichiara: “Gli interessi degli Stati Uniti, la sicurezza europea e la causa della pace internazionale dipendono dalla… vittoria ucraina“.[15] Un recente articolo del Washington Post illustra il modo in cui l’Occidente tratta la Russia come una minaccia esistenziale: “I leader degli oltre 50 altri Paesi che sostengono l’Ucraina hanno definito il loro sostegno come parte di una battaglia apocalittica per il futuro della democrazia e dello Stato di diritto internazionale contro l’autocrazia e l’aggressione, che l’Occidente non può permettersi di perdere“.[16]

 

Gli obiettivi dell’Occidente

Come dovrebbe essere chiaro, l’Occidente è fermamente impegnato a sconfiggere la Russia. Il Presidente Biden ha ripetutamente affermato che gli Stati Uniti sono in questa guerra per vincere. “L’Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia“. Deve finire con un “fallimento strategico“. Washington, ha sottolineato, resterà in lotta “per tutto il tempo necessario“.[17] In particolare, l’obiettivo è sconfiggere l’esercito russo in Ucraina – cancellando le sue conquiste territoriali – e paralizzare l’ economia russa con sanzioni letali. In caso di successo, la Russia verrebbe estromessa dai ranghi delle grandi potenze, indebolendola al punto da non poter più minacciare di invadere l’Ucraina.[18] I leader occidentali hanno altri obiettivi, tra cui il cambio di regime a Mosca, la messa in stato d’accusa di Putin come criminale di guerra e l’eventuale smembramento della Russia in Stati più piccoli[19].

 

Al contempo, l’Occidente rimane impegnato a far entrare l’Ucraina nella NATO, anche se c’è disaccordo all’interno dell’alleanza su quando e come ciò avverrà.[20] Jens Stoltenberg, segretario generale dell’alleanza, ha dichiarato in una conferenza stampa a Kiev in aprile (2023) che “la posizione della NATO rimane invariata” e che ” l’Ucraina diventerà un membro dell’alleanza“. Allo stesso tempo, ha sottolineato che “il primo passo verso un’eventuale adesione dell’Ucraina alla NATO è garantire che l’Ucraina prevalga, ed è per questo che gli Stati Uniti e i loro partner hanno fornito un sostegno senza precedenti all’Ucraina“.[21] Dati questi obiettivi, è chiaro perché la Russia veda l’Occidente come una minaccia esistenziale.

 

Minacce e obiettivi dell’Ucraina

Non c’è dubbio che l’Ucraina si trovi di fronte a una minaccia esistenziale, dato che la Russia è intenzionata a smembrarla e ad assicurarsi che il nuovo Stato superstite non solo sia economicamente debole, ma non sia nemmeno un membro de facto o de jure della NATO. Non c’è dubbio, inoltre, che Kiev condivida l’obiettivo dell’Occidente di sconfiggere e indebolire seriamente la Russia, in modo da poter riconquistare il territorio perduto e tenerlo per sempre sotto il controllo ucraino. Come ha detto di recente il Presidente Zelensky al Presidente Xi Jinping, “non ci può essere una pace basata su compromessi territoriali“.[22] I leader ucraini restano, com’è naturale, fermamente impegnati ad aderire all’UE e alla NATO e a rendere l’Ucraina parte integrante dell’Occidente[23].

 

In sintesi, i tre attori principali della guerra in Ucraina credono tutti di dover affrontare una minaccia esistenziale, il che significa che ognuno di loro pensa di dover vincere la guerra o subire terribili conseguenze.

 

Il campo di battaglia oggi

Passando agli eventi sul campo di battaglia, la guerra si è evoluta in una guerra di logoramento in cui ogni parte è principalmente interessata a dissanguare l’altra, facendola arrendere. Naturalmente, entrambe le parti si preoccupano anche di catturare territorio, ma questo obiettivo è di secondaria importanza rispetto al logoramento dell’avversario.

 

L’esercito ucraino ha avuto il sopravvento nella seconda metà del 2022, il che gli ha permesso di riprendere territorio dalla Russia nelle regioni di Kharkiv e Kherson. Ma la Russia ha risposto a queste sconfitte mobilitando altri 300.000 uomini, riorganizzando l’esercito, accorciando le linee del fronte e imparando dai propri errori.[24] I combattimenti del 2023 si sono svolti nell’Ucraina orientale, principalmente nelle regioni di Donetsk e Zaporozhe. I russi hanno avuto la meglio, quest’anno, soprattutto perché hanno un vantaggio sostanziale nell’artiglieria, che è l’arma più importante nella guerra di logoramento.

 

Il vantaggio di Mosca è stato evidente nella battaglia per Bakhmut, che si è conclusa con la conquista della città da parte dei russi a fine maggio (2023). Sebbene le forze russe abbiano impiegato dieci mesi per prendere il controllo di Bakhmut, hanno inflitto enormi perdite alle forze ucraine con la loro artiglieria.[25] Poco dopo, il 4 giugno, l’Ucraina ha lanciato la sua tanto attesa controffensiva in diverse località delle regioni di Donetsk e Zaporozhe. L’obiettivo è penetrare nelle prime linee di difesa della Russia, sferrare un colpo sconvolgente alle forze russe e riprendersi una parte sostanziale del territorio ucraino ora sotto il controllo russo. In sostanza, l’obiettivo è duplicare i successi dell’Ucraina a Kharkiv e Kherson nel 2022.

 

Finora l’esercito ucraino ha fatto pochi progressi nel raggiungere questi obiettivi ed è invece impantanato in battaglie di logoramento mortali con le forze russe. Nel 2022, l’Ucraina ha avuto successo nelle campagne di Kharkiv e Kherson perché il suo esercito combatteva contro forze russe in inferiorità numerica, con una densità di presenza sul territorio troppo scarsa. Oggi non è così: L’Ucraina sta attaccando linee di difesa russe ben preparate. Ma anche se le forze ucraine dovessero sfondare queste linee difensive, le truppe russe stabilizzerebbero rapidamente il fronte e le battaglie di logoramento continuerebbero.[26] Gli ucraini sono in svantaggio in questi scontri perché i russi hanno un significativo vantaggio nella potenza di fuoco.

 

Dove siamo diretti

Permettetemi di cambiare marcia e di allontanarmi dal presente per parlare del futuro, iniziando da come gli eventi sul campo di battaglia potrebbero svolgersi in futuro. Come ho già detto, credo che la Russia vincerà la guerra, il che significa che finirà per conquistare e annettere un consistente territorio ucraino, lasciando l’Ucraina come uno stato disfunzionale. Se ho ragione, questa sarà una grave sconfitta per l’Ucraina e per l’Occidente.

 

C’è tuttavia un lato positivo in questo risultato: una vittoria russa riduce notevolmente la minaccia di una guerra nucleare, poiché è più probabile che si verifichi un’escalation nucleare se le forze ucraine ottengono vittorie sul campo di battaglia e minacciano di riprendersi tutti o la maggior parte dei territori che Kiev ha perso a favore di Mosca. È sicuro che i leader russi penserebbero seriamente di usare le armi nucleari per salvare la situazione. Naturalmente, se mi sbaglio sulla direzione della guerra e l’esercito ucraino prende il sopravvento e inizia a spingere le forze russe verso est, la probabilità di un uso del nucleare aumenterebbe in modo significativo, il che non significa che sarebbe una certezza.

 

Su cosa si basa la mia affermazione che i russi probabilmente vinceranno la guerra?

 

La guerra in Ucraina, come ho sottolineato, è una guerra di logoramento in cui la cattura e il mantenimento del territorio sono di secondaria importanza. L’obiettivo della guerra di logoramento è logorare le forze della controparte fino al punto in cui questa abbandona la battaglia o è talmente indebolita da non poter più difendere il territorio conteso.[27] Chi vince una guerra di logoramento è in gran parte funzione di tre fattori: il rapporto tra la determinazione delle due parti, l’equilibrio demografico tra di esse e la correlazione del numero di caduti. I russi hanno un vantaggio decisivo nella dimensione della popolazione e un netto vantaggio nella correlazione del numero di caduti; le due parti sono equamente bilanciate in quanto a determinazione.

 

Consideriamo l’equilibrio della determinazione. Come si è detto, sia la Russia che l’Ucraina ritengono di dover affrontare una minaccia esistenziale e, naturalmente, entrambe le parti sono pienamente impegnate a vincere la guerra. Pertanto, è difficile vedere una differenza significativa nella loro determinazione. Per quanto riguarda le dimensioni della popolazione, la Russia aveva un vantaggio di circa 3,5:1 prima dell’inizio della guerra nel febbraio 2022. Da allora, il rapporto si è notevolmente spostato a favore della Russia. Circa otto milioni di ucraini sono fuggiti dal Paese, sottraendo popolazione all’Ucraina. Circa tre milioni di questi emigranti sono andati in Russia, aggiungendosi alla sua popolazione. Inoltre, ci sono probabilmente altri quattro milioni di cittadini ucraini che vivono nei territori ora controllati dalla Russia, spostando ulteriormente lo squilibrio demografico a favore della Russia. Mettendo insieme questi numeri, la Russia ha un vantaggio di circa 5:1 in termini di popolazione[28].

 

Infine, c’è la correlazione del numero di caduti, questione controversa sin dall’inizio della guerra nel febbraio 2022. Il senso comune in Ucraina e in Occidente è che i livelli di caduti da entrambe le parti siano all’incirca uguali o che i russi abbiano subito più vittime degli ucraini. Il capo del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa ucraino, Oleksiy Danilov, arriva a sostenere che i russi hanno perso 7,5 soldati per ogni soldato ucraino nella battaglia per Bakhmut.[29] Queste affermazioni sono sbagliate. Le forze ucraine hanno sicuramente subito perdite molto maggiori rispetto ai loro avversari russi, per un motivo: la Russia ha molta più artiglieria dell’Ucraina.

 

Nella guerra di logoramento, l’artiglieria è l’arma più importante sul campo di battaglia. Nell’esercito americano, l’artiglieria è ampiamente conosciuta come “la regina delle battaglie”, perché è la principale responsabile dell’uccisione e del ferimento dei soldati in combattimento.[30] Pertanto, il rapporto tra artiglierie conta enormemente in una guerra di logoramento. Secondo quasi tutti i dati, i russi hanno un vantaggio nell’artiglieria compreso tra 5:1 e 10:1, il che pone l’esercito ucraino in una posizione di svantaggio significativo sul campo di battaglia.[31] Coeteris paribus, ci si aspetterebbe che la correlazione tra i caduti si avvicini alla correlazione tra artiglierie. Pertanto, correlazione tra i caduti dell’ordine di 2:1 a favore della Russia è una stima prudente.[32]

 

Una possibile sfida alla mia analisi è sostenere che la Russia è l’aggressore in questa guerra, e l’aggressore soffre invariabilmente livelli di perdite molto più alti rispetto al difensore, soprattutto se le forze attaccanti sono impegnate in ampi assalti frontali, che spesso si dice siano il modus operandi delle forze armate russe.[33] Dopo tutto, l’aggressore è allo scoperto e in movimento, mentre il difensore combatte principalmente da posizioni fisse che forniscono una copertura sostanziale. Questa logica è alla base della famosa regola empirica del 3:1, secondo la quale una forza attaccante ha bisogno di un numero di soldati almeno triplo rispetto a quello del difensore per vincere una battaglia.[34] Ma questa linea di argomentazione presenta dei problemi quando viene applicata alla guerra in Ucraina.

 

In primo luogo, non sono solo i russi ad aver avviato campagne offensive nel corso della guerra.[35] Infatti, gli ucraini hanno lanciato due grandi offensive lo scorso anno che hanno portato a vittorie ampiamente annunciate: l’offensiva di Kharkiv nel settembre 2022 e l’offensiva di Kherson tra agosto e novembre 2022. Sebbene gli ucraini abbiano ottenuto sostanziali guadagni territoriali in entrambe le campagne, l’artiglieria russa ha inflitto pesanti perdite alle forze attaccanti. Il 4 giugno gli ucraini hanno appena iniziato un’altra grande offensiva contro forze russe più numerose e molto più preparate di quelle contro cui hanno combattuto a Kharkiv e Kherson.

 

In secondo luogo, la distinzione tra attaccanti e difensori in una grande battaglia non è solitamente in bianco e nero. Quando un esercito attacca un altro esercito, il difensore lancia invariabilmente contrattacchi. In altre parole, il difensore passa all’attacco e l’attaccante alla difesa. Nel corso di una battaglia prolungata, è probabile che ogni schieramento finisca per attaccare e contrattaccare e per difendere posizioni fisse. Questo tira e molla spiega perché i rapporti di scambio di perdite nelle battaglie della Guerra Civile americana e della Prima Guerra Mondiale sono spesso più o meno uguali, non favorevoli all’esercito che ha iniziato sulla difensiva. In effetti, l’esercito che sferra il primo colpo a volte subisce meno perdite dell’esercito bersaglio.[36] In breve, la difesa di solito implica molto attacco.

 

Dai resoconti giornalistici ucraini e occidentali emerge chiaramente che le forze ucraine lanciano spesso contrattacchi contro le forze russe. Si consideri questo resoconto del Washington Post sui combattimenti dell’inizio di quest’anno a Bakhmut: “C’è questo movimento fluido in corso”, ha detto un primo tenente ucraino… Gli attacchi russi lungo il fronte permettono alle loro forze di avanzare di qualche centinaio di metri prima di essere respinte ore dopo. È difficile distinguere esattamente dove si trovi la linea del fronte perché si muove come una gelatina”, ha detto. “[37] Dato l’enorme vantaggio della Russia in termini di artiglieria, sembra ragionevole supporre che la correlazione dei caduti, in questi contrattacchi ucraini, favorisca i russi, probabilmente in modo asimmetrico.

 

In terzo luogo, i russi non stanno impiegando – almeno non spesso – assalti frontali su larga scala che mirano ad avanzare rapidamente e a catturare il territorio, ma esporrebbero le forze attaccanti al fuoco incessante dei difensori ucraini. Come ha spiegato il generale Sergej Surovikin nell’ottobre del 2022, quando era al comando delle forze russe in Ucraina, “abbiamo una strategia diversa… Risparmiamo ogni soldato e continuiamo a schiacciare il nemico che avanza“.[38] In effetti, le truppe russe hanno adottato tattiche intelligenti che riducono il livello di caduti.[39] La loro tattica preferita non è lanciare attacchi frontali su larga scala che mirano a conquistare rapidamente il territorio, ma che esporrebbero le forze d’attacco al fuoco feroce dei difensori ucraini. La loro tattica preferita è quella di lanciare attacchi di sondaggio contro le posizioni fisse ucraine con piccole unità di fanteria, che inducono le forze ucraine ad attaccarle con mortai e artiglieria.[40] Questa risposta permette ai russi di determinare dove si trovano i difensori ucraini e la loro artiglieria. I russi sfruttano quindi il loro grande vantaggio in termini di artiglieria per colpire gli avversari. In seguito, unità di fanteria russa avanzano nuovamente e, quando incontrano una seria resistenza ucraina, ripetono il procedimento. Queste tattiche spiegano perché la Russia sta facendo lenti progressi nella conquista del territorio ucraino.

 

Si potrebbe pensare che l’Occidente possa fare molto per pareggiare la correlazione dei caduti. fornendo all’Ucraina molti più tubi e proiettili di artiglieria, eliminando così il significativo vantaggio della Russia in quest’arma di importanza critica. Tuttavia, questo non accadrà presto, semplicemente perché né gli Stati Uniti né i loro alleati hanno la capacità industriale necessaria per produrre in massa tubi e proiettili d’artiglieria per l’Ucraina; e neppure possono aumentare la loro capacità industriale rapidamente.[41] Il meglio che l’Occidente possa fare – almeno per il prossimo anno – è mantenere l’attuale squilibrio di artiglieria tra Russia e Ucraina, ma anche questo sarà un compito difficile.

 

L’Ucraina può fare poco per rimediare al problema, perché la sua capacità di produrre armi è limitata. È quasi completamente dipendente dall’Occidente, non solo per l’artiglieria, ma per ogni tipo di sistema d’arma importante. La Russia, d’altra parte, aveva una formidabile capacità di produrre armi durante la guerra, che è stata incrementata dall’inizio dei combattimenti. Putin ha recentemente dichiarato: “La nostra industria della difesa sta guadagnando slancio ogni giorno. Nell’ultimo anno abbiamo aumentato la produzione militare di 2,7 volte. La nostra produzione delle armi più critiche è aumentata di dieci volte e continua ad aumentare. Gli impianti lavorano su due o tre turni e alcuni sono impegnati 24 ore su 24[42]. In breve, dato il triste stato della base industriale ucraina, l’Ucraina non è in grado di condurre una guerra di logoramento da sola. Può farlo solo con il sostegno dell’Occidente. Ma anche in questo caso, è destinata a perdere.

 

C’è stato un recente sviluppo che aumenta ulteriormente il vantaggio della Russia nella potenza di fuoco rispetto all’Ucraina. Per il primo anno di guerra, la potenza aerea russa ha avuto poca influenza su ciò che è accaduto nella guerra di terra, soprattutto perché le difese aeree dell’Ucraina erano abbastanza efficaci da tenere gli aerei russi lontani dalla maggior parte dei campi di battaglia. Ma i russi hanno seriamente indebolito le difese aeree dell’Ucraina, il che ora permette alle forze aeree russe di colpire le forze di terra ucraine sulle linee del fronte, o direttamente dietro di esse.[43] Inoltre, la Russia ha sviluppato la capacità di equipaggiare un suo enorme arsenale di bombe da 500 kg con kit di guida che le rendono particolarmente letali.[44]

 

In sintesi, la correlazione tra caduti e feriti continuerà a favorire i russi nel prossimo futuro, il che è molto importante in una guerra di logoramento. Inoltre, la Russia è in una posizione migliore per condurre una guerra di logoramento perché la sua popolazione è molto più numerosa di quella ucraina. L’unica speranza di Kiev di vincere la guerra è che la determinazione di Mosca crolli, ma ciò è improbabile, dato che i leader russi vedono l’Occidente come un pericolo esistenziale.

 

Prospettive di un accordo di pace negoziato

Un coro crescente di voci in tutto il mondo chiede a tutte le parti in causa nella guerra ucraina di abbracciare la diplomazia e negoziare un accordo di pace duraturo. Tuttavia, questo non accadrà. Ci sono troppi ostacoli formidabili per porre fine alla guerra in tempi brevi, tanto meno per trovare un accordo che produca una pace duratura. Il miglior risultato possibile è un conflitto congelato, in cui entrambe le parti continuano a cercare opportunità per indebolire l’altra parte e in cui il pericolo di nuovi scontri è sempre presente.

 

A livello più generale, la pace non è possibile perché ogni parte vede l’altra come una minaccia mortale che deve essere sconfitta sul campo di battaglia. In queste circostanze non c’è quasi spazio per il compromesso con l’altra parte. Ci sono anche due punti specifici di disputa tra le parti in guerra che sono irrisolvibili. Uno riguarda il territorio, l’altro la neutralità ucraina.[45] Quasi tutti gli ucraini sono profondamente impegnati a recuperare tutto il territorio perduto, compresa la Crimea.[46] Chi può biasimarli? Ma la Russia ha ufficialmente annesso la Crimea, Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporozhe ed è fermamente intenzionata a mantenere questo territorio. In realtà, c’è motivo di pensare che Mosca annetterà altro territorio ucraino, se ne avrà la possibilità.

 

L’altro nodo gordiano riguarda le relazioni dell’Ucraina con l’Occidente. Per comprensibili ragioni, l’Ucraina vuole una garanzia di sicurezza una volta terminata la guerra, che solo l’Occidente può fornire. Ciò significa l’adesione di fatto o di diritto alla NATO, poiché nessun altro Paese può proteggere l’Ucraina. Quasi tutti i leader russi, tuttavia, chiedono un’Ucraina neutrale, il che significa nessun legame militare con l’Occidente e quindi nessun ombrello di sicurezza per Kiev. Non c’è modo di far quadrare il cerchio.

 

Ci sono altri due ostacoli alla pace: il nazionalismo, che ora si è trasformato in ipernazionalismo, e la totale mancanza di fiducia da parte russa.

 

Il nazionalismo è una forza potente in Ucraina da oltre un secolo e l’antagonismo verso la Russia è stato a lungo uno dei suoi elementi centrali. Lo scoppio dell’attuale conflitto, il 22 febbraio 2014, ha alimentato questa ostilità, spingendo il parlamento ucraino ad approvare, il giorno successivo, una legge che limitava l’uso del russo e di altre lingue minoritarie, una mossa che ha contribuito a far precipitare la guerra civile nel Donbass.[47] L’annessione della Crimea da parte della Russia, poco dopo, ha peggiorato una situazione già difficile. Contrariamente al senso comune dell’Occidente, Putin aveva capito che l’Ucraina era una nazione separata dalla Russia e che il conflitto tra l’etnia russa e russofona che viveva nel Donbass e il governo ucraino riguardava la “questione nazionale“.[48] L’invasione russa dell’Ucraina, che ha contribuito a far precipitare la guerra civile nel Donbass, è stata un’azione che ha contribuito a peggiorare la situazione.

 

L’invasione russa dell’Ucraina, che mette direttamente i due Paesi l’uno contro l’altro in una guerra prolungata e sanguinosa, ha trasformato il nazionalismo in ipernazionalismo da entrambe le parti. Il disprezzo e l’odio nei confronti dell'”altro” soffocano le società russa e ucraina, creando potenti incentivi per eliminare questa minaccia, se necessario con la violenza. Gli esempi abbondano. Un importante settimanale di Kiev sostiene che famosi autori russi come Mikhail Lermontov, Fëdor Dostoevskij, Leone Tolstoj e Boris Pasternak sono “assassini, saccheggiatori, ignoranti“.[49] La cultura russa, dice un importante scrittore ucraino, rappresenta “la barbarie, l’omicidio e la distruzione“….. Questo è il destino della cultura del nemico [50].

 

Prevedibilmente, il governo ucraino è impegnato nella “de-russificazione” o “decolonizzazione“, che comporta l’eliminazione dalle biblioteche dei libri di autori russi, la ridenominazione di strade con nomi legati alla Russia, l’abbattimento di statue di personaggi come Caterina la Grande, la messa al bando della musica russa prodotta dopo il 1991, la rottura dei legami tra la Chiesa ortodossa ucraina e la Chiesa ortodossa russa e la riduzione al minimo dell’uso della lingua russa. Forse l’atteggiamento dell’Ucraina nei confronti della Russia è riassunto al meglio dal commento di Zelensky: “Non perdoneremo. Non dimenticheremo“.[51]

 

Passando al lato russo della medaglia, Anatol Lieven riferisce che “ogni giorno sulla TV russa si possono vedere insulti etnici pieni di odio rivolti agli ucraini“.[52] Non sorprende che i russi stiano lavorando per russificare e cancellare la cultura ucraina nelle aree che Mosca ha annesso. Queste misure includono il rilascio di passaporti russi, la modifica dei programmi scolastici, la sostituzione della grivna ucraina con il rublo russo, l’eliminazione di biblioteche e musei e la ridenominazione di città e paesi.[53] Bakhmut, ad esempio, è diventata Artemovsk e la lingua ucraina non viene più insegnata nelle scuole della regione di Donetsk.[54] A quanto pare, anche i russi non perdonano né dimenticano.

 

L’aumento dell’ipernazionalismo è prevedibile in tempo di guerra, non solo perché i governi si affidano pesantemente al nazionalismo per motivare la popolazione a sostenere il proprio Paese fino in fondo, ma anche perché la morte e la distruzione che derivano dalla guerra – soprattutto dalle guerre prolungate – spingono ogni parte a disumanizzare e odiare l’altro. Nel caso dell’Ucraina, l’aspro conflitto sull’identità nazionale getta benzina sul fuoco.

 

L’ipernazionalismo rende naturalmente più difficile la cooperazione tra le parti e dà alla Russia un motivo per impadronirsi di un territorio pieno di etnie russe e russofone. Presumibilmente, molti di loro preferirebbero vivere sotto il controllo russo, data l’ostilità del governo ucraino verso tutto ciò che è russo. Nel processo di annessione di queste terre, è probabile che i russi espellano un gran numero di ucraini etnici, soprattutto per il timore che si ribellino al dominio russo se rimangono. Questi sviluppi alimenteranno ulteriormente l’odio tra russi e ucraini, rendendo praticamente impossibile un compromesso sul territorio.

 

C’è un’ultima ragione per cui un accordo di pace duraturo non è fattibile. I leader russi non si fidano né dell’Ucraina né dell’Occidente per negoziare in buona fede, il che non significa che i leader ucraini e occidentali si fidino delle loro controparti russe. La mancanza di fiducia è evidente da tutte le parti, ma è particolarmente acuta da parte di Mosca a causa di una recente serie di rivelazioni.

 

La fonte del problema è ciò che è accaduto durante i negoziati per l’accordo di Minsk II del 2015, che costituiva un quadro per la chiusura del conflitto nel Donbass. Il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno avuto un ruolo centrale nella definizione di tale quadro, sebbene si siano ampiamente consultati sia con Putin che con il presidente ucraino Petro Poroshenko. Queste quattro persone sono state anche le protagoniste dei successivi negoziati. Non c’è dubbio che Putin si sia impegnato a far funzionare Minsk. Ma Hollande, Merkel e Poroshenko – così come Zelensky – hanno tutti chiarito che non erano interessati all’attuazione di Minsk, ma di averla vista invece come un’opportunità per far guadagnare tempo all’Ucraina per costruire le proprie forze armate in modo da poter affrontare l’insurrezione nel Donbass. Come ha detto la Merkel a “Die Zeit”, si trattava di “un tentativo di dare all’Ucraina il tempo… di diventare più forte“.[55] Allo stesso modo, Poroshenko ha detto: “Il nostro obiettivo era fermare la minaccia, o almeno ritardare la guerra – per assicurarci otto anni per ripristinare la crescita economica e creare potenti forze armate“.[56]

 

Poco dopo l’intervista rilasciata dalla Merkel a Die Zeit nel dicembre 2022, Putin ha dichiarato in una conferenza stampa: “Pensavo che gli altri partecipanti a questo accordo fossero almeno onesti, ma no, si è scoperto che anche loro ci stavano mentendo e volevano solo rifornire l’Ucraina di armi e prepararla a un conflitto militare“. Ha poi aggiunto che l’essere stato ingannato dall’Occidente gli ha fatto perdere l’opportunità di risolvere il problema dell’Ucraina in circostanze più favorevoli per la Russia: “A quanto pare, ci siamo orientati troppo tardi, ad essere onesti. Forse avremmo dovuto iniziare tutto questo [l’operazione militare] prima, ma speravamo solo di poterlo risolvere nel quadro degli accordi di Minsk“. Ha poi chiarito che la doppiezza dell’Occidente complicherà i futuri negoziati: “La fiducia è già quasi a zero, ma dopo queste dichiarazioni, come possiamo negoziare? Su cosa? Possiamo fare accordi con qualcuno e dove sono le garanzie?[57].

 

In sintesi, non c’è quasi nessuna possibilità che la guerra in Ucraina si concluda con un accordo di pace significativo. È invece probabile che la guerra si trascini per almeno un altro anno e che alla fine si trasformi in un conflitto congelato che potrebbe ritornare a essere una guerra guerreggiata.

 

 

Le conseguenze

L’assenza di un accordo di pace praticabile avrà una serie di terribili conseguenze. Le relazioni tra Russia e Occidente, ad esempio, rimarranno probabilmente profondamente ostili e pericolose nel prossimo futuro. Ciascuna delle due parti continuerà a demonizzare l’altra e a lavorare sodo per massimizzare la quantità di dolore e di problemi causati al rivale. Questa situazione prevarrà certamente se i combattimenti continueranno; ma anche se la guerra si trasformerà in un conflitto congelato, è improbabile che il livello di ostilità tra le due parti cambi molto.

 

Mosca cercherà di sfruttare le fratture esistenti tra i Paesi europei, lavorando al contempo per indebolire le relazioni transatlantiche e le istituzioni europee chiave come l’UE e la NATO. Visti i danni che la guerra ha causato e continua a causare all’economia europea, visto il crescente disincanto in Europa di fronte alla prospettiva di una guerra infinita in Ucraina e viste le differenze tra Europa e Stati Uniti riguardo al commercio con la Cina, i leader russi dovrebbero trovare terreno fertile per causare problemi in Occidente.[58] Questa ingerenza rafforzerà naturalmente la russofobia in Europa e negli Stati Uniti, peggiorando una situazione già di per sé negativa.

 

L’Occidente, da parte sua, manterrà le sanzioni su Mosca e ridurrà al minimo i rapporti economici tra le due parti, il tutto allo scopo di danneggiare l’economia russa. Inoltre, collaborerà sicuramente con l’Ucraina per contribuire a generare insurrezioni nei territori che la Russia ha sottratto all’Ucraina. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti e i loro alleati continueranno a perseguire una politica di contenimento a muso duro nei confronti della Russia, che molti ritengono sarà rafforzata dall’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO e dal dispiegamento di forze significative della NATO nell’Europa orientale.[59] Naturalmente, l’Occidente continuerà a impegnarsi per far entrare Georgia e Ucraina nella NATO, anche se è improbabile che ciò accada. Infine, le élites statunitensi ed europee manterranno sicuramente il loro entusiasmo per la promozione di un cambio di regime a Mosca, per poi processare Putin per le azioni della Russia in Ucraina.

 

Le relazioni tra la Russia e l’Occidente non solo rimarranno avvelenate in futuro, ma saranno anche pericolose, in quanto ci sarà la possibilità sempre presente di un’escalation nucleare o di una guerra tra grandi potenze tra la Russia e gli Stati Uniti[60].

 

La distruzione dell’Ucraina

L’Ucraina si trovava in gravi difficoltà economiche e demografiche prima dell’inizio della guerra dello scorso anno.[61] La devastazione inflitta all’Ucraina dall’invasione russa è orribile. Analizzando gli eventi del primo anno di guerra, la Banca Mondiale dichiara che l’invasione “ha richiesto un tributo inimmaginabile alla popolazione ucraina e all’economia del Paese, con una contrazione dell’attività pari a uno sconcertante 29,2% nel 2022“. Non sorprende che Kiev abbia bisogno di massicce iniezioni di aiuti stranieri solo per mantenere in funzione il governo, per tacere della guerra. Inoltre, la Banca Mondiale stima che i danni superino i 135 miliardi di dollari e che saranno necessari circa 411 miliardi di dollari per ricostruire l’Ucraina. La povertà, si legge, “è aumentata dal 5,5% nel 2021 al 24,1% nel 2022, spingendo 7,1 milioni di persone in più nella povertà e annullando 15 anni di progressi“.[62] Le città sono state distrutte, circa 8 milioni di ucraini sono fuggiti dal Paese e circa 7 milioni sono sfollati interni. Le Nazioni Unite hanno confermato 8.490 morti tra i civili, anche se ritengono che il numero reale sia “considerevolmente più alto“.[63] Sicuramente l’Ucraina ha subito oltre 100.000 caduti sul campo di battaglia.

 

Il futuro dell’Ucraina appare estremamente cupo. La guerra non mostra segni di cessazione a breve, il che significa più distruzione di infrastrutture e abitazioni, più distruzione di città e paesi, più morti civili e militari e più danni all’economia. Non solo l’Ucraina rischia di perdere ancora più territorio a favore della Russia, ma secondo la Commissione Europea, “la guerra ha avviato l’Ucraina su un percorso di declino demografico irreversibile“.[64] A peggiorare le cose, i russi faranno gli straordinari per mantenere la nuova Ucraina economicamente debole e politicamente instabile. Il conflitto in corso rischia anche di alimentare la corruzione, che da tempo è un problema acuto, e di rafforzare ulteriormente i gruppi estremisti in Ucraina. È difficile immaginare che Kiev possa mai soddisfare i criteri necessari per entrare nell’UE o nella NATO.

 

La politica degli Stati Uniti verso la Cina

La guerra in Ucraina sta ostacolando lo sforzo degli Stati Uniti di contenere la Cina, che è di fondamentale importanza per la sicurezza americana, dal momento che la Cina è un concorrente alla pari, mentre la Russia non lo è.[65] In effetti, la logica dell’equilibrio di potenza dice che gli Stati Uniti dovrebbero essere alleati con la Russia contro la Cina e rivolgere tutta la loro attenzione sull’Asia orientale. Invece, la guerra in Ucraina ha avvicinato Pechino e Mosca, fornendo alla Cina un potente incentivo per assicurarsi che la Russia non venga sconfitta e che gli Stati Uniti rimangano bloccati in Europa, ostacolando i loro sforzi di riorientamento verso l’Asia orientale.

 

Conclusione

Dovrebbe essere ormai evidente che la guerra in Ucraina è un enorme disastro che difficilmente finirà presto e che, quando finirà, il risultato non sarà una pace duratura. È necessario spendere qualche parola su come l’Occidente sia finito in questa terribile situazione.

 

Il senso comune sulle origini della guerra è che Putin abbia lanciato un attacco non provocato il 24 febbraio 2022, motivato dal suo grande piano di creare una grande Russia. L’Ucraina, si dice, era il primo Paese che intendeva conquistare e annettere, ma non l’ultimo. Come ho detto in numerose occasioni, non ci sono prove a sostegno di questa linea di argomentazione, anzi ci sono prove considerevoli che la contraddicono direttamente.[66] Sebbene non ci siano dubbi che la Russia abbia invaso l’Ucraina, la causa ultima della guerra è stata la decisione dell’Occidente – e qui stiamo parlando principalmente degli Stati Uniti – di fare dell’Ucraina un bastione occidentale al confine con la Russia. L’elemento chiave di questa strategia era l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, una mossa che non solo Putin, ma l’intero establishment della politica estera russa, vedeva come una minaccia esistenziale da eliminare.

 

Spesso si dimentica che numerosi politici e strateghi americani ed europei si sono opposti all’espansione della NATO fin dall’inizio, perché avevano capito che i russi l’avrebbero vista come una minaccia e che questa politica avrebbe portato al disastro. L’elenco degli oppositori comprende George Kennan, il Segretario alla Difesa del Presidente Clinton, William Perry, e il suo Capo dello Stato Maggiore, il Generale John Shalikashvili, Paul Nitze, Robert Gates, Robert McNamara, Richard Pipes e Jack Matlock, per citarne solo alcuni.[67] Al vertice NATO di Bucarest dell’aprile 2008, sia il Presidente francese Nicolas Sarkozy che il Cancelliere tedesco Angela Merkel si sono opposti al piano del Presidente George W. Bush di far entrare l’Ucraina nell’alleanza. La Merkel ha in seguito dichiarato che la sua opposizione si basava sulla convinzione che Putin l’avrebbe interpretata come una “dichiarazione di guerra“.[68]

 

Naturalmente, gli oppositori dell’espansione della NATO avevano ragione, ma hanno perso la battaglia e la NATO ha marciato verso est, provocando alla fine una guerra preventiva da parte dei russi. Se gli Stati Uniti e i loro alleati non si fossero mossi per far entrare l’Ucraina nella NATO nell’aprile 2008, o se fossero stati disposti ad assecondare le preoccupazioni di Mosca in materia di sicurezza dopo lo scoppio della crisi ucraina nel febbraio 2014, probabilmente oggi non ci sarebbe alcuna guerra in Ucraina e i suoi confini avrebbero l’aspetto che avevano quando ottenne l’indipendenza nel 1991. L’Occidente ha commesso un errore colossale, per il quale, insieme a molti altri, non ha ancora finito di pagare.

 

 

 

[1] Questo documento è stato scritto come base per i discorsi pubblici che ho tenuto o terrò sul conflitto ucraino. Si veda, ad esempio: https://youtu.be/v-rHBRwdql8

[2]
https://nationalinterest.org/feature/causes-and-consequences-ukraine-crisis-203182

https://jmss.org/article/view/76584

https://harpers.org/archive/2023/06/why-are-we-in-ukraine/

https://nationalinterest.org/feature/course-correcting-toward-diplomacy-ukraine-crisis-204171

https://www.amazon.com/How-West-Brought-Ukraine-Understanding/dp/0991076702/ref=pd_vtp_h_vft_none_pd_vtp_h_vft_none_sccl_1/142-3537937-6121237?pd_rd_w=ezoTp&content-id=amzn1.sym.a5610dee-0db9-4ad9-a7a9-14285a430f83&pf_rd_p=a5610dee-0db9-4ad9-a7a9-14285a430f83&pf_rd_r=ZGPKTJ5C49MCEE3RVTNG&pd_rd_wg=TaIQh&pd_rd_r=a9e88789-cd82-47ab-95d8-03165a6f271b&pd_rd_i=0991076702&psc=1

https://scheerpost.com/2022/04/09/former-nato-military-analyst-blows-the-whistle-on-wests-ukraine-invasion-narrative/

 

[3] http://www.en.kremlin.ru/events/president/transcripts/70565

[4] http://en.kremlin.ru/events/president/news/71445

http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

 

[5] https://nationalinterest.org/feature/course-correcting-toward-diplomacy-ukraine-crisis-204171

https://tass.com/politics/1634479

 

[6] http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

Putin ha menzionato brevemente questi due obiettivi nel suo discorso del 24 febbraio 2023 che annunciava l’invasione dell’Ucraina. Ma non erano obiettivi realistici, dato che la Russia stava lanciando una “operazione militare speciale” che non mirava a conquistare tutta l’Ucraina. http://en.kremlin.ru/events/president/news/67843

Non sorprende quindi che Putin abbia abbandonato questi due obiettivi durante i negoziati di Istanbul nel marzo scorso. 2022. https://www.ft.com/content/7f14efe8-2f4c-47a2-aa6b-9a755a39b626

 

[7] La Germania invase la Polonia il 1° settembre 1939 con circa 1,5 milioni di soldati. Il territorio polacco conquistato ai fini dell’annessione e dell’amministrazione era di circa 188.000 chilometri quadrati ed era popolato da circa 22,1 milioni di polacchi. L’Ucraina senza la Crimea era di circa 603.601 chilometri quadrati e aveva una popolazione di 41 milioni di ucraini quando la Russia la invase il 24 febbraio 2022. In altre parole, l’Ucraina era geograficamente più di tre volte più grande della parte di Polonia conquistata dai tedeschi nel 1939 e la sua popolazione era quasi il doppio. Per i numeri dell’Ucraina, si vedano le note 9 e 28. Per i numeri della Polonia, si veda Robert M. Kennedy, The German Campaign in Poland (1939), (Washington, DC: Department of the Army, 1956), p. 77; Richard C. Lukas, Forgotten Holocaust: The Poles under German Occupation, 1939-1944 (Lexington, KY: University of Kentucky Press, 1986), p. 2; and http://rcin.org.pl/Content/15652/WA51_13607_r2011-nr12_Monografie.pdf

[8] http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

[9] L’Ucraina prima del 2014 era 603.628 km quadrati. Crimea (27.000), Donetsk (26.517), Kherson (28.461), Luhansk (26.684) e Zaporozhe (27.180) rappresentano circa il 23% del territorio ucraino. Se i russi annettessero anche Dnipropetrovsk (31.914), Kharkiv (31.415), Mykolaiv (24.598) e Odessa (33.310), controllerebbero circa il 43% dell’Ucraina pre-2014.

[10] https://russiancouncil.ru/en/analytics-and-comments/comments/six-months-into-the-conflict-what-exactly-does-russia-hope-to-achieve-in-ukraine/

https://www.newstatesman.com/world/europe/ukraine/2023/02/russia-cannot-afford-lose-need-victory-sergey-karaganov-what-putin-wants

 

[11] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/4/pdf/2003-NATO-Russia_en.pdf

[12] https://www.rand.org/pubs/research_briefs/RB10014.html

[13] https://www.cfr.org/article/how-much-aid-has-us-sent-ukraine-here-are-six-charts

https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/04/18/russia-ukraine-war-us-involvement-leaked-documents/

 

[14] https://www.france24.com/en/europe/20230330-live-charles-iii-addresses-german-parliament-during-first-trip-abroad-as-king

[15] https://www.congress.gov/bill/118th-congress/house-resolution/322/text

[16] https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/06/14/ukraine-counteroffensive-biden-support/

[17] https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/04/18/russia-ukraine-war-us-involvement-leaked-documents/

[18] https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/04/18/russia-ukraine-war-us-involvement-leaked-documents/

[19] https://foreignpolicy.com/2023/04/17/the-west-is-preparing-for-russias-disintegration/

[20] https://foreignpolicy.com/2023/05/15/ukraine-nato-membership-europe-russia-war/?tpcc=recirc_latest062921

https://www.nytimes.com/2023/06/14/us/politics/biden-nato-ukraine.html

https://www.stripes.com/theaters/europe/2023-06-16/ukraine-status-nato-military-aid-10457960.html?utm_campaign=dfn-ebb&utm_medium=email&utm_source=sailthru

 

[21] https://kyivindependent.com/stoltenberg-says-ukraine-will-join-nato-vows-continued-support-despite-russias-dangerous-and-reckless-nuclear-rhetoric/

[22] https://www.wsj.com/articles/chinas-xi-makes-first-call-to-zelensky-since-russian-invasion-b784bb7f?mod=world_lead_pos2

[23] https://kyivindependent.com/zelensky-ukraine-applies-for-fast-track-nato-accession/#:~:text=30%2C%20President%20Volodymyr%20Zelensky%20said,and%20we%20protect%20each%20other

[24] https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-schrodingers?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

[25] https://bigserge.substack.com/p/the-battle-of-bakhmut-postmortem?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

[26] https://www.militarytimes.com/news/your-military/2023/06/12/russias-improved-weaponry-and-tactics-challenge-ukraine-offensive/

[27] https://tass.com/defense/1524515

[28] All’inizio del conflitto, la Russia contava circa 144 milioni di persone, mentre l’Ucraina ne contava 41 milioni, cifra che include gli abitanti del Donbass ma non i 2,4 milioni di persone che vivono in Crimea. Il rapporto è di 3,5:1 a favore della Russia. Come si è detto, circa 8 milioni di ucraini hanno lasciato il Paese dall’inizio della guerra – di cui circa 3 milioni sono andati in Russia e gli altri 5 milioni in Occidente. Inoltre, la Russia ha annesso territori in Ucraina, non tutti controllati. Prima dell’inizio della guerra, nel febbraio 2022, nei quattro oblast’ che la Russia ha annesso c’erano circa 8,8 milioni di persone, alcune delle quali si trovavano in un territorio che la Russia non controlla ancora e altre sono incluse nei 3 milioni di ucraini che si sono trasferiti in Russia. Sembra ragionevole supporre che 4 milioni degli 8,8 milioni che si trovavano in questi oblast prima della guerra siano ora sotto il controllo russo. Pertanto, la Russia ha ora una popolazione di 151 milioni (144 + 3 milioni di rifugiati + 4 milioni di persone nelle aree dell’Ucraina orientale che ora controlla). L’Ucraina, invece, ha 30 milioni di abitanti (41 milioni – 8 milioni di rifugiati – 4 milioni di persone nelle aree dell’Ucraina orientale che la Russia controlla). Questi numeri portano a un vantaggio russo di 5:1. Naturalmente, questi numeri potrebbero cambiare se un gran numero di rifugiati ucraini tornasse a casa o se la Russia conquistasse un numero sostanzialmente maggiore di territori ucraini e li annettesse. In ogni caso, l’Ucraina rimarrà decisamente in inferiorità numerica per quanto riguarda le dimensioni della popolazione.

https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC132458

https://www.economist.com/europe/2022/12/12/the-war-has-worsened-ukraines-demographic-woes

https://www.russiamatters.org/analysis/whats-ahead-war-ukraine

https://tass.com/society/1627949

https://www.rt.com/russia/577546-ukraine-population-shrink-half/

 

[29]
https://kyivindependent.com/danilov-ukraine-lost-7-5-times-fewer-troops-than-russians-in-bakhmut/

https://www.bbc.com/news/world-europe-64955537

 

[30] Per citare un fante ucraino che combatte a Bakhmut, “è un peccato che probabilmente il 90% delle nostre perdite siano dovute all’artiglieria – o ai carri armati e all’aviazione… E molto meno (perdite) nei conflitti tra fanterie“.

https://kyivindependent.com/battle-of-bakhmut-ukrainian-soldiers-worry-russians-begin-to-taste-victory/

https://www.moonofalabama.org/2023/03/ukraine-is-lying-about-casualty-ratios-to-justify-holding-of-bakhmut.html

 

[31]
https://english.elpais.com/international/2023-03-01/ukraine-outgunned-10-to-1-in-massive-artillery-battle-with-russia.html

https://www.nbcnews.com/politics/national-security/russia-ukraine-war-ammo-rcna56210

https://babel.ua/en/news/81312-forbes-russia-has-a-five-fold-advantage-in-artillery-but-western-weapons-can-change-the-situation

https://kyivindependent.com/why-ukraine-struggles-to-combat-russias-artillery-superiority/

https://www.washingtonpost.com/world/2023/04/20/bakhmut-ukraine-war-leaked-documents/

https://kyivindependent.com/battle-of-bakhmut-ukrainian-soldiers-worry-russians-begin-to-taste-victory/

https://kyivindependent.com/ukrainian-soldiers-in-bakhmut-our-troops-are-not-being-protected/

https://www.washingtonpost.com/world/2023/03/13/ukraine-casualties-pessimism-ammunition-shortage/

https://www.washingtonpost.com/world/2023/04/08/ukraine-ammunition-shortage-shells-ration/?utm_campaign=wp_post_most&utm_medium=email&utm_source=newsletter&wpisrc=nl_most&carta-url=https%3A%2F%2Fs2.washingtonpost.com%2Fcar-ln-tr%2F39a85b2%2F6431956453816d1ce09541f1%2F5972c5a9ae7e8a1cf4af1c87%2F31%2F72%2F6431956453816d1ce09541f1&wp_cu=45c484975590037f02458fe7cb0bc152%7CC0E249690CC33FB5E0430100007FF646

https://www.rt.com/russia/575278-ukraine-general-lament-state-army/?utm_source=Newsletter&utm_medium=Email&utm_campaign=Email

 

[32] È difficile determinare il numero di vittime russe e ucraine, poiché entrambe le parti forniscono poche informazioni sulle proprie vittime e informazioni discutibili sulle vittime dell’avversario. Vale la pena notare, tuttavia, che sia i resoconti pro-ucraini che quelli pro-occidentali degli eventi sul campo di battaglia parlano spesso dei livelli notevolmente elevati di perdite subite dalle forze ucraine, mentre non ci sono discorsi equivalenti nelle descrizioni pro-russe del campo di battaglia. Ci sono certamente discussioni sulle perdite russe, ma si vedono poche prove che le forze russe stiano subendo livelli di perdite particolarmente elevati come le loro controparti ucraine. Diversi governi, istituzioni e singoli individui offrono stime sulle vittime, ma non forniscono spiegazioni su come sono arrivati ai loro numeri. Una rara eccezione è rappresentata da un’attenta analisi della lunga battaglia di Bakhmut da parte di un blogger filo-russo, che stima la correlazione dei caduti in quella battaglia abbia favorito i russi per circa 2:1. https://bigserge.substack.com/p/the-battle-of-bakhmut-postmortem?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

[33] https://samf.substack.com/p/time-for-ukraines-offensive?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

https://www.washingtonpost.com/world/2023/03/06/bakhmut-wagner-mercenaries-russia-ukraine/

https://www.wsj.com/articles/wagner-and-russian-army-cooperate-in-fresh-push-to-take-bakhmut-114fe886

https://www.economist.com/graphic-detail/2023/03/08/how-many-russians-have-been-killed-in-ukraine?utm_content=article-link-3&etear=nl_today_3&utm_campaign=r.the-economist-today&utm_medium=email.internal-newsletter.np&utm_source=salesforce-marketing-cloud&utm_term=3/8/2023&utm_id=1517391

 

[34] https://www.jstor.org/stable/2538780

[35] https://www.russiamatters.org/analysis/whats-ahead-war-ukraine

[36] Per quanto riguarda la guerra civile americana, si vedano le cifre relative alle perdite degli attaccanti e dei difensori iniziali nelle prime dodici battaglie principali di quel sanguinoso conflitto in Richard E. Beringer et al., Why the South Lost the Civil War (Athens, GA: University of Georgia Press, 1986), p. 460. Per quanto riguarda la Prima guerra mondiale, si pensi a due delle principali battaglie che si svolsero nel 1916. Nella battaglia di Verdun, iniziata dalla Germania contro la Francia e in cui furono sparati 23 milioni di proiettili d’artiglieria dalle due parti, ci furono 350.000 vittime tedesche e 400.000 vittime francesi. Nella battaglia della Somme, in cui le forze britanniche e francesi iniziarono l’attacco contro l’esercito tedesco e in cui furono sparati 1.700.000 proiettili solo il primo giorno, gli Alleati subirono circa 620.000 perdite, mentre i tedeschi ne subirono 550.000. Martin Gilbert, Atlas of the First World War (London: Weidenfeld and Nicolson, 1970), pp. 53, 56; and https://www.historic-uk.com/HistoryUK/HistoryofBritain/Battle-of-the-Somme/https://www.britannica.com/event/Battle-of-Verdun

[37] https://www.washingtonpost.com/world/2023/04/20/bakhmut-ukraine-war-leaked-documents/

[38] https://tass.com/defense/1524515

[39] A dimostrazione che le forze di terra russe sono in buona forma dopo quattordici mesi di guerra e che probabilmente miglioreranno in futuro, si veda la recente testimonianza al Congresso del generale Christopher Cavoli, comandante supremo delle forze alleate in Europa.

https://www.stripes.com/theaters/europe/2023-04-26/ukraine-russia-offensive-eucom-congress-9928802.html?utm_campaign=dfn-ebb&utm_medium=email&utm_source=sailthru&SToverlay=2002c2d9-c344-4bbb-8610-e5794efcfa7d

https://armedservices.house.gov/sites/republicans.armedservices.house.gov/files/04.26.23%20Cavoli%20Statement%20v2.pdf

https://www.economist.com/syrsky-interview

https://www.kyivpost.com/post/15227#:~:text=War%20in%20Ukraine-,%27They%20Should%20Not%20Be%20Underestimated%27%3A%20A%20Ukrainian%20Soldier%20Describes,says%20a%20serviceman%20in%20Kreminna.

https://rusi.org/explore-our-research/publications/special-resources/meatgrinder-russian-tactics-second-year-its-invasion-ukraine

 

[40] search/publications/special-resources/meatgrinder-russian-tactics-second-year-its-invasion-ukraine

https://responsiblestatecraft.org/2023/04/17/lieven-inside-ukraine-some-real-breaks-and-insights/

https://kyivindependent.com/battle-of-bakhmut-ukrainian-soldiers-worry-russians-begin-to-taste-victory/

https://www.bbc.com/news/world-europe-64955537

https://www.kyivpost.com/post/15227

https://www.nytimes.com/2023/06/17/world/europe/russia-ukraine-war-tactics.html

https://www.militarytimes.com/news/your-military/2023/06/12/russias-improved-weaponry-and-tactics-challenge-ukraine-offensive/

https://rusi.org/explore-our-research/publications/special-resources/meatgrinder-russian-tactics-second-year-its-invasion-ukraine

https://www.economist.com/europe/2023/05/21/russias-army-is-learning-on-the-battlefield?utm_medium=cpc.adword.pd&utm_source=google&ppccampaignID=17210591673&ppcadID=&utm_campaign=a.22brand_pmax&utm_content=conversion.direct-response.anonymous&gclid=Cj0KCQjwnMWkBhDLARIsAHBOftrBBcuuqhkoC_blsz3jrXFjUYLFreTmzrqvsoZOQhKLRO6oUOAOvEQaAl1iEALw_wcB&gclsrc=aw.ds

 

[41] https://www.ft.com/content/aee0e1a1-c464-4af9-a1c8-73fcbc46ed17

https://www.wsj.com/articles/eu-to-send-ukraine-a-million-artillery-shells-as-russia-gains-ground-5e25a064

https://www.rt.com/russia/573610-russia-ammo-production-putin/

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-leak-biopsy?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

https://www.wsj.com/articles/u-s-reaches-deep-into-its-global-ammunition-stockpiles-to-help-ukraine-8224d985

https://www.nytimes.com/2023/03/16/world/europe/ukraine-ammunition-bakhmut.html#:~:text=the%20main%20story-,Ukraine%20Burns%20Through%20Ammunition%20in%20Bakhmut%2C%20Putting%20Future%20Fights%20at,jeopardize%20a%20planned%20springtime%20campaign.

https://www.reuters.com/world/europe/germany-only-has-20000-high-explosive-artillery-shells-left-report-2023-06-19/#:~:text=BERLIN%2C%20June%2019%20(Reuters),the%20need%20for%20urgent%20purchases.

 

 

[42] http://en.kremlin.ru/events/president/news/71445

http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

 

[43] https://www.wsj.com/articles/ukraine-runs-into-russian-air-superiority-82c621c

[44] https://kyivindependent.com/russias-smart-bombs-pose-increasingly-serious-threat-to-ukraine/

https://www.rt.com/russia/575978-ukraine-glide-bombs-offensive/

https://www.nytimes.com/2023/05/25/world/europe/russia-ukraine-soviet-bombs.html?smid=nytcore-ios-share&referringSource=articleShare

 

[45] https://www.rt.com/russia/576996-russia-conditions-ukraine-peace/

[46] Un sondaggio condotto a febbraio e marzo [2023] dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev ha rilevato che l’87% degli ucraini considera inaccettabile qualsiasi concessione territoriale per raggiungere la pace. Solo il 9% ha dichiarato che accetterebbe concessioni se ciò significasse una pace duratura”.

https://www.ft.com/content/d68b4007-4ddf-4320-b29a-f2eee2662d6e

[47] https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/the-truth-behind-ukraine-s-language-policy/

Questo articolo chiarisce quanto sia importante la lingua per alimentare i problemi all’interno dell’Ucraina.

[48] http://en.kremlin.ru/events/president/news/66181

[49] https://mondediplo.com/2023/01/04ukraine

[50] https://www.nybooks.com/online/2023/04/21/derussification-ukraine-libraries/?utm_medium=email&utm_campaign=NYR%2004-23-23%20Tallman%20Benfey%20Bell%20Rudick%20Debevec-McKenney%20Schaeffer&utm_content=NYR%2004-23-23%20Tallman%20Benfey%20Bell%20Rudick%20Debevec-McKenney%20Schaeffer+CID_b19f74f0617664032481c98beab30139&utm_source=Newsletter&utm_term=A%20Book%20is%20a%20Quiet%20Weapon

https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2023/ukraine-russian-influence-destruction/?itid=hp-top-table-main_p001_f004

 

[51] https://goodfaithmedia.org/understanding-zelenskyys-we-will-not-forgive-we-will-not-forget

[52] https://www.thenation.com/article/world/ukraine-russia-nationalism-war/

[53] https://www.nytimes.com/2023/04/22/world/europe/zelensky-russian-ban-ukraine.html

https://www.wsj.com/articles/schools-in-occupied-ukraine-seek-to-turn-children-into-loyal-russians-d26cf4e?mod=hp_lead_pos6

 

[54] https://www.rt.com/russia/577407-donetsk-ukrainian-language-pushilin/

[55] https://consortiumnews.com/2022/12/13/patrick-lawrence-germany-the-lies-of-empire/

https://www.rt.com/russia/567873-zakharova-merkel-minsk-agreements/

 

[56] https://consortiumnews.com/2022/12/05/scott-ritter-merkel-reveals-wests-duplicity/

https://www.rt.com/russia/577553-poroshenko-minsk-accords-nato/

Su Zelensky, https://www.rt.com/russia/571243-zelensky-minsk-agreements-failure/

 

[57] https://www.rt.com/russia/567967-putin-thinks-shouldve-started-sooner/

http://www.en.kremlin.ru/events/president/transcripts/70565

http://en.kremlin.ru/events/president/news/71445

http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

https://www.rt.com/russia/578175-lavrov-ukraine-world-order/

 

[58] La Banca Mondiale riferisce che: “L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, la conseguente interruzione delle forniture di energia, cibo, metalli e altro, e l’inasprimento della politica monetaria e delle condizioni finanziarie hanno rallentato drasticamente la crescita in Europa e Asia Centrale (ECA) nel 2022. La crescita dell’attività regionale si è indebolita all’1,2% nel 2022 dal 7,1% del 2021”.

https://openknowledge.worldbank.org/server/api/core/bitstreams/004535c2-fbcd-4e96-9439-bc4bc502c2b3/content

https://www.wsj.com/articles/world-bank-warns-of-lost-decade-for-global-economy-aba506a4

https://www.politico.eu/article/74-percent-of-europeans-agree-with-french-president-emmanuel-macron-on-china-us-defense-report-shows/

 

[59] https://www.nytimes.com/2023/04/17/world/europe/nato-russia-ukraine-war.html

https://armedservices.house.gov/sites/republicans.armedservices.house.gov/files/04.26.23%20Cavoli%20Statement%20v2.pdf

 

[60] https://www.foreignaffairs.com/ukraine/playing-fire-ukraine

Si consideri, ad esempio, come l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO accrescerà il senso di pericolo della Russia. Non solo Mosca si troverà di fronte a un’alleanza occidentale più formidabile, ma la Finlandia condivide con la Russia un confine lungo 830 miglia e gli Stati Uniti stanno apparentemente pianificando di stabilire una presenza militare in Finlandia. Inoltre, il Mar Baltico, di vitale importanza strategica per la Russia – soprattutto per via di Kaliningrad – sarà ora circondato dai Paesi della NATO. A peggiorare le cose, c’è un serio potenziale di problemi nell’Artico, dove la Russia è uno degli otto Stati rivieraschi e dove è probabile che si verifichino controversie a causa del continuo scioglimento dei ghiacci. Gli altri sette Stati della costiera, tuttavia, sono ora tutti membri della NATO: Gran Bretagna, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Stati Uniti. In caso di crisi nell’Artico, una Russia in inferiorità numerica e spaventata – con la maggior parte delle sue forze convenzionali bloccate in Ucraina – potrebbe perseguire una strategia militare altamente rischiosa per proteggersi.

https://www.indianpunchline.com/us-sees-in-finlands-nato-accession-encirclement-of-russia/

https://www.zerohedge.com/geopolitical/us-talks-establishing-military-bases-finland

https://www.thearcticinstitute.org/china-russia-arctic-cooperation-context-divided-arctic/#

https://warontherocks.com/2023/03/russia-wont-sit-idly-by-after-finland-and-sweden-join-nato/

https://www.nytimes.com/2023/05/31/world/europe/blinken-arctic-nato-russia.html

 

[61] https://carnegieendowment.org/2012/03/09/underachiever-ukraine-s-economy-since-1991-pub-47451

https://www.britannica.com/place/Ukraine/Economic-difficulties

https://consortiumnews.com/2023/05/08/ukraines-big-mistake/

Per quanto riguarda la popolazione ucraina, si vedano le fonti alla nota 28.

[62] https://reliefweb.int/report/ukraine/ukraine-rapid-damage-and-needs-assessment-february-2022-2023-enuk

https://openknowledge.worldbank.org/server/api/core/bitstreams/004535c2-fbcd-4e96-9439-bc4bc502c2b3/content

https://www.19fortyfive.com/2023/06/the-shocking-economic-damage-to-ukraine-from-russias-invasion/

 

[63] https://www.ohchr.org/en/news/2023/04/ukraine-civilian-casualty-update-10-april-2023

[64] https://joint-research-centre.ec.europa.eu/jrc-news-and-updates/war-exacerbates-ukraines-population-decline-new-report-shows-2023-03-08_en

https://www.rt.com/russia/577546-ukraine-population-shrink-half/

 

[65] https://www.politico.com/news/magazine/2023/06/09/america-weapons-china-00100373

[66] https://www.foreignaffairs.com/articles/russia-fsu/2014-08-18/why-ukraine-crisis-west-s-fault

https://www.nytimes.com/2014/03/14/opinion/getting-ukraine-wrong.html

https://nationalinterest.org/feature/causes-and-consequences-ukraine-crisis-203182

https://www.economist.com/by-invitation/2022/03/11/john-mearsheimer-on-why-the-west-is-principally-responsible-for-the-ukrainian-crisis

https://www.newyorker.com/news/q-and-a/why-john-mearsheimer-blames-the-us-for-the-crisis-in-ukraine

https://youtu.be/JrMiSQAGOS4

[67] https://www.armscontrol.org/act/1997-06/arms-control-today/opposition-nato-expansion#:~:text=Dear%20Mr.,policy%20error%20of%20historic%20proportions.

[68] https://www.theguardian.com/world/2022/jun/07/no-regrets-over-handling-of-vladimir-putin-says-angela-merkel

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Putin ha suggerito con forza che una soluzione politica alla guerra per procura è ancora possibile, di ANDREW KORYBKO

Putin ha suggerito con forza che una soluzione politica alla guerra per procura è ancora possibile

ANDREW KORYBKO
20 GIU 2023

I suoi sostenitori nella comunità degli Alt-Media che si sono convinti che l’operazione speciale non si fermerà fino a quando le forze russe non raggiungeranno il confine polacco saranno sicuramente infuriati da questa valutazione, ma è basata sulle sue stesse parole, come dimostrato dal sito ufficiale del Cremlino.

Le tre ultime apparizioni di Putin

La scorsa settimana, in una serie di apparizioni, il Presidente Putin ha suggerito con forza che una soluzione politica alla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina è ancora possibile. I suoi sostenitori nella comunità Alt-Media che si sono convinti che l’operazione speciale non si fermerà fino a quando le forze russe non raggiungeranno il confine polacco saranno sicuramente infuriati da questa valutazione, ma è basata sulle sue stesse parole, come dimostrato dal sito ufficiale del Cremlino. Ecco le tre apparizioni che verranno citate in questa analisi:

* 13 giugno: “Incontro con i corrispondenti di guerra” http://en.kremlin.ru/events/president/news/71391

* 16 giugno: “Sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo”. http://en.kremlin.ru/events/president/news/71445

* 17 giugno: “Incontro con i capi delegazione degli Stati africani”. http://en.kremlin.ru/events/president/news/71451

Di seguito sono riportati gli estratti rilevanti di ciascuna apparizione, insieme a un riassunto di una sola frase del punto che ha trasmesso in ogni passaggio. Dopo averli esaminati tutti e tre, il prossimo sottocapitolo riassumerà il gioco finale previsto dal Presidente Putin per questa guerra per procura. Infine, l’ultima parte di questa analisi si concluderà con alcune riflessioni sulla fattibilità dei suoi piani, che sono probabilmente abbastanza ragionevoli se ci si prende il tempo di rifletterci con calma.

Incontro con i corrispondenti di guerra

* La Russia intende ancora raggiungere i suoi obiettivi originari nell’operazione speciale.

– Gli obiettivi e i compiti dell’operazione militare speciale stanno cambiando in base alla situazione attuale, ma naturalmente nel complesso non stiamo cambiando nulla. I nostri obiettivi sono fondamentali per noi”.

* La smilitarizzazione dell’Ucraina rimane sulla buona strada.

– L’industria della difesa ucraina cesserà presto di esistere. Cosa producono? Consegnano munizioni, consegnano attrezzature e armi – tutto viene consegnato. Non vivrete a lungo così, non durerete. Quindi, la questione della smilitarizzazione si pone in termini molto pratici”.

* La controffensiva di Kiev sta fallendo.

– Se consideriamo le perdite irrecuperabili, è chiaro che la parte che difende subisce meno perdite, ma questo rapporto di 1 a 10 è a nostro favore. Le nostre perdite sono un decimo di quelle delle forze ucraine. La situazione è ancora più grave per quanto riguarda gli armamenti… Secondo i miei calcoli, queste perdite si aggirano intorno al 25 o forse al 30% dell’equipaggiamento fornito dall’estero”.

* Gli attacchi contro il territorio russo prima del 2014 sono progettati per distogliere le forze dalla linea del fronte.

– “Per quanto riguarda le zone di confine, c’è un problema, ed è legato – e penso che anche voi lo capiate – principalmente al desiderio di dirottare le nostre forze e le nostre risorse da questa parte, di ritirare parte delle unità da quelle zone che sono considerate le più importanti e critiche dal punto di vista di una possibile offensiva da parte delle forze armate dell’Ucraina”.

* Si sta valutando la creazione di zone cuscinetto per proteggere il territorio russo prima del 2014.

– “Se la situazione continuerà, a quanto pare dovremo prendere in considerazione la questione – e lo dico con molta attenzione – per creare una sorta di zona cuscinetto sul territorio dell’Ucraina a una distanza tale da cui sarebbe impossibile raggiungere il nostro territorio. Ma questa è una questione a parte, non sto dicendo che inizieremo questo lavoro domani. Dobbiamo vedere come si sviluppa la situazione”.

* L’ormai defunto progetto di trattato con l’Ucraina ha aiutato la Russia a consolidare le sue conquiste orientali e meridionali.

– “Anche se l’hanno buttato via, abbiamo comunque usato questo tempo per arrivare dove siamo ora, cioè praticamente tutta la Novorossija e una parte significativa della Repubblica Popolare di Donetsk, con accesso al Mar d’Azov e a Mariupol. E quasi tutta la Repubblica Popolare di Lugansk, con alcune eccezioni”.

* La Russia potrebbe mobilitarsi se decidesse di muoversi di nuovo contro Kiev, ma oggi non ce n’è bisogno.

– “Dobbiamo tornare [a Kiev] o no? Perché faccio questa domanda retorica? È chiaro che non avete una risposta, solo io posso rispondere. Ma a seconda dei nostri obiettivi, dobbiamo decidere sulla mobilitazione, ma oggi non ce n’è bisogno”.

* Uno dei fattori fondamentali di questo conflitto è che l’Occidente sta inondando l’Ucraina di armi.

– “Sapete, questa è una questione fondamentale, assolutamente fondamentale. Quando diciamo – io l’ho detto e voi l’avete ripetuto – che l’Occidente sta inondando l’Ucraina di armi, questo è un fatto, nessuno lo nasconde, anzi, ne sono orgogliosi”.

* La produzione tecnico-militare della Russia è aumentata nell’ultimo anno.

– “Durante l’anno abbiamo aumentato la produzione delle nostre armi principali di 2,7 volte. Per quanto riguarda la produzione delle armi più richieste, l’abbiamo aumentata di dieci volte. Dieci volte!”.

* Non tutte le risposte della Russia al superamento delle sue “linee rosse” sono coperte dai media.

– “Non tutto può essere coperto dai media, anche se non c’è nulla di cui vergognarsi. Gli attacchi al sistema energetico dell’Ucraina non sono forse una risposta al superamento delle linee rosse? E la distruzione del quartier generale della principale direzione dell’intelligence delle forze armate ucraine fuori Kiev, quasi all’interno della città di Kiev, non è una risposta? Lo è”.

* Lo Stato ucraino esiste e deve essere trattato con rispetto, ma è inaccettabile minacciare la Russia.

– Se vogliono vivere nei nostri territori storici, devono influenzare la loro leadership politica in modo che stabilisca relazioni corrette con la Russia e che nessuno rappresenti una minaccia per noi da questi territori. Questo è il problema. Questo è il nocciolo della questione”.

* È discutibile che l’Occidente continuerà a fornire armi all’Ucraina a prescindere dalle sue perdite.

– “Questo è discutibile (detto in risposta all’affermazione di un corrispondente di guerra secondo cui “Chiaramente, indipendentemente dalle perdite subite dall’Ucraina, i Paesi occidentali continueranno a fornirle armi”)”.

* Non c’è alcuna garanzia che la Russia passi all’offensiva dopo il fallimento della controffensiva di Kiev.

– “Penso che, essendo consapevole – lo dico a ragion veduta – delle perdite catastrofiche, la leadership, qualunque essa sia ha la testa sulle spalle, dovrebbe pensare a cosa fare dopo. Aspetteremo di vedere com’è la situazione e prenderemo ulteriori provvedimenti sulla base di questa comprensione”.

* I proiettili all’uranio impoverito vengono spediti in Ucraina perché l’Occidente ha già esaurito tutti gli altri.

– “Semplicemente non hanno granate, ma hanno granate all’uranio impoverito nei magazzini. Sembra che abbiano deciso di usare questi proiettili per il momento. Hanno ripulito i magazzini”.

* I problemi economici dell’UE impediranno i suoi piani di produrre più armi per l’Ucraina.

– I problemi economici dell’UE si stanno aggravando… Quindi, non è così facile produrre tutto lì, e ancora più difficile è espandere la produzione e costruire nuovi impianti. Questo ci tornerà utile, perché la Russia ha una situazione particolare. Dobbiamo costruire i nostri armamenti; dovremo farlo, e accumuleremo riserve strategiche nei magazzini”.

* Il mission creep americano sta creando rischi molto seri per la Russia.

– “Gli Stati Uniti sono sempre più coinvolti in questo conflitto, quasi direttamente, provocando gravi crisi di sicurezza internazionale. Correggere i movimenti dei droni che attaccano le nostre navi da guerra è un rischio molto serio. È una cosa molto seria e loro devono sapere che noi ne siamo a conoscenza. Penseremo a cosa fare in futuro. In generale, le cose stanno così”.

* I colloqui di pace potrebbero riprendere e la bozza di trattato di Istanbul essere rilanciata se gli Stati Uniti tagliassero le forniture di armi a Kiev.

– “Non abbiamo mai rifiutato – come ho detto mille volte – di partecipare a qualsiasi colloquio che possa portare a un accordo di pace… In definitiva si tratta degli interessi degli Stati Uniti. Sappiamo che sono loro a detenere la chiave per risolvere i problemi. Se vogliono veramente porre fine al conflitto odierno attraverso i negoziati, devono prendere una sola decisione: smettere di fornire armi ed equipaggiamenti. Tutto qui. L’Ucraina non produce nulla. Domani vorranno tenere colloqui non formali, ma sostanziali, e non per affrontarci con ultimatum, ma per tornare a quanto concordato, ad esempio, a Istanbul”.

* Molti americani hanno paura che il loro Paese scateni la Terza Guerra Mondiale, perché sanno che non vincerà.

– “[Gli Stati Uniti] fingono di non averne [paura di inasprire all’infinito la situazione e di alzare la posta in gioco]. In realtà, ci sono molte persone che pensano con chiarezza e non sono disposte a condurre il mondo in una terza guerra mondiale in cui non ci saranno vincitori; nemmeno gli Stati Uniti ne usciranno vincitori”.

Sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo

* Il Presidente Putin ha ripetuto le statistiche tecnico-militari della Russia della sua ultima apparizione.

– “La nostra industria della difesa sta guadagnando slancio ogni giorno. Nell’ultimo anno abbiamo aumentato la produzione militare di 2,7 volte. La nostra produzione delle armi più critiche è aumentata di dieci volte e continua ad aumentare”.

* Basare gli F-16 forniti dalla NATO all’Ucraina al di fuori del Paese rappresenterebbe un grave pericolo per la Russia.

– “Anche gli F-16 bruceranno (se saranno inviati in Ucraina), non c’è dubbio. Ma se si trovano in basi aeree fuori dall’Ucraina e vengono utilizzati nelle ostilità, dovremo pensare a come e dove colpire le risorse che vengono utilizzate contro di noi nelle ostilità. C’è il serio pericolo di un ulteriore coinvolgimento della NATO in questo conflitto armato”.

* La porta della diplomazia rimane aperta se l’Occidente decide di riprendere i colloqui con la Russia.

– “Non abbiamo mai chiuso [la porta alla diplomazia]. Sono stati loro a decidere di chiuderla, eppure continuano a sbirciarci attraverso la fessura”.

* Gli attacchi all’interno della Russia sono progettati per provocare una risposta schiacciante.

– “Sapendo che ci sono poche possibilità di successo (sul fronte), ci stanno provocando (con gli attacchi di Belgorod e del Cremlino) per ottenere una risposta dura, sperando di puntare il dito contro di noi e dire: ‘Guardateli; sono maligni e crudeli; nessuno dovrebbe avere a che fare con loro’. Vogliono dire questo a tutti i partner con cui stiamo lavorando. Quindi, no, non c’è bisogno di intraprendere queste azioni”.

* Tuttavia, una zona cuscinetto è ancora in programma, anche se la Russia non si lascerà distrarre dal fronte.

– Per quanto riguarda questi territori adiacenti, si tratta di un tentativo di distrarre la nostra attenzione dalle possibili aree chiave dell’offensiva principale che stanno considerando, un tentativo di costringerci a dislocare le unità che abbiamo accumulato in altre aree di combattimento, e così via… Ho già detto che se questi attacchi ai nostri territori adiacenti continueranno, prenderemo in considerazione la possibilità di creare una zona cuscinetto nel territorio ucraino. Dovrebbero sapere a cosa può portare. Usiamo armi di alta precisione a lungo raggio contro obiettivi militari e stiamo avendo successo in tutte queste aree”.

* La Russia non sta pensando a un attacco nucleare e userà queste armi solo per autodifesa.

– “Ho già detto che l’uso del deterrente finale è possibile solo in caso di minaccia allo Stato russo. In questo caso, useremo certamente tutte le forze e i mezzi a disposizione dello Stato russo. Su questo non ci sono dubbi”.

Incontro con i capi delegazione degli Stati africani

* La Russia continuerà a parlare con l’Ucraina nonostante la possibilità che si ritiri da altri accordi.

– La Russia non ha mai rifiutato alcun colloquio… La Turchia ha ospitato tutta una serie di colloqui tra la Russia e l’Ucraina per elaborare misure di fiducia, che lei ha appena menzionato, e redigere il testo del trattato… Ma dopo che abbiamo ritirato le nostre forze da Kiev, come avevamo promesso, le autorità di Kiev, proprio come fanno di solito i loro padroni, hanno gettato il tutto nella pattumiera della storia, diciamo in modo delicato, cercherò di evitare qualsiasi espressione scurrile. Lo hanno rifiutato. Dove sono le garanzie che non si ritireranno da altri accordi? Ma anche in queste circostanze, non abbiamo mai rifiutato di tenere colloqui”.

Il gioco finale previsto da Putin

Nei sottocapitoli precedenti sono stati evidenziati gli estratti più rilevanti delle ultime apparizioni del Presidente Putin sui media per quanto riguarda la sua prevista partita finale. Al momento, è chiaramente riluttante a inasprire il conflitto con un secondo round di mobilitazione, che potrebbe precedere una nuova marcia su Kiev. Per il momento, tuttavia, non è necessario, poiché la prima è già servita allo scopo militare di consolidare le conquiste della Russia a est e a sud, anche se quella politica di raggiungere un accordo di pace è fallita.

La smilitarizzazione dell’Ucraina rimane uno degli obiettivi più importanti del Presidente Putin, che ha dichiarato che sta procedendo come dimostrato dalla distruzione del suo complesso militare-industriale. Sebbene il nemico continui ad attaccare i confini della Russia prima del 2014, Putin ritiene che ciò sia finalizzato a distogliere le forze del suo Paese dal fronte, motivo per cui esita a ritagliare una zona cuscinetto in quel paese in questo momento, anche se ciò rimane nelle carte e potrebbe essere raggiunto solo con i missili invece che con l’invio di truppe.

La “gara logistica” / “guerra di logoramento” tra NATO e Russia, che il Segretario Generale Stoltenberg ha finalmente riconosciuto a metà febbraio, sta andando a favore di Mosca, come dimostra l’aumento della sua produzione militare-industriale tra 2,7 e 10 volte, a seconda del prodotto. L’Occidente è già a corto di forniture per l’Ucraina e per questo motivo sta ricorrendo all’invio di uranio impoverito, ha osservato il Presidente Putin, dal momento che non ha letteralmente più altre cartucce.

Egli ritiene che le suddette dinamiche strategico-militari potrebbero combinarsi con i problemi economici dell’UE, che si stanno aggravando, per rendere impossibile per la NATO sconfiggere la Russia nella “corsa della logistica”/”guerra di logoramento”. In tal caso, i colloqui di pace potrebbero riprendere al termine della controffensiva di Kiev sostenuta dalla NATO, durante la quale il progetto di trattato con l’Ucraina, ormai defunto, potrebbe essere rilanciato come base per facilitare una rapida risoluzione del conflitto.

Questo scenario è possibile solo se gli Stati Uniti interrompono la fornitura di armi all’Ucraina, cosa che il presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, Michael McCaul, ha dichiarato essere possibile se la controffensiva fallisce, poiché il Congresso potrebbe non essere in grado di approvare un pacchetto di spesa supplementare per sostenere questi aiuti. Tuttavia, il mission creep degli Stati Uniti potrebbe portare a un incidente con la Russia in aria, in mare e/o per quanto riguarda la base degli F-16 promessi all’Ucraina in un Paese della NATO prima che ciò accada.

Questo potrebbe anche essere intenzionale se la sua élite liberal-globalista diventasse abbastanza disperata da inasprire il conflitto se pensasse che così facendo potrebbe costringere la Russia ad abbandonare le sue regioni appena unificate, aiutandola così a “salvare la faccia” davanti agli elettori se accettasse un accordo di pace. Se dovesse emergere uno stallo nucleare simile a quello del 1962 a seguito di una provocazione degli Stati Uniti, il Presidente Putin probabilmente lo considererebbe un bluff, ma userebbe comunque le armi nucleari solo per autodifesa, anziché per un primo attacco come suggerito da un autorevole esperto.

Ovviamente non vuole che si arrivi a quel punto, ma è prerogativa dell’America decidere se farlo o meno. La Russia è più che in grado di rimanere nella “gara logistica”/”guerra di logoramento” se gli Stati Uniti si rifiutano, per qualsiasi motivo, di tagliare le forniture di armi a Kiev dopo la fine della sua fallita controffensiva, ma è improbabile che quest’ultima possa contare ancora a lungo sull’UE, dal momento che ha già esaurito tutte le sue scorte. Questo fatto aumenta le possibilità di una significativa de-escalation, a meno che non intervengano i guerrafondai.

Pensieri conclusivi

Il Presidente Putin ritiene che le probabilità favoriscano almeno il congelamento della linea di contatto (LOC) attraverso un cessate il fuoco, se non addirittura la cessazione totale del conflitto, facendo rivivere la bozza di trattato con l’Ucraina, ormai defunta, dello scorso anno, anche se con modifiche che riflettano la nuova realtà di Kiev che ha perso altre quattro regioni. C’è anche la possibilità di trovare una soluzione diplomatico-giuridica creativa per fare della LOC il nuovo confine internazionale senza violare il divieto della Costituzione russa di cedere territori.

A parte le speculazioni sui dettagli diabolici di un trattato di pace, il punto è che queste discussioni potrebbero iniziare letteralmente il giorno dopo che gli Stati Uniti avranno tagliato le forniture di armi a Kiev, nel caso in cui questa dovesse tacitamente cedere la vittoria alla Russia nella “gara logistica”/”guerra di logoramento” dopo la fine della controffensiva. L’élite liberale-globalista al potere potrebbe invece intensificare l’escalation per disperazione, al fine di ottenere concessioni sensibili da parte della Russia per “salvare la faccia” di fronte agli elettori se accettano un accordo di pace, il che potrebbe portare a uno stallo.

In ogni caso, il Presidente Putin non ha attualmente in programma un’escalation del coinvolgimento della Russia nel conflitto, come dimostra la sua esclusione di un secondo round di mobilitazione, la sua riluttanza a ritagliare una zona cuscinetto e il suo rifiuto di rendere pubblica ogni risposta al superamento delle “linee rosse” del suo Paese. In questo momento, sta scommettendo che la fallita controffensiva di Kiev, i problemi economici dell’UE e le scorte esaurite della NATO si combineranno per far rivivere la bozza di trattato dell’anno scorso, ormai defunta, il che è in realtà abbastanza ragionevole.

https://korybko.substack.com/p/putin-strongly-suggested-that-a-political

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Guerra russo-ucraina: l’insurrezione di Wagner, di Big Serge

Questa analisi che traduco e pubblichiamo mi pare in assoluto la migliore e la più equilibrata tra tutte le moltissime comparse sinora sulla vicenda dell’insurrezione armata delle milizie Wagner; forse anche perché coincide con la mia, pubblicata il 25 giugno scorso[1]: si tenga dunque in considerazione il possibile conflitto di interessi, nel mio giudizio positivo.

L’analisi di Big Serge sfugge al pericolo principale, che in casi simili è: sovrainterpretare. Una miriade di informazioni impossibili da verificare, manipolazioni a tutto spiano, emozioni al calor bianco: è in casi come questo che la nebbia della guerra clausewitziana sale più fitta. Per farsi un’idea, invece, è necessario attenersi a quel che è possibile valutare con un minimo sindacale di attendibilità, non farsi travolgere dai pregiudizi e dalle ipotesi onnicomprensive che spiegano tutto, in breve sospendere il giudizio su tutto ciò che non suoni autentico, e tenersi pronti a cambiare idea se il contesto muta con il passare dei giorni.

L’Autore, inoltre, ha ben chiaro che “nel nostro tempo prevale un modello analitico: c’è una macchina che prende istantaneamente vita, accogliendo voci e informazioni parziali in un ambiente di estrema incertezza e risputando formule che corrispondono a presupposti ideologici. L’informazione non è valutata in modo neutrale, ma è costretta a passare attraverso un filtro cognitivo che le assegna un significato alla luce di conclusioni predeterminate.

In altre parole, la maggior parte dell’informazione e dei commenti, sia nei media ufficiali, sia nelle fonti che si vogliono “critiche” e “alternative”, corrisponde a quel che Leszek Kolakowski chiamava “la quinta operazione”. Nelle quattro operazioni aritmetiche – addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione – il risultato consegue ai fattori, e non è noto prima che l’operazione aritmetica sia eseguita. La “quinta operazione”, invece, precostituisce il risultato e vi adatta i fattori che lo producono.

Buona lettura.

Roberto Buffagni

[1] http://italiaeilmondo.com/2023/06/25/commedia-in-piu-atti-di-roberto-buffagni-linquietante-azione-a-distanza-di-pierluigi-fagan/

Guerra russo-ucraina: l’insurrezione di Wagner

La corsa selvaggia di Yevgeny Prigozhin

26 GIU 2023

Gli eventi dello scorso fine settimana (23-25 giugno 2023) sono stati così surreali e fantasmagorici da sfuggire alla narrazione e alla descrizione. Venerdì, il famigerato Gruppo Wagner ha lanciato quella che sembrava una vera e propria insurrezione armata contro lo Stato russo. Hanno occupato parte di Rostov sul Don – una città di oltre 1 milione di abitanti, capoluogo di regione e sede del Distretto militare meridionale della Russia – prima di partire in colonna armata verso Mosca. Questa colonna – dotata di equipaggiamento militare pesante, compresi i sistemi di difesa aerea – è arrivata a poche centinaia di chilometri dalla capitale – praticamente indisturbata dalle forze statali russe – prima di fermarsi bruscamente, annunciare che era stato raggiunto un accordo con l’aiuto del presidente bielorusso Aleksandr “Zio Sasha” Lukashenko, fare marcia indietro e tornare alle basi di Wagner nel teatro ucraino.

Inutile dire che lo spettacolo di un gruppo di mercenari russi che marciava armato su Mosca e di carri armati e fanteria Wagner che isolavano gli edifici del Ministero della Difesa a Rostov, ha suscitato nei commentatori occidentali la fiducia che lo Stato russo stesse per essere rovesciato e che lo sforzo bellico russo in Ucraina sarebbe evaporato. Nel giro di poche ore sono state diffuse previsioni fiduciose e stravaganti[1], tra cui l’affermazione che l’impronta globale della Russia si sarebbe disintegrata mentre il Cremlino richiamava le truppe per difendere Mosca e che la Russia stava per entrare in uno stato di guerra civile[2]. Abbiamo anche visto la macchina della propaganda ucraina andare in tilt, con personaggi come Anton Gerashchenko e Igor Sushko che hanno bombardato i social media con storie false sull’ammutinamento di unità dell’esercito russo e sulla “defezione” dei governatori regionali a Prigozhin.

Va detto questo, sul modello analitico che prevale nel nostro tempo: c’è una macchina che prende istantaneamente vita, accogliendo voci e informazioni parziali in un ambiente di estrema incertezza e risputando formule che corrispondono a presupposti ideologici. L’informazione non è valutata in modo neutrale, ma è costretta a passare attraverso un filtro cognitivo che le assegna un significato alla luce di conclusioni predeterminate. Si presume che la Russia crollerà e subirà un cambiamento di regime (lo ha detto Fukuyama), quindi le azioni di Prigozhin dovevano essere inquadrate in riferimento a questo presunto scenario finale.

All’estremo opposto, abbiamo assistito a una misura analoga di aggressivo adattamento al modello da parte dei sostenitori della Russia “Confidiamo nel Piano”, tutti sicuri che la rivolta di Wagner fosse solo una recita, un elaborato stratagemma architettato di concerto da Prigozhin e Putin per ingannare i nemici della Russia e far avanzare il Piano. L’errore analitico in questo caso è lo stesso: le informazioni vengono analizzate al solo scopo di sostenere e far avanzare una conclusione preconfezionata; solo che si presume l’onnicompetenza russa, invece del collasso dello Stato russo.

Io ho assunto una posizione intermedia. Ho trovato l’idea che la Russia si trovasse di fronte a una guerra civile o a un collasso statale estremamente bizzarra e del tutto infondata, ma non pensavo nemmeno (e ritengo che gli eventi abbiano confermato questa opinione) che Prigozhin agisse in collaborazione con lo Stato russo per inscenare  una farsa. Se davvero la rivolta di Wagner è stata una Psyop (operazione psicologica) per ingannare la NATO, si è trattato di un’operazione estremamente elaborata e contorta che non ha ancora mostrato alcun chiaro beneficio (ci ritorno più avanti).

La mia convinzione di massima è che Prigozhin abbia agito di sua spontanea volontà in modo estremamente rischioso (rischiando sia la propria vita che un effetto destabilizzante sulla Russia). Ciò ha posto lo Stato russo di fronte a una vera e propria crisi (anche se non sufficientemente grave da minacciare l’esistenza dello Stato) che, a mio avviso, è stata gestita nel complesso abbastanza bene. La rivolta di Wagner è stata chiaramente negativa per la Russia, ma non è stato un rischio esistenziale, e lo Stato ha fatto un buon lavoro per contenerla e mitigarla.

Entriamo nel merito, iniziando con un breve sguardo alla cronologia degli eventi.

Anatomia di un ammutinamento

La quantità di disinformazione (propagata in particolare dagli ucraini e dai liberali russi residenti in Occidente) che è circolata durante il fine settimana è stata estrema, per cui potrebbe essere prudente rivedere la progressione degli eventi così come sono effettivamente accaduti.

Il primo segnale che qualcosa non andava è arrivato con alcune dichiarazioni esplosive del capo della Wagner Yevgeny Prigozhin il 23 (venerdì). In un’intervista piuttosto lunga e incoerente[3], ha fatto l’affermazione scioccante che la giustificazione russa per la guerra in Ucraina era una vera e propria menzogna, e che la guerra era infestata di corruzione e uccisioni di civili. Le cose sono diventate ancora più folli quando la Wagner ha affermato che l’esercito russo aveva colpito il loro campo con un missile. Questo era estremamente strano: il video[4] che è stato rilasciato (che pretendeva di mostrare le conseguenze di questo “attacco missilistico”) non mostrava un cratere d’impatto, né detriti, né alcun ferito o ucciso del personale di Wagner. I “danni” del missile consistevano in due fuochi da campo che bruciavano in una trincea – a quanto pare la Russia ha missili che possono innescare piccoli incendi controllati senza distruggere la vita vegetale circostante?

Il video ovviamente non mostrava le conseguenze di un attacco missilistico, ma la retorica di Prigozhin si è intensificata dopo questo fatto e ha presto annunciato che Wagner avrebbe iniziato una “marcia per la giustizia” per ottenere soddisfazione delle sue varie rimostranze. Non era chiaro cosa volesse esattamente, ma sembrava incentrato su rancori personali nei confronti del Ministro della Difesa Sergei Shoigu e del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov.

Poco dopo, sono arrivati alcuni video dalle autorità russe (tra cui uno con il generale Surovikin) che sembravano scongiurare la Wagner di “fermare il movimento delle loro colonne” e di tornare ai loro posti, per evitare spargimenti di sangue e destabilizzazione. Questo convalidava alcune delle voci secondo cui Wagner stava lasciando il teatro di operazioni in forze. La notizia che la Guardia Nazionale Russa era stata attivata a Mosca e altrove sembrava avvalorare il timore che uno scontro armato in Russia fosse imminente.

Alla fine di venerdì, convogli armati di Wagner erano a Rostov[5] (con il marchio Z rosso) e avevano preso il controllo di diversi uffici militari, in quello che equivaleva a un colpo di mano incruento per impossessarsi della città. Le scene erano un po’ stravaganti: carri armati per le strade della città e cordoni di sicurezza intorno a strutture chiave, ma apparente indifferenza da parte della popolazione. La gente si mescolava tra le truppe di Wagner[6], gli spazzini proseguivano il loro lavoro[7], Wagner comprava cheeseburger[8] e la gente si faceva foto con i carri armati.

1 un T -72 è il non plus ultra degli accessori

 

Quella sera, Prigozhin ebbe un incontro teso ma civile[9] con due funzionari di alto livello del Ministero della Difesa: Yanus Evkurov (vice ministro della Difesa) e Vladimir Alekseev (vice capo della direzione dell’intelligence militare).

Le cose si sono scaldate sul serio il giorno dopo (sabato 24) con la notizia che due consistenti corpi armati si stavano muovendo all’interno dei confini prebellici della Russia. Uno era una colonna di personale e armi di Wagner che aveva lasciato Rostov per Mosca, l’altra una forza cecena inviata dallo Stato a Rostov. Alla notizia che le forze statali russe stavano stabilendo posti di blocco e posizioni difensive al di fuori di Mosca, sembrava che potessero essere imminenti due battaglie separate: una della colonna Wagner contro le forze statali davanti a Mosca, e un’altra tra i ceceni e i resti dei Wagner per il controllo di Rostov.

È stato a questo punto che la disinformazione ucraina ha iniziato a scatenarsi, affermando che le unità militari russe e le amministrazioni regionali stavano disertando nel campo di Prigozhin, sostenendo che non si trattava solo di una rivolta della Wagner contro lo Stato, ma di una rivolta generale del sistema russo contro il governo di Putin. In realtà (e questo è un punto chiave su cui tornerò più avanti) non ci sono state defezioni in nessuna unità militare russa regolare o nei governi regionali, e non ci sono stati disordini civili. L’ammutinamento è stato limitato al Gruppo Wagner, e anche in questo caso non tutto il Wagner ha partecipato.

Comunque sia, nelle prime ore della sera di sabato c’erano motivi concreti per temere che si potesse sparare fuori Mosca o a Rostov. Putin ha rilasciato una dichiarazione in cui denunciava il tradimento e prometteva una risposta adeguata. Il Ministero della Giustizia russo ha aperto un fascicolo penale contro Prigozhin per tradimento. Due aerei del Ministero della Difesa russo sono stati abbattuti (un elicottero Mi-8 e un IL-22) dalla colonna Wagner. L’atmosfera globale è diventata notevolmente più umida a causa del volume di salivazione proveniente da Washington.

2 Lì non si può parcheggiare, amico

Poi, la colonna Wagner si è fermata. Il governo bielorusso ha annunciato che era stato negoziato un accordo con Prigozhin e Putin. L’ufficio di Lukahsenko affermò che “si è raggiunto l’accordo sull’inammissibilità di scatenare un sanguinoso massacro sul territorio della Russia”. La colonna si allontanò dalla strada per Mosca e tornò ai campi Wagner in Ucraina, mentre le forze di Wagner rimaste a Rostov fecero i bagagli e partirono. A parte gli equipaggi dei due aerei abbattuti, nessuno fu ucciso.

Naturalmente, le speculazioni si sono immediatamente concentrate sui termini dell’accordo tra Prigozhin e lo Stato. Alcuni hanno ipotizzato che Putin avesse accettato di rimuovere Shoigu, Gerasimov o entrambi dai loro incarichi (forse era questo lo scopo fin dall’inizio?). In realtà, i termini sono stati relativamente blandi e anticlimatici:

Il procedimento per tradimento contro Prigozhin è stato ritirato e lui è andato in Bielorussia.

i combattenti Wagner che avevano partecipato alla rivolta non sarebbero stati accusati e sarebbero tornati a operare in Ucraina

I combattenti Wagner che non hanno partecipato alla rivolta avrebbero firmato contratti con le forze armate russe (essenzialmente uscendo da Wagner e diventando truppe regolari a contratto)

Un vago riferimento a “garanzie di sicurezza” per i combattenti Wagner.

Quindi, tutto questo è molto strano. Una vera e propria insurrezione armata con carri armati e armi pesanti (non un uomo con un copricapo da bufalo[10]) con la presa di controllo di strutture militari, risolta improvvisamente da Lukashenko, e tutto ciò che Prigozhin sembra aver ottenuto è stato… un passaggio gratuito per la Bielorussia? Davvero strano.

Cerchiamo quindi di analizzare ciò che è successo utilizzando un quadro analitico che non sia predeterministico – cioè, assumiamo che né l’onnicompetenza russa né il cambio di regime russo e la coccolosità neoliberale siano garantiti.

Vorrei iniziare affrontando proprio queste due teorie ideologicamente predeterminate. Da un lato c’è chi sostiene che la Russia stia per precipitare in un conflitto civile e in un cambio di regime, dall’altro chi pensa che l’intera vicenda sia stata una manovra psicologica pre-pianificata dal governo russo. I primi sono già stati screditati in virtù del fatto che tutte le loro drammatiche previsioni sono crollate nel giro di 24 ore: Prigozhin non ha infatti guidato un ammutinamento che si è contagiato nel sistema russo, non ha rovesciato Putin e non si è autoproclamato zar Eugenio I. L’altra teoria estrema – quella della psyop – rimane praticabile, ma la ritengo estremamente improbabile, per le ragioni che elencherò ora.

Scenari di psyop

È relativamente facile limitarsi a dire “l’ammutinamento è stato uno psyop” senza approfondire. È banalmente ovvio che la rivolta di Wagner ha “ingannato” l’analisi occidentale[11] – ma questa non è ipso facto una prova che la rivolta sia stata inscenata allo scopo di ingannare l’Occidente. Dobbiamo chiedere qualcosa di più specifico: a quale scopo la rivolta potrebbe essere stata sceneggiata?

Ho individuato quattro teorie distinte che meritano almeno di essere esaminate: vediamole e spieghiamo perché, a mio avviso, nessuna di esse riesce a spiegare in modo soddisfacente la rivolta.

Opzione 1: esca viva

Una potenziale spiegazione – che ho visto suggerire abbastanza spesso – è l’idea che Prigozhin e Putin abbiano inscenato la rivolta allo scopo di stanare teoriche reti di sediziosi, agenti stranieri ed elementi sleali. Si suppone che Prigozhin abbia creato una specie di crisi controllata, ma esteticamente realistica, per lo Stato russo, facendo apparire il governo di Putin vulnerabile e costringendo parti infide e nemiche in tutta la Russia a rivelarsi.

Concettualmente, ciò equivale più o meno a dire che il governo di Putin finge di essere un animale ferito per attirare gli avvoltoi e poterli uccidere.

Penso che questa teoria sia interessante per la popolare, perché fa di Putin un leader estremamente astuto, machiavellico e paranoico. È anche il motivo per cui penso che sia sbagliata. Putin ha tratto una grande legittimazione dalla sua capacità di combattere la guerra senza sconvolgere la vita quotidiana in Russia – non ci sono razionamenti, non ci sono arruolamenti, non ci sono restrizioni alla circolazione, ecc. In effetti, una delle maggiori critiche a Putin è stata mossa dal partito della guerra, secondo il quale egli sta combattendo timidamente la guerra perché ha paura, e che si preoccupi troppo di mantenere la normalità in Russia.

Sembra quindi incongruo che un leader che si è preoccupato di non mettere la società russa su un piede di guerra faccia poi qualcosa di così destabilizzante come inscenare una finta rivolta. Inoltre, se davvero la rivolta di Wagner era una sceneggiata per stanare altri elementi infidi e terroristici, è fallita malamente: non ci sono state defezioni, né disordini civili, né denunce di Putin. Quindi, per diverse ragioni, la teoria dell’esca viva non supera la prova dell’olfatto.

Opzione 2: mascheramento dei dispiegamenti

Una seconda teoria è l’idea che la rivolta di Wagner sia stata essenzialmente una gigantesca cortina fumogena per consentire il movimento di forze militari in Russia. Suppongo che il ragionamento sia che se le colonne armate svolazzano di qua e di là, la gente potrebbe non accorgersi se le forze russe si spostano in posizione per, ad esempio, attaccare Sumy o Kharkov. Questa idea è stata cosmeticamente rafforzata dalla notizia che Prigozhin sarebbe andato in Bielorussia. Si trattava forse di uno stratagemma per mascherare il dispiegamento della Wagner per un’operazione nell’Ucraina occidentale?

Il problema di questa linea di pensiero è triplice. In primo luogo, non comprende la complessità dell’allestimento di una forza per le operazioni. Non si tratta solo di portare in posizione una fila di camion e carri armati: ci sono enormi necessità logistiche. Munizioni, carburante, infrastrutture per le retrovie devono essere allestite. Questo non può essere fatto in 24 ore, sotto la copertura temporanea di un finto ammutinamento.

In secondo luogo, l’effetto “distrazione” è diretto soprattutto ai media e ai commentatori, non all’intelligence militare. Per dirla in altro modo, la CNN e il New York Times erano sicuramente concentrati sulla rivolta di Wagner, ma i satelliti americani continuano a sorvolare lo spazio di battaglia e l’ISR occidentale è ancora in funzione. Le buffonate di Prigozhin non impedirebbero loro di osservare gli allestimenti per attaccare un nuovo fronte.

Terzo e ultimo punto: non sembra che gran parte di Wagner accompagnerà Prigozhin in Bielorussia – il suo viaggio nella Terra di Lukashenko assomiglia più a un esilio che a una riorganizzazione del Gruppo Wagner.

Opzione 3: Radicalizzazione architettata

Questa è la solita teoria della “falsa bandiera” che circola ogni volta che accade qualcosa di brutto da qualche parte. È diventata piuttosto blasé e banale: “Putin ha inscenato la rivolta per poter intensificare la guerra, aumentare la mobilitazione, ecc.”.

Questo non ha alcun senso ed è abbastanza facile da respingere. Ci sono stati veri e propri attacchi ucraini all’interno della Russia (tra cui un attacco di droni al Cremlino e incursioni transfrontaliere delle forze ucraine). Se Putin avesse voluto intensificare la guerra, avrebbe potuto sfruttare una qualsiasi di queste opportunità. L’idea che abbia scelto di orchestrare una rivolta interna – correndo il rischio di una destabilizzazione diffusa – piuttosto che concentrarsi sull’Ucraina è ridicola.

Opzione 4: Consolidamento del potere

Di tutte le teorie psyop, questa è quella che probabilmente ha più credito. Ci sono stati due diversi filoni, che tratteremo a turno.

All’inizio, alcuni ipotizzavano che Putin stesse usando Prigozhin come pretesto per cacciare Shoigu e Gerasimov. L’ho ritenuto improbabile per alcune ragioni.

In primo luogo, non credo che si possa affermare che questi uomini meritino di essere licenziati. All’inizio la guerra russa è stata caratterizzata da elementi disomogenei, ma c’è un chiaro arco di miglioramento nell’industria degli armamenti, con sistemi chiave come il Lancet e il Geran che stanno diventando disponibili in quantità sempre maggiori, e proprio in questo momento le forze armate russe stanno facendo a pezzi la controffensiva ucraina.

In secondo luogo, se Putin volesse rimuovere Shoigu o Gerasimov, farlo in risposta a una finta rivolta è il modo peggiore per farlo, perché darebbe l’impressione che Putin si pieghi alle richieste di un terrorista. Si tenga presente che Putin non ha criticato pubblicamente né Shoigu né Gerasimov per la loro gestione della guerra. Pubblicamente, sembrano avere il suo pieno appoggio. Il presidente potrebbe davvero rimuoverli in risposta alle richieste di Prigozhin senza apparire incredibilmente debole? Sarebbe molto meglio se Putin li licenziasse di sua spontanea volontà, facendo di se stesso, e non di Prigozhin, il kingmaker.

Di certo, a questo punto non sembra che né Shoigu né Gerasimov perderanno il loro posto. Questo ha portato la teoria del “consolidamento del potere” a passare a una seconda linea di pensiero, secondo cui Putin voleva usare Prigozhin essenzialmente per testare il sistema politico russo, vedendo come avrebbero reagito l’amministrazione regionale e i vertici dell’esercito.

3 Gli oggetti della collera di Prigozhin?

In questo modo la rivolta viene trattata come un’esercitazione antincendio: si dà l’allarme, si vede come reagiscono tutti e si prende nota di chi ha seguito le istruzioni. Certo, le figure politiche russe sono uscite allo scoperto per affermare il loro sostegno a Putin e denunciare la Wagner – con un certo stile russo, come il governatore di Tver che ha invitato Prigozhin a suicidarsi[12]. Questo forse conferisce credibilità all’idea che Putin abbia voluto mettere alla prova i suoi subordinati.

Ancora una volta, però, credo che questa teoria non tenga conto di alcuni punti chiave. Innanzitutto, la Russia appariva internamente molto stabile. Putin non stava affrontando alcuna opposizione o pressione politica, né disordini civili, né ammutinamenti nell’esercito, né critiche da parte di figure politiche di alto profilo – non è chiaro perché avrebbe dovuto sentire il bisogno di scuotere il Paese solo per testare la lealtà dell’apparato politico. Forse si pensa che sia una figura iper-paranoica alla Stalin, che si sente spinto a fare giochi mentali con il Paese, ma questo non quadra con il suo modello operativo. In secondo luogo, la traiettoria della guerra è al momento decisamente a favore della Russia, con la vittoria a Bakhmut ancora fresca nella memoria pubblica e la controffensiva dell’Ucraina che assomiglia sempre di più a un fallimento militare di portata storica mondiale. Non ha molto senso che in questo momento in particolare, quando le cose stanno andando molto bene per la Russia, Putin voglia lanciare una granata solo per testare i tempi di reazione.

In definitiva, penso che tutte queste teorie “Psyop” siano molto deboli se valutate in buona fede nei loro stessi termini. I loro errori hanno un filo conduttore. Le cose sono andate molto bene per la Russia, con l’esercito che si è comportato in modo eccellente nella sconfitta in corso della controffensiva ucraina, nessun disordine o agitazione interna e un’economia in crescita. La linea di pensiero psyop presume che, in un momento in cui le cose vanno bene, Putin correrebbe un rischio enorme inscenando un finto ammutinamento per ottenere guadagni trascurabili, rischiando non solo di provocare disordini civili e spargimenti di sangue, ma anche di rovinare l’immagine di stabilità e affidabilità della Russia all’estero.

Si presume che la squadra di Putin sia onnicompetente e in grado di mettere in atto uno schema di inganno molto complesso. Non credo che il governo russo sia onnicompetente. Penso che sia semplicemente un livello normale di competenza – troppo competente per fare una trovata ad alto rischio e bassa ricompensa come questa.

Cosa vuole Prigozhin

A volte mi piace pensare al predeterminismo occidentale da “fine della storia” (in cui tutta la storia è una marcia inesorabile verso la democrazia performativa neoliberale globale e la liberazione finale e la felicità di tutta l’umanità viene annunciata quando la bandiera del Pride sventola vittoriosa a Mosca, Pechino, Teheran e Pyongyang) come se fosse essenzialmente un corollario geopolitico di Jurassic Park – una storia struggente di arroganza e rovina (e uno dei miei film preferiti).

Il modello analitico dei creatori di Jurassic Park presumeva che i dinosauri – creature di cui non sapevano praticamente nulla – si sarebbero sottomessi, con il tempo, alle routine di controllo, come gli animali di uno zoo. Accecati dall’illusione del controllo e dalla stabilità teorica del loro sistema (che si presumeva stabile perché progettato per esserlo), non si apprezzava il fatto che il tirannosauro avesse un’intelligenza e una volontà proprie.

Credo che Yevgeny Prigozhin sia un po’ come il tirannosauro di Jurassic Park. Sia l’apparato neoliberale occidentale che i pianificatori russi a quattro dimensioni sembrano pensare a Prigozhin come a un ingranaggio che esiste per eseguire la funzione del loro modello di mondo. Che tale modello sia la lunga marcia della storia verso la democrazia e l’ultimo uomo o un brillante e sfumato piano generale di Putin per distruggere il mondo unipolare atlantico, non ha molta importanza: entrambi tendono a negare la capacità di iniziativa di Prigozhin e a trasformarlo in uno schiavo del modello. Ma forse è un tirannosauro, con un’intelligenza e una volontà che hanno una direzione autonoma, indifferente ai nostri modelli di mondo. Forse ha abbattuto la recinzione per ragioni sue proprie.

4 un aspirante Lenin? o solo un uomo con le spalle al muro?

Dobbiamo tornare a chi è Prigozhin e a cosa è Wagner.

Per Prigozhin, Wagner è innanzitutto un’attività che gli ha fruttato un’enorme quantità di denaro, soprattutto in Africa. Il valore di Wagner (nel senso più fondamentale) deriva dal suo alto grado di efficacia in combattimento e dal suo status unico di entità indipendente dalle forze armate russe. Qualsiasi minaccia a uno di questi fattori rappresenta una catastrofe finanziaria e di status per Prigozhin.

Recentemente, gli sviluppi della guerra hanno evidenziato una minaccia esistenziale per il gruppo Wagner come PMC vitale. Si tratta di:

Una spinta concertata da parte del governo russo per costringere i combattenti Wagner a firmare contratti con il Ministero della Difesa[13]. In effetti, questo minaccia di liquidare Wagner come organizzazione indipendente e di sussumerla all’interno delle forze armate regolari russe.

Il Wagner sta perdendo l’aumento nel reclutamento derivante dalle coscrizioni dell’anno scorso (compresi i detenuti)[14]. Questi coscritti hanno fornito un’enorme riserva di manodopera che ha permesso al Wagner di affrontare i combattimenti su larga scala a Bakhmut, ma molti hanno terminato il loro turno di servizio.

Ciò significa che Wagner deve affrontare una potenziale distruzione da due fronti. Dal punto di vista istituzionale, il governo russo vuole essenzialmente neutralizzare l’indipendenza del Wagner, incorporandolo nel Ministero della Difesa. Dal punto di vista di Prigozhin, questo significa essenzialmente la nazionalizzazione della sua azienda.

Inoltre, un Wagner snellito (dopo aver eliminato gran parte dei coscritti che lo avevano portato alle dimensioni di un corpo d’armata) non è qualcosa che Prigozhin vuole mandare in combattimento in Ucraina. Una volta che la Wagner sarà ridotta al suo nucleo di operatori esperti in “lavori bagnati”, le perdite in Ucraina inizieranno a intaccare direttamente la vitalità della Wagner.

In altre parole, Prigozhin e le autorità erano a un punto morto. Probabilmente Prigozhin voleva soprattutto, per dirla senza mezzi termini, usare la fama conquistata a Bakhmut per riportare Wagner in Africa e ricominciare a fare soldi a palate. Quello che non voleva era che la sua PMC venisse assorbita dall’esercito russo, o che il suo nucleo di letali professionisti venisse sottoposto all’attrito di un’altra grande battaglia in Ucraina. Il Ministero della Difesa, invece, vuole assorbire i combattenti di Wagner nell’esercito regolare, e usarli per sconfiggere l’Ucraina sul campo di battaglia.

Quindi, c’è un chiaro conflitto di interessi.

Ma cosa può fare Prigozhin? Non ha alcun potere istituzionale, e Wagner dipende dal Ministero della Difesa per le attrezzature, le forniture, l’ISR e molto altro. Inoltre, il patrimonio personale di Prigozhin e la sua famiglia sono sotto la giurisdizione dello Stato russo. Il suo potere è molto limitato. Ci sono solo poche cose che può fare. Può registrare video per mettere in imbarazzo, molestare e umiliare il Ministero della Difesa. Naturalmente, probabilmente non è saggio attaccare direttamente Putin in questi sproloqui, e potrebbe non essere utile insultare i soldati russi comuni, quindi questi attacchi devono essere mirati proprio al tipo di alti funzionari burocratici che l’opinione pubblica russa è predisposta a disprezzare – uomini come Shoigu e Gerasimov.

A parte questi capricci video, Prigozhin aveva solo un’altra possibilità per fermare l’assorbimento istituzionale di Wagner: organizzare una protesta armata. Convincere quanti più uomini possibile a unirsi a lui, fare una mossa e vedere se lo Stato poteva essere scosso abbastanza da concedergli l’accordo che voleva.

Sembra strano, naturalmente. Avete sentito parlare della diplomazia delle cannoniere. Ora assistiamo a trattative contrattuali con i carri armati. Tuttavia, è chiaro che la disputa sull’indipendenza e sullo status di Wagner rispetto alle istituzioni militari russe era al centro di questa vicenda. All’inizio del mese, Prigozhin ha annunciato la sua intenzione di disobbedire a un ordine presidenziale che imponeva ai suoi caccia di firmare i contratti del Ministero della Difesa entro il 1° luglio[15][16].

La dichiarazione di Prigozhin di questa mattina (lunedì 26 giugno)[17], tuttavia, è stata estremamente istruttiva. Si è concentrato quasi esclusivamente sulla sua lamentela principale: Wagner sarebbe stato assorbito dall’esercito istituzionale. Non porta la questione alla sua conclusione e nota che questo avrebbe nazionalizzato la sua attività altamente redditizia, ma i suoi commenti non lasciano dubbi sulla sua motivazione. Ecco alcuni punti chiave:

Wagner non voleva firmare contratti con il Ministero della Difesa.

L’assorbimento nel Ministero della Difesa avrebbe significato la fine di Wagner: “Questa unità avrebbe dovuto cessare di esistere il 1° luglio”.

“L’obiettivo della nostra campagna era di impedire la distruzione del Gruppo Wagner”.

Ma cosa pensava che sarebbe successo Prigozhin? Qual era il suo scenario ottimistico? Probabilmente sperava che il sentimento generale anti-burocratico e anti-corruzione, unito alla popolarità e alla fama di Wagner, avrebbe portato a un’ondata di sostegno per il gruppo che avrebbe messo il governo in condizione di acconsentire all’indipendenza di Wagner.

È stata una decisione audace. Di fronte all’assorbimento istituzionale, Prigozhin ha scommesso su una campagna di destabilizzazione misurata che avrebbe scosso il Paese quel tanto che basta per spaventare Putin e indurlo a fare un accordo. Prigozhin potrebbe essersi convinto che si trattava di un lancio di dadi intelligente e decisivo che avrebbe potuto cambiare le cose a suo favore. Io penso piuttosto che non stessero affatto giocando a dadi. Stavano giocando a carte e Prigozhin non aveva nulla in mano.

La gestione della crisi da parte della Russia

Questa è la parte dell’articolo che sospetto farà arrabbiare i lettori e mi farà guadagnare l’accusa di “copiare” – e così sia. Ma mettiamo le cose in chiaro:

La Russia ha gestito molto bene la rivolta di Wagner e la sua gestione della crisi indica un alto grado di stabilità dello Stato.

Ora, non sto dicendo che la rivolta sia stata positiva per la Russia. È stata chiaramente negativa sotto diversi aspetti. Gli aerei russi sono stati abbattuti da Wagner e i piloti russi sono stati uccisi. A Prigozhin è stato permesso di andarsene dopo aver causato queste morti – una macchia sul governo. C’era una diffusa confusione, che non fa bene al morale, e le operazioni nel Distretto Militare Sud furono interrotte dall’occupazione di Rostov da parte di Wagner.

Nel complesso, questo non è stato un buon fine settimana per la Russia. È stata una crisi, ma è stata una crisi che lo Stato ha gestito abbastanza bene, nel complesso, e ha mitigato gli aspetti negativi – forse ricavando anche un paio di bicchieri di limonata dai limoni di Prigozhin. Forse è appropriato che Shoigu sia stato ministro delle Situazioni di emergenza (essenzialmente per i soccorsi in caso di disastri). I disastri non sono mai positivi, ma è sempre meglio gestirli bene quando accadono.

La risposta dello Stato è stata piuttosto semplice: andare a vedere il bluff di Prigozhin.

Prigozhin si è diretto verso Mosca con la sua colonna – ma cosa avrebbe fatto una volta arrivato? La guardia nazionale russa si stava preparando a bloccare l’ingresso in città. Wagner avrebbe attaccato Mosca? Avrebbe sparato ai soldati della Guardia Nazionale? Avrebbero assaltato il Cremlino o bombardato San Basilio? Farlo avrebbe portato all’inevitabile morte di tutti gli uomini coinvolti. Wagner, senza rifornimenti o approvvigionamenti propri, non può combattere con successo le forze armate russe e probabilmente non potrebbe rifornirsi per più di un giorno o due.

Il problema dell’approccio di Prigozhin è che la pantomima di un colpo di Stato non funziona se non si è disposti a tentare davvero un colpo di Stato, e un colpo di Stato funziona solo se le autorità istituzionali si schierano con noi. Non è che Prigozhin possa arrivare con un carro armato fino al mausoleo di Lenin e iniziare a impartire ordini ai ministeri federali e alle forze armate. I colpi di Stato richiedono il controllo delle leve istituzionali del potere – governatorati regionali, ministeri e corpi ufficiali delle forze armate.

Prigozhin non solo non aveva tutte queste cose, ma di fatto l’intero apparato di potere lo ha denunciato, disprezzato e bollato come traditore. Essendosi ammutinato in un vicolo cieco, le sue uniche scelte erano: iniziare uno scontro a fuoco fuori Mosca, garantendosi la morte e la fama di terrorista traditore, oppure arrendersi. È probabile che l’abbattimento di un aereo russo da parte della colonna Wagner (che Prigozhin dichiarò in seguito essere stato un “errore”) lo abbia spaventato e gli abbia confermato che si stava spingendo troppo oltre e che non aveva una buona via d’uscita. Quando il vostro avversario viene a vedere e voi non avete nulla in mano, non c’è altro da fare se non abbandonare il gioco.

Consideriamo poi, per un momento, la situazione reale in Russia. Una colonna corazzata si stava dirigendo verso la capitale. Qual è stata la reazione dello Stato e del popolo russo? Le autorità a tutti i livelli hanno denunciato pubblicamente la rivolta e hanno dichiarato di sostenere il presidente. Non ci sono state defezioni, né dalle unità militari né dall’amministrazione civile. Non ci sono stati disordini civili, né saccheggi, né perdita del controllo governativo di base nel Paese. Confrontate le scene in Russia durante una ribellione armata con gli Stati Uniti nell’estate del 2020. Quale Paese è più stabile?

Alla fine, il governo è riuscito a dissipare una situazione di crisi, che avrebbe potuto facilmente degenerare in un grave spargimento di sangue, senza alcuna perdita di vite umane a parte gli equipaggi dei due aerei abbattuti (morti che non dobbiamo minimizzare e che devono essere ricordati come vittime dell’ambizione di Prigozhin). Inoltre, i termini dell'”accordo” equivalgono a poco più di una resa da parte di Prigozhin. Egli stesso sembra destinato a una sorta di semi-esilio in Bielorussia (potenzialmente in attesa di un momento terminale tipo Trotsky) e sembra che la maggior parte dei Wagner firmerà contratti e sarà assorbita nelle forze armate istituzionali della Russia. Sulla base del discorso tenuto da Putin questa sera (quindici minuti fa, al momento in cui scriviamo), i combattenti Wagner hanno solo tre opzioni: firmare i contratti MOD, sciogliersi e tornare a casa, o unirsi a Prigozhin nell’esilio bielorusso (presumibilmente senza il loro equipaggiamento). Per quanto riguarda lo status istituzionale della Wagner, Prigozhin ha perso e lo Stato ha vinto. La Wagner come corpo combattente indipendente è finita.

Dobbiamo essere onesti, ovviamente, sui danni della rivolta.

Prigozhin ha ucciso dei militari russi quando la sua colonna ha abbattuto quegli aerei, e poi ha visto cadere l’accusa di tradimento a suo carico. Si può dire, ovviamente, che una risoluzione pacifica ha evitato ulteriori spargimenti di sangue, ma questo non cambia il fatto che ha ucciso dei soldati russi e se la cava. Si tratta di un fallimento che ha una dimensione sia morale che di legittimità istituzionale.

Inoltre, l’intero episodio dovrebbe servire come severa lezione sull’instabilità intrinseca dell’affidarsi a gruppi di mercenari che operano al di fuori delle istituzioni militari formali. Ci sono molti gruppi di questo tipo in Russia, non solo Wagner, e sarebbe una negligenza se il governo non si muovesse con decisione per liquidare la loro indipendenza. Altrimenti, stanno semplicemente aspettando che qualcosa di simile accada di nuovo, potenzialmente con un esito molto più esplosivo.

Nel complesso, tuttavia, sembra piuttosto innegabile che il governo abbia gestito una crisi estrema in modo piuttosto competente. Contrariamente a quanto si dice in Occidente, secondo cui la rivolta di Wagner avrebbe rivelato la debolezza del governo di Putin, l’unità dello Stato, la calma del popolo e la strategia di de-escalation suggeriscono che lo Stato russo è stabile.

Conclusione: 1917

Uno dei passatempi più universali e amati dall’umanità è quello di fare cattive analogie storiche, e questo processo era certamente in piena attività durante lo scorso fine settimana. Il paragone più popolare, naturalmente, è stato quello di paragonare la rivolta di Prigozhin alla caduta dello zar nel 1917.

Il problema è che questa analogia è una perfetta inversione della verità.

Lo Zar cadde nel 1917 perché si trovava al quartier generale dell’esercito lontano dalla capitale. In sua assenza, un ammutinamento della guarnigione a Pietrogrado (Pietroburgo) portò al crollo dell’autorità governativa, che fu poi ripresa da un nuovo gabinetto formato dalla Duma di Stato. I colpi di Stato non si ottengono con un insensato spargimento di sangue. Ciò che conta di più è la questione fondamentale dell’autorità burocratica, perché è questo che significa governare. Quando si alza un telefono e si dà l’ordine di chiudere una linea ferroviaria; quando si ordina a un’unità militare di mettersi a disposizone; quando si emette un ordine di acquisto per cibo, munizioni o medicine – queste istruzioni sono rispettate?

Era banalmente ovvio che Prigozhin non aveva né la forza, né il sostegno istituzionale, né un reale desiderio di usurpare l’autorità, e l’idea che stesse tentando un vero e proprio colpo di stato era assurda. Immaginiamo, per un momento, che Wagner fosse riuscita a farsi strada attraverso la Guardia Nazionale Russa fino a Mosca. Prigozhin irrompe nel ministero della Difesa, arresta Shoigu e si siede sulla sua poltrona. Crediamo davvero che l’esercito sul campo segua improvvisamente i suoi ordini? Non è una sedia magica. Il potere viene messo in palio solo in caso di collasso totale dello Stato, e quello che abbiamo visto in Russia è stato il contrario: abbiamo visto lo Stato serrare i ranghi.

Quindi, alla fine, sia i commentatori neoliberali che i Fiduciosi nel Piano russo sono rimasti con una visione insoddisfacente degli eventi. Prigozhin non è né il messaggero di un cambiamento di regime né una pedina nel gioco degli scacchi “della quinta dimensione” di Putin. È semplicemente un uomo mercuriale e violentemente irresponsabile che ha visto che la sua Corporazione Militare Privata stava per essergli portata via, e ha deciso di andare fino a livelli estremi e criminali per impedirlo. È stato un giocatore di carte senza niente in mano che ha deciso di bluffare per uscire dall’ angolo – finché il suo bluff non è stato scoperto.

 

[1] https://youtu.be/Tr-zidVQckI

[2] https://www.theatlantic.com/international/archive/2023/06/russia-civil-war-wagner-putin-coup/674517/

[3] https://twitter.com/i/status/1672177488535977984

[4] https://twitter.com/i/status/1672315464284815363

[5] https://twitter.com/i/status/1672435707137196033

[6] https://twitter.com/i/status/1672551944039145474

[7] https://twitter.com/i/status/1672699475976921089

[8] https://twitter.com/i/status/1672508128720564227

[9] https://twitter.com/i/status/1672463543189348352

[10] https://www.theguardian.com/us-news/2021/nov/17/qanon-shaman-jacob-chansley-sentenced-capitol-attack-role

[11] https://edition.cnn.com/europe/live-news/russia-ukraine-war-news-06-25-23/h_10ca74299a2b2f940854c485d4092f34

[12]

[13] https://www.reuters.com/world/europe/putin-backs-push-mercenary-groups-sign-contracts-despite-wagners-refusal-2023-06-13/

[14] https://www.newsweek.com/wagner-group-releasing-thousands-convict-troops-uk-1789232

[15]

[16] https://www.nytimes.com/2023/06/11/world/europe/wagner-russia-defense-ministry-contract.html

[17] https://meduza.io/en/feature/2023/06/26/we-gave-a-master-class

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-the-wagner-uprising

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Commedia in più atti, di Roberto buffagni – L’INQUIETANTE AZIONE A DISTANZA, di Pierluigi Fagan

Tiro a indovinare sul fantastico episodio comico-carnevalesco appena conclusosi in Russia.
Prigozhin, un ibrido russo tra capitan Fracassa e Pulcinella degno della penna di Gogol’, si gonfia come un ranocchio per l’importante ruolo svolto dalla Wagner (che lui non dirige ma rappresenta e possiede) nella guerra in Ucraina. Inizia una faida in pubblico, con toni da pescivendola ubriaca, contro Shoigu e Gerasimov, accusandoli di tutto e di più. I due bersagli non rispondono pubblicamente per non dargli importanza, ma avviano la procedura per togliergli il pulpito da cui gridare a vanvera: integrazione della Wagner nell’esercito regolare.
Al dunque-ultimatum, Prigozhin rifiuta, e avvia un’azione dimostrativa. Non ha intenzione di fare un colpo di Stato, vuole solo fare un’escalation nella trattativa, persuaso che se muove i suoi soldati, il presidente Putin, costretto a scegliere tra gli eroi di Bakhmut e i corrotti e antipatici Shoigu e Gerasimov, sceglierà gli eroi popolari. Più o meno, come quando in una serrata trattativa uno tira fuori la pistola e non te la punta addosso, ma la posa sul tavolo e ti sorride.
Alla gran parte dei militari della Wagner Prigozhin racconta balle, NON dice che cosa ha intenzione di fare. Lo dice solo ai fedelissimi, quelli che probabilmente si sono intascati larghi bonus dai traffici in cui Prigozhin è maestro da sempre. Questi ultimi sono poi i 5.000 circa che sono partiti per Mosca.
Irrompe la realtà: l’adulto nella stanza, il presidente Putin, emette un comunicato inequivocabile: questa è insurrezione armata contro lo Stato in tempo di guerra, insomma è tradimento, guai a voi.
Travolto dalla dinamica che ha innescato, Prigozhin continua la sua farsesca azione sovversiva, ed emette comunicazioni sempre più assurde e contraddittorie. Le personalità che nei mesi precedenti lo avevano o incoraggiato o lasciato fare per loro ragioni (rivalità assortite nella classe dirigente russa), spariscono come nebbia al sole.
Prigozhin si accorge di essere rimasto solo come un cane in chiesa. Putin, dimostrandosi un grande statista e un uomo di raro equilibrio psicologico, gli fornisce una via d’uscita per evitare lo spargimento di sangue tra commilitoni in guerra, nonostante che ciò danneggi seriamente, almeno nel breve periodo, la sua immagine (chi comanda in Russia? Putin ha la situazione sotto controllo?).
Non credo che Prigozhin abbia concordato la sua azione con servizi segreti stranieri. È probabile che i servizi d’informazione stranieri abbiano avuto sentore delle sue intenzioni, e lo abbiano incoraggiato INDIRETTAMENTE. Il colpo di Stato aveva probabilità zero di riuscire: solo un pazzo tenta un colpo di Stato in un paese che sta VINCENDO una guerra. Era però ovviamente utile ai nemici della Russia il danno politico all’immagine internazionale della Russia che l’azione inconsulta di Prigozhin avrebbe provocato, e utile la distrazione dal fallimento catastrofico dell’offensiva ucraina.
La vicenda si è chiusa al meglio. Il danno politico è serio ma non irreparabile. L’ aspettativa di vita di Prigozhin non è migliorata. Il danno politico subito dalla Russia e dal suo presidente è serio ma non irreparabile. Nel prossimo futuro assisteremo a un giro di vite legale, che aumenterà i poteri di controllo dell’esecutivo, e a una serie di “spostamenti laterali” di personalità politiche e militari che non hanno fatto quel che dovevano fare. I nostalgici dell’URSS e dello zarismo avranno diverse soddisfazioni.
Sintesi: con la Russia non ci si annoia MAI.
Invito a leggere anche la bella analisi di Pierluigi Fagan, che ho appena letto e condiviso sulla mia pagina. Il “colpo di Stato” tra molte virgolette si Prigozhin è stata una cosa semiseria, e qui la racconto sorridendo; ma cose più serie avvengono all’interno della classe dirigente russa, dove è in gioco la successione al presidente Putin. Pierluigi le mette in luce da par suo.
L’INQUIETANTE AZIONE A DISTANZA. [O Wagner ed il Crepuscolo degli dei] Quando Newton osservò precisi movimenti nella rotazione dei pianeti intorno al Sole, dedusse una legge, la legge di gravità. Questa si basava su una “forza” ovvero qualcosa che attirava i pianeti tra loro evitando partissero per la tangente come in una giostra impazzita. Pur apprezzando con grande riconoscimento l’individuazione della sua legge, molti rimasero perplessi su questa “forza” misteriosa e definirono la cosa come una “inquietante azione a distanza”. Puzzava di metafisica più che di fisica.
Un paio di secoli dopo, Einstein, spiegò la faccenda in altro modo. Le masse curvano lo spazio come una biglia di ferro farebbe su un telo teso (lo spazio, anche se la metafora è in 2d e lo spazio è in 3D, anzi in 4d ma lasciamo da parte il tempo). I pianeti ruotano intorno al Sole e per la sola energia cinetica effettivamente schizzerebbero via per la tangente, ma, essendo lo spazio curvato dalla massa del Sole, sono altresì risucchiati verso di lui. La faccenda quindi è in equilibrio, i pianeti non schizzano via, non precipitano verso il Sole e noi siamo qui a poterne parlare.
La storiella ci serve per segnalare come la nostra ricerca delle cause, sia condizionata dall’inquadratura. Se non metti lo spazio o non consideri lo spazio una cosa, non puoi che dedurre una “forza” misteriosa che agisce a distanza, se metti lo spazio e lo consideri una cosa, c’è la sua curvatura e tutto torna nei meandri della semplice fisica.
Così, se non consideri lo stato del potere in Russia, stato che va ben oltre Putin a dispetto delle stupidaggini propagate dalla narrativa che doveva supportare la storiella “autocrazie monolitiche” vs “democrazie pluraliste”, quello di Prigozhin è un atto mosso da inquietanti forze di azioni a distanza (Americane? Britanniche? Ucraine? Etc.). Ne consegue che Prigozhin, essendo mercenario, avrà preso i soldi (ma già ne aveva un bel po’) per produrre chissà quale risultato poi. Arrivare a Mosca con le sue truppe scelte? Cioè assaltare il centro di una potenza multi atomica con almeno 800.000 affettivi regolari al centro di una rete di alleanze internazionali, con i vantati 25.000 spartani (sicuri? ma chi li ha contati?)? Diventare Zar? Diventare ministro al posto di Shoigu? Mostrare le debolezze di Putin per poi ripiegare a Minsk dove fra qualche mese berrà il famoso brodino al polonio stirando le zampe ma con un sacco di soldi sotto il materasso? È evidente che molta gente abbia l’immaginario condizionato dai fumetti e da Netflix e piuttosto che avventurarsi a scrivere di politica farebbe meglio a concentrarsi su Zerocalcare e fare “critica culturale” che almeno è più innocua.
Se consideri lo stato del potere in Russia, può darsi la faccenda diventi un po’ più complicata ma più realistica. Partiamo dal “potere di Putin”. Ma davvero qualcuno pensa che un uomo solo abbia il potere di soggiogare un primo livello che domina un secondo, che domina un terzo e via giù fino alla massa? O forse c’è una costruzione in equilibrio di forze di cui la stella centrale è l’equilibratore, equilibratore per altro necessario al funzionamento di tutto il sistema di cui le parti sono appunti parti?
Putin annuncia che non si presenterà alle prossime elezioni del 2024 e lo fa mesi e mesi prima del 24 febbraio dell’anno scorso. I motivi sono vari ma tutti solidi, tutti gli analisti di ogni parte del mondo sapevano questo, non era in discussione. Si capisce che normalmente i più si occupano dei casi propri e non stanno certo lì a seguire le questioni di politica interna russa. E si capisce che i più come non pensano al passato che ignorano non pensano neanche al futuro e quindi non notano che manca un anno alle elezioni presidenziali russe, sempre che si tengano? Chissà, magari a qualcuno a Mosca premeva render noto a Putin che quelle elezioni si dovranno tenere, guerra o non guerra, perché i pretendenti al trono (le parti) sono lì in fervida attesa per giocarsi la partita; quindi, la partita si dovrà giocare o salta tutto il gioco.
Prigozhin ha agito senz’altro per suoi personali motivi di sopravvivenza pratica, ma nessun analista ha mai pensato fosse un pazzerellone, gli si attribuiscono lucida razionalità e ben sviluppato senso strategico che in genere comporta anche una notevole furbizia. Non si può escludere che abbia mandato e ricevuto segnali a qualcuno nell’altro schieramento (Britannici? Ucraini?). Ma propri perché lucido e razionale, non potete pensare che un tipo così si metta a marciare su Mosca per diventare Zar o ministro della Difesa, magari pagato dalla CIA, senza scadere nel format Netflix, irrealistico, favolistico, inconsistente. Forse così ragionano i commentatori sulla 7, pagati per fare intrattenimento, non certo Prigozhin. Senza la fisica del potere vale qualsiasi storiella. E’ proprio per non mostrare la fisica pluralista del potere in Russia che i commentatori televisivi inventano storielle (Putin è pazzo, Putin vuol essere Zar, Putin ha il cancro, Putin è malvagio, Putin è un Hitler che ce l’ha fatta) che inducono ad inventare contro-storielle.
Ma se mettete Prigozhin dentro la dinamica della successione al potere russo la cosa prende più senso, forse la fisica del potere ci può aiutare Lì ci sono nazionalisti puri e duri, ma poi da vedere se di ultradestra o sinistra, neoconservatori ortodossi, slavofili, asiatisti multipolaristi, filo-tedeschi in gramaglie, oligarchi (gente che sta perdendo vagonate di soldi, in molti casi), politici filo occidentali ma non tanto per ragioni politiche bensì per volgari ragioni di college per i figli e ville di lusso in posti caldi ed eleganti che piacciono a tutti, più che dacia vista Caspio direi, militari (importanti in Russia, ma con molteplici idee e sfumatura), gente con semplice volontà di potenza esuberante (ce ne è in politica ovunque nel mondo), ma poi anche quelli che pensano che i russi siano gli europei orientali e non certo gli asiatici occidentali, che si disgustano all’idea di stringere la mano di un pakistano o un tagiko delle steppe ed in fondo disprezzano anche un piccolo cinese giallo e incomprensibile, nonché i liberali “perché non diventiamo come gli europei veri?”, più quelli che vorrebbero la Russia così o la Russia colì e chi più ne ha più ne metta, inclusi quelli che provengono da più di 200 etnie e vorrebbero più posti al sole di quelli di San Pietroburgo, i boiardi di Stato (tra cui Gazprom che pare Putin abbia autorizzato poco tempo fa a farsi una sua forza armata modello Wagner), poi quelli che in Ucraina vorrebbero più guerra tra cui Prigozhin fino all’altro ieri o niente guerra come Prigozhin ieri, se mettete tutto queto allora forse il pezzo da matto di Prigozhin che non è un cuoco ma uno che ha fatto i soldi son la ristorazione tanto quanto c’è chi li ha fatti con le palazzine e le televisioni, porta a pensare che c’è un pezzo di storia che né conosciamo, né possiamo conoscere visto che qui nessuno ha interesse ad indagare e loro sono comunque ben contenti di celare.
Prigozhin e Putin o Shoigu, dato per successore certo da tutti gli analisti occidentali ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina, sono i pianeti del sistema visibile. Ma per capire forse ciò che sta succedendo in Russia conviene allargare l’inquadratura e se non c’è un Einstein a spigarci la geometria non euclidea dello spazio politico russo, dobbiamo portare pazienza e dire “non so”. Ma almeno so di non sapere, che è già un bel passo avanti, di questi tempi.
In fondo, il “potere” in Russia funziona esattamente come da qualsiasi altra parte nel mondo, cambia solo il format con cui si esprime la sua fisica.
Può darsi Prigozhin e chi con lui abbia perso, magari ieri Fsb s’è presentata a casa di qualcuno e non certo col sorriso, non lo sappiamo e chissà se mai lo sapremo. L’hanno mollato e Luka (su mandato di Putin) ha fatto veramente da intermediario per salvare Wagner che è una struttura importante per la geopolitica russa (vedi Africa). O forse Prigozhin e chi con lui ha vinto e Putin, nei prossimi giorni, settimane, mesi, mostrerà che la gara alla successione si terrà (chissà, magari nei giorni scorsi al Cremlino girava la voce che non si poteva andare ad elezioni stando in guerra), nulla è deciso (da lui) e lui si limiterà a fare da arbitro ed equilibratore del gioco che è poi il bene comune di tutte le parti in competizione. O forse ha pareggiato, Putin ha preso qualche impegno ma chissà poi se lo manterrà; tuttavia, prima di mettersi davvero e sparare conveniva a tutti passare ad altra metrica e riportare tutto sotto il velo di Maya che “il mondo ci guarda” tra cui gli alleati, ieri comprensibilmente nervosi, inclusi quelli gialli. Troppa competizione può rompere il trono per cui si compete, a chi conviene? Pare neanche a Washington convenga trovarsi con un punto interrogativo in cima a 1500 testate nucleari operative.
Ansia da “ma come è andata davvero?”? Contenetela, è cattiva consigliera della cognizione. Un consiglio? Non andate troppo vicino alle notizie, per lo più sono false o distorte, altre decisive, mancano.
Quindi, si vedrà. Dispiace, ma anche su Netflix quando sembra che si stia arrivando al finale della serie, ti rimandano ad una nuova stagione. I processi politici e la storia uguale.

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Stati Uniti, punti di incontro tra opposti _ con Gianfranco Campa

I detentori delle leve di potere negli Stati Uniti non riescono ancora a rabberciare una falla, dopo anni di tentativi di affossare Trump, che si trovano ad affrontare le conseguenze di un’altra crepa questa volta addirittura dentro casa. Hanno sepolto Robert Kennedy sotto una coltre di silenzio nel tentativo di spegnere sul nascere la sua candidatura nel Partito Democratico, ma il suo bisbiglio porta a porta sembra ancora una volta sfuggire di mano ai manovratori. Nel frattempo il castello di menogne e di accuse con il quale si cerca di annichilire giudiziariamente Trump prende corpo in tutta la sua artificiosità. Intanto su di una sconfitta ancora tutta da conseguire si costruiscono nuove candidature perfettamente allineate al vecchio corso che sta destabilizzando il mondo intero e gli Stati Uniti stessi. Ne farà le spese, probabilmente, l’attuale primo riicandidato alle presidenziali, Jo Biden. Dovesse riuscire la neutralizzazione dei due eretici interni al Partito Democratico e a quello Repubblicano, si creerebbero le condizioni per uno sconvolgimento radicale dello scenario politico statunitense. Una inedita e drammatica situazione di scontro politico interno che rende contraddittoria, schizofrenica ed esposta a scelte avventuriste la politica estera del paese dominante, ma sempre meno egemone. Una condizione di inaffidabilità ormai evidente a tutti gli attori dello scacchiere geopolitico con la solita, anche se sempre più inquieta eccezione degli stati europei. Domenica sera ci sarà un nuovo appuntamento con Gianfranco Campa visto l’incalzare degli eventi interni agli Stati Uniti, ai danni di Biden e in Russia. Guardate questa conferenza stampa della portavoce presidenziale: https://www.youtube.com/watch?v=qGzIw9_PwX8&ab_channel=TheWhiteHouse Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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L’uso di armi nucleari potrebbe salvare l’umanità dalla catastrofe globale, di Sergey Karaganov

Non è la voce ufficiale dei centri decisori russi, ma ne ha fatto parte. Ne è ancora una voce ascoltata. Qui sotto la traduzione e un commento della redazione del sito francese dedefensa.org, già conosciuto dai nostri lettori. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Putin esce allo scoperto
– Un testo russo, presentato con tutta la solennità necessaria a dargli un senso, che prevede l’uso di armi nucleari da parte della Russia. – Può essere preso come un solenne avvertimento alle élite occidentali, scritto con un tono pessimistico che indica quanto poche siano le speranze che venga ascoltato. – L’ipotesi è presentata non come una condizione, ma come un’inevitabilità necessaria e inevitabile, e come un caso in cui, con un po’ di potenza nucleare, si può evitare la guerra totale. – Il testo è del professor Karaganov.

_________________________

Ecco un testo, un articolo di notevole importanza, non per convincere o criticare, ma per valutare la gravità della situazione e il dibattito fondamentale che si sta svolgendo in Russia – se non è già stato deciso…

L’articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2023 da RT.com, con un disclaimer dettagliato per dare un’idea della sua importanza. È deliberatamente redatto e presentato per quello che è, ovvero un modo per dire: “Attenzione, qui è dove siamo sulla strada della decisione di usare il nucleare”; e presenta un’opzione che pretende di aggiungere: c’è la possibilità di usare un po’ di energia nucleare per evitare lo scontro totale, che porterebbe alla fine di una civiltà e forse della razza umana. Il titolo, con il nome del suo prestigioso autore, il professor Sergei Karaganov, lo dice perfettamente:

“Usando le sue armi nucleari, la Russia potrebbe salvare l’umanità da una catastrofe globale”.

Lo presentiamo senza pretendere per un attimo di prendere posizione sul problema che affronta; la comprensione approfondita dell’esistenza e dei fatti del problema è ciò che più ci preme… Presentiamo prima l’introduzione di RT.com e poi aggiungiamo alcune osservazioni, diciamo così, “oggettive”.

“Una decisione difficile ma necessaria costringerebbe probabilmente l’Occidente a fare marcia indietro, il che consentirebbe di porre fine più rapidamente alla crisi ucraina e di evitare che si estenda ad altri Stati.

“[Scritto] dal professor Sergei Karaganov, presidente onorario del Consiglio russo per la politica estera e di difesa e supervisore accademico presso la Scuola di economia internazionale e affari esteri della Scuola superiore di economia (HSE) di Mosca.

“Questo articolo ha suscitato un grande dibattito tra gli esperti russi sulle armi nucleari, il loro ruolo e le condizioni per il loro utilizzo.

“Ciò è tanto più vero se si considera che Sergei Karaganov è un ex consigliere presidenziale di Boris Eltsin e Vladimir Putin e dirige il Consiglio per la politica estera e di difesa, un rinomato think tank di Mosca.

“Alcune personalità hanno reagito con sgomento, mentre altre sono state meno critiche.

“RT ha deciso che i nostri lettori avrebbero tratto beneficio dalla lettura integrale dell’articolo. Il seguente articolo è stato tradotto e leggermente adattato”.

Se leggete questo testo, vedrete che tutte le finezze e le argomentazioni sulla necessità o meno di utilizzare “prima” l’energia nucleare non sono nemmeno menzionate. L’idea che lo guida è quella di una formidabile pressione di eventi, in cui ognuno fa la sua parte, in cui ognuno accusa l’altro, eccetera, tutto ciò che alla fine è secondario rispetto alla questione principale. – Tutto ciò è secondario rispetto alla straordinaria importanza della decisione in questione.

Da parte nostra, notiamo alcuni fattori ed elementi oggettivi che ci aiutano ad apprezzare meglio l’importanza del testo, senza esprimere alcun giudizio. Il testo stesso è un fatto intellettuale, se non operativo, e come tale va apprezzato.

La decisione di pubblicare
È chiaro che non è stato RT a prendere la decisione di pubblicare, soprattutto in modo così solenne. A questo punto, è bene ricordare che RT è un’organizzazione “pubblica” russa, come France24 in Francia. La pubblicazione è avvenuta quindi su istigazione di Putin – e questo giustifica il nostro titolo “Putin esce allo scoperto”, perché ha deciso di mettere sul tavolo la posta finale della guerra.

Va notato che la pubblicazione arriva il giorno dopo che il Presidente della Federazione Russa ha tenuto un briefing giornalistico estremamente dettagliato e aperto sulla “controffensiva” ucraina. Putin ha mostrato estrema fermezza e ha proclamato che i risultati di una settimana di battaglia hanno mostrato un disastro per gli ucraini e un terribile fallimento per i loro armamenti NATO.

Il contenuto del testo
Il testo del professor Karaganov è estremamente preciso, in particolare sulle condizioni del possibile utilizzo (avvertimento per consentire alle popolazioni che desiderano fuggire di farlo) e sugli effetti sull’opinione pubblica e sulla gestione, in particolare nei Paesi amici, soprattutto in Cina. È tutto fuorché un “messaggio segreto”, una “minaccia velata” o una pomposa “affermazione di potere”. Le carte sono drammaticamente messe sul tavolo, con l’enfasi sul fattore “male minore”.

Un effetto dimostrativo?
Si noti che questa interpretazione del “male minore” (un po’ di energia nucleare per evitare la guerra generale) ricorda un approccio previsto nel 1944-1945 da alcuni esperti statunitensi riguardo alla bomba atomica, come alternativa per evitare Hiroshima e Nagasaki: una dimostrazione in un luogo deserto (in mare, al largo delle coste giapponesi?) della potenza dell’arma per evitarne l’uso.

Un riferimento metafisico e religioso
Il passaggio più inaspettato e insolito è quello in cui il professor Karaganov attribuisce alle armi nucleari una dimensione metafisica e religiosa.

“Ho trascorso molti anni a studiare la storia della strategia nucleare e sono giunto a una conclusione inequivocabile, anche se non scientifica. L’avvento delle armi nucleari è stato il risultato dell’intervento dell’Onnipotente che, indispettito dal fatto che l’umanità avesse scatenato due guerre mondiali nel giro di una generazione, costate decine di milioni di vite, ci ha dato le armi dell’Armageddon per dimostrare a coloro che avevano perso la paura dell’inferno che l’inferno esisteva ancora. È su questa paura che si è basata la relativa pace degli ultimi tre quarti di secolo.

“Ma oggi quella paura è scomparsa. Sta accadendo l’impensabile in termini di deterrenza nucleare…”.

Va ricordato che riferimenti del genere erano nella mente degli scienziati di Los Alamos quando fu fatta esplodere la prima bomba atomica, come questo scritto di Oppenheimer:

“Sapevamo che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Alcuni risero, altri piansero. La maggior parte rimase in silenzio. Mi è venuta in mente una frase del testo indù, la Bhagavad Gita; Vishnu cerca di persuadere il Principe a fare il suo dovere e, per impressionarlo, assume le sembianze di molte braccia e dice: “Ora sono la Morte, il distruttore di mondi”. Suppongo che tutti noi l’abbiamo pensato, in un modo o nell’altro”.

Invece di utilizzare il titolo originale (“Usando le sue armi nucleari, la Russia potrebbe salvare l’umanità da una catastrofe globale”), presentiamo il testo nella sua forma più sobria e neutrale.

dedefensa.org

L’uso di armi nucleari potrebbe salvare l’umanità dalla catastrofe globale

Ворон сидит на знаке радиационной опасности
©Vasily Fedosenko/REUTERS

Condividerò alcune riflessioni che coltivo da tempo e che hanno preso forma dopo la recente Assemblea del Consiglio per la politica estera e di difesa, una delle più brillanti nei suoi 31 anni di storia.

Una minaccia crescente
Il nostro Paese, la sua leadership, mi sembra si trovino di fronte a una scelta difficile. È sempre più chiaro che lo scontro con l’Occidente non finirà se otterremo una vittoria parziale o addirittura schiacciante in Ucraina.

Se libereremo completamente le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, sarà una vittoria minima. Un successo un po’ più grande sarebbe la liberazione, entro un anno o due, dell’intero est e sud dell’attuale Ucraina. Ma ne rimarrebbe una parte con una popolazione ultranazionalista ancora più amareggiata e piena di armi – una ferita sanguinante che minaccia inevitabili complicazioni, una nuova guerra. La situazione potrebbe essere peggiore se liberassimo l’intera Ucraina a costo di sacrifici mostruosi e venissimo lasciati in rovina con una popolazione in gran parte odiosa. Ci vorranno decenni per “rieducarli”.

Tutte le opzioni citate, soprattutto l’ultima, distrarranno la Russia dal necessario spostamento del suo centro spirituale, economico, militare e politico verso l’est dell’Eurasia. Rimarremo bloccati nella poco promettente direzione occidentale. E i territori dell’attuale Ucraina, soprattutto centrali e occidentali, attireranno risorse – manageriali, umane, finanziarie. Queste regioni erano profondamente sovvenzionate anche in epoca sovietica. L’inimicizia con l’Occidente continuerà e sosterrà una lenta guerriglia civile.

Un’opzione più attraente è la liberazione e la riunificazione dell’est e del sud e l’imposizione della capitolazione ai resti dell’Ucraina con la completa smilitarizzazione, creando uno Stato cuscinetto e amico. Ma un tale risultato è possibile solo se e quando riusciremo a spezzare la volontà dell’Occidente di sostenere la giunta di Kiev e a metterla contro di noi, costringendola a ritirarsi strategicamente.

E qui arrivo alla questione più importante, ma poco discussa. La ragione profonda, anzi principale, della crisi ucraina, così come di molti altri conflitti nel mondo, dell’aumento generale della minaccia militare è l’accelerazione del fallimento delle moderne élite dominanti occidentali, create dal ciclo di globalizzazione degli ultimi decenni – per la maggior parte comprador in Europa (comprador erano chiamati dai colonizzatori portoghesi i commercianti locali, al loro servizio. – “Profilo”). Questo fallimento è accompagnato da uno spostamento senza precedenti dell’equilibrio di potere nel mondo a favore di una maggioranza globale, con la Cina e in parte l’India come motore economico e la Russia come ancora strategica militare. Questo indebolimento fa infuriare non solo le élite imperial-cosmopolite (Biden e Co.) ma spaventa anche le élite imperial-nazionali (Trump). L’Occidente sta perdendo l’opportunità che ha avuto per cinque secoli di sottrarre ricchezza al mondo imponendo, principalmente con la forza bruta, ordini politici, economici e dominio culturale. Non c’è quindi una fine rapida del confronto difensivo ma aggressivo messo in atto dall’Occidente. Questo crollo delle posizioni morali, politiche ed economiche si è manifestato a partire dalla metà degli anni Sessanta, è stato interrotto dal crollo dell’URSS, ma è ripreso con nuova forza negli anni Duemila (le sconfitte degli americani e dei loro alleati in Iraq e in Afghanistan e la crisi del modello economico occidentale nel 2008 sono state pietre miliari).

Per fermare questo scivolamento a valanga verso il basso, l’Occidente si è temporaneamente consolidato. Gli Stati Uniti hanno trasformato l’Ucraina in un pugno di ferro per usarla per legare le mani alla Russia, spina dorsale politico-militare di un mondo non occidentale liberato dalle catene del neocolonialismo. Idealmente, naturalmente, gli americani vorrebbero semplicemente far saltare in aria il nostro Paese, indebolendo così radicalmente la nascente superpotenza alternativa: la Cina. Noi, non rendendoci conto dell’imminenza di un confronto o accumulando forze, siamo stati lenti ad agire preventivamente. Inoltre, in linea con il pensiero politico e militare moderno, prevalentemente occidentale, siamo stati imprudenti nell’alzare la soglia per l’uso delle armi nucleari, nel valutare in modo impreciso la situazione in Ucraina e nel non riuscire a lanciare un’operazione speciale.

Fallendo internamente, le élite occidentali hanno iniziato a nutrire attivamente le erbacce che si erano fatte strada sul terreno di settant’anni di prosperità, sazietà e pace – tutte quelle ideologie anti-umane: la negazione della famiglia, della patria, della storia, dell’amore tra uomini e donne, della fede, del servizio a ideali superiori, di tutto ciò che è l’essenza dell’uomo. Estirpare coloro che resistono. L’obiettivo è quello di umanizzare le persone per ridurre la loro capacità di resistere al moderno capitalismo “globalista”, la cui ingiustizia e i cui danni all’uomo e all’umanità stanno diventando sempre più evidenti.

Nel frattempo, gli Stati Uniti, indeboliti, stanno uccidendo l’Europa e gli altri Paesi che dipendono da loro, cercando di gettarli in uno scontro, dopo l’Ucraina. Le élite della maggior parte di questi Paesi hanno perso la bussola e, in preda al panico per il fallimento delle loro posizioni interne ed esterne, stanno doverosamente portando i loro Paesi al massacro. Allo stesso tempo, a causa del maggiore fallimento, del senso di impotenza, della secolare russofobia, del degrado intellettuale e della perdita di cultura strategica, il loro odio è quasi più feroce che negli Stati Uniti.

Il vettore di sviluppo della maggior parte dei Paesi occidentali lo dimostra: stanno andando verso un nuovo fascismo e un totalitarismo (finora) “liberale”.

Inoltre, e questo è l’aspetto più importante, la situazione non potrà che peggiorare. Le tregue sono possibili, ma la riconciliazione no. La rabbia e la disperazione continueranno a crescere a ondate e a manovre. Questo vettore di movimento dell’Occidente è un chiaro segno della deriva verso lo scoppio della Terza Guerra Mondiale. È già iniziata e potrebbe esplodere in una vera e propria conflagrazione a causa dell’incompetenza e dell’irresponsabilità, accidentale o crescente, dei circoli dirigenti dell’Occidente.

L’introduzione dell’intelligenza artificiale, la robotizzazione della guerra aumenta la minaccia di un’escalation involontaria. Le macchine possono sfuggire al controllo di élite disorientate.

La situazione è aggravata dal “parassitismo strategico”: in 75 anni di relativa pace, la gente ha dimenticato gli orrori della grande guerra, ha smesso di temere persino le armi nucleari. Ovunque, ma soprattutto in Occidente, l’istinto di autoconservazione si è indebolito.

Per molti anni ho studiato la storia della strategia nucleare e sono giunto a una conclusione inequivocabile, anche se non scientifica. La comparsa delle armi nucleari è il risultato dell’intervento dell’Onnipotente, che inorridito nel vedere che gli uomini (a cui si sono aggiunti gli europei e i giapponesi) avevano scatenato due guerre mondiali in una sola generazione, mietendo decine di milioni di vittime, ha consegnato all’umanità l’arma dell’Armageddon, mostrando a coloro che avevano perso la paura dell’inferno che esso esiste. Su questa paura poggiava la pace relativa degli ultimi tre quarti di secolo. Ora quella paura è scomparsa. Sta accadendo l’impensabile in termini di precedenti concezioni della deterrenza nucleare: un gruppo di circoli dirigenti, in un impeto di rabbia disperata, ha scatenato una guerra su larga scala nel ventre di una superpotenza nucleare.

Разрушения в Хиросиме после атомной бомбардировки

Hiroshima dopo il bombardamento atomico statunitense, settembre 1945Stanley Troutman/AP/TASS
La paura dell’escalation nucleare deve essere ripristinata. Altrimenti l’umanità è condannata.Non è solo, e nemmeno tanto, quale sarà il futuro ordine mondiale che si sta decidendo ai margini dell’Ucraina. Ma se il mondo a cui siamo abituati rimarrà lo stesso o se il pianeta non sarà altro che rovine radioattive.Spezzando la volontà di aggressione dell’Occidente, non solo salveremo noi stessi e libereremo finalmente il mondo dal giogo occidentale che dura da cinque secoli, ma salveremo anche l’intera umanità. Spingendo l’Occidente verso la catarsi e l’abbandono dell’egemonia delle sue élite, lo costringeremo a ritirarsi prima che la catastrofe mondiale colpisca. L’umanità avrà una nuova possibilità di sviluppo.Soluzione proposta
Naturalmente la strada da percorrere è in salita. È necessario anche risolvere i problemi interni, liberarsi finalmente dell’occidentalismo nelle menti e degli occidentali nello strato amministrativo, dei comprador e del loro peculiare modo di pensare. (Il viaggio in Europa, durato trecento anni, ci ha dato molte informazioni utili e ci ha aiutato a formare la nostra grande cultura. Naturalmente, conserveremo l’eredità europea in esso contenuta. Ma è tempo di tornare a casa, a noi stessi. Per iniziare, utilizzando il bagaglio accumulato, a vivere con il nostro ingegno. I nostri amici del Ministero degli Affari Esteri hanno recentemente compiuto una vera e propria svolta, nominando la Russia nel loro concetto di politica estera come uno Stato civile. Aggiungerei – una civiltà di civiltà, aperta sia al Nord che al Sud, all’Ovest e all’Est. Ora la direzione principale dello sviluppo è il Sud, il Nord e, prima di tutto, l’Est.

Il confronto con l’Occidente in Ucraina, comunque si concluda, non deve distrarci dal movimento strategico interno – spirituale, culturale, economico, politico e militare – verso gli Urali, la Siberia e il Grande Oceano. Abbiamo bisogno di una nuova strategia uralo-siberiana, che includa diversi potenti progetti di potenziamento spirituale, tra cui, naturalmente, la creazione di una terza capitale situata in Siberia. Questo movimento dovrebbe diventare parte del “sogno russo”, l’immagine di quella Russia e di quel mondo a cui si vuole aspirare.

Ho scritto molte volte, e non sono il solo, che i grandi Stati senza una grande idea cessano di essere tali o semplicemente non vanno da nessuna parte. La storia è disseminata di ombre e tombe di potenze che l’hanno persa. Questa idea deve essere creata dall’alto, non affidandosi, come fanno gli sciocchi o i pigri, a ciò che viene dal basso. Deve rispondere ai valori e alle aspirazioni più profonde del popolo e, soprattutto, deve portarci tutti avanti. Ma è responsabilità dell’élite e della leadership del Paese formularla. Il procrastinare la formulazione e la presentazione di questa idea da sogno è inaccettabilmente lungo.

Ma perché il futuro abbia luogo, è necessario superare la resistenza delle forze del passato – l’Occidente. Se ciò non avverrà, ci sarà quasi certamente una guerra mondiale su larga scala e probabilmente l’ultima per l’umanità.

E qui arrivo alla parte più difficile di questo articolo. Possiamo andare in guerra per un altro anno o due o tre, sacrificando migliaia e migliaia dei nostri uomini migliori e abbattendo decine e centinaia di migliaia di persone intrappolate nella tragica trappola storica di quella che oggi è l’Ucraina. Ma questa operazione militare non può concludersi con una vittoria decisiva senza imporre all’Occidente una ritirata strategica o addirittura una capitolazione. Dobbiamo costringere l’Occidente ad abbandonare i suoi tentativi di tornare indietro nella storia, abbandonare i suoi tentativi di dominio globale e costringerlo a fare i conti con se stesso, a digerire la sua attuale crisi a più livelli. Per dirla in modo crudo, abbiamo bisogno che l’Occidente semplicemente “se ne vada” e non interferisca con la Russia e con il mondo che verrà.

Испытания межконтинентальной баллистической ракеты "Ярс"

La decifrazione del nome del missile domestico Yars parla da sola: “missile deterrente nucleare”.Servizio stampa del Ministero della Difesa russo via AP/TASS
L’Occidente deve recuperare il senso di autoconservazione perduto, convincendolo che cercare di logorare la Russia aizzando gli ucraini contro di lei è controproducente per l’Occidente stesso. La credibilità della deterrenza nucleare deve essere ripristinata abbassando la soglia inaccettabilmente alta per l’uso di armi nucleari, muovendosi con cautela ma rapidamente sulla scala della deterrenza-escalation. I primi passi sono già stati fatti. Ci sono le dichiarazioni pertinenti del Presidente Putin e di altri leader, hanno iniziato il dispiegamento di armi nucleari e dei loro vettori in Bielorussia e hanno aumentato l’efficienza di combattimento delle forze strategiche di deterrenza. Ci sono molti gradini in questa scala. Ne ho contati circa due dozzine. Si potrebbe anche arrivare ad avvertire i connazionali e tutte le persone di buona volontà di lasciare le loro case in prossimità di strutture che potrebbero diventare bersaglio di attacchi nucleari nei Paesi che forniscono sostegno diretto al regime di Kiev. Il nemico deve sapere che siamo pronti a sferrare un attacco preventivo di ritorsione per tutte le sue aggressioni attuali e passate, per evitare di scivolare in una guerra termonucleare globale.

Ho detto e scritto più volte che, con la giusta strategia di intimidazione e anche di uso, il rischio di una “ritorsione” nucleare o anche di qualsiasi altro attacco al nostro territorio può essere ridotto al minimo. Solo se alla Casa Bianca c’è un pazzo, che odia anche il proprio Paese, gli Stati Uniti deciderebbero di colpire in “difesa” degli europei, subendo il prezzo della rappresaglia, sacrificando una fantomatica Boston per una fantomatica Poznan. Sia gli Stati Uniti che l’Europa lo sanno bene, ma preferiscono non pensarci. Anche noi abbiamo contribuito a questa mancanza di riflessione con le nostre dichiarazioni pacifiste. Avendo studiato la storia della strategia nucleare statunitense, so che dopo che l’URSS ha acquisito una credibile capacità di ritorsione nucleare, Washington non ha preso seriamente in considerazione l’uso di armi nucleari sul territorio sovietico, anche se ha bluffato in pubblico. Se le armi nucleari furono prese in considerazione, fu solo contro le forze sovietiche “in avanzata” in Europa occidentale. So che i cancellieri Kohl e Schmidt sono fuggiti dai loro bunker non appena la questione di tale uso è stata sollevata durante le esercitazioni.

La discesa nella scala di contenimento-escalation dovrebbe essere abbastanza rapida. Dato il vettore dell’Occidente – il degrado della maggior parte delle sue élite – ogni successiva chiamata è più incompetente e ideologicamente miope delle precedenti. E finora non dobbiamo aspettarci che queste élite vengano sostituite da altre più responsabili e ragionevoli. Ciò avverrà solo dopo la catarsi – l’abbandono delle ambizioni.

Lo “scenario ucraino” non può ripetersi. Per un quarto di secolo non abbiamo ascoltato coloro che ci avvertivano che l’espansione della NATO avrebbe portato alla guerra; abbiamo cercato di ritardare, di “negoziare”. E come risultato ci siamo ritrovati con un pesante conflitto armato. Ora il prezzo dell’indecisione è di un ordine di grandezza superiore.

Ma cosa succede se non si tirano indietro? Hanno perso completamente il senso di autoconservazione? Allora dovremo colpire un gruppo di obiettivi in diversi Paesi per far rinsavire coloro che hanno perso il senno. È una scelta moralmente spaventosa: stiamo usando le armi di Dio e ci condanniamo a una grave perdita spirituale. Ma se non lo facciamo, non solo la Russia può perire, ma molto probabilmente l’intera civiltà umana finirà.

Автомобиль с имитацией российской ракеты "Сармат"
L’ultimo missile balistico intercontinentale russo, il Sarmat, uno strumento di impatto non solo militare ma anche psicologicoSERGEI ILNITSKY/EPA/TASS
Dovremo fare questa scelta da soli. Anche gli amici e i simpatizzanti non la sosterranno all’inizio. Se fossi cinese, non vorrei che il conflitto finisse troppo presto e con troppa decisione, perché in questo modo le forze statunitensi si ritirano e la RPC può accumulare forze per una battaglia decisiva – direttamente o, secondo i migliori precetti di Sun Tzu, in modo tale che il nemico sia costretto a ritirarsi senza combattere. Mi opporrei anche all’uso di armi nucleari, perché portare il confronto al livello nucleare significherebbe spostarsi in un’area in cui il mio Paese (la Cina) è ancora debole. Inoltre, un’azione decisa non è in linea con la filosofia della politica estera cinese, che enfatizza i fattori economici (mentre accumula potenza militare) ed evita il confronto diretto. Io sosterrei il mio alleato fornendogli una retroguardia, ma agirei alle sue spalle e non interferirei nella mischia. (Forse però non capisco abbastanza questa filosofia e sto attribuendo agli amici cinesi motivazioni che non sono le loro). Se la Russia avesse usato armi nucleari, il cinese l’avrebbe condannata. Ma si rallegrerebbe anche in cuor suo per il fatto che è stato inferto un duro colpo alla reputazione e alla posizione degli Stati Uniti.

Quale sarebbe la nostra reazione se (Dio non voglia!) il Pakistan colpisse l’India o viceversa? Inorriditi. Saremmo tristi per la rottura del tabù nucleare. E poi ci occuperemmo di aiutare le vittime e di modificare di conseguenza la nostra dottrina nucleare.

Per l’India e altri Paesi a maggioranza mondiale, compresi gli Stati dotati di armi nucleari (Pakistan, Israele), l’uso di armi nucleari è inaccettabile per motivi sia morali che geostrategici. Se venisse dispiegato con “successo”, svaluterebbe il tabù nucleare – l’idea che tali armi non dovrebbero mai essere usate e che il loro uso è una strada diretta verso l’Armageddon nucleare. Non possiamo contare su un rapido sostegno, anche se molti nel “Sud globale” si sentono bene per la sconfitta dei loro ex oppressori, che hanno saccheggiato, perpetrato genocidi e imposto una cultura aliena.

Ma alla fine i vincitori non vengono giudicati. E i salvatori vengono ringraziati. La cultura politica europea non ricorda il bene. Ma il resto del mondo ricorda con gratitudine come abbiamo aiutato i cinesi a liberarsi dalla brutale occupazione giapponese e le colonie a liberarsi dal giogo coloniale. Se all’inizio non ci capiranno, ci saranno ancora più incentivi per migliorarci. Tuttavia, è molto probabile che riusciremo a vincere, a dissuadere il nemico senza ricorrere a misure estreme e a costringerlo a ritirarsi. E dopo qualche anno, prendere posizione alle spalle della Cina, così come ora è alle nostre spalle, sostenendola nella sua lotta con gli Stati Uniti. Così questa lotta potrà essere evitata senza una grande guerra. E vinceremo insieme per il bene di tutti, compresi i popoli dei Paesi occidentali.

E poi la Russia e l’umanità, attraverso tutte le spine e i traumi, andranno verso il futuro, che vedo luminoso – multipolare, multiculturale, multicolore, dando ai Paesi e ai popoli l’opportunità di costruire il proprio destino condiviso.

L’autore è Presidente onorario del Presidium del Consiglio per la politica estera e di difesa (CFDP)

https://profile.ru/politics/primenenie-yadernogo-oruzhiya-mozhet-uberech-chelovechestvo-ot-globalnoj-katastrofy-1338893/

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Le cose stanno andando a rotoli… E anche il centro non si presenta bene _ di AURELIEN

Un piccolo rilievo allo scritto che ci offre una rappresentazione plastica della complessità delle dinamiche e del conflitto politico: manca la constatazione delle relazioni che si intersecano tra gruppi e centri decisori che confliggono all’interno delle formazioni sociali. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Le cose stanno andando a rotoli…
E anche il centro non si presenta bene.

AURELIEN
21 GIU 2023
Il mio ultimo saggio ha suscitato molti commenti, tra cui suggerimenti per portare l’analisi un po’ più avanti e cercare di esaminare alcune delle conseguenze a lungo termine per l’Occidente della fine della guerra in Ucraina e del suo fallimento politico e militare in quel paese. Ecco quindi un modesto tentativo.

Non è una previsione. Non solo non credo nelle previsioni, ma bisogna ricordare che gli eventi si muovono a una velocità e a una complessità tali da far sì che ciò che scrivo ora possa essere facilmente superato quando lo leggerete. Nel mio saggio su L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, scritto qualche mese fa, avrei dovuto menzionare il povero brigadiere Pudding, che passava il suo tempo libero a scrivere un libro intitolato “Cose che possono accadere nella politica europea”, per poi scoprire che c’erano così tante possibilità e così tante interazioni che non era in grado di stare al passo con gli eventi attuali (per non parlare di prevedere il futuro) e che il libro stava in realtà andando al contrario.

Detto questo, è possibile individuare alcune direzioni verso cui le cose potrebbero andare (o soprattutto non andare). Voglio iniziare con il lato negativo, perché è un modo per mettere in un certo contesto alcuni degli scenari più estremi di cui si legge. Non voglio dire che nessuna di queste possibilità estreme sia intrinsecamente impossibile, dato che quasi nulla nella politica internazionale lo è, ma per le ragioni che seguono non credo che dovremmo dedicarvi molto tempo.

La prima possibilità è un fallimento politico ed economico catastrofico. All’inizio, gli opinionisti pensavano che questo potesse accadere in Russia: di recente non se ne parla più. Altri, invece, vedono la fine dell'”Impero americano”, la dissoluzione della NATO, conflitti violenti e persino guerre civili in alcuni Stati occidentali, molteplici fallimenti bancari e il crollo di intere economie, il tutto entro la fine dell’anno. La difficoltà è duplice. Da un lato, sì, le conseguenze economiche più ampie della guerra in Ucraina, tra cui la (limitata) de-dollarizzazione del commercio, la vulnerabilità di catene di approvvigionamento complesse e sofisticate, l’aumento dei prezzi del carburante e il lento spostamento del potere economico dall’Occidente, potrebbero avere implicazioni piuttosto significative nel prossimo futuro. O forse no, perché sono anche inseriti in una serie di altri problemi, non specificamente legati all’Ucraina, ma in alcuni casi collegati: inflazione, deindustrializzazione, povertà, crescente dipendenza dalle importazioni, sistemi politici in disfacimento e crescente disuguaglianza economica, tutti temi sui quali ho scritto più volte. È chiaro che per l’Occidente si prospettano tempi molto difficili nei prossimi anni e oltre. Ma le previsioni su singole conseguenze catastrofiche, legate in particolare alla guerra in Ucraina, mi sembrano molto pericolose. La storia suggerisce che una delle previsioni estreme o più estreme si avvererà, o si avvererà in parte, ma probabilmente sarà per puro caso, e sarà comunque l’ultima cosa che ci aspetteremmo. Quindi la NATO non chiuderà l’anno prossimo, e nemmeno l’anno dopo: la politica internazionale non funziona così.

D’altra parte, uno dei miei punti fermi in questi saggi è la necessità di distinguere tra modelli di fondo di eventi e spostamenti di potere, da un lato, e circostanze specifiche, spesso inconoscibili in anticipo, che hanno innescato una particolare catena di eventi disastrosi, dall’altro. Il crollo dell’Unione Sovietica, l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini in Iran o la recente guerra civile in Etiopia sono esempi di questo tipo: gli ingredienti c’erano, ma la crisi sarebbe potuta arrivare prima, dopo o forse non sarebbe potuta arrivare affatto. Lo stesso è probabile in questo caso: alcune conseguenze dirette o indirette della fine della guerra in Ucraina potrebbero innescare una catena catastrofica di eventi da qualche parte, ma non lo faranno automaticamente, né senza una necessaria lievitazione preliminare di stupidità umana nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quindi non entusiasmiamoci troppo per le singole previsioni apocalittiche a breve termine.

La seconda possibilità è il business as usual. Secondo questa teoria, la sconfitta in Ucraina verrebbe rapidamente relegata nel buco della memoria, proprio come l’Afghanistan (si sostiene), e gli ultras di Washington e Bruxelles inizierebbero a prepararsi per una guerra con la Cina. Non credo che nemmeno questo sia fattibile. L’Afghanistan ha avuto effetti essenzialmente localizzati e temporanei. Non sarà così per l’Ucraina. A seconda dello scenario esatto (e ci arriverò tra un attimo) il fallimento delle politiche occidentali in Ucraina avrà conseguenze significative e a lungo termine per l’Occidente nel suo complesso. Le conseguenze più ovvie saranno di tipo economico, ma quelle davvero interessanti si trovano altrove. Per esempio, nell’ultimo decennio Kiev è stata un sobborgo di Washington, Londra e Bruxelles. Ma basterà che i russi annuncino di non poter più garantire la sicurezza dei leader occidentali in visita a Kiev e il rapporto comincerà a sgretolarsi, anche se gli ucraini vorranno mantenerlo. A prescindere dall’esatto regime che seguirà quello di Zelensky, è sempre più probabile che l’Occidente venga congelato dalle relazioni con l’Ucraina. Non ci saranno contratti di costruzione succulenti per le aziende occidentali per ricostruire le aree sotto il controllo russo. I leader e gli uomini d’affari occidentali potrebbero trovarsi ospiti sempre più sgraditi e imbarazzanti. (La cosa più importante, forse, è che le forze russe, molto numerose e ben equipaggiate, saranno dispiegate ben in avanti, scomodamente vicino ai confini della NATO. Gli aerei russi potrebbero pattugliare la frontiera ucraino-polacca con la riluttante acquiescenza di Kiev. Quasi ogni giorno si corre il rischio di una nuova umiliazione politica per l’Occidente e di una crescente prova della sua graduale perdita di status. Non sono cose che si possono nascondere, soprattutto in Paesi e organizzazioni internazionali che si sono abituati all’idea di essere i naturali dominatori del mondo.

La terza possibilità è l'”escalation” che porta inevitabilmente a una sorta di guerra nucleare. Ho già sottolineato più volte che l’escalation ha un significato solo se si ha qualcosa con cui farla e un posto dove farla. La retorica e le minacce, che sono state la prassi della NATO e dell’UE fino ad ora, non hanno alcun valore in questo caso. Le forze di terra della NATO sono troppo deboli e disperse per intervenire. Le forze aeree della NATO farebbero… cosa? Se tutti gli aerei impegnati nell’attuale esercitazione aerea della NATO virassero improvvisamente verso est, pochi, se non nessuno, raggiungerebbero la linea di contatto prima di esaurire il carburante (o di essere abbattuti, ovviamente) e che effetto avrebbero sulla battaglia? La teoria alla base di esercitazioni militari come questa è che si invia un messaggio politico sulla determinazione a rimanere coinvolti e sulla volontà di intensificare gli interventi. Ma quando non si ha nulla con cui rimanere coinvolti o con cui fare un’escalation, tutto diventa un po’ inutile. Chi state cercando di convincere, a parte voi stessi e il vostro pubblico? In realtà, le esercitazioni e i movimenti di truppe e aerei sono una delle pochissime opzioni disponibili nel repertorio degli Stati che si trovano ad affrontare una crisi, ed è probabile che ne vedremo di più nei prossimi mesi e anni, non perché siano efficaci, ma perché non ci sono molte alternative.

E poi, naturalmente, ci sono le armi nucleari. Dato che se ne è parlato molto, soffermiamoci un attimo sulla questione. Innanzitutto, non credo che nessuno in Occidente sia stato così folle da pensare di tentare il classico brinkmanship nucleare, ovvero la minaccia di attaccare Mosca con armi nucleari se i russi non si fossero ritirati dall’Ucraina. Una simile minaccia equivarrebbe a un suicidio nazionale per gli Stati Uniti (e per altri) se fosse portata a termine, e a un’umiliazione nazionale se non lo fosse. Senza dubbio da qualche parte nelle fogne di Washington ci sono persone abbastanza illusorie da pensare che questa sia una linea d’azione accettabile, ma nella vita reale non credo che avranno molta influenza. Lo stesso vale per l’uso “dimostrativo” di armi nucleari in numero molto ridotto, da qualche parte, che appartiene ai best-seller degli aeroporti e ai libri di testo di scienze politiche, non alla vita reale.

Torniamo quindi alle armi nucleari tattiche o, come preferirei chiamarle, “da campo di battaglia”, sulle quali di recente si è fatto un gran parlare. Ora, è necessario fare un po’ di storia. Le armi nucleari non sono state originariamente sviluppate in base a un’esigenza militare, e fin dall’inizio i militari hanno avuto il problema di trovare un ruolo operativo per esse, al di là delle loro funzioni puramente politiche come la deterrenza e il significato dello status di Grande Potenza. Man mano che le armi nucleari diventavano fisicamente più piccole, c’era la possibilità di utilizzarle in battaglia, consentendo potenti attacchi a concentrazioni di truppe, campi d’aviazione e quartieri generali, che altrimenti sarebbero stati molto difficili da distruggere. Inoltre, poiché le armi nucleari sul campo di battaglia potevano essere consegnate con una precisione sempre maggiore, la resa poteva scendere fino a livelli inferiori ai kilotoni, tenendo presente che l’effetto di un’arma a scoppio cade con la radice cubica della distanza, per cui la precisione è molto importante. Alla fine della Guerra Fredda, il risultato fu una pletora di sistemi: bombe a caduta libera, razzi, proiettili d’artiglieria e persino piccole munizioni da demolizione. (Esattamente quanti fossero rimane discutibile, ma l’Occidente vi ha dato maggiore importanza, perché fin dall’inizio i governi occidentali non vedevano alcuna speranza di mantenere le stesse dimensioni delle forze convenzionali del Patto di Varsavia: un impegno che alla fine ha contribuito molto a distruggere l’economia sovietica. Le armi nucleari sul campo di battaglia erano quindi l’unica risposta: se le forze del WP fossero mai avanzate a ovest fino a un punto della Germania noto come Linea Omega, i militari avrebbero chiesto il cosiddetto “sganciamento nucleare”. Da parte sovietica, l’uso precoce delle armi nucleari sembra essere stato dato per scontato: tutte le attrezzature sovietiche erano progettate per essere utilizzate in un ambiente nucleare (e biologico e chimico);

Con la fine della Guerra Fredda, tutto questo cominciò a sembrare un po’ inutile. Gli inglesi e i francesi rinunciarono alle loro armi nucleari tattiche e gli Stati Uniti si sbarazzarono di tutte le loro, tranne alcune bombe a caduta libera. Non si conoscono le cifre esatte, ma fonti aperte suggeriscono che potrebbero averne circa 200, alcune delle quali almeno a rendimento variabile, e forse la metà di queste sono conservate in strutture sicure in Europa. Nessuno sa davvero quante armi abbiano conservato i russi, ma sicuramente più degli Stati Uniti, perché la loro dottrina militare si occupa ancora prevalentemente di guerra terra/aria. Quindi, in teoria, sarebbe possibile utilizzare armi nucleari sganciate per via aerea contro le concentrazioni di truppe russe nel Donbas, ora o in una futura iterazione della crisi. In pratica, non molto, per due motivi.

Primo: è possibile? Per quanto ne so, non esistono velivoli ucraini in grado di sganciare armi nucleari (e questo presuppone che esistano velivoli ucraini). Quindi, velivoli della NATO appositamente attrezzati dovrebbero essere trasferiti in basi in Ucraina, velivoli della NATO appositamente adattati dovrebbero far volare le armi, in condizioni di grande sicurezza, verso basi aeree appositamente protette in Ucraina, sufficientemente vicine alla linea di contatto da permettere agli aerei della NATO di fare ritorno, e infine gli aerei della NATO dovrebbero arrivare lì e (preferibilmente) tornare indietro attraverso difese aeree che finora si sono dimostrate estremamente efficaci. Non lo so, ma ho il sospetto che le bombe a caduta libera come le B-61 siano già armate una volta che l’aereo decolla, quindi un aereo della NATO abbattuto in qualsiasi punto dell’Ucraina potrebbe potenzialmente causare un’esplosione nucleare, o nella migliore delle ipotesi un inquinamento nucleare diffuso. In secondo luogo, queste armi possono essere “tattiche”, ma hanno comunque un effetto su una vasta area. Anche una “piccola” arma da 1 chilotone ucciderebbe o danneggerebbe tutti e tutto nel raggio di circa un chilometro: coloro che non sono morti a causa dell’esplosione o del fuoco potrebbero ammalarsi o addirittura morire per avvelenamento da radiazioni nelle settimane e nei mesi successivi. È difficile vedere una circostanza in cui la NATO, per quanto stressata, pensi che una dozzina di questi ordigni sia una buona idea, indipendentemente dal numero di soldati russi uccisi nel processo.

Quindi queste sono le cose che, a mio avviso, è improbabile che accadano. (Non posso dire che siano impossibili, come ho indicato, ma poche cose in politica lo sono). Spostiamo quindi la nostra attenzione sulle conseguenze più probabili, e per farlo dobbiamo avere uno scenario di riferimento su cui lavorare. Propongo il seguente, tenendo presente che l’esito effettivo potrebbe essere un po’ più radicale.

Le forze armate ucraine vengono effettivamente distrutte come entità. Rimangono piccoli gruppi (forse fino al livello di un battaglione), ma hanno poca o nessuna capacità di influenzare le operazioni. I russi hanno occupato le aree dell’Ucraina che hanno votato per l’adesione alla Russia e la costa fino a Odessa. Hanno centinaia di migliaia di truppe pesantemente armate dispiegate nel terzo orientale del Paese e una presenza nel resto del Paese. A Kiev c’è un nuovo governo che considera le buone relazioni con la Russia come la sua principale priorità. I consiglieri e gli addestratori occidentali si sono, almeno teoricamente, ritirati dal Paese e non vengono più inviate attrezzature occidentali.

Questo, lo sottolineo, è un risultato minimamente probabile. Ma comunque lo si guardi, rappresenta una sconfitta per la NATO e l’UE, e una nuova realtà con cui bisognerà convivere. Consideriamo alcune delle probabili reazioni, a partire da quella più ovvia: la negazione, per quanto possibile, della nuova realtà. Questo è il comportamento tipico di qualsiasi gruppo in difficoltà, e notoriamente di organizzazioni con forti ego istituzionali. È semplicemente impossibile che la NATO dica “abbiamo sbagliato” o “abbiamo ****** sbagliato”, qualunque cosa possano pensare i singoli governi o gli individui stessi. La politica non funziona così: il massimo che si potrebbe ammettere è che gli altri non hanno fatto ciò che avrebbero dovuto fare, o addirittura che ci hanno tradito. Quindi si cercherà in tutti i modi di far passare una sconfitta come una vittoria. Come? Beh, immaginiamo il vertice NATO del 2024 e facciamo loro il favore di redigere un breve comunicato. Il testo sarebbe del tipo: “Noi, Capi di Stato e di Governo della NATO

Noi, Capi di Stato e di Governo della NATO, ci siamo riuniti a Hobart, in Tasmania, per riaffermare il nostro impegno per la sicurezza e la prosperità dell’Europa e per la forza del legame transatlantico, nonché per i valori e i principi che hanno guidato l’Alleanza fin dalla sua nascita. Rinnoviamo i nostri ringraziamenti al Governo australiano per aver ospitato la riunione e per aver messo a disposizione un alloggio a prova di bomba nucleare per tutta la durata della stessa.

Accogliamo con favore la partecipazione del Governo ucraino in esilio da Zoom delle Isole Cayman e la partecipazione dei governi di Australia, Nuova Zelanda, Singapore e Vanuatu in qualità di osservatori e di rappresentanti della più ampia comunità internazionale.

Ricordiamo con orgoglio che la fermezza d’intenti e la disponibilità al sacrificio della NATO hanno portato alla completa sconfitta dei tentativi russi di invadere e occupare con la forza i territori dell’Ucraina, della Polonia e degli Stati baltici, ed esprimiamo la nostra rinnovata determinazione ad opporci, con mezzi economici e se necessario di altro tipo, a qualsiasi ulteriore mossa russa in questa direzione.

Abbiamo istituito un Gruppo di lavoro sotto la presidenza congiunta del Vice Segretario Generale e del Vice Presidente del Comitato militare, che riferirà al prossimo Vertice sulle possibili misure per sviluppare l’Alleanza, per continuare a preservare e rafforzare la sicurezza dell’Europa.

Se siete mai stati coinvolti in questo genere di cose, vi renderete conto che si tratta solo di una leggera parodia. Ma perché non vengono mai proposte misure concrete? Perché tutto è sempre mascherato da una nebbia di parole che possono significare qualsiasi cosa per chiunque. In pratica, si può considerare il processo di decisione politica, e ancor più di descrizione politica, come un gigantesco esercizio di disegno di diagrammi di Venn. Laddove c’è una sufficiente sovrapposizione, un’idea o un pezzo di linguaggio si fa strada nella casella contrassegnata dal “consenso”. Alcune nazioni possono essere fortemente favorevoli, anche se spesso per motivi diversi; altre possono essere disposte ad accettare l’idea o il linguaggio, sempre per motivi diversi. Alcuni potrebbero non essere particolarmente interessati, altri ancora potrebbero essere scontenti, ma decidere che ci sono altre battaglie più importanti da combattere, oppure potrebbero vendere la loro acquiescenza in cambio di concessioni altrove. Quindi, uno dei fatti fondamentali da tenere a mente riguardo a qualsiasi politica multilaterale, o a qualsiasi sua espressione, è che significa cose diverse per persone diverse e rappresenta sempre un compromesso di qualche tipo. Per i testi, questo è ciò che viene chiamato Storia del negoziato, cioè il modo in cui il testo è arrivato a essere così com’è, con tutte le false partenze, le sordide contrattazioni, i mercanteggiamenti, le proposte infruttuose e i dolorosi compromessi. Si tratta di un’area estremamente poco studiata, sia per quanto riguarda l’evoluzione della politica stessa, sia per il modo in cui questa viene successivamente descritta.

Il problema sorge, ovviamente, quando una politica di compromesso fragile come questa finisce nei buchi e deve essere ripensata. Come ho già sottolineato, non bisogna mai sottovalutare l’importanza dell’inerzia nella politica internazionale, soprattutto quando sono coinvolti molti Stati. Continuare a fare la stessa cosa, per quanto stupida, è sempre più facile che cercare di trovare un consenso per un cambiamento.

In sostanza, questo è il motivo per cui la posizione della NATO (e dell’UE) sulla Russia/Ucraina è ora quasi impossibile. Tanto per cominciare, non è mai esistita “una” politica della NATO nei confronti della Russia, ma una serie di politiche nazionali e multilaterali non molto coerenti che avevano dimensioni diverse, anche all’interno dei singoli Paesi. Sarebbe bello pensare che, da qualche parte in un bunker sotto il quartier generale della NATO, ci sia stato un gruppo di collaboratori Top Secret della NATO che ha lavorato per dieci o vent’anni su come far cadere la Russia e il suo attuale governo. Ma le organizzazioni internazionali non funzionano così, e la NATO certamente non lo fa. Piuttosto, ci sono state forse una mezza dozzina di politiche nazionali e multilaterali, che si sono sviluppate con i nuovi governi e le mutate situazioni. Possiamo elencarne alcune, tenendo presente che raramente sono completamente distinguibili l’una dall’altra.

In primo luogo, c’era la naturale cautela degli Stati europei nei confronti di una grande potenza militare vicina. Questa è una costante della politica internazionale: vale per la posizione della Nigeria in Africa occidentale, per quella degli Stati Uniti in America centrale, della Cina nell’Asia meridionale e persino della Germania in alcuni dei suoi piccoli vicini. Questo non significa, ad esempio, che il Burkina Faso tema un’invasione nigeriana, ma solo che la sua politica di sicurezza deve tenere conto delle dimensioni e della potenza del suo vicino. Dire che la Russia “non era una minaccia” non è proprio il punto, perché in pratica i Paesi più piccoli provano sempre un certo nervosismo nei confronti di quelli più grandi, non per quello che stanno facendo ma per quello che potrebbero ipoteticamente fare.

Questo è stato essenzialmente l’approccio franco-tedesco, tipico di Hollande e Merkel. C’era preoccupazione per le dimensioni e il potere della Russia e il timore che, dopo la Crimea e l’inizio del conflitto separatista nell’Ucraina orientale, il Paese cadesse effettivamente sotto il dominio russo. Dato lo stato deplorevole dell’UAF, bisognava fare qualcosa per addestrarla come deterrente. Ma naturalmente la situazione era molto più complicata all’interno di ciascun Paese e tra altri Paesi che seguivano più o meno la stessa linea. Per cominciare, entrambi i Paesi avevano relazioni complesse e sfaccettate con la Russia: La preoccupazione della Germania per l’accesso al gas russo a basso costo è ben nota, ma forse si è dimenticato che la Francia stava vendendo navi alla Marina russa e che gli equipaggi russi si stavano addestrando su di esse nel 2014, all’epoca della crisi di Crimea. Non c’è alcuna indicazione che Merkel e Hollande abbiano percepito il loro sostegno all’Ucraina e l’accordo di Minsk II come atti ostili, né che abbiano creduto che i russi li avrebbero percepiti come ostili.

Naturalmente, c’erano molti altri attori che sostenevano le politiche della NATO a favore dell’Ucraina per ragioni molto diverse. C’erano nostalgici della Guerra Fredda senza speranza, che sognavano di combattere la battaglia che era stata loro negata dagli eventi del 1989. C’era una grande quantità di razzismo antislavo residuo in molti Stati europei, soprattutto (ma non solo) dell’ex Patto di Varsavia. C’erano estremisti che sognavano di provocare una guerra che avrebbe portato a un cambio di regime a Mosca. Alcuni avevano fantasie di una Russia debole, umiliata e distrutta dall’Ucraina con l’aiuto dell’Occidente. Altri avevano fantasie di una Russia più forte che travolgeva l’UAF, ma che veniva sconfitta dagli uomini delle tribù ucraine sulle montagne con le armi della NATO. O qualcosa del genere. Altri ancora sembravano aver creduto a versioni di entrambi in tempi diversi, o addirittura contemporaneamente. Come ho sottolineato, c’era un’intera ideologia PMC, post-nazionale, post-culturale, post-modernista, per la quale la stessa esistenza della Russia era un insulto ideologico, e che giustificava le sanzioni dell’UE già in vigore. C’erano globalisti per i quali il rifiuto russo di piegarsi era inspiegabile e inaccettabile. C’erano quelli che ritenevano che tutti i problemi internazionali dovessero essere risolti dall’Occidente e dalle sue istituzioni e che vedevano la Russia come un pericoloso emergente. C’era chi si limitava ad assecondare pragmaticamente qualsiasi politica NATO del momento, perché aveva altre priorità e poca influenza.

È improbabile che più di una piccola percentuale di queste persone abbia deliberatamente deciso di provocare un conflitto, e non potrebbero comunque farlo in modo coerente. Quando erano al potere, c’erano certamente gruppi e individui che spingevano per lo scontro aperto, ma facevano solo parte di una comunità molto più ampia, che andava più o meno nella stessa direzione, ma a velocità diverse, con motivazioni molto diverse e obiettivi in qualche modo diversi, e naturalmente erano contrastati da altri gruppi potenti. Ciò che univa questi gruppi più militanti, però, era la convinzione che, alla fine, ciò che facevano non aveva importanza. La Russia era povera e debole, il suo esercito era inutile (tranne per coloro che credevano che fosse spaventosamente forte) e quindi ciò che l’Occidente faceva e diceva non aveva letteralmente importanza perché la Russia non poteva farci nulla. L’Occidente poteva imporre sanzioni, rafforzare l’Ucraina, emettere comunicati incendiari e cercare di intimidire Mosca, ma alla fine non aveva importanza, perché cosa potevano fare i russi? I russi non avevano alcun diritto di considerare queste mosse come minacce, ma se lo avessero fatto, cosa avrebbero fatto? Cosa avrebbero fatto? In effetti, ciò che univa tutti gli attori occidentali in questo dramma, dai più estremi ai più moderati, era un senso di assoluta impunità. La reazione russa semplicemente non aveva importanza e poteva essere ignorata. (Allo stesso modo, tutta la sciocca retorica sulla guerra con la Cina in questo momento non significa che ci sarà una guerra con la Cina, ma solo che l’Occidente sta suonando duro e bellicoso a spese della Cina, perché ciò che la Cina pensa non conta e non può entrare nei calcoli occidentali).

Ecco quindi il senso di panico che ha accompagnato l’intervento russo. Per alcuni è stato il culmine di paure storiche, per altri un’opportunità celeste, per altri ancora un’occasione per perseguire clandestinamente altri obiettivi, per altri ancora un pericolo per l’esistenza stessa della NATO, per altri una meravigliosa opportunità politica per cambiare il sistema di governo in Russia, mentre per altri ancora una secchiata d’acqua gelida gettata su di loro da una realtà recalcitrante. Come spesso accade in politica, le risposte possibili erano molto limitate, e così la NATO finì per fare solo un numero ristretto di cose, che i diversi governi giustificarono a se stessi e ai loro pubblici secondo logiche diverse.

Questa incoerenza della politica originaria significa, a sua volta, che il disfacimento di questa instabile coalizione anti-russa produrrà una situazione molto complessa e potenzialmente pericolosa, con diversi gruppi che tirano in direzioni diverse. Sarebbe stato tutto molto più semplice se ci fosse stato un piano generale. Se il piano fosse sempre stato quello di provocare un confronto diretto con la NATO, allora la NATO avrebbe potuto preparare le forze per rendere possibile tale confronto. Se il piano fosse sempre stato quello di coinvolgere direttamente gli Stati Uniti, allora questi ultimi avrebbero potuto dotarsi dei mezzi necessari per farlo. Inoltre, se l’intera crisi fosse stata provocata dall’industria degli armamenti, quest’ultima avrebbe già aumentato in anticipo la sua capacità di produrre armi e quindi di ottenere maggiori profitti: ma non l’ha fatto.

Quindi parlare di “una” reazione occidentale al tipo di vittoria russa che ho delineato è fuorviante. Una conseguenza molto più probabile è una serie di risposte incoerenti e conflittuali che tendono in direzioni diverse, forse nel disperato tentativo di mantenere una certa solidarietà con la NATO e l’UE, ma che in realtà minacciano di danneggiare o addirittura distruggere entrambe le organizzazioni. È probabile che questa incoerenza non sia solo tra gli Stati, ma anche al loro interno, dato che i diversi gruppi di interesse si combattono e stringono alleanze con altri partner.

Parliamo innanzitutto degli Stati Uniti, perché questo Paese è il più grande attore singolo sul versante occidentale. È tuttavia fuorviante pensare che esista una politica statunitense univoca e definita su qualsiasi cosa: meno che mai sull’Ucraina in questo momento. Nell’infinita e feroce lotta nel fango che è la politica degli Stati Uniti, una tendenza o un gruppo di interesse otterrà di tanto in tanto una vittoria temporanea, che altri gruppi cercheranno immediatamente di minare e ribaltare. (Il fatto che anche il Presidente sia d’accordo su qualcosa non garantisce che questo avvenga davvero). Ci sono fazioni a Washington che vogliono un confronto politico e militare senza fine con la Russia sull’Ucraina e possono arrivare a credere (e persino a convincere altri) di avere il potere di farlo accadere. In realtà, però, non controllano le risorse che renderebbero possibile tale confronto. Infatti, una caratteristica della burocrazia di Washington è che nessuno ha mai il controllo completo di nulla, e la “politica statunitense” è in pratica solo un compromesso instabile che diversi gruppi sono più o meno disposti a sostenere per il momento.

Per questo motivo, il risultato più probabile a breve termine di una vittoria russa a Washington sarà la paralisi. Ubriaco di deliri di superiorità e onnipotenza autogenerati, un intero sistema politico si troverà improvvisamente impotente a influenzare il corso degli eventi. Il risultato più comune in queste circostanze è che il sistema si ripiega su se stesso e si divora, mentre gli attori disperati cercano di scaricare la colpa su altri. Su scala più ridotta, vedremo più o meno la stessa cosa in altri Paesi. Questo è particolarmente vero in Europa, perché le conseguenze pratiche del tipo di scenario che ho descritto sopra saranno molto diverse, ad esempio, in Polonia rispetto al Portogallo. L’unità superficiale tra gli Stati europei in realtà non si estende molto al di là delle loro caste professionali e manageriali, ed è chiaro che l’opinione pubblica sta iniziando a rivoltarsi in modo piuttosto netto contro le presunzioni del PMC, e del PMC stesso, in diversi Paesi. Dal momento che la sinistra si è suicidata in quelle parti d’Europa in cui non era già da tempo parte attiva dell’élite della PMC, il campo è aperto per i partiti di destra (e persino di “estrema destra”) per prendere il potere, dal momento che saranno gli unici partiti a parlare delle questioni che interessano la gente comune. (Suggerimento: l’Ucraina non è una di queste).

Ci sarà una grande attività e molte riunioni, comunicati e dichiarazioni da parte della NATO e dell’UE. Ci saranno atti dimostrativi come esercitazioni, dichiarazioni sulle strutture delle forze, iniziative politiche e tentativi di costruire più ampie coalizioni politiche e militari anti-russe. Soprattutto, ci saranno sforzi disperati per mantenere in funzione entrambe le istituzioni di fronte a enormi forze centrifughe. Questi sforzi probabilmente avranno successo, se non altro perché le possibilità di trovare un accordo su alternative coerenti sono di fatto nulle.

A livello nazionale, intanto, sarebbe profondamente ironico se le politiche occidentali, che molti speravano portassero alla disintegrazione della Russia, portassero invece alla disintegrazione di alcuni sistemi politici occidentali. Ma la storia ha un senso dell’umorismo malvagio e ama le ironie di questo tipo. Questo sarebbe meno importante se ci fossero altre forze politiche sensate e organizzate in attesa di prendere il sopravvento. Ma il deserto politico di cui ho scritto in precedenza, dominato da partiti affiliati al PMC, incompetenti e disprezzati dai loro stessi elettori, non sembra destinato a produrre molte alternative. È improbabile che in qualsiasi momento della storia occidentale ci sia stata una classe politica meno capace di quella attuale, proprio mentre l’Occidente stesso affronta la sua più grande crisi dal 1945. Le conseguenze di questo disallineamento sono impossibili da conoscere per il momento, ma non saranno divertenti e potrebbero rivelarsi i risultati più significativi di tutto questo orrendo episodio.

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AUTUNNI e PRIMAVERE, di Pierluigi Fagan

AUTUNNI e PRIMAVERE. Queste stagionalità sono usate, in varie culture, come metafore dei cicli vitali. Negli autunni la vita appassisce e si prepara al letargo, si riduce; nelle primavere rinasce, fiorisce. Vi sono primavere ed autunni della vita personale, della vita naturale, della vita sociale e del corso storico, della vita del pensiero.
La teoria di Darwin è conosciuta come teoria dell’evoluzione, ma Darwin non usò mai il termine “evoluzione” nella prima edizione dell’Origine (1859), come Marx non usò quasi mai il termine “capitalismo”. In entrambi i casi, interpreti successivi hanno coniato i concetti appiccicati poi come etichette alla loro teoria generale. Dobbiamo dedurre che questi pensatori non avessero capacità concettuale di sintesi o dobbiamo ipotizzare che le sintesi in seguito apposte fossero pertinenti e precise solo fino ad un certo punto?
Quanto a Darwin si tratta sicuramente del secondo caso. In realtà, Darwin voleva solo rispondere ad una domanda ben precisa: da dove provengono le nuove specie? Del resto, questo intento è ciò che fa il titolo della sua opera principale. Posta la domanda, Darwin risponde: le nuove specie vengono fuori da un complesso processo naturale. Risposta oggi per noi scontata, ma non lo era affatto ai suoi tempi. Ai suoi tempi (seconda metà del XIX secolo), l’immagine di mondo era strutturata sulla vigenza di verità dell’Antico testamento. Ma lasciamo da parte questa ricostruzione storica e continuiamo il discorso principale.
Qual è il processo naturale ipotizzato da Darwin per spiegare le fasi primaverili della vita ovvero quando si produce il molteplice plurale? L’inglese, del tutto ignaro esistesse il DNA ed i geni, la pensava così: in natura si produce continuamente varietà, le varietà vengono selezionate dalla natura stessa in base al loro essere adatte al contesto (ecologie naturali, vegetali ed animali, e clima), tali varietà più adatte si riproducono e diventano lo standard di una data epoca e di un certo luogo. Quando cambia il contesto, varietà prima adatte possono diventare non più adatte, nuove ne prendono il posto. Il processo è sempre dinamico, cambia sempre perché cambia sempre il contesto naturale.
In effetti, noi e la natura siamo su una palla per lo più di terra che gira intorno ad una stella. Ad essa ci avviciniamo e da essa ci allontaniamo, l’asse terrestre vacilla su sé stesso. Il tutto ha effetti sull’atmosfera e da qui il motore del cambiamento costante delle condizioni naturali; quindi, della vita che nel contesto si ambienta. Pensando a quanto si sono dannati l’anima a cercare il famoso “motore della storia” certi pensatori, vien da sorridere. Perché cercare un motore quasi che la situazione originaria sia una statica, quando la situazione del contesto in cui ambientiamo la vita è dinamico di sua natura? È un tipico caso, non certo l’unico, di disallineamento tra mondo ed immagine di mondo.
È un caso “tipico” nella cultura occidentale. In Cina, ad esempio, la più antica scrittura sapienziale (ovvero la più antica scrittura punto ovvero il più antico complesso di pensieri anticamente in forma orale), s’intitolava “Libro dei Mutamenti”. Pare che gli antichi cinesi avessero ben chiaro che il Tutto muta di continuo e cercarono di trovare buoni consigli per aiutarsi a capire in anticipo come mutasse per poi consigliare il da farsi. Altresì, la loro più antica scrittura storica, più o meno coeva dalla prima scrittura storica occidentale che avemmo con Erodoto, si chiamava “Annali delle Primavere ed Autunni”.
Se la vita è ambientata su un tapis roulant o se preferite un fiume o un vento o qualcosa che corre sempre e chissà dove va, ne consegue in via logica il problema dell’adattamento. Non vi vestite e non mangiate e non vivete in autunno come in primavera, no?
A differenza di Darwin, noi oggi sappiamo da dove viene questa incessante produzione di varietà vitale. Di recente, s’è trovato che sarebbero esistite delle molecole-stampo che riproducono le molecole tipo in certi processi chimici pre-biotici. Siamo cioè ancora nella chimica inorganica. Ad un certo punto, poco dopo che s’era formata la Terra, iniziano anche i processi organici e la riproduzione, pensiamo, venne guidata da molecole RNA e solo dopo un bel po’ da altre più complesse dette DNA. Sta il fatto che questo processo di copia+incolla non è sempre del tutto preciso, fa errori. È perché fa “errori” che vengono fuori le novità.
Curioso noi si chiami “errore” il meccanismo da cui dipende l’esistenza di tutta la vita. Del resto, il linguaggio riflette l’immagine di mondo, la nostra è gravata dall’ingegnerismo moderno ottocentesco ed è certo che in ingegneria un errore produce catastrofe. Peccato che tra vita ed ingegneria si sia in dominii del tutto diversi, come tra intelligenze naturali ed artificiali.
Ad ogni modo, l’elemento fondante l’esistenza della vita è la varietà, produzione incessante di varietà e novità, per l’ovvio motivo che se l’esistenza è ambientata in un flusso costante di cambiamento, ciò che va bene (è adatto) oggi, potrebbe non esserlo domani. Così, l’esistenza degli uomini, individuale e sociale, sembra una eterna corsa in perenne ritardo in cui noi cerchiamo una qualche forma di ordine che fermi il tempo, spazzata poi via dallo scorre del tempo che cambia il contesto in cui noi cerchiamo di fissare un ordine.
Darwin, come ogni pensatore, è da ambientare nella mentalità della sua epoca o geo-epoca poiché le caratteristiche storiche variano a seconda del tempo e della geografia. Trovò quindi idoneo chiamare il meccanismo che sceglie le varietà adatte “selezione naturale”. Immerso nella cultura anglosassone che dalla concezione della vita “solitary, poor, nasty, brutish and short” di Hobbes (Leviatano) passa al catastrofismo malthusiano (Malthus era centrale nella cultura della famiglia Darwin), corso che poi arriva alla definizione cardine di economia del barone L.C. Robbins, un economista inglese marginalista “L’economia è la scienza che studia la condotta umana nel momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi.”, la cultura di questo popolo è ossessionata da scarsità, lotta per la sopravvivenza ed il predominio.
Segue documentario su National Geographic in cui qualche bestia divora e dilania un’altra bestia in maniera orripilante. In alternativa, qualche CEO di successo che ti spiega beffardo e compiaciuto del suo amaro realismo disincantato, ma anche un po’ sadico che o mangi o sei mangiato e quindi intanto corri, poi si vedrà. Poi magari l’intera vita si è sviluppata per simbiosi (la vita terrestre viene da cellule e le cellule si sono formate per aggregazione cooperativa di cose prima aliene le une alle altre), l’intero regno vegetale e dei funghi non si divora reciprocamente, molti animali sono vegetariani, molti altri sono sociali e si danno mutuo appoggio; tuttavia, non è questa l’immagine di mondo che piace agli anglosassoni. Se la vita fosse come la immaginano gli anglosassoni si sarebbe estinta da tempo.
In effetti, il concetto di selezione naturale, severo giudice che ne salva uno su un milione a seconda di quanto è cattivo, feroce ed egoista, andrebbe annegato nel più ampio concetto di vaglio adattivo ovvero va tutto più o meno bene secondo varietà (poi certo, ci sono qualità e qualità di pura esistenza ed assieme alla cooperazione c’è anche la competizione), salvo quelli che proprio non sono adatti o sfortunati (poiché certe volte è puramente questione di sfortuna, caso e contingenza visto la natura non l’ha creata un ingegnere).
Quindi, il senso della vita, non la mia o la tua, la vita come processo, è la varietà perché cosa è adatto oggi non è detto lo sia domani e del domani non v’è certezza, come diceva il poeta della giovinezza. La qualcosa vale anche per le società, i modi sociali, i modi economici, i sistemi di pensiero, le idee. Nelle fasi autunnali questa varietà si riduce, gli ordini si sclerotizzano, le immagini di mondo si fanno pensiero unico, dogmatico e prepotente, la varietà è bandita, ci si deve uniformare alla Verità che è -sempre- Una, la mente appassisce. Nelle fasi primaverili la varietà esplode, la diversità fiorisce, gli ordini diventano plastici alla ricerca di nuovi assetti, le immagini di mondo diventano “Cento scuole”, il giardino del pensiero diventa fertile e dinamico, così le idee, i pensatori di idee, le forme di vita associata, le verità tornano al loro statuto naturale che è relativo, relativo alla condizione, alla situazione, all’inquadratura, al luogo, al tempo, a ciò che funziona meglio in quel contesto che non è più quello di ieri e non è ancora quello di domani.
Dopodiché, in questa variata ecologia delle verità, a noi portatori di pensiero, rimane il gioco della discussione, del confronto, del dibattito, della dialettica, della verifica tra fatti e teorie, del cercar di convincerti del mio mentre tu provi a convincermi del tuo, del grande scontro-incontro tra immagini di mondo. Così è sempre stato e speriamo così sempre sarà.
Oggi, qui in Occidente, siamo nella fase autunnale (anche Braudel usò la metafora a proposito delle fasi finanziarie del capitalismo), ma prima o poi speriamo torni la primavera e come diceva il cinese “…che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino”. Ovvero: in tempi che cambiano profondamente e velocemente, pluralizza o perisci.

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CONTRO E CON, di Pierluigi Fagan

CONTRO E CON. In un libro sulla strategia di uno storico americano di Yale, ho trovato una citazione interessante di F. S. Fitzgerald. In un racconto dell’Età del jazz, lo scrittore definiva l’intelligenza come “La capacità di tenere due idee opposte in mente nello stesso tempo ed insieme di conservare la capacità di funzionare”.
Personalmente non avrei definito questa situazione come marcatore dell’intelligenza (termine semplice ed unico dentro il quale c’è una cosa molteplice di complessa definizione), tuttavia lo spunto di pensare quadri ampi come composti anche da cose che riteniamo opposte, senza farsi paralizzare dagli allarmi su queste che definiamo “contraddizioni”, lo trovo interessante.
In Logica e Psicologia cognitiva, ampia ricerca ha ribadito come i nostri apparati mentali siano per forza di cose riduttivi della complessità del reale. Banalmente, ma inevitabilmente, si tratta sempre di far entrare tanto (mondo) in poco (mente). È un semplice principio di economia cognitiva. Quanto alla “mente collettiva”, certamente più menti in sistema danno più varietà di una singola mente; tuttavia, una mente è operativamente sovrana nel pensiero mentre un gruppo di menti non lo sono, non sono cioè un unico cervello(corpo) con tutte le sue operatività disponibili. Ad esempio, il principio di coerenza ideologica può esser allentato dentro una singola mente, più difficilmente in un consesso di menti.
Principio di non contraddizione (o A o non A) e di bivalenza (vero o falso), ci impongono scelte binarie, prive di sfumature, incertezze, compresenze. Tra i criteri di funzionamento del mentale, troviamo una sorta di principio di semplicità, assunto in logica ed epistemologia già dai tempi di Occam col suo rasoio, come criterio di inferenza alla miglior spiegazione possibile. Il principio è a sua volta bivalente. Vero è che quando si mettono troppe variabili accessorie per sostenere una tesi, è speso sintomo di non aver compreso bene la questione e di voler difendere la nostra interpretazione a tutti i costi inventando punti di supporto. Ma è vero anche che ci sono questioni che non si presentano semplificabili se non violentandole per farle sembrare più semplici di quanto non siano.
Altresì, il criterio di conservatività, dice che si preferiscono le spiegazioni che ci costringono a modificare i minor numero possibile delle nostre credenze, soprattutto tra quelle consolidate. Acquisendo una certa immagine di mondo, ad esempio, sarà più probabile noi si violenti i fatti per renderli coerenti con l’impianto, piuttosto che andare a modificare l’impianto (Letto di Procuste). Per altro, sono pochissimi coloro in grado di mettere mano all’impianto, noi le immagini di mondo, per lo più, le acquisiamo non le creiamo. Ci sono momenti storici, si pensi al Rinascimento come transizione tra medioevo e moderno, in cui questi criteri possono andare in reciproco urto. La teoria copernicana era certo occamiana rispetto a quella tolemaica, tuttavia era tellurica per l’impianto idm. Se la preferivate andavate in urto al criterio di conservatività, se sceglievate la tolemaica andavate in urto al criterio di semplicità. Il caso citato è sintomatico in fasi storiche di transizione poiché quello che cambia nelle transizioni è, al contempo, il mondo e ciò si riflette nella sua immagine.
Gli studi sulla razionalità limitata (Simon) hanno ben individuato che per limiti di tempo mentale, spazio mentale, attentività, limitatezza delle informazioni, difficoltà a calcolare le catene delle conseguenze di uno o più linee di pensiero intrecciate tra loro, l’apparato mentale deve operare in maniera sotto-determinata rispetto a molti fenomeni che prende in esame.
La dissonanza cognitiva (Festinger), è poi quella tendenza che abbiamo nella mente a rendere a forza coerenti cose che non lo sono poiché ci sono veri e propri meccanismi neurali, frutto del processo evo-adattativo, che ci danno uno stato mentale disagiato quando appunto si formano dissonanze. Non è che sentendo dei fruscii nel profondo della boscaglia potevamo permetterci un sereno dibattito interno sulle cause (coniglio ovvero mangio o tigre dai denti a sciabola ovvero sono mangiato) per decidere il da farsi, dovevamo deliberare presto una reazione coerente con le impressioni ed il principio di sopravvivenza.
Quanto citato all’inizio di Fitzgerald diceva, appunto, non solo la difficoltà a contemplare due cose opposte allo stesso tempo, ma mantenere spazio mentale per continuare a funzionare senza farsi paralizzare dalla dissonanza che chiama con urgenza l’appianamento della contraddizione.
Infine, molti di questi meccanismi così come sono presenti nella nostra singola mente, sono presenti nelle altre menti e quindi nel sistema mentale collettivo. Il “sistema mentale collettivo” come forme e contenuti ovvero l’immagine di mondo condivisa da quel specifico gruppo o come “spirito del tempo” della propria società in una data epoca. A dire che se pure ad uno venisse in mente di forzarne o indebolirne la vigenza, si metterebbe fuori il collettivo pensante con gravi effetti di solitudine mentale, quindi sociale. Ci sono studi precisi in psicologia sociale che dimostrano quanto neuralmente sia dolorosa la solitudine. Non a caso l’ostracismo è stata probabilmente la più antica pena sociale imposta dal gruppo al singolo (mi riferisco al Paleolitico), tanto quanto imitazione e spirito gruppale (spesso gregario) o senso di appartenenza, sono stati selezionati perché adattativi. Adattativi perché spingono a stare in gruppo e nella contesa sociale, come nella sfida adattiva al contesto, si sa che “l’unione fa la forza”.
Si tenga conto che il principio di non contraddizione, non dice cosa compone la diade, dice solo che logico-linguisticamente non possiamo dire la cosa è il suo esatto contrario. Tant’è che si usano lettere simboliche per enunciarlo: A, B, terzo non dato. È l’immagine di mondo, quella individuale in accordo a quella collettiva o sociale a porre al posto di A, B, terzo non dato, i contenuti specifici.
Così, il principio di bivalenza (o è vero o è falso) non specifica cosa è vero e cosa è falso. Anche quando lo anneghiamo dentro ad esempio le logiche fuzzy che danno criteri di verità a scala 100 (da 0 totalmente falso a 1 totalmente vero per cui 0,50 è metà vero e metà falso), è poi l’immagine di mondo a riempire il meccanismo di contenuti e giudizi.
Se mi limito a prender in esame il fatto che nella guerra in Ucraina c’è un aggredito ed un aggressore, che sia logica bivalente o fuzzy, è indiscutibile vero che i russi sono gli aggressori e gli ucraini gli aggrediti. Se però al fatto metto le cause come si fa in ogni processo (altrimenti molto processi neanche andrebbero a giudizio se ci limitassimo al fatto finale, si deve conoscere la “storia” del fatto), allora il principio di bivalenza è troppo stretto con la sua pretesa di verità semplice e in logica fuzzy avrò il mio bel da fare per calcolare tutte le influenze causali che hanno portato all’atto. Non solo avrò il mio bel da fare perché ci sono molte variabili, ma poiché per lo più vige la razionalità limitata, mancanza di tempo e spazio cognitivo e soprattutto spaventosa mancanza di informazioni (geopolitiche, geostoriche, militari) presso le opinioni pubbliche, ma anche perché quelle che si presumono “informate” spingeranno a farla più facile del dovuto. È proprio per non operare mentalmente in tale modo che qualcuno ha letteralmente imposto a coloro che si esprimono pubblicamente di ribadire ogni volta che ci si deve fermare all’evidenza del semplice fatto finale poiché questa riduzione semplificante ha la forza di mobilitare il giudizio emotivo che chiude l’accesso al ragionamento.
Così, volevo solo dar seguito all’utilizzo dell’espressione “contro e con” in alcuni post recenti oltre al fatto che, in talune fasi storiche ad esempio quelle di transizione, si consiglierebbe di non allarmarsi troppo se in alcuni casi ci troviamo d’accordo ora con questo, ora con quello che pure tendiamo a ritenere antitetici. Valutando ad esempio il giudizio politico, assai spesso ci si può trovare abbastanza vicini alla politica estera di X pur essendo del tutto contrari alla sua politica interna o viceversa. Vale anche per i sistemi ideologici, le immagini di mondo, le credenze fondamentali. Si può esser critici sulla scienza o forse più sullo scientismo para-religioso e non per questo diventare antiscientifici di principio o al contrario antifilosofici (finendo così con l’essere filosofici).
L’importante, come diceva un vecchio pensatore, sarebbe avere il coraggio (e la capacità, in genere sotto-coltivata) di servirsi della nostra propria intelligenza, di pensare con la propria testa, di pensare anche a come pensiamo prima di farci sempre travolgere dalla foga di dire la qualsiasi su qualsivoglia. Direi anzi che pensare di esser contro e con, al contempo, rispetto certi pensieri o pensatori, in certe farsi storiche come la nostra, è necessario per dare al pensiero la possibilità di adeguare l’intelletto alle cose, senza negare le cose per difendere l’intelletto, senza paura di avventurarsi in percorsi sperimentali che ci rendono un po’ più soli ed incerti, senza la cocciuta convinzione che il nostro intelletto è il migliore tra quelli possibili, senza accusare di tradimento chi pur condivide una buona parte di idm, ma non tutta.
Le transizioni sono periodi di torsioni cognitive che andrebbero accettate con la dovuta forza e coraggio mentale. Altrimenti la difesa di certi presupposti diventa dogmatica, la sindrome che annuncia la prossima fine della vita di molti pensieri, pensati e pensatori.

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ALLE RADICI SOVRAECONOMICHE DEL PROBLEMA ECONOMICO. Di Luigi Copertino

ALLE RADICI SOVRAECONOMICHE DEL PROBLEMA ECONOMICO. Di Luigi Copertino

Distributismo.

«La vita economica ha senz’altro bisogno del “contratto”, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di “leggi giuste” e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo “spirito del dono”. L’economia … sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita».

Così Papa Benedetto XVI nella sua Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”, del 2009, (Libreria Editrice Vaticana, p. 59). Il Papa non ha introdotto nulla di nuovo nel magistero cattolico. Egli ha soltanto richiamato la Tradizione ebraico-romano-cristiana nei suoi conseguenziali riflessi politici e sociali. Alla Luce dell’Amore di Dio – sappiamo quanto purtroppo esso sia stato sovente disatteso e perfino tradito dall’uomo – la distribuzione della proprietà e dei beni, si tratta della cosiddetta “destinazione universale”, si impone contro l’accumulazione e la concentrazione della ricchezza. Accumulazione e concentrazione sono la diretta conseguenza della ferita originaria – ossia il ripiegamento autoreferenziale conseguente alla chiusura del cuore all’Amore di Dio – che l’uomo ha inferto alla propria natura inseguendo l’ingannevole promessa ofidica di auto-deificazione, secondo la gnosi spuria contrapposta all’autentica Gnosi Divina che è la Sapienza rivelata e, poi, incarnata.

Benedetto XVI, infatti, ha insegnato nel solco tracciato a partire dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII (1891) la quale – secondo l’insegnamento risalente direttamente a Gesù Cristo – ha indicato nel “distributismo” la via della giustizia tra gli uomini. Il paragrafo 7 della Rerum Novarum recita: «la terra, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e utilità di tutti». Più tardi due grandi scrittori inglesi cattolici, Gilbert K. Chesterton e Hilaire Belloc, avrebbero dato avvio ad una scuola di pensiero denominata non a caso “distributismo”, che ebbe anche realizzazioni concrete, interna al movimento “guildista”. Nell’Inghilterra della “catholic renaissance” – inaugurata dal santo cardinale John Henry Newman e giunta fino a John Reginald Ronald Tolkien – Chesterton, Belloc ed il guildismo si opposero polemicamente allo spirito di accumulazione anglosassone. Quest’ultimo si era formato all’epoca della svolta scismatica di Enrico VIII, quando emerse una nuova aristocrazia predatrice che accumulò enormi latifondi privatizzando le antiche terre comuni e sopprimendo i diritti comunitari delle popolazioni rurali sulle terre signorili ed ecclesiastiche oltre che reprimendo le arti cittadine. A questa storia di abusi e di crimini Chesterton e Belloc contrapposero il distributismo auspicato dal magistero di Leone XIII nella scia della Tradizione. La “proprietà per tutti” invocata da Papa Pecci può realizzarsi soltanto mediante la distribuzione e la comproprietà, ovvero l’istituto giuridico della “comunione” discendente dalla romana “communio”. La comproprietà non è affatto statualizzazione ma una forma di esercizio associato della proprietà privata. Il distributismo può realizzarsi solo favorendo nel modo più ampio possibile la diffusione della proprietà privata popolare. Cosa che implica, è evidente, politiche intese a rendere effettiva la partecipazione alla proprietà produttiva piuttosto che favorevoli all’accumulazione finanziaria e capitalista, nella forma delle grandi società anonime, o all’accentramento statualista, nella forma della nazionalizzazione integrale dei mezzi di produzione, al di là della sfera necessaria alle prestazioni sociali dello Stato ed all’indipendenza nazionale (come ad esempio l’energia, le infrastrutture, la moneta ed il credito).

Ma è mai possibile una applicazione vasta del distributismo oppure esso è solo una pia utopia? É evidente che, in quanto insegnamento etico desunto dalla Rivelazione, esso non può ridursi ad una strategia di politica economica da applicare esclusivamente mediante un sistema coerente di legislazione. Certamente serve anche questo, tuttavia la condizione imprescindibile per il distributismo è la metanoia ossia la conversione del cuore all’Amore di Dio.

Posta questa fondamentale premessa, che non può essere accantonata, vogliamo qui comparare la prospettiva distributista con la scienza economica nella varietà delle sue scuole.

Scuola classica: da Adam Smith a Karl Marx attraverso David Ricardo

Lungo i secoli della Cristianità l’economia non aveva una sua fisionomia scientifica autonoma confondendosi con l’etica e quindi con una branca della teologia. La scienza economica nacque in fin dei conti dall’etica. Una scuola teologica come quella di Salamanca, nel XVI secolo, ha formulato alcuni concetti economici che avrebbero fatto strada nella scienza economica moderna. Questa radice etico-teologica conferiva, almeno in linea teoretica, un orientamento sovra-economico all’agire economico. La convinzione era quella per la quale lavoro e produzione, come ogni altra attività umana, dovevano essere volti al destino eterno dell’uomo, irraggiungibile senza l’esercizio della giustizia e della carità. Nella prassi le cose andavano diversamente perché la realtà concreta delle dinamiche economiche imponeva la ricerca di un contemperamento tra principi etici ed esigenze pratiche: si pensi alle lunghe discussioni universitarie intorno alla legittimità o meno del prestito ad interesse che si accompagnavano a pratiche creditizie e commerciali intese ad aggirarne il divieto onde venire incontro alle necessità dell’emergente economia mercantile e cittadina (1).

A partire dal XV secolo, le borghesie cittadine, ossia “la gente nuova e i subiti guadagni” cui alludeva polemicamente Dante Alighieri già due secoli prima, iniziarono a scalpitare per emanciparsi dall’orientamento sovra-economico dell’attività economica, per tutta ridurla a mero strumento dell’avidità e dell’accaparramento mondano. Proprio dalla crisi umanista della Cristianità del quattrocento – nacque allora il frazionamento della Res Publica Christiana quale conseguenza dello scisma d’Occidente e, più tardi, della rottura luterana con la conseguente nazionalizzazione ecclesiale a supporto degli emergenti regni nazionali in opposizione al Sacro Romano Impero – prese avvio il processo di emancipazione, e quindi di secolarizzazione, dell’agire economico dal suo contesto teologico tradizionale, con la sostituzione all’etica cristiana della nuova etica umanitaria. Fu quello il primo passo verso l’obiettivo, conseguito soprattutto negli ultimi due secoli, della completa emancipazione della scienza economica da qualsiasi legame con ogni tipo di etica, anche quella umanitaria, in una pretesa di auto-referenzialità, rivelatasi alla fin dei conti dannosa per l’economia pratica.

Quel grande storico dell’economia che fu Amintore Fanfani ha dimostrato, sulla scia di Giuseppe Toniolo ma con una maggiore acutezza di analisi, che la nascita dello “spirito del capitalismo” deve essere retrodatata al XV secolo, ossia alla crisi della Cristianità medioevale. Le ricerche storiche di Fanfani hanno contribuito a confutare la nota tesi di Max Weber per la quale la radice dello spirito capitalistico andrebbe cercata nell’“ascetismo professionale” del calvinismo. Il protestantesimo, in particolare nella sua forma calvinista, ha soltanto amplificato gli effetti di una svolta già in atto da più di un secolo.

All’interno di questa dinamica storica, lo studio dei fenomeni economici assurse in modo pieno al rango di scienza autonoma nel XVIII secolo. La prima, vera e propria, scuola economica, nel senso moderno, fu quella dei fisiocrati. Subito dopo di loro prese forma la scuola classica di economia intorno al pensiero di Adam Smith. Questi era un moralista ma la sua morale, quella dell’anglicanesimo inglese, non era più nutrita dal flusso spirituale che solo l’appartenenza ad una legittima Tradizione può assicurare. La fisiocrazia e la scuola classica entrarono in scena sbandierando il principio della libertà e criticando la politica vincolista, dirigista e protezionista del “mercantilismo” ovvero la politica che nel secolo precedente, accompagnando ovunque la formazione delle monarchie assolute, aveva trionfato con Colbert in Francia.

Alla scuola classica va il merito di aver dato veste scientifica al problema, già intuito in precedenza, dell’equilibrio tra offerta e domanda e quindi del “giusto prezzo”, sforzandosi anche di individuare il metodo ritenuto migliore, nella prospettiva individualista di detta scuola, per garantire tale equilibrio. Quello del prezzo giusto era un problema antico e ben noto alla riflessione teologica sui fenomeni economici, sin dai tempi della Scolastica medioevale. Non si trattava quindi di una questione nuova. Innovativo fu, invece, l’approccio della scuola classica che individuò nel libero agire delle forze economiche, quindi nella capacità di regolazione spontanea del mercato, lo strumento migliore per assicurare l’equilibrio economico ed il giusto prezzo. La scelta per il libero mercato comportava la critica verso ogni inferenza sovra-economica, di tipo etico o di tipo vincolista. Era la nascita del cosiddetto “laissez faire”.

La scuola classica di economia avrebbe fatto molta strada. La sua impostazione oggettivista, tuttavia, come si dirà, ha avuto un esito inaspettato perché sulle sue basi teoretiche si sarebbe fondata la critica marxiana al capitalismo. La gnoseologia oggettivista che essa fece propria – il reale dotato di una autonoma consistenza rispetto al soggetto conoscente – la poneva ancora, in qualche residuale modo, nella scia dell’eredità “tomista”. Senza dubbio c’era di mezzo la svolta anglicano-protestante che allontanava Adam Smith da Tommaso d’Aquino – in quella svolta, d’altro canto, era già insita la possibilità della reinterpretazione soggettivista dei suoi presupposti che sarebbe intervenuta nella seconda metà del XIX secolo – e tuttavia, al netto di tale lontananza, sussisteva nel pensiero dei classici quel realismo gnoseologico che aveva contrassegnato la filosofia occidentale sulla scia aristotelico-tomista. La scuola classica di economia, infatti, trattava di cose reali, di valore di scambio inteso come valore insito nella materialità dei beni e quindi di equiparazione tra concretezze la cui stima economica non dipende dal soggetto che le utilizza ma è in re ipsa ossia nella loro stessa sostanza. Da qui poi l’idea, errata, che anche la moneta cartacea di origine bancaria, comparsa da appena un secolo ai tempi di Adam Smith, fosse una merce – come lo era stata un tempo quella aurea – il cui valore sarebbe una funzione della sua rarità, sicché il suo eccesso quantitativo finisce per deprezzarla, ingenerando inflazione, proprio come l’eccesso di una qualsiasi merce ne riduce il valore. Anche il lavoro umano era colto nella prospettiva quantitativa ossia di quanto lavoro è necessario per produrre un bene. In tale ottica Adam Smith definiva il lavoro come “merce” offerta dal lavoratore in cambio di un corrispettivo ossia il salario.

Dopo Adam Smith i postulati teoretici classici furono sviluppati e messi a punto, in chiave scientifica ed analitica, da David Ricardo. Il Karl Marx economista segue pedissequamente la scia di Ricardo portandone ad estremo esito i postulati per rivolgerli contro il capitalismo. Sotto questo profilo anche Marx opera in una qualche misura all’interno della gnoseologia aristotelica-tomista. Filosoficamente Marx dipende da Hegel, quindi dall’idealismo che da Kant in poi aveva criticato aspramente il realismo gnoseologico tradizionale. Tuttavia allo scopo di rovesciare l’idealismo in materialismo egli doveva inevitabilmente approdare sul terreno gnoseologico degli economisti classici, di Ricardo in particolare, assumendone, sub specie economica (altro è il Marx filosofo della storia), la prospettiva realista per portarla alle estreme conseguenze. Ossia da un lato, sulla base dell’idea appunto ricardiano-smithiana del “lavoro merce”, alla teoria del plus-valore per la quale il profitto del capitalista corrisponde al furto di una parte del valore di scambio del lavoro, come tale non adeguatamente retribuito nella stessa quantità impiegata nella produzione, quindi ad una quota salariale non debitamente riconosciuta al lavoratore, e dall’altro lato alla tesi per la quale la pacifica armonia, promessa dal mercato liberato, non sarebbe stata raggiunta fintantoché sussistevano la proprietà privata e l’accumulo capitalista. Soltanto l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione – in un primo momento sottoforma di statizzazione ed in un secondo momento nella forma autogestionaria della società comunista compiuta –, insieme alla contestuale abolizione dello Stato, avrebbe consegnato l’umanità alla prosperità di un mondo senza più conflitti e del tutto “umanizzabile” ossia manipolabile secondo la misura antropocentrica cui l’uomo, finalmente emancipato dalle alienanti sovrastrutture religiose e politiche nonché per questo diventato unico “datore di senso” quando non vero e proprio “creatore”, lo avrebbe costretto.

La Scuola neoclassica

Se in Marx c’è senza dubbio una matrice di titanismo soggettivista, di matrice idealista, il suo ragionar economico dipende, come si è visto, dal realismo della scuola classica di economia, sicché la critica marxiana al capitalismo era praticamente inconfutabile sulla base dei presupposti classici. I vecchi economisti della cattedra non ebbero serie argomentazioni da opporre a Marx fino a quando Carl Menger, nella seconda parte del XIX secolo – la sua opera “Principi di economia” è del 1871 –, non reinterpretò il pensiero dei classici in termini di “utilità marginale”. Il marginalismo mengeriano, infatti, sostiene che alla base dell’agire economico non vi è alcun valore in re ipsa delle cose ma l’apprezzamento soggettivo della loro utilità. É il soggetto agente che conferisce valore alle cose a seconda della utilità percepita, in un dato momento, e come tale suscettibile di variare nel corso del tempo. Se ho sete, un bicchiere d’acqua ha per me il massimo del valore ma man mano che bevo, e placo la mia sete, il valore di un secondo bicchiere d’acqua è molto inferiore al primo. L’impianto filosofico che sta dietro il mengerismo è evidentemente soggettivista e si riallaccia alla tradizione idealista tedesca. Con questo approccio era possibile rispondere al realismo marxiano ma al costo di una rimodulazione del pensiero classico, fuoriuscendo del tutto dalla gnoseologia tradizionale.

Menger è stato il fondatore della “scuola austriaca” altresì nota come “scuola psicologica” o “scuola viennese”. Essa è una delle versioni, la più nota, dell’indirizzo neoclassico di economia. I successivi rappresentanti della scuola viennese, più conosciuti del fondatore, rispondono al nome di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises. Il soggettivismo neoclassico consentiva di riaffermare, ma su basi nuove, l’individualismo dei classici messo in crisi dall’uso che ne aveva fatto il marxismo per perorarne l’inevitabile esito collettivista. Ma su questa strada, quella soggettivista, è impossibile non imbattersi nello stesso Marx – il Marx coerentemente liberale che esclude la sussistenza dello Stato nella società comunista compiuta – benché per via anarchica. Murray Rothbard, il più brillante allievo di Mises, sviluppò le tesi austriache nel senso di un individualismo così estremo da sfociare nell’anarchismo libertarian – «Il capitalismo è la piena espressione dell’anarchismo e l’anarchismo è la piena espressione del capitalismo» egli ha sostenuto in una intervista (The New Banner: A Fortnightly Libertarian Journal on 25 February 1972) – dando vita al movimento anarco-capitalista o del “capitalismo libertario” espressione avanzata del libertarismo di destra.

Nell’impostazione anarco-capitalista lo Stato deve essere smantellato pezzo per pezzo giacché il mercato non ha alcun bisogno di etero-regolazione per funzionare. Rothbard ha una visione del mercato analoga a quella che della società comunista compiuta aveva Marx: nell’uno e nell’altro caso è l’azione di una mano invisibile o dell’autogestione sociale a rendere possibile la perfetta convivenza, armoniosa ed a-conflittuale, degli uomini. L’economista americano, che trova oggi facile credito tra i teo-conservatori cattolici, ha persino tentato di arruolare, nella sua prospettiva libertaria, la scuola teologica di Salamanca, del XVI secolo, per certi suoi sviluppi di pensiero etico favorevoli alla libertà nei contratti e negli scambi, ed ha provato, per tale via, a reclutare anche il tomismo tra gli antesignani del libertarismo. In realtà egli confondeva il lockismo con il tomismo ossia dava di quest’ultimo una esegesi post-scolastica trascurando che mentre per Locke il fondamento della vita sociale è nel contratto, quindi nella autodeterminazione volontaristica di soggetti, supposti titolari di una libertà assoluta, che ai fini di convivenza regolano sinallagmaticamente questa assoluta libertà, invece per l’Aquinate la comunità politica ha il suo fondamento nella natura sociale dell’uomo come creata da Dio.

Quale base comune?

Cosa, dunque, accomuna le diverse scuole economiche liberali, quella classica, quella austriaca, quella neoclassica, quella libertarian? L’elemento comune tra esse è l’approccio individualista al problema economico. Tutte queste scuole – con una parziale esclusione di quella classica che conosce categorie di “classe”, capitalisti, lavoratori, proprietari terrieri, ma soltanto per una mera necessità di inquadramento teorico dei differenti comportamenti individuali – non danno alcun rilievo alla dimensione sovra-individuale dell’economia né ammettono che l’economia possa subire inferenze dalla politica o dall’etica eteronoma (l’etica autonoma, sostanzialmente quella che ritiene bene tutto ciò che l’individuo sceglie per sé autodeterminandosi, è invece ampiamente ammessa dalle scuole liberali, dato che essa coincide sostanzialmente con l’opzione individualista). L’assunzione dell’individualismo a criterio metodologico dell’analisi economica comporta, di conseguenza, che tutte queste scuole hanno un approccio di tipo microeconomico, perché esse se non negano quantomeno sottovalutano l’inevitabile connessione dell’economia con i superiori ambiti del Politico e dell’Etica eteronoma. Affinché anche la scienza economica moderna scoprisse questa connessione, che poi si trattò di una riscoperta, è stato necessario aspettare la nascita, nel XX secolo, della “macroeconomia” affermatasi sull’onda del keynesismo. A seguito di questa (ri)scoperta le stesse scuole liberali sono state costrette a prendere in considerazione anche gli aspetti macroeconomici del funzionamento dell’economia moderna.

Quando nel 1891, vent’anni dopo la pubblicazione del libro di Carl Menger, Leone XIII, con la “Rerum Novarum”, ammonì che “il lavoro non è merce”, spiegando che la rivendicazione del “giusto salario” aveva un ineccepibile fondamento etico, ad essere messi sotto accusa non furono soltanto i classici – e con essi il marxismo che ragionava come questi circa l’essenza ed il valore del lavoro – ma anche i marginalisti neoclassici giacché l’ammonimento pontificio, in favore della dignità del lavoro inteso come espressione spirituale dell’uomo e non come merce, entrò in rotta di collisione anche con l’approccio, ad esso, in termini di utilità marginale. Infatti, secondo la prospettiva neoclassica l’imprenditore valorizza il lavoro dei dipendenti in funzione dell’utilità marginale del processo produttivo, per cui laddove la tecnica consente di impiegare meno lavoro questo si riduce in termini di valore soggettivo per il datore di lavoro reso così irresponsabile della sorte dei lavoratori in eccesso. Leone XIII opponeva al marginalismo il superiore principio sovra-economico della dignità del lavoratore, imprescindibile anche sotto il mero profilo del calcolo economico che diventa miope e di corto respiro, quindi distruttivo nel lungo periodo, se non tiene conto della “costante etica”. Quel grande Pontefice rivendicava la dimensione ontologica del lavoro umano inteso come espressione della spiritualità della persona “imago Dei” e quindi rigettava, come eticamente inammissibile, qualsiasi teoria economica che guardasse al lavoro dell’uomo – qualunque lavoro, intellettuale o manuale – nei termini di una merce ma anche in quelli di utilità marginale.

Offerta e domanda: da Jean-Baptiste Say a John Maynard Keynes

C’è, però, un altro elemento che accomuna le diverse scuole economiche liberali. Esse, nessuna esclusa, hanno elaborato i loro paradigmi esclusivamente dal punto di vista di chi guarda dal lato dell’offerta, del tutto trascurando il lato della domanda. Questo sostanziale strabismo, oltre a presentare non pochi problemi etici, porta, contrariamente alle attese di ampliamento della prosperità generale, al fallimento del mercato.

L’approccio “offertista” delle scuole liberali deriva dalla legge fondamentale dello schema economico classico, non superata neanche dalla successiva riformulazione neoclassica, nota come “Legge del Say”. Tale legge, conosciuta anche come legge degli sbocchi, fu formulata tra XVIII e XIX secolo da Jean-Baptiste Say (1767-1832). Nel Capitolo XV del Libro I del suo “Trattato di economia politica”, del 1803, egli la formulò nei seguenti termini:

«Un prodotto terminato offre da quell’istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l’ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all’istante stesso uno sbocco ad altri prodotti».

Dunque per il Say il denaro ricavato dalla vendita sarebbe destinato immediatamente alla spesa, sicché il venditore è sempre anche un compratore e questo offre uno sbocco alla produzione altrui. La prospettiva scelta dal Say è orizzontale, perché immagina il mercato come un sistema di agenti economici nella stessa condizione che interagiscono in una relazione di scambio, do ut des, con tutti gli altri. Uno scenario mai realmente esistito nella storia, neanche nei tempi medioevali allorché la produzione era questione di liberi artigiani riuniti in gilde. Infatti anche nel medioevo esistevano gerarchie interne alle stesse gilde, che già conoscevano pertanto la realtà del lavoro salariato, e, soprattutto, la produzione artigiana era dipendente dall’egemonia finanziaria e creditizia dei mercanti-banchieri, tanto che ben presto quello artigiano si trasformò in lavoro a cottimo nel quale veniva già prefigurato il lavoro salariato su ampia scala del capitalismo futuro. Sulla base della sua concezione a-storica ed astratta della produzione e del mercato, Say sosteneva che in regime di libero scambio non sarebbero possibili crisi prolungate, poiché «l’offerta crea la domanda». Secondo questa prospettiva “offertista” in una economia di libero mercato ciascuno, ai prezzi correnti in un dato momento, sceglie di essere compratore o venditore. Sicché se si verifica un eccesso di offerta, i prezzi tenderanno a scendere e la discesa dei prezzi renderà conveniente nuova domanda. Ecco perché, secondo Say, l’offerta sarebbe sempre in grado di creare la propria domanda. Pertanto, in caso di crisi da sovrapproduzione, il rimedio non deve essere cercato in un intervento dello Stato ma nella presunta capacità auto-regolatoria del mercato, il quale in regime di libero scambio fungerebbe di per sé da rimedio, portando di necessità alla formazione di un nuovo equilibrio economico. Il Say – ecco il punto – nel suo approccio orizzontale, incapace di vedere che nel mercato sussistono gerarchie e verticalità di reddito ossia di ceto, non riusciva a comprendere che proprio il postulato del laissez faire, la ricerca individualistica del massimo profitto al minor costo, oltre una certa misura apriva la via al fallimento del mercato giacché tra i costi da ridurre, affinché l’imprenditore possa conseguire il massimo profitto, c’è anche il costo del lavoro. Il quale, anzi, senza le opportune tutele, è il più facile da comprimere. Ma comprimere il costo del lavoro, ossia i salari, significa deprimere la domanda e quindi impedire lo sbocco che, stando alla legge dal Say postulata e che porta il suo nome, avrebbe dovuto essere automaticamente garantito per il solo fatto dell’offerta sul mercato del prodotto finale. La “profezia” marxiana sul crollo del sistema capitalistico faceva leva su aporie come questa. E se è vero che il capitalismo non è crollato, come pensava Marx, esso ha comunque dimostrato tutta la sua non eticità, causa principale delle ricorrenti crisi che lo affliggono. In altri termini, Say non comprese che l’egoismo non funziona, neanche in economia, perché danneggia il funzionamento del mercato anziché favorirlo. La “mano invisibile” è eticamente cieca e, per questo, alla lunga, anche economicamente inefficace.

L’importanza storica della Legge del Say sta nel fatto che essa fu assunta quale principio fondamentale della scuola classica e tale restò anche nella riformulazione neoclassica. Tutte le politiche dei governi occidentali, fino agli anni ’30 del XX secolo, furono guidate da tale principio e di fronte alle crisi si reagiva con provvedimenti atti, presuntamente, a favorire l’offerta senza porsi minimamente il problema della domanda. Tanto, sulla base della visione classica e neoclassica, la domanda sarebbe tornata a livelli ottimali automaticamente per la dinamica stessa del mercato. Uno dei principali provvedimenti che le politiche economiche offertiste utilizzavano – ed utilizzano ancor oggi – è la riduzione dei salari onde consentire al produttore offerente di abbassare i costi del prodotto ed ingenerare così il nuovo equilibrio di mercato. In realtà, si tratta di un suicidio economico paragonabile al salasso praticato ad un anemico.

La scienza economica iniziò a rendersi conto dell’infondatezza del postulato del Say soltanto negli anni ’30 del secolo scorso per opera, in particolare, di John Maynard Keynes. L’economista inglese ebbe il merito di conferire dignità scientifica al pensiero di diversi economisti dilettanti, come il maggiore Charles Douglas e Silvio Gesell teorico della cosiddetta “moneta prescrittibile”, i quali, benché confusamente, avevano già individuato le origini delle crisi di mercato, delle recessioni e delle depressioni, nella insufficienza della domanda. Questi dilettanti dell’economia, pur senza riuscire a dare alle loro intuizioni quella veste scientifica necessaria a non essere snobbati dall’accademia, avevano messo in discussione il postulato classico e neoclassico: l’offerta non genera automaticamente domanda. La sovraproduzione è soltanto il sottoconsumo visto dal lato dell’offerta sicché se ci poniamo, invece, dal lato della domanda emerge che è la flessione di questa ad impedire alla produzione di trovare mercato, con la conseguenza che le merci restano invendute nei magazzini innescando il crollo dei profitti. In qualche modo, dunque, è piuttosto l’offerta a dipendere dal livello della domanda, ossia – questo è il punto – dal livello del reddito dei produttori che sono anche i consumatori.

Il Gesell, che fu anche ministro della Repubblica socialista bavarese del primo dopoguerra, proponeva, onde far circolare il denaro e sostenere la domanda, la moneta prescrittibile, ossia una moneta che perdeva valore se non fosse stata periodicamente bollinata dall’Autorità. In tal modo egli non fece altro che proporre un espediente affinché fosse impedita la tesaurizzazione monetaria e favorita, pena la perdita di valore, la spesa dei consumatori e, quindi, per tale via, stimolata la domanda. La moneta geselliana ebbe pratica applicazione, tra le due guerre mondiali, in alcuni villaggi austriaci, con ottimi risultati, finché non intervenne la Banca centrale ad impedirne l’uso. Molti anni dopo, nel 2000, un esperimento simile fu tentato nella cittadina abruzzese di Guardiagrele, in provincia di Chieti, in base alle idee sulla “proprietà popolare della moneta” del giurista Giacinto Auriti, professore ordinario di diritto internazionale e di teoria generale del diritto. Anche in tal caso con ottimi risultanti di stimolo della stagnante domanda, fino a che non arrivò, puntuale, l’intervento repressivo della Banca d’Italia attuato attraverso la magistratura.

John Maynard Keynes, nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” (1936), facendo tesoro delle intuizioni dei citati dilettanti, in particolare di quelle di Gesell, ha smontato il postulato portante dell’economia classica, ossia la Legge di Say, dimostrando che l’assunto sulla base del quale essa fu formulata, ossia l’automatica generazione di domanda provocata dall’immissione di un prodotto sul mercato, è falso in quanto il detentore di moneta può essere motivato a tesaurizzarla invece che spenderla (2). La tesaurizzazione consiste nella fuoriuscita di parte del reddito, ricevuto sotto forma di salari, profitto o interesse, dal circuito economico definito dalla circolazione monetaria. Keynes, in altri termini, portò il discorso dall’ambito microeconomico, all’interno del quale ragionava l’economia classica, a quello macroeconomico. In tale ambito, infatti, piuttosto che la domanda sic et simpliciter è necessario prendere in considerazione la “domanda aggregata (o effettiva)”, ossia la domanda nella sua dimensione sovra-individuale e pertanto “politica”. La domanda aggregata può flettere verso il basso per una serie di cause una delle quali, tra le principali, è l’eccessiva diseguaglianza reddituale tra i fattori della produzione, ossia capitale, tecnica e lavoro.

In sostanza Keynes indicava tra le cause che sono all’origine delle ricorrenti crisi del mercato capitalistico anche l’ingiusto trattamento salariale e suggeriva una maggiore equità sociale quale rimedio alle recessioni, in controtendenza con quanto fino a quel momento si era fatto per affrontare le crisi ossia ridurre i salari. Keynes, il cui pensiero può essere ascritto ad un socialismo democratico non marxista benché egli non abbia negato di essere anche un “conservatore riformista” (3), poneva all’attenzione degli imprenditori la cecità delle politiche economiche intese al contenimento salariale che, oltretutto, favoriscono il conflitto anziché la pace sociale. I suoi contraddittori gli rimproveravano di non tener conto del fatto che gli aumenti salariali si traducono in aumento dei costi di produzione e quindi del prezzo di mercato dei prodotti, in altri termini in inflazione. Keynes rispondeva, a questo genere di critiche, che l’inflazione da costo del lavoro – perché altro discorso è quello da farsi per l’inflazione da costo delle materie prime, come quella oggi riapparsa a seguito della pandemia, o per l’inflazione da domanda quando si inceppa l’offerta – si verifica solo quando l’economia raggiunge la sua piena capacità produttiva. Prima di allora, l’aumento della domanda richiede un aumento dell’offerta: se un numero maggiore di lavoratori viene assunto per produrre quantità maggiori di beni e servizi, allora la domanda e l’offerta crescono congiuntamente.

Negli stessi anni nei quali Keynes sviluppava le sue innovative idee, lo stesso problema, ossia la centralità della domanda, fu intuito, nei termini etici tipici della Dottrina Sociale della Chiesa, che è per l’appunto una branca della teologia morale, da un grande pontefice, Pio XI, il quale nell’enciclica “Quadragesimo Anno”, del 1931, indicò, come causa dell’ingiustizia e della crisi, il fatto che «il capitale troppo ha preteso di aggiudicare a sé stesso». Pio XI e Keynes convergevano, per strade diverse, nell’individuazione della radice sovra-economica del problema economico. Lo squilibrio economico e sociale, generatore del conflitto e delle crisi, ha cause innanzitutto etiche che afferiscono alla tendenza umana all’egoismo. Non è, dunque, vero che dal libero agire degli egoismi individuali sortisce il migliore dei mondi possibili, come ritengono le scuole liberiste. Tuttavia, mentre il Pontefice, senza trascurare le soluzioni politiche, perorava innanzitutto la “metanoia”, ossia la “conversione del cuore”, per rimediare efficacemente al “peccato sociale”, Keynes, senza affatto trascurare il fattore decisivo della persuasione intellettuale, guardava essenzialmente proprio alle soluzioni di politica economica. La distanza tra i due approcci si assottiglia laddove si consideri che la scelta per politiche di indirizzo sociale abbisogna in qualche modo, se non di una vera e proprio metanoia in senso teologico, comunque di una apertura ad una dimensione umana che non può prescindere da una sensibilità etica. Non era dunque un caso se l’economista inglese riteneva necessario un alto standard morale per l’azione politica e, quindi, che persone di alta statura morale, dotate di senso dello Stato e di senso del bene comune, fossero poste a capo delle Istituzioni pubbliche affinché queste, con saggi interventi di politica economica, potessero rendere più efficace e giusto il funzionamento del mercato.

Come ha rilevato Maria Cristina Marcuzzo, in “Moneta e credito” vol. 70, n. 277, marzo 2017: «Lasciare che gli individui perseguano il proprio interesse personale – come nella parabola di A. Smith dove il benessere sociale è il risultato del perseguimento del profitto individuale, come fa “il macellaio, il birraio e il panettiere”, è un’idea che non ha validità generale, perché non ci sono sempre forze in grado di armonizzare gli interessi individuali e in secondo luogo perché l’esito aggregato del comportamento economico non è lo stesso di quello individuale. Se l’obiettivo è di cambiare il contesto in cui gli individui agiscono e ottenere cambiamenti di atteggiamento bisogna prioritariamente modificare il modo in cui viene visto il problema economico. A questo risultato Keynes ritiene si possa arrivare usando il potere della persuasione. In una lettera a Thomas S. Eliot del 5 aprile 1945, scrive: “il compito principale è suscitare la convinzione intellettuale e poi intellettualmente trovare i mezzi. Il problema è la mancanza di intelligenza, non di bontà […]. Quindi la politica della piena occupazione è solo una applicazione particolare di un teorema intellettuale” (Keynes, 1980b, p. 384)».

Persuasione diceva Keynes, metanoia sosteneva, in una visione più alta, Pio XI. Ma entrambi indicavano nella dimensione sovra-economica la radice di una economia più giusta.

Il moltiplicatore keynesiano e la critica monetarista

Per Keynes, tuttavia, una politica salariale “giusta” non è in grado da sola di risolvere il problema del sostegno alla domanda aggregata. Infatti la tendenza alla tesaurizzazione, soprattutto nei periodi di crisi quando la gente ha paura del futuro, può manifestarsi anche tra i lavoratori salariati, che così non spendono il loro reddito direttamente o tramite il conferimento del risparmio al sistema bancario il quale, per la stessa tendenza a tesaurizzare, che nel suo caso si identifica con il timore del rischio nell’incertezza della stabilità economica, non spinge adeguatamente le possibilità di investimento fino al limite massimo consentito in un dato momento. Un ruolo fondamentale, nel sostegno della domanda, lo gioca, secondo Keynes, la spesa pubblica.

Laddove gli economisti classici e neoclassici denunciavano la rigidità salariale imposta dalla contrattazione sindacale come causa di impedimento della flessibilità di cui necessita il mercato, Keynes rispondeva che non è la rigidità salariale a spiegare l’inefficacia del mercato ma il basso livello della domanda aggregata. La differenza maggiore tra Keynes e gli economisti di scuola liberista sta però nel fatto che egli sottrae ai prezzi, quindi anche ai salari, che sono il prezzo di remunerazione del fattore lavoro, ed al tasso di interesse, che è il prezzo di remunerazione del prestito di investimento, il ruolo principale nell’aggiustare la domanda e l’offerta allo scopo di avviare il sistema verso un equilibrio di pieno impiego. Lo strumento più sicuro nel sostegno alla domanda aggregata, senza usare il quale questo sostegno non si concretizza nella misura necessaria, è, per Keynes, la spesa pubblica in deficit. Probabilmente è qui uno dei punti focali della querelle tra neokeynesiani e postkeynesiani, di cui si è fatto cenno nella nota n. 3, perché, in effetti, il pensiero di Keynes, come emerge dalla sua “Teoria generale”, sembra dar adito sia ad una visione moderata dell’intervento dello Stato sia ad una visione più radicale. Ci sono parti della sua opera nelle quali sembra che l’economista di Cambridge non sia affatto favorevole ad un indiscriminato uso di investimenti pubblici, finanziati in deficit di bilancio. Il suo appello, come espresso nella “Teoria generale”, alla necessità dell’intervento dello Stato viene sovente da lui inteso nel senso che allo Stato basta soltanto il controllo del livello totale degli investimenti, attraverso una azione diretta o indiretta, ma guardando sempre all’incentivo di mercato, ossia all’iniziativa privata, che non deve essere soppressa. Lo Stato deve creare un clima di fiducia per gli imprenditori ed investitori e questo è possibile in considerazione della tendenza degli investimenti privati a seguire quelli pubblici, giacché questi ultimi, aumentando il livello di domanda aggregata, attirano i primi con la prospettiva di un alto livello di domanda pubblica e privata e quindi con la possibilità di trovare sbocchi alla produzione. Nella “Teoria generale” questo è detto esplicitamente sicché l’immagine di un Keynes “statalista” o “assistenzialista” è discutibile. Secondo dunque questa interpretazione, che è quella preferita dai neokeynesiani, l’economista inglese non assegna allo Stato altre funzioni che non siano quelle di una politica di sostegno attivo della domanda aggregata tale, però, da non risolversi in una spesa pubblica improduttiva o in una “burocratizzazione” dell’economia. D’altro canto, nelle stesse pagine della “Teoria generale” ci sono altri passaggi dai quali può desumersi che, in fondo, Keynes pensasse ad una azione dello Stato più radicale, intesa ad un graduale superamento del capitalismo ed alla trasformazione dell’economia di mercato in una “economia socializzata di mercato” nella quale lo Stato avrebbe assunto funzioni molto più vaste fino a gradualmente identificarsi con la società, diventando ad essa immanente in una sorta socializzazione non solo del mercato ma anche dello Stato (probabilmente Keynes non sospettava che una filosofia sociale simile era perorata, negli stessi anni nei quali egli scriveva, da Giovanni Gentile, in particolare quello della sua ultima opera, postuma, “Genesi e struttura del società”). Secondo questa interpretazione più radicale del pensiero di Keynes, lo Stato dovrebbe diventare “Datore di lavoro di ultima istanza” in quanto chiamato a dare lavoro non solo attraverso il sostegno alla domanda con il deficit spending ma anche, in particolare, attraverso una programmazione democratica, attuata per via partecipativa dal basso, che stabilisca ex ante cosa produrre – non solo come produrre –, in quale misura importare ed in quale misura proteggere la domanda interna – da preferire, contro un eccessivo liberoscambismo, a quella esterna –, il livello di controllo anti-speculativo sul sistema bancario e sui movimenti di capitale, il controllo della politica monetaria per evitare la formazione di cambi monetari rigidi o poco flessibili ossia il formarsi di “vincoli esterni” che, con le loro costrizioni ad aggiustamenti deflazionistici, favoriscono le spinte capitalistiche alla internazionalizzazione e impongono la “disciplina del lavoro” ovvero il contenimento o la riduzione salariale – in altri termini avvantaggiano i capitalisti a danno dei lavoratori – , nonché la misura, alquanto ampia, dell’offerta di occupazione pubblica per lavori socialmente utili.

L’interpretazione postkeynesiana del pensiero di Keynes, a ben rifletterci, si presenta come il paradigma economico di quello che oggi potremmo chiamare Sovranismo di Sinistra, il quale, proprio per questo, non può non richiamare in causa le idee di Comunità, di Patria, di Identità, di Appartenenza, di Tradizione proprie al pensiero della Destra antimoderna – antimoderna non per nostalgia delle forme sociopolitiche del passato ma in quanto rigetta, in una visione organicista del vivere associato, il fondamento intrinseco della modernità ossia l’individualismo –  come appunto avviene, giocoforza, nel pensiero di studiosi di sinistra di certa notorietà i quali si oppongono innanzitutto alla deriva radical-chic, cosmopolita, “arcobaleno”, individualista (che asseconda in particolare la pseudo-religione dei “diritti civili” e la morale liquida postmoderna)  della sinistra neoliberale. Facciamo qui gli esempi di Stefano Fassina, fondatore dell’associazione “Patria e Costituzione” e rivalutatore del pensiero cattolica personalista e della Dottrina Sociale della Chiesa, e di Sahra Wagenknecht, già leader di Die Linke, partito di estrema sinistra tedesco, che nel suo ultimo libro (4) recupera a sinistra il pensiero tradizionalista e conservatore di Edmund Burke proprio perché questo genere di conservatorismo offre quell’approccio organicista ed anti-individualista che la sinistra ha completamente perduto (a causa, aggiungiamo noi, dell’intrinseca essenza antropocentrica, quindi individualista e liberale, del pensiero di Karl Marx, il quale non mirava a liberare il proletariato – liberazione che nel suo intento era soltanto il motivo storicamente occasionale del vero e più ampio obiettivo – quanto a emancipare l’uomo da quelle che lui reputava, erroneamente, le sovrastrutture tradizionali del Sacro e della Comunità, per restituire all’umanità la sua “onnipotenza” alienata nell’immagine di Dio e dello Stato, considerati l’Uno e l’altro, sulla scia della filosofia di Feuerbach, di Fichte e di Hegel, proiezioni  esteriorizzate dell’io da ricondurre nel completo dominio umano) .

Un elemento fondamentale della teoria keynesiana è il cosiddetto “moltiplicatore”. Si tratta della formula per la quale ad ogni aumento della spesa autonoma (ad esempio investimenti o esportazioni) corrisponde – attraverso la spesa indotta (consumi, al netto delle imposte e delle importazioni) – un aumento di reddito maggiore della spesa iniziale se esistono contestualmente capacità produttiva inutilizzata e disoccupazione. Da qui il nome di moltiplicatore dato agli effetti della spesa in deficit di bilancio, cioè la spesa pubblica maggiore del gettito fiscale (resa possibile dal fatto che, analogicamente alla quasi moneta bancaria e creditizia, anche le promesse di pagamento dello Stato circolano come fossero moneta nonché dal fatto che lo Stato, attraverso la Banca centrale, crea moneta dal nulla). Nella teoria keynesiana il moltiplicatore è capace di generare reddito e, quindi, il risparmio ed il gettito (in funzione del reddito creato) necessari a finanziare l’investimento iniziale.

La critica monetarista di Milton Friedman, negli anni sessanta del secolo scorso, si appuntò proprio sugli effetti del moltiplicatore keynesiano, fino ad allora incontestati. Milton Friedman dimostrò che il valore del moltiplicatore è molto più basso di quanto si era ritenuto per trent’anni perché il consumo non risponde in modo proporzionale all’aumento del reddito dei lavoratori, mentre quest’ultimo veniva indicato come responsabile delle impennate inflattive. L’alta inflazione degli anni settanta – che tuttavia non era inflazione monetaria ma inflazione da costi conseguente all’aumento del prezzo greggio, a causa del blocco dell’offerta di petrolio da parte dei Paesi arabi come ritorsione all’aggressività bellica di Israele – sembrò dare ragione a Milton Friedman inaugurando in tal modo la stagione neoconservatrice di Reagan e della Thatcher con un ampio ritorno alle politiche neoliberiste di contrazione dei salari e di accumulazione del capitale, in una prospettiva transnazionale di liberalizzazione finanziaria che avrebbe preparato la globalizzazione dell’ultimo decennio del secolo e del primo del nuovo millennio. La critica monetarista aprì una stagione di nuova sfiducia sull’efficacia della politica fiscale, ossia della politica di spesa statale. A tale critica – che coagulò intorno ad essa la formazione della cosiddetta “Nuova Scuola Classica” egemone per tutti gli anni ottanta e novanta ossia quelli dell’affermarsi del neoliberismo – i neokeynesiani opposero una difesa, teoricamente debole, perché relegarono l’efficacia del moltiplicatore al breve periodo senza più pretese di affermarla nel lungo periodo. In questo, in qualche modo, confortati dallo stesso Keynes che ai suoi critici liberisti, secondo i quali lasciato ad esso il tempo necessario l’automatismo del mercato rimette tutto a posto, soleva rispondere che nel lungo periodo saremo tutti morti.

Ma la storia è soprattutto storia dell’imprevedibilità che contrassegna la dinamica della lotta tra paradigmi e le conseguenti, sempre illusorie, egemonie scolastiche: «Fino alla crisi del 2007-2008 – scrive ancora Maria Cristina Marcuzzo nel suo contributo già citato – la maggior parte degli economisti in università prestigiose, in istituzioni come la World Bank e il FMI, in autorevoli giornali e riviste come il Financial Times e l’Economist accettò le stime di un basso valore del moltiplicatore come prova dello scarso o addirittura nullo impatto della spesa pubblica. Gli argomenti tradizionali contro gli interventi congiunturali – ritardi nei meccanismi decisionali e d’implementazione – uniti all’ipotesi di aspettative razionali di agenti che anticipano e neutralizzano l’azione dell’autorità pubblica, facevano apparire impossibile utilizzare al momento giusto la politica fiscale come strumento per rilanciare l’economia. Tuttavia il moltiplicatore è ritornato sulla scena dopo la crisi [del 2008]. Negli anni cinquanta e sessanta, all’apice del Keynesismo, si stimava che il valore del moltiplicatore fosse approssimativamente pari a due. Negli anni novanta e duemila le stime econometriche mostravano valori molto bassi, assestandosi intorno a 0,5-0,7. Nel 2009 il FMI e la UE portano le stime del moltiplicatore all’interno di una forchetta tra 0,9 e 1,7 (Marcuzzo, 2014). Finalmente abbiamo di nuovo un moltiplicatore che moltiplica, perché questo non si può non vedere – come nel caso dell’Europa dell’austerità – quando la spesa autonoma si riduce».

Domanda aggregata e redistribuzione degli utili

Anche se Keynes affida all’effetto moltiplicatore della spesa pubblica il ruolo principale nel sostegno della domanda aggregata, non si deve credere, con troppa facilità, che egli considerasse del tutto secondario lo strumento della giusta politica salariale. Al contrario, egli guardava ad essa sia per motivi etici che per motivi economici. Non mancò infatti di indicare in un buon livello salariale un elemento comunque importante nelle politiche di sostegno della domanda effettiva.

Questo ci porta, ora, – nel contesto del presente contributo inteso a richiamare l’attenzione sulla dimensione sovra-economica del problema di una sana economia – ad esaminare la soluzione partecipativa del rapporto tra azienda e dipendenti nell’ottica del rafforzamento della domanda e del contemperamento di quest’ottica con una visuale non del tutto dimentica, sarebbe un errore anche questo, del lato dell’offerta.

Generalmente si parla del “salario di produttività” come di uno strumento per assicurare una dinamica salariale che, in quanto legata agli andamenti della produttività, venga incontro alle esigenze rivendicative dei lavoratori senza indurre spinte inflattive, da costo del lavoro, sul prezzo finale della produzione. Molti, tuttavia, confondono il “salario di produttività” con la “partecipazione agli utili” benché le due cose non coincidano in maniera perfetta, dato che il primo sembra piuttosto connettere i soli aumenti salariali al saggio di produttività mentre la seconda tende piuttosto alla redistribuzione di una quota dell’utile netto ai dipendenti.

La dinamica partecipativa del salario – qui sta la sua diversità – agisce sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda perché essa per un verso presuppone che sia conseguito un margine di profitto e per l’altro verso realizza la redistribuzione della ricchezza prodotta a sostegno della domanda. In un’ottica partecipativa il lavoro dei dipendenti da mero costo, nel calcolo economico dell’impresa, tende a diventare socio dell’imprenditore, apportatore di know-how professionale esecutivo al complesso patrimoniale aziendale. Senza, come si è già detto, provocare spinte inflattive ma adempiendo pienamente al sostegno della domanda.

Orbene, proprio perché per loro natura svolgono una funzione redistributiva della ricchezza, tali strumenti di politica sociale e aziendale non sono affatto indifferenti in una prospettiva keynesiana, che, come sappiamo, guarda prevalentemente dal lato della domanda. Infatti – sia nella forma del salario di produttività sia in quella della più piena partecipazione agli utili netti – siamo comunque di fronte ad una redistribuzione di reddito in favore del lavoro e, pertanto, a cospetto di uno strumento in controtendenza all’accentramento ed alla concentrazione al vertice della ricchezza prodotta. Partecipazione agli utili e salario di produttività possono assumere un significato etico, oltre che economico, rispondendo alla necessità di restituire l’economia ad una visione più sociale, onde rimediare alla frattura intervenuta, con la modernità, tra etica e dimensione economica e, quindi, ripristinare una corrispondenza tra l’una e l’altra pur nella reciproca autonomia che non deve per forza significare indifferenza o chiusura.

Se mediante la partecipazione agli utili e/o il salario di produttività si ottiene una redistribuzione del profitto per scivolamento di esso dal vertice verso la base – dove il vertice va inteso come lavoro direttivo all’interno dell’impresa, quindi come apporto intellettuale dell’imprenditoria ben diverso dal capitale finanziario che svolge soltanto funzione di apporto capitalistico e che in quanto tale non è lavoro – il problema dell’adeguato livello della domanda aggregata, la quale, al netto del moltiplicatore della spesa pubblica in deficit, è proporzionale al reddito dei lavoratori/consumatori, ossia al livello del salario, trova una efficace soluzione nella prospettiva di una dinamica salariale che finisce, in termini macroeconomici, per costituire una componente importante della domanda aggregata. Senza che possa obiettarsi che la partecipazione, non agendo direttamente sul livello di base del salario, quello contrattualmente stabilito ex ante al ciclo produttivo, ma soltanto sulla distribuzione ex post dell’utile, presupponga, per essere benefica all’aumento del reddito dei lavoratori, il conseguimento del profitto, perché, in fin dei conti, anche il salario di base presuppone una redditività attiva dell’impresa. Infatti, senza tale attivo, anche il salario di base verrebbe meno, non solo la distribuzione dell’utile o della maggior produttività.

Lo strumento partecipativo pertanto non può essere disgiunto, come pensano alcuni “offertisti”, dalla questione del livello della domanda aggregata che dipende essenzialmente dalla distribuzione del profitto, tanto in termini di livello salariale contrattato ex ante, all’avvio del ciclo produttivo, quanto in termini di conseguimento del margine di profitto a ciclo concluso. Infatti sia il salario contrattato sia l’utile, da redistribuire mediante partecipazione al suo netto o al quale il salario variabile in funzione della produttività consente di partecipare, altro non sono che quote del profitto d’impresa e quest’ultimo – ecco il punto keynesiano – non è mai riproducibile nel lungo periodo se prevalgono miope ed errate politiche di accentramento capitalistico e di contenimento salariale o di negazione della partecipazione agli utili. In altri termini, la partecipazione garantisce la domanda aggregata mediante una ampia diffusione ed aumento del reddito dei lavoratori. La redistribuzione in favore dei lavoratori di una quota del profitto aziendale, attraverso la partecipazione agli utili netti o il salario di produttività, sostiene il livello della domanda aggregata, apportando l’equilibrio benefico necessario all’efficace funzionamento del mercato.

Il cuore chiuso volge all’abisso

A chi gli rimproverava di non tener in debito conto il rischio dell’inflazione da costo del lavoro – che finisce per “mangiarsi” gli aumenti salariali nominali aggrediti dalla perdita di potere d’acquisto reale a causa dell’aumento conseguente dei prezzi finali – Keynes rispondeva che quel rischio si avvera soltanto quando l’economia raggiunge la sua piena capacità produttiva e quindi il pieno impiego. Ciononostante l’effettivo emergere di pur moderate spinte inflazioniste anche prima del raggiungimento della massima capacità produttiva e di impiego è stato il fattore che maggiormente ha creato difficoltà pratiche all’accettazione da parte imprenditoriale delle soluzioni keynesiane, in favore di alti salari, mentre la controparte sindacale spingeva alla loro implementazione.

Nella dinamica del capitalismo reale, quello nel quale in passato prevaleva l’elemento patrimoniale sul finanziario, l’imprenditoria si era convinta, dopo diverse sollecitazioni politiche e sindacali, della necessità di guardare anche dal lato della domanda. Un esempio di tale atteggiamento intelligente è quanto affermava, negli anni ’30, Henry Ford circa la necessità di politiche salariali tali da consentire ai suoi operai la possibilità di acquistare l’auto che essi contribuivano, con il loro lavoro manuale, a produrre. Altri industriali hanno avuto atteggiamenti di resistenza all’idea di assicurare livelli salariali adeguati al livello di domanda necessario per fornire sbocco di mercato alla produzione, in quanto, in una visuale microeconomica, essi guardavano, insensatamente, al profitto di breve periodo e perché, sotto il profilo macroeconomico, temevano l’inflazione da costo del lavoro. Tuttavia il percorso storico dell’Occidente, nel XX secolo, dimostra che, alla lunga, l’imprenditoria ha ceduto a prospettive di medio-lungo termine per favorire, nel breve, livelli salariali più equi. Pur senza andare fuori mercato, le imprese impararono a puntare al mantenimento tendenziale del saggio di profitto nel medio-lungo periodo attraverso il contenimento nel breve periodo del livello dei profitti medesimi, in modo da evitare l’automatico aumento del prezzo finale a fronte degli aumenti salariali necessari ad aggiustare la domanda. Vigeva la convinzione diffusa che in ogni fase storica, posto un certo livello tecnologico, vi sia un ottimale livello di domanda aggregata, quindi anche di salario, tale da consentire il maggior profitto possibile nelle circostanze date. In questo contesto, le esperienze di partecipazione agli utili e di salario di produttività hanno consentito, mediante la giusta redistribuzione di parte del profitto verso i lavoratori, il raggiungimento dell’obiettivo del sostegno alla domanda evitando il rischio di eccessive spinte inflattive da costo del lavoro, ossia da aumento salariale.

Questo tipo di capitalismo era di segno produttivista, afferiva all’economia reale, e, bene o male, aveva una qualche forma di etica sociale perché non era ancora ossessionato dall’avidità finanziaria che, nella übris del profitto immediato ed a tutti i costi, impone, oggi, il conseguimento della subitanea e massima reddittività sciolta da qualsiasi considerazione sovra-economica. Con il passaggio dalla modernità solida alla postmodernità liquida, il capitalismo si è trasformato diventando volatile, finanziario, speculativo. Il nuovo capitalismo high tech non aspetta, pazientemente, i tempi di sviluppo di un progetto industriale ma vuole profitti subitanei ed immediati, secondo fixing semestrali, trimestrali, quotidiani. Esso non è più mosso dall’inventiva, dalla creatività, dall’investimento a lungo termine, dalla laboriosità intellettuale e manuale, in altri termini dall’etica del lavoro. Il suo motore, oggi, è la finanza che pretende di estrarre denaro dal denaro senza alcuna considerazione per la produzione reale che viene in considerazione soltanto in quanto strumentale alla speculazione e non in quanto progettualità benefica per l’intera comunità aziendale, territoriale, politica. Figuriamoci allora se questo tipo di capitalismo possa avere una qualche considerazione per il lavoro, che anzi, nella sua visione è soltanto un costo da abbattere quanto prima mediante la sostituzione tecnologica del fattore umano. La cecità di tale visione è, però, evidente a chi sa ancora guardare dal lato della domanda. Infatti, non a caso, onde evitare l’implosione del sistema nella prospettiva della sua totale robotizzazione e digitalizzazione, gli alfieri del capitalismo finanziario, quelli del Word Economic Forum che ogni anno si riuniscono a Davos come anche quelli del “Gruppo dei Trenta”, al quale appartiene Mario Draghi, puntano a forme di reddito senza lavoro, come il “reddito di cittadinanza”, non legate ad obblighi di formazione professionale per il reinserimento nel ciclo produttivo, ed alla riduzione malthusiana della popolazione, in modo da continuare a garantire una domanda alla produzione automatizzata ma al prezzo della disumanizzazione del lavoro e della mortificazione della creatività umana sostituita dagli automi.

É proprio qui, in questa liquefazione postmoderna del reale in virtuale e del patrimoniale nel finanziario, che emerge il lato oscuro, ambiguo, preoccupante del percorso storico in atto e delle trasformazioni nella struttura stessa del capitalismo. È antica la discussione tra gli economisti sulla sussistenza o meno di un “ordine naturale” dell’economia contrassegnato da leggi come quelle fisiche o biologiche, oggetto di studio scientifico. I classici, ritenendo che tali leggi esistano e che l’economia sia una scienza paragonabile alla fisica, alla chimica ed alla biologia, sono assertori di un ordine naturale anche nell’economia. I keynesiani al contrario negano un ordine naturale dell’economia e disincantano la pretesa dei classici come mascheratura, favorevole ai capitalisti, di rapporti sociali egemonici. In realtà, essendo l’economia una dimensione umana e non cosmologica, l’“ordine naturale” non deve essere cercato nel mercato o nello Stato, che sono a loro volta espressioni della natura sociale dell’essere umano, ma nel cuore dell’uomo ovvero nell’etica che presiede, o dovrebbe presiedere, alle sue scelte. Gli antichi parlavano della “legge naturale” inscritta nel cuore dell’uomo seconda quanto è stato rivelato «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Geremia 31,33). Una legge interiore, infusa dall’Alto, per la quale abbiamo ricevuto un chiaro ammonimento: «Praticate il diritto e la giustizia, liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore, non fate violenza e non opprimete il forestiero, l’orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in questo luogo» (Geremia 22,3). Se, come abbiamo visto, un sano sistema economico che sia anche un sistema economico di giustizia sociale, dipende da meccanismi di equilibrio della domanda aggregata con l’offerta aggregata, che tengano conto della priorità della prima senza trascurare la seconda, alla fin fine tutto dipende, nell’economia reale, prima ancora che dalle opportune politiche e dalle giuste soluzioni tecniche, dalla disponibilità del cuore umano verso un approccio etico, il quale per alcuni è un approccio spirituale secondo prospettive di tipo confessionale. Un approccio la cui tragica assenza si va oggi manifestando nel passaggio ad una economia egemonizzata dall’avidità della finanza apolide ed asociale. Un’economia contrassegnata da una nuova forma di totalitarismo cibernetico che nella liquidità individualista volge verso il transumanesimo fino al miraggio della cosiddetta intelligenza artificiale, che poi intelligenza non è, e della ibridazione uomo-macchina attualmente consentita dalla biotecnologia invasiva. Lo scenario in fieri richiama immancabilmente antiche avvertenze escatologiche, dimenticate dai più. Infatti, anziché cercare la metanoia, sembra proprio che l’uomo di questa epoca volga il suo cuore verso l’abisso del “mistero di iniquità”. Il quale, tra i tanti volti con cui si manifesta, predilige quello an-etico, anonimo, presuntivamente senza limiti, della potenza finanziaria e tecnologica.

 

Il cuore dell’uomo, quando è chiuso alla Luce, è esso stesso un abisso, ammoniva Agostino di Ippona.

 

Luigi Copertino

 

NOTE

  • In proposito va sottolineato che la tesi di Jacques Le Goff per la quale la credenza nel Purgatorio sia direttamente legata a questo tentativo di aggiustamento dottrinale per venire incontro alle esigenze economiche dell’emergente borghesia – per cui si ammetteva uno stato post mortem intermedio di purificazione dai peccati accumulati in vita – cozza con la realtà di una conoscenza atavica dello stato intermedio, più o meno delineato, corrispondente alla dimensione “sottile” della costituzione cosmici ed antropologica, in tutte le tradizioni spirituali dell’umanità, non solo quella ebraico-cristiana. La letteratura mistica è piena di riferimenti a questa condizione di purificazione post mortem anche prima, molto prima, della comparsa sulla scena storica e sociale della borghesia mercantile dei comuni medioevali. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, anche di età precristiana (si pensi al racconto del soldato Era nella “Repubblica” di Platone), ma qui ci limitiamo a citarne tre ossia i viaggi nell’aldilà risalenti a cronache del VII e del IX secolo che hanno per protagonisti, rispettivamente, Wetti, in monaco, Drythelm, un devoto laico, e l’imperatore Carlo il Grosso. In questi, ed altri racconti similari, appare già chiaramente l’esistenza di diversi stati del post mortem, orrifici o beatifici, e tra essi alcuni che consentono all’anima del defunto la possibilità di purgarsi, con l’aiuto dei sacrifici e di sante Messe offerte dai viventi, attraverso una sofferenza, talvolta intesa come perdurante fino alla fine dei tempi. In proposito cfr. Jean Verdon “La note nel Medioevo”, parte Terza, pp. 241- 261, Baldini & Castoldi 2000, Mondadori, Milano.
  • Keynes, nella sua critica dei postulati dell’economia classica, si è richiamato anche ad alcune osservazioni critiche che a Ricardo erano già state mosse da Thomas Robert Malthus, il quale avversava l’impostazione ricardiana, fondata sulla legge di Say, evidenziando che, al contrario di quanto ritenuto dall’economista britannico, i possessori di denaro tendono a tesaurizzarlo anziché spenderlo. Malthus, in sostanza pose, inascoltato, già nel XIX secolo il problema della domanda benché lo fece nell’ambito della sua visione pessimista ed antiumana intesa ad affermare la rarità delle risorse messe a disposizione dalla “natura matrigna” e quindi a giustificare un ferreo controllo, anche attraverso la castrazione obbligatoria, delle nascite tra i ceti poveri ed i popoli “arretrati” onde tenere non aumentare il numero dei commensali  e quindi difendendo le posizioni acquisite dei ceti abbienti e dei popoli ricchi e colonizzatori.
  • C’è una pagina del “Trattato” nella quale Keynes dichiara che la filosofia sociale di lungo periodo del suo pensiero è intesa a far funzionare meglio il sistema economico e sociale correggendone i difetti – consistenti soprattutto nell’incapacità di assicurare la piena occupazione e nella maldistribuzione del reddito e della ricchezza prodotta – attraverso misure di politica fiscale redistributive e politiche di tassi di interesse bassi in modo da attuare la “eutanasia del rentier”, ovvero di quei ceti che vivono della rendita, un tempo quella della terra ed oggi quella dell’interesse monetario ossia la finanza speculativa, onde assegnare la preferenza delle politiche economiche al primato dei “produttori”, una categoria che già ai suoi tempi ricomprendeva insieme imprenditori e lavoratori ovvero coloro che sono dediti all’economia reale e considerano gli strumenti monetari e finanziari solo in quanto funzionali alla produzione e non anche come mezzi di generazione di denaro dal denaro avulso dal lavoro e dalla produzione. In tale contesto Keynes auspica una socializzazione di una certa consistenza degli investimenti onde garantire che essi siano volti in misura sufficiente all’economia reale, anziché alla speculazione finanziaria, ma senza alcune necessità di realizzare il “socialismo di Stato”, ovvero il comunismo. Keynes, in questa pagina, è molto chiaro perché, riferendosi alla sua teoria, scrive: «In certi aspetti la teoria precedente è moderatamente conservatrice nelle conseguenze che implica. Infatti, mentre indica l’importanza vitale di stabilire verti controlli centrali in materie sostanzialmente lasciate all’iniziativa individuale, essa non tocca molti altri campi di attività. Lo Stato dovrà esercitare un’influenza direttiva circa la propensione al consumo, in parte mediante il sistema di imposizione fiscale, in parte fissando il tasso di interesse e in parte, forse, in altri modi. Per di più, sembra impossibile che l’influenza della politica finanziaria sul tasso di interesse sarà sufficiente da sola a determinare un livello ottimo di investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione; sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con l’iniziativa privata. Ma oltre a questo non si vede nessun’altra necessità di un sistema di socialismo di Stato che abbracci la maggior parte della vita economica della collettività. Non è importante che lo Stato si assuma la proprietà dei mezzi di produzione. Se lo Stato è in grado di determinare l’ammontare complessivo delle risorse destinate ad accrescere i mezzi di produzione e il tasso base di remunerazione per coloro che le posseggono, esso avrà compiuto tutto quanto è necessario. Inoltre le necessarie misure di socializzazione possono essere applicate gradualmente e senza provocare una soluzione di continuità nelle tradizioni generali della società. (…). Quindi, salva la necessità di controlli centrali allo scopo di perseguire l’equilibrio fra la propensione a consumare e l’incentivo ad investire, non vi è maggior ragione di socializzare la vita economica di quanto ve ne fosse prima. (…). Sono quindi d’accordo con Gesell che il risultato di colmare le manchevolezze della teoria classica non è di gettar via “il sistema di Manchester”, bensì di indicare la natura dell’ambiente richiesto dal libero gioco delle forze economiche, affinché questo libero gioco possa realizzare le sue intere capacità produttive. I controlli centrali necessari ad assicurare la piena occupazione richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo. Inoltre la teoria classica moderna ha essa stessa richiamato l’attenzione sulle diverse condizioni nelle quali il libero gioco delle forze economiche deve venir moderato e guidato. Ma rimarrà ancora largo campo all’esercizio dell’iniziativa e della responsabilità individuale (…) la cui perdita è la massima fra tutte le perdite dello Stato omogeneo o totalitario. (…). Mentre quindi l’allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l’una all’altro la propensione a consumare e l’incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell’individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l’unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forze economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell’iniziativa individuale. Se infatti la domanda effettiva è insufficiente, non soltanto vi è l’intollerabile scandalo pubblico delle risorse sprecate, ma il singolo imprenditore che cerca di mettere in azione queste risorse opera con tutte le possibilità sfavorevoli contro di lui. (…). I moderni sistemi di Stato autoritario sembrano risolvere il problema della disoccupazione a scapito dell’efficienza e della libertà. È certo che il mondo non tollererà ancora per molto tempo la disoccupazione che … è associata – e, a mio parere, inevitabilmente associata – con l’individualismo capitalistico d’oggigiorno. Ma può essere possibile, mediante una corretta analisi del problema, guarire la malattia pur conservando l’efficienza e la libertà». Cfr. John Maynard Keynes “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, libro VI, pp. 571-575, Utet, De Agostini, Novara, 2013. Significativo il riferimento finale alle esperienze totalitarie o autoritarie, che non sono la stessa cosa, in corso nell’epoca nella quale Keynes vergava tali considerazioni perché tali esperienze, quelle di marca “fascista”, tentavano di risolvere i difetti della teoria classica liberista, additati dall’economista inglese, ma al prezzo di una riduzione – tra l’altro con forte consenso popolare- delle libertà personali. Benché non a scapito dell’efficienza come riteneva Keynes, il quale del resto, pur rimanendo sempre un convinto democratico, in altre occasioni, come quando ad esempio simpatizzò con la politica monetaria di Hjamal Schacht, il banchiere centrale tedesco che rese possibile il miracolo della piena occupazione nella Germania nazista, riconobbe gli effetti positivi sotto il profilo dell’efficienza sociale ed occupazionale di quelle esperienze. Qui, al di là di queste osservazioni storiche, va segnalato che la pagina keynesiana sopra descritta è una di quelle sulle quali hanno costruito la loro esegesi del pensiero di Keynes i cosiddetti “neokeynesiani” i quali hanno elaborato la cosiddetta “sintesi neoclassica” – egemone negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso che più tardi, negli anni ’80, si sviluppò nella “nuova macroeconomia keynesiana” – nella quale viene recuperato il keynesismo benché limitato ad alcuni aspetti della teoria, in particolare il primato della domanda e la politica interventista dello Stato in funzione anticiclica, come integrazioni necessarie e quasi sviluppi della teoria neoclassica. Tra i neokeynesiani ritroviamo alcuni insigniti del Nobel come Paul Samuelson, Robert Solow e Franco Modigliani. Ma esiste anche un’altra interpretazione del pensiero di Keynes la quale ne rivendica una lettura più a sinistra, tale da farne il paradigma economico del socialismo democratico, e che affida allo Stato una azione molto più incisiva, di trasformazione e graduale superamento del capitalismo, non quindi limitata soltanto al deficit spending anticiclico. Questa diversa esegesi è stata portata avanti dai cosiddetti “keynesiani della prima generazione”, come l’inglese Joan Robinson, che fu allieva dello stesso Keynes, l’ungherese Nicholas Kaldor, il britannico Paul Davidson, lo statunitense Hyman Minsky, che ha dimostrato l’intrinseca fragilità dei mercati finanziari, e gli italiani Piero Sraffa e Federico Caffè. Quest’ultimo è stato un nostro illustre economista, misteriosamente scomparso nel 1987, nonché uomo di alto senso etico e civile – per cui si è parlato a proposito del suo pensiero di “cristianesimo laico” – oltre che di grande sapienza e competenza nella scienza economica. L’interpretazione della prima generazione di keynesiani, chiamata “economia post-keynesiana” e considerata dal biografo di Keynes, Lord Skidelsky, la più vicina allo spirito originario del suo pensiero, riflette il clima laburista e fabiano, non escluso un certo “teosofismo millenaristico” insito in diversi passaggi dell’opera di Keynes, nel quale andarono formandosi le elaborazioni scientifiche dell’economista inglese. I capisaldi dell’economia postkeynesiana sono: il realismo, nel senso che deve essere la realtà storica ed economica dell’effettivo funzionamento dei sistemi economici a dettare le conclusioni all’economista sicché non si deve partire da concezioni astratte come fanno i neoclassici (strumentalismo); l’olismo (contrapposto all’individualismo) in quanto il tutto è più della somma delle parti (un rilievo che, probabilmente ad insaputa dei postkeynesiani li pone sulla scia della Tradizione spirituale e filosofica europea, da Platone ed Aristotile fino a Tommaso d’Aquino) sicché il singolo non è un atomo ma appartiene ad un contesto comunitario del quale le istituzioni costituiscono realtà specifiche; la consapevolezza delle capacità molto limitata degli agenti economici di fare scelte razionali per mancanza di informazioni sufficienti (contro il paradigma neoclassico del comportamento razionale e sostanzialmente “onnisciente” del singolo operatore); contrariamente all’assunto neoclassico della scarsità delle risorse bisogna invece valorizzare il grado di utilizzazione delle stesse ai fini dell’aumento dell’occupazione; inefficienza, incapacità di autoregolazione e non equità del mercato che richiedono come insostituibili ed indispensabili l’intervento, diretto o indiretto, dello Stato; primato della domanda perché la produzione è trainata dalla domanda e non dall’offerta anche nel lungo periodo e non solo in quello breve come sostengono i neoclassici; importanza del tempo storico contro ogni astrattismo logico. La scuola post-keynesiana ha prodotto importanti risultati nell’ambito della politica monetaria avendo evidenziato che in un sistema monetario moderno la moneta è endogena – e non esogena come ritengono i neoclassici – in quanto è l’offerta di moneta a rispondere alla domanda della stessa. Ciò attesta che le Banche centrali non possono sostenere la domanda di moneta che proviene dal mercato attraverso il filtro delle banche e quindi non fornire alle stesse la quantità di moneta richiesta in un dato periodo, anche considerando che le stesse banche creano moneta ex nihilo in forma di credito (quasi moneta bancaria). In tal modo le banche centrali hanno un solo mezzo per tentare di controllare la domanda di moneta, quando è ritenuta troppa e quindi foriera di spinte inflazionistiche, ossia il tasso di interesse da esse applicato alle banche che si riflette sul tasso di interesse applicato dalle banche al pubblico. Più esso è alto e più la domanda di moneta viene contenuta. Tale acquisizione – che, in particolare per l’opera di Nicholas Kaldor, ha messo in crisi il monetarismo di Milton Friedman il quale prendeva in considerazione soltanto la moneta legale senza avvedersi dell’esistenza della quasi moneta creditizia – è oggi ampliamente praticata nella politica monetaria delle Banche centrali che ricorrono alla leva del tasso di interesse e non più a quella dell’offerta di moneta. Per la querelle tra “keynesiani di prima generazione” e “neokeynesiani” si veda l’ottimo libro di Thomas Fazi “Una civiltà possibile – la lezione dimenticata di Federico Caffè”, Melteni visioni eretiche, Milano, 2022.
  • Sahra Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale”, Fazi Editore, Roma, 2022.

https://domus-europa.eu/2023/05/09/alle-radici-sovraeconomiche-del-problema-economico-di-luigi-copertino/?fbclid=IwAR3JSsjppGuUl2QNp5vyXvZxX4pJSYqcVeMOijcXcxgWeF7RuOAbzGE3PtM

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/alle-radici-sovraeconomiche-del-problema-economico?fbclid=IwAR3Yo2Z0NfrKJe–xrxi3tLzEgJMufKAO89qK6a75Fja5bjzpJRZ7U4Ln6o

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