DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (2/2) (prologo alle note storiche su Moldavia e Romania, ripubb. 2018*), di Daniele Lanza

1805.
Passano solo 13 anni prima che l’equilibrio della pace di Jassy (1792) tra russi e turchi sia compromesso.
Se è vero che ora il mondo intero ha altre preoccupazione su scala più planetaria (Bonaparte imperatore) è altresì vero che gli interpreti più minuscoli trovano il modo di avvantaggiarsi dell’ ”evento globale” e, mentre questo si dispiega, portare avanti il proprio piccolo ma prezioso “evento locale”.
In altre parole, nel mentre che in Europa infuria una vera e proprio conflitto continentale, la scricchiolante potenza turca prende la palla al balzo per iniziare un conflitto, a paragone “regionale” – e rifarsi della sconfitta subita una dozzina di anni addietro.
Per andare al dunque : giunta notizia della vittoria napoleonica ad Austerlitz contro la terza coalizione anglo-austro-russa (1805) e della conseguente debolezza russa (più percepita che reale) il sultano ottomano decide di rompere gli indugi e provocare guerra con la Russia, approfittando del momento giudicato favorevole.
In Valacchia e Moldavia sono deposti i governatori (che erano concordatamente filorussi) in perfetta coordinazione con un’azione francese in Dalmazia (che minacciava una successiva e rapida avanzata traverso i Balcani, giusto fino ai confini meridionali dell’impero russo).
Zar Alessandro I cerca di prevenire la minaccia occupando preventivamente la Valacchia….ed il dado è tratto ! (come costringere l’opponente a DICHIARARTI GUERRA, in modo poi da affermare che LUI costituisce l’aggressore. Si usa tale tecnica con la Russia da oltre 200 anni. Chi ha orecchie per intendere intenda).
Saranno complessivamente 7 anni di guerra (rammentiamo tuttavia che nel lungo corso della storia è solo UNA delle copiose “guerre russo turche” che si contano, le cui scaramucce incessanti caratterizzano la memoria di mar Nero, Caucaso e Balcani).
L’offensiva turca (“contro l’ingiusto invasore”…) è immediata e massiccia, contando giustamente, che lo zar manterrà il grosso delle proprie forze a nord per parare un’eventuale avanzata di Napoleone.
Sfortunatamente per i generali del sultano la debolezza era – come ho sottolineato – solo percepita : in 2 anni di guerra ottengono un sostanziale insuccesso terrestre (nonostante la superiorità locale di forze) e una netta sconfitta sui mari (la marina zarista arriva a controllare il mar Nero). Si andrebbe incontro ad una disfatta già allora se non fosse che da Tilsit in Prussia, Napoleone nel dettare le clausole della sua pace generale impone anche il termine di questo conflitto periferico russo-turco, imponendo allo zar di firmare una pace con gli ottomani (e quindi salvando questi ultimi dalla disfatta prossima).
Il braccio di ferro è solo silente tuttavia e divampa di nuovo l’anno seguente, degenerando tuttavia in una guerra inconcludente che si trascina avanti senza risultati per quasi tre anni : il punto di svolta lo abbiamo solo quando, nel 1811, KUTUZOV (non troppo amato dallo zar, ma considerato dai contemporanei il diretto successore di SUVOROV ovvero il miglior stratega dell’impero) prende in mano la situazione.
Dal momento in cui al generale Kutuzov è affidata la responsabilità di questo quadrante dello scacchiere bellico, nel giro di un anno ottiene una vittoria totale contro il nemico….obbligandolo a firmare la pace esattamente 2 SETTIMANE prima dell’attacco della Grand Armee napoleonica alla Russia nel maggio del 1812 : è il TRATTATO di Bucharest, oggi dimenticato se non dagli storici.
I successivi eventi, riportati sui manuali scolastici di tutto il mondo dal livello elementare in poi, cancellano letteralmente il ricordo di questa piccola guerra, comprensibilmente relegata alla storia dei conflitti minori o regionali, destinandola ad essere eternamente oscurata dall’ombra (colossale) di Napoleone in Russia……ed in tal modo ne viene silenziosamente consegnato all’oblio anche la conseguenza politica :
il trattato di pace firmato prevedeva, in sintesi, la cessione di parte del principato di Moldavia allo stato zarista e per la precisione la metà ORIENTALE, che da questo momento in poi si chiamerà BESSARABIA : una porzione di territorio insignificante in estensione a paragone di altri territori dell’impero russo, ma tuttavia assolutamente nevralgica per la storia a venire.
Grazie alla nuova conquista il confine si sposta dalla linea effimera del Dnestr per andare a toccare il delta del DANUBIO. Per la prima volta nella storia la Russia raggiunge questo importante fiume d’Europa.
Non occorrono altre spiegazioni per chi conosce le basi elementari della storia dei Balcani per immaginare le conseguenze geopolitiche : il confine imperiale russo si trova ora (soglie del nuovo, XIX° sec.) nelle immediate vicinanze di altre popolazioni europee di fede ortodossa, e in buona parte slave, che costellano tutto lo spazio carpatico/balcanico……entità perennemente in stato di tensione contro lo status quo ottomano e ben felici di trovare nello zar, ora confinante, un poderoso ed amichevole vicino.
Oltre a diritti di commercio lungo il Danubio a favore della Russia, si assiste anche ad un prolungato fenomeno di ribellione in Serbia che dopo oltre un decennio di resistenza armata parallela alla guerra russo-turca di cui parliamo, ottengono nel 1815 uno stato di semi-indipendenza dal sultano, creandosi quindi il Principato di Serbia (ancora unità amministrativa dell’impero ottomano, ma già autonoma).
Come si potrebbe descrivere il tutto ? Lo zar di Russia ottiene qualcosa come una striscia di terra geograficamente parland……ma quella striscia è già parte terminale della zona vulcanica ed esplosiva dei Balcani……

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La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Crescendo rossiniano. Toni sempre più duri. Scelte politiche sempre più nette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.globaltimes.cn/page/202303/1286861.shtml

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Pubblicato: Mar 07, 2023 11:35 PM

Martedì il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha risposto alle domande dei giornalisti nazionali ed esteri sulla politica estera e le relazioni esterne della Cina. La conferenza stampa del ministro degli Esteri è uno dei momenti salienti delle due sessioni annuali. In particolare, quella di quest’anno è la prima conferenza stampa dopo tre anni in cui il ministro degli Esteri cinese incontra la stampa di persona e la prima da quando Qin ha assunto l’incarico. Naturalmente ha ricevuto l’attenzione di tutte le parti.

 

In 114 minuti, Qin ha risposto a un totale di 14 domande, utilizzando un linguaggio vivace e umoristico per spiegare in modo vivace gli obiettivi e le missioni della diplomazia cinese, oltre a esprimere chiaramente le proposte e la posizione del Paese sulle relazioni con i Paesi principali, sulla diplomazia di vicinato e sui temi caldi. Le sue parole riflettevano la continuità e la certezza della diplomazia cinese, nonché lo stile personale di Qin. La sincerità, la franchezza, l’ampiezza di vedute e la fiducia in se stessi sono le impressioni più evidenti di questa conferenza stampa.

 

La stampa ha coperto una gamma molto ampia di argomenti, senza evitare i temi più scottanti che interessano il mondo. Ad esempio, per quanto riguarda gli scambi con l’estero, Qin ha espresso la sua ferma volontà di sviluppare l’amicizia e la cooperazione con altri Paesi, osservando che la Cina genererà nuove opportunità per il mondo con il suo nuovo sviluppo. Parlando dell’Iniziativa Belt and Road, ha detto che “la sua cooperazione è condotta attraverso la consultazione e le sue partnership sono costruite con amicizia e buona fede“. In effetti, dalla conferenza stampa, il mondo intuisce che la Cina salvaguarderà con fermezza i suoi interessi fondamentali e sarà sempre un costruttore della pace mondiale, un contributo allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale. Questo è anche lo stile generale della diplomazia cinese nella nuova era.

 

L’opinione pubblica internazionale ha prestato particolare attenzione alla dichiarazione di Qin sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che da un lato sottolinea l’importanza di questa relazione bilaterale e dall’altro mostra le preoccupazioni realistiche del mondo esterno riguardo alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Qin ha sottolineato senza mezzi termini che la percezione e la visione della Cina da parte degli Stati Uniti sono seriamente distorte, come “il primo bottone di una camicia messo male“. Se gli Stati Uniti non tirano il freno e continuano a percorrere la strada sbagliata, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri“. Ha inoltre affermato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere determinate dagli interessi comuni e dalle responsabilità condivise dei due Paesi e dall’amicizia tra i popoli cinese e americano, piuttosto che dalla politica interna degli Stati Uniti o dall’isterico neo-maccartismo. Questo non è solo un avvertimento a Washington, ma dimostra anche l’atteggiamento responsabile e serio della Cina nei confronti delle relazioni Cina-USA.

 

Abbiamo notato che alcuni media occidentali stanno esaminando questa conferenza stampa con la lente d’ingrandimento, cercando di etichettare la diplomazia cinese come “moderata” o “dura”, ma si tratta chiaramente di un errore di orientamento. In realtà, Qin ha chiarito in conferenza stampa che la cosiddetta “diplomazia del lupo guerriero” è una trappola narrativa. Nella diplomazia cinese non mancano la buona volontà e la gentilezza, ma se dovessero trovarsi di fronte a sciacalli o lupi, i diplomatici cinesi non avrebbero altra scelta che affrontarli di petto e proteggere la nostra madrepatria, ha detto Qin. In altre parole, ovunque si trovino gli interessi nazionali della Cina e la moralità del mantenimento della pace e della stabilità, i diplomatici cinesi saranno lì.

 

“Vale la pena sottolineare che la trappola narrativa menzionata da Qin è proprio il mezzo spregevole che Washington ha ripetutamente usato negli ultimi anni per cercare interessi geopolitici privati. Approfittando della sua egemonia sull’opinione pubblica, Washington ha costantemente teso trappole narrative come la “trappola del debito cinese“, le “regole dell’ordine internazionale” e la “democrazia contro l’autoritarismo” e, diffamando continuamente la Cina, tenta di metterla in difficoltà e di coprire le proprie azioni impopolari di iniziare una nuova guerra fredda sotto il nome di “competizione“. È chiaro che la politica statunitense nei confronti della Cina si è completamente allontanata da un percorso razionale e sano, e gli Stati Uniti non possono aspettarsi che la Cina non risponda con parole o azioni. È assolutamente impossibile”.

Allo stesso tempo, Qin ha anche affermato che il popolo americano, proprio come quello cinese, è amichevole, gentile e sincero, e desidera una vita e un mondo migliori. Pur affrontando di petto i lupi, la diplomazia cinese non ha mai rinunciato a perseguire l’unità, la cooperazione e lo sviluppo pacifico. Ciò si riflette in modo evidente nella crescente cerchia di amicizie della Cina. La Cina ha sempre più nuovi amici e vecchi amici sempre più vicini. Agli occhi della stragrande maggioranza dei Paesi normali della comunità internazionale, la Cina è un buon vicino e un partner amichevole, entusiasta e disposto a condividere. Alcuni media e l’opinione pubblica occidentali sostengono che la diplomazia cinese stia diventando sempre più “dura“, e alcuni si sono sentiti addirittura presi di mira durante la conferenza stampa, il che dimostra chi sono i “lupi” nelle relazioni internazionali di oggi – lo sanno molto bene.

 

Una Cina che si concentra sempre sullo sviluppo, con grandi certezze e un forte senso di responsabilità, porterà al mondo un senso di stabilità e di fermezza, che sarà trasmesso innanzitutto attraverso la diplomazia. Come ha detto Qin, il nuovo viaggio della diplomazia cinese sarà una spedizione con glorie e sogni, ma anche un lungo viaggio attraverso mari tempestosi. Più difficile sarà la missione, più glorioso sarà il suo compimento. Ci auguriamo che la diplomazia cinese nella nuova era possa ottenere risultati ancora più straordinari sotto la guida del Pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia.

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La Russia può superare l’eccesso di capacità ISR dell’Occidente?_di Simplicius the Thinker_a cura di Roberto Buffagni

Pubblichiamo la traduzione italiana di due articoli di “Simplicius the Thinker”, un gruppo di analisti militari filorussi, sul tema attualissimo e affatto ignoto ai non specialisti della dimensione informatica della guerra in Ucraina.

 

Il primo articolo è integralmente tradotto, il secondo solo in parte perché accessibile soltanto agli abbonati. “italiaeilmondo.com” non ha le risorse sufficienti per abbonarsi a tutte le fonti utili come questa.

Cogliamo l’occasione per invitare nuovamente i lettori interessati a contribuire al sito. Le modalità sono le seguenti:

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https://simplicius76.substack.com/p/all-seeing-eye-can-russia-break-through

 

All Seeing Eye: La Russia può superare l’eccesso di capacità ISR dell’Occidente?

Analizziamo come la Russia può affrontare le vaste capacità di ricognizione spaziale di NATO/FiveEyes durante le prossime offensive.

 

 

di Simplicius the Thinker

Feb 16

 

 

“Ogni guerra al punto di svolta delle epoche tecnologiche (e noi siamo proprio in una simile transizione) è gravata dalla mancanza di comprensione dei principi di funzionamento delle nuove armi e   delle tattiche del loro uso, nonché della strategia complessiva dell’intero complesso di azioni militari e politiche”.

I.

Da tutte le parti ci si rende sempre più conto che l’attuale conflitto ha scosso le fondamenta di molte teorie militari dottrinali e la comprensione stessa del modo in cui strategia e tattica vengono impiegate in un campo di battaglia moderno dominato dall’ISR (C4ISR) e dall’osservazione/integrazione/rete-centrica.

 

Questa guerra potrebbe essere il primo vero conflitto 4GW e 5GW. Per chi non ha familiarità con il concetto di guerra generazionale, può aggiornarsi qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Generations_of_warfare

Un’evoluzione si sta svolgendo in tempo reale sotto i nostri occhi, con entrambe le parti che lavorano furiosamente per adattarsi, battendo nuove strade lungo il percorso, spesso con errori di calcolo mortali.

Un tema comune attorno al quale si è discusso molto di recente è l’idea che la manovra di grandi raggruppamenti di forze meccanizzate sia diventata quasi obsoleta. Questo aspetto ha suscitato una crescente attenzione alla luce dell’imminente escalation della “grande offensiva” russa che, come molti presumono, porterà in teatro una grande quantità di nuove forze e gruppi corazzati.

In Ucraina, abbiamo visto da entrambe le parti il rischio assoluto e la follia di inviare una colonna corazzata di grandi dimensioni all’assalto, in particolare su terreno aperto. La preponderanza di munizioni guidate moderne altamente precise e di droni onnipresenti che correggono il fuoco, così come le capacità di percezione del campo di battaglia a raggi X in ogni banda immaginabile – dal radar agli infrarossi al rilevamento delle emissioni di segnale (telefono, wifi, starlink, radio, radar, ecc.) – trasformano il moderno teatro di guerra in qualcosa che assomiglia a un videogioco di strategia in tempo reale, nella tradizione di C&C: Red Alert.

Il campo di battaglia è disseminato di moderne munizioni di precisione di ogni tipo, che per ironia della sorte hanno riportato la guerra di manovra a un assetto posizionale di tipo WW1. Tutto, dalle mine autosensibili come le PTKM-1R alle munizioni intelligenti a grappolo come le RBK-500 che trasportano Motiv-3M SPBE sganciate dai sistemi di artiglieria che esplodono sopra i veicoli corazzati e mirano automaticamente ai loro tetti morbidi, è stato implementato finora nel conflitto (da entrambe le parti, nel caso dell’AFU: tramite il PhZ-2000 tedesco che spara munizioni intelligenti, e gli M270 tedeschi che sparano AT-2, e altro). I proiettili di artiglieria da entrambe le parti – varietà Krasnopol e Excalibur – sono guidati con precisione da droni e satelliti e da infiniti sistemi elettronici di ogni possibile estrazione.

Russi con attitudine @RWApodcast

 

Il 9A52-4 Tornado è il più recente sistema MLRS russo e dovrebbe sostituire i sistemi “Grad” e “Smerch” nei prossimi anni. È dotato di un sistema di paracadute per i suoi razzi e può colpire i bersagli con grande precisione anche dietro una copertura. La parte ucraina ha confermato che è stato utilizzato vicino a Kiev.

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Ci sono due modi di esaminare questo aspetto: la scala microcosmica della visione tattica, che si occupa della tattica delle unità, e il senso macro operativo. Ci addentreremo un po’ in entrambi. In quella operativa,  l’avvento e la proliferazione di sistemi di precisione a più lunga gittata inibiscono notevolmente la capacità  di una forza di manovra di portare avanti un’offensiva, in quanto le linee di rifornimento (depositi, quartieri generali, ecc.) sono tutte a portata di mano di HIMARS e di munizioni di precisione guidate stile Smerch.

Alcuni, come Strelkov, si sono recentemente entusiasmati per l’idea che la Russia sia “completamente incapace di avanzare” in qualsiasi senso operativo significativo, e che sia bloccata in una situazione di stallo, perché non appena le sue forze creano una spinta, i nodi logistici e di rifornimento che alimentano l’avanzata sono immediatamente presi di mira da armi come gli HIMAR, i droni che si aggirano, l’artiglieria a guida GPS, ecc.

Molti hanno usato questo ragionamento per razionalizzare i presunti “fallimenti” della Russia in luoghi come il fronte di Kherson, anche se si tratta di un’affermazione fallace: il ritiro a Kherson aveva tutto a che fare con l’imminente minaccia di un’inondazione catastrofica del fiume a causa della potenziale distruzione della diga di Nova Khakovka, non con l’incapacità delle forze russe di farvi fronte. In effetti, diversi account di alto profilo dell’AFU hanno scritto lunghi e “eruditi” thread su Twitter per sottolineare quanto la Russia si sia adattata alla minaccia degli HIMAR sui suoi depositi di retrovia nella regione di Kherson, distribuendo le concentrazioni di munizioni. Ma naturalmente è più facile adattarsi quando ci si limita a difendere, mentre l’argomento di questa discussione è l’attacco: forze di manovra che sferrano un’avanzata in un ambiente moderno, “nudo” e pesante dal punto di vista dei segnali.

La totalità dell’infrastruttura della NATO e dei “Cinque Occhi” viene utilizzata 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come una sorta di vasto servizio di cloud-end e di mega-ciclo di elaborazione/computazione per le forze di prima linea dell’Ucraina. Centinaia di satelliti, tra cui decine di satelliti di imaging con risoluzione di 5 cm/pixel, scrutano ogni centimetro quadro del territorio russo, alla ricerca di obiettivi nascosti e perseguibili. I dati vengono poi elaborati e collazionati da migliaia di analisti a tempo pieno di NATO/Five Eyes che lavorano in centri di distribuzione in tutto il mondo, per poi essere trasmessi direttamente agli equipaggi ucraini tramite Starlink e altri collegamenti dati, che l’Ucraina può poi a sua volta distribuire attraverso l’innovativo sistema integrato “Nettle” per fornire questi obiettivi a una serie di artiglierie di settore e altri sistemi.

Ne abbiamo avuto un assaggio mesi fa, quando sono trapelati documenti che dimostravano l’esatto flusso di lavoro con cui questa sovrastruttura NATO/Cinque Occhi identifica e trasmette le posizioni di ogni unità russa immaginabile, fino alla dettaglio più minuto. Sono stati mostrati i documenti redatti dall’esercito di analisti che hanno esaminato i filmati satellitari, con elenchi infiniti di obiettivi russi di alto valore, catalogati, categorizzati e così via, con le loro coordinate esatte e le foto di riferimento associate.

Senza contare la flotta di AWACS che raccolgono dati radar 24 ore su 24 dallo spazio aereo polacco e rumeno, gli RQ-4 Global Hawk con i loro radar SAR che fotografano quotidianamente la Crimea dal Mar Nero, i radar OTH a onde corte che probabilmente rilevano i voli dell’aviazione russa a migliaia di chilometri di distanza e altro ancora. In effetti, è stato persino suggerito che le forze statunitensi utilizzino i dati dei sensori sismici per tracciare i movimenti delle grandi forze russe. Gli stessi sovietici usavano abilmente questa tattica contro i mujahidin in Afghanistan.

 

 

Questo servizio della CNN mostrava anche che il personale della NATO ammetteva che i dati sui bersagli dei loro AWACS vengono trasmessi immediatamente all’AFU: https://www.bitchute.com/video/hhUUBaCbuFCm/

E qui si può vedere una console ucraina che riceve in tempo reale i dati sulla posizione di un caccia russo tramite il collegamento dati Nettle, probabilmente da una qualche forma di intelligence NATO/Occidentale.

Abbiamo visto che a Kherson e in molti altri luoghi, ogni volta che l’AFU lanciava un’ampia offensiva con grandi e visibili colonne meccanizzate, veniva immediatamente individuata, tracciata e decimata a lungo raggio. Ma recentemente, a Ugledar, è emerso che i Marines russi non se la sono cavata meglio in circostanze simili.

 

Anche le loro colonne meccanizzate non potevano attraversare quella temuta terra di nessuno dei campi agricoli ghiacciati prima di venire identificati. Certo, sembra che le mine abbiano giocato il ruolo più importante, come hanno sottolineato alcuni intrepidi lettori. Tuttavia, devo controbattere che l’unica ragione per cui i Marines russi sono incappati nelle mine, tanto per cominciare, è che avevano l’ordine di fare una corsa folle attraverso i campi, dalla copertura alla   posizione successiva nella sezione delle dacie di Ugledar inferiore, proprio perché indugiare e prendersi il tempo necessario per attraversare in sicurezza i campi minati li avrebbe esposti all’ISR nemico e ai rischi immediati dall’aria sotto forma di attacchi corretti da droni, ecc. Se non fosse stato per l’onnipresente minaccia di osservazione, avrebbero potuto procedere pian piano con un cacciamine, o richiamare un UR-77, che lavora lentamente, per sgombrare le mine.

 

Per approfondire brevemente il modo in cui si dovrebbe teoricamente affrontare tali minacce e perché nella pratica non funziona bene come in teoria, esaminiamo innanzitutto come, per contrastare l’artiglieria, sia necessario disporre di sistemi drone-ISR e, preferibilmente, di radar di controbatteria in grado di localizzare il vettore e la distanza del colpo nemico per poter rispondere.

Ma come si vede in questo video di Patrick Lancaster, un soldato russo ha dato una risposta franca nel descrivere la complessità, la difficoltà e l’irregolarità di affrontare questi problemi. Egli afferma che hanno utilizzato il più potente radar russo di controbatteria “Zoopark”, ma ironicamente, il sistema è così potente da diventare un bersaglio immediato per le fonti anti-radiazioni che possono puntarlo, come un missile IR su una fiamma ardente.

Quindi hanno spostato il sistema molto più dietro le linee, ma la disciplina dell’artiglieria dell’AFU è tale che riescono ancora ad allontanare i loro cannoni dal pericolo nel momento in cui si può usare il sistema per localizzarli e rispondere. Ora, per essere chiari: questa non è una caratterizzazione generalizzata di come funzionano tutti questi scenari/sistemi. Abbiamo un’abbondanza di prove di come gli stessi Zoopark russi (e altri) abbiano funzionato in modo fantastico per annientare le posizioni dell’AFU con il fuoco di controbatteria. Ma è solo un’illustrazione della difficoltà e dell’imprevedibilità di queste cose. Se si trova un equipaggio nemico veramente bravo, con una forte disciplina, può annullare questi sistemi.

Questo spiega in gran parte il tipo di guerra a piccole unità, che lascia perplessi, e a cui abbiamo assistito sinora. Gli stessi Wagner hanno descritto le loro tattiche di maggior successo a Bakhmut: consistono in piccoli gruppi di uomini, al massimo 8, che operano in modo indipendente e si lanciano in avanti per avvicinarsi intenzionalmente a 50-150 metri dalle posizioni dell’AFU, in modo da impedire all’artiglieria sita nelle retrovie del nemico di sparare, per paura di colpire i propri uomini. Lo chiamano “cavalcare le spalle del nemico“. Ma il dettaglio chiave è l’accurato rispetto della regola di rimanere separati in piccole squadre di fuoco isolate.

 

Questo spiega in parte la decisione della Russia di affidarsi a BTG più piccoli e distanti l’uno dall’altro, in questo conflitto.  E perché in tanti video, apparentemente sconcertanti, vediamo gruppi d’assalto così piccoli o carri armati solitari operare così spesso in prima linea. Nell’odierno campo di battaglia altamente incentrato sulla rete, integrato, con un sovraccarico di segnali e osservazioni, è semplicemente un quasi-suicidio raggrupparsi in grandi concentrazioni.

 

II.

Quindi la grande domanda è: come può la Russia spingersi in avanti, sfondare le linee nemiche e conquistare in massa con successo un territorio, in queste condizioni? Ha ragione Strelkov, e la Russia è condannata a una guerra di posizione con attacchi incrementali?

Si tratta di un argomento molto vasto, poiché le “soluzioni” possibili a questo dilemma sono molteplici. Approfondiamo quelle già utilizzate in modo efficace e quelle che probabilmente verranno utilizzate nelle prossime escalation.

1.   Atmosfere e schermi di fumo

 

 In primo luogo, per eliminare le tattiche più semplici, ricordiamo alcuni limiti principali di tutti questi onnipresenti sistemi ISR. Il primo è rappresentato dalle condizioni ambientali/atmosferiche. In breve: i droni e i satelliti odiano le nuvole e, anche con l’avvento del “telerilevamento” e dei satelliti SAR, non sono in grado di penetrare gli strati nuvolosi così bene come sostengono i venditori del MIC, almeno non fino al dettaglio che consenta di vedere le singole unità e i gruppi di combattimento.

Il fatto è che quando c’è una forte copertura nuvolosa e/o la nebbia, i droni possono diventare del tutto inutili, e lo stesso vale per i satelliti. Se si fosse veramente all’altezza del compito, si potrebbero usare serie capacità di modifica del tempo atmosferico, come la semina delle nuvole, per creare condizioni di perenne copertura e accecare il nemico. Sfortunatamente, accecherebbe anche voi.

 

Di recente sono stati riportati diversi casi di offensive russe (sia a Kremennaya che a Ugledar) che si sono fermate a causa di una forte copertura nuvolosa che ha ridotto notevolmente la loro CAS e annullato la loro superiorità aerea. Ma, al contrario, ci sono state altre volte in cui l’hanno considerata un vantaggio su alcuni fronti, e hanno spinto appositamente quando c’era una copertura nuvolosa e i droni dell’AFU erano accecati.

Il compromesso meno drastico può essere l’uso di una varietà di sistemi di generazione di fumo per nascondere i propri movimenti, di cui la Russia stessa non solo dispone, ma ha persino usato una versione minore proprio nel teatro di cui abbiamo parlato sopra, quando i Marines pompavano fumo dai loro BMP-3 per avanzare.

 

Anche gli aerei possono rilasciare enormi cortine fumogene.

 

Naturalmente si tratta solo di una misura temporanea e su piccola scala contro l’ISR più localizzato, ma valeva la pena menzionarla per toglierla di mezzo.

2.   Satelliti e kesslerizzazione?

Il metodo più efficacemente pratico per sconfiggere la forma più potente di capacità di osservazione dell’Ucraina sarebbe semplicemente quello di abbattere i satelliti. La Russia ha minacciato di farlo già diversi mesi fa.

Tuttavia, gli Stati Uniti hanno risposto che avrebbero reagito in modo analogo. Tuttavia, la Russia ha nominato specificamente il gruppo di satelliti commerciali come Maxar, piuttosto che i satelliti militari statunitensi. Oggi, la Russia ha addirittura ripetuto la minaccia dopo che la NATO ha annunciato un nuovo programma per incrementare radicalmente la cooperazione di ricognizione spaziale in una nuova flotta di costellazioni satellitari militari/civili altamente centralizzate e coordinate, finalizzate al dominio totale del dominio C4ISR.

Ma la Russia potrebbe/dovrebbe davvero abbattere i satelliti? Sappiamo che potrebbe farlo, se lo volesse: L’anno scorso l’hanno dimostrata come dimostrazione di forza e, se guardate fino alla fine del video collegato, i generali statunitensi erano piuttosto preoccupati.

Alcuni si sono chiesti: perché la Russia non blocca questi satelliti con i tanto decantati e nuovi sistemi Murmansk e Zhitel (tra gli altri) di cui si vanta tanto? Il problema è che questi sistemi disturbano segnali come radar, GPS, ecc. Ma i principali tipi di satelliti che sono la vera spina nel fianco della Russia sono i satelliti elettro-ottici, cioè “fotografici”. Come si può bloccare un satellite simile a un telescopio, dotato di una potente fotocamera con zoom, che sta fotografando le vostre strutture e i movimenti delle truppe? Non si può “bloccare” l’obiettivo di una fotocamera.

 

L’unica contromisura possibile è accecarli con un laser. Da tempo si susseguono rapporti che affermano che la Russia ha già accecato i satelliti statunitensi, che minaccia di farlo e lo sta testando, che sta costruendo le capacità per farlo.

 

Se è vero che Putin ha annunciato trionfalmente il nuovo laser russo “Peresvet” l’anno scorso, la maggior parte dei laser di questo tipo – compresi quelli testati dalla marina statunitense – hanno una portata piuttosto breve, di pochi chilometri al massimo.

I satelliti, ovviamente, viaggiano a centinaia o addirittura migliaia di chilometri di altezza. Tuttavia, alcuni rapporti hanno affermato che il Peresvet può accecare satelliti a 1500 km di distanza.

Inoltre, secondo quanto riportato all’inizio dello scorso anno, la Russia avrebbe addirittura messo in campo un nuovo tipo di laser chiamato “Zadira”, che sarebbe ancora più potente del Peresvet, e lo starebbe già utilizzando e/o testando in Ucraina.

Gli scettici dovrebbero ricordare che non solo la Russia ha sostanzialmente inventato il laser e il maser, lo scienziato russo Nikolai Basov ha persino ricevuto il Premio Nobel per questo, ma la Russia ha avuto un carro armato laser fin dai primi anni ’80: https://en.wikipedia.org/wiki/1K17_Szhatie

E i sovietici avevano un laser chiamato Terra-3 che si dice abbia mandato in tilt la navetta spaziale Challenger. Secondo wiki:

Voci sull’attacco dello shuttle

Terra-3 è oggetto di un’affermazione diffusa secondo cui il laser a infrarossi sarebbe stato utilizzato per colpire lo Space Shuttle Challenger durante la sua sesta missione orbitale del 10 ottobre 1984 (STS-41- G). Secondo quanto riferito da Steven Zaloga, lo Shuttle è stato brevemente illuminato e ha causato “malfunzionamenti sulla navetta spaziale e angoscia per i passeggeri” e l’equipaggio”, inducendo gli Stati Uniti a presentare una protesta diplomatica sull’incidente.[6] Questa rivendicazione sembra essere partita da ex funzionari sovietici, in particolare da Boris Kononenko.[7] I membri dell’equipaggio e “membri esperti della comunità dei servizi segreti statunitensi” hanno negato che  la navetta sia stata illuminata da Terra-3.[8]

 

I laser russi possono davvero accecare i satelliti? Nessuno lo sa con certezza, anche se è probabile che possano farlo. Tuttavia, i più avanzati satelliti americani Keyhole optoelettrici hanno probabilmente delle contromisure contro questo fenomeno, ossia semplici pannelli telecomandati che si chiudono sopra l’obiettivo per evitare che il sensore si frigga. Il laser a quella distanza probabilmente non ha la potenza necessaria per bruciare l’intero satellite, ma piuttosto per friggere il delicato sensore CMOS di imaging dietro l’obiettivo.

Inoltre, è probabile che sia molto più difficile farlo di quanto sembri. In primo luogo, per fare danni, la maggior parte dei sistemi d’arma laser deve mantenere il laser puntato sul bersaglio per un certo periodo di tempo. Nei test a corto raggio, 5-10 secondi di solito “bruciano” il bersaglio. Tuttavia, per danneggiare un sensore a 300-500 km di distanza (l’orbita della maggior parte dei satelliti Keyhole), il laser dovrebbe probabilmente “seguire” con precisione il satellite attraverso l’intero cielo. Ma i satelliti si muovono molto velocemente e il laser dovrebbe praticamente infilare un ago mantenendo il raggio sul sensore mentre il satellite vola nel cielo. Ciò richiederebbe capacità di tracciamento digitale, automazione e sistemi di controllo del fuoco molto maggiori di quanto la maggior parte delle persone pensi.

Certo, i telescopi commerciali e professionali sono in grado di seguire le stelle attraverso il cielo che si muove lentamente, e presumibilmente è possibile utilizzare una tecnologia simile, ma vale la pena ricordare quanto sia tecnicamente difficile.

In secondo luogo, gli Stati Uniti e i loro “partner” dispongono di molti satelliti di imaging di questo tipo, mentre  la Russia ha, probabilmente, una quantità molto bassa di questi prototipi di sistemi laser. Sarebbe molto difficile accecare tutti i satelliti tempestivamente. Detto questo, non lo sappiamo con certezza: la Russia  potrebbe averne molti di più di quanto pensiamo, e potrebbe sempre accecarne uno o due come avvertimento, forzando lo spegnimento degli altri.

Il metodo più fidato e affidabile alla fine è il buon vecchio missile Nudol.

I lettori più intrepidi diranno che gli Stati Uniti affermano che “risponderebbero” se la Russia eliminasse i loro satelliti. Ma c’è un’angolazione molto interessante di questo scenario che pochi hanno previsto.

Certo, gli Stati Uniti possono reagire ed eliminare i satelliti russi dopo che la Russia ha eliminato tutti quelli statunitensi. Ma così, indovinate chi rimane l’unico egemone spaziale e potenza satellitare dominante nel mondo?

 

 

Proprio così. Questo ragazzo – che diventerà non solo il più felice, ma il più dominante giocatore nello spazio con un improvviso e massiccio vantaggio strategico storico sull’avversario americano. La Russia e gli Stati Uniti verrebbero entrambi rispediti all’età della pietra, dal punto di vista satellitare, mentre la Cina godrebbe ora di un’egemonia spaziale virtuale e de facto. Pensate che gli Stati Uniti vogliano rischiare un’opzione così impensabile? Non è molto probabile.

In breve, gli Stati Uniti spingono la Russia a una guerra satellitare come un tizio con una Bugatti che minaccia di speronare la Toyota Tercel del ’92 di qualcuno in un incidente stradale. Hanno molto più da perdere. Non è per denigrare le capacità spaziali della Russia, ma piuttosto per sottolineare che gli Stati Uniti saranno i veri perdenti, in questo caso. Il tizio della Toyota può ottenere un paraurti nuovo per 125 dollari, mentre l’altro avrà più di 100.000 dollari di danni.

Per questo motivo credo che gli Stati Uniti non vogliano che la Russia alzi la posta e dare alla Russia un motivo per iniziare ad abbattere i satelliti.

3.   Guerra asimmetrica, ibrida e assalto leggero

Il metodo successivo per minimizzare il dominio delle moderne capacità 4GW/5GW di un nemico è quello di utilizzare molte tattiche di guerra asimmetrica. Per semplice necessità, l’AFU lo ha già fatto.

Anche la Russia lo ha fatto, ma l’Ucraina si è spinta più avanti e più velocemente in alcune aree, in termini di aggiramento asimmetrico del dominio del segnale sul campo di battaglia.

Cose come la stampa in 3D di proiettili per droni, maskirovka di ogni tipo (finte, oggetti di scena come spaventapasseri e carri armati esplosivi per ingannare la ricognizione), uso di forze non convenzionali/ibride – l’abbandono di grandi e lenti raggruppamenti di mezzi corazzati e utilizzo invece di “tecniche ISIS” in stile insurrezionale per scambiare la sicurezza contro spazio e tempo).

L’assalto a Kharkov ne è stato un esempio in qualche modo riuscito (dico in qualche modo perché, pur avendo raggiunto gli obiettivi, hanno subito pesanti perdite, il che ne mette in luce i lati negativi). L’AFU scelse una strategia di sicurezza estrema che si basava sul sorprendere e sovraccaricare i cicli OODA delle ricognizioni, attraversando grandi porzioni di territorio molto rapidamente con veicoli leggeri e in rapido movimento, creando panico di massa, reazioni eccessive e disorientamento nella parte ricevente.

Naturalmente, questo non funziona ovunque. A Kharkov si faceva affidamento su aree fortemente boscose dove la copertura poteva nascondere i movimenti. Per non parlare del vantaggio numerico di 5:1 o 8:1 (secondo alcune fonti) su quella che era di fatto una guarnigione di volontari alleati; ma è un esempio in un luogo e in un tempo.

Anche la Russia ha utilizzato l'”assalto leggero” con una guerra ibrida (attivazione dei partigiani in concomitanza con l’assalto di Kherson, ecc.) in modo abbastanza efficace all’inizio, ma con gli stessi svantaggi, in quanto ci sono state molte più perdite del solito. E in futuro, questa non è la strategia di scelta più forte.

4.   Stressare il nemico fino al punto di rottura

È qui che iniziamo a entrare nel vivo del metodo che la Russia probabilmente impiegherà. Una strategia correlata  che possono usare operativamente su scala molto più grande, e che credo potremmo vedere molto presto nella prossima offensiva, è l’allungamento intenzionale del fronte fino al punto di rottura, sfruttando le debolezze dell’AFU in termini di uomini e qualità delle truppe. Ma soprattutto, a proposito dell’argomento  attuale, metterebbe a dura prova la logistica del server-farm C4ISR della NATO.

Se la Russia apre più fronti nuovi e ampi, aumenta esponenzialmente le ore di lavoro, la potenza di elaborazione, ecc. necessarie per tenere traccia di tutto e trasmetterlo all’AFU. I suddetti, vasti cicli computazionali del backend della NATO verrebbero messi a dura prova per tenere traccia di tali ampie distribuzioni di forze e possibilità. Inoltre, i sistemi guidati ucraini, come gli HIMAR, che sono relativamente pochi, si allungherebbero e si disperderebbero, vanificando ulteriormente il vantaggio dell’ISR, poiché i dati sui bersagli della NATO sono inutili se i sistemi a cui li inviano non sono posizionati in modo efficace, o sono diluiti in tutto il Paese.

Per chiarezza, immaginiamo che la maggior parte della guerra si svolga su un fronte vicino. L’AFU può concentrare lì tutti i suoi sistemi di precisione come gli HIMAR, gli M270, ecc. e usarli per concentrare il fuoco su un’area relativamente più piccola, dove la sorveglianza della NATO può anche tenere traccia in modo molto più efficace ed efficiente delle aree posteriori russe, del C3, dei rifornimenti, della logistica, ecc.

Ma se distribuita su più fronti ampi, l’Ucraina non avrebbe altra scelta che diluire le sue unità di precisione più potenti, distanziandole di centinaia/migliaia di chilometri. Detto questo, l’estremo rischio di questa situazione, come abbiamo discusso nella Parte 2, sarebbe l’utilizzo da parte della Russia di fronti TROPPO ampi e distanti tra loro, superando così un punto di diminuzione dei benefici. Ma questo vale solo per gli estremi lontani, come un fronte nell’Ucraina occidentale, nella provincia di Volyn. Anche se ora ci sono stati alcuni lievi indizi – anche se potrebbe trattarsi delle solite finte maskirovka – che la Russia potrebbe ancora scegliere il temuto primo vettore del mio rapporto della seconda parte. Non solo sono stati avvistati droni russi che hanno misteriosamente ronzato nella regione di Zhytomir (a ovest di Kiev) in Ucraina per la prima volta dall’inizio dell’SMO, ma c’è stata una “strana attività” nell’estremo ovest della Bielorussia, con testimonianze di “truppe Wagner” (o truppe che “assomigliavano a Wagner”) a Baranovichi, in Bielorussia, vicino al confine polacco/ucraino/bielorusso. Ciò ha costretto l’Ucraina a dislocare 20.000 uomini in quella zona in preparazione di un possibile assalto russo da quel vettore, secondo quanto riportato dall’autorevole canale ucraino “Resident”:

Il canale TG ucraino “Resident” condivide un insider: Lo Stato Maggiore sta concentrando 20.000 truppe delle Forze Armate dell’Ucraina a Zhytomyr per respingere un eventuale attacco russo dalla Bielorussia.

Zhytomyr sarebbe in linea con l'”Asse di MacGregor” delle nostre previsioni della precedente Parte 2. Un asse di questo tipo potrebbe benissimo realizzare ciò che abbiamo menzionato in precedenza: l’allungamento e la tensione delle capacità di intelligence/ricognizione della NATO e dell’Ucraina, che darebbe alle grandi forze russe più spazio per avanzare in queste condizioni dominate dal digitale. In breve, divide le risorse nemiche in questi domini, mette a dura prova le capacità di intelligence e di ricostruzione dell’Ucraina e della NATO, risorse satellitari (e altre risorse SIGINT, ELINT, ecc.), richiedendo ai satelliti di orbitare in orbite più ampie, imprevedibili e meno coordinate, il che degrada e aumenta i tempi di reazione e i cicli OODA della NATO stessa.

5.   EW Forza bruta

È anche possibile forzare e sopraffare l’infrastruttura elettronica del nemico con l’impiego su larga scala di potenti sistemi EW. Ma un problema che molti trascurano è che i potenti disturbatori disturbano anche i vostri stessi dispositivi.

In particolare nell’ambito della guerra con i droni. Se avete uno dei campi di battaglia standard che vediamo spesso, campi ampi e distesi con una terra di nessuno al centro, droni da entrambe le parti che vi si librano sopra e correggono il fuoco dell’artiglieria – e posizionate un potente sistema Krasukha dietro la vostra artiglieria e iniziate a inondare i cieli sopra quel campo con un segnale di disturbo, manderete in tilt i vostri droni e quelli dei nemici.

Sistema di disturbo automatico (R-330Zh, Zhitel) &SATCOMjamm (Tirada-2)      9    om     e co tatto 1ne

 

Questo è già stato menzionato più volte nelle interviste con i soldati russi, che lamentano il fastidio di non poter usare i loro cannoni anti-drone o i sistemi EW in alcune circostanze, poiché interferiscono anche con i loro droni.

Ora, se aveste i vostri droni nativi con bande segrete personalizzate che i vostri ingegneri militari hanno progettato per essere specificamente immuni alle bande di disturbo, potrebbe essere una storia diversa. Ma sfortunatamente, questo è il problema di entrambe le parti che si affidano agli stessi prodotti cinesi DJI, piuttosto che costruire dispositivi indigeni.

Detto questo, l’effetto reale che l’EW russo sta avendo su questa guerra è molto sottovalutato e sottostimato. A causa della suprema OPSEC della Russia e della grande quantità di filmati di droni che vediamo, la maggior parte presume che la tecnologia russa sia inattiva o “sottotono”. Ma in realtà, se si presta attenzione ai rapporti e alle interviste con la stessa attenzione con cui lo faccio io, ci si accorge che le forze ucraine si lamentano costantemente del dominio EW che prevale contro di loro. Diamine, il nostro ultimo rapporto riguardava proprio questo fatto. E ci sono state molte segnalazioni di interi fronti oscurati dall’EW russa:

Tuttavia, il Financial Times ha riferito che un alto funzionario governativo ucraino ha dichiarato che le interruzioni di Starlink hanno creato una “catastrofica” perdita di comunicazioni in prima linea nella guerra in Ucraina. Un funzionario anonimo ha dichiarato al giornale che tali interruzioni si sono verificate mentre le forze armate avanzavano nelle aree occupate dai russi.

I soldati hanno anche detto al giornale che i sistemi di comunicazione hanno smesso di funzionare a metà strada.

e che alcune tecnologie Starlink non hanno funzionato nelle aree recentemente sottratte ai russi.

In un’intervista rilasciata venerdì a Newsweek, V.S. Subrahmanian, professore di informatica presso la Northwestern University, ha dichiarato che la Russia “ha praticamente messo fuori uso tutte le comunicazioni militari dell’Ucraina” all’inizio della guerra,         ed è solo quando è stata

introdotta la tecnologia Starlink che “le comunicazioni sono tornate ad essere abbastanza affidabili”.

 

FORBES ) BUSINESS ) AEROSPAZIO E DIFESA

David Axe Personale di Forbes

Scrivo di navi, aerei, carri armati, droni, missili e satelliti.

24 dicembre

2022-

 

181

 

Es-

.05:52

Ma c’è anche molto di più. Una gran parte, e oserei dire la maggioranza, dei video di droni dell’AFU che vediamo sono contro DPR/LPR o forze volontarie. Contro le brigate russe vere e proprie, i loro droni sono quasi completamente annullati, a parte l’unico punto di debolezza quando le unità russe avanzano e per caso superano la loro copertura EW.

6.   Perfezionamento della combinazione ricognizione-colpo

L’altro metodo più diretto e logico è ironicamente il più sistematico e difficile: un modo per sconfiggere il nemico in condizioni moderne è semplicemente quello di essere molto meglio addestrati, più efficienti e, in generale, di avere forze armate più disciplinate, più severe, più veloci e più precise.

In particolare, questo si riferisce a cose come il già citato ciclo OODA, che è compreso nella famosa dottrina concettuale russa del Reconnaissance Strike Complex (RSC) e del Reconnaissance Fire Complex (RFC). In sostanza, queste dottrine hanno a che fare con l’affinamento del processo e del “flusso di lavoro” per integrare e semplificare i vari sistemi e le procedure addestrabili coinvolte nell’acquisizione di un bersaglio e nel trasmettere efficacemente i dati agli equipaggi dei cannoni in tempi brevi. La Russia ha dichiarato di aver ridotto le sue capacità di RSC a 10 secondi, fino a 2-3 minuti per alcuni sistemi.

Pertanto, quanto più si riesce a imporre sistematicamente uno standard elevato in tutte le formazioni e quanto più queste possono operare in modo serrato, riducendo i tempi di reazione in questo tipo di cicli decisionali, tanto più è possibile superare i cicli del nemico e quindi annullare gran parte delle sue capacità multidominio 5GW / C4ISR.

Questo può sembrare un’insalata di parole tecnologiche, ma per semplificare: se la NATO dispone di tutte queste potenti capacità di ricognizione satellitare e di ELINT, esse possono essere in parte annullate se il migliore addestramento della Russia consente loro di prendere decisioni più rapide sull’acquisizione di un obiettivo e sul suo aggancio. Se la NATO avverte l’AFU, ad esempio, che una grande forza russa (o un contingente di aerei) si sta muovendo in un particolare settore, questo “elemento sorpresa” può essere in parte annullato se i circuiti RSC/OODA della Russia sono così ben perfezionati da superare le capacità dell’AFU di trasmettere le informazioni necessarie a livello tattico, anche a dispetto della conoscenza generale dell’avanzata russa da parte della forza ucraina. In sostanza, se sapete che un nemico è dall’altra parte del campo perché ve lo dice qualcuno con un satellite, ma i circuiti di ricognizione del nemico sono molto più veloci dei vostri, allora avrà poca importanza, perché vi batterà comunque sul tempo.

Ma, come accennato all’inizio, questa è l’opzione di gran lunga più difficile, perché si basa su una mentalità “senza scorciatoie”, di duro lavoro e olio di gomito, che consiste semplicemente nel perfezionare l’insieme delle forze armate a un livello di capacità estremamente elevato, piuttosto che affidarsi a “espedienti” come gli attacchi a sorpresa o le maskirovka per confondere la percezione del campo di battaglia del nemico.

 

Ma per farlo è necessario uno sforzo parallelo di modernizzazione delle forze armate, in modo che le strutture e le infrastrutture tecnologiche siano in grado di sostenere efficacemente l’aumento del carico di questi standard. Un modo in cui la Russia lo ha fatto negli ultimi anni è stato quello di introdurre costantemente sistemi “network-centrici” per integrare digitalmente i propri campi di battaglia in modo tale che l’interoperabilità dei sistemi e delle unità possa consentire di disperdere i dati di puntamento in modo tempestivo e razionale. La Russia ha iniziato a utilizzare sistemi come il sistema di gestione del campo di battaglia Strelets-M (Sagittarius-M) e Andromeda-D (parte del programma Ratnik) che, in parole povere, fornisce ai soldati una console con una mappa digitale, consentendo loro di inserire le posizioni del nemico con il semplice tocco di un dito e di inviare istantaneamente tali posizioni a una serie di unità di fuoco per ingaggiare il nemico.

Come il sistema Link-16 degli Stati Uniti, questo sistema consente a un soldato di terra russo di trasmettere i dati di puntamento anche a un bombardiere di prima linea come il Su-34, se è dotato di un sistema corrispondente. Solo alcune settimane fa, abbiamo avuto una delle prime immagini di un ufficiale di un’unità di artiglieria russa che utilizzava una console di questo tipo: https://www.bitchute.com/video/WII88BHXBghz/ .

 

Il sistema è già stato impiegato con successo in Siria, dove i soldati russi hanno fornito dati di puntamento ai bombardieri Su- 24M, con una precisione dichiarata del “100%“.

Quindi, in ultima analisi, la domanda è: la Russia ha un vantaggio che può annullare le capacità della NATO? Abbiamo sentito alcuni resoconti (per lo più da figure militarmente collaterali come i soldati della DPR, filtrati da pessimisti cosmici come Strelkov) e lamentele su alcune gravi carenze nei circuiti OODA della Russia quando si tratta di individuare i bersagli dell’artiglieria.

Una di queste denunce descriveva come un’unità AFU stesse guadando un fiume e trasmettesse i dati del bersaglio all’artiglieria russa da qualche parte nelle retrovie. Ma il processo decisionale doveva passare attraverso così tante catene di comando e autorizzazioni che, quando i proiettili iniziarono a volare, le unità AFU erano già lontane.

Ma è sempre facile selezionare i piccoli incidenti che concordano con la propria narrazione. Ci possono essere problemi localizzati in alcune unità, come in ogni grande forza combattente. Ma non ci sono prove che suggeriscano che il problema sia endemico per tutte le unità di combattimento. Il fatto è che non si uccide un avversario che è quasi il proprio pari con un rapporto perdite senza precedenti di 10:1, causandogli centinaia di migliaia di caduti, se le catene di comando per la decisione di attaccare sono così inservibili.

La verità è che i militari occidentali non sono forze di artiglieria. L’Ucraina è stata elogiata perché combina il meglio delle capacità dell’Occidente, compresi i suoi sistemi più moderni, avanzati e capaci (PhZ2000, Krabs, Arcieri, Dana, Cesari, M109, M777, Zuzana, ecc.) e munizioni intelligenti, con le superiori dottrine sovietiche di artiglieria per creare un’alchimia di forze dal potenziale di combattimento senza precedenti. E con “senza precedenti” intendo letteralmente migliore dell’esercito americano. Non credetemi sulla parola, leggete questo famoso thread su Twitter dell’ex esperto del Dipartimento della Difesa Trent Telenko, che esulta per l’impareggiabile e rivoluzionaria sintesi di rete/integrazione dell’AFU, che rende la sua forza di artiglieria di gran lunga superiore persino a quella dell’esercito statunitense. Ecco un estratto:

“Si tratta di un vero e proprio ambiente software distribuito che ha ridotto la richiesta di fuoco alla pressione del grilletto da 20 minuti a 30 secondi. A titolo di paragone, l’Esercito degli Stati Uniti ha effettuato la richiesta di fuoco in 5 minuti nella Seconda Guerra Mondiale, in 15 minuti in Vietnam e in un’ora attualmente. No, non è un errore di battitura. L’aumento del tempo dell’esercito americano “dalla chiamata alla pressione del grilletto” ha a che fare con il tentativo di prevenire il fuoco amico e con l’inclusione di ufficiali JAG [Avvocatura Militare USA] nei centri di controllo del fuoco dell’artiglieria di divisione, che controllano le regole di ingaggio e i danni collaterali delle chiamate al fuoco. Nel 2006, quando alla task force delle forze speciali dell’esercito americano a caccia di obiettivi di alto valore è stato dato accesso diretto a una batteria MLRS con razzi GMLRS – senza una catena di comando avvelenata da ufficiali JAG – si è riusciti a riportarla ai  livelli di 15 minuti del Vietnam o dell’ Iraq, grazie al Blue Force Tracker. Questo non è durato a lungo con l’amministrazione Obama, grazie agli obiettivi di alto valore dei Talebani che usavano i propri figli come scudi umani, seguiti dalle foto dei bambini morti sui cellulari. Poi tutto è tornato al gioco degli ufficiali JAG e le Forze speciali hanno iniziato a comprare droni kamikaze.

Molti esperti militari americani si sono poi trovati d’accordo con l’innovativa esposizione di Trent sui sistemi GIS Art e “Nettle” dell’Ucraina. (Per saperne di più: https://themoloch.com/conflict/uber-for- artillery- what-is-ukraines-gis-arta-system).

Quindi, qual è il punto? Che questa capacità impareggiabile nelle mani di una forza ucraina che non solo possiede i più grandi e moderni obici d’artiglieria, le munizioni più precise e con la migliore gittata, ma anche la più potente forza combinata di tutti gli ISR e le ricognizioni satellitari della NATO/FiveEyes questa storica forza della natura – si sta facendo bagnare il naso dalle forze d’artiglieria russe. Certo, anche l’AFU riesce magistralmente a dare i suoi colpi qua e là. Ma nel complesso, le forze di artiglieria russe, utilizzando le rivoluzionarie capacità di ricognizione e di fuoco della Russia stessa, stanno facendo piazza pulita degli ucraini nella guerra di artiglieria.

Certo, i detrattori diranno che è perché la Russia ha molte più munizioni da spendere, ma se quei nuovi sistemi occidentali e le capacità di GIS Art erano così grandi, la precisione e il tempo di uccisione non avrebbero dovuto superare il vantaggio delle munizioni russe?

Inoltre, è stato confermato che le forze russe stanno utilizzando una serie di sistemi equivalenti, come ad esempio il computer integrato di controllo dell’artiglieria ASUNO, che interagisce con il sistema Planshet-M-IR

per consentire ai droni e a molti altri sistemi di inviare in rete i dati di puntamento direttamente ai cannoni di artiglieria, consentendo di ridurre a pochi secondi il tempo necessario per raggiungere il bersaglio.

L’ASUNO può anche, in modo automatizzato, controllare intere batterie di unità di artiglieria multiple, guidandole verso il bersaglio in modo rapido. Alcuni video hanno già mostrato l’utilizzo del sistema da parte delle forze di artiglieria russe in prima linea.

In definitiva, l’RCS/RFC russo ha dimostrato il suo valore devastando l’esercito dell’AFU in modo così grave da indurlo a ordinare un intero secondo esercito dall‘UE.

7.   Economie di scala

Finora, per molti versi, la Russia ha impiegato il metodo dell’atomizzazione e dell’ambiguità con grande successo, semplicemente per necessità. Aveva già una forza straordinariamente piccola che non aveva altra scelta se non quella di operare come un “fantasma”, apparendo in molti luoghi contemporaneamente e utilizzando le regole di Sun Tzu per sembrare molto più grande e onnipresente di quanto fosse in realtà.

Questo, a sua volta, ha giocato in qualche modo a loro favore, perché il fatto di avere una forza già piccola ha praticamente precluso loro la possibilità di “concentrarsi” in un modo che avrebbe favorito gli snoopers della NATO, che fanno leva sull’ISR.

Ma ora, con la forza prevista di 300-500k (o più) nuovi mobiks [mobilitati] che entrano in mischia, non ci sarà altra scelta se non quella di muoversi in formazioni grandi e appetitose che presentano “ambienti ricchi di bersagli” per l’occhio onniveggente della NATO. Ed è qui che il metodo di disseminazione delle forze può funzionare. Estendendo le forze su nuovi fronti molto ampi, si possono mettere a dura prova le capacità della NATO.

Inoltre, c’è qualcosa da dire sul concetto di “economie di scala”. Cioè, c’è un certo beneficio che si ottiene scalando le proprie forze, dove certe ridondanze e parallelizzazioni di sistemi iniziano a lavorare in tandem in modo tale da diventare “più della somma delle loro parti”, conferendo ulteriori benefici.

Un esempio: finora la potenza aerea russa è stata definita da molti “anemica”, e molti non si rendono conto che ciò è dovuto all’esiguo numero di forze che la Russia ha effettivamente impegnato nel conflitto. Questo ha effetti reciproci sulla funzione dell’insieme delle forze di prima linea in un determinato teatro. Pensate a una battaglia come a una sorta di ecosistema: avete visto i famosi video in cui i lupi vengono introdotti in una riserva naturale, provocando una reazione a catena di eventi: il lupo mangia i cervi, che mangiano l’erba, che sottrae acqua al ruscello, soffocando la riproduzione dei pesci. Quindi, introducendo un lupo, si ottiene un miracolo: si verifica una catena di eventi complessa e apparentemente paradossale, che alla fine porta a rivitalizzare il fiume e l’habitat ittico.

L’ escalation russa prevede un aumento delle truppe di tutti i reparti, compresa l’aviazione. Abbiamo visto come 400 jet e 300 elicotteri siano ora presumibilmente stazionati fuori dall’Ucraina, pronti all’azione.

Allo stesso modo, con la forza della scala, aumentando il supporto aereo a una determinata linea del fronte, la Russia provocherà una reazione a catena nell’ecosistema. Ci saranno più “donnole selvagge” per le missioni SEAD, i sistemi di AD delle AFU saranno di conseguenza molto più sotto pressione e meno attivi, il che a sua volta comporterà la partecipazione attiva di ancor più potenza aerea, sotto forma di bombardieri di prima linea e di elicotteri d’attacco, ora in grado di operare più liberamente. Questo effetto domino causerà un aumento dell’efficacia delle unità d’assalto che avanzano verso il nemico, impedendo loro di essere “statiche” e bloccate in battaglie posizionali e d’attrito, il che annullerà gran parte dell’ISR della NATO, che fa affidamento su obiettivi statici le cui coordinate possono essere trasmesse ai sistemi di artiglieria. In breve, si trasformerà in un campo di battaglia più fluido che ostacola e mette a dura prova i sistemi ISR, in particolare la ricognizione satellitare.

Allo stesso modo, il concetto di “economia di scala” si riferisce all’aumento dei sistemi AD russi in ogni settore. Come discusso brevemente nella Parte 2, un sistema di AD più “densamente” integrato e stratificato può avere effetti di moltiplicatore, dovuti al fatto che tutte le varie parti disparate si sovrappongono l’una all’altra, come i neuroni che si legano in connessioni moltiplicative dell’efficacia.

Concetto di protezione ADA russo tattico

 

Questo rafforzerà ulteriormente la capacità della Russia di intercettare gli attacchi nelle “retrovie”, che è proprio quello che è stato il maggiore (e unico) punto di forza delle capacità ISR della NATO. Bisogna capire che l’uso molto ridotto della forza da parte della Russia ha comportato un drastico sottopotenziamento e sottoutilizzo dei sistemi AD. Ma con il prossimo aumento delle truppe, verranno portate in zona di operazioni molte più brigate missilistiche e si avrà un effetto additivo, come le onde stazionarie o i sistemi cimatici, dove le frequenze sovrapposte diventano molto più forti, insieme.

Molti, mesi fa, sono rimasti a guardare perplessi, con gli occhi sgranati, lo spettacolo del ponte Antonovsky martellato dagli HIMAR, spesso senza che i russi facessero il minimo sforzo per intercettare i missili. Molti non si rendono conto che il colpevole è l’esiguità delle forze russe. Così largamente disseminate, anche le brigate missilistiche hanno operato in modo anemico, tanto che non è stato possibile trovare una sola unità Pantsir per coprire il ponte, almeno fino alla fine, quando ne sono state spostate altre.

Quindi, come da domanda iniziale: ecco come la Russia può far avanzare un grande esercito nonostante l’eccesso di ISR della NATO. Aumentando drasticamente il numero di truppe, e di conseguenza le brigate AD, l’AD russa genererà un’efficacia crescente grazie all’integrazione stratificata e sovrapposta, che a sua volta ostacolerà gli attacchi dell’AFU alle retrovie e ai depositi di munizioni, consentendo così alle forze russe di mantenere intatte le linee di rifornimento e di avanzare in modo più coerente.

Naturalmente, la NATO cercherà di vanificare tutto ciò aumentando la fornitura di sistemi di precisione all’Ucraina, per far fronte alla forza con la forza e tentare di sopraffare i sistemi AD. Per esempio, il loro ultimo pacchetto prevedeva l’invio di altri 18 sistemi HIMARS (oltre ai circa 20 che l’Ucraina già possiede); ma non è chiaro se/quando li riceveranno, dato che sono emerse indicazioni che non arriveranno a breve.

8.   La dottrina sovietica classica è ancora al primo posto

 

L’ultima strategia su scala operativa che menzioneremo, che funziona nell’annullare la portata e la sorveglianza dei sistemi ISR della NATO, è in qualche misura ciò che la Russia ha già fatto con successo.

In breve: impegnarsi in una guerra di artiglieria a lungo raggio – anche se “artiglieria” è una semplificazione eccessiva e intende rappresentare tutti i sistemi a lungo raggio, dall’artiglieria a granata a quella a tubo, ai missili lanciati da terra e dall’aria, ecc.

Ora, questo può sembrare contraddittorio, poiché in precedenza abbiamo detto che la guerra di movimento e di manovra su larga scala può annullare molti aspetti della moderna ibridazione e digitalizzazione del campo di battaglia. Ma, mancando la capacità di aprire ampi fronti, l’alternativa è quella di posizionare le proprie forze in modo tale che le aree posteriori critiche siano tutte fuori dalla portata dei sistemi a più lungo raggio del nemico, in questo caso

HIMAR. E poi semplicemente usare il vasto overmatch di ‘artiglieria’ per logorare il nemico con una lenta guerra  d’attrito.

Questo metodo si basa su una certa superiorità quantitativa e qualitativa nel fuoco a lungo raggio, che la Russia possiede. Non solo la Russia ha un numero molto maggiore di unità a lungo raggio in generale, ma ovviamente anche molte più munizioni, e un raggio d’azione molto maggiore.

Spesso i sostenitori dell’Occidente affermano che l’artiglieria occidentale ucraina è “superiore in termini di gittata” a quella dei sistemi russi e dell’eredità sovietica. È vero solo nella misura in cui alcuni dei più moderni sistemi occidentali in dotazione, come l’M777, il Caesar, ecc. possono sparare munizioni RAP e base-bleed avanzate, con un vantaggio di gittata di circa 30-40 km rispetto alle tipiche munizioni di artiglieria che possono raggiungere un picco di 25 km. E sebbene la Russia impieghi molti vecchi sistemi, dal 2S1 Gvozdikas, 2S4 Akatsiya, il 2S19 Msta-S standard e vari obici trainati come D-20 e 30, che hanno tutti una gittata inferiore, la Russia impiega anche una serie di altri sistemi con gittata pari o superiore ai sistemi occidentali, ad esempio gli Msta- B 2A65, i Malkas 2S7M, i Giatsint-S 2S5, gli Msta-S aggiornati 2S19-M2 e una serie di artiglierie tubolari come i Bm-21 Grad, i Bm-27 Uragan, i Bm-30 Smerch ecc.

Il punto è che, grazie alla superiorità del raggio d’azione, i sistemi russi possono essere ulteriormente dietro la linea di contatto, il che significa che le arterie di rifornimento critiche che alimentano questi sistemi possono essere posizionate ancor più nelle retrovie, e mantenere la regolarità dei rifornimenti. Se il vostro 2S7M Malka, ad esempio, può sparare con una gittata di oltre 50 km, significa che può trovarsi a 50 km dietro la linea di contatto. E il suo deposito di munizioni primario può trovarsi a 20-30 km di distanza. Ciò significa che le munizioni si trovano a 70-80 km dalla linea del fronte. Un HIMARs ha una portata massima di 90 km,  ma non può sparare proprio dalla linea di contatto, deve essere almeno 10-20 km dietro la linea per essere al sicuro da vari sistemi di prima linea a corto raggio, come i droni in attesa. Quindi, arretrando di 10-20 km,  l’HIMARs si trova ora a 90-100 km dal rifornimento critico di munizioni che alimenta il Malka, che ora è fuori portata.

 

Questo è solo un esempio di come la superiorità qualitativa del raggio d’azione possa annullare l’ISR. I satelliti della NATO individueranno e trasmetteranno le coordinate di quel deposito di munizioni, ma l’AFU non potrà fare nulla perché i suoi sistemi non possono raggiungerlo. Nel frattempo, i depositi di munizioni critici del fronte e dei battaglioni ucraini potrebbero trovarsi a soli 50-60 km dalla linea di contatto e i sistemi russi possono colpirli. Se l’AFU li sposta molto più indietro, allora improvvisamente il divario tra le unità operative in prima linea e le munizioni essenziali che le alimentano diventa troppo grande e inefficiente, rallentando in modo critico il loro rifornimento ed erodendo la loro efficacia di combattimento.

Quindi, costringendo l’Ucraina a questa guerra di fuoco a lungo raggio, la Russia sta annullando le capacità di ricognizione dell’Occidente, ma solo fino a quando manterrà il vantaggio qualitativo nella portata dei propri sistemi. Se l’Ucraina, ad esempio, cominciasse a rifornirsi in massa di sistemi a più lungo raggio, come i tanto sbandierati GLSDB, potrebbe teoricamente cominciare a vanificare questo vantaggio, e l’overmatch ISR della NATO sarebbe improvvisamente di nuovo in grado di dettare l’iniziativa operativa.

Qualcuno potrebbe obiettare che una simile tattica non funzionerebbe contro gli Stati Uniti. La Russia è fortunata che l’Ucraina non abbia molti altri sistemi a lungo raggio. Ma se la Russia si scontrasse con gli Stati Uniti, entrambe le parti metterebbero immediatamente in crisi i satelliti dell’altra, annullando all’istante tutte le “munizioni guidate” che richiedono il GPS satellitare per funzionare. E indovinate quale Paese funzionerà meglio in uno scenario di guerra classico?

 

III.

Un’ultima cosa importante da considerare, a proposito della domanda iniziale, su quanto possa funzionare bene la Russia nella prossima offensiva, contro il vasto sconfinamento dell’occhio onniveggente della NATO: chi guiderà l’operazione? Di recente, come è noto, la Russia ha nominato Valery Gerasimov Comandante Supremo dell’intera guerra, segnalando un portentoso cambiamento nella serietà con cui il Cremlino considera ora il conflitto.

Quest’uomo taciturno e poco allegro è stato oggetto di molte speculazioni in Occidente, dove a volte è diventato una sorta di figura mitica. Anche se ciò è dovuto in parte al suo contegno tranquillo ed enigmatico, che rifugge dalle luci della ribalta, a differenza di tanti generali americani innamorati dell’esibizione e della ruffianeria davanti ai flash della stampa, e che chiacchierano sulla CNN per ottenere la mancia delle aziende.

No, Gerasimov si vede dempre seduto e in ascolto, in tranquilla osservazione di chi lo circonda. In molte vecchie bobine di filmati della guerra cecena degli anni ’90, si può anche intravedere Gerasimov che si apposta alle spalle dei suoi superiori più loquaci, valutando attentamente ogni loro parola.

Abbiamo discusso qui le varie dottrine e strategie di combattimento in un moderno scenario di guerra ibrida e generazionale. Gerasimov è l’uomo che ha praticamente “scritto il libro” su questo argomento. La sua famosa “Dottrina Gerasimov” è stata a lungo considerata una sorta di apoteosi della comprensione russa dell’evoluzione e della filosofia della guerra moderna.

Sebbene ci siano molte controversie sul contenuto stesso della dottrina, e sebbene non ci sia nulla di particolarmente “rivoluzionario” nel pensiero – si tratta semplicemente di un tentativo di comprendere e distillare la moderna guerra 5GW attraverso la lente dell’uso che ne ha fatto l’America per fomentare crisi come la Primavera araba – esiste comunque la prova che almeno le forze russe sono ora nelle mani capaci di qualcuno che comprende intimamente le complessità e le sfumature del combattere una guerra moderna così complessa.

 

Il punto di vista di Gerasimov sulla guerra futura

La dottrina prevede un rapporto di 4:1 tra azioni non militari e militari. Gerasimov sottolinea “l’importanza del controllo dello spazio informativo e del coordinamento in tempo reale di tutti gli aspetti di una campagna, oltre all’uso di attacchi mirati in profondità nel territorio nemico e alla distruzione di infrastrutture critiche civili e militari”. Propone inoltre di ammantare le unità militari regolari con “il travestimento da forze di peacekeeping o di gestione delle crisi”.[1]

 

È interessante notare che la “Dottrina” è nata in un momento (2013) in cui la Russia si stava preparando ad affrontare i suoi primi scenari di “guerra ibrida” sia in Siria che in Ucraina. E così ha delineato una serie di parametri per massimizzare l’efficacia in questi conflitti asimmetrici e “irregolari”: come sfruttare al meglio le piccole forze con una varietà di azioni clandestine, dal cyberspazio, alle forze politiche, partigiane, indirette/irregolari/paramilitari, alle tecniche asimmetriche, ecc.

Tuttavia, meno noto è il fatto che nel 2019, mentre la crisi ucraina marciava lentamente verso l’inevitabile momento della polveriera, Gerasimov, leggendo a quanto pare le foglie di tè, avrebbe aggiornato una sorta di v2.0 informale della sua “Dottrina”, che ancora una volta ha ribadito l’importanza di prepararsi a un confronto militare più classico e diretto tra eserciti di forza bruta.

In questo nuovo discorso, ha sottolineato la particolare importanza di preparare “armi di precisione” con largo anticipo rispetto al conflitto, osservando che tentare di produrre tali armi solo quando il conflitto è già scoppiato è una strategia fallimentare che non funzionerà mai. Per quanto semplice possa sembrare questo concetto, sembra che la Russia lo abbia preso a cuore e si sia preparata bene, secondo le sue linee guida. La NATO, invece, non ne ha tenuto conto.

Gerasimov è quindi un uomo che sa leggere da che parte soffia il vento, i modelli e le tendenze della guerra moderna e le sfumature della crisi attuale. È giusto, quindi, che la fase culminante sia guidata da lui, un comandante che è diventato sinonimo di sfruttamento di queste tattiche asimmetriche e irregolari per ottenere la vittoria. Possiamo quindi rimanere fiduciosi che la Russia applicherà i metodi più sottili presentati qui, e molti altri, nei prossimi giorni, utilizzando sia la tattica del fronte largo per allungare e stressare le capacità dell’Occidente, sia in teatri selezionati, dove il fronte rimane più fisso, continuando a impiegare il proprio Recon-Fire-Complex e l’RSC a lungo raggio per soffocare e annullare le capacità ISR dell’Occidente.

E non dimentichiamo che il comandante supremo ucraino Zaluzhny idolatra Gerasimov come il più grande leader militare e pensatore dell’era moderna:

Non solo Zaluzhny ha studiato tutto ciò che Gerasimov ha scritto e lo considera al di sopra di tutti gli altri, ma il generale più giovane ritiene che la Russia sia l’epicentro e la fonte di tutta la scienza militare del mondo.

Ora il mondo attende la resa dei conti finale tra “maestro” e “discepolo”.

 

 

Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa, di Simplicius The Thinker_a cura di Roberto Buffagni

Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa

Come le trasformazioni storiche dei conflitti ci guidano verso le incognite moderne.

di

Simplicius The Thinker

28 febbraio

https://simplicius76.substack.com/p/the-changing-face-of-war-future-of

 

Ci sono decenni in cui non accade nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni“. – Vladimir Il’ič Ulyanov

 

Nel corso della vasta storia della guerra, ci sono stati alcuni conflitti che sono serviti come punti di snodo fondamentali per il progresso della scienza militare. La prospettiva scorciata della storia ci seduce con la visione delle guerre come monoliti statici: due parti che si affrontano fino a una data conclusione. Vediamo anni interi, o addirittura decenni, compressi in brevi filmati, sia in forma letterale in video, sia nell’equivalente testuale: libri di storia i cui capitoli ripercorrono anni in pochi gesti scelti e concisi.

 

Ma come si può vedere nell’attuale conflitto ucraino, guardare dal mezzo del vortice offre una prospettiva completamente diversa. I mesi trascorrono, le truppe sembrano strisciare da una posizione stagnante all’altra, con lunghe cesure intermedie di inattività. Allo stesso modo, gli sviluppi operativi sul campo di battaglia si allungano a mesi o addirittura ad anni.

 

Ma la maggior parte delle guerre più importanti e lunghe, in realtà, subisce progressi fondamentali durante il loro corso, tanto che la fine spesso non assomiglia molto all’inizio, come se si trattasse di due conflitti distinti biforcati da un cambiamento epocale, come la svolta di un’epoca.

 

La guerra civile americana, ad esempio, iniziò come un conflitto che per certi versi imitava lo stile di guerra europeo-napoleonico. Grandi processioni di truppe che marciavano in colonne ordinate, sparando con moschetti ad avancarica da file lunghe e regolari.

Ma man mano che la guerra si trascinava, la crudele necessità divenne la parola d’ordine con cui i soldati sperimentavano nuovi modi per rimanere in vita, tattiche più efficienti per uccidere il nemico. Non solo la nascente rivoluzione industriale aveva avuto un grande impatto sulla capacità di manovrare e spostare, per la prima volta nella storia, forze e rifornimenti su rotaie e navi a vapore, ma invenzioni come il telegrafo avevano trasformato la complessità delle comunicazioni di guerra.

 

Ma si trattava di cose che esistevano già, anche se in forma minore. Man mano che il conflitto si protraeva, venivano insistentemente innovati nuovi modi di combattere.

 

Ad esempio, i moschetti lunghi e ingombranti come il modello Springfield 1861 avevano reso necessario stare in piedi durante la ricarica, poiché il processo di ribaltamento del corno della polvere nella canna, per far scendere i pallini, si svolgeva meglio con il moschetto in posizione stabile e verticale.

Questo si articolava naturalmente nella tattica standard di tre file rotanti di uomini: una fila sparava, poi indietreggiava per ricaricare mentre la successiva faceva un passo avanti per sparare. Ricaricare a terra era difficile o quasi impossibile, perché rovesciare la polvere in canna era difficile se il fucile era orizzontale, e l’accesso alle sacche contenenti la polvere, i pallini, l’imbottitura, ecc. era ancora più scomodo.

 

Ma con l’introduzione dei fucili a ripetizione, che videro una maggiore diffusione durante il periodo centrale della guerra, le truppe potevano ora sdraiarsi in copertura e sparare salve di colpi multipli senza dover ricaricare. Questo aprì un paradigma di guerra completamente nuovo, liberandosi dalla rigidità napoleonica che aveva dominato in precedenza.

Le truppe potevano ora essere più mobili, sparare da posizioni accovacciate come i cecchini. Gruppi più piccoli e agili divennero sempre più efficaci. Inoltre, la comparsa delle canne rigate (anziché a canna liscia) migliorò notevolmente la precisione, costringendo entrambe le parti a iniziare a “trincerarsi” e a combattere maggiormente da posizioni coperte per evitare la crescente letalità delle nuove caratteristiche balistiche.

 

Dopo alcuni anni, la guerra, iniziata come un pastiche dell’era napoleonica, si trasformò improvvisamente in una guerra di trincea.

1 Trinceramenti, ultima fase guerra civile americana

Anche la scienza dell’artiglieria aveva fatto passi da gigante durante la guerra. Soldati intraprendenti capirono presto che potevano sparare non solo direttamente contro il nemico, ma anche su terreni nascosti: nacque così il “fuoco indiretto”. A metà della guerra, il tiro d’artiglieria veniva calcolato matematicamente per colpire le truppe al di là della “visuale”.

 

Inoltre, le mongolfiere e i palloni a idrogeno cominciarono a essere utilizzati come moderni “droni”: occhi nel cielo per correggere il tiro d’artiglieria con una serie di bandiere che l’operatore della mongolfiera poteva sventolare per notificare alle forze di terra la correzione di fuoco necessaria.

Lowe fu chiamato per un’altra missione dimostrativa che avrebbe cambiato l’uso effettivo dell’artiglieria da campo. Il 24 settembre 1861, gli fu ordinato di posizionarsi a Fort Corcoran, a sud di Washington, per salire e sorvegliare gli accampamenti confederati a Falls Church, in Virginia, a una distanza più a sud. Una batteria di artiglieria dell’Unione nascosta era posizionata a distanza a Camp Advance. Lowe doveva dare indicazioni con segnali a bandiera all’artiglieria, che avrebbe sparato alla cieca su Falls Church. Ogni segnale avrebbe indicato le regolazioni a sinistra, a destra, lunghe o corte. Contemporaneamente i rapporti venivano telegrafati al quartier generale del forte. Con solo poche correzioni, la batteria si trovò ben presto a sparare colpi esattamente sul bersaglio. Questo fu il precursore dell’uso dell’osservatore avanzato di artiglieria (FO).

Anche la mitragliatrice Gatling fu inventata durante la guerra, rendendola uno dei primi conflitti in assoluto a essere caratterizzato da una “mitragliatrice”. Durante l’assedio di Petersburg, in Virginia, nel 1864, le mitragliatrici Gatling venivano utilizzate per colpire le “trincee” nemiche, in una chiara prefigurazione dei conflitti successivi. Le stesse trincee si estendevano per oltre 30 miglia intorno a Petersburg e Richmond, cambiando completamente il carattere della guerra, tanto che un osservatore inconsapevole non l’avrebbe nemmeno scambiata per la stessa guerra.

Inutile dire che la fine della guerra non assomigliava quasi più all’inizio, e che anzi lasciava presagire le tattiche dei prossimi scontri del XX secolo.

 

Anche le precedenti guerre di Crimea e la successiva guerra franco-prussiana furono note per i loro importanti progressi che cambiarono il volto del conflitto. Anche se nel caso di quest’ultima guerra, essa non è durata abbastanza a lungo per sperimentare un vero e proprio cambiamento epocale.

 

Per questo, dobbiamo rivolgerci alla Prima guerra mondiale, un conflitto che notoriamente ha visto interi avanzamenti generazionali in quasi tutte le categorie di guerra – anche se, è vero, alcune di esse sono regredite all’indietro. L’avvento del volo aveva appena dato vita all’età d’argento dell’aviazione. Ma i primi aerei erano accrocchi rozzi e primitivi le cui rispettive nazioni, nelle prime fasi del 1914, sapevano a malapena come utilizzare questo strumento imprevisto.

 

I primi aerei, infatti, venivano utilizzati per scopi di ricognizione e per correggere il tiro d’artiglieria, proprio come fanno oggi i droni e i palloni aerostatici dell’epoca della Guerra Civile. Anche gli aerei si alzavano in volo per osservare i colpi di artiglieria e poi scendevano per segnalare la correzione necessaria.

 

Alla fine questi osservatori volanti cominciarono a entrare in contatto con quelli della parte avversaria. Gli aerei non erano ancora armati e gli uomini non avevano modo di nuocere l’uno all’altro, il che, ironia della sorte, fece sì che i primi scontri aerei si trasformassero in fraternizzazioni amichevoli. I piloti avversari si vedevano come parte di una fratellanza distinta, a volte salutandosi o aiutandosi a vicenda.

 

Non sorprende, tuttavia, che ben presto sia nata la necessità di difendersi. Le prime battaglie aeree videro gli aviatori sollevare primitivamente da terra mattoni, catene, dardi e altri materiali che avevano infilato nelle loro cabine di pilotaggio. Ben presto, i piloti cominciarono a dotarsi di pistole d’ordinanza e a spararsi addosso con revolver e pistole Colt 1911, attorno alle quali si svilupparono rapidamente alcuni progressi, come una gabbia per raccogliere i bossoli e impedire che si depositassero sul pavimento della cabina di pilotaggio.

Pistola statunitense M1911 calibro 45 con caricatore esteso e gabbia di cattura in ottone. Nei primi tempi della Prima Guerra Mondiale, quando gli aerei non avevano le mitragliatrici, i piloti nemici si sparavano addosso con le pistole. La gabbia evitava che i bossoli esauriti venissero espulsi sul pavimento della cabina di pilotaggio e interferissero con i comandi a pedale.

Un pilota russo di nome Pyotr Nesterov fu addirittura il pioniere della tecnica dello “speronamento aereo” nel 1914. Anche se sfortunatamente uccise sia lui che il nemico, la tecnica fu in seguito perfezionata e ampiamente utilizzata.

 In questa fase iniziale gli aerei erano ancora disarmati e Nesterov divenne il primo pilota a distruggere un aereo nemico in volo. Durante la Battaglia di Galizia del 25 agosto 1914 (secondo il calendario Vecchio Stile ancora in uso in Russia), dopo aver provato vari metodi in occasioni precedenti senza successo, utilizzò il suo Morane-Saulnier Type G (s/n 281) per speronare l’aereo da ricognizione austriaco Albatros B.II dell’osservatore Barone Friedrich von Rosenthal e del pilota Franz Malina dell’FLIK 11.[4] Desideroso di distruggere l’aereo nemico, probabilmente intendeva colpirlo di striscio, ma danneggiò il proprio velivolo tanto quanto quello nemico ed entrambi gli aerei precipitarono. Come era consuetudine all’epoca, Nesterov non era legato e cadde dall’aereo, morendo per le ferite riportate il giorno successivo.[5] Morirono anche il pilota e l’osservatore austriaco. La città di Zhovkva (attualmente nell’Oblast’ di Leopoli, Ucraina), situata nei pressi della battaglia, è stata ribattezzata Nesterov in suo onore nel 1951. Il suo metodo di speronamento fu utilizzato durante la Seconda guerra mondiale da diversi piloti sovietici con successo e senza perdite di vite umane. La tecnica divenne nota come taran.

Alla fine, i pianificatori riuscirono a capire l’utilità di utilizzare gli aerei più grandi e robusti che venivano sviluppati per bombardare gli obiettivi. Così, all’inizio, i piloti cominciarono a lanciare bombe in modo rozzo dall’abitacolo, nell’improbabile speranza di colpire i bersagli senza alcun tipo di strumento o ausilio visivo.

 

Nel corso della guerra, si svilupparono sistemi più precisi, su velivoli da bombardamento molto più grandi e dedicati. Il russo Igor Sikorsky è accreditato per aver creato il primo aereo quadrimotore e l’Ilya Muromets fu il primo vero “bombardiere” della storia. Si dimostrò un successo nel devastare le postazioni e le infrastrutture nemiche e i Paesi si affrettarono ad armare i propri “caccia” con cannoni più capaci di abbattere i bombardieri più grandi che venivano ora messi in campo.

Ciò significava che gli aerei da combattimento erano ora armati con potenti mitragliatrici come le Hotchkiss, dando inizio a una nuova era in cui i piloti non si lanciavano più mattoni e pistole a salve, ma sparavano grossi e precisi calibri in grado di squarciare le fusoliere a pelle morbida degli aerei.

 

L’inventore russo Gleb Kotelnikov sperimentò anche il paracadute a zaino, in questo periodo, e le battaglie aeree videro ora la presenza regolare di piloti che si lanciavano con il paracadute da aerei, palloni e zeppelin danneggiati, il che richiese la riscrittura al volo dei codici di condotta bellica, dato che sparare sui combattenti che si lanciavano con il paracadute fu presto considerato disonorevole e poco cavalleresco.

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Prima della seconda guerra mondiale, ma è interessante notare come i paracadutisti sovietici si lanciassero dai loro aerei prima che venissero formatii moderni corpi aviotrasportati della seconda guerra mondiale.

 

La Seconda Guerra Mondiale iniziò in modo simile, nel senso che le prime iterazioni delle forze armate furono equivalenti a una sorta di brancolamento nel buio, mentre i paesi lottavano per fondare nuove dottrine, scoprire le tattiche, le combinazioni e gli usi più efficaci dell’epoca appena nata dei mezzi corazzati.

 

Come Big Serge illustra molto opportunamente in questo articolo: “Poche parole hanno elettrizzato il lessico militare come Blitzkrieg. La parola ha assunto nel tempo una forma paradossale: significa così tante cose diverse che sembra quasi che non significhi nulla, eppure è universalmente riconosciuta e gode di un forte prestigio. Certo, non è immediatamente evidente cosa si intenda per Blitzkrieg. È un termine operativo, che si riferisce alla penetrazione e all’accerchiamento di grandi formazioni nemiche? O è piuttosto una designazione tattica legata all’uso combinato di armi aeree e corazzate? O forse non si tratta di nessuna delle due cose: in alcuni casi, Blitzkrieg (che significa semplicemente guerra lampo) è semplicemente usato per indicare una vittoria molto rapida.” https://bigserge.substack.com/p/german-rebirth-blitzkrieg?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Non solo i tedeschi stavano seriamente cercando di capire le tattiche dei carri armati, ma i primi giorni della Seconda Guerra Mondiale non assomigliano affatto ai penultimi. Come spiega Serge, la prima incursione della Germania in Francia fu caratterizzata da un monopolio di piccoli Panzer I e II, ben lontani dagli imponenti, terrificanti e rivoluzionari Panther e Tiger dell’epoca successiva.

 

La Seconda Guerra Mondiale ha visto una ricchezza senza precedenti di salti generazionali, sui quali si potrebbero scrivere interi volumi, che in effetti sono stati scritti. Ma i punti salienti includono gli aerei che passarono dalle eliche all’avvento dell’era dei jet entro la fine della guerra. I sistemi di allerta precoce per individuare grandi flotte di velivoli e i bombardamenti erano all’inizio molto rudimentali. Giganteschi localizzatori acustici come questi erano in uso in tutti i Paesi:

Sebbene all’inizio della guerra la Gran Bretagna, la Germania e l’URSS disponessero di sistemi “radar” di prima generazione, questi erano rozzi e non avevano la potenza di trasmissione necessaria per raggiungere le frequenze a microonde richieste per un rilevamento dettagliato. Ma con il protrarsi della guerra, vennero introdotte nuove generazioni di radar molto più potenti. Nel 1942, l’URSS aveva messo in campo il suo primo radar di allarme aereo, che cambiò il calcolo del rilevamento degli aerei.

 

Secondo alcune stime, la composizione delle forze della Wehrmacht tedesca all’inizio della guerra era meccanizzata solo per il 20% circa, mentre il resto utilizzava ancora carri trainati da cavalli per far avanzare l’esercito su terreni insidiosi.

 

Ma lentamente il carattere della guerra si modificò, con l’introduzione nel 1944 di elementi come il razzo V-2 – essenzialmente un moderno missile balistico – e delle bombe volanti V-1.

 

Alla fine della guerra, il conflitto non assomigliava più nemmeno lontanamente a quello dell’inizio. Nuovi carri armati e distruttori di carri armati massicciamente corazzati e potenti si aggiravano sui campi di battaglia, aerei con sistemi radar e caccia a reazione solcavano i cieli mentre missili a lungo raggio relativamente precisi colpivano obiettivi a centinaia di chilometri di distanza.

 

Non solo il mondo aveva voltato pagina verso l’era della missilistica durante il lungo corso della guerra, ma ancora più significativamente verso l’era atomica con gli ignominiosi attacchi atomici degli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. Verso la fine del conflitto, anche le glide-bombs e le TV-guided bombs cominciarono a essere ampiamente utilizzate.

https://youtu.be/Ur-G97BVtX0

 

Era passata un’intera epoca. Mentre l’inizio della Seconda Guerra Mondiale assomigliava per certi versi alla Prima Guerra Mondiale e ad altri conflitti precedenti, la parte finale della guerra guardava ai conflitti a venire, come la Guerra di Corea, e per molti versi aveva iniziato ad assomigliare alla guerra moderna per l’ampiezza delle telecomunicazioni, la portata esponenzialmente più lunga, la maggiore precisione e la potenza di ogni tipo di sistema d’arma.

 

Il presente

Oggi in Ucraina stiamo assistendo a quello che probabilmente diventerà un altro cambiamento epocale, un passaggio d’epoca. All’inizio del conflitto si è assistito a un utilizzo maldestro delle tecnologie dei droni di prima generazione, come i modelli di base DJI Phantom, modelli per famiglie. In breve tempo si è passati ai DJI Mavic, più piccoli e versatili, e ad altri tipi di otto ed esacotteri più grandi e potenti, agli ibridi ad ala fissa-VTOL e ora ai droni da corsa FPV con occhialini VR.

 

I droni hanno iniziato a essere modificati con batterie, ricevitori/trasmettitori ed eliche speciali per aumentarne la resistenza, la portata e il potenziale di uccisione. Anche l’equipaggiamento con telecamere termiche (IR) divenne onnipresente, conferendo ai droni la capacità di un ISR quasi totale.

 

Tuttavia, la goffaggine dei primi stadi di questa evoluzione diventa evidente alla luce delle possibilità future, ma ha rivelato indizi dell’imminente tempesta di progressi che serviranno come punto di “biforcazione” dal quale il conflitto non tornerà più indietro.

 

Soprattutto perché la “asimmetricità” rimane l’unico mezzo con cui l’Ucraina può imporre una qualche pressione sul campo di battaglia alla Russia, loro e i loro controllori negli Stati Uniti sono stati impegnati ad accelerare il cambiamento sia sperimentalmente che concettualmente in termini di come potrebbe essere il futuro del conflitto. A seconda di quanto si trascinerà questo conflitto, e ci sono buone probabilità che sia molto lungo (il colonnello MacGregor ha recentemente condiviso la presunta informazione privilegiata secondo cui i pianificatori russi si aspettano ora una guerra di 30 mesi), potremmo iniziare a vedere cose inaugurate nello scenario di battaglia che pochi di noi hanno immaginato.

Anche da parte russa molti leader intellettuali hanno lanciato appelli per un riorientamento verso i sistemi futuri. Dmitry Rogozin, che in passato è stato a capo di Roscosmos (la “NASA” russa) e dell’industria della difesa russa, ha recentemente pubblicato un appello alle armi. Nel suo primo paragrafo, fa eco ai nostri sentimenti recenti, denunciando l’uso dell’aviazione da combattimento nel moderno campo di battaglia ricco di ISR, che ha, in sostanza, reso obsoleti i gloriosi “martelli d’assalto” degli anni ’80.

“La battaglia con la NATO e il suo fantoccio, la pesantemente armata Ucraina, ha dimostrato che la guerra moderna è una guerra di mezzi robotici che garantiscono l’efficacia dell’artiglieria e della fanteria d’assalto. È una guerra di avatar, di robot da combattimento, in cui l’esito della battaglia non è deciso da un gigante di due metri che spiana con una formidabile mitragliatrice, ma da un “uomo occhialuto e intelligente” che crea un UAV da ricognizione e attacco con un collegamento radio protetto, un complesso per superare i disturbi della guerra elettronica nemica e localizzare il suo UAV in base ai dati video, nonché un altro “uomo occhialuto e intelligente” in grado di disporre abilmente di questi mezzi della guerra moderna, di stabilire la posizione del nemico e di fornire in un paio di minuti alla nostra parte le coordinate esatte del nemico. “

E poi chiede apertamente che la totalità delle capacità dell’aviazione e della flotta russa sia autonoma e senza equipaggio.

Allo stesso modo, è giunto il momento di comprendere finalmente che sia l’aviazione che la flotta dovrebbero essere prevalentemente senza equipaggio e avere una maggiore furtività nei confronti del nemico e autonomia di applicazione. I droni aerei e marittimi sostituiranno inevitabilmente l’aviazione da combattimento e la flotta tradizionale. E tutti gli altri partecipanti al conflitto armato dovrebbero procedere dal fatto che tutta l’azione sarà fissata per mezzo di mezzi ottico-elettronici, radio-tecnici e altri tipi di ricognizione nemica – spaziale e senza equipaggio/aria, e il mezzo più importante per la loro sopravvivenza sul campo di battaglia è il mantenimento di una comunicazione “indistruttibile” tra le unità e l’efficienza del processo decisionale.

Va notato che sia il nuovo Su-57 che i carri armati T-14 Armata sono stati progettati con capacità di utilizzo senza equipaggio. Le versioni future dovevano poter essere pilotate a distanza e anche il più recente drone russo S-70 Okhotnik è destinato ad avere una modalità autonoma di “gregario” per assistere le missioni del Su-57.

 

Proprio il mese scorso, Rogozin ha aperto la strada all’ingresso nel conflitto degli UGV (Unmanned Ground Vehicles) russi “Marker”. Il veicolo robotico è disponibile in numerose varianti che gli permettono di svolgere ruoli di tank-killer (con ATGM), anti-fanteria, anti-aria, o un combat-mule che trasporta munizioni, rifornimenti o soldati feriti. La Russia aveva già testato l’Uran-9 pesantemente armato in Siria e aveva raccolto molte informazioni utili per lo sviluppo, ma la tecnologia non era ancora maturata abbastanza per un uso regolare.

 

È difficile stabilire quanto di tutto ciò sia vero, ma Rogozin ha già affermato che il robot Marker ha un catalogo di obiettivi di carri armati nemici (come Abrams, Leopard, ecc.) salvato nel suo database e può autonomamente distinguerli e ingaggiarli.

“Non appena inizieranno le consegne di carri armati Abrams e Leopard alle truppe ucraine, il Marker riceverà un’immagine elettronica appropriata e sarà in grado di rilevare e colpire automaticamente i carri armati americani e tedeschi con ATGM”.

Al momento il limite principale di queste piattaforme sembra essere la portata del controllo/segnale. Gli UAV godono del lusso di un cielo aperto, quindi il segnale di solito non ha ostacoli. Ma gli UGV devono di solito avere una linea di vista diretta (o quasi) con il controllore, il che rende il loro raggio d’azione molto limitato – e questo è stato il principale difetto dell’Uran-9 in Siria; i rapporti affermano che la Russia ha lottato con la caduta del segnale anche a distanze relativamente brevi o medie, come 300-400 metri. In ambienti urbani, dove questi veicoli si rivelerebbero particolarmente essenziali, la situazione peggiora ulteriormente a causa della grande quantità di ostacoli che attenuano il segnale.

 

Una soluzione potrebbe essere rappresentata da droni aerei che fungono da “ripetitori” del segnale. Questa soluzione è già stata utilizzata nell’attuale SMO da entrambe le parti. Gli UAV trasportano in cielo un ripetitore di segnale che consente all’unità militare di comunicare con il quartier generale del battaglione se le radio da combattimento sono fuori portata.

 

Per quanto riguarda il futuro più immediato, il popolare canale Telegram russo “Starshe Edda” ritiene che, se la guerra continuerà, entro il prossimo autunno assisteremo a una “guerra completamente diversa”, in cui le armi sperimentali ora in fase di sperimentazione e prototipazione entreranno in produzione di massa da entrambe le parti.

Se l’SVO non si concluderà improvvisamente con negoziati e una tregua, in autunno assisteremo a una guerra completamente diversa. Questi tipi di armi, prima di tutto, sono ovviamente sistemi senza pilota (sia aerei che terrestri). Ciò che è attualmente disponibile sotto forma di campioni e prototipi sarà trasferito alla categoria dei prodotti di massa.

 

Ci saranno molti sistemi robotizzati e senza pilota, così come munizioni di alta precisione, ma a mio avviso non ci sarà una sola cosa, cioè le tattiche del loro utilizzo stabilite in un sistema coerente. Per ora, si tratta ancora di passi provvisori nella guerra di un nuovo ordine tecnologico, qualcosa come i fucili ad ago Dreise o Mitrailleuse. Non ancora un fucile a retrocarica con una cartuccia unitaria del solito modello e non una mitragliatrice, ma non più un fucile a miccia e non un fucile a pallettoni. In tutto questo, si svilupperanno tattiche, si aggiungeranno regole di combattimento, alcuni campioni e rami di sviluppo saranno riconosciuti come vicoli ciechi, altri, al contrario, si svilupperanno e raggiungeranno la perfezione nell’uccidere una persona.

Esso giudica con precisione il periodo attuale come quello che ho definito la fase di sviluppo “a tentoni nel buio”. È l’inquietante momento della dentizione del neonato che si sta lentamente affermando; l’equivalente della prima guerra mondiale dei piloti che si lanciano mattoni e catene di biciclette l’un l’altro, non comprendendo ancora il pieno potenziale di ciò che hanno. In questi momenti, le direzioni rimangono ancora incerte fino a quando qualcosa non prende piede, si rapprende in dottrine intelligibili, modi di operare e regole di condotta che generano l’uso più efficace di ogni nuovo sistema.

 

Intelligenza artificiale

Per ora, la direzione di sviluppo più ovvia rimane quella di droni FPV più veloci, più precisamente controllabili e più economici, che possono essere usati per abbattere sia i blindati che il personale. La loro velocità e le loro dimensioni li rendono praticamente invisibili al rilevamento radar, o almeno estremamente poco pratici da agganciare e abbattere. Inoltre, la loro manovrabilità permette loro di aggirare i sistemi d’armamento anti-drone dell’EW, che si basano sui tempi di reazione dell’operatore per individuare e seguire il drone con i suoi mirini per un tempo sufficiente a interrompere il suo collegamento di comunicazione.

 

Sebbene entrambe le parti li utilizzino già con crescente regolarità, per necessità l’AFU sembra spingere maggiormente in questa direzione, come si vede in questi recenti video.

 

Ma a parte questo, l’intelligenza artificiale è la tecnologia più in ascesa che presto trasformerà il volto di tutti i conflitti, compreso questo, se dovesse durare abbastanza a lungo. I sistemi di intelligenza artificiale in grado di negoziare in modo “intelligente” il terreno e di trovare, identificare e persino ingaggiare bersagli da soli sono già in fase di prototipazione in tutto il mondo e molto probabilmente faranno presto il loro ingresso nel conflitto in corso.

 

Questo drone israeliano di Elbit Systems, ad esempio, è in grado di muoversi autonomamente negli ambienti interni e di utilizzare il riconoscimento facciale per individuare e ingaggiare da solo i combattenti nemici.

https://youtu.be/rcFyZDRmUiA

Per coloro che potrebbero essere contrariati, questa tecnologia non è rivoluzionaria. Le app dei social media e gli iPhone utilizzano già da tempo algoritmi di riconoscimento facciale per individuare i volti nelle foto. Anche le fotocamere di consumo, da diversi anni, dispongono di funzioni di autofocus per il riconoscimento facciale, che consentono di “mettere a fuoco” automaticamente l’obiettivo su una persona anche se questa si muove avanti e indietro. Diamine, anche i nuovi sistemi di sicurezza a basso costo, come questo di ADT, sono ora dotati di riconoscimento facciale che salva i volti dei vostri amici e familiari e vi avvisa quando si avvicinano alla vostra casa e, viceversa, può avvisarvi se si tratta di un “estraneo”.

 

Esistono anche sfruttamenti più sinistri di questa tecnologia:

Applicato a un drone, unito alla tecnologia di rilevamento ambientale di oggetti come la “modalità di guida autonoma” di Tesla, porta direttamente a progressi come il sistema israeliano di cui sopra. Tuttavia, il vero punto di forza è rappresentato dagli algoritmi molto più avanzati utilizzati per distinguere le minacce da quelle che non lo sono, come ad esempio il rilevamento di determinate “posture” corporee, armi in mano, differenze nelle uniformi, ecc.

 

I missili da crociera dispongono già da tempo di capacità di base di intelligenza artificiale di questo tipo, utilizzate per confrontare i bersagli a terra con i dati memorizzati da satellite/immagini. Ecco una descrizione della fase terminale del missile francese “Storm Shadow / Scalp”, in cui si arrampica sul bersaglio:

La salita in quota ha lo scopo di ottenere le migliori probabilità di identificazione e penetrazione del bersaglio. Durante il bunt, l’ogiva viene sganciata per consentire a una telecamera termografica ad alta risoluzione (homing a infrarossi) di osservare l’area del bersaglio. Il missile cerca quindi di localizzare il bersaglio sulla base delle informazioni di puntamento (DSMAC). Se non ci riesce, e c’è un alto rischio di danni collaterali, è in grado di volare verso un punto di impatto invece di rischiare l’imprecisione.

Google è stata pioniera di questo lavoro sotto la bandiera del controverso “Progetto Maven”, che ha suscitato un quasi-ammutinamento dei dipendenti, debitamente preoccupati, per le macabre implicazioni militari che tali tecnologie comportavano.

Proprio la scorsa settimana, questo nuovo reportage ha mostrato come Eric Schmidt, ex-CEO e presidente esecutivo di Google e Alphabet Inc. abbia lavorato fianco a fianco con il governo degli Stati Uniti per accelerare e semplificare le acquisizioni e lo sviluppo di tecnologie AI. In effetti, ha lasciato Google per fare di questo la sua nuova carriera e il suo impegno a tempo pieno. Sembra che sia molto determinato a sconfiggere la Cina nella guerra dell’IA e si sforza di sottolineare che l’IA è la tecnologia che determinerà il vincitore del futuro.

“Immaginiamo di voler costruire un sistema migliore per combattere la guerra”, dice Schmidt, delineando ciò che equivarrebbe a un’enorme revisione del dispositivo militare più potente del pianeta. “Creeremmo semplicemente un’azienda tecnologica”.

In breve, egli ritiene che i processi di approvvigionamento del governo siano troppo ponderosi per competere nell’era dell’accelerazione della singolarità, quindi il suo obiettivo “lungimirante” è quello di utilizzare l’architettura di un’azienda tecnologica della Silicon Valley come base per il modo in cui il governo dovrebbe ricercare e acquisire queste nuove tecnologie.

Una nuova arma

Il problema tecnologico del Pentagono è più pressante, secondo Schmidt, quando si tratta di IA. “Ogni tanto arriva una nuova arma, una nuova tecnologia che cambia le cose”, afferma. “Einstein scrisse una lettera a Roosevelt negli anni ’30 in cui diceva che c’era una nuova tecnologia – le armi nucleari – che avrebbe potuto cambiare la guerra, e così è stato. Io sostengo che l’autonomia e i sistemi decentralizzati e distribuiti [alimentati dall’IA] sono altrettanto potenti”.

Esiste una moltitudine di modi in cui l’intelligenza artificiale rivoluzionerà molto presto la guerra. Molti di questi sono già in fase iniziale, altri hanno fatto passi da gigante. Chi ha letto il mio articolo sull’ISR conosce la crescente importanza e il dominio di questo campo; ma ora immaginate che al posto degli analisti umani che scrutano faticosamente infiniti gigabyte di dati satellitari per localizzare le posizioni delle truppe russe, ci sia un instancabile, e molto più veloce ed efficiente, algoritmo di intelligenza artificiale che scansiona ed elabora in pochi secondi migliaia di ettari di dati sul terreno, individuando ogni singolo oggetto di interesse che può essere bersagliato, ordinandolo e raggruppandolo in appositi cestini, e persino – alla fine – instradando autonomamente i dati verso l’esatta e appropriata unità di fuoco settoriale che l’intelligenza artificiale giudica più capace, pronta, equipaggiata, ecc. , per gestire il compito.

 

Le iniziative sono già state esplorate; questo articolo descrive un programma chiamato SMART (Space-based Machine Automated Recognition Technique) che fa proprio questo. Inizialmente incentrato su compiti più banali, come l’addestramento di reti neurali per individuare progetti di costruzione in tutto il mondo da immagini satellitari, nel paragrafo finale si ammette che il vero obiettivo è quello di “trasferire questa tecnologia al settore dell’intelligence per l’uso nel mondo reale” – sapete cosa significa.

 

Tuttavia, non mi sorprenderebbe se le agenzie di intelligence stessero già utilizzando una qualche iterazione di questa tecnologia, dato che di solito ciò che le agenzie più importanti hanno è di diverse generazioni/decenni avanti rispetto a ciò che le startup civili stanno ricercando. Sono certo che in Ucraina utilizzano versioni incipienti di questo software di intelligenza artificiale addestrato a setacciare le foto satellitari alla ricerca di posizioni russe.

Allo stesso modo, per molti altri sistemi, come ad esempio i radar, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più dominante, poiché i sistemi radar si affidano ad algoritmi avanzati per ingrandire il segnale del bersaglio eliminando il disordine, sapendo quale rumore/disordine può essere scartato in base a una serie di criteri. Si potrebbe pensare che il radar sia abbastanza semplice: si punta il fascio di luce nel cielo vuoto e qualsiasi segnale puro venga restituito è il bersaglio.

 

Ma c’è un problema: nell’ambiente odierno in cui domina l’ISR, quasi tutte le risorse di rilievo volano a bassa quota, “sotto il radar” per evitarlo: dagli aerei da combattimento ai droni, fino ai missili da crociera che ora sono programmati esclusivamente per “abbracciare il terreno” tramite la mappatura del terreno.

 

Per questo motivo, l’importanza dei radar “Look Down” diventa rapidamente suprema. Si tratta di radar montati su apparecchi come gli AWAC, in grado di scansionare non solo il cielo, ma anche il terreno, e di distinguere un oggetto in movimento rispetto alla grande confusione di altri oggetti a terra, come auto in movimento, persone, alberi ondeggianti, ecc. Affinché un sistema computazionale possa distinguere un elicottero che si muove a una velocità approssimativa di un’auto a 50 piedi dal suolo, da altre auto che viaggiano direttamente sotto di lui, è necessario disporre di enormi quantità di potenza computazionale parallela che alimenta algoritmi avanzati di intelligenza artificiale in grado di distinguere in modo molto “intelligente” questi dati. È così che tali sistemi radar possono anche rilevare oggetti a terra come carri armati e formazioni mobili in movimento.

 

L’ultima frontiera

Ma l’ultima frontiera della capacità dell’intelligenza artificiale non sarà costituita da semplici algoritmi per il rilevamento “intelligente” degli oggetti, bensì dalla piena autonomia, che si concretizzerà in risorse integrate in rete in grado di comunicare tra loro e di risolvere compiti comuni. In parole povere, questo descrive la prossima era degli “sciami di droni”, che è di gran lunga l’area di sviluppo più critica. E qui la Cina sembra essere all’avanguardia.

 

Un filmato pubblicato di recente mostra uno sciame di droni autonomi cinesi che navigano in una foresta di bambù senza l’uso del GPS.

 

Molti hanno visto il video di cui sopra, ma non il grafico di accompagnamento che mostra come i droni siano stati in grado di seguire insieme un obiettivo umano, proprio attraverso questa foresta:

Ora immaginate di liberare decine, o centinaia, o migliaia di questi droni – armati con 4-6 kg di esplosivo, come un tipico drone FPV oggi trasporta normalmente – per setacciare autonomamente il paesaggio brullo, fumoso e pieno di trincee dei vasti campi agricoli dell’Ucraina e dare la caccia ai soldati che si rintanano senza speranza in quelle stesse fortificazioni.

 

Così:

Gli Stati Uniti hanno recentemente lanciato un altro grido d’allarme, sostenendo che sia la Russia che la Cina stanno investendo pesantemente in questo campo.

Infatti, il mese scorso è giunta la notizia che la PMC russa Wagner sta lavorando segretamente con aziende cinesi per sviluppare la tecnologia degli sciami di droni da utilizzare contro l’AFU. Forse a prima vista è improbabile, ma ci sono tutte le ragioni per credere che sia vero. Non solo l’Ucraina rappresenta per la Cina l’ultima piattaforma di test sul campo di battaglia reale per affinare le proprie tecnologie segrete in preparazione dell’inevitabile escalation di Taiwan, ma la cosa è stata anche confermata direttamente da un mercenario australiano che ha combattuto a Bakhmut il mese scorso.

 

In questo video, il mercenario australiano che ha combattuto contro Wagner afferma apertamente che speciali “squadre cinesi di DJI stanno aiutando Wagner dietro la linea”.

 

Chi controlla i chip controlla il futuro

Abbiamo stabilito che chi ha la maggiore potenza di calcolo avrà i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati, con la massima capacità di sfornare istruzioni/operazioni pure. Ciò significa che coloro che possiedono i chip migliori, ossia le industrie e le capacità dei semiconduttori, saranno i re delle prossime guerre dell’IA.

Il CEO di Intel a Davos ha dichiarato che: “Le catene di fornitura dei chip plasmeranno la geopolitica più del petrolio nei prossimi 50 anni”.

Gli Stati Uniti e la Cina, ovviamente, sono tra le nazioni leader in questo senso, mentre la Russia mostra qui una delle sue debolezze più evidenti. Tuttavia, non tutto è perduto. Gli Stati Uniti hanno la base tecnologica, ma si affidano pesantemente ai visti H1B di molti altri Paesi come India, Cina, Russia, ecc. (quanti, ad esempio, sanno che la linea Pentium di Intel prende il nome dal suo capo progettista russo, Vladimir Pentkovski)?

 

Questo è un grande punto debole per gli Stati Uniti perché, man mano che il mondo continua a de-dollarizzarsi e il valore della moneta fiat e dello stile di vita americano continua a crollare rispetto ai paesi d’origine in ascesa da cui provengono questi emigranti, diventerà sempre meno attraente venire a lavorare negli Stati Uniti e, in alternativa, più competitivo rimanere a casa. Questo porterà a un grave degrado dell'”innovazione” americana in questi settori.

 

E per quanto riguarda il capitale umano effettivo per la programmazione e la progettazione di questi futuri sistemi di intelligenza artificiale, si può dire che la Russia non ha eguali al mondo. E le sue nuove generazioni brillano sempre di più. Basta dare un’occhiata ai risultati dei rinomati campionati “International Collegiate Programming”:

Certo, gli Stati Uniti hanno finalmente strappato una singola vittoria nell’evento più recente. Ma gli ultimi due decenni sono stati dominati dalla Russia.

 

Le istituzioni con il maggior numero di vittorie:

E se si vuole vedere quanto gli Stati Uniti siano caduti in basso per quanto riguarda il loro capitale umano intellettuale e il loro sistema educativo, basta guardare ai decenni precedenti dello stesso concorso:

Gli Stati Uniti non erano da meno, prima che le disastrose politiche neoliberiste condannassero il tessuto stesso della società.

 

Si potrebbe sostenere che il futuro appartiene a chi ha la tecnologia, ma la tecnologia apparterrà a chi ha il capitale umano per sognarla e innovarla.

 

Ricordiamo che una delle uniche ragioni della presunta “arretratezza” della Russia rispetto all’Occidente in materia di progresso tecnologico è dovuta all’enorme e ingiusto handicap che le è stato artificialmente imposto: la Russia si è vista tarpare le ali in ogni occasione. Attraverso sanzioni schiaccianti. Ostacoli e sabotaggi imposti per decenni. Quando si trattava di industrie critiche, l’Occidente aveva sempre egoisticamente “accaparrato” la tecnologia tra di loro per lo sviluppo iterativo.

 

Per esempio, il motivo per cui la Corea del Sud e il Giappone sono così potenti nel campo dei semiconduttori è che gli Stati Uniti hanno investito e sovvenzionato pesantemente le loro industrie nel secondo dopoguerra, al fine di creare una sorta di mercato di manodopera a basso costo da cui la nascente classe media americana potesse rifornirsi.

 

Alla Russia, purtroppo, non è mai stato concesso un simile lusso, ma piuttosto il contrario:

E come ho detto in questo articolo, così come l’Occidente finge la dipendenza della Russia dai suoi chip, in realtà nasconde la propria vera dipendenza dalla Russia e dalla Cina per le risorse con cui produrre quei chip. Vedete, l’Occidente ha il know-how tecnologico (importato da H1B), ma non le materie prime. Questo articolo di un think tank statunitense lo definisce una minaccia alla sicurezza nazionale di massima priorità.

È per questo che siti importanti come TomsHardware hanno pubblicato titoli come questo l’anno scorso:

Nell’articolo si dice chiaramente:

La fonte condivide alcuni numeri preoccupanti, che evidenziano la dipendenza dell’industria statunitense dei chip dai materiali provenienti dalla Russia/Ucraina. Ad esempio, il gruppo di ricerca di mercato Techcet afferma che il 90% delle forniture di neon per semiconduttori negli Stati Uniti proviene dall’Ucraina, mentre il 35% del palladio statunitense proviene dalla Russia. Inoltre, anche altri materiali vitali come il C4F6, l’elio e lo scandio provengono dalla regione del potenziale punto di infiammabilità.

In breve, la Russia ha altrettanti punti di pressione sull’industria americana dei semiconduttori, ed entrambe stanno investendo molto per cercare di cambiare la situazione: gli Stati Uniti per espandere e diversificare le loro catene di fornitura (molto più difficile di quanto sembri, per ragioni che esulano da questo ambito) e la Russia per sviluppare le sue capacità di produzione di chip.

 

Shock futuro

Il volto del conflitto ucraino si sta già evolvendo rapidamente. Oggi vediamo regolarmente droni che duellano nei cieli sopra il paesaggio in rovina, cosa che sarebbe stata difficile da immaginare fino a pochi anni fa.

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Come evidenziato nel mio precedente articolo, le forze russe stanno già iniziando a utilizzare una serie di sistemi EW automatizzati “a guardia delle trincee” come l’Harpoon-3 e lo Stoizh, che disabilitano i droni anche mentre i soldati dormono nelle loro trincee. Anche i robot “Marker” russi daranno presto la caccia a Leopard e Abrams in natura, come immaginato da Rogozin?

Quel che è certo è che, se il conflitto continuerà per diversi anni, potrebbe essere quasi irriconoscibile se visto attraverso la lente di questi inizi primitivamente umili e comprensibili. Da diversi anni ormai, la Russia mostra come le truppe possano lavorare insieme a UGV o sistemi autonomi non guidati, e con la crescente intrattabilità del problema delle operazioni in trincea dell’Ucraina, è ipotizzabile che la Russia possa iniziare a lanciare sistemi non guidati per fornire supporto di fuoco nelle sempre difficili operazioni di sgombero delle trincee.

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Entrambe le parti stanno cercando di fare passi avanti nei sistemi di gestione del campo di battaglia, costruiti per organizzare la distribuzione delle enormi quantità di dati provenienti dai sensori. I “partner” occidentali hanno aiutato l’Ucraina a sviluppare tali sistemi, come il “Delta”, che si dice abbia alcune capacità di base di intelligenza artificiale nel fornire “raccomandazioni sui bersagli”.

Il video di cui sopra sostiene addirittura che il veicolo Autonomous Combat Warrior (ACW) di Rheinmetall sarà inviato all’Ucraina. Sebbene non sia stato in grado di verificarlo, è stato riferito che la Germania intende fornire all’Ucraina il Boxer RCH 155, un’incredibile piattaforma di artiglieria semovente autonoma che deve essere vista per essere creduta.

 

Man mano che la carenza di truppe dell’Ucraina diventa sempre più grave, i finanziatori occidentali spingeranno verso una sempre maggiore autonomia dell’AFU per colmare il deficit. Questi sistemi non presidiati saranno controllati, ovviamente, da ufficiali occidentali sufficientemente lontani dal campo di battaglia per ridurre i rischi per se stessi. Questo viene già fatto con la guerra dei droni UAV, ma potrebbe presto estendersi anche ai sistemi terrestri.

 

Allo stesso modo, mentre la Russia continua a distruggere il potenziale offensivo dell’Ucraina (che è già sostanzialmente esaurito), l’Ucraina sarà costretta a combattere in una strategia sempre più orientata alla difesa e allo stallo, che richiederà un ulteriore arroccamento nel tipo di guerra intrattabile ora prevalente.

 

Questo potrebbe spingere la Russia a inaugurare l’uso di sistemi UGV senza equipaggio per mitigare meglio il pericolo sproporzionato di dover prendere d’assalto infinite posizioni e trincee rinforzate con grandi perdite di vite umane. Dopotutto, non è un’ipotesi così remota: il fratello minore disarmato dell’Uran-9, lo sminatore Uran-6, è già stato utilizzato efficacemente fin dall’inizio del conflitto.

 

E quanto ci vorrà prima di vedere nuove versioni dei droni russi Lancet e KUB programmate con l’intelligenza artificiale per andare a caccia di obiettivi nemici in modo autonomo, anche lontano dalla portata dei collegamenti dati di controllo?

2 reparto russo si addestra con il Soratnik UGV

In definitiva, non possiamo prevedere quanto durerà il conflitto ucraino, anche se probabilmente si tratterà di un po’ di tempo, almeno diversi anni, a meno di eventi imprevisti da cigno nero. Un tempo più che sufficiente per assistere a una svolta epocale nell’evoluzione dei sistemi di combattimento, che cambierà per sempre il volto di tutte le guerre.

 

Un giorno guarderemo a questi momenti di nascita dei droni di consumo che lanciano piccole cariche esplosive nelle trincee con gli stessi occhi con cui abbiamo guardato a quel mondo apparentemente selvaggio e antidiluviano delle sparatorie aeree con le pistole, molto prima che il Fokker del Barone Rosso solcasse i cieli alleati. E con lo spirito nazionale galvanizzato, la solidarietà senza precedenti del narod [popolo] russo e il fervore di ingegnosità visto quotidianamente nei suoi combattenti, è chiaro che la Russia sarà colei che prenderà le redini e condurrà il mondo per mano attraverso l’oscurità labirintica di questa nuova era.

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Ecologia o delirio ?_di Davide Gionco

Ecologia o delirio ?
Le politiche ambientali dell’Unione Europea, l’idealità totalmente slegata dalla realtà.

di Davide Gionco

L’UE e gli ecologisti monotematici
L’Unione Europea è governata da ecologisti. Almeno in teoria.
Nulla fanno per evitare la diffusione delle microplastiche nell’ambiente e di altri composti chimici che portano effetti avversi gravi sulla salute umana: glifosato, PFAS, grafene, sostanze nanotecnologiche, radioattività, ecc..
Nulla fanno per evitare la diffusione di armi che uccidono molto più dell’effetto serra, anzi, fanno di tutto per aumentarne la produzione, così come per diffondere la mentalità di guerra.
Ma ci difendono dall’unico grave pericolo preso in considerazione dalla narrativa dei mass media: le emissioni di CO2 che portano al cambiamento climatico.
Da questa ideologia scaturiscono le proposte del piano “Fit for 55”.

Naturalmente non si propongono limitazioni all’importazione di prodotti commerciali contenenti energia fossile consumata in altri continenti, che causano emissioni di CO2 esattamente come se lo facessimo in Europa. Le limitazioni al consumo di energia vengono imposte unicamente in Europa, così che il risultato, alla fine, sarà comunque insufficiente rispetto all’obiettivo prefissato, dato che gli altri, fuori dall’Europa, avranno continuato ad inquinare, anche grazie agli acquisti di merci estere da parte dei paesi dell’UE.

In realtà l’unico motivo sicuro per cui l’UE dovrebbe affrancarsi dalle energie fossili è che si libererebbe dai condizionamenti da parte dei paesi fornitori di gas e di petrolio. L’autosufficienza energetica è qualcosa che può offrire ad un governo molti margini di azione nella politica internazionale e garantire una maggiore stabilità dei prezzi per famiglie ed imprese.

Chiudiamo qui la discussione sulla opportunità o meno di perseguire l’obiettivo primario di perseguire la riduzione delle emissioni di CO2. Assumiamo che si tratti dell’obiettivo giusto da perseguire e valutiamo la razionalità e l’efficacia delle soluzioni proposte.
La sensazione è che da parte della Commissione Europea e dei mezzi di informazione (che sanno solo fungere da amplificatore) è che vi sia una idealità totalmente slegata dalla realtà.
Un conto è che una singola persona, una singola famiglia, una singola impresa passi dall’auto a benzina all’auto elettrica o che installi una pompa di calore o che metta l’isolamento termico ad un edificio. Un altro conto è che a farlo siano centinaia di milioni di persone in tutta Europa o 60 milioni di persone in tutta Italia.

Ci sono dei problemi di fattore scala, come si dice fra noi ingegneri. Infatti è prima necessario verificare che filiere produttive dispongano di quanto necessario (materie prime, manodopera, capitali) per fare fronte all’aumento della domanda del mercato.

 

Il caso delle auto elettriche
Se un cliente si presenta da un autorivenditore per acquistare un’auto elettrica, questi non avrà problemi a vendergli una singola auto elettrica. Né la rete elettrica avrà, successivamente, problemi a rendere disponibile la necessaria energia elettrica per il funzionamento di una singola auto elettrica. Né ci saranno problemi, quando sarà ora di smaltire la batteria dell’auto, a trovare un modo sostenibile per farlo,
Ma ben diverso è che si presentino da tutti gli autorivenditori in Italia 20 milioni di italiani, ciascuno ordinando un’auto elettrica. In quel caso per rispondere all’ordinativo sarà necessario fare i conti con la capacità del sistema di produrre nel tempo richiesto tempi brevi una tale quantità di automobili. E’ evidente che i produttori non sarebbero pronti per passare da 100 mila auto vendute elettriche vendute in Italia nel 2022 a 1,3 milioni l’anno (totale delle auto vendute in Italia nel 2022), 13 volte tanto.
Per fare fronte a questa nuova domanda, infatti, sarà necessario reperire in sufficiente quantità le materie prime per i nuovi motori elettrici e per le batterie, le quali non sono prodotte scrivendo numeri sul computer, come si fa quando si scrive una norma, ma sono estratte dal pianeta terra, con implicazioni ambientali, sociali, geopolitiche, con il rischio di guerre per il controllo delle risorse.
Oltre a questo sarà anche necessario organizzarsi per smaltire, in modo ecologicamente sostenibile, le batterie elettriche esauste, per quantitativi 13 volte superiori a quelli attuali.

E si dovrebbe anche fare i conti con la disponibilità di energia elettrica, che dovrebbe aumentare considerevolmente rispetto all’attuale produzione.
Dove la prendiamo? Che cosa significa aumentare a tali livelli di disponibilità di energia elettrica?
Nel 2020 l’Italia aveva un consumo di energia elettrica di 319 TWh, di cui solo 273 TWh prodotti in Italia (e 46 TWh importati) e di cui 182 TWh provenienti da fonti non rinnovabili e solo 91 TWh da fonti rinnovabili.
A questo si andrebbero aggiungere altri 65 TWh l’anno per sostituire l’energia fossile delle auto termiche con energia elettrica da fonti rinnovabili.
L’Unione Europea ha proposto che dal 2035 vi sia il divieto di produrre auto termiche in Europa, per evitare di emettere CO2 con i motori termici. Ma questo significherà anche organizzarsi per aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili di 182 + 65 = 247 TWh/anno rispetto ai 91 TWh/anno attuali, con un incremento pari a 2,7 volte. Oltre al fatto che dovremmo assicurarci che anche i 46 TWh/anno che importiamo provengano da fonti rinnovabili-
A chi parla di costruire nuove centrali nucleari risponderei che, dal momento della decisione, ci vogliono 14-15 anni prima di mettere in servizio una centrale nucleare (quindi saremmo già in ritardo per il 2035). E, anche in questo caso, dovremmo fare i conti con la disponibilità di ingegneri e di personale tecnico per progettarle e realizzarle, considerando che questo avverrebbe simultaneamente in tutta Europa.

In sostanza stiamo parlando di ideologia pura, di cifre teoriche scritte sulla carta, senza tenere conto della fattibilità concreta di quanto proposto.

Non a caso lo scorso mese di dicembre 2022 il CEO della Toyota, primo produttore al mondo di automobili (qualcosa ne sanno) ha detto chiaramente che al momento non siamo ancora pronti, sia per il fatto di non disporre di sufficiente energia elettrica per tutte queste auto. Se, infatti, l’energia elettrica necessaria fosse prodotta da fonti fossili, i rendimenti sarebbero peggiori di quelli attuali e inquineremmo ancora di più.

Oltre alla sostanziale impossibilità e non convenienza tecnica è anche necessario affrontare il discorso economico: quante famiglie sono in grado di permettersi di acquistare un’auto elettrica nuova da 30-40 mila euro nei prossimi anni a venire? Dove trovare tutti questi soldi, se non sommergendo di debiti le famiglie, a solo vantaggio degli istituti di credito finanziario?

Il caso delle case ecologiche
Il discorso si fa ancora più insostenibile nel caso dell’obbligo imposto dalla UE di portare tutti gli edifici almeno in classe energetica E entro il 01.01.2030 ed entro la classe D entro il 01.01.2033.
Sarebbe certamente una cosa utile. Anche per chi non fosse convinto dell’utilità ambientale, sarebbe certamente utile per il portafoglio che abitassimo tutti in case energeticamente efficienti, perché questo ci consentirebbe di ridurre il peso delle bollette per il riscaldamento e la nostra dipendenza estera da fonti energetiche fossili.

Quello che pare una emerita assurdità è pretendere che tutti i proprietari (compreso lo Stato) di edifici di classe energetica inferiore alla E riescano a realizzare i necessari interventi di ristrutturazione edilizia da qui al 31.12.2029. E poi, in soli 2 anni, fare lo stesso per gli edifici in classe E, a portare almeno in classe D.

Secondo i dati forniti dall’ENEA, i lavori di ristrutturazione energetica degli edifici trainati dal Superbonus 110% hanno portato in 3 anni di lavori a ristrutturare 360’000 edifici, saturando di lavoro il settore dell’edilizia.
Quindi, lavorando a pieno regime, il settore è in grado di ristrutturare al massimo 120’000 edifici ogni anno.
Considerando che gli edifici in Italia di classe energetica inferiore alla E sono 8,8 milioni, questo significa che, disponendo dell’attuale forza lavoro, servirebbero 73 anni per completare i lavori richiesti (entro fine 2029, meno di 7 anni) dalla UE. Oppure, in alternativa, servirebbe moltiplicare almeno di 10 volte la forza lavoro nel settore delle ristrutturazioni energetiche. Considerando che oggi l’edilizia occupa 2 milioni di persone, dovremmo istantaneamente passare a 20 milioni di lavoratori nel settore (ovviamente da formare e a cui fornire le necessarie attrezzature), sapendo che attualmente in Italia siamo in tutto 18-19 milioni di lavoratori.
Ovvero dovrebbe tutti lavorare nell’edilizia (compresi i disoccupati), tralasciando tutte le altre attività lavorative.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che, addirittura, sarebbero previsto, per chi non si adegua, il divieto di affittare o di vendere tali immobili.
Se anche il governo non avesse affossato il Superbonus 110%, non tanto riducendo la quota di detrazioni all’80%, ma soprattutto vietando la cedibilità dei crediti fiscali, il che taglierà fuori dal beneficio la grande maggioranza dei proprietari, fiscalmente incapienti, con l’attuale forza lavoro si potrebbero mettere a norma solo 840’000 edifici nei tempi imposti dalla UE, lasciando quasi 8 milioni di edifici fuori norma, sui 12 milioni esistenti in tutta Italia. Ovvero 2 edifici su 3 non sarebbero più né affittabili, né vendibili.
Si tratta, quindi, non solo di una disposizione impossibile, ma delirante.
E’ solo il caso di far notare che nessuno dei geni che ci governano, né dei geni che fanno finta di fare opposizione, se ne sia accorto. Quantomeno non si è sentito nessuno che abbia denunciato l’impossibilità delle richieste della UE, con la proposta di rispedirle al mittente.

Conclusioni
La prima conclusione da tratte è che in Europa e in Italia non siamo governati da ecologisti, ma da persone in preda ad un delirio ideologico.
Infatti concentrano tutte le attenzioni ad un solo aspetto, forse neppure il più urgente, delle questioni ambientali, senza occuparsi di tutti gli altri aspetti.
In secondo luogo vogliono imporre ai cittadini europei ed al mondo produttivo delle misure fattivamente impossibili da realizzare e con conseguenze catastrofiche certe sull’economia.
Se dobbiamo impegnarsi a salvaguardare il pianeta, lo dobbiamo fare per il nostro benessere e dei nostri discendenti.
Se le misure proposte portano inevitabilmente a sommergere di debiti cittadini e imprese, a devastare l’ambiente in altre zone del pianeta, a bloccare il mercato immobiliare, impedendo alla gente di cambiare casa o di vendere un immobile, a doversi privare dei mezzi di trasporto…
E tutto questo senza incidere più di tanto sull’effetto serra, dato che il resto del mondo continuerà ad inquinare come e più di oggi.

Nel frattempo gli stessi che ci governano trascurano, per ossequio alle varie lobbies industriali, tante altre questioni che riguardano la qualità di vita della gente, come la diffusione di altre sostanze inquinanti nell’ambiente, nei cibi, nei farmaci. Come la crescita della produzione e vendita di armi, che porta inevitabilmente all’aumento di morti ed al maggior potere dei produttori di armi nei confronti dei decisori politici. Ricordiamoci che “L’Italia ripudia la guerra”. Non lo abbiamo scritto a caso nella Costituzione.

Vorrei chiedere ai nostri politici ed ai giornalisti che fanno informazione di liberarsi da questi folli condizionamenti ideologici, perché la storia ci insegna quanti morti sono arrivati dalle derive ideologiche nei decisori politici.
Chiediamoci se l’attuale modello economico, che punta a trasformare tutto in business, incurante degli “effetti collaterali” (sulle persone, sull’ambiente), sia davvero un modello economico adeguato pert gli obiettivi che ci prefissiamo.
Va bene usare le ideologie per pensare ad un mondo migliore, ma impariamo a fare sempre i conti con la realtà. Diversamente rischiamo di raggiungere risultati molto diversi da quelli sognati.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale _ di Andrew Korybko

Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale

Andrew Korybko
14 ore fa

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso il tri-multipolarismo potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

Le relazioni internazionali stanno correndo verso la tripolarità a un ritmo sorprendente, come risultato dei drammatici eventi che si sono verificati nell’ultimo anno e soprattutto nell’ultimo mese. I lettori che non hanno seguito da vicino questo megatrend potrebbero essere colti di sorpresa da questa valutazione, per cui è necessario che esaminino le seguenti analisi che collocheranno tutto nel contesto appropriato. Dopo averle elencate, verranno riassunte per comodità prima di spiegare cosa accadrà prossimamente:

Briefing di base

* 7 ottobre 2021: “Verso il bimultipolarismo”.

* 16 dicembre 2021: “Il Neo-NAM: dalla visione alla realtà”

* 15 marzo 2022: “Perché gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia rispetto alla Cina?”

* 26 marzo 2022: “La Russia sta conducendo una lotta esistenziale in difesa della sua indipendenza e sovranità”.

* 22 maggio 2022: “Russia, Iran e India stanno creando un terzo polo di influenza nelle relazioni internazionali”.

* 6 giugno 2022: “L’India è l’insostituibile forza di equilibrio nella transizione sistemica globale”.

* 20 giugno 2022: “Verso la doppia tripolarità: Una grande strategia indiana per l’era della complessità”.

* 5 agosto 2022: “Il Ministero degli Esteri russo ha spiegato in modo esauriente la transizione sistemica globale”.

* 1 ottobre 2022: “Il conflitto ucraino potrebbe aver già fatto deragliare la traiettoria della superpotenza cinese”.

* 29 ottobre 2022: “L’importanza di inquadrare correttamente la nuova guerra fredda”.

* 19 novembre 2022: “Analizzare l’interazione tra Stati Uniti, Cina, Russia e India nella transizione sistemica globale”.

* 29 novembre 2022: “L’evoluzione delle percezioni dei principali attori nel corso del conflitto ucraino”.

* 14 dicembre 2022: “La neutralità di principio dell’India produce grandi benefici strategici”.

* 28 dicembre 2022: “I cinque modi in cui gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’Europa nel 2022”.

* 1 gennaio 2023: “Il New York Times ha cercato di gettare ombra sull’ascesa globale dell’India”.

* 7 gennaio 2023: “Il vertice indiano sul Sud globale è l’evento multilaterale più importante degli ultimi decenni”.

* 11 gennaio 2023: “Smascherare l’agenda narrativa dei media occidentali nel distorcere la nuova distensione sino-americana”.

* 4 febbraio 2023: “L’incidente del palloncino cinese potrebbe spostare in modo decisivo le dinamiche dello ‘Stato profondo’ di Cina e Stati Uniti”.

* 14 febbraio 2023: “L’autodichiarazione della NATO sulla ‘corsa alla logistica’ conferma la crisi militare-industriale del blocco”.

* 26 febbraio 2023: “La Cina sembra stia ricalibrando il suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia”.

* 28 febbraio 2023: “Quanto cambierebbe drasticamente il mondo se la Cina armasse la Russia?”.

* 1 marzo 2023: “I forum globali come l’ONU e il G20 stanno gradualmente perdendo la loro importanza”.

* 1 marzo 2023: “La Germania mente: Le spedizioni di armi cinesi alla Russia non violerebbero il diritto internazionale”.

La “nuova distensione

Per semplificare eccessivamente la confluenza di queste complesse tendenze, gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia per facilitare il contenimento della Cina, ergo l’ultima fase del conflitto ucraino che hanno provocato attraverso l’operazione speciale di Mosca in corso in quel paese. Nel corso della guerra per procura tra NATO e Russia che ne è seguita, gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia unipolare sull’UE, destabilizzando al contempo il sistema globalizzato da cui dipende la grande strategia della Cina, che ha così ottenuto un vantaggio su Pechino.

Ciò ha a sua volta spinto il presidente Xi a lanciare un tentativo di “nuova distensione” durante il vertice del G20 di Bali di metà novembre, durante il quale sperava che Cina e Stati Uniti potessero raggiungere una serie di compromessi reciproci volti a stabilire una “nuova normalità” nei loro legami. Lo scopo era quello di ritardare la fine dell’ordine mondiale bimultipolare, all’interno del quale queste due superpotenze esercitavano la massima influenza sulle relazioni internazionali, messa in discussione dall’ascesa dell’India nell’ultimo anno.

L’influenza dell’India che cambia le carte in tavola

Lo Stato dell’Asia meridionale è diventato in questo periodo una Grande Potenza di rilevanza globale grazie al suo magistrale gioco di equilibri tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud globale guidato dai BRICS e dalla SCO, di cui fa parte. Il suo ruolo di kingmaker nella nuova guerra fredda tra i due Paesi per la direzione della transizione sistemica globale ha permesso al resto del Sud globale di crescere sulla scia dell’India, rivoluzionando così le relazioni internazionali e accelerando l’emergere del tri-multipolarismo.

La suddetta sequenza di eventi ha conferito alla “Nuova distensione” sino-americana un senso di urgenza, poiché entrambe le superpotenze avevano motivi di interesse personale per riprendere il controllo congiunto di questi processi, sebbene il loro tentativo di riavvicinamento sia stato inaspettatamente deragliato dall’incidente del palloncino. La rinnovata influenza delle fazioni della linea dura sulla definizione delle politiche, che si è verificata all’indomani di quell’incidente, ha interrotto bruscamente i loro incipienti colloqui e li ha posti sulla traiettoria di un’intensa rivalità.

I grandi ricalcoli strategici della Cina

Parallelamente a questo sviluppo, la NATO ha dichiarato di essere in una cosiddetta “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la Russia, il che implica che raddoppierà il suo sostegno militare a Kiev anche a spese del soddisfacimento delle esigenze minime di sicurezza nazionale dei suoi membri. Se questo blocco dovesse riuscire a fare breccia lungo la Linea di Controllo (LOC), potrebbe catalizzare lo scenario peggiore della “balcanizzazione” della Russia se queste dinamiche strategico-militari svantaggiose dovessero andare fuori controllo.

Sia il Presidente Putin che il suo predecessore Medvedev hanno recentemente messo in guardia da questa possibilità, che per ora rimane improbabile ma non può essere scartata, contribuendo così alla graduale ricalibrazione dell’approccio cinese alla guerra per procura tra NATO e Russia, in concomitanza con la fine della “Nuova distensione”. Ciò ha portato la Repubblica Popolare a considerare seriamente l’invio di aiuti letali al suo partner strategico per compensare lo scenario peggiore, provocando così le minacce di sanzioni da parte dell’Occidente.

“La grande triforcazione

Nel caso in cui la Cina si senta costretta dalla NATO ad aiutare la Russia in questo modo e il Miliardo d’Oro imponga sanzioni contro di essa in risposta, si prevede che potrebbe seguire un “decoupling” cino-europeo avviato dagli Stati Uniti sulla falsariga del precedente russo-europeo avviato dagli Stati Uniti. Il rapporto esclusivo di Reuters di mercoledì, che citava quattro funzionari statunitensi senza nome e altre fonti, ha ampliato il credito allo scenario precedente, rivelando che il “Golden Billion” sta effettivamente discutendo di sanzioni multilaterali.

Se questi due sviluppi dovessero verificarsi – la Cina che arma la Russia e poi viene sanzionata dal Miliardo d’Oro in modo tale da provocare il loro “disaccoppiamento” (graduale o istantaneo) – allora le relazioni internazionali entrerebbero in un periodo di tri-multipolarità caratterizzato dalla prominenza di tre poli che esercitano la maggiore influenza sugli affari globali, ma la cui influenza non sarebbe tuttavia assoluta, poiché sarà tenuta in qualche modo sotto controllo dalle potenze in ascesa e dai gruppi regionali.

L’ordine mondiale trimultipolare

I tre poli previsti sono il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India, che probabilmente continuerà a riunirsi informalmente in un nuovo Movimento dei non allineati (“Neo-NAM”). All’interno di quest’ultimo risiederanno potenze in ascesa come il Brasile, l’Iran, il Sudafrica e la Turchia, oltre a gruppi regionali come l’Unione Africana (UA), l’ASEAN e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC).

Ciascuna di queste tre categorie di attori – i tre poli, le potenze in ascesa e i gruppi regionali che si collocano al di sotto dei primi in questa gerarchia internazionale informale – dovrebbe bilanciarsi a vicenda attraverso un allineamento multiplo all’interno e tra i rispettivi livelli. Il ruolo dell’India sarà il più importante di tutti, poiché è in grado di facilitare il commercio tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nel caso in cui il loro potenziale “disaccoppiamento” venga portato all’estremo, cosa che non si può escludere.

Il ruolo di kingmaker dell’India

Inoltre, il fatto che l’India abbia ospitato virtualmente il vertice Voice Of Global South ha posizionato questo Stato-civiltà come centro di gravità per i suoi colleghi in via di sviluppo, il che rafforza la probabilità che il Neo-NAM continui a riunirsi informalmente attorno ad esso. Da lì, l’India può promuovere le proprie piattaforme finanziarie, tecnologiche e di altro tipo per fornire agli Stati del Sud globale una terza scelta neutrale tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nella nuova guerra fredda.

Anche le potenze in ascesa e i gruppi regionali che partecipano al Neo-NAM, non ufficialmente guidato dall’India, potrebbero sviluppare le proprie piattaforme, ma quella indiana potrebbe diventare lo standard per facilitare l’impegno tra loro nelle fasi iniziali. Parallelamente, i forum globali come l’ONU e il G20 non avranno più molto significato se non quello di fungere da club di discussione, mentre i gruppi regionali e guidati da interessi sostituiranno il loro ruolo precedente nel promuovere una cooperazione tangibile tra i Paesi.

Riflessioni conclusive

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso la tripolarità potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

https://korybko.substack.com/p/towards-tri-multipolarity-the-golden

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Voi e l’esercito di chi?_di Aurelien

Voi e l’esercito di chi?

La NATO farebbe bene a rimanere fuori dall’Ucraina.

di Aurelien

https://aurelien2022.substack.com/p/you-and-whose-army

 

I will do such things –
What they are yet I know not, but they shall be
The terrors of the Earth! – 
Shakespeare, King Lear.

 

Politici ignoranti e opinionisti confusi hanno fatto rumore di recente, minacciando, o addirittura fantasticando, su una sorta di intervento formale della NATO in Ucraina. In generale, non hanno idea di cosa stiano parlando e di quali sarebbero le implicazioni pratiche di un intervento. Ecco alcuni esempi del perché è un’idea stupida.

 

Nel gennaio del 1990, mi trovavo nel quartier generale della NATO a Bruxelles per una riunione di routine. Era una di quelle giornate fredde e umide in cui il Belgio è specializzato, ma c’era molto di più dietro l’atmosfera gelida e da mausoleo dei corridoi deserti. Negli ultimi mesi, il terreno si era continuamente mosso sotto i piedi della NATO e, non molto prima di Natale, la Romania, l’ultimo rimasuglio del Patto di Varsavia, era andata in fiamme. Nessuno aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo la settimana successiva, per non parlare del mese successivo, e la NATO cominciava ad assomigliare a un manifestante con un cartello per una causa già superata. Le capitali nazionali facevano fatica a tenere il passo con ciò che stava accadendo. Ho chiesto a un collega appena tornato da Washington cosa dicevano i falchi dell’Amministrazione Bush. La risposta è stata: “Sono sotto shock”.

 

Il fatto che la NATO esista ancora quasi trentacinque anni dopo, e che ora abbia il doppio dei membri di allora, ha incoraggiato alcune persone che non hanno prestato attenzione a credere che la NATO sia ancora la stessa potente organizzazione militare che era nel 1989, e che quindi basti minacciare un suo coinvolgimento formale in Ucraina, e i russi si allontaneranno. Non potrebbero essere più pericolosamente in errore.

Il fatto che la NATO sia sopravvissuta dopo il 1989 è stata una sorpresa per alcuni. Ma, come ho sottolineato, l’Alleanza aveva in realtà una serie di scopi utili per gli Stati europei e, in ogni caso, il mondo stava cambiando così rapidamente che non solo era impossibile trovare un accordo intorno a con che cosa sostituirla, ma era anche impossibile sapere che tipo di compiti avrebbe dovuto svolgere una futura organizzazione. Le organizzazioni non si chiudono all’improvviso e, in ogni caso, la NATO aveva ancora molto da fare. Quel giorno del gennaio 1990, la NATO era ancora profondamente coinvolta nei negoziati per il controllo degli armamenti a Vienna, che avevano finalmente dato una degna sepoltura alla Guerra Fredda, e continuava ad avere molto da fare, mentre i partner negoziali dall’altra parte del tavolo iniziavano ad avere quelli che si potrebbero definire problemi di coordinamento, e uno di loro si avvicinava al nostro lato del tavolo. Quando quella saga e le relative complicazioni furono finalmente risolte, la NATO si ritrovò in Bosnia, poi ad accogliere nuovi membri in un modo che non era stato previsto, poi in Kosovo, poi in Afghanistan. Tutto questo è stato essenzialmente improvvisato: non c’era un piano generale, se non un consenso pervasivo sul fatto che la NATO era più utile che no, e che era necessario trovarle cose da fare per mantenerla in vita.

 

Ma dietro le quinte stavano cambiando molte cose. La struttura militare della NATO, creata in preda al panico dopo la guerra di Corea e sempre pronta a mobilitarsi con breve preavviso, non serviva più a nulla. All’inizio lentamente, poi sempre più rapidamente, i contingenti nazionali che avevano costituito le sue forze permanenti cominciarono a sciogliersi. Una dopo l’altra, le nazioni europee abbandonarono il servizio di leva nazionale, ridussero radicalmente le dimensioni delle loro forze militari e sospesero le procedure di mobilitazione. Le forze statunitensi tornarono progressivamente a casa. La generazione di equipaggiamenti militari che stava entrando in servizio all’epoca è stata infine dispiegata, in numero ridotto, e per la maggior parte è ancora in servizio. I carri armati e gli aerei che la NATO intende inviare in Ucraina (il Challenger II, il Leopard II, l’F-16) sono essenzialmente progetti degli anni ’70, anche se molto aggiornati.

 

Il riconoscimento che la capacità della NATO di condurre una guerra seria è l’ombra di ciò che era un tempo sta lentamente iniziando a diffondersi nella comunità strategica, che non vi ha prestato attenzione nell’ultima generazione o giù di lì, perché aveva lo sguardo fisso sull’Afghanistan e sull’Iraq. Ma in realtà la situazione è molto peggiore, e come spesso accade i veri problemi sono nascosti nelle complessità tecniche. Ne tratterò brevemente alcuni, per spiegare perché l’intervento della NATO in Ucraina non è realmente possibile, se fosse possibile non sarebbe auspicabile, e anche se fosse auspicabile sarebbe totalmente inefficace, e persino pericoloso. Poiché non ho una formazione militare, lascerò questa parte agli esperti e mi concentrerò sulle questioni più ampie.

 

Dato che di recente i britannici hanno emesso alcuni dei rumori più bellicosi, analizziamo cosa è cambiato in quel paese dai tempi della Guerra Fredda. Nel 1989, l’esercito britannico del Reno poteva schierare un corpo d’armata completo di quattro divisioni, circa 55.000 soldati, pronti a essere rinforzati in guerra da quasi altrettanti riservisti e unità regolari provenienti dal Regno Unito. (C’era anche una potente componente aerea. Durante la cosiddetta fase di transizione verso la guerra, la mobilitazione sarebbe avvenuta con poteri bellici d’emergenza, togliendo le persone dai posti di lavoro e requisendo le risorse logistiche e di trasporto per trasferire decine di migliaia di combattenti in Europa, mentre le famiglie venivano evacuate nella direzione opposta. Il governo normale sarebbe stato sostituito e il Parlamento si sarebbe, di fatto, dissolto. Decine di migliaia di altre truppe sarebbero state mobilitate per la difesa interna. Si sarebbero introdotte misure di difesa civile per far fronte ai bombardamenti e alle operazioni di sabotaggio previsti. Il governo stesso sarebbe stato disperso e i ministri avrebbero operato come commissari regionali.

Anche sul continente, naturalmente, si stavano prendendo disposizioni simili. Milioni di riservisti sarebbero stati richiamati, inviati alle loro unità e, in alcuni casi, trasferiti a centinaia di chilometri nelle loro sedi di guerra. La vita ordinaria si sarebbe di fatto fermata, perché la mobilitazione avrebbe richiesto tutte le risorse delle nazioni coinvolte. Questo è il significato della “guerra” moderna: perché i russi dovrebbero accettare ora un accordo che ci causa meno problemi? Perché dovrebbero accettare una sorta di “guerra light”, limitata solo all’Ucraina?

 

C’è quindi da chiedersi se le nullità che parlano di “guerra” con la Russia abbiano una qualche idea di cosa significhi, e se capiscano come al giorno d’oggi non esistano nemmeno i meccanismi più elementari per renderla possibile. Tanto per cominciare, la guerra non è solo qualcosa che facciamo agli altri. Non si tratta di salutare i ragazzi che salpano per andare a combattere in un paese straniero, ma di combattere deliberatamente con qualcuno che può farci molto più male di quanto noi possiamo farne a lui. Le implicazioni pratiche sono molteplici: vediamo solo alcune delle più importanti.

 

Oggi nessuno “dichiara guerra”. Dopo il processo di Norimberga e la Carta delle Nazioni Unite, in cui le nazioni si impegnano ad astenersi dall’uso della forza, non è più possibile iniziare proattivamente uno stato di guerra con un’altra nazione. Dire, come alcuni hanno fatto, “siamo in guerra con la Russia” non ha quindi alcun senso, se non come slogan politico. Non ha alcuna forza legale. L’unico organo in grado di “dichiarare guerra” è il Consiglio di Sicurezza, e questo non accadrà in questo caso. Poiché i russi si sono guardati bene dall’attaccare il territorio della NATO o dall’impegnare deliberatamente le forze della NATO, non si può parlare di “stato di guerra” con le nazioni della NATO.  Esiste invece uno stato di “conflitto armato”, che ha una sua definizione: essenzialmente violenza armata prolungata tra Stati o tra Stati e altri gruppi armati. Ma il “conflitto armato” è appunto uno stato di cose, non un processo o una dichiarazione, ed esiste o non esiste come questione di fatto e di diritto. Quindi, se è ovvio che esiste un conflitto armato in Ucraina, è altrettanto ovvio che gli Stati occidentali non ne sono parte. È quindi difficile capire come le fantasie dei politici bellicosi possano effettivamente realizzarsi.

 

L’unico modo in cui ciò potrebbe potenzialmente avvenire sarebbe se l’Ucraina facesse una richiesta formale di assistenza militare agli Stati occidentali. È così che i russi hanno giustificato le loro operazioni in Ucraina, sostenendo che stanno assistendo le repubbliche secessioniste nell’esercizio del loro diritto di autodifesa, che è preservato (anche se ovviamente non è stato stabilito) dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ma non è chiaro cosa significherebbe in pratica e fino a che punto le forze occidentali potrebbero effettivamente spingersi. Attacchi diretti al territorio russo, ad esempio, sarebbero probabilmente esclusi se si utilizzasse questo argomento.

Ma mettiamo che in qualche modo questi problemi possano essere superati e che si annunci con gioia che le nazioni della NATO entreranno nel conflitto come belligeranti a tutti gli effetti. Questo farebbe tremare i russi, non è vero? In realtà no. Vedete, se siamo in stato di guerra con un altro Paese e siamo liberi di attaccarlo, allora anche lui è libero di attaccarci. Non c’è modo di circoscrivere un simile conflitto all’Ucraina e non c’è motivo per cui i russi dovrebbero volerlo fare. Quindi la prima conseguenza è che le nazioni della NATO, le forze della NATO e gli obiettivi della NATO sarebbero esposti all’attacco immediato della Russia, in un momento in cui i sottocomitati stanno ancora lavorando a Bruxelles per cercare di generare forze. Cosa farebbero quindi i russi?

 

In uno stato di guerra, qualsiasi “obiettivo militare” può essere attaccato. In pratica, oggi questo significa unità militari, quartieri generali militari, la catena decisionale politica per la guerra e le infrastrutture di trasporto, energia, industria ecc. necessarie per sostenerla. Ora non sappiamo, e i russi ovviamente non ce lo diranno, quali siano le loro capacità di attacco a lungo raggio con armi convenzionali. Non sappiamo, ad esempio, di quali capacità dispongano per bombardare gli Stati Uniti con munizioni convenzionali da navi e sottomarini e se intendano usarle, ma non sarebbe saggio escludere questa possibilità. Ma dobbiamo presumere, anche solo a fini di pianificazione, che abbiano modo di colpire obiettivi importanti nella maggior parte o in tutti i Paesi occidentali, con missili lanciati da aerei, navi o sottomarini. Se limitiamo in modo molto prudente le capacità russe all’attacco di venticinque obiettivi principali, cosa potrebbero fare, tenendo presente che la NATO non ha una difesa efficace contro tali attacchi? Alcuni obiettivi sono ovvi: il Pentagono e la Casa Bianca, ad esempio, o le sedi della CIA e della NSA. Il quartier generale della NATO a Bruxelles non resisterebbe a lungo, così come il suo quartier generale militare a Mons. Anche i ministeri della Difesa, i quartieri generali militari e le cancellerie delle principali potenze europee possono essere considerati obiettivi probabili.

 

Ma ovviamente i russi non sono obbligati a consegnare una lista di obiettivi e quindi, in pratica, gli Stati occidentali dovrebbero considerare centinaia di siti come potenziali bersagli, a seconda delle scorte di missili di cui i russi dispongono e di come decidono di usarli. Ovviamente, tutti gli aeroporti militari sarebbero potenziali obiettivi. Ma mentre si concentrano le forze di terra in un momento di tensione, si disperdono le forze aeree. Durante la Guerra Fredda, molti Paesi tenevano in stand-by campi d’aviazione di riserva: mi stupirei se ce ne fossero molti oggi. In pratica, gli aerei dovrebbero essere dispersi in aeroporti civili, che diventerebbero obiettivi militari e dovrebbero essere chiusi ai voli civili. Tutte le basi militari, le guarnigioni militari, i quartieri generali, le strutture di stoccaggio delle munizioni, i depositi di riparazione, le basi navali, i porti civili in cui le navi militari potrebbero essere disperse, le strutture di raccolta dell’intelligence e i principali snodi di trasporto, tra le altre cose, dovrebbero essere considerati obiettivi potenziali.

 

Tutto questo è importante per due motivi. In primo luogo, nessun governo oggi ha preso provvedimenti seri per continuare a gestire il Paese durante una guerra convenzionale, con il rischio di attacchi aerei e missilistici. All’inizio della Guerra Fredda, i governi avevano previsto di nascondersi in rifugi speciali durante la fase convenzionale di una guerra, alcuni dei quali esistono ancora. Ma verso la fine, le armi nucleari erano diventate così precise e potenti che si riteneva molto improbabile che una di queste strutture potesse sopravvivere a un successivo attacco nucleare, e quindi tendevano a cadere in disuso. Quindi, di fatto, i Paesi della NATO non solo non sono in grado di difendersi da un attacco missilistico convenzionale, ma non hanno nemmeno i mezzi per proteggere la cosiddetta “continuità di governo” da tali attacchi. Quindi un missile sul Palazzo dell’Eliseo, uno sul Ministero della Difesa e uno sul Quartier Generale delle Forze di Terra a Lille, e questo sarebbe tutto per la Francia, ad esempio.

 

In secondo luogo, sebbene la nuova generazione di missili russi sia presumibilmente piuttosto precisa, dobbiamo ricordare che la precisione è relativa e non può essere garantita. La precisione viene normalmente espressa in base a una misura nota come Errore Circolare Probabile, o CEP. Si tratta del raggio dal bersaglio entro il quale si prevede che il cinquanta per cento dei missili cadrà. Non vengono fornite garanzie su dove atterrerà il restante cinquanta per cento. Quindi, se un missile ha un CEP di 200 metri, il cinquanta per cento delle volte si prevede che atterri entro un cerchio di 400 metri di diametro, il cui epicentro è il bersaglio previsto. Alla luce di ciò, del raggio d’azione delle esplosioni e della tendenza di alcuni missili a perdersi, si può affermare che chiunque o qualsiasi edificio si trovi nel raggio di un chilometro da un potenziale obiettivo di alto valore è potenzialmente a rischio. In tutto il mondo occidentale, centinaia di migliaia di persone vivono spesso vicino ad aeroporti, porti marittimi e sedi centrali. (Il quartier generale permanente del Regno Unito si trova in un tranquillo sobborgo di Londra).

In molte città europee, le strutture governative e militari sono raggruppate nel centro della capitale. Ciò significa che gran parte del centro stesso della città sarebbe a rischio. Nella maggior parte dei Paesi non è affatto chiaro dove il governo potrebbe trasferirsi, in caso di crisi, per continuare a operare. Anche se fosse possibile evacuare le figure di spicco del governo in un luogo nominalmente più sicuro, sarebbe necessario chiudere completamente al pubblico almeno il centro di alcune città (poiché alcuni servizi governativi dovrebbero rimanere e quindi essere obiettivi) e non ci sarebbe modo di prevenire l’evacuazione spontanea di decine o centinaia di migliaia di residenti comuni. In effetti, con i moderni livelli di possesso di automobili, le autostrade sarebbero presto intasate di persone in fuga da siti che si prevede, o si dice, siano sulla lista degli obiettivi russi. Nessun governo moderno ha piani per l’evacuazione e l’alloggio di un gran numero di rifugiati, al giorno d’oggi, e nemmeno per gestire un esodo popolare spontaneo. Tutto questo, ovviamente, comincerebbe ad accadere prima che il primo missile russo venga lanciato, ammesso che ne venga lanciato uno. Il fatto che i governi occidentali debbano spiegare che non esiste una difesa efficace contro tali missili, e che non ci sono piani né strutture per proteggere la popolazione civile da essi, non aiuterebbe nemmeno a calmare il clima politico. Nessun governo occidentale ha le forze o i piani disponibili per contenere il panico e la confusione che probabilmente ne deriverebbero.

 

Ma sicuramente, direte voi, l’opinione pubblica occidentale sarà confortata dal pensiero che le proprie forze stanno eseguendo una punizione contro la Russia? Non è detto. Semplicemente, le nazioni occidentali hanno visto una scarsa necessità di missili convenzionali a lungo raggio e non si sono impegnate molto per svilupparli. I più noti sono i missili da crociera subsonici della famiglia Tomahawk, con gittate che si aggirano per lo più intorno ai 1000-1500 km e con una testata di circa 500 kg (più o meno equivalente a una singola bomba sganciata da un bombardiere tedesco nel 1940). Queste armi possono essere efficaci, ma vengono lanciate da navi e sottomarini e quindi i bersagli devono essere abbastanza vicini al mare. A questo punto è utile prendere una mappa.

 

La prima cosa che colpisce è che la Russia è un posto grande. La seconda è che Mosca è molto lontana. I missili Tomahawk lanciati dal Baltico o dal Mediterraneo orientale potrebbero avere la gittata necessaria per raggiungere Mosca, almeno in teoria. D’altra parte, come la stessa opinionista ricorda di aver detto, la Russia ha ereditato dall’Unione Sovietica il sistema di difesa aerea più completo del mondo. Quale sia la sua efficacia contro i missili da crociera subsonici ma a bassa quota, non lo sanno nemmeno gli esperti. Detto questo, la NATO non può rappresentare per la Russia la stessa minaccia che i nuovi missili russi possono rappresentare per i Paesi della NATO, e si deve presumere che i russi sarebbero in grado di individuare e colpire il sistema di lancio della NATO stessa. Gli aerei con equipaggio che tentano di sganciare bombe convenzionali su Mosca da basi in Europa, anche se ne avessero il raggio d’azione, potrebbero subire perdite tali che nessun governo ne riterrebbe utile l’uso.

 

Ma supponiamo che le città e le aree bersaglio possano essere evacuate in sicurezza e che i governi e le economie occidentali possano essere messi in condizioni di guerra. La potenza aerea e i missili saranno inefficaci, quindi l’unica vera opzione è quella di formare e dispiegare una forza multinazionale meccanizzata di qualche tipo, presumibilmente per aiutare gli ucraini a recuperare il territorio che rivendicano come proprio.

 

Ebbene, fermiamoci qui. Le nazioni occidentali non sanno più come fare queste cose. Sto parlando della dottrina militare: l’insieme dei principi che indicano ai comandanti come combattere. La NATO non ne ha per le operazioni offensive meccanizzate lontano dal territorio nazionale, e non ne ha mai avute. Durante la Guerra Fredda l’orientamento della NATO, e quindi la sua dottrina, era difensivo. Il presupposto era che le sue forze avrebbero affrontato un attacco da parte di un nemico più grande e più potente, e che avrebbero condotto una ritirata combattiva, sperando di fermare l’incursione nemica il più vicino possibile al confine con la Germania interna. In ogni momento, quindi, le forze della NATO avrebbero ripiegato sulle proprie linee di rifornimento, verso le proprie riserve e i propri depositi di manutenzione e rifornimento, mentre le forze nemiche si sarebbero progressivamente allontanate dalle loro.

 

Per quanto ne so, i comandanti della NATO non si sono mai addestrati o esercitati per una guerra meccanizzata aggressiva a lunga distanza, e non esiste una dottrina al riguardo, il che significa che nessuno sa come farla, né tanto meno come integrare le forze di terra con quelle aeree e con altri mezzi. In Bosnia, la NATO era un esercito di occupazione, che non combatteva. Dopo la campagna aerea contro la Serbia, la situazione in Kosovo era simile. In Afghanistan, la NATO in quanto tale si è schierata solo dopo la sconfitta del regime talebano e la maggior parte delle sue attività sono state di controinsurrezione su piccola scala. L’equivalente più vicino al tipo di operazione che sarebbe necessaria in Ucraina (anche se allora con forze soverchianti e completa superiorità aerea) è stato l’Iraq del 2003, ma i comandanti anziani di quell’epoca sono andati in pensione da tempo e la conoscenza istituzionale è andata perduta.

Inoltre, sebbene negli eserciti occidentali esistano ancora unità a dimensione di brigata, si tratta sempre più di formazioni amministrative, che raramente o mai si addestrano insieme. Qualsiasi forza occidentale dovrebbe passare settimane o mesi ad addestrarsi insieme, con tanto di riservisti mobilitati, prima di poter essere considerata pronta a schierarsi. Poi, naturalmente, dovrebbe addestrarsi con brigate di altre nazioni, il tutto in assenza di una dottrina militare coerente e concordata. Poiché a quel punto la NATO avrebbe inevitabilmente dovuto ammettere di essere in stato di guerra con la Russia, si può solo sperare che i russi, sportivamente, non prendano di mira le unità mentre si addestrano.

 

E soprattutto, quale sarebbe l’obiettivo? “Uccidere russi” non è un obiettivo militare. Quando il Comandante supremo delle Forze Alleate in Europa si presenta al Consiglio Nord Atlantico dopo tutti questi preparativi e dice “cosa volete che faccia?”, sarà meglio che riceva una risposta. Ma non c’è, o per essere precisi non c’è nemmeno una risposta che risponda al clamore politico. Con notevoli difficoltà (vedi sotto) alcune unità militari occidentali potrebbero essere trasportate nell’Ucraina occidentale, dove potrebbero formare un presidio improvvisato intorno ad alcune delle principali città ucraine. Questo potrebbe essere politicamente efficace nel breve termine, ma le forze stesse sarebbero completamente esposte, poiché potrebbero essere attaccate dai russi senza essere in grado di rispondere. E non è certo quanto a lungo le opinioni pubbliche occidentali accetterebbero di avere i loro interi eserciti utilizzabili legati in una posizione statica in Ucraina. Inoltre, molte unità da combattimento europee dipendono pesantemente dai riservisti: l’unica unità da combattimento seria dell’esercito olandese, ad esempio, la 43esima brigata meccanizzata con la sua manciata di carri armati, conta sui riservisti per circa un quarto della sua forza operativa: per quanto tempo è possibile tenerli lontani dal loro lavoro e dalle loro famiglie?

 

Ma ovviamente, per cominciare, bisogna portarli fino a quel punto. Nella Guerra Fredda, le truppe della NATO (e anche quelle sovietiche) si trovavano essenzialmente nelle posizioni in cui avevano combattuto nel 1945. In entrambi i casi, hanno occupato strutture esistenti della Wehrmacht. Nel corso dei decenni, nuove unità e nuove attrezzature sono state costruite a poco a poco, sono stati edificati alloggi e così via. Questo tipo di infrastruttura dovrebbe essere riprodotta in Ucraina e, anche se venissero utilizzate le strutture dell’UAF, ci sarebbe comunque un massiccio programma di dispiegamento e di costruzione di infrastrutture che richiederebbe anni.

 

E in ogni caso, i combattimenti non sono lì. Si svolgono a circa mille chilometri a est, quindi le truppe della NATO dovrebbero spostarsi di nuovo, a una distanza pari all’incirca a quella che separa Parigi da Monaco, solo per raggiungere il luogo dei combattimenti. Non credo ci siano precedenti nella storia per questo tipo di movimento di attrezzature pesanti e di uomini su una tale distanza, sotto attacco aereo e missilistico, e a contatto con forze superiori.

 

I carri armati occidentali della Guerra Fredda, come il Leopard, il Challenger e l’M1, sono stati costruiti per combattere una guerra difensiva. Sebbene alcuni modelli fossero più leggeri di altri, tutti dovevano utilizzare le eccellenti infrastrutture, i solidi ponti e i sistemi ferroviari dell’Europa occidentale e iniziare la guerra non molto lontano dal luogo in cui erano stanziati. Il solo fatto di portarli in prima linea, con i loro veicoli per il recupero e i pezzi di ricambio, ecc. sarebbe stata una sfida. Ma ovviamente c’è di più. Anche i veicoli cingolati corazzati “leggeri” non possono facilmente muoversi lungo alcune strade senza danneggiarle, o attraversare tutti i ponti. Per avere un’idea di cosa comporterebbe lo spostamento di una brigata, anche su terreni permissivi, date un’occhiata a questo diagramma di una tipica brigata di fanteria corazzata britannica. Vedrete che ha circa 500 veicoli da combattimento, di cui circa il dieci per cento sono carri armati principali, che a loro volta richiederebbero grandi e pesanti trasportatori per spostarli a qualsiasi distanza. A questi vanno aggiunti i veicoli di recupero, i veicoli per le riparazioni, i veicoli per i meccanici, i veicoli medici e tutta una serie di veicoli di trasporto e di rifornimento. Tutto questo potrebbe facilmente portare a una colonna lunga una decina di chilometri, che deve viaggiare lungo percorsi autorizzati e protetti attraverso la maggior parte dell’Europa. (Per tacere dell’attraversamento del Canale della Manica). Una volta in posizione, la Brigata dovrebbe essere rifornita, fornita di nafta, olio e lubrificanti, ricambi e materiali di consumo, officine e un piccolo ospedale. Se dovesse entrare in azione, le vittime dovrebbero essere evacuate, i rinforzi dispiegati e le attrezzature danneggiate riparate, se possibile, poiché è improbabile che possano essere sostituite. E questa è solo una Brigata di un Paese.

 

Quante brigate di questo tipo la NATO potrebbe effettivamente schierare? Nessuno lo sa, ma la stima migliore sembra essere tra le sei e le dieci, tenendo presente che, se siamo in guerra con la Russia, potrebbe essere utile avere anche qualche truppa in patria. Lascio agli esperti militari giudicare il valore di una forza meccanizzata leggera di queste dimensioni, ma onestamente dubito che Mosca sia troppo preoccupata.

 

E questo è il problema. L’Occidente è così inebriato dalla percezione della propria potenza che presume che anche gli altri lo siano. Dopo tutto, gli Stati Uniti spendono per la difesa molto più della Russia, quindi dovrebbero essere molto più potenti, no? Ebbene, in alcuni settori, come i gruppi tattici di portaerei, lo sono. Ma i russi non vogliono giocare a questo gioco: vogliono giocare alla guerra terrestre/ aerea ad alta intensità in Europa, un gioco a cui l’Occidente ha sostanzialmente rinunciato una generazione fa e che può giocare solo per una o due settimane al massimo prima di esaurire le munizioni. L’altra illusione è che l’Occidente sia intoccabile. Non oserebbero mai lanciare un missile sul quartier generale della NATO, vero? Voglio dire, se lo facessero, noi… noi… beh, cosa faremmo? Le minacce nucleari sono riconosciute come pericolose, inutili e irrilevanti. Come Re Lear nella citazione all’inizio di questo saggio, la NATO farà… qualcosa, quando capirà cosa. Ma se fossi nei russi sarei scettico: dopo tutto, ricordate cosa è successo a Lear.

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DIRITTO DIVINO PROVVIDENZIALE E DOTTRINA DELLO STATO BORGHESE, di Teodoro Klitsche de la Grange

DIRITTO DIVINO PROVVIDENZIALE

E DOTTRINA DELLO STATO BORGHESE

  1. E’ tradizionale nella dottrina del diritto francese, di uno Stato formato da otto secoli di monarchia, iniziare la trattazione dei poteri pubblici dalla giustificazione teologica del potere stesso[1]. A cui si fa seguire l’esposizione della teoria del diritto divino e la distinzione tra “doctrine du droit divin surnaturel” e “doctrine du droit divin providentiel” attribuendo l’affermazione della prima ai Re di Francia (Barthélemy – Duez) e particolarmente a Luigi XIV e Luigi XV, ovvero a Bossuet (Hauriou); mentre per la seconda l’attribuzione è concorde a de Maistre e de Bonald[2]. La distinzione tra le due concezioni è così esposta da Hauriou: “La dottrina teologica ha avuto due forme successive in Francia: 1) la dottrina del diritto divino soprannaturale (Bossuet) che consiste nel sostenere che Dio stesso sceglie i governanti e l’investe dei loro poteri: questa concezione è compatibile solo con la monarchia assoluta; 2) La dottrina del diritto divino provvidenziale (de Maistre e de Bonald) secondo cui il potere, nel suo principio fondamentale fa parte dell’ordine provvidenziale del mondo, ma è a disposizione dei governanti mediante mezzi umani; questa dottrina permette altrettanto adeguatamente sia la giustificazione del potere minoritario, esercitato da un’élite, che del potere maggioritario, esercitato dalla maggioranza del popolo (vox populi vox Dei)” e prosegue sottolineando i vantaggi di questa seconda teoria: 1) di significare che l’istinto del potere è nella natura umana, e in tal senso, pre-sociale; 2) di collocare l’origine del potere al di sopra sia della collettività sociale, sia del diritto dei governanti, sia di chiunque: ossia di non portare a nessun assolutismo; è la più propizia alla libertà; 3) provenendo da Dio il potere è per natura orientato verso la ragione, la giustizia ed il bene comune.

E soprattutto come appare dal contesto sistematico di tali considerazioni, permette di ricollegare pouvoir de fait e pouvoir de droit, di “aprire” cioè il diritto ai mutamenti della storia. In un senso più specifico, di fondare il potere costituente (umano) al di sopra della stessa costituzione. Barthélemy e Duez sostengono, del pari, che la dottrina del diritto divino provvidenziale non è necessariamente aristocratica o monarchica, perché ogni uomo o classe può essere scelto dalla Provvidenza per eseguire i propri disegni: quindi non è contraria alla democrazia[3]. Sia Barthélemy che Carré de Malberg considerano la dottrina del diritto divino provvidenziale come già formulata da S. Tommaso e seguita dalla maggior parte dei teologi cattolici[4].

Tale concezione tuttavia non è considerata da tutti i giuristi un “antecedente” della democrazia moderna. Jellinek, nello scrivere della democrazia – e delle repubbliche – moderne le ricollega alle concezioni della Riforma, in particolare a quelle calviniste[5]. Otto Von Gierke ritiene che fu “la Riforma a far rivivere con nuova energia il pensiero teocratico. Attraverso tutte le differenze delle loro concezioni, Lutero, Melantone, Zwinglio e Calvino concordano nell’insistere sulla funzione cristiana e quindi sul diritto divino dei governanti. Anzi, dato che per un verso sottomettono più o meno decisamente allo Stato il dominio della Chiesa e per l’altro legittimano l’esistenza dello Stato in base all’adempimento dei suoi doveri religiosi, essi conferiscono al principio di S. Paolo omnis potestas a Deo una portata fino allora sconosciuta”. Tuttavia non trascura la dottrina della Seconda Scolastica, e scrive che i più accaniti avversari della Riforma, “particolarmente i  Domenicani ed i Gesuiti impugnarono tutte le loro armi spirituali a favore di una costruzione puramente temporale dello Stato e del diritto di sovranità” (anche per sostenere la tesi della potestas indirecta implicante una limitata subordinazione dello Stato alla Chiesa) “Lasciando però fuori causa i rapporti con la Chiesa, essi svilupparono in effetti una dottrina dello Stato scevra di qualsiasi presupposto dogmatico, su fondamenti puramente filosofici: Questo vale non soltanto per gli autentici monarcomachi di questo gruppo: Anche i maggiori teorici di questa tendenza sono d’accordo nel ritenere che l’unione statale abbia le sue radici nel diritto naturale, che in forza di questo spetti alla collettività associata la sovranità sui suoi membri, e che ogni diritto dei governanti provenga dal volere della collettività alla quale il diritto naturale attribuisce la facoltà e l’obbligo di trasmettere i propri poteri”[6]

Carl Schmitt sostiene  “Secondo la concezione medievale solo Dio ha una potestas constituens, per quanto di questa si possa parlare: La frase:” Ogni potere (o autorità) viene da Dio” (Non est enim potestas nisi a Deo, Rom. 13,1) significa  il potere costituente di Dio. Anche la letteratura politica dell’epoca della Riforma si attiene a ciò, soprattutto la teoria dei monarcomachi calvinisti” e continua che, con la dottrina del pouvoir constituant di Sieyés, è la nazione il soggetto del potere costituente, malgrado lo sviluppo dell’assolutismo  “Nel XVII secolo il principe assoluto non è ancora definito come soggetto del potere costituente, ma solo perché l’idea di una libera decisione totale, presa dagli uomini, sulla forma e la specie della propria esistenza politica assai lentamente poteva svilupparsi in azione politica: Le conseguenze delle concezioni teologiche-cristiane del potere costituente di Dio nel XVIII secolo,nonostante l’illuminismo, erano ancora troppo forti e vitali”.[7]

  1. Resta da vedere in che misura la teoria del pouvoir constituant – e di riflesso della sovranità nazionale – sia il risultato non solo dell’Illuminismo, delle concezioni di Rousseau e dei giacobini, ma della teologia politica cristiana e più specificamente, della teoria del diritto divino “provvidenziale”.

Che la concezione di Sieyés fosse la secolarizzazione della teologia politica, con la Nazione onnipotente al posto del Dio Onnipotente è chiaro; meno è se tale concezione fosse tributaria delle riflessioni dei filosofi del XVII secolo – in particolare Hobbes e Spinoza (e, poi, Rousseau) – o della teologia cattolica e riformata, in particolare del XVI e XVII secolo [8], ovvero dei giuristi   teorici   del diritto naturale. In effetti i connotati di tale concezione, che valgono a distinguerla, sono, oltre a quelli indicati da Hauriou, altri, presenti nel pensiero dell’abate rivoluzionario.

Sieyés sostiene che la “La Nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto: La sua volontà è sempre conforme alla legge, essa è la legge stessa: Prima di essa e al di sopra di essa non c’è che il diritto naturale” e prosegue “ In ogni sua parte la Costituzione non è opera del potere costituito, ma del potere costituente: Nessun tipo di potere delegato può cambiare alcunchè delle condizioni della propria delega. E’ in tal senso e non in altro che le leggi costituzionali sono fondamentali. Le prime, quelle costitutive del potere legislativo, vengono fondate dalla volontà nazionale prima di qualunque Costituzione, Esse ne formano il primo gradino”[9]. Insiste ripetutamente sul concetto di volontà, “che è al di fuori di ogni forma” e che “ una Nazione non può né alienare né interdire a se stessa la facoltà di volere; e qualunque sia la sua volontà, non può perdere il diritto di mutarla qualora il suo interesse lo esiga”; per cui “ Quand’anche le fosse concesso, una Nazione non deve insabbiarsi nelle pastoie di una forma positiva: equivarrebbe a rischiare di perdere irrevocabilmente la propria libertà, perché sarebbe sufficiente una sola occasione favorevole alla tirannia, per legare i popoli, con il pretesto della Costituzione, ad una forma che impedirebbe loro di esprimere liberamente la propria volontà, e di liberarsi dunque dalle catene del dispotismo”; è chiaro che in tal modo, viene  fondato il “diritto” della comunità a darsi la forma istituzionale che preferisce senza che la volontà morfopoietica  della Nazione possa essere sottoposta ad alcun vincolo giuridico.

In effetti tale concezione di Sieyés significa che non esiste un diritto al potere di chicchessia per investitura divina, ma solo la potestas della comunità di darsi la forma che preferisce: la modellazione della forma, e quindi il diritto e la scelta di chi esercita il potere è rimesso alla volontà e all’opera umana. In qualche misura “aggiorna” il pensiero della teologia cristiana, e tomista in particolare, sulla tirannide, basato sul principio che “tota respublica superior est rege[10].

Parimenti in Sieyés è naturale la tendenza umana ad associarsi: l’uomo è un animale politico, come sempre ripetuto dalla teologia cristiana, per cui è naturalmente portato ad associarsi: l’istinto politico – dell’ordine e del potere –  è quindi naturale e, addirittura, pre-sociale, come sostiene Hauriou. E i teologi in vario modo avevano argomentato sia il carattere di legge naturale che la ragionevolezza dell’ aggregazione degli uomini in società; per lo più spiegandolo con la debolezza umana, non avendo l’uomo armi naturali come zanne, artigli e dovendo difendersi dalle fiere[11], nonchè  dagli altri uomini; da ciò la necessità  di costituire un potere comune e far rispettare la legge[12]. Non dissimile dalle rappresentazioni dei teologi è quanto scriveva Sieyés: “Esiste, a dire il vero, una grande ineguaglianza di mezzi fra gli uomini. La natura li crea forti o deboli; ad alcuni concede un’intelligenza, mentre ad altri la rifiuta. Ne consegue che vi sarà fra essi ineguaglianza di lavoro, ineguaglianza di risultati, ineguaglianza di consumo o di godimento; ma non ne consegue che possa esservi ineguaglianza di diritti”, per cui “il diritto del debole sul forte è lo stesso di quello del forte sul debole. Quando il forte riesce ad opprimere il debole, produce un effetto senza produrre un obbligo. Lungi dall’imporre un nuovo dovere al debole, rianima in esso il dovere naturale ed imperituro di resistere all’oppressore” e “Dunque una società fondata sulla reciproca utilità è in sintonia con i mezzi naturali che si offrono all’uomo per raggiungere il proprio fine; in tal senso questa unione è un bene, e non un sacrificio e l’ordine sociale diviene un’estensione, un complemento dell’ordine naturale……”[13]; la associazione in  società è ragionevole perché lo stato sociale non tende a degradare, ad avvilire gli uomini,ma, al contrario, a nobilitarli, a perfezionarli. Dunque “la società non indebolisce, non riduce i mezzi particolari che ogni individuo apporta all’associazione per sua personale  utilità; al contrario, li accresce;; li moltiplica, sviluppando le facoltà morali e fisiche; li accresce ancora attraverso il fondamentale concorso dei lavori e dei pubblici soccorsi” e “L’uomo, entrando in società, non sacrifica dunque una parte della sua libertà: anche quando non esisteva il vincolo sociale, nessuno aveva il diritto di nuocere  ad un altro” e “Lungi dal limitare la libertà individuale, lo stato sociale ne amplifica e ne assicura il godimento; esso allontana una moltitudine di ostacoli e di pericoli ai quali era esposta, quando era garantita unicamente dalla forza privata, e la affida al controllo onnipotente dell’intera associazione. Così, poiché nello stato sociale l’uomo accresce i suoi mezzi morali e fisici, sottraendosi nello stesso tempo all’inquietudine che ne accompagna l’uso, non è errato affermare che la libertà è più completa e assoluta nell’ordine sociale di quanto non possa esserlo nello stato detto di natura”. Diversamente da quanto affermava Rousseau, quindi il giudizio sullo stato sociale è positivo, come sempre sostenuto dalla teologia cristiana. Non c’è nulla dell’accorato inizio del Contrat social : “L’uomo è nato libero ed è ovunque in catene”, né della spiegazione che Rousseau da dello stato sociale nel  Discours sur l’origine de l’inégalité parmi les hommes , come soluzione che favorisce i più ricchi, che assicurano  col potere pubblico le proprie posizioni.[14]

  1. D’altra parte la concezione di Sieyés si distingue da quella del diritto divino soprannaturale, comune a Bossuet, come a Lutero e Calvino.

Lutero ritiene che la ribellione ai poteri costituiti sia contraria alle Sacre Scritture e che il cristiano, anche se vessato da un potere malvagio , deve sottomettersi e rimettersi alla volontà (e diritto) divino[15], perché farsi giustizia da soli significa abusare di un diritto che appartiene solo a Dio. Calvino contesta la tesi degli anabatttisti che non sia  lecito  al cristiano essere magistrato o  sovrano[16], perché è “manifestamente contrario alla Scrittura che non ci debba essere più alcuna forma di governo”[17]; i governanti “ricevono la loro autorità da (Dio), e ne rappresentano la persona essendo in qualche  modo i suoi vicari;” condanna rivolte e sollevazioni popolari[18], poiché si deve essere sempre sottomessi alla volontà di Dio che ha    costituito dei re sui regni.[19]

Bossuet spiega il noto passo dell’Epistola ai Romani di S. Paolo così: i principi agiscono come ministri di Dio e suoi luogotenenti in terra; il loro trono non è quello di un uomo,ma quello di Dio stesso; la persona del Re è sacra, anche se non cristiano come Ciro  , perché  rappresenta sempre la maestà Divina[20]. L’autorità è ad immagine di Dio: il principe è l’immagine materiale della (di Dio) immortale autorità. Nel principe l’uomo può morire ma l’autorità non muore mai[21]; il solo principio che possa assicurare              la stabilità degli Stati è che ogni suddito deve rispettare l’esercizio dei poteri  e dei giudizi pubblici[22] . D’altra parte, secondo Bossuet solo al principe appartiene il potere di comandare legittimamente e a lui solo l’esercizio della coazione. Se così non fosse lo Stato (la comunità) ricadrebbe nell’anarchia[23]; da cui è uscita proprio perché si è costituita (è divenuta) popolo sotto un sovrano.[24]

  1. In effetti, come si può notare, la concezione del pouvoir constituant presenta una stretta affinità con la concezione del diritto divino provvidenziale con la quale condivide i principali punti di contatto: Che poi la teoria sia in se, come cennato, la secolarizzazione della teologia cristiana, con la Nazione cui vengono attribuiti i connotati di Dio è ancor più evidente: l’assenza di limiti (giuridici) – l’onnipotenza della volontà della nazione; la sua capacità di “creazione” dell’ordine, donando con la costituzione da un lato un ordinamento (una forma) che “supera” il caos, e dall’altro la stessa capacità di azione (ed esistenza) politica; la risoluzione della distinzione/antitesi tra essere e dover-essere[25]:

Ma non è men vero che, nella sua difesa della “bontà” dell’associazione degli uomini Sieyés riprendeva quanto sempre sostenuto dalla teologia cristiana: in effetti già S.Agostino legava ordine, pace, e civitas[26], sottolineando la concordia, che, nelle cose “temporali” vi era tra la città terrena e quella celeste[27]. D’altra parte la concezione del diritto divino provvidenziale è stata esposta sotto altri profili, più articolati di quelli fin qui ricordati, da S. Roberto Bellarmino. Questi, nel confutare anch’egli le tesi degli anabattisti, adduce cinque prove, tre delle quali “logiche” (deduttivo-razionali) e due “storiche”. Di particolare interesse è la distinzione tra autorità (voluta da Dio è quindi buona in se, facendo parte dell’ordine della creazione) e chi la esercita, cioè il governante (che, quale essere umano è sempre soggetto al peccato ed all’errore): “A quanto dicono in contrario gli Anabattisti affermo innanzi tutto non essere vero che i re e i principi siano generalmente malvagi: non si tratta infatti qui di uno Stato particolare, ma del potere politico in generale, e in questo senso fu re e principe anche Abramo.” E prosegue: “gli esempi dei re malvagi non provano che il potere politico sia malvagio in se stesso; spesso infatti i cattivi si servono di cose buone; gli esempi invece dei re buoni provano che il potere politico è buono, perché i buoni non si servono di cose cattive. Di più: i principi cattivi sono spesso più di giovamento che di danno, come fu di Saul, Salomone e altri. Del resto è ancora più utile per uno Stato avere un principe cattivo che non averne nessuno; dove infatti non ce n’è alcuno, lo Stato non può conservarsi a lungo: Salomone stesso lo disse, Prov., c. 11: Dove non c’è un principe, il popolo va in rovina; invece dove c’è, anche se cattivo, viene almeno conservata l’unità del popolo[28]. Meglio un cattivo governante che l’anarchia del non-governo.

Sul potere politico “A questo proposito però son da farsi alcune osservazioni. La prima è questa: il potere politico in generale, cioè non considerato nelle sue forme particolari di monarchia, aristocrazia o democrazia, viene immediatamente soltanto da Dio, poiché è una conseguenza necessaria della natura dell’uomo”; ed in origine risiede nella moltitudine “Essendo infatti questo potere di diritto divino, questo diritto non diede il potere a un qualche uomo particolare; lo diede quindi a tutta la moltitudine.” E “lo stesso diritto naturale trasferisce il potere politico dalla moltitudine a uno o a più individui. La moltitudine infatti non può esercitare essa stessa questo potere, e perciò è obbligata a trasferirlo a uno o ad alcuni pochi individui. Pertanto il potere dei principi, considerato in generale, è esso pure di diritto naturale e divino, e il genere umano, anche se tutti gli uomini in ciò s’accordassero, non potrebbe stabilire il contrario, che cioè non vi fossero principi e capi.”; tuttavia “le forme particolari di regime politico sono “de jure gentium” e non di diritto naturale, poiché è chiaro che dipende dalla libera volontà della moltitudine stabilire che governi un re o alcuni consoli o altri magistrati; e, se v’è una legittima causa, la moltitudine può mutare un regime monarchico in aristocratico o democratico e viceversa, come sappiamo che è avvenuto a Roma”. La conclusione è “da quanto è stato detto segue che il potere politico, considerato in particolare, viene certamente da Dio, mediante però una deliberazione e un’elezione umana, come tutto ciò che è “de jure gentium”. Questo “jus gentium” è come una conseguenza dedotta dal diritto naturale mediante un intervento umano. In tali tesi di Bellarmino sono chiari i presupposti di altrettanti capisaldi del pensiero politico e costituzionalistico moderno; la distinzione tra l’autorità (buona e necessaria perché ordinata da Dio) e chi la esercita (uomo e quindi peccatore, come coloro che sono governati)[29]. Questo è il fondamento della concezione sviluppata nello Stato borghese per cui, proprio perché i governanti non sono degli angeli, occorrono dei controlli su di essi, come scritto nel Federalista[30]. Il che ha portato all’incremento eccezionale nell’organizzazione delle democrazie liberali, del sistema giuridico (e politico) dei “freni e contrappesi”; e, parimenti, alla impossibilità di controlli giuridici sul sovrano (soggetto solo a limitazioni di carattere etico, religioso ed ontologico cioè di “diritto naturale” non di diritto positivo, comunque non suscettibili di coazione). Conferma ad un tempo la necessità del potere politico (di diritto divino) e l’accidentalità delle forme in cui è ordinato e dei soggetti scelti ad esercitarlo. Ribadisce la distinzione tra “titolarità” del potere politico a tutta la moltitudine, obbligata a trasferirla a uno o più, per “diritto naturale” (cioè per necessità oggettiva) e così afferma il carattere necessario della rappresentanza; mentre le forme in cui si organizza, che non sono di diritto naturale (v. sopra) dipendono dalla libera volontà della moltitudine che può sempre cambiarle proprio perché non di diritto naturale ma de jure gentium. E il tutto può avvenire per decisione (con un “atto”) il che anticipa anche la concezione del moderno costituzionalismo che vede la costituzione (per lo più) come deliberazione del potere costituente.

  1. Anche tali ultime tesi sono transitate nel diritto e, ancor più, nella dottrina (politica e) giuridica dello Stato democratico liberale. A volerne ricordare una, la più importante: nella Dichiarazione dei diritti dell’uno e del cittadino, all’art. 3 così si proclama “Le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la nation. Nul corps, nul individu, ne peut exercer d’autorité qui n’en émane expressément». Questa dichiarazione in cui alla “moltitudine” si sostituisce la Nazione, sempre contrapposta ai pouvoirs constituées, fu ripetuta in forme simili in tutte le successive  costituzioni francesi (tranne, ovviamente in quella del  1814)[31].

Hauriou sostiene che il diritto non sfugge alla regola che, dietro ogni fisica,        c’è una metafisica. La quale normalmente,non si manifesta, anzi è occultata accuratamente da uno strato di diritto, e così rimane, se ci si ferma all’apparenza (come è normale in una situazione normale, cioè quasi sempre). Ma “ quando il rivestimento giuridico viene a mancare, come nel potere di fatto, si ricade sul fondo metafisico o teologico”[32].  Il che succede quando si produce un cambiamento rivoluzionario radicale. Per la Francia moderna questo si è ripetuto – scrive Hauriou nel 1929 – almeno quattro volte dopo la rivoluzione del 1789. Il potere di fatto tende a diventare – e per lo più vi riesce – un potere di diritto: ma per far questo una legge è completamente inutile “Un gouvernement provisoire n’a jamais fait voter une loi pour déclarer qu’il devenait légitime”.[33] In tali vicende la régle de droit non trova impiego, anzi spesso è convalidata dalla giurisprudenza gran parte del diritto creato da tali governi, anche se non ratificato: questo perché, scrive Hauriou, il  governo è necessario, un governo di fatto è meglio che nessun governo, e il potere è una cosa naturale e d’origine divina. E conclude “Tel est l’enseignement de la morale théologique; tel est celui de la sagesse et telle est la pratique”.[34]

C’è da chiedersi per quale ragione la concezione del diritto divino provvidenziale sia presente così vistosamente nella teoria del diritto e nello Stato borghese. Le risposte potrebbero essere diverse e concorrenti: che in effetti la filosofia moderna, specie quella del XVII e XVIII secolo è largamente tributaria del diritto naturale e della teologia della Seconda Scolastica e che attraverso questa “secolarizzazione” sia arrivata ai costituenti francesi e di qui al costituzionalismo europeo; o perché a far la rivoluzione è stata una nazione cattolica come la Francia, e in essa vi avuto grande importanza un sacerdote come l’abbé Sieyès[35], educato dai Gesuiti; ma l’argomento che pare più importante – e preferibile- è che tale concezione, come ben visto da Hauriou permette di spiegare in modo a un tempo realistico e razionale il rapporto tra fatto e diritto, essere e dover essere, potere ed ordine, trasformazione e conservazione, libertà e necessità. In effetti la diversa concezione del diritto divino soprannaturale porta in se difetti analoghi a quelli che Hauriou individuava nelle teorie del diritto, ad esso contemporanee, di Duguit e di Kelsen, che accomunava come sistemi statici. Tali sistemi “si presentano volentieri come oggettivi, e lo sono effettivamente perché eliminano l’opera dell’uomo che è la sorgente del soggettivo; ma sono soprattutto statici per la loro concezione erronea dell’ordine sociale, e sotto questo aspetto statico li esamineremo perché rende manifesta la loro incompatibilità con la vita”[36]. Nel sistema di Kelsen l’ordine giuridico e statale è considerato l’espressione di un imperativo categorico della ragion pratica; peraltro è un “monismo idealistico”, dove Stato e diritto si confondono[37]. E in effetti è il profilo statico che prevale su quello dinamico[38]. Per cui se tale teoria riesce ad evitare la concezione del potere di dominio, non evita il dominio di un imperativo categorico che comporta un ordine sociale necessitante[39]. Ma il giogo di una filosofia del genere “serait pour le droit pire que celui de la théologie. La théologie catholique pose le primat de la liberté humaine: l’ordre divin se propose à l’homme par la grace ». Invece nel sistema di Kelsen l’ ordine del “panteismo idealista” s’impone come necessità costrittiva. Per cui conclude che in Francia non avrà fortuna “parce que ses tendances sont inconciliables avec celles du droit. Seule une philosophie de la liberté créatrice est compatible avec lui. ». Quanto al sistema di Duguit, questo prende come punto di partenza « la notion positiviste d’un ordre des choses sociales conçu comme le prolongement de l’ordre des choses physiques. De cet ordre des choses découlent des normes. » ; la sua grande preoccupazione è sopprimere il potere come fonte del diritto. Ma questo comporta la staticità del sistema, per la negazione « du pouvoir subjectif de création du droit, le mouvement juridique, qui résulte surtout des forces subjectives, est arreté ». E, tranne i casi di eccezioni nel sistema « le droit ne peut se développer que dans la mesure des normes établies ou par l’établissement de nouvelles normes, mais c’est là une formation coutumière d’une extreme lenteur. Le système tend donc vers l’immobilité coutumière ». E ne conclude che il sistema di Duguit è, come quello di Kelsen “impropre à la vie”.

In effetti, ad analizzare le conseguenze della dottrina del diritto divino soprannaturale, si vede che, ovviamente per ragioni diverse, presenta gli stessi inconvenienti di quelle di Kelsen e di Duguit. In primo luogo d’essere statica, poiché cristallizza i rapporti di potere e le regole per accedervi: chi ha il potere, ha diritto al comando e a pretendere l’obbedienza che gli si deve; ogni innovazione è, non provenendo da chi detiene il potere, contro il diritto divino. In secondo luogo di mettere il diritto davanti al fatto, che è proprio il contrario di quanto succede, ad esempio in diritto internazionale, dove è il fatto del controllo di uno Stato (della popolazione e del territorio), e non la legalità dell’insediamento, a fare d’un governo rivoluzionario un interlocutore internazionale. Se così non fosse, se ci si dovesse basare sul criterio di “diritto divino soprannaturale” (o di una pura valutazione “normativa”), l’Italia  dovrebbe essere rappresentata da un Savoia[40], la Germania da un Hohenzollern e la Russia da un Romanov. Con l’effetto di porre in contrapposizione il diritto con la realtà (e la vita); e di rendere (anche) inidoneo quello a indirizzare questa. C’è inoltre un’antitesi radicale tra la distinzione di Bellarmino tra autorità e governante (peccatore) e quel “vous étes des dieux” rivolto da Bossuet ai monarchi: che giustamente Hauriou ritiene compatibile solo con la monarchia assoluta.

Ma la fortuna della concezione del diritto divino provvidenziale non è solo di essere “dinamica”, e cioè realistica, ma anche di spiegare il rapporto tra forza e diritto, sempre in termini realistici. Ritenendo necessario il vivere in società e sotto un governo ma non le relative forme, è aperta all’innovazione e al carattere nomogenetico della forza, finalizzata a garantire l’esistenza comunitaria Il tasso d’innovazione che questo introduce serve a garantirne l’adattamento alle mutevoli condizioni della storia, cioè la vitalità. Il realismo della concezione in esame è dato  essenzialmente dal rapporto delineato tra legge naturale e jus gentium; in altri termini tra necessità e libertà umana.

Riconoscendo che tra le leggi di natura v’è quella di associarsi sotto un governo politico, la teologia cristiana aveva individuato una delle “costanti”, definite da Miglio come le regolarità della politica[41]; in quanto tali immodificabili dalla volontà umana. Che, di converso, le utopie “assolute”[42], ritengono di poter modificare, credendo di aver trovato “la soluzione dell’enigma della Storia”, come scriveva il giovane Marx[43]; dalla storia puntualmente smentita, col crollo pressochè contemporaneo di quasi tutti i regimi del socialismo reale, che di quella visione utopistica erano le realizzazioni.

Ma la credenza di poter modificare le “regolarità”, che si rivela particolarmente chiara nel caso, come il comunismo, di utopie realizzate – e confinate sollecitamente nell’archivio della storia – non è esclusiva di quelle, essendo presente sia pure in misura più limitata in altre concezioni ideologiche, da certi tipi di pacifismo a frange liberali (non al liberalismo, che mantiene un’impostazione realistica, com’è evidente dalla concezione “problematica” dell’uomo, derivata sia dalla teologia cristiana che dal pensiero politico).

A questa immutabilità delle “costanti” si contrappone- e la integra – la mutevolezza delle forme politiche, rimesse al potere-e quindi alla libertà- delle comunità umane: tale concezione fonda la libertà politica nel senso primario della libera “conformazione” dell’ordinamento sociale e politico: in ciò è la specificazione, all’interno della comunità della definizione di S. Tommaso “Liber est qui sui causa est”: non esser limitati se non dalla legge divina (e naturale), della quale nessuno è dispensato[44]. Di tal guisa questa concezione riconosce alle comunità umane tutta la libertà possibile, senza alcun vincolo giuridico se non auto-impostosi dalle stesse.

Inoltre ritornando sul carattere della dinamicità, è il caso di ricordare che Hauriou, come altri grandi giuristi, non ricollega il concetto di ordine sociale alla “conformità” tra norme e comportamenti, cioè a qualcosa di statico, ma a tutt’altro ovvero al movimento “lento e uniforme” della comunità umana. Su questo concetto ritorna più volte specificando che è il movimento “d’un insieme ordinato, è il risultato di una organizzazione e risulta da ciò che l’ordine è essenzialmente organizzazione”; e per chiarire il concetto ricorre a un paragone biologico. Come gli organismi viventi conservano la forma (che cambia, ma lentamente), pur soggetti a un ricambio di cellule e tessuti estremamente rapido, così i gruppi sociali si comportano come organismi viventi, a condizione d’essere organizzati, e durano secoli conservando una forma simile, pur essendo del tutto mutate le “cellule”, cioè gli uomini[45]. E per tali ragioni, cioè (anche) per la capacità di adattarsi alla vita politica e sociale, giudicava che la dottrina del diritto divino provvidenziale, ponendo l’origine del potere al di sopra della collettività sociale e di chiunque altro, non conduce ad alcun assolutismo, ed è quindi la più propizia alla libertà. Non solo alle individuali, ma anche a quella della comunità di darsi la forma che preferisce.

  1. Avevamo iniziato col chiederci il perché nella dottrina francese a cavallo tra XIX e XX secolo sono considerate attentamente le dottrine del diritto divino, e in particolare quella “provvidenziale”. Nei limiti del presente scritto ne abbiamo individuata qualche ragione, per lo più tra quelle già indicate dallo stesso Hauriou, relative all’essenza dell’ordinamento e del rapporto) sociale e politico.

C’è anche un’altra ragione, implicita nel pensiero del doyen: è che Hauriou era un convinto sostenitore della civiltà (e del pensiero) occidentale, cui dedica alcune delle pagine più interessanti, anche per chi le legge oggigiorno. La civiltà occidentale – scrive – per la sua forza, la sua attività e per le sue idee, domina il mondo, ma non lo ha completamente assimilato. Nello stesso tempo sta subendo una delle sue crisi interne[46]; molti dubitano del valore dei suoi caposaldi. Anche se la civiltà sedentaria probabilmente sopravvivrà in forme parzialmente diverse, i popoli europei rischiano di sparire in una tormenta, dopo molte sofferenze. In questo frangente non è il nemico esterno, ma quello interno il più pericoloso[47]; perciò – continua Hauriou – non si deve dubitare della civiltà occidentale, poiché quanto da essa realizzato “en fait d’oeuvres de beauté et de vérité intellectuelle, est devenu classique, c’est-à-dire a réalisé l’idéal humain[48]. Lo stesso comunismo, allora da poco realizzato in Russia, gli appare incompatibile con la società sedentaria ed individualista, e, piuttosto che una fase “estrema” della modernità, gli pare un ritorno alle forme giuridiche tipiche delle società nomadi[49]. Di questa civiltà occidentale fanno parte tanto la libertà che la proprietà; il diritto romano e la teologia cristiana; la scienza come l’arte. La dottrina del diritto divino provvidenziale esprime alcune delle idee base su cui si può modellare l’organizzazione sociale dell’ “ordre individualiste”.

Contrariamente all’attenzione che la dottrina francese rivolge alla concezione in esame è raro leggere analoghe considerazioni altrove, soprattutto in Italia. Ad esempio a consultare la voce “Democrazia” del classico “Dizionario di politica” si può leggere di tutto, da Erodoto a Rousseau, dalle democrazie degli antichi a quelle socialiste (ed oltre): manca tuttavia qualsiasi cenno a questa, che probabilmente ha influenzato la forma dello Stato contemporaneo non meno delle altre[50] e le cui tracce sono (largamente) presenti nella nostra Carta Costituzionale; e, il che è parimenti rilevante, le conseguenze di questa sono, oggi più che ieri, e malgrado tutti gli sforzi contrari, common sense.

[1] V. M. Hauriou Précis de droit constitutionnel Paris 1929 p. 29 ss. ; J. Barthélemy e Paul Duez Traité de droit constitutionnel Paris 1929 p. 67 ss. ; R. Carré de Malberg Contribution à la théorie generale de l’État Paris 1929, Tome 2° p. 149 ss.., v. Anche (meno diffusamente) A. Esmein Eléments de droit constitutionnel français et comparé. Paris 1914 p. 281 e 283 ; L. Duguit L’État, le droit objectif et la loi positive, Paris 1901

[2] Ovviamente sintetizziamo, perché in effetti deriva da S. Tommaso, come Barthélemy , Duez  (e Carrè de Malberg ricordano).

[3] « La doctrine du droit divin providentiel ne répugne donc pas nécessairement à la démocratie par la volonté de Dieu, donc divine », Op. cit. p. 68

[4] Barthélemy-Duez op. cit. « Si enfin Saint Paul a dit : « Omnis potestas a Deo », les théologiens ont indiqué le sens de cette parole en ajoutant : « per popolum ». Le pouvoir, qui est de droit divin, appartient au peuple : c’est la thèse de Sain Thomas, de Bellarmin, de Suarez; Carré de Malberg scrive : La parole de saint Paul «omnis potestas a Deo » ne signifie que les Gouvernements ou leurs chefs soient directement créés désignés par Dieu (doctrine du droit divin surnaturel) ; elle ne signifie pas davantage qu’ils soient indirectement  par la façon dont la Providence divine dirige le coirs des éveneméts (droit divin providentiel). Mais, le principe de l’origine divine du pouvoir doit  etre entendu seulement en ce sens, précisé par saint Thomas d’Aquin (Somme théologique, 2° partie,I, question 96, art. 4), que Dieu, ayant créé l’homme sociable, a aussi voulu le pouvoir social, attendu qu’il n’est pas de société qui puisse subsister sans une autorité supérieure douée de la puissance de commander  à chacun en vue du bien de tous. Ainsi, le pouvoir, envisagé en soi, procéde de Dieu ;  il est, en son essence, d’origine divine, en ce que sa nécessité découle des lois memes qui conditionnent l’ordre social, lois dont Dieu est l’auter ;  mais il n’e demeure  pas moins certain que, dans les domaine des réalités positives, le pouvoir ne peut etre organise que par des moyens humains. En d’autres termes, c’est aux hommes qu’il appartit de régler ses formes et ses conditions d’exercice, comme aussi de déterminer ses titulaires ». Op. cit. p. 151

[5] “Questa esigenza si afferma per la prima volta in conseguenza delle dottrine politiche, che si vennero maturando nelle lotte della Riforma. Già altrove fu spiegato come la dottrina calvinistica, che della comunità fa il titolare del reggimento della Chiesa, si sia sviluppata nella Scozia, nell’Olanda ed in Inghilterra in una teoria, la quale rappresenta anche l’ordinamento laico come un prodotto della volontà comune ed eleva la pretesa che al popolo, unificato nello Stato mediante un contratto, debba competere durevolmente il potere supremo nello Stato e che da esso debba anche essere esercitato” G. Jellinek La dottrina generale del diritto dello Stato, trad. it. di M. Petrozziello, Milano 1949, p. 254

[6] v. Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien (i corsivi sono nostri) , trad. it. Torino 1974 pp. 69-71; e così prosegue “ Questa dottrina si presenta nella sua completezza soprattutto presso il geniale e profondo Suarez: Questi fa derivare direttamente e necessariamente il potere sovrano dal “corpo politico e mistico” che gli uomini singoli costituiscono per un atto di unione assolutamente libero, sebbene corrispondente alla ragione naturale e quindi alla volontà divina. Non sono però i singoli che con la loro volontà stabiliscono la sovranità della collettività sopra i propri membri : essi infatti non possiedono inizialmente alcuno dei diritti sorti con la collettività stessa (per es. il diritto di vita e di morte e il vincolo di coscienza), né, volendo l’associazione, possono impedire che divenga sovrana. Ma nemmeno è Dio ad attribuire, con un atto particolare alla collettività (come al Papa), la sovranità, pur essendo, in qualità di “primus auctor”, la fonte di ogni potere. Il potere sovrano spetta piuttosto ad essa “ex vi rationis naturalis”, e Dio lo concede come “ proprietas consequens naturam” , “ medio dictamine rationis naturalis ostendentis, Deum sufficienter providisse hunano generi et consequenter illi dedisse potestatem ad suam conservationem et convenienter gubernationem necessariam”.

[7]  Verfassungslehore, trad. it. di A. Caracciolo,   Milano 1984 p. 112

[8]  Si tenga presente che appare evidente l’ influsso del pensiero teologico su Hobbes, ed ancora più su Spinoza e sui  giusnaturalisti  “giuristi”  come Grozio e Vattel

[9] Qu’est-ce-que le Tièrs état, trad. it. in Opere, tomo I°, Milano 1993, p. 255.

[10] V. F. Suarez De charitate  Disp. 13 De bello sectio VIII° ; v. Anche Juan De Mariana De rege et regis institutione, trad. it., Napoli 1996, Lib. I, cap. VI°, p. 54. S. Tommaso d’Aquino, De regimine principum, Lib. I°, cap. VI°; v. anche F. Suarez Defensio fidei catholicae et apostolicae…, Lib. III, 3 (sulla attribuzione solo alla comunità perfetta del supremo potere civile).

[11]“ Quello che è stato detto è sufficiente a dimostrare che l’uomo ha bisogno delle forze e dell’aiuto altrui, dal momento che da solo non è capace di procurarsi tutti gli aiuti per vivere, nemmeno la più piccola parte di quelli. Si aggiunga a tutto questo la debolezza del suo corpo per respingere le forze esterne ed evitare gli attentati alla sua persona: La vita degli uomini, infatti, non era sicura dalle numerose bestie feroci, quando ancora la terra non era stata coltivata e le erbacce estirpate e distrutte.” v. Juan de Mariana op. cit. p. 18, S. Tommaso op. cit. Cap. I°, “Naturale autem est homini ut sit animal sociale et politicum, in multitudine vivens, magis etiam quam omnia alia animalia, quod quidem naturalis necessitas declarat. Aliis enim animalibus natura praeparavit cibum, tegumenta pilorum defensionem, ut dentes, cornua, unguens, vel saltem velocitament ad fugam. Homo autem institutus est nullo horum sibi a  natura praeparato, sed loco omnium data est ei ratio, per quam sibi haec omnia officio manuum posset praeparare, ad quae omnia praeparanda unus homo non sufficit. Nam unus homo per se sufficienter vitam transigere non posset”; v. anche il Compendio di dottrina sociale della Chiesa dove la tesi è ribadita “ La Chiesa si è confrontata con diverse concezioni dell’autorità, avendo sempre cura di difenderne e di proporne un modello fondato sulla natura sociale delle persone:”Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura” e poiché non vi può essere “società che si sostenga, se non c’è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l’autorità che la regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio”” L’autorità politica  è pertanto necessaria a motivo dei compiti che le sono attribuiti e deve essere una componente positiva ed insostituibile della convivenza civile”” (prgf. 393) (Roma, 2004)

[12] E gli stessi uomini, confidando ciascuno sommamente nelle proprie forze, alla stregua di una bestia feroce e solitaria, che alcuni atterrisce ed altri teme, si appropriarono, senza che nessuno potesse proibirlo, dei beni e della vita dei più deboli, specialmente quando, formata una certa società con altri, le mani di molti irrompevano nei campi, tra le greggi e le case, saccheggiando e rubando ogni cosa, con pericolo anche della vita di chi tentasse resistere loro: Aspetto miserabile della vicenda! Ovunque ladrocini, scorrerie e stragi si esercitavano impunemente senza lasciare alcun riparo all’innocenza ed alla debolezza altrui. Così, poiché la vita di ognuno era esposta ai mali esterni, e neppure i consanguinei tra loro e i congiunti si astenevano da mutue violenze, quanti erano oppressi dai più forti, cominciarono a stringersi con altri in un mutuo accordo di società e a rivolgersi ad uno solo che primeggiasse in giustizia e lealtà, con l’aiuto del quale fossero impediti i soprusi interni ed esterni; dovendo instaurare la giustizia, tutti, dai superiori agli inferiori, furono sottomessi ad una stessa legge. Da qui sorsero per la prima volta l’aggregazione urbana e la regia potestà, che a quel tempo non si ottenevano con ricchezze e intrighi, ma con moderazione, onore e provata virtù ” vJuan de Mariana op. loc. cit.

[13] Reconnaissance et exposition raisonée…..in  Sieyés Opere  cit. p 383 ss.

[14] Così Rousseau vi descrive l’origine della società civile “Questa fu e dovette essere l’origine della società e delle leggi, che diedero nuove pastoie al debole e nuova forza al ricco, distrussero irrimediabilmente la libertà naturale, stabilirono per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, di un’abile usurpazione fecero un diritto irrevocabile, e per il profitto di alcuni ambiziosi assoggettarono per sempre il genere umano al lavoro, alla servitù e alla miseria” in R. Parenti “Il pensiero liberale e democratico nei secoli XVII e XVIII°”, Napoli 1973 p. 117.

[15] V. ad es. Esortazione della pace… in Oevreus tomo IV Ginevra p. 157 v. anche “I soldati possono essere in stato di graziaop. cit. p. 243

[16] v. “Pertanto, noi dobbiamo considerare se essere cristiano ed essere magistrato, oppure sovrano di uno Stato,siano cose incompatibili al punto che per essere l’uno, un uomo sia costretto a rinunciare ad essere l’altro. Pongo una prima domanda: se esercitare l’ufficio di magistrato oppure di sovrano di uno Stato è una condizione che contrasta con la vocazione dei credenti, come mai se ne sono valsi i giudici dell’Antico testamento, e così pure i re giusti – come Davide, Ezechia, Iosia – e anche alcuni profeti come Daniele?” Calvino Opere scelte, tomo II, Torino 2006

[17] op. cit. p. 205

[18]Mais si ceux qui, par la volonté de Dieu, vivent sous des princes, et sont leurs sujets naturels, transférent cela a eux, pour etre tentés de faire quelque révolte ou changement, ce sera non seulement une folle et inutile spéculation, mais aussi méchante et pernicieuseL’institution chrétienne, tomoIV Lib.  IV   Cap. XX

[19] “ Car si c’est  son plasir de constituer des rois sur les royaumes, et sur les peuples libres d’autres supérieures quelconques, c’eest à nous de nous rendre sujets et obèissant aux supèrieurs quels qu’ils soient qui domineront au lieu où nous vivrons »  op. ult. cit.

[20]  Politique de Bossuet (Raccolta di brani di Bossuet) Paris, p. 80 – 81

[21] “N’importe, vous etes des dieux, encore que vous mouriez, et votre autorité ne meurt pas; cet esprit de royauté passe tout entier à vos  successeur, et imprime partout la meme crainte, le meme respect, la meme vénération; L’homme meurt, il est vrai; mais le Roi, disons-nous, ne meurt jamais: l’image de Dieu est immortelle” op. cit. P.82

[22] Op. cit. p. 91

[23] Op. cit. p. 111

[24] Op. cit. p. 84

[25] Com’è palese dalla frase (v. sopra). “La nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alla legge, essa è la legge stessa”.

[26] v. De Civitate Dei, lib. XIX, cap. XII-XVIII

[27] Op. cit., lib. XIX, cap. XVIII

[28] in Scritti politici, Bologna, 1950, p. 231

[29] E’ bene precisare che anche secondo la concezione del diritto divino soprannaturale, il governante, essendo uomo, è peccatore e comunque soggetto ad errore. La differenza (essenziale) consiste nel quis judicabit?. Infatti secondo la prima è solo Dio che può giudicare il sovrano (v. sopra, in particolare Lutero, che ritiene usurpazione del potere divino da parte dell’uomo giudicare – e ribellarsi – al sovrano); mentre per i teologi – giuristi ricordati il re può essere giudicato – e detronizzato – dalla comunità. Analoghe considerazioni si trovano nelle pagine di Thomas Müntzer “i prìncipi non sono i signori ma i servitori della spada; essi non devono fare ciò che gli aggrada (Deuteroniomio 17:18-20), ma ciò che è giusto. Perciò bisogna, secondo l’antica e buona consuetudine, che il popolo sia presente quando si giudica secondo la legge di Dio (Numeri 15:35). E perché? Qualora le autorità intendessero pervertire il giudizio, allora i cristiani che le stanno intorno devono impedirlo e non tollerarlo, poiché si dovrà rendere conto a Dio del sangue innocente” (Salmo 79:10). V. Scritti politici, Torino 1972, pp. 192-193.

[30] Federalist papers n. 10, trad. It, p. 96; è noto che la tematica del potenziale conflitto d’interessi tra governati e governanti attraverso tutto il pensiero politico e giurispubblicistico, a partire dalla filosofia greca e medievale fino ai giorni nostri, con gli elitisti e la scuola di “public choice”. Per più dettagliati riferimenti ci sia consentito rimandare al nostro scritto “Interesse generale ed espropriazione”  Consiglio di Stato, p. II aprile 1982.

[31] Carré de Malberg op. cit. Tome II p. 167

[32]  Op. cit. p. 29

[33] Op. cit p. 31 In effetti una legge del genere sarebbe oltreché inutile, anche un frutto d’umorismo involontario

[34]  Op. cit. p. 33

[35] V. G. Troisi Spagnoli Vita di Sieyès in Opere, cit. p. 31 (e seguenti)

[36] op. cit. p. 8

[37]Mais notre auteur n’est pas seulement kantiste, il est aussi, il le déclare lui-meme, panthéiste idéaliste et par conséquent moniste. Son monisme va se traduire immédiatement par un second postulat, à savoir que, dans le plan statique, l’Etat et le Droit se confondent.”, op. Cit.  p. 9; e poco dopo “Dans ce système exclusivement idéaliste, les êtres réels disparaissent, n’étant tous représentés que par des ordonnancements de règles.”

[38]N’oublions pas que, pour lui, le plan dynamique reste dominé par le plan statique et que, par suite, les sources du droit positif resteront dominées et limitées par le droit transcendant.” Op. cit. p. 10

[39]Le primat de la liberté est remplacé par celui de l’ordre et de l’autorité. La maxime fondamentale n’est plus: “Tout ce qui n’est pas défendu est permis jusqu’à la limite”, elle est: “Tout ce qui n’est pas conforme à la constitution hypothétique est sans valeur juridique.”, op. cit. p. 11

[40] Almeno a voler considerare gli eventi del 1944 e 1946, e particolarmente il referendum del 2 giugno 1946 come inidoneo e/o illegittimo.

[41] V. Presentazione a «Le categorie del politico” p. 13, Bologna 1972.

[42] Intendiamo come tali quelle che si possono ricondurre all’assunto di poter modificare la natura (umana) come il marxismo o (talune eresie chialiastiche); v. sul punto Behemoth n. 40 (recensione a Gnerre) p. 68.

[43] E’ il caso di ricordare il periodo nei Manoscritti economico filosofici del 1844, di cui quella frase è la conclusione “il comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. E’ la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione”.

[44] Sulle varie accezioni del diritto naturale e sulle forme di giusnaturalismo (per volontà divina, quale legge naturale e quale dottrina della ragione) v. G. Fassò “Giusnaturalismo” in Dizionario di politica, cit. vol. II, p. 94.

[45]On verra dès lors, des organismes sociaux traverser des siècles, alors que leur matière humaine et une grande partie des situations sociales qu’ils contiennent auront été renouvelées, parce qu’ils ont un gouvernement et parce que leurs équilibres essentiels ayant été maintenus, les formes auront survécu”, op. cit. p. 71

[46]Au XIX siècle, l’esprit critique l’avaint emporté sur l’esprit de foi créatrice. Il en est résulté que beaucoup d’Occidentaux se sont pris eux-memes à douter de la valeur de leurs directives. Cette défalillance passagère serait sans importance, si elle ne coincidait pas avec l’esprit de résistance qui se marque chez les populations moins évoluées qui nous entourent. », op. cit. P.55.

[47] Op. cit. p. 56

[48] Op. loc. cit.

[49] « Il est possible que des sociétés nomades, avec leur faible population et leurs habitudes de subsistance à base de produits spontanés, aient vécu sous des régimes communistes; il n’y avait point d’obstacle majeur, puisqu’il n’y avait pas à assurer la production”. Op. cit. p. 43. v.

[50] Fanno eccezione i cenni nella voce “Assolutismo” di  R. De Mattei in Edd, vol. III pp. 917-923, e nella voce “Democrazia” di G. Fassò in Noviss. Digesto it. vol. V p. 442 ss.

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DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (1/2), di Daniele Lanza

DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (1/2)
(prologo alle note storiche su Moldavia e Romania, ripubb. 2018*)
Illustrando senza impegno qualcosa sulle origini di Odessa ho menzionato Iași (o Jassy) : temo che circa la metà del mio pur colto pubblico ignori cosa sia (tra il pubblico generale il 99,9% credo, quindi su col morale), ma non c’è dramma si rimedia in un attimo : si tratta di una modesta cittadina ad est dei Carpazi, entro i confini dell’attuale Romania.
In tal luogo, dopo un lustro di conflitto tra russi ed ottomani, viene firmato un trattato di pace che determina la cessione da parte turca della regione costiera tra il DNEPR e il DNESTR (primo fiume di Ucraina e primo fiume di Moldavia, rispettivamente) : tale territorio, chiamato “Yedisan” sotto amministrazione ottomana, è pertanto annesso all’impero di Russia dal 1792 e nella nuova compagine è ribattezzato “Херсонская губерния” (governatorato di Xerson).
Questo nuovo governatorato non si intende essere una qualsiasi unità amministrativa risultato di un temporaneo successo militare, ma si colloca a sua volta nel più ambizioso progetto di colonizzazione voluto dall’imperatrice Caterina II in persona (la Novorossiya, per l’appunto….che poi, ancora a sua volta, è un primo grande tassello di un gioco geopolitico e culturale smisurato come il piano di “rinascita greca” vagheggiato dalla nostra visionaria monarca, finalizzato al riaffermarsi di Costantinopoli) : in tale contesto sorgono nuovi centri abitati il più importante dei quali sarà Odessa, fondata appena 2 anni dopo il trattato di pace (1794). Una marcia lunga, mitologica (!) non solo in senso geografico, quanto morale, spirituale, quella sognata dall’imperatrice dal palazzo d’inverno, verso le porte di Bisanzio. Di tutto questo abbiamo già accennato.
A questo punto occorre scrutare l’intero scacchiere geografico da una prospettiva più globale al fine di ottenere una visione di insieme che consenta di gestire quel groviglio di fatti e relazioni alla base degli eventi che seguiranno (prestar attenzione pertanto).
Il 18° secolo volge al termine, consegnando a quello che segue un quadro denso di incognite, tanto ad occidente quanto a oriente : se ad un capo del continente osserviamo le macerie di una Francia rivoluzionaria prossima alla rinascita sotto le ali di una piccola fenice che sorge dalla Corsica (…), dall’altro si assiste all’atto di morte del regno lituano-polacco, il cui annullamento porta via con sé anche il fondamentale punto di equilibrio tra potenze vigente nell’Europa centro-orientale da quasi 400 anni.
Di questa disintegrazione definitiva si avvantaggiano le “tre aquile” (Prussia, Austria, Russia) : queste si contendono con bel garbo, pianificatamente, le spoglie polacche : per quanto concerne la Russia imperiale significa un generale spostamento dei confini verso occidente……
Questo è il punto : il tramonto della tarda età moderna vede il continente zarista più prossimo che in passato ai gangli vitali d’Europa, oramai a stretto contatto con i principali attori che regolano l’esistenza del vecchio mondo. Non si tratta più di assorbire o annettere vaste aree disabitate dell’Asia boreale o centrale e sottometterne le popolazioni (sovente allo stadio tribale), bensì di mirare regioni comparativamente minuscole ma DENSAMENTE abitate, anticamente civilizzate e già possesso di potenze militari più moderne che la Russia stessa. Le facili conquiste NON riguardavano certo il vecchio continente, dove conquistare una provincia richiedeva assai più risorse che non annettere una regione 20 volte più estesa in SIBERIA o in estremo oriente (per fare un confronto).
Ora, l’esito della guerra russo-turca prima accennata (1787-92) che si conclude con la creazione del governatorato di Kherson e la fondazione di Odessa, si inserisce a suo modo nel trend globale appena accennato : i successori di Caterina II avranno a che fare (sul mar Nero) con un confine maggiormente esteso sì, ma ora anche a distanza ravvicinata coi possedimenti ottomani sul continente : in pratica l’impero russo ora confina direttamente con i BALCANI sotto dominio del Sultano, punto troppo nevralgico per non causare problemi futuri (e così sarà).
Visualizziamo questo per iniziare : alla vigilia della collisione russo-turca, la porzione più nord-orientale dei domini ottomani nei Balcani (in realtà già fuori di essi) comprende 2 principalità, ossia territori autonomi , ma formalmente ancora sotto l’egida del sultano : MOLDAVIA e VALACCHIA……..
(continua)
PARLAMENTO MOLDAVO DICHIARA IL ROMENO LINGUA UFFICIALE.
(lettura consigliata*) = Passa in prima lettura il disegno di legge per modificare la costituzione della Moldavia in merito all’idioma nazionale, designandolo come “rumeno” anzichè “moldavo”: l’iniziativa è presa dal principale partito filoeuropeo, mentre immediata è la reazione del blocco social-comunista filorusso dall’altra sponda (…).
D’accordo, inutile girarci attorno: il moldavo e il rumeno sono la STESSA lingua, lo si sa da sempre.
Il problema è che la volontà di aggiornare la costituzione moldava proprio ora ha a che fare con la politica e non con la linguistica e il suo iter svela più una strada di compromessi e doppi standard che non genuini intenti.
La Moldavia in quanto stato, emerge dalla grande casa sovietica nel 1991, sull’onda del grido “Libertà ai popoli” (se si considera l’URSS un “impero”, come la vedeva Washington, e sorvolando sul fatto che al referendum autonomo sul mantenimento dell’unione quel medesimo anno, una buona parte di moldavi si espresse per il mantenimento della Cccp).
Nasce dunque come stato nazionale (ossia per principio di indipendenza propria) e non come “regione irredenta” della vicina Romania (ossia non in funzione dell’unificazione ad un altro stato), riunificazione alla quale non viene presa in considerazione dal nuovo governo moldavo e nemmeno sostenuta dall’occidente per i molti anni a seguire (per due ragioni in essenza: in primo luogo la non necessità dato che l’area in sè sullo scacchiere bellico contava molto poco……venendo quindi semplicemente dimenticata. Il fatto stesso che la crisi della Transnistria sia stata snobbata per decenni ne è un segnale). In secondo luogo, dato che la Romania all’epoca ancora non era nell’Alleanza atlantica e non sarebbe stato saggio promuovere un espansionismo rumeno verso est senza prima aver garanzia assoluta di fedeltà.
Adesso, sull’onda degli eventi, lo scacchiere moldavo (dimenticato per 30 anni letteralmente), acquisisce un valore, proprio per la questione Transnistria e degli armamenti che racchiude a Tiraspol: conviene quindi che stato moldavo diventi parte dello scudo atlantico contro il Cremlino è chiarissimo. DEVE essere così. Ma come fare ? L’Ucraina non può semplicemente invadere la Transinistria: sarebbe una mossa imbarazzante che metterebbe in discussione lo status di “vittima pacifica” di cui Kiev si serve da un anno con ottimo successo.
Allora si rispolvera il piano B (!): in fondo Moldavia e Romania sarebbero sorelle su un piano etno-linguistico…non ci sarebbe quindi nulla di male se VOLONTARIAMENTE lo stato moldavo volesse ricongiungersi a quello rumeno. La volontà dei popoli non si può negare ! Sarebbe democratico ! E così assorbendo la Moldavia nella Romania si ottiene di farne entrare il territorio automaticamente nell’ombrello Nato, senza nemmeno dover passare traverso un iter burocratico (la Romania è già membro infatti). I confini dell’Alleanza atlantica si ritroverebbero così ulteriormente espansi verso oriente, in pieno spirito democratico (come in tutti gli altri casi dell’est Europa, fino ad oggi).
Viva gli irredentismi dunque ?
Solo, di che genere di irredentismi parliamo ? Storico/culturale o culturale/politico ?
La Moldavia era sotto l’ombrello russo da molto prima che l’Unione Sovietica: lo era sin dai tempi dell’impero zarista, da quasi un secolo, quando fu strappata all’impero ottomano. Un’area che acquisisce una sua modernizzazione entro le maglie dello stato russo/sovietico in seguito (entra nella contemporaneità in simbiosi ad esso). La Moldavia esiste per via di questo sviluppo separato rispetto alla vicina Romania: un percorso divergente in un’era cruciale per lo svilupparsi delle identità nazionali. La Moldavia non sarà Russia (benchè il 90% delle persone sa esprimersi in quella lingua), ma non è nemmeno più Romania, questo è il problema non compreso.
Ora, si vuole TAGLIARE nettamente con tutto questo, ignorare tali considerazioni e dare prevalenza al fattore etno-linguistico ?
Allora……perchè non anche l’Austria e la Germania ? Parlano la medesima lingua.
E perchè non Russia e Ucraina ? Sono state in simbiosi per 500 anni (non come colonia).
Signori……….gli irredentismi valgono per tutti alle stesse regole, altrimenti approviamo pericolosi doppi standard.

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