Comprendere la questione del Sahel_intervista a Bernard Lugan

Dopo la Repubblica Centrafricana e il Mali, alla Francia è stato “chiesto” di “lasciare” il Burkina Faso, e poiché il cuore stesso della sua “precarietà” africana si sta inesorabilmente disgregando – il Niger sarà la prossima tappa – è giunto il momento di puntare il dito contro i responsabili di questo naufragio. Nel Sahel, a differenza del Ruanda, i funzionari francesi non possono invocare l’ignoranza del terreno o il “complotto anglosassone”, ma dovendo trovare cause esterne ai loro fallimenti, in questo caso è la presenza russa che permette loro di cercare di discolparsi dai loro colossali errori politici e sociali. 1) Dal punto di vista politico, la Francia si è dimostrata incapace di superare le sue a-priorità filosofiche e democratiche e si è arenata su postulati filosofici che pretendono di essere universali. In nome delle “nuvole” della “convivenza” e del “buon governo”, si è ostinata a proporre il dialogo e la condivisione del potere a popolazioni che sono in rivalità dalla notte dei tempi2. ) Il comportamento sociale delle sue “élite” ha fatto perdere definitivamente alla Francia ogni prestigio e considerazione. In Africa, le famiglie sono ancora formate dall’unione di uomini e donne, il sesso non è scelto à la carte secondo gli impulsi ormonali del momento, le persone LGBT sono considerate “estranee” e il matrimonio per tutti è visto come un abominio. In questo numero speciale dedicato alla questione del Sahel, si dimostra che il fallimento della Francia è politico. Nonostante le molteplici vittorie tattiche dei militari, i politici francesi non hanno mai avuto una visione strategica coerente. Superbamente ignoranti della storia e delle realtà etniche, hanno dimenticato le sagge raccomandazioni fatte nel 1953 dal governatore dell’AOF: “Meno elezioni e più etnografia, e ognuno troverà il suo conto”. Al contrario, questi stessi funzionari francesi non hanno smesso di voler imporre le elezioni, rifiutandosi di vedere che all’interno delle frontiere artificiali nate dalla colonizzazione, e poi dalla decolonizzazione, la matematica etno-elettorale dà automaticamente il potere ai più numerosi, cioè ai meridionali, il che provoca le periodiche rivolte dei settentrionali… Né hanno capito che il Sahel è il dominio del lungo periodo, dove l’affermazione di una costante islamica radicale è prima di tutto la superinfezione di una ferita etno-razziale millenaria._Bernard Lugan


COMPRENDRE LA QUESTION DU SAHEL INTERVIEW DE BERNARD LUGAN

L’Afrique Réelle: All’inizio del libro Histoire du Sahel des origines ànos jours che lei ha appena pubblicato dalle Editions du Rocher, lei cita la seguente frase del grande conoscitore del Sahel, Yves Urvoy: “La storia del Sahel ” (…) è fatta della corsa e degli urti di queste meteore (nomadi) che vagano nelle immensità sahariane, colte un bel giorno dall’attrazione del Sud (il Sahel) e che vengono, nel corso dei secoli, a precipitarsi sul paese nero e a scuoterlo (…) “. Perché questa citazione? Bernard Lugan: Perché, a mio avviso, riassume perfettamente la storia del Sahel, quest’area di lunga durata in cui l’affermazione della costante espansione dei nomadi è una delle chiavi di lettura della storia. La questione saheliana può essere compresa solo attraverso un approccio etnostorico di lungo periodo poiché, fin dal Neolitico, meridionali e settentrionali sono stati in rivalità regionale per il controllo delle zone intermedie situate tra il deserto settentrionale e la savana meridionale. Tuttavia, questa costante secolare è oggi drammaticamente aggravata dalla demografia suicida che aumenta ulteriormente la competizione territoriale tra pastori nomadi e agricoltori sedentari. È importante ricordare che è questa situazione che viene attualmente utilizzata in modo opportunistico dal jihadismo. Il controsenso degli “esperti” e degli “specialisti” è che questo jihadismo non è la causa dell’attuale caos saheliano, ma la superinfezione di antiche ferite etno-geografiche. L’Afrique Réelle: Può approfondire questa idea? Bernard Lugan: È importante ricordare che il Sahel è uno spazio di contatto e di transizione tra l’Africa “bianca” e “nera”. Composto da aree agricole a sud e pastorali a nord, collega la civiltà meridionale dei granai, o Bilad el-Sudan (la terra dei neri), e la civiltà nomade del nord, Bilad elBeidan (la terra dei bianchi). Durante questo spostamento razziale, la popolazione “bianca” del nord e quella “nera” del sud sono state storicamente in rivalità. Questa rivalità è oggi esacerbata dal suicidio demografico regionale e per secoli l’islamismo radicale è stato una facciata per gli interessi delle “meteore” nomadi. Così, nell’XI secolo, dietro i grandi proclami di fede purificatrice, la jihad dei berberi almoravidi mirava soprattutto all’oro del Ghana. Nel XVIII e XIX secolo, le jihad dei Fulani erano soprattutto imprese politiche per distruggere i capi sedentari a cui questi pastori erano allora soggetti.

L’Afrique Réelle: Torniamo quindi alla geografia. Bernard Lugan: Il Sahel, che in arabo significa “riva”, è un corridoio lungo 4.000 chilometri e largo più di 3.000.000 di chilometri quadrati, che si estende dal Senegal all’Eritrea, cioè dall’Atlantico a ovest al Mar Rosso a est. A nord, sprofonda gradualmente nella desolazione sahariana, mentre a sud si fonde per tocchi nel mondo delle savane. Poiché i suoi confini variano e sono costantemente variati in base ai cambiamenti climatici, la sua storia non è quindi confinata nell’attuale stretto corridoio geografico, ed è una grande originalità del mio libro studiare il suo passato nella sua profondità geostorica e non nei suoi limiti attuali come fanno gli “esperti”. Da ovest a est, il Sahel comprende tutti o parte di nove Paesi: Mauritania, Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria settentrionale, Ciad, Sudan settentrionale e la parte settentrionale dell’Eritrea. Alcuni, come il Senegal, sono quasi interamente saheliani, mentre altri, come la Nigeria, il Sudan settentrionale e l’Eritrea, lo sono solo in parte.L’Afrique Réelle Uno degli aspetti più innovativi e persino rivoluzionari del suo libro è l’approccio a quella che lei definisce etnoarcheologia climatica, che secondo lei spiega i dati profondi della questione del Sahel. Bernard Lugan: Assolutamente sì, ma per rendersene conto occorre, oltre a una profonda conoscenza del territorio, una triplice formazione di geografo, etnologo e storico… La storia del Sahel è infatti scritta in un movimento climatico di lunga durata che ha dato luogo a una successione di cicli freddi e secchi, caldi e umidi, attraverso i quali le popolazioni si sono stabilite nel corso dei millenni. Ricordo che in Africa un clima freddo corrisponde all’aridità e un clima caldo all’umidità, un fenomeno ben noto ai geografi, ma meno agli “esperti” dell’IPCC. Semplificando eccessivamente questo fenomeno, è possibile evidenziare dieci grandi sequenze che sono state determinanti nella storia della regione ) Cento milioni di anni fa era una vasta foresta pluviale equatoriale che, sotto l’effetto dell’inaridimento, si è gradualmente trasformata in una foresta tropicale.3) 30.000 anni fa, sotto l’effetto di un maggiore inaridimento dovuto al raffreddamento del clima, la foresta si era trasformata in una savana alberata.4 Questa sequenza durò fino a circa il 4500 a.C. e fu seguita da un breve periodo intermedio arido di non più di un millennio5. ) Seguì il periodo umido neolitico, durato dal 5000/4500 a.C. al 2500 a.C., che diede origine al grande periodo pastorale sahariano-saheliano. Questo episodio umido fu però solo una pausa in un processo di inaridimento continuo che non è cessato fino ad oggi, nonostante le oscillazioni umide costituiscano tante emissioni in un fenomeno che va dalla semi-aridità all’aridità assoluta.6 ) Questa evoluzione verso l’aridità, particolarmente marcata tra il 2000-1500 a.C., ha portato al ritiro della maggior parte dei gruppi umani verso il fiume Niger.7) Poi, per circa mezzo millennio, dal 300 al 1100 d.C., le piogge sono state relativamente abbondanti in tutto il Sahel e sono apparsi grandi imperi. Poi, per quattro secoli, tornò la siccità e il Sahel entrò in una fase di lenta quiescenza.8) Tra il 1500 e il 1600, con il ritorno delle piogge, il lago Ciad raggiunse il livello più alto della storia. I pascoli permisero allora le grandi migrazioni dei pastori Fulani, che misero in atto le leve storiche che avrebbero fatto sentire i loro effetti nei secoli successivi.9) Nel XVII secolo, la regione entrò nuovamente in un periodo di grave aridità, che portò a crisi alimentari e politiche, accompagnate da invasioni di locuste. Questo fu un periodo di ripiegamento e gli Stati che emersero non erano più imperi, in quanto erano tutti etnocentrici.10) ) Alla fine del XVIII secolo, un relativo ritorno delle piogge permise una nuova espansione saheliana, illustrata dai grandi spostamenti dei pastori Fulani che costituirono vasti imperi al riparo dietro l’alibi della jihad.9 Tuttavia, come dimostro nel mio libro, è attraverso queste sequenze derivanti dai cicli climatici che si crea l’immagine di coloro che pretendono di parlare della regione senza conoscerne la geo-storia climatica. L’Afrique Réelle: Lei parla di periodi antichi che costituiscono la base della storia della regione, ma, più da vicino, il clima permette di spiegare la storia moderna della regione? Bernard Lugan: Sì, e anche in questo caso siamo perfettamente informati grazie ai geografi tropicali, quei veri specialisti il cui lavoro è insolitamente trascurato o ignorato dagli “esperti”. Sappiamo che nuovi picchi di aridità si sono verificati nel XVIII secolo, con un picco tra il 1730 e il 1750. Il XX secolo ha visto quattro grandi siccità tra il 1909-1913, il 1940-1944, il 1969-1973 e il 1983-1985, e durante gli anni ’60, un periodo “caldo” e quindi umido, le precipitazioni hanno fatto sì che la zona saheliana si spostasse verso nord e sconfinasse nel deserto. Dagli anni ’70 le precipitazioni sono tornate a diminuire, per cui il deserto si sta espandendo e il Sahel sta scivolando verso le zone sudanesi a sud, in un movimento ciclico che dura da migliaia di anni. E che dire del lago Ciad, che ci dicono stia scomparendo sotto i nostri occhi? Bernard Lugan: La storia della regione peri-cadica illustra particolarmente bene il mio problema, perché si inserisce nel ciclo di variazioni millenarie del livello del lago dovute al cambiamento climatico. A seconda dell’alternarsi di fasi calde, quindi umide, e fredde, quindi aride, il lago Ciad si è infatti espanso o ritirato. 50.000 anni fa, il lago era un vero e proprio mare interno che copriva più di 2 milioni di km2 . La sua ultima grande espansione è iniziata circa 4.000 anni fa ed è durata fino a circa il 1000 a.C. Da allora, il lago ha sperimentato un fenomeno di ritrazione globale intervallato da brevi oscillazioni umide. All’inizio del XX secolo non era altro che una palude sul punto di prosciugarsi, ma mezzo secolo dopo, all’inizio degli anni ’60, si espanse nuovamente, raggiungendo una superficie di 25.000 km2. È quindi facile capire perché questi sviluppi hanno avuto, e hanno tuttora, una notevole influenza sulla vita degli esseri umani nella società. Ad esempio, quando il livello del lago diminuisce, le aree allagate vedono l’arrivo di agricoltori e allevatori, ma quando il livello del lago si alza di nuovo, ne beneficiano i pescatori e gli ex coloni devono evacuare i loro terreni agricoli o le loro aree di pascolo. Questo spiega in parte perché, oggi, i pescatori dell’etnia Buduma sostengono Boko Haram contro gli agropastori. L’Afrique Réelle: Nel suo libro lei fornisce una delle chiavi di lettura per spiegare la questione del Sahel, che, secondo lei, ha avuto origine nella contrapposizione tra due grandi tipi di popolazione con stili di vita in competizione. Bernard Lugan: La costante che spiega in gran parte la storia del Sahel è infatti che, per migliaia di anni, fino alla colonizzazione, gli antenati delle attuali popolazioni del nord (Mori, Tuareg, Toubou e Zaghawa) hanno razziato gli antenati delle attuali popolazioni del sud (Bambara, Djerma, Songhay, Gourmantche, Haoussa, ecc.). Questo fenomeno di lungo periodo spiega in gran parte la genesi dei conflitti che si svolgono oggi nella regione, che sono innanzitutto le forme risorgenti e naturalmente “modernizzate” di questi scontri secolari, per non dire millenari. L’Africa reale: dall’Atlantico al Lago Ciad, a partire dal X secolo, esistevano tre grandi entità politiche saheliane (Ghana, Mali e Songhay) che controllavano le rotte meridionali del commercio trans-sahariano, mettendo in contatto il mondo sudanese e quello mediterraneo. Tuttavia, nel XV-XVI secolo, il destino del Sahel è stato cambiato dalla scoperta portoghese. Bernard Lugan: La conseguenza delle scoperte degli audaci navigatori portoghesi fu lo spostamento del cuore politico ed economico dell’Africa occidentale dalle regioni saheliane alle coste del Golfo di Guinea. Questa fu, secondo lo storico portoghese Magalhaes Godinho, “la vittoria della caravella sulla carovana”, e anche se questa frase eloquente deve essere limitata nella sua portata storica, sottolinea comunque una realtà essenziale, ossia che la costa dell’Africa sta scrivendo la storia del Sahel.

Anche se questa formula eloquente deve essere limitata nella sua portata storica, essa sottolinea comunque il fatto essenziale che la costa dell’Africa sud-sahariana atlantica, fino ad allora marginale nella storia del continente, divenne in pochi decenni il principale centro economico e politico di tutta l’Africa occidentale. Il Sahel era entrato in uno stato di quiescenza e fu violentemente risvegliato nel XVIII secolo dall’espansionismo dei Peul sotto la maschera della jihad. Questo vasto movimento devastò l’intero Sahel, dal fiume Senegal al lago Ciad, e portò alla creazione di potenti sultanati schiavisti con cui i colonizzatori dovettero confrontarsi. L’Afrique Réelle: Quali furono le conseguenze della colonizzazione e della decolonizzazione per il Sahel e le sue popolazioni? Bernard Lugan:La brevissima parentesi coloniale, iniziata negli anni Novanta del XIX secolo e terminata negli anni Cinquanta, fu benefica per i sedentari del Sud e catastrofica per i nomadi del Nord. Questo è il cuore della questione che si pone oggi. La colonizzazione e la decolonizzazione hanno avuto due conseguenze contraddittorie:1) Durante la conquista coloniale, le entità settentrionali bellicose e predatrici sono state sconfitte militarmente a favore delle popolazioni meridionali che dominavano. Per queste ultime, la colonizzazione liberatrice fu accolta con gioia e sollievo. Si dimentica che prima della colonizzazione, le popolazioni che vivevano lungo il fiume Niger e le sue pianure alluvionali, siano esse Songhay, Djerma, Gourmantche, ecc. erano strette tra due forze predatrici, i Tuareg a nord e i Fulani a sud. Troppo deboli per resistere, sono diventati dipendenti da questi gruppi etnici nomadi per essere risparmiati dalle loro razzie.2) Durante il periodo coloniale, predatori e vittime sono stati riuniti entro confini amministrativi tracciati dall’Europa. Tuttavia, con la decolonizzazione, questi confini amministrativi coloniali si sono trasformati in confini statali all’interno dei quali, essendo più numerosi, i meridionali hanno vinto politicamente sui settentrionali secondo le leggi immutabili dell’etnomatematica elettorale. La conseguenza di questa situazione è stata che, a partire dagli anni Sessanta, in Mali, Niger e Ciad, i Tuareg e i Toubou che rifiutavano di essere sottomessi dai loro ex affluenti meridionali si sono sollevati: questa è stata la causa scatenante delle attuali guerre regionali e negli anni Ottanta, approfittando della permeabilità delle frontiere, sono fioriti trafficanti di ogni genere. Poi, a partire dagli anni Duemila, gli islamisti-jihadisti hanno interferito opportunisticamente nel gioco politico locale, facendo sì che la ferita etno-razziale aperta dalla notte dei tempi si infettasse eccessivamente.

L’Afrique Réelle:Se nel 2012 la Francia è stata accolta come un liberatore, come spiega il suo fallimento nel Sahel? Bernard Lugan:Il fallimento della Francia nel Sahel è politico e non militare. Lo avevo già annunciato nel 2012. Il motivo è che, nonostante le numerose vittorie tattiche ottenute dai militari, in nessun momento i responsabili politici francesi hanno avuto una visione strategica coerente. A mio avviso, questo fallimento è dovuto a sei cause principali:1) I leader francesi hanno ritenuto che i diritti dei popoli dovessero cedere il passo ai “diritti umani”, alle chimere del “buon governo” e al postulato della “convivenza”. Tuttavia, queste ideologie, totalmente inadatte al Sahel, ne hanno amplificato i problemi.2) Gli stessi decisori francesi hanno privilegiato le analisi economiche e sociali aggrappandosi al miraggio dello “sviluppo”. Secondo il loro presupposto universalistico, poiché gli africani erano europei poveri e con la pelle scura, le ricette che avevano funzionato in Europa non potevano che essere trasposte in Africa. 3) Questi stessi decisori hanno ignorato superbamente la storia e le realtà etniche, dimenticando le sagge raccomandazioni fatte nel 1953 dal governatore dell’AOF: “Meno elezioni e più etnografia, e tutti ne beneficeranno”. 4) Senza memoria e senza una cultura storica regionale, i decisori francesi non hanno visto, come ho sottolineato sopra, che alla fine del XIX secolo la colonizzazione ha avuto due conseguenze contraddittorie: liberare i meridionali dalla predazione del nord e, allo stesso tempo, riunire le vittime e i carnefici all’interno degli stessi confini amministrativi5 (vedi anche: “Il ruolo del governo francese nello sviluppo dell’AOF”). ) Questi stessi funzionari francesi non si accorsero che negli anni ’60, con l’indipendenza, i confini amministrativi dell’ex AOF, divenuti confini di Stato, erano stati trasformati in prigioni per il popolo. Anche in questo caso, come ho spiegato prima, all’interno di queste frontiere artificiali, essendo le più numerose, l’etnomatematica elettorale ha dato automaticamente il potere ai meridionali, le ex vittime, provocando la rivolta dei settentrionali, gli ex predatori… 6) Gli irresponsabili che definiscono la politica africana della Francia non hanno capito che il Sahel è il dominio del lungo periodo, dove l’affermazione di una costante islamica radicale è prima di tutto la superinfezione di una ferita etno-razziale secolare che non siamo, per definizione, in grado di chiudere. In definitiva, mentre la politica africana della Francia avrebbe dovuto essere affidata a uomini di campo eredi del “metodo Lyautey” e dell’approccio etno-differenzialista dell’ex “Affari indigeni”, è stata ahimè gestita da “piccoli marchesi” di Sciences Po. Insignificanti e pretenziosi, questi settari incistati nei ministeri della Difesa e degli Esteri portano, insieme ai ministri che in teoria li dirigono, la terribile responsabilità del fallimento francese nel Sahel.

L’Afrique Réelle: Lei ha mostrato in diversi numeri de L’Afrique réelle come la Russia stia tornando in grande stile in Africa da un decennio attraverso una politica decisamente centrata sul settore militare, e come i metodi di radicamento di Cina e Russia siano molto diversi. La Russia è quindi responsabile dei “fallimenti francesi nel Sahel? Bernard Lugan: Dobbiamo renderci conto che la Cina si sta insediando in Africa indebitando i suoi partner con prestiti che non saranno mai in grado di ripagare e che permetteranno a Pechino di mettere le mani sulle grandi infrastrutture dei Paesi interessati. La Russia, invece, agisce in modo completamente diverso, attraverso l’opzione militare, ponendosi al centro delle vere strutture di potere e di influenza, ovvero le forze armate, un fenomeno che ha preso slancio dal 2015 e che fa parte della strategia di smantellamento definita da Mosca. A differenza della Francia, la Russia ha una visione geopolitica dell’Africa e del Sahel: mentre la NATO fa avanzare le sue pedine contro la Russia nel Nord Europa ottenendo nuove adesioni o richieste di adesione, Mosca fa avanzare le sue pedine in Africa firmando accordi militari con molti Paesi del continente. Dagli anni Duemila, la Russia ha fatto una grande rimonta in Africa riattivando le sue vecchie reti ereditate dall’ex URSS. Non dimentichiamo che negli ultimi due decenni della sua esistenza, l’URSS era in grado di intervenire militarmente ovunque in Africa, come dimostrano i trasporti aerei organizzati nel 1975 in Angola e nel 1977-78 sul fronte etiope. Diverse decine di migliaia di “consiglieri” sovietici furono poi distribuiti nei Paesi africani che avevano stretto accordi con Mosca. Un altro aspetto di questa politica fu che 25.000 studenti africani frequentarono università e istituti sovietici, tra cui la famosa Università Patrice Lumumba. Oggi, alcuni di questi ex studenti sono in attività, come Michel Djotodia, che ha preso il potere nella Repubblica Centrafricana nel 2013 e parla russo. Ma lo stesso vale per il Sahel, in particolare per il Mali e la regione sudanese. Tuttavia, una volta resosi conto che l’Europa atlantista non voleva una partnership con la Russia, Vladimir Putin ha ripreso la politica sovietica degli anni Settanta e Ottanta. Nel 2006 ha compiuto un viaggio ufficiale in Sudafrica e Marocco, e nel 2009 Dimitri Medvedev ha fatto lo stesso in Angola, Namibia e Nigeria, e in occasione del suo viaggio ha cancellato 29 miliardi di dollari di debito africano. Questi viaggi sono stati l’occasione per rafforzare vecchie amicizie, con Mosca che ha riattivato i contatti dell’epoca dell’ex Unione Sovietica. Oggi la Russia ha stabilito o ristabilito relazioni diplomatiche con tutti i Paesi africani e Mosca ha 35 ambasciate africane, ma la mossa della Russia è stata vista con simpatia in un continente africano stanco delle ingiunzioni politiche (“buon governo”) e delle richieste sociali (LGBT, femminismo politico, omosessualità ecc.) dell’Occidente. Inoltre, come i funzionari russi si affrettano a sottolineare, non avendo un passato coloniale, il loro Paese non si è mai sentito autorizzato a imporre loro imperativi sociali, politici o economici. Al contrario, ieri l’URSS aiutava le lotte di liberazione e oggi esorta i Paesi africani a liberarsi dalle “sopravvivenze coloniali”. Dal punto di vista politico, Vladimir Putin ha quindi assunto una posizione esattamente opposta al diktat democratico che François Mitterrand impose all’Africa nel 1990 alla conferenza di Baule. Un diktat che ha causato un caos senza fine nel continente, installando in modo permanente il disordine democratico. Al contrario, Vladimir Putin ritiene che uno degli ostacoli in Africa sia la sua instabilità politica. Una vignetta russa trasmessa nei cinema e su tutti i media centrafricani riassume perfettamente l’immagine che la Russia vuole dare al popolo africano. Questa vignetta mostra un leone (cioè l’Africa), attaccato da una moltitudine di iene (cioè l’Occidente), e che viene salvato da un orso (la Russia).L’Afrique Réelle:Vede una soluzione al caos nel Sahel? Bernard Lugan: No, e per una ragione molto semplice: nel Nord la pace dipende dai Tuareg, nel Sud dai Peul… Tuttavia, la nostra ideologia ci vieta di prendere in considerazione questo fattore determinante dell’etnostoria regionale. In queste condizioni, non sarebbe meglio, o meglio il male minore, perdere completamente interesse per la regione, in modo da permettere o di ristabilire gli equilibri tradizionali distrutti dalla colonizzazione, o di crearne di nuovi? Ma, in questo caso, dobbiamo tenere presente che il più forte prevarrà sul più debole, e che quindi dovremo accettare che le nuvole democratiche vengano messe tra parentesi…

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La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia, di Andrew Korybko

La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia

Andrew Korybko
8 marzo

L’Occidente vuole punire il primo ministro Irakli Garibashvili per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente denunciato questo complotto, impegnandosi al contempo a non armare mai nemmeno Kiev. Il furore artificialmente prodotto sulla legge sugli agenti stranieri della Georgia, ispirata dagli Stati Uniti, non è altro che una cortina di fumo per nascondere la vera ragione alla base dei disordini di martedì.

L’ex Repubblica sovietica della Georgia ha subito un grave tentativo di rivoluzione colorata martedì sera, dopo che i rivoltosi radicali filo-occidentali hanno cercato di prendere d’assalto il Parlamento in risposta all’approvazione di una legge che impone a tutte le organizzazioni con almeno il 20% di finanziamenti stranieri di registrarsi presso le autorità. I media occidentali guidati dagli Stati Uniti (MSM) hanno artificialmente fabbricato una falsa narrativa nel periodo precedente agli eventi, sostenendo che la legge si basa sul sistema di registrazione della Russia, anche se è esplicitamente ispirata a quella degli Stati Uniti.

Questo tentativo ben intenzionato di proteggere la nascente e certo imperfetta democrazia georgiana da ingerenze straniere, come suo diritto sovrano, è stato poi sfruttato come pretesto per organizzare un violento cambio di regime contro il primo ministro Irakli Garibashvili. L’Occidente vuole punirlo per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente smascherato questo complotto, impegnandosi a non armare nemmeno Kiev.

La presidente Salome Zurabishvili, che era in visita all’ONU a New York durante il fallito cambio di regime contro Garibashvili martedì sera, ha dato il suo pieno appoggio ai disordini in un video che riproponeva la falsa narrativa di guerra informativa dell’Occidente, secondo la quale il progetto di legge è sostenuto dalla Russia. I lettori dovrebbero sapere che ha svolto la maggior parte della sua carriera come diplomatica francese, dopo esservi nata, ed è stata in precedenza ambasciatrice di quel Paese in Georgia fino al 2004.

A quel punto ha ricevuto la cittadinanza georgiana solo grazie a un accordo tra i due governi, proposto da Mikhail Saakashvili dopo il successo della sua rivoluzione colorata l’anno precedente, affinché diventasse ministro degli Esteri. Da allora, a tutti gli effetti, Zurabishvili è uno dei principali “agenti di influenza” del Miliardo d’oro in Georgia. Nonostante il Primo Ministro abbia oggi più potere grazie alle riforme precedenti, la Presidenza le conferisce ancora una certa influenza sulla società.

È in questo contesto che è stata tentata la violenta presa di potere di martedì sera contro Garibashvili, anche se la Russia era già preparata a questo scenario dopo che il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov aveva avvertito all’inizio di febbraio che qualcosa di losco era in atto nell’ex Repubblica Sovietica. In quell’occasione ha dichiarato a un popolare conduttore televisivo: “Il fatto che vorrebbero trasformare la Georgia in un’altra fonte di irritazione, per riportare la situazione alla condizione aggressiva dell’era Saakashvili, è fuori dubbio”.

Va anche detto che l’ultimo tentativo di rivoluzione cromatica dell’Occidente nella regione ha avuto luogo in mezzo ai continui guadagni russi intorno ad Artyomovsk/”Bakhmut”, che hanno spinto il presidente ucraino Vladimir Zelensky ad avvertire che la Russia potrebbe attraversare il resto del Donbass se catturasse quella città. All’inizio dello stesso giorno e poche ore prima del tentativo di assalto al parlamento di Tbilisi, il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha confermato che una vittoria in quella regione avrebbe distrutto le difese regionali di Kiev.

Per riassumere le dinamiche strategiche alla vigilia del fallito cambio di regime di martedì sera in Georgia, i mass media avevano già prodotto una falsa narrativa prima che il parlamento votasse la legge sugli agenti stranieri ispirata dagli Stati Uniti, sostenendo che essa simboleggiasse l’inclinazione del Paese verso la Russia. Questa campagna di guerra informativa è condotta contro il suo premier per il suo rifiuto, all’inizio di dicembre, di aprire un “secondo fronte” contro la Grande Potenza eurasiatica per alleviare la pressione sui proxy ucraini degli Stati Uniti.

La Presidente georgiana, che probabilmente è sempre stata uno dei principali “agenti d’influenza” del Miliardo d’oro, si trovava a New York quando tutto si è svolto e ha dato il suo pieno appoggio ai disordini del cambio di regime. All’inizio dello stesso giorno, sia il Ministro della Difesa Shoigu che Zelensky avevano informato tutti che la Russia avrebbe potuto attraversare il resto del Donbass se avesse catturato Artyomovsk/”Bakhmut”. Le premesse per il tentativo di rovesciare violentemente Zurabishvili martedì sera erano quindi pronte.

Sarebbe prematuro dichiarare che Zurabishvili è sicuro della sua posizione, nonostante i servizi di sicurezza siano riusciti a difendere il parlamento dai rivoltosi, poiché molto potrebbe ancora accadere per far avanzare l’agenda degli Stati Uniti sul cambio di regime. La Georgia è un Paese profondamente diviso che è stato sotto l’immensa influenza dell’Occidente negli ultimi due decenni, durante i quali il Miliardo d’oro è riuscito a manipolare una parte consistente della popolazione per indurla a fare i suoi interessi geopolitici.

Non mancano gli “utili idioti” che, grazie alla loro ideologia liberal-globalista, possono essere facilmente indotti a destabilizzare il Paese a scapito dei suoi interessi nazionali oggettivi. Questo significa che la Georgia è destinata a diventare l’ultimo fronte della Nuova Guerra Fredda, visto che è improbabile che la sua ultima crisi si risolva a breve. La situazione è estremamente grave e l’esito della guerra ibrida non dichiarata degli Stati Uniti contro la Georgia potrebbe influenzare direttamente gli sviluppi nel Donbass.

https://korybko.substack.com/p/georgia-is-targeted-for-regime-change

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 2 di 7]_di Daniele Lanza

Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere, ma senza impegno)
L’uomo che vedete seduto al tavolo a firmare si chiama Wilhelm Gustav Keitel (salto altri 2 nomi di battesimo) in quella che è una delle 40 o 50 istantanee più significative della guerra mondiale : feldmaresciallo e rappresentante dell’OKW – stato maggiore – al momento della capitolazione, presso i sovietici.
La sua sagoma fisica nello spazio della foto, si distingue per essere fuori del suo tempo, per il suo anacronismo già allora : azzimato, con la lente all’occhio, il guanto impeccabile alla mano sinistra e un “bastone del comando” (se lo notate) appoggiato vicino al braccio che pare essersi posato lì come appena fuggito da un 1885 (?) traverso qualche corridoio spazio-tempo……..quando nella stessa sala gli uomini attorno a lui impartiscono comandi a flotte aeree a reazione, sottomarini e (presto) ad armi nucleari e razzi che passano la stratosfera.
Sì, in realtà riflettendo a posteriori con spirito della filosofia della storia, allora l’immagine assume un significato più complesso : NON è un uomo quello che vediamo con la penna in mano a firmare l’atto di capitolazione, ma lo spettro di un’era sconfitta – quella kaiseriana – e di uno spirito che ne era l’essenza – il prussianesimo – che muore.
La prussianità, mestamente a un tavolo, riceve la notifica del proprio annullamento da controfirmare, dopo 500 anni di storia (…o anche 800, oppure solo 250, questo a seconda di come datiamo il concetto in sé, se si inizia a contare dal medioevo teutonico oppure dal più moderno Federico I°, la scelta al lettore) : al sopramenzionato Keitel l’infelice compito di prestare un volto e una figura – dare sembianza fisica – al concetto. Si badi bene il distinguo nel mio discorso senza fraintendimenti (niente confusioni che vedano una mia empatia compassionevole per la persona in questione, sulla quale in verità sospendo commento – il soggetto è condannato a Norimberga per evidenti crimini di guerra che vanno oltre la mera esecuzione dell’ordine, ma vedono un ruolo attivo. La pena capitale è eseguita l’anno seguente -).
Quanto cerco di dire è che siamo di fronte anche in questo caso – ben più che in Italia – ad una MORTE DELLA PATRIA, con tutta la problematicità che reca con sé per il vuoto che inevitabilmente lascia e conseguentemente per la capacità o meno di colmarlo da parte di chi verrà dopo.
Ora cerco di riformulare in modo più diretto per il pubblico meno preparato che mi segue in questo momento : lo stato tedesco – il reich di allora – non “perde” il conflitto, ma piuttosto si dovrebbe dire che ne è CANCELLATO. La capitolazione dell’8/9 maggio 1945 che si rievoca in questi giorni fu praticamente una resa militare più che non una resa politica : gli alleati domandarono una resa incondizionata, che non equivale ad un convenzionale armistizio quanto ad una cessazione della potestà e quindi dell’esistenza stessa della parte perdente. Non vi fu alcun trattato di pace con la parte perdente (i rappresentanti superstiti della gerarchia del reich), la cui esistenza non veniva più giuridicamente riconosciuta.
L’espressione “resa incondizionata” riveste pertanto un significato ontologico quasi, per quanto concerne l’esistenza di uno stato nazionale.
Ecco allora che emerge un punto non indifferente : tanto allora quanto oggi, parlando della fine della guerra e del sistema che ne seguirà, ci si concentra nel 99% dei casi sulla sanguinosa disfatta e quindi distruzione, emarginazione dell’apparato nazional socialista nel dopoguerra, senza prestare attenzione al fatto che questa tira giù con sé anche l’identità nazionale tedesca che esisteva da ben PRIMA dell’avvento di Hitler : probabilmente questo viene dato per scontato, “va da sé” per così dire, ma proprio per questo la faccenda è ancor più problematica, per la ragnatela di equivoci semantici che comporta.
Voler affrontarli significa riflettere su una serie di punti che si possono sintetizzare in due interrogativi pilastro della questione :
1) “In che misura, durante la sua esistenza, il nazional socialismo coincise col corpo reale del paese ?
2) “In che misura la fascia più conservatrice della società – gli esponenti del prussianesimo – coincise col nazional socialismo ? “
…dall’eventuale risposta a questi due punti consente di affrontare un ulteriore domanda chiave sul quanto sia stato lecito da parte dei vincitori sbarazzarsi dello stato tradizionale tedesco anteriore al 1933 con la scusa di denazificare il paese dopo il 1945. Entrambe le domande recitano “in che misura” , cosa che suggerirebbe la necessità scientifica di quantificare tale appoggio, il che è tuttavia – come si può intuire – più complesso del previsto, ingannevole (ma che stiamo ad ingannarci con giri di parole ? E’ infattibile. In ultima istanza siamo di fronte a opinioni e congetture per quanto argomentate, cosa che malgrado tutto mi industrierò via via di fare).
Insomma, quasi 20 anni fa Galli della Loggia conia e popolarizza (e penso fosse doveroso porre il punto) l’espressione di “morte della patria” in merito al caso italiano che tuttavia non preclude riflessioni su altri casi – come quello tedesco in questo caso – ma che ipso facto apre le porte all’insolubile enigma di COSA sia la patria di cui si parla…..ne sottolinea il carattere drammaticamente relativo, dipendente da weltanschaung divergenti e quindi in definitiva l’artificialità di questa costruzione che scaturisce dalla sensibilità soggettiva.
Il limite del social web impedisce di tuffarsi nell’argomento ad un livello scientifico nonostante il tono serio che tengo (prego di considerarlo), ma mi si permetterà di sviluppare e condividere qualche considerazione su Weimar, Wehrmacht, Prussia, NSDAP, DDR, fino ad arrivare alla repubblica federale di oggi. Procederò armato soltanto di pochi dati e logica elementare, aperto a qualsiasi osservazione e contraddittorio (anzi lo domando a chi avrà voglia : contestatemi e contradditemi senza esitazione laddove riterrete)
Per il momento lasciamo Gustav Keitel qua sotto, all’infelice momento della firma (avrà momenti assai meno felici a breve, comunque) e partiamo dalle radici…………
(CONTINUA…)

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L’egemonia americana e i suoi pericoli, del Ministero degli Esteri di Cina_a cura di Violetta Piccolo

L’egemonia americana e i suoi pericoli. La nuova denuncia cinese che smaschera le false narrative del predominio statunitense durante la Nuova Guerra Fredda.

di  Violetta Piccolo

 

In questo articolo presentiamo la traduzione dal cinese di uno dei più assertivi documenti che negli ultimi tempi la Cina ha prodotto: si tratta del documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese dello scorso 20 febbraio 2023, dal titolo “La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli”, ribattuto dall’Agenzia Xinhua, che insieme al documento in dodici punti del giorno successivo sulla Global Security Initiative hanno dato avvio alla presenza del soggetto politico cinese nel ruolo di potenza che primeggia e si smarca dalle mire di conquista americane nella sua regione di influenza nell’Indo-Pacifico, nonché punta nientemeno al ruolo di pacificatore per il conflitto ucraino in corso. Questi due documenti, usciti in concomitanza del prossimo avvio del nuovo premierato cinese e come premessa del prossimo incontro di Xi Jinping alla Conferenza sulla Sicurezza di Bo’ao che si terrà in aprile, danno una maggiore visione del contributo cinese allo smascheramento della strenua politica militarista interventista americana e si aggiungono alla nuova fase che ritaglia un possibile ruolo di preminenza cinese verso la risoluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Trattandosi di un documento sulla declinazione dei metodi e della pervasività dell’imperialismo americano, che riporta sia le condizioni a livello globale e internazionale dell’economia che quelle del suo continuo ingaggio al militarismo fino all’egemonia culturale e le varie declinazioni di essi, vogliamo presentare alcuni punti essenziali del testo per fare un confronto con l’attuale stato dell’arte della controparte americana. Il documento si svolge su un asse dedicato in cinque punti, che introducono sia l’ambito politico che economico, sia quello militare che quello tecnologico e infine culturale: in particolare sono da notare i rimandi alla Dottrina Monroe[1] e al suo uso spregiudicato, dalla sfera di influenza americana fino all’allargamento che porta ad inglobare l’intera comunità internazionale nel concetto di “esportazione della democrazia”. In questo senso la parte cinese vuole fare notare come nel corso della storia degli ultimi duecento anni, col caso che al 2023 ricorrerà appunto l’anniversario dei duecento anni dalla sua implementazione, gli Stati Uniti si siano serviti di questa teoria per dominare e per soggiogare con guerre che ne giustificavano la sua sicurezza nazionale il loro ambito di sfera allargata, che tuttavia negli ultimi cinquant’anni ha di fatto reso internazionalizzato. Come sostiene Vijay Prashad nel suo articolo sulla letalità della Dottrina Monroe “(…)Nel 2023 la Dottrina Monroe, sviluppata in un periodo in cui gli Stati Uniti affermavano la loro egemonia sull’emisfero americano, compirà 200 anni. Oggi, lo spirito maligno della Dottrina Monroe non solo continua, ma il governo statunitense lo ha perfino esteso in una sorta di Dottrina Monroe Globale[2]. Per affermare questa assurda pretesa sull’intero pianeta, gli Stati Uniti hanno perseguito una politica[3] di “indebolimento” di quelli che considerano “rivali alla pari”, ossia Cina e Russia”. La guerra in Ucraina ha spostato l’asse dell’ordine mondiale: dando luogo all’intervento militare in Ucraina, la Russia e la Cina, come controparte ad essa “alleata” sostenitrice, hanno dato vita ad una contestazione dell’ordine unipolare attualmente presente, a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, quello che così ferocemente gli americani contendono come primato. Bisogna qui ricordare che la crescente egemonia americana si è fondamentalmente basata sugli ultimi 20 anni di interventismo militare, dalle guerre in Afghanistan a quelle in Iraq, suscitando l’opposizione ormai evidente della comunità internazionale: secondo il disegno della Difesa americana, tuttavia, stando alla trascrizione della relazione rilasciata allo US Department of Defense nella persona del Segretario alla Difesa, gen. James Mattis, del gennaio 2018 sulla National Defense Strategy americana, si possono comprendere le direzioni di questa, e con le sue parole intendere gli obiettivi e le finalità che rendono pervasiva la Dottrina Monroe. Diceva infatti il generale che “(…) il documento o rapporto n. 68 del Consiglio di sicurezza nazionale è stato un faro durante la Guerra Fredda. Ha guidato molte cose.” E prosegue così: “(…)Lo sfondo che si ha qui rende questo un luogo adatto per introdurre il nostro riassunto non classificato del documento classificato. Sapete, alcune parti sono segrete perché dobbiamo un certo grado di riservatezza alle truppe che porteranno avanti questa strategia. È, come ha notato il decano, la Prima Strategia di difesa nazionale della nostra nazione in 10 anni. Credo che sia un obbligo morale per i leader spiegare chiaramente ai subordinati del Dipartimento della Difesa cosa ci aspettiamo da loro. È stato progettato per proteggere gli interessi nazionali vitali dell’America. E questa strategia di difesa è stata inquadrata, come ha notato il decano, dalla National Security Strategy del presidente Trump. E solo un paio di parole per mostrarvi cosa intendo dire quando parlo del fatto che è stato “inquadrato”; e cioè che è all’interno del quadro di tale strategia di sicurezza nazionale. Nello specifico, dove afferma che dobbiamo “proteggere il popolo americano, la patria e lo stile di vita americano”. E prosegue dicendo “e preservare la pace con la forza”. Quelle sono parole tratte dalla Strategia di Sicurezza Nazionale e portiamo quei temi all’interno del Pentagono, dove diciamo: “Cosa significa per noi?” Naturalmente, la sicurezza nazionale è molto più che una semplice difesa; questa è la nostra parte di responsabilità. Oggi, l’esercito americano rivendica un’era di scopi strategici e siamo attenti alle realtà di un mondo che cambia e consapevoli della necessità di proteggere i nostri valori e i paesi che stanno con noi. L’esercito americano protegge il nostro modo di vivere e voglio sottolineare che protegge anche una sfera di idee. Non si tratta solo di proteggere parte della geografia. Questa è una strategia di difesa che guiderà i nostri sforzi in tutti i campi. Il mondo, per citare George Shultz, è inondato dal cambiamento, definito dalla crescente volatilità globale e incertezza con la competizione tra le Grandi Potenze, tra le nazioni, che sta diventando una realtà ancora una volta. Anche se continueremo a perseguire la campagna contro i terroristi in cui siamo impegnati oggi, ma la competizione tra Grandi Potenze, non il terrorismo, è ora l’obiettivo principale della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Questa strategia è adatta al nostro tempo, fornendo al popolo americano i militari necessari per proteggere il nostro stile di vita, stare dalla parte dei nostri alleati e essere all’altezza della nostra responsabilità di trasmettere intatte alla prossima generazione quelle libertà di cui tutti noi godiamo qui oggi. Adattandosi alle realtà odierne, questa strategia espande il nostro spazio competitivo, dà priorità alla preparazione alla guerra, fornisce una direzione chiara per cambiamenti significativi alla velocità della rilevanza e costruisce una forza più letale per competere strategicamente. Questa strategia fa una valutazione chiara del nostro ambiente di sicurezza, con un occhio attento al posto dell’America nel mondo. Ciò ha richiesto alcune scelte difficili, signore e signori, e le abbiamo fatte sulla base di un precetto fondamentale, vale a dire che l’America può permettersi la sopravvivenza. Affrontiamo crescenti minacce da parte di potenze revisioniste così diverse tra loro come Cina e Russia, nazioni che cercano di creare un mondo coerente con i loro modelli autoritari, perseguendo l’autorità di veto sulle decisioni economiche, diplomatiche e di sicurezza di altre nazioni. Regimi canaglia come la Corea del Nord e l’Iran persistono nell’intraprendere azioni fuorilegge che minacciano la stabilità regionale e persino globale. Opprimendo la propria gente e distruggendo la dignità e i diritti umani della propria gente, spingono le loro visioni distorte verso l’esterno. E nonostante la sconfitta del califfato fisico dell’ISIS, organizzazioni estremiste violente come l’ISIS o l’Hezbollah libanese o al Qaida continuano a seminare odio, distruggere la pace e uccidere innocenti in tutto il mondo. In questo momento di cambiamento, il nostro esercito è ancora forte. Eppure il nostro vantaggio competitivo si è eroso in ogni dominio di guerra, aria, terra, mare, spazio e cyberspazio, e continua a erodersi. Il rapido cambiamento tecnologico, l’impatto negativo sulla prontezza militare è il risultato del più lungo periodo di combattimento a lungo termine nella storia della nostra nazione e dei limiti di spesa per la difesa, perché abbiamo operato anche per nove negli ultimi 10 anni, con continue risoluzioni che hanno creato un sovraccarico e militari con risorse insufficienti. Il ruolo dei nostri militari è mantenere la pace; per mantenere la pace per un altro anno, un altro mese, un’altra settimana, un altro giorno. Per garantire che i nostri diplomatici che stanno lavorando per risolvere i problemi lo facciano da una posizione di forza e dando fiducia agli alleati in noi. Questa fiducia è sostenuta dalla certezza che i nostri militari vinceranno se la diplomazia dovesse fallire. Quando ha svelato la sua strategia di sicurezza nazionale, il presidente Trump ha dichiarato: “La debolezza è la via più sicura per il conflitto e la forza indiscussa è il mezzo di difesa più sicuro”. Signore e signori, non c’è spazio per l’autocompiacimento, e la storia dimostra chiaramente che l’America non ha un diritto preordinato alla vittoria sul campo di battaglia. Semplicemente, dobbiamo essere i migliori se vogliamo che i valori nati dall’Illuminismo sopravvivano. Spetta a noi schierare una forza più letale se la nostra nazione vuole mantenere la capacità di difendere noi stessi e ciò che rappresentiamo. Le tre principali linee di azione della strategia di difesa ripristineranno il nostro relativo vantaggio militare. Costruiremo una forza più letale. Rafforzeremo le nostre alleanze tradizionali e costruiremo nuove partnership con altre nazioni. E allo stesso tempo riformeremo le pratiche commerciali del nostro dipartimento per prestazioni e convenienza .

Alla luce di quanto viene descritto sopra è difficile non dare le dovute ragioni alla controparte cinese quando stila un documento come quello che si sta per leggere e che denuncia apertamente le violazioni in campo internazionale da parte degli Stati Uniti. In questa prima parte dunque è evidente cosa mette in rilievo il documento cinese quando parla della politica egemonica americana e della sua declinazione militarista[4]. Infatti, come nota un recente articolo del China Daily riportato dall’agenzia ChinaMil, nei siti dei quotidiani cinesi viene ormai ripresa la disastrosa pratica militare e tecnologica americana, suggerendo che “Alcuni “documenti interni di Twitter” recentemente divulgati da un giornalista investigativo degli Stati Uniti hanno rivelato come diverse agenzie governative statunitensi stiano manipolando i social media per portare avanti la loro agenda. Il governo degli Stati Uniti ha da tempo creato una rete di rumors e voci contrastanti per manipolare l’opinione pubblica, demonizzare altri paesi e continuare l’egemonia degli Stati Uniti. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti lanciarono l'”Operation Mockingbird”, comprando almeno 400 giornalisti e 25 grandi organizzazioni in tutto il mondo per diffondere false informazioni. Gli Stati Uniti continuano a inventare menzogne, dall’uso di detersivo per bucato come prova schiacciante per bombardare l’Iraq detentore di “armi di distruzione di massa”, all’uso di video messe in scena fatti dai “Caschi bianchi” per bombardare in modo simile la Siria, e per far emergere la “presunzione di colpa” sull’origine del COVID 19. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo ha persino ammesso: “Mentiamo, imbrogliamo, rubiamo. Questa è la gloria della continua esplorazione e progresso dell’America”. Gli Stati Uniti hanno spesso lanciato “guerre di opinione pubblica”, utilizzando false informazioni come strumento contro altri Paesi. Dal tramare “rivoluzioni colorate” in tutto il mondo, all’usare la “sicurezza nazionale” come pretesto per sopprimere le compagnie straniere, fino alla fabbricazione di bugie come “genocidio” e “campi di lavoro forzato” nello Xinjiang, gli Stati Uniti hanno sempre spacciato i loro tentativi di sovversione come “promozione della democrazia”, e mirate contro il calpestio della vita come “protezione dei diritti umani”. L’uso senza princìpi della disinformazione nel cyberspazio è diventata l’arma preferita degli Stati Uniti in questa Nuova Guerra Fredda. Secondo un rapporto del Centre for Responsible Technology dell’Australia Institute, 5.752 account Twitter, molti dei quali controllati a distanza da “bot” siti negli Stati Uniti, sono diventati virali per un breve periodo nel 2020 per poter ritwittare voci sull’origine del COVID-19. Gli Stati Uniti hanno creato reti di disinformazione che lanciano attacchi mirati contro Paesi che non amano in più lingue. Tale fabbricazione di bugie ha danneggiato la fiducia delle persone negli Stati Uniti. Un recente sondaggio della Gallup/Knight Foundation ha rilevato che il 50% dei cittadini statunitensi ritiene che la maggior parte delle testate giornalistiche nazionali fuorvii intenzionalmente il pubblico. Un sondaggio condotto dallo US News and World Report e dalla Wharton School dell’Università della Pennsylvania e da altre istituzioni ha rilevato che la fiducia globale negli Stati Uniti è diminuita del 50% dal 2016. Inventare e diffondere menzogne non può aiutare gli Stati Uniti a guadagnare una vera influenza. Gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di ingannare il mondo e calunniare altri Paesi con menzogne.” Questo quanto riportato dall’agenzia e che fa il paio con il documento di diretta denuncia del ministero degli Esteri da noi tradotto. Il che dimostra quanto sia ormai smascherata e resa inefficace come strategia quella per la paventata sicurezza nazionale statunitense. Il documento, poi, oltre a delineare un quadro di tipo istituzionale interno agli Stati Uniti, descrive ambiti ad esso collegati sul piano delle manovre internazionali con cui si consegue l’obiettivo: in particolare, due sono i punti presi di mira, ovvero quello economico e tecnologico, andando a denunciare sia l’effetto destabilizzante del dollaro che le potenziali negatività subite dalle altre economie nazionali dopo lo scoppio del recente conflitto in Ucraina con la Russia. Se la Russia ha incontrato le prime difficoltà superando brillantemente le sanzioni imposte, queste si sono tuttavia altresì riversate con un effetto domino negli Stati dell’Asia centrale e soprattutto nell’Eurozona e nei Paesi in via di sviluppo. Come indica il documento, è a questi soggetti che l’indebolimento economico ha davvero reso nell’ultimo triennio post-pandemico difficile recuperare il potere valutario delle proprie monete, anche a causa dei forti rialzi delle materie prime e del comparto energetico. Infatti, oltre al primo punto sulla politica americana che ne mette in questione il concetto di unipolarità attraverso la contestazione aperta della dottrina succitata, il testo del documento fa riferimento alla pratica vessatoria dell’uso della dollarizzazione in campo economico. A questo proposito, un recente articolo del South China Morning Post dell’editorialista Alex Lo[5] ha messo in evidenza come il nuovo ambasciatore statunitense in Cina, Nicholas Burns, in uno dei suoi tweet ha decretato come “rozza propaganda indegna di una Grande Potenza” il documento stilato dal Ministero degli Esteri cinese, evidenziando che in realtà la controparte cinese ha solamente esposto l’ovvio, il già noto e abusato sistema di intervento tipico degli americani, i quali sono stati per così dire usando una formula gergale “presi con le dita nella marmellata”. Si fa anche riferimento allo stesso studio citato nel documento cinese proveniente dalla Tufts University, in cui il Center for Strategic Studies diretto dalla professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali Monica Duffy Toft raccoglie nel suo database un progetto di ricerca sulla sicurezza e gli interventi militari nella storia americana chiamato[6] “The Military Intervention Project. The Center for Strategic Studies Revamps Data on U.S. Military Intervention”. In questo caso, facendo riferimento e prendendo spunto a piene mani dalla nutrita raccolta che va dal 1776 al 2019 della Fletcher School of Law and Diplomacy at Tufts University,  diviene sempre più difficile poter sfuggire alle denunce dei vari abusi effettuati da parte americana, dato che il sostegno dei dati raccolti inchiodano alle proprie responsabilità il governo degli Stati Uniti, per il quale effettivamente vengono ad essere imputati casi di sponsorizzazione di colpi di Stato, eversione, cambi di regime e un uso sproporzionato della forza, risultando in veri e propri crimini di guerra che hanno lasciato sul suolo milioni di morti e dispersi tra militari e soprattutto vittime civili innocenti.  L’ambasciatore Burns non è nuovo a questo tipo di infelici uscite, come ricorda già il Global Times in un articolo del 27 febbraio scorso[7] quanto a misure economiche controverse da parte cinese e altri abusi che vengono affibbiati alla controparte. In realtà, sebbene queste imbarazzanti e aperte dichiarazioni siano avvenute durante un Convegno dello scorso 15 febbraio nell’ambito dello scambio con l’American Chamber of Commerce al quale Burns era stato invitato, sono poi subito state dismesse frettolosamente e grossolanamente con un tweet dalla stessa Camera di Commercio Americana in Cina. Tuttavia, l’articolo è corredato di ampie dimostrazioni raccolte da dichiarazioni in forma privata e anonima fatte dai presenti all’evento, in cui si dice che “L’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina Nicholas Burns ha criticato apertamente la Cina quando si è rivolto alla 22esima Cena Annuale di Gala della Camera di Commercio Americana (AmCham China), causando insoddisfazione tra il personale di AmCham China e i rappresentanti dell’industria. Alcuni dirigenti dell’US-China Business Council hanno affermato che riconsidereranno se invitare Burns alla celebrazione del 50° anniversario del Consiglio quest’anno, ha appreso il Global Times da una fonte. Alcuni dirigenti dell’azienda lo chiamavano “American Wolf Warrior”. Il 15 febbraio, circa 350 rappresentanti dei settori politici e imprenditoriali cinesi e statunitensi hanno partecipato alla Cena di Gala Annuale di AmCham China, durante la quale Burns ha tenuto un discorso. Ha criticato il commercio cinese, le imprese statali, i sussidi all’industria, la sicurezza informatica e la regolamentazione, le misure antiepidemiche e le politiche sui diritti umani, e ha persino menzionato il recente incidente del pallone spia. Le sue critiche alla Cina hanno causato insoddisfazione tra i partecipanti. Giovedì una fonte a conoscenza della questione ha dichiarato al Global Times che un membro dello staff di AmCham China ha affermato che mentre Burns pronunciava il discorso, “l’atmosfera era estremamente imbarazzante”. Burns ha sollevato molte volte contenuti sensibili durante la cena, nonostante sia l’evento di più alto livello organizzato dalla Camera ogni anno. “Quasi tutti gli argomenti che la Camera voleva evitare sono stati menzionati da lui”, ha detto la fonte.” Questo ancora una volta a dimostrazione del fatto che il documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese non sortisce alcuna nuova sorpresa, in realtà, ma quello che semmai solleva sono pesanti dubbi e accuse sulla attuale condotta del governo statunitense e sulla continua brutalità con cui interviene, interferendo nelle politiche dei Paesi che vuole minare, nella sfera politica, economica, militare, tecnologica e persino culturale. A ragion veduta l’editorialista Alex Lo viene citato anche nel documento del Ministero qui tradotto e riportato, poiché –come si apprende- già aveva individuato che la Tufts University aveva rilasciato documentazione investigativa sulle guerre condotte dagli Stati Uniti in un lasso temporale storico che va appunto dall’avvenuta Guerra per l’Indipendenza fino ai giorni nostri, e così il documento riporta: “Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento. L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra. Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti Paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.” Sempre nel suo recente articolo datato 6 marzo 2023 per il South China Morning Post il giornalista Alex Lo raccomanda una comparazione che ulteriormente ce ne fosse bisogno va a conferma dell’imperialismo pervasivo americano e delle sue strategie messe in atto anche in campo economico: a conferma del documento che è stato riprodotto dal Ministero, il giornalista cita come fonte autorevole e non confondibile con forme di propaganda la stessa Federal Reserve. Si chiede se infatti la questione più ironica non stia proprio nella sezione III del documento, quella definita egemonia economica, in cui si discute del saccheggio e sfruttamento che avviene col ricorso della moneta americana: infatti in essa il Ministero degli Esteri afferma che “l’egemonia del dollaro USA è la principale fonte di instabilità e incertezza nell’economia mondiale”. Ebbene, proprio attraverso questa seconda importante leva dopo quella politica e militare, il dollaro, la Federal Reserve Bank di New York mette in evidenza nel suo documento appena rilasciato online lo scorso 1°marzo 2023, dal titolo “The Dollar’s Imperial Circle”[8], che – in linguaggio accademico- “[Le aziende] nel blocco dei mercati emergenti fissano i loro prezzi all’esportazione in dollari, mentre le aziende nei paesi ad economia avanzata fissano i prezzi all’esportazione nella propria valuta.” E ancora: “(u)n dollaro più forte crea quindi uno svantaggio competitivo per le economie dei mercati emergenti. Partiamo anche dal presupposto che vi siano vincoli finanziari tali che le imprese debbano contrarre prestiti in dollari per finanziare gli acquisti di input intermedi importati… Queste due forze rendono l’apprezzamento del dollaro particolarmente dannoso per il settore manifatturiero nelle economie dei mercati emergenti”. Quindi come spiega lo stesso giornalista, i ricercatori dimostrano come il prezzo in dollari delle esportazioni in tutto il mondo possa travolgere le economie emergenti, rendendo i loro beni meno competitivi e il finanziamento basato sul dollaro più costoso. Questi possono essere dannosi per i paesi dipendenti dal commercio, ma non per gli Stati Uniti. I ricercatori della Fed scrivono: “Il ruolo egemonico del dollaro nel commercio internazionale e nella finanza si è ampliato, mentre l’esposizione dell’economia statunitense all’economia globale è stata relativamente stagnante. Questa dicotomia crea le condizioni affinché il dollaro agisca come una forza pro ciclica che si autoavvera”. Come spiega lo stesso Lo, il termine pro ciclico, che qui ha una rilevanza enorme, dimostra che il “brutto” termine è portatore di reali disastri nell’economia reale della gente: è un termine economico tecnico che mette in guardia sugli effetti degli aumenti dei tassi di interesse statunitensi e dei costi del prezzo in dollari sulla fatturazione commerciale e sul commercio e il finanziamento basati sul dollaro, in quanto ne amplificano i cicli economici rendendo molto instabile e volatile l’economia mondiale. Questa dichiarazione aperta della Federal Reserve stessa dovrebbe far rizzare i capelli a tutto il mondo e in particolare dovrebbe ridimensionare le pretese accuse rivolte non solo dall’ambasciatore Burns, ma da tutto l’establishment dell’Amministrazione Biden verso il governo –a quanto pare molto ben informato- cinese. Infatti, e concludiamo così il pezzo editoriale lasciandovi alla lettura del documento tradotto in italiano, è interessante chiedersi come fa anche il giornalista se questa pretesa accusa di propaganda rivolta al governo cinese che va tanto di moda da parte degli americani non dimostri che anche la loro massima istituzione, la Fed, non sia piena zeppa di propagandisti in salsa cinese. Ma il governo cinese, come dichiara nello stesso documento, sa bene che “(d)urante la pandemia di Covid-19, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari nel mercato globale, lasciando che altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne pagassero il prezzo.” E che “(n)el 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.  Vi auguriamo una buona lettura.

 

https://www.mfa.gov.cn/web/wjbxw_new/202302/t20230220_11027619.shtml?fbclid=IwAR3x__ICYL15oCyVLwXkQKFfHaaX_2RZxUDB_YxICxgmUrGzETUSp7wx6xk

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La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

20-02-2023 16:13

                  La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

Febbraio 2023

Indice

Introduzione

1) La spericolata egemonia politica —— Diffondere il proprio peso

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

Conclusioni

 

Introduzione

All’indomani del lungo corso delle due Guerre mondiali e della Guerra Fredda, gli Stati Uniti guadagnando il primato della Potenza numero uno su scala globale, sono divenuti ancora più spregiudicati, interferendo brutalmente negli affari interni di altri Paesi, cercando, mantenendo e abusando dell’egemonia, divenendo artefici della penetrazione più sovversiva, lanciando ad ogni angolo del mondo delle guerre, e danneggiando in modo pericoloso la comunità internazionale. Gli Stati Uniti sono usi a servirsi della facciata della democrazia, della libertà, dei diritti umani, lanciando le Rivoluzioni colorate, istigando dispute territoriali regionali, arrivando persino direttamente all’intervento armato. Gli Stati Uniti aderiscono pienamente alla mentalità da Guerra Fredda, si impegnano nelle politiche di alleanze a blocchi per provocare l’opposizione e il confronto.

Gli Stati Uniti hanno allargato ed esportato il principio della sicurezza nazionale, hanno abusato del sistema di controllo sulle esportazioni, rafforzando il sistema delle sanzioni unilaterali. Si servono di un approccio selettivo quanto alle leggi e le regole internazionali quando sono in accordo con esse, e quando ne divergono, le scartano o le aboliscono sotto la bandiera dell’ “ordine internazionale basato su regole”, cercando di preservare così l’interesse privato del proprio diritto, le proprie “leggi consuetudinarie”.

Il presente rapporto si concentra sulla trattazione dei seguenti fatti, per mettere a nudo una varietà di azioni malvage e subdole di cui gli Stati Uniti abusano sotto il profilo dell’egemonia politica, militare, economica, finanziaria, tecnologica e culturale, in modo da chiarire ulteriormente alla comunità internazionale il grave danno che gli Stati Uniti da parte loro hanno arrecato alla pace e alla stabilità, nonché alla prosperità dei popoli in tutti i Paesi del mondo.

 

1) La spericolata egemonia politica —— Spargere il proprio peso

Gli Stati Uniti hanno per lungo tempo sventagliato la bandiera della cosiddetta democrazia e dei diritti umani, tentando di plasmare sul proprio metro di valori e sistema politico quelli degli altri Paesi e l’ordine mondiale.

◆Esistono svariati esempi di quello che possiamo definire l’interferenza politica degli Stati Uniti in altri Paesi, come l’uso in nome della “salvaguardia della democrazia” della “Nuova Dottrina Monroe” nell’America latina, la promozione delle “Rivoluzioni colorate” in Europa e in Asia, l’istigazione delle “Primavere arabe” in Asia occidentale e nel Nord Africa, esportando in diversi contesti caos e disastri.

Nel 1823 gli Stati Uniti emanarono la “Dichiarazione Monroe”, in cui si dichiarava che “l’America è l’America degli americani”, in realtà considerando che “l’America è l’America degli statunitensi”: da quel momento in avanti, le politiche successive dei governi in America latina e nei Caraibi sono tutte state votate all’ingerenza politica, all’intervento militare e al cambio di regime. Sia che si tratti dei 61 anni di blocco e ostilità verso Cuba, come del rovesciamento del governo di Allende in Cile, la massima prodotta dalla politica statunitense nella regione è stata “quelli che si sottomettono prospereranno, quelli che resistono periranno”. A partire dal 2003 in poi, con la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia, la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina e la “Rivoluzione dei Tulipani” in Kirghizistan, si sono verificati una serie di eventi senza soluzione di continuità: il Dipartimento di Stato americano ha riconosciuto apertamente di aver svolto “un ruolo centrale” per questi “cambi di regime”. Gli Stati Uniti si sono anche intromessi negli affari interni della politica delle Filippine: nel 1986 e nel 2001 nel nome delle “Rivoluzioni del potere al popolo” hanno estromesso dal potere rispettivamente gli ex presidenti Ferdinand Marcos e Joseph Estrada. Nel gennaio del 2023 l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha pubblicato il suo libro “Never Give an Inch. Fighting for the America I Love”, nel quale rivela che gli Stati Uniti avevano pianificato di intervenire in Venezuela con l’intenzione di costringere il governo Maduro a raggiungere un accordo con l’opposizione per privare il Venezuela della sua capacità di ottenere valuta estera attraverso l’esportazione di petrolio e oro e, imponendo un’elevata pressione economica, e così influenzare le elezioni presidenziali del 2018.

◆Gli Stati Uniti adottano fondamentalmente un doppio standard nelle regolamentazioni internazionali, e mettono al primo posto l’interesse della loro propria parte, arrivando ad allontanarsi dalle regole dei Trattati e a ritirarsi dalle organizzazioni internazionali, fino ad anteporre la legge del proprio Paese su quella internazionale. Nell’Aprile del 2017, l’amministrazione Trump ha annunciato che avrebbe tagliato tutti i fondi per la spesa verso l’organizzazione del Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA), con il pretesto che la presente organizzazione “sostenesse o partecipasse a politiche di aborto forzato o di  sterilizzazione involontaria”. Gli Stati Uniti si sono ritirati, inoltre, due volte dall’UNESCO, nel 1984 e nel 2017. Nel 2017, hanno annunciato il loro ritiro dal “Paris Agreement” sui cambiamenti climatici. Nel 2018, hanno annunciato il loro ritiro dal Consiglio ONU per i Diritti Umani adducendo la motivazione che l’organizzazione fosse falsata dal difetto di “pregiudizio” nei confronti di Israele e che ci fossero effettivi problemi a “mantenere protetti i diritti umani fondamentali”. Nel 2019, gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dal Trattato sulle Forze nucleari a Medio raggio (INF), con l’occasione di cercare una incontrollata ripresa dello sviluppo dell’arsenale di armamenti avanzati. Nel 2020, ha annunciato la sua uscita dal Trattato sui Cieli Aperti.

Gli Stati Uniti, inoltre, sono divenuti una grave “pietra d’inciampo” nel processo del controllo sulle armi biologiche, per la loro opposizione a tenere negoziazioni sul protocollo per le ispezioni sulle stesse da parte della Convenzione sulle Armi Biologiche (BWC), impedendo da parte della comunità internazionale verifiche sulle attività dei Paesi riguardo gli armamenti biologici. Essendo l’unico Paese in dotazione di un arsenale di armi chimiche, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rinviato la distruzione di queste armi e rimangono restii nell’adempiere ai loro obblighi. Ciò è divenuto il maggior ostacolo alla realizzazione di un “mondo libero dalle armi chimiche”.

◆ Gli Stati uniti si servono del sistema delle alleanze per dare forma a piccoli blocchi: nella regione Indo-Pacifico sta sviluppando a forza una “Indo-Pacific Strategy”, assemblando dei piccoli circoli esclusivi come i “Five Eyes”, formazioni come il “QUAD”e l’AUKUS, cercando di coinvolgere i Paesi della regione e fargli assumere una posizione. Queste pratiche sono essenzialmente volte a creare divisione nella regione, esacerbare il confronto e minare la pace.

◆ Gli Stati Uniti emettono giudizi arbitrari sulla democrazia negli altri Paesi, e costruiscono una falsa narrativa del tipo “democrazia contro autoritarismo” per istigare allo straniamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto. Nel Dicembre 2021, gli Stati Uniti hanno ospitato il primo “Summit for Democracy”, che ha attirato le critiche e l’opposizione da svariati Paesi per aver reso ridicolo lo spirito democratico e aver così diviso il mondo. Nel Marzo 2023, gli Stati Uniti, tuttavia, ospiteranno un nuovo “Summit for Democracy”, che resterà sgradito e senza supporto esterno.

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

 

La storia degli Stati Uniti è disseminata di violenza ed espansionismo. Fin dall’acquisizione dell’indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di espandersi attraverso l’uso della forza: hanno massacrato gli Indigeni, invaso il Canada, mosso guerra contro il Messico, istigato la guerra Ispano-americana, e infine annesso le Hawaii. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno fatto in modo di provocare o hanno lanciato una serie di guerre che includono quelle di Corea, del Vietnam, del Golfo, del Kosovo, quella in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria, abusando della propria egemonia militare in favore dell’apertura all’espansionismo.

Negli ultimi anni, il bilancio medio annuo militare si aggira intorno ai 700 miliardi di dollari, arrivando a rappresentare il 40% della spesa mondiale complessiva, ovvero superando quella dei primi 15 Paesi dietro di loro messi insieme. Gli Stati Uniti attualmente dispongono all’incirca di 800 basi militari all’estero, con un contingente di 173,000 truppe di stanza in 159 Paesi.

Come indicato dal libro “America Invades: How We’ve Invaded or been Militarily Involved with almost Every Country on Earth”, gli Stati Uniti hanno combattuto o sono stati coinvolti militarmente in quasi tutti gli oltre 190 Paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite, con solo tre eccezioni: questi 3 Paesi sono riusciti a “sopravvivere” grazie al fatto che gli Stati Uniti non li hanno trovati sulle mappe.

◆Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento.

L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra.

Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.

◆L’egemonia militare degli Stati Uniti ha condotto a delle tragedie umanitarie. A partire dal 2001, le guerre e le operazioni militari lanciate dagli Stati Uniti in nome dell’antiterrorismo hanno causato più di 900.000 morti, di cui circa 335.000 civili, milioni di feriti e decine di milioni di sfollati. La guerra in Iraq nel 2003 ha provocato la morte di circa 200.000-250.000 civili, più di 16.000 persone sono state uccise direttamente dall’esercito statunitense, lasciando sul campo oltre 1 milione di persone rimaste senza abitazione.

Gli Stati Uniti hanno creato 37 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Dal 2012 in poi, il solo numero dei rifugiati siriani è decuplicato. Dal 2016 al 2019, la Siria ha registrato 33.584 morti civili durante la guerra, di cui 3.833 sono stati uccisi dai bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti, metà dei quali erano donne e bambini. Come ha riferito la stessa rete televisiva pubblica statunitense Public Broadcasting Sevice (PBS) il 9 novembre 2018, il solo attacco aereo statunitense sulla città di Raqqa ha provocato la morte di 1.600 civili siriani.

La ventennale guerra in Afghanistan ha ridotto l’Afghanistan ad una totale devastazione. Un totale di 47.000 civili afgani e da 66.000 a 69.000 soldati e poliziotti afgani che non avevano avuto nulla a che fare con l’Incidente dell’11 Settembre hanno perso la vita nelle operazioni militari statunitensi, e oltre 10 milioni di persone sono state sfollate. La guerra in Afghanistan ha distrutto le basi dello sviluppo economico locale e impoverito il popolo afghano. Dopo la “Disfatta di Kabul” nel 2021, gli Stati Uniti hanno annunciato il congelamento di circa 9,5 miliardi di dollari di attività della banca centrale afgana, che è stato considerato un vero e proprio “saccheggio “.

Nel settembre 2022, il Ministro degli Interni turco Soylu ha dichiarato durante un convegno che gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra per procura in Siria, trasformato l’Afghanistan in un campo a cielo aperto per la piantagione di oppio e una fabbrica per la lavorazione dell’eroina, gettato il Pakistan nel tumulto e infine reso perpetua la guerra civile in Libia. Indipendentemente da quale Paese abbia risorse sotterranee, gli Stati Uniti faranno comunque tutto ciò che è in loro potere pur di saccheggiare e poi sottomettere quelle popolazioni lì localizzate.

L’esercito statunitense ha anche fatto largo impiego di metodi spaventosi per condurre le guerre: durante la guerra di Corea, quella in Vietnam, la guerra nel Golfo, la guerra del Kosovo, quella in Afghanistan e infine quella in Iraq sono stati utilizzati un gran numero di armi biologiche e chimiche e bombe a grappolo (cluster bombs), bombe a gas e petrolio, bombe a grafite e bombe all’uranio impoverito, causando danni a un gran numero di strutture civili, innumerevoli vittime civili innocenti e un inquinamento ambientale ecologico duraturo.

 

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

 

Dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti sono stati alla guida dell’istituzione del Sistema di Bretton Woods, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale e hanno così fondato il Sistema Monetario Internazionale come nucleo centrale basato sul dollaro USA congiuntamente al Piano Marshall. Gli Stati Uniti hanno anche predisposto l’egemonia istituzionale in campo economico e finanziario internazionale facendo ricorso anche alla manipolazione delle regole del sistema internazionale, come il voto ponderato e come l’approvazione maggioritaria di oltre l’85% sugli accordi internazionali e predisponendo una serie di regolamenti commerciali interni. Con lo status del dollaro USA come principale valuta di riserva internazionale, gli Stati Uniti spillano danaro con il “signoraggio” da tutto il mondo e si servono del suo controllo sulle organizzazioni internazionali per costringere altri paesi a servire la strategia politica ed economica degli Stati Uniti.

◆Gli Stati Uniti utilizzano il “signoraggio” per accaparrarsi la ricchezza mondiale. In virtù del costo di soli circa 17 centesimi per una banconota da 100 dollari, gli Stati Uniti si riservano di fare in modo che gli altri Paesi garantiscano la fornitura agli Stati Uniti di beni e materiali per un valore corrispettivo di 100 dollari effettivi per ottenerne una. Come sosteneva l’ex Presidente francese Charles de Gaulle più di mezzo secolo fa, “gli Stati Uniti godono dei superprivilegi e di un deficit senza lacrime determinati dal dollaro, usando una carta straccia priva di valore per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altre nazioni”.

◆L’egemonia del dollaro è la principale fonte di instabilità e incertezza economica su scala mondiale. Sullo sfondo della nuova pandemia da Coronavirus, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari sul mercato globale, mentre altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne stanno pagando il prezzo. Nel 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.

◆Con il loro controllo, gli Stati Uniti manipolano le organizzazioni economiche e finanziarie internazionali e allo stesso tempo impongono limiti ai loro aiuti ad altri paesi. I paesi beneficiari sono tenuti a promuovere la liberalizzazione finanziaria e l’apertura dei mercati finanziari, in modo che le politiche economiche dei paesi riceventi siano in linea con la strategia statunitense e riducano gli ostacoli alla penetrazione e alla speculazione del capitale statunitense. Secondo le statistiche del Review of International Political Economy, dal 1985 al 2014, il Fondo monetario internazionale ha realizzato 1.550 progetti di sostegno al debito per 131 paesi membri, con 55.465 clausole politiche aggiuntive allegate.

◆Gli Stati Uniti si servono della coercizione economica per sopprimere gli avversari. Negli anni ’80, per eliminare la minaccia economica posta dal Giappone, controllare ed usare il Giappone per servire gli obiettivi strategici statunitensi contro l’Unione Sovietica e dominare il mondo, gli Stati Uniti hanno ancora una volta eseguito una diplomazia finanziaria egemonica sfruttandola contro il Giappone, firmando con esso il “Plaza Accord” e forzando lo yen ad apprezzarsi, in modo da aprire il mercato finanziario e riformarne il sistema. Il “Plaza Accord” ha inferto un duro colpo alla vitalità dell’economia giapponese, e da allora il Giappone è entrato in quelli che poi sono stati definiti i “Trent’anni perduti”.

◆L’egemonia economico-finanziaria statunitense è stata ridotta ad un’arma geopolitica. Gli Stati Uniti si impegnano in sanzioni unilaterali e in una “giurisdizione a braccio lungo”, formulano e si basano su leggi nazionali quali l’International Emergency Economic Powers Act, il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act e il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act  e introducono una serie di Executive Order, imponendo sanzioni contro specifici Paesi, organizzazioni o persino individui. Secondo le statistiche, dal 2000 al 2021 le sanzioni verso l’estero statunitensi sono aumentate del 933%. La sola Amministrazione Trump ha imposto oltre 3,900 sanzioni, il che equivale a sventolare il “bastone sanzionatorio” mediamente 3 volte al giorno. Fino ad ora, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche a quasi 40 Paesi nel mondo, tra cui Cuba, Cina , Russia, Corea del Nord (DPRK), Iran e Venezuela, colpendo quasi la metà della popolazione mondiale. Gli “Stati Uniti d’America” sono così diventati gli “Stati Uniti delle Sanzioni”. La “giurisdizione a braccio lungo”  è stata completamente ridotta a strumento per sopprimere i concorrenti commerciali coi poteri dello Stato e per interferire con le normali transazioni commerciali internazionali a favore degli Stati Uniti, discostandosi completamente da quel concetto di economia di libero mercato che gli Stati Uniti vanno da tempo pubblicizzando.

 

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

Gli Stati Uniti si sono impegnati nell’oppressione monopolistica in campo scientifico, tecnologico ed economico e votati al blocco tecnologico nel campo dell’High-tech  per frenare lo sviluppo tecnologico ed economico degli altri Paesi.

◆Gli Stati Uniti esercitano il monopolio della proprietà intellettuale nel nome della protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Utilizzando la posizione di debolezza, in particolare dei paesi in via di sviluppo, in materia di proprietà intellettuale e approfittando di una vacante posizione in materia di soggetti istituzionali correlati, attuano il monopolio e si impossessano di alti profitti da monopolio. Nel 1994, gli Stati Uniti hanno favorito la promozione dell’“Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS)” (Accordo commerciale in materia di diritti di proprietà intellettuale) , avviando un percorso e uno standard americanizzati di imposizione per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, nel tentativo di consolidare il loro vantaggio monopolistico tecnologico. Negli anni’80, gli Stati Uniti inclusero l’adozione dell’avvio all’indagine “301” per colpire lo sviluppo dell’industria giapponese di semiconduttori, creando una leva di scambio come potere contrattuale attraverso accordi multilaterali per i negoziati bilaterali, minacciando di elencare il Giappone come Paese commerciale sleale, imponendo misure come il prelievo di tariffe ritorsive ed altri mezzi, per costringere il Giappone a firmare l’”Accordo sui semiconduttori USA-Giappone” (U.S.-Japan Semiconductor Agreement) e per indurre le aziende giapponesi di semiconduttori a ritirarsi quasi completamente dalla concorrenza sul mercato globale, facendo scendere la loro quota dal 50% al 10%. Allo stesso tempo, col sostegno del governo degli Stati Uniti, un gran numero di società di semiconduttori statunitensi ha colto l’occasione per conquistare la propria quota di mercato.

◆Gli Stati Uniti assumono le questioni scientifico-tecnologiche in modo politicizzato, si armano delle stesse e le riusano in modo militarizzato e ideologico. Gli Stati Uniti sono usi alla generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale, hanno utilizzato il peso del potere statale per sopprimere e sanzionare la società cinese Huawei, limitando l’ingresso dei prodotti Huawei sul mercato statunitense, interrompendo la fornitura di chip e sistemi operativi, costringendo in tutto il mondo altri Paesi a vietare che Huawei partecipi alla costruzione della rete 5G locale e in più sono arrivati ad istigare il Canada perché detenesse senza ragionevole motivo il CFO (Direttore finanziario) di Huawei Meng Wanzhou per quasi 3 anni. Gli Stati Uniti hanno anche inventato vari pretesti per dare la caccia e sopprimere le società cinesi dell’high-tech dotate di capacità competitive internazionali,  includendo oltre 1000 società cinesi in vari elenchi sanzionatori. In compenso, gli Stati Uniti possono anche vantare un controllo sulle tecnologie di alta fascia come le biotecnologie e l’intelligenza artificiale, rafforzando il sistema di controllo sulle esportazioni, forzando con il rigore il controllo sugli investimenti, in special modo reprimendo l’utilizzo di programmi e app di social media cinesi come Tik Tok e WeChat, ecc. ed esercitare pressioni su Paesi Bassi e Giappone per limitare le esportazioni verso la Cina di chip e tecnologie con le relative apparecchiature ad essi collegate. Gli Stati Uniti adottano anche un doppio standard nella loro politica sul personale scientifico e tecnologico di talento proveniente dalla Cina. Dal giugno 2018, alcuni studenti cinesi specializzandi in settori dell’high-tech si sono visti ridurre il periodo di validità del visto, divieti e molestie ingiustificati ripetutamente si sono verificati per studiosi cinesi che vanno negli Stati Uniti a condurre ricerca con scambi accademici e per studenti cinesi che studiano come studenti all’estero negli Stati Uniti, dando avvio a un’indagine su larga scala contro studiosi cinesi negli Stati Uniti, per escludere e reprimere i gruppi di ricerca scientifica cinesi.

◆Gli Stati Uniti nel nome della democrazia e della sua protezione mantengono solida l’egemonia tecnologica. Creano “piccoli club”  tecnologici come il “Chips Alliance” o il “Clean Network” ecc., affibiano una sorta di etichetta di “diritti umani e democrazia” all’high-tech, politicizzando ed ideologizzando le questioni tecniche, per trovare pretesti da fabbricare per poi imporre blocchi tecnologici ad altri Paesi. Nel maggio 2019, gli Stati Uniti hanno corteggiato 32 Paesi in modo che tenessero nella Repubblica Ceca la “Conferenza di Praga sulla Sicurezza 5G” (Prague 5G Security Conference) per emettere la “Proposta di Praga” nel tentativo di escludere i prodotti 5G con tecnologia cinese. Nell’aprile 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il “5G Clean Path”, progettando di costruire un’alleanza tecnologica nel campo del 5G con la “democrazia” come legame ideologico tra i partners partecipanti e la “cybersicurezza” come obiettivo. L’essenza delle suddette misure statunitensi è mantenere l’egemonia tecnologica attraverso alleanze tecnologiche.

◆Gli Stati Uniti abusano dell’egemonia tecnologica impegnandosi in attacchi informatici e con la sorveglianza per le intercettazioni. Gli Stati Uniti sono la più grande famiglia al mondo per il furto di segreti informatici, tanto da essere annoverati già da tempo come l’ “Impero degli Hackers” tra i più famigerati. Gli attacchi informatici e i sistemi di individuazione e sorveglianza negli Stati Uniti non conoscono battuta d’arresto e sono pervasivi, ed esistono varietà di modi infiniti per rubare segreti, incluso tra questi il metodo dell’uso delle stazioni di base analogiche per i telefoni cellulari in cui il segnale viene collegato al telefono cellulare per rubare i dati, oppure il metodo che controlla il cellulare attraverso l’uso delle app, oppure l’hackeraggio attraverso i server cloud, o ancora si possono rubare segreti tramite l’uso dei cavi ottici sottomarini, e la lista prosegue. Gli Stati Uniti attuano un controllo e una sorveglianza “indiscriminati”. Tutto per essi rientra nel raggio del monitoraggio e controllo, dal concorrente all’alleato, perfino incluso l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel o diversi presidenti francesi e altri leader alleati. Il “Prism “, il “Dirtbox”, l’ “Irritant Horn”, il ” Telescreen Operation ” e altri incidenti di monitoraggio e attacco della rete statunitense, confermano e sono la prova che tutti gli alleati e i partner degli Stati Uniti sono strettamente monitorati dagli Stati Uniti. Le intercettazioni compiute dagli Stati Uniti verso i suoi partner e alleati hanno già suscitato l’indignazione pubblica della comunità internazionale. Assange, il fondatore del sito web “WikiLeaks” che ha esposto il programma di sorveglianza degli Stati Uniti, ha dichiarato che “non si deve aspettarsi un comportamento dignitoso e rispettoso da parte di questa “superpotenza di sorveglianza”. Esiste solo una regola, ed è che non ci sono regole”.

 

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

L’espansione globale della cultura americana è una parte importante della sua strategia estera. Gli Stati Uniti sono usi ad utilizzare la cultura per rafforzare e mantenere la loro posizione egemonica nel mondo.

◆Gli Stati Uniti impiantano una visione dei valori americani in prodotti commerciali come i film. Attraverso prodotti cinematografici e televisivi,libri e vari media nonché finanziamenti a istituzioni culturali senza scopo di lucro, la visione dei valori e degli stili di vita americani vengono “incorporati e distribuiti”,  creando uno spazio culturale e di opinione pubblica dominato dallo stile della cultura americana e promuovendo così l’egemonia culturale. Lo studioso americano John Yemma ha sottolineato nel suo articolo “The Americanization of the World” che per quanto riguarda l’espansione culturale, le vere armi degli Stati Uniti sono l’industria cinematografica di Hollywood, la fabbrica di design dell’immagine su Madison Avenue e le linee di produzione di Mattel e Coca Cola. Gli Stati Uniti promuovono l’egemonia culturale in varie forme e i film americani, che rappresentano oltre il 70% della quota mondiale, ne sono uno dei canali principali. I film americani sono capaci di fare uso di background multiculturali per creare una forte attrazione per tutti i gruppi etnici. Mentre i film di Hollywood continuano ad essere distribuiti incessantemente in tutto il mondo, gli Stati Uniti ne hanno sommerso all’interno la visione dei propri valori, esagerandoli enormemente.

◆L’egemonia culturale americana è passata dall'”intervento diretto” alla “penetrazione mediatica” fino alla “sveglia mondiale”: quando interferisce negli affari interni di altri paesi, si affida maggiormente ai media occidentali dominati dagli Stati Uniti, per incitare l’opinione pubblica globale. Il governo degli Stati Uniti esamina rigorosamente tutte le società di social media e richiede l’attuazione delle direttive del governo. Fox Business Network ha riferito che, il 27 dicembre 2022, il CEO di Twitter Musk ha dichiarato che tutte le piattaforme di social media stanno collaborando con il governo degli Stati Uniti per censurare i contenuti. La direzione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti è soggetta all’intervento del governo per limitare ogni discorso sfavorevole. Google spesso fa sparire le pagine collegate. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti manipola i social media. Nel dicembre 2022, il sito web investigativo indipendente statunitense “The Intercept” ha rivelato che, nel luglio 2017, Nathaniel Kahler, ufficiale del Comando Centrale degli Stati Uniti ha inviato un modulo al team di politica pubblica di Twitter, incaricando di aumentare la presenza di 52 account in lingua araba, richiedendo un servizio prioritario per 6 di essi, uno dei quali era specializzato nella promozione e giustificazione di attacchi militari con droni statunitensi nello Yemen, come ad esempio che gli attacchi erano precisi e che uccidevano soltanto terroristi, non civili. Secondo la richiesta di Kahler, Twitter ha inserito questi account in lingua araba in una “lista bianca” per amplificarne determinate informazioni.

◆Gli Stati Uniti perseguono un doppio standard di libertà di stampa e sopprimono brutalmente i media di altri paesi. Attraverso l’utilizzo di vari mezzi fanno in modo di “silenziare” i media di altri paesi. Ad oggi, ai principali media russi come la tv russa Russia Today e l’agenzia di stampa Sputnik è stato ovunque vietato lo sbarco negli Stati Uniti e in Europa; gli account ufficiali russi sono stati pubblicamente limitati da piattaforme come Twitter, Facebook e Youtube; i canali e le applicazioni russi sono stati bloccati da Netflix, Apple, Google App Store, ecc. e rimossi direttamente dagli scaffali; i contenuti relativi alla Russia sono stati oggetto di una rigida censura senza precedenti.

◆Gli Stati Uniti hanno abusato dell’egemonia culturale per “far evolvere pacificamente” i paesi socialisti. Vengono istituiti mezzi di informazione e organizzazioni di media culturali mirati specificamente contro i paesi socialisti. Inoltre, le stazioni radio sostenute dagli Stati Uniti responsabili di infiltrazioni ideologiche, al pari delle reti televisive, ricevono ingenti fondi dal governo, utilizzano dozzine di lingue, istigando la propaganda contro i paesi socialisti 24 ore su 24. Gli Stati Uniti utilizzano informazioni false come strumento per attaccare altri paesi e hanno costituito una catena industriale di opinione pubblica formata da “denaro nero, opinioni distorte e bocche sostenitrici”. Forniscono un flusso costante di “denaro nero” ad alcuni gruppi e individui per sostenerli nell’elaborare “opinioni distorte”, così da influenzare l’opinione pubblica internazionale.

 

Conclusioni

 

Mentre una causa giusta ottiene un ampio sostegno da parte di molti sostenitori, una causa ingiusta condanna il suo persecutore a rimanere un emarginato alla fine. Gli atti di bullismo egemonico, tirannia egemonica ed il saccheggio profittevole, esercitati con forza e con il sotterfugio, inclusi i giochi a somma zero, sono profondamente dannosi mentre la tendenza storica di pace, sviluppo e cooperazione sono un  vantaggio per tutti irresistibile. Gli Stati Uniti sfidano la verità con il potere e calpestano la giustizia con l’interesse personale. Queste pratiche egemoniche di unilateralismo, supremazia e regressione stanno suscitando critiche e opposizioni sempre più forti da parte della comunità internazionale.

I paesi dovrebbero rispettarsi l’un l’altro e trattarsi da pari a pari. I grandi Paesi dovrebbero comportarsi in modo consono al loro status e prendere l’iniziativa nel perseguire un nuovo modello di relazioni tra Stati caratterizzato dal dialogo e dalla partnership, non dal confronto o dall’alleanza. La Cina si oppone a tutte le forme di egemonismo e politica di potere e rifiuta l’ingerenza negli affari interni di altri paesi. Gli Stati Uniti devono condurre un serio esame di coscienza. Devono esaminare criticamente ciò che hanno compiuto, lasciare da parte la loro arroganza e il loro pregiudizio e abbandonare le proprie pratiche egemoniche, ultradominanti e prepotenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] https://poterealpopolo.org/dottrina-monroe-globale/#:~:text=Nel%202023%20la%20Dottrina%20Monroe,sorta%20di%20Dottrina%20Monroe%20Globale.

[2] https://www.peoplesworld.org/article/ukraine-war-shifts-world-order-makes-socialism-more-necessary-than-ever/

3 https://www.defense.gov/News/Transcripts/Transcript/Article/1420042/remarks-by-secretary-mattis-on-the-national-defense-strategy/

[4] http://eng.chinamil.com.cn/OPINIONS_209196/Opinions_209197/16204882.html

[5] http://www.scmp.com/comment/opinion/article/3212559/are-us-fed-economists-chinese-propagandists-too

[6] https://fletcher.tufts.edu/faculty-research/security

[7] https://www.globaltimes.cn/page/202302/1286303.shtml

[8] https://libertystreeteconomics.newyorkfed.org/2023/03/the-dollars-imperial-circle/

 

DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (2/2) (prologo alle note storiche su Moldavia e Romania, ripubb. 2018*), di Daniele Lanza

1805.
Passano solo 13 anni prima che l’equilibrio della pace di Jassy (1792) tra russi e turchi sia compromesso.
Se è vero che ora il mondo intero ha altre preoccupazione su scala più planetaria (Bonaparte imperatore) è altresì vero che gli interpreti più minuscoli trovano il modo di avvantaggiarsi dell’ ”evento globale” e, mentre questo si dispiega, portare avanti il proprio piccolo ma prezioso “evento locale”.
In altre parole, nel mentre che in Europa infuria una vera e proprio conflitto continentale, la scricchiolante potenza turca prende la palla al balzo per iniziare un conflitto, a paragone “regionale” – e rifarsi della sconfitta subita una dozzina di anni addietro.
Per andare al dunque : giunta notizia della vittoria napoleonica ad Austerlitz contro la terza coalizione anglo-austro-russa (1805) e della conseguente debolezza russa (più percepita che reale) il sultano ottomano decide di rompere gli indugi e provocare guerra con la Russia, approfittando del momento giudicato favorevole.
In Valacchia e Moldavia sono deposti i governatori (che erano concordatamente filorussi) in perfetta coordinazione con un’azione francese in Dalmazia (che minacciava una successiva e rapida avanzata traverso i Balcani, giusto fino ai confini meridionali dell’impero russo).
Zar Alessandro I cerca di prevenire la minaccia occupando preventivamente la Valacchia….ed il dado è tratto ! (come costringere l’opponente a DICHIARARTI GUERRA, in modo poi da affermare che LUI costituisce l’aggressore. Si usa tale tecnica con la Russia da oltre 200 anni. Chi ha orecchie per intendere intenda).
Saranno complessivamente 7 anni di guerra (rammentiamo tuttavia che nel lungo corso della storia è solo UNA delle copiose “guerre russo turche” che si contano, le cui scaramucce incessanti caratterizzano la memoria di mar Nero, Caucaso e Balcani).
L’offensiva turca (“contro l’ingiusto invasore”…) è immediata e massiccia, contando giustamente, che lo zar manterrà il grosso delle proprie forze a nord per parare un’eventuale avanzata di Napoleone.
Sfortunatamente per i generali del sultano la debolezza era – come ho sottolineato – solo percepita : in 2 anni di guerra ottengono un sostanziale insuccesso terrestre (nonostante la superiorità locale di forze) e una netta sconfitta sui mari (la marina zarista arriva a controllare il mar Nero). Si andrebbe incontro ad una disfatta già allora se non fosse che da Tilsit in Prussia, Napoleone nel dettare le clausole della sua pace generale impone anche il termine di questo conflitto periferico russo-turco, imponendo allo zar di firmare una pace con gli ottomani (e quindi salvando questi ultimi dalla disfatta prossima).
Il braccio di ferro è solo silente tuttavia e divampa di nuovo l’anno seguente, degenerando tuttavia in una guerra inconcludente che si trascina avanti senza risultati per quasi tre anni : il punto di svolta lo abbiamo solo quando, nel 1811, KUTUZOV (non troppo amato dallo zar, ma considerato dai contemporanei il diretto successore di SUVOROV ovvero il miglior stratega dell’impero) prende in mano la situazione.
Dal momento in cui al generale Kutuzov è affidata la responsabilità di questo quadrante dello scacchiere bellico, nel giro di un anno ottiene una vittoria totale contro il nemico….obbligandolo a firmare la pace esattamente 2 SETTIMANE prima dell’attacco della Grand Armee napoleonica alla Russia nel maggio del 1812 : è il TRATTATO di Bucharest, oggi dimenticato se non dagli storici.
I successivi eventi, riportati sui manuali scolastici di tutto il mondo dal livello elementare in poi, cancellano letteralmente il ricordo di questa piccola guerra, comprensibilmente relegata alla storia dei conflitti minori o regionali, destinandola ad essere eternamente oscurata dall’ombra (colossale) di Napoleone in Russia……ed in tal modo ne viene silenziosamente consegnato all’oblio anche la conseguenza politica :
il trattato di pace firmato prevedeva, in sintesi, la cessione di parte del principato di Moldavia allo stato zarista e per la precisione la metà ORIENTALE, che da questo momento in poi si chiamerà BESSARABIA : una porzione di territorio insignificante in estensione a paragone di altri territori dell’impero russo, ma tuttavia assolutamente nevralgica per la storia a venire.
Grazie alla nuova conquista il confine si sposta dalla linea effimera del Dnestr per andare a toccare il delta del DANUBIO. Per la prima volta nella storia la Russia raggiunge questo importante fiume d’Europa.
Non occorrono altre spiegazioni per chi conosce le basi elementari della storia dei Balcani per immaginare le conseguenze geopolitiche : il confine imperiale russo si trova ora (soglie del nuovo, XIX° sec.) nelle immediate vicinanze di altre popolazioni europee di fede ortodossa, e in buona parte slave, che costellano tutto lo spazio carpatico/balcanico……entità perennemente in stato di tensione contro lo status quo ottomano e ben felici di trovare nello zar, ora confinante, un poderoso ed amichevole vicino.
Oltre a diritti di commercio lungo il Danubio a favore della Russia, si assiste anche ad un prolungato fenomeno di ribellione in Serbia che dopo oltre un decennio di resistenza armata parallela alla guerra russo-turca di cui parliamo, ottengono nel 1815 uno stato di semi-indipendenza dal sultano, creandosi quindi il Principato di Serbia (ancora unità amministrativa dell’impero ottomano, ma già autonoma).
Come si potrebbe descrivere il tutto ? Lo zar di Russia ottiene qualcosa come una striscia di terra geograficamente parland……ma quella striscia è già parte terminale della zona vulcanica ed esplosiva dei Balcani……

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La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Crescendo rossiniano. Toni sempre più duri. Scelte politiche sempre più nette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.globaltimes.cn/page/202303/1286861.shtml

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Pubblicato: Mar 07, 2023 11:35 PM

Martedì il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha risposto alle domande dei giornalisti nazionali ed esteri sulla politica estera e le relazioni esterne della Cina. La conferenza stampa del ministro degli Esteri è uno dei momenti salienti delle due sessioni annuali. In particolare, quella di quest’anno è la prima conferenza stampa dopo tre anni in cui il ministro degli Esteri cinese incontra la stampa di persona e la prima da quando Qin ha assunto l’incarico. Naturalmente ha ricevuto l’attenzione di tutte le parti.

 

In 114 minuti, Qin ha risposto a un totale di 14 domande, utilizzando un linguaggio vivace e umoristico per spiegare in modo vivace gli obiettivi e le missioni della diplomazia cinese, oltre a esprimere chiaramente le proposte e la posizione del Paese sulle relazioni con i Paesi principali, sulla diplomazia di vicinato e sui temi caldi. Le sue parole riflettevano la continuità e la certezza della diplomazia cinese, nonché lo stile personale di Qin. La sincerità, la franchezza, l’ampiezza di vedute e la fiducia in se stessi sono le impressioni più evidenti di questa conferenza stampa.

 

La stampa ha coperto una gamma molto ampia di argomenti, senza evitare i temi più scottanti che interessano il mondo. Ad esempio, per quanto riguarda gli scambi con l’estero, Qin ha espresso la sua ferma volontà di sviluppare l’amicizia e la cooperazione con altri Paesi, osservando che la Cina genererà nuove opportunità per il mondo con il suo nuovo sviluppo. Parlando dell’Iniziativa Belt and Road, ha detto che “la sua cooperazione è condotta attraverso la consultazione e le sue partnership sono costruite con amicizia e buona fede“. In effetti, dalla conferenza stampa, il mondo intuisce che la Cina salvaguarderà con fermezza i suoi interessi fondamentali e sarà sempre un costruttore della pace mondiale, un contributo allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale. Questo è anche lo stile generale della diplomazia cinese nella nuova era.

 

L’opinione pubblica internazionale ha prestato particolare attenzione alla dichiarazione di Qin sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che da un lato sottolinea l’importanza di questa relazione bilaterale e dall’altro mostra le preoccupazioni realistiche del mondo esterno riguardo alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Qin ha sottolineato senza mezzi termini che la percezione e la visione della Cina da parte degli Stati Uniti sono seriamente distorte, come “il primo bottone di una camicia messo male“. Se gli Stati Uniti non tirano il freno e continuano a percorrere la strada sbagliata, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri“. Ha inoltre affermato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere determinate dagli interessi comuni e dalle responsabilità condivise dei due Paesi e dall’amicizia tra i popoli cinese e americano, piuttosto che dalla politica interna degli Stati Uniti o dall’isterico neo-maccartismo. Questo non è solo un avvertimento a Washington, ma dimostra anche l’atteggiamento responsabile e serio della Cina nei confronti delle relazioni Cina-USA.

 

Abbiamo notato che alcuni media occidentali stanno esaminando questa conferenza stampa con la lente d’ingrandimento, cercando di etichettare la diplomazia cinese come “moderata” o “dura”, ma si tratta chiaramente di un errore di orientamento. In realtà, Qin ha chiarito in conferenza stampa che la cosiddetta “diplomazia del lupo guerriero” è una trappola narrativa. Nella diplomazia cinese non mancano la buona volontà e la gentilezza, ma se dovessero trovarsi di fronte a sciacalli o lupi, i diplomatici cinesi non avrebbero altra scelta che affrontarli di petto e proteggere la nostra madrepatria, ha detto Qin. In altre parole, ovunque si trovino gli interessi nazionali della Cina e la moralità del mantenimento della pace e della stabilità, i diplomatici cinesi saranno lì.

 

“Vale la pena sottolineare che la trappola narrativa menzionata da Qin è proprio il mezzo spregevole che Washington ha ripetutamente usato negli ultimi anni per cercare interessi geopolitici privati. Approfittando della sua egemonia sull’opinione pubblica, Washington ha costantemente teso trappole narrative come la “trappola del debito cinese“, le “regole dell’ordine internazionale” e la “democrazia contro l’autoritarismo” e, diffamando continuamente la Cina, tenta di metterla in difficoltà e di coprire le proprie azioni impopolari di iniziare una nuova guerra fredda sotto il nome di “competizione“. È chiaro che la politica statunitense nei confronti della Cina si è completamente allontanata da un percorso razionale e sano, e gli Stati Uniti non possono aspettarsi che la Cina non risponda con parole o azioni. È assolutamente impossibile”.

Allo stesso tempo, Qin ha anche affermato che il popolo americano, proprio come quello cinese, è amichevole, gentile e sincero, e desidera una vita e un mondo migliori. Pur affrontando di petto i lupi, la diplomazia cinese non ha mai rinunciato a perseguire l’unità, la cooperazione e lo sviluppo pacifico. Ciò si riflette in modo evidente nella crescente cerchia di amicizie della Cina. La Cina ha sempre più nuovi amici e vecchi amici sempre più vicini. Agli occhi della stragrande maggioranza dei Paesi normali della comunità internazionale, la Cina è un buon vicino e un partner amichevole, entusiasta e disposto a condividere. Alcuni media e l’opinione pubblica occidentali sostengono che la diplomazia cinese stia diventando sempre più “dura“, e alcuni si sono sentiti addirittura presi di mira durante la conferenza stampa, il che dimostra chi sono i “lupi” nelle relazioni internazionali di oggi – lo sanno molto bene.

 

Una Cina che si concentra sempre sullo sviluppo, con grandi certezze e un forte senso di responsabilità, porterà al mondo un senso di stabilità e di fermezza, che sarà trasmesso innanzitutto attraverso la diplomazia. Come ha detto Qin, il nuovo viaggio della diplomazia cinese sarà una spedizione con glorie e sogni, ma anche un lungo viaggio attraverso mari tempestosi. Più difficile sarà la missione, più glorioso sarà il suo compimento. Ci auguriamo che la diplomazia cinese nella nuova era possa ottenere risultati ancora più straordinari sotto la guida del Pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia.

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La Russia può superare l’eccesso di capacità ISR dell’Occidente?_di Simplicius the Thinker_a cura di Roberto Buffagni

Pubblichiamo la traduzione italiana di due articoli di “Simplicius the Thinker”, un gruppo di analisti militari filorussi, sul tema attualissimo e affatto ignoto ai non specialisti della dimensione informatica della guerra in Ucraina.

 

Il primo articolo è integralmente tradotto, il secondo solo in parte perché accessibile soltanto agli abbonati. “italiaeilmondo.com” non ha le risorse sufficienti per abbonarsi a tutte le fonti utili come questa.

Cogliamo l’occasione per invitare nuovamente i lettori interessati a contribuire al sito. Le modalità sono le seguenti:

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https://simplicius76.substack.com/p/all-seeing-eye-can-russia-break-through

 

All Seeing Eye: La Russia può superare l’eccesso di capacità ISR dell’Occidente?

Analizziamo come la Russia può affrontare le vaste capacità di ricognizione spaziale di NATO/FiveEyes durante le prossime offensive.

 

 

di Simplicius the Thinker

Feb 16

 

 

“Ogni guerra al punto di svolta delle epoche tecnologiche (e noi siamo proprio in una simile transizione) è gravata dalla mancanza di comprensione dei principi di funzionamento delle nuove armi e   delle tattiche del loro uso, nonché della strategia complessiva dell’intero complesso di azioni militari e politiche”.

I.

Da tutte le parti ci si rende sempre più conto che l’attuale conflitto ha scosso le fondamenta di molte teorie militari dottrinali e la comprensione stessa del modo in cui strategia e tattica vengono impiegate in un campo di battaglia moderno dominato dall’ISR (C4ISR) e dall’osservazione/integrazione/rete-centrica.

 

Questa guerra potrebbe essere il primo vero conflitto 4GW e 5GW. Per chi non ha familiarità con il concetto di guerra generazionale, può aggiornarsi qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Generations_of_warfare

Un’evoluzione si sta svolgendo in tempo reale sotto i nostri occhi, con entrambe le parti che lavorano furiosamente per adattarsi, battendo nuove strade lungo il percorso, spesso con errori di calcolo mortali.

Un tema comune attorno al quale si è discusso molto di recente è l’idea che la manovra di grandi raggruppamenti di forze meccanizzate sia diventata quasi obsoleta. Questo aspetto ha suscitato una crescente attenzione alla luce dell’imminente escalation della “grande offensiva” russa che, come molti presumono, porterà in teatro una grande quantità di nuove forze e gruppi corazzati.

In Ucraina, abbiamo visto da entrambe le parti il rischio assoluto e la follia di inviare una colonna corazzata di grandi dimensioni all’assalto, in particolare su terreno aperto. La preponderanza di munizioni guidate moderne altamente precise e di droni onnipresenti che correggono il fuoco, così come le capacità di percezione del campo di battaglia a raggi X in ogni banda immaginabile – dal radar agli infrarossi al rilevamento delle emissioni di segnale (telefono, wifi, starlink, radio, radar, ecc.) – trasformano il moderno teatro di guerra in qualcosa che assomiglia a un videogioco di strategia in tempo reale, nella tradizione di C&C: Red Alert.

Il campo di battaglia è disseminato di moderne munizioni di precisione di ogni tipo, che per ironia della sorte hanno riportato la guerra di manovra a un assetto posizionale di tipo WW1. Tutto, dalle mine autosensibili come le PTKM-1R alle munizioni intelligenti a grappolo come le RBK-500 che trasportano Motiv-3M SPBE sganciate dai sistemi di artiglieria che esplodono sopra i veicoli corazzati e mirano automaticamente ai loro tetti morbidi, è stato implementato finora nel conflitto (da entrambe le parti, nel caso dell’AFU: tramite il PhZ-2000 tedesco che spara munizioni intelligenti, e gli M270 tedeschi che sparano AT-2, e altro). I proiettili di artiglieria da entrambe le parti – varietà Krasnopol e Excalibur – sono guidati con precisione da droni e satelliti e da infiniti sistemi elettronici di ogni possibile estrazione.

Russi con attitudine @RWApodcast

 

Il 9A52-4 Tornado è il più recente sistema MLRS russo e dovrebbe sostituire i sistemi “Grad” e “Smerch” nei prossimi anni. È dotato di un sistema di paracadute per i suoi razzi e può colpire i bersagli con grande precisione anche dietro una copertura. La parte ucraina ha confermato che è stato utilizzato vicino a Kiev.

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Ci sono due modi di esaminare questo aspetto: la scala microcosmica della visione tattica, che si occupa della tattica delle unità, e il senso macro operativo. Ci addentreremo un po’ in entrambi. In quella operativa,  l’avvento e la proliferazione di sistemi di precisione a più lunga gittata inibiscono notevolmente la capacità  di una forza di manovra di portare avanti un’offensiva, in quanto le linee di rifornimento (depositi, quartieri generali, ecc.) sono tutte a portata di mano di HIMARS e di munizioni di precisione guidate stile Smerch.

Alcuni, come Strelkov, si sono recentemente entusiasmati per l’idea che la Russia sia “completamente incapace di avanzare” in qualsiasi senso operativo significativo, e che sia bloccata in una situazione di stallo, perché non appena le sue forze creano una spinta, i nodi logistici e di rifornimento che alimentano l’avanzata sono immediatamente presi di mira da armi come gli HIMAR, i droni che si aggirano, l’artiglieria a guida GPS, ecc.

Molti hanno usato questo ragionamento per razionalizzare i presunti “fallimenti” della Russia in luoghi come il fronte di Kherson, anche se si tratta di un’affermazione fallace: il ritiro a Kherson aveva tutto a che fare con l’imminente minaccia di un’inondazione catastrofica del fiume a causa della potenziale distruzione della diga di Nova Khakovka, non con l’incapacità delle forze russe di farvi fronte. In effetti, diversi account di alto profilo dell’AFU hanno scritto lunghi e “eruditi” thread su Twitter per sottolineare quanto la Russia si sia adattata alla minaccia degli HIMAR sui suoi depositi di retrovia nella regione di Kherson, distribuendo le concentrazioni di munizioni. Ma naturalmente è più facile adattarsi quando ci si limita a difendere, mentre l’argomento di questa discussione è l’attacco: forze di manovra che sferrano un’avanzata in un ambiente moderno, “nudo” e pesante dal punto di vista dei segnali.

La totalità dell’infrastruttura della NATO e dei “Cinque Occhi” viene utilizzata 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come una sorta di vasto servizio di cloud-end e di mega-ciclo di elaborazione/computazione per le forze di prima linea dell’Ucraina. Centinaia di satelliti, tra cui decine di satelliti di imaging con risoluzione di 5 cm/pixel, scrutano ogni centimetro quadro del territorio russo, alla ricerca di obiettivi nascosti e perseguibili. I dati vengono poi elaborati e collazionati da migliaia di analisti a tempo pieno di NATO/Five Eyes che lavorano in centri di distribuzione in tutto il mondo, per poi essere trasmessi direttamente agli equipaggi ucraini tramite Starlink e altri collegamenti dati, che l’Ucraina può poi a sua volta distribuire attraverso l’innovativo sistema integrato “Nettle” per fornire questi obiettivi a una serie di artiglierie di settore e altri sistemi.

Ne abbiamo avuto un assaggio mesi fa, quando sono trapelati documenti che dimostravano l’esatto flusso di lavoro con cui questa sovrastruttura NATO/Cinque Occhi identifica e trasmette le posizioni di ogni unità russa immaginabile, fino alla dettaglio più minuto. Sono stati mostrati i documenti redatti dall’esercito di analisti che hanno esaminato i filmati satellitari, con elenchi infiniti di obiettivi russi di alto valore, catalogati, categorizzati e così via, con le loro coordinate esatte e le foto di riferimento associate.

Senza contare la flotta di AWACS che raccolgono dati radar 24 ore su 24 dallo spazio aereo polacco e rumeno, gli RQ-4 Global Hawk con i loro radar SAR che fotografano quotidianamente la Crimea dal Mar Nero, i radar OTH a onde corte che probabilmente rilevano i voli dell’aviazione russa a migliaia di chilometri di distanza e altro ancora. In effetti, è stato persino suggerito che le forze statunitensi utilizzino i dati dei sensori sismici per tracciare i movimenti delle grandi forze russe. Gli stessi sovietici usavano abilmente questa tattica contro i mujahidin in Afghanistan.

 

 

Questo servizio della CNN mostrava anche che il personale della NATO ammetteva che i dati sui bersagli dei loro AWACS vengono trasmessi immediatamente all’AFU: https://www.bitchute.com/video/hhUUBaCbuFCm/

E qui si può vedere una console ucraina che riceve in tempo reale i dati sulla posizione di un caccia russo tramite il collegamento dati Nettle, probabilmente da una qualche forma di intelligence NATO/Occidentale.

Abbiamo visto che a Kherson e in molti altri luoghi, ogni volta che l’AFU lanciava un’ampia offensiva con grandi e visibili colonne meccanizzate, veniva immediatamente individuata, tracciata e decimata a lungo raggio. Ma recentemente, a Ugledar, è emerso che i Marines russi non se la sono cavata meglio in circostanze simili.

 

Anche le loro colonne meccanizzate non potevano attraversare quella temuta terra di nessuno dei campi agricoli ghiacciati prima di venire identificati. Certo, sembra che le mine abbiano giocato il ruolo più importante, come hanno sottolineato alcuni intrepidi lettori. Tuttavia, devo controbattere che l’unica ragione per cui i Marines russi sono incappati nelle mine, tanto per cominciare, è che avevano l’ordine di fare una corsa folle attraverso i campi, dalla copertura alla   posizione successiva nella sezione delle dacie di Ugledar inferiore, proprio perché indugiare e prendersi il tempo necessario per attraversare in sicurezza i campi minati li avrebbe esposti all’ISR nemico e ai rischi immediati dall’aria sotto forma di attacchi corretti da droni, ecc. Se non fosse stato per l’onnipresente minaccia di osservazione, avrebbero potuto procedere pian piano con un cacciamine, o richiamare un UR-77, che lavora lentamente, per sgombrare le mine.

 

Per approfondire brevemente il modo in cui si dovrebbe teoricamente affrontare tali minacce e perché nella pratica non funziona bene come in teoria, esaminiamo innanzitutto come, per contrastare l’artiglieria, sia necessario disporre di sistemi drone-ISR e, preferibilmente, di radar di controbatteria in grado di localizzare il vettore e la distanza del colpo nemico per poter rispondere.

Ma come si vede in questo video di Patrick Lancaster, un soldato russo ha dato una risposta franca nel descrivere la complessità, la difficoltà e l’irregolarità di affrontare questi problemi. Egli afferma che hanno utilizzato il più potente radar russo di controbatteria “Zoopark”, ma ironicamente, il sistema è così potente da diventare un bersaglio immediato per le fonti anti-radiazioni che possono puntarlo, come un missile IR su una fiamma ardente.

Quindi hanno spostato il sistema molto più dietro le linee, ma la disciplina dell’artiglieria dell’AFU è tale che riescono ancora ad allontanare i loro cannoni dal pericolo nel momento in cui si può usare il sistema per localizzarli e rispondere. Ora, per essere chiari: questa non è una caratterizzazione generalizzata di come funzionano tutti questi scenari/sistemi. Abbiamo un’abbondanza di prove di come gli stessi Zoopark russi (e altri) abbiano funzionato in modo fantastico per annientare le posizioni dell’AFU con il fuoco di controbatteria. Ma è solo un’illustrazione della difficoltà e dell’imprevedibilità di queste cose. Se si trova un equipaggio nemico veramente bravo, con una forte disciplina, può annullare questi sistemi.

Questo spiega in gran parte il tipo di guerra a piccole unità, che lascia perplessi, e a cui abbiamo assistito sinora. Gli stessi Wagner hanno descritto le loro tattiche di maggior successo a Bakhmut: consistono in piccoli gruppi di uomini, al massimo 8, che operano in modo indipendente e si lanciano in avanti per avvicinarsi intenzionalmente a 50-150 metri dalle posizioni dell’AFU, in modo da impedire all’artiglieria sita nelle retrovie del nemico di sparare, per paura di colpire i propri uomini. Lo chiamano “cavalcare le spalle del nemico“. Ma il dettaglio chiave è l’accurato rispetto della regola di rimanere separati in piccole squadre di fuoco isolate.

 

Questo spiega in parte la decisione della Russia di affidarsi a BTG più piccoli e distanti l’uno dall’altro, in questo conflitto.  E perché in tanti video, apparentemente sconcertanti, vediamo gruppi d’assalto così piccoli o carri armati solitari operare così spesso in prima linea. Nell’odierno campo di battaglia altamente incentrato sulla rete, integrato, con un sovraccarico di segnali e osservazioni, è semplicemente un quasi-suicidio raggrupparsi in grandi concentrazioni.

 

II.

Quindi la grande domanda è: come può la Russia spingersi in avanti, sfondare le linee nemiche e conquistare in massa con successo un territorio, in queste condizioni? Ha ragione Strelkov, e la Russia è condannata a una guerra di posizione con attacchi incrementali?

Si tratta di un argomento molto vasto, poiché le “soluzioni” possibili a questo dilemma sono molteplici. Approfondiamo quelle già utilizzate in modo efficace e quelle che probabilmente verranno utilizzate nelle prossime escalation.

1.   Atmosfere e schermi di fumo

 

 In primo luogo, per eliminare le tattiche più semplici, ricordiamo alcuni limiti principali di tutti questi onnipresenti sistemi ISR. Il primo è rappresentato dalle condizioni ambientali/atmosferiche. In breve: i droni e i satelliti odiano le nuvole e, anche con l’avvento del “telerilevamento” e dei satelliti SAR, non sono in grado di penetrare gli strati nuvolosi così bene come sostengono i venditori del MIC, almeno non fino al dettaglio che consenta di vedere le singole unità e i gruppi di combattimento.

Il fatto è che quando c’è una forte copertura nuvolosa e/o la nebbia, i droni possono diventare del tutto inutili, e lo stesso vale per i satelliti. Se si fosse veramente all’altezza del compito, si potrebbero usare serie capacità di modifica del tempo atmosferico, come la semina delle nuvole, per creare condizioni di perenne copertura e accecare il nemico. Sfortunatamente, accecherebbe anche voi.

 

Di recente sono stati riportati diversi casi di offensive russe (sia a Kremennaya che a Ugledar) che si sono fermate a causa di una forte copertura nuvolosa che ha ridotto notevolmente la loro CAS e annullato la loro superiorità aerea. Ma, al contrario, ci sono state altre volte in cui l’hanno considerata un vantaggio su alcuni fronti, e hanno spinto appositamente quando c’era una copertura nuvolosa e i droni dell’AFU erano accecati.

Il compromesso meno drastico può essere l’uso di una varietà di sistemi di generazione di fumo per nascondere i propri movimenti, di cui la Russia stessa non solo dispone, ma ha persino usato una versione minore proprio nel teatro di cui abbiamo parlato sopra, quando i Marines pompavano fumo dai loro BMP-3 per avanzare.

 

Anche gli aerei possono rilasciare enormi cortine fumogene.

 

Naturalmente si tratta solo di una misura temporanea e su piccola scala contro l’ISR più localizzato, ma valeva la pena menzionarla per toglierla di mezzo.

2.   Satelliti e kesslerizzazione?

Il metodo più efficacemente pratico per sconfiggere la forma più potente di capacità di osservazione dell’Ucraina sarebbe semplicemente quello di abbattere i satelliti. La Russia ha minacciato di farlo già diversi mesi fa.

Tuttavia, gli Stati Uniti hanno risposto che avrebbero reagito in modo analogo. Tuttavia, la Russia ha nominato specificamente il gruppo di satelliti commerciali come Maxar, piuttosto che i satelliti militari statunitensi. Oggi, la Russia ha addirittura ripetuto la minaccia dopo che la NATO ha annunciato un nuovo programma per incrementare radicalmente la cooperazione di ricognizione spaziale in una nuova flotta di costellazioni satellitari militari/civili altamente centralizzate e coordinate, finalizzate al dominio totale del dominio C4ISR.

Ma la Russia potrebbe/dovrebbe davvero abbattere i satelliti? Sappiamo che potrebbe farlo, se lo volesse: L’anno scorso l’hanno dimostrata come dimostrazione di forza e, se guardate fino alla fine del video collegato, i generali statunitensi erano piuttosto preoccupati.

Alcuni si sono chiesti: perché la Russia non blocca questi satelliti con i tanto decantati e nuovi sistemi Murmansk e Zhitel (tra gli altri) di cui si vanta tanto? Il problema è che questi sistemi disturbano segnali come radar, GPS, ecc. Ma i principali tipi di satelliti che sono la vera spina nel fianco della Russia sono i satelliti elettro-ottici, cioè “fotografici”. Come si può bloccare un satellite simile a un telescopio, dotato di una potente fotocamera con zoom, che sta fotografando le vostre strutture e i movimenti delle truppe? Non si può “bloccare” l’obiettivo di una fotocamera.

 

L’unica contromisura possibile è accecarli con un laser. Da tempo si susseguono rapporti che affermano che la Russia ha già accecato i satelliti statunitensi, che minaccia di farlo e lo sta testando, che sta costruendo le capacità per farlo.

 

Se è vero che Putin ha annunciato trionfalmente il nuovo laser russo “Peresvet” l’anno scorso, la maggior parte dei laser di questo tipo – compresi quelli testati dalla marina statunitense – hanno una portata piuttosto breve, di pochi chilometri al massimo.

I satelliti, ovviamente, viaggiano a centinaia o addirittura migliaia di chilometri di altezza. Tuttavia, alcuni rapporti hanno affermato che il Peresvet può accecare satelliti a 1500 km di distanza.

Inoltre, secondo quanto riportato all’inizio dello scorso anno, la Russia avrebbe addirittura messo in campo un nuovo tipo di laser chiamato “Zadira”, che sarebbe ancora più potente del Peresvet, e lo starebbe già utilizzando e/o testando in Ucraina.

Gli scettici dovrebbero ricordare che non solo la Russia ha sostanzialmente inventato il laser e il maser, lo scienziato russo Nikolai Basov ha persino ricevuto il Premio Nobel per questo, ma la Russia ha avuto un carro armato laser fin dai primi anni ’80: https://en.wikipedia.org/wiki/1K17_Szhatie

E i sovietici avevano un laser chiamato Terra-3 che si dice abbia mandato in tilt la navetta spaziale Challenger. Secondo wiki:

Voci sull’attacco dello shuttle

Terra-3 è oggetto di un’affermazione diffusa secondo cui il laser a infrarossi sarebbe stato utilizzato per colpire lo Space Shuttle Challenger durante la sua sesta missione orbitale del 10 ottobre 1984 (STS-41- G). Secondo quanto riferito da Steven Zaloga, lo Shuttle è stato brevemente illuminato e ha causato “malfunzionamenti sulla navetta spaziale e angoscia per i passeggeri” e l’equipaggio”, inducendo gli Stati Uniti a presentare una protesta diplomatica sull’incidente.[6] Questa rivendicazione sembra essere partita da ex funzionari sovietici, in particolare da Boris Kononenko.[7] I membri dell’equipaggio e “membri esperti della comunità dei servizi segreti statunitensi” hanno negato che  la navetta sia stata illuminata da Terra-3.[8]

 

I laser russi possono davvero accecare i satelliti? Nessuno lo sa con certezza, anche se è probabile che possano farlo. Tuttavia, i più avanzati satelliti americani Keyhole optoelettrici hanno probabilmente delle contromisure contro questo fenomeno, ossia semplici pannelli telecomandati che si chiudono sopra l’obiettivo per evitare che il sensore si frigga. Il laser a quella distanza probabilmente non ha la potenza necessaria per bruciare l’intero satellite, ma piuttosto per friggere il delicato sensore CMOS di imaging dietro l’obiettivo.

Inoltre, è probabile che sia molto più difficile farlo di quanto sembri. In primo luogo, per fare danni, la maggior parte dei sistemi d’arma laser deve mantenere il laser puntato sul bersaglio per un certo periodo di tempo. Nei test a corto raggio, 5-10 secondi di solito “bruciano” il bersaglio. Tuttavia, per danneggiare un sensore a 300-500 km di distanza (l’orbita della maggior parte dei satelliti Keyhole), il laser dovrebbe probabilmente “seguire” con precisione il satellite attraverso l’intero cielo. Ma i satelliti si muovono molto velocemente e il laser dovrebbe praticamente infilare un ago mantenendo il raggio sul sensore mentre il satellite vola nel cielo. Ciò richiederebbe capacità di tracciamento digitale, automazione e sistemi di controllo del fuoco molto maggiori di quanto la maggior parte delle persone pensi.

Certo, i telescopi commerciali e professionali sono in grado di seguire le stelle attraverso il cielo che si muove lentamente, e presumibilmente è possibile utilizzare una tecnologia simile, ma vale la pena ricordare quanto sia tecnicamente difficile.

In secondo luogo, gli Stati Uniti e i loro “partner” dispongono di molti satelliti di imaging di questo tipo, mentre  la Russia ha, probabilmente, una quantità molto bassa di questi prototipi di sistemi laser. Sarebbe molto difficile accecare tutti i satelliti tempestivamente. Detto questo, non lo sappiamo con certezza: la Russia  potrebbe averne molti di più di quanto pensiamo, e potrebbe sempre accecarne uno o due come avvertimento, forzando lo spegnimento degli altri.

Il metodo più fidato e affidabile alla fine è il buon vecchio missile Nudol.

I lettori più intrepidi diranno che gli Stati Uniti affermano che “risponderebbero” se la Russia eliminasse i loro satelliti. Ma c’è un’angolazione molto interessante di questo scenario che pochi hanno previsto.

Certo, gli Stati Uniti possono reagire ed eliminare i satelliti russi dopo che la Russia ha eliminato tutti quelli statunitensi. Ma così, indovinate chi rimane l’unico egemone spaziale e potenza satellitare dominante nel mondo?

 

 

Proprio così. Questo ragazzo – che diventerà non solo il più felice, ma il più dominante giocatore nello spazio con un improvviso e massiccio vantaggio strategico storico sull’avversario americano. La Russia e gli Stati Uniti verrebbero entrambi rispediti all’età della pietra, dal punto di vista satellitare, mentre la Cina godrebbe ora di un’egemonia spaziale virtuale e de facto. Pensate che gli Stati Uniti vogliano rischiare un’opzione così impensabile? Non è molto probabile.

In breve, gli Stati Uniti spingono la Russia a una guerra satellitare come un tizio con una Bugatti che minaccia di speronare la Toyota Tercel del ’92 di qualcuno in un incidente stradale. Hanno molto più da perdere. Non è per denigrare le capacità spaziali della Russia, ma piuttosto per sottolineare che gli Stati Uniti saranno i veri perdenti, in questo caso. Il tizio della Toyota può ottenere un paraurti nuovo per 125 dollari, mentre l’altro avrà più di 100.000 dollari di danni.

Per questo motivo credo che gli Stati Uniti non vogliano che la Russia alzi la posta e dare alla Russia un motivo per iniziare ad abbattere i satelliti.

3.   Guerra asimmetrica, ibrida e assalto leggero

Il metodo successivo per minimizzare il dominio delle moderne capacità 4GW/5GW di un nemico è quello di utilizzare molte tattiche di guerra asimmetrica. Per semplice necessità, l’AFU lo ha già fatto.

Anche la Russia lo ha fatto, ma l’Ucraina si è spinta più avanti e più velocemente in alcune aree, in termini di aggiramento asimmetrico del dominio del segnale sul campo di battaglia.

Cose come la stampa in 3D di proiettili per droni, maskirovka di ogni tipo (finte, oggetti di scena come spaventapasseri e carri armati esplosivi per ingannare la ricognizione), uso di forze non convenzionali/ibride – l’abbandono di grandi e lenti raggruppamenti di mezzi corazzati e utilizzo invece di “tecniche ISIS” in stile insurrezionale per scambiare la sicurezza contro spazio e tempo).

L’assalto a Kharkov ne è stato un esempio in qualche modo riuscito (dico in qualche modo perché, pur avendo raggiunto gli obiettivi, hanno subito pesanti perdite, il che ne mette in luce i lati negativi). L’AFU scelse una strategia di sicurezza estrema che si basava sul sorprendere e sovraccaricare i cicli OODA delle ricognizioni, attraversando grandi porzioni di territorio molto rapidamente con veicoli leggeri e in rapido movimento, creando panico di massa, reazioni eccessive e disorientamento nella parte ricevente.

Naturalmente, questo non funziona ovunque. A Kharkov si faceva affidamento su aree fortemente boscose dove la copertura poteva nascondere i movimenti. Per non parlare del vantaggio numerico di 5:1 o 8:1 (secondo alcune fonti) su quella che era di fatto una guarnigione di volontari alleati; ma è un esempio in un luogo e in un tempo.

Anche la Russia ha utilizzato l'”assalto leggero” con una guerra ibrida (attivazione dei partigiani in concomitanza con l’assalto di Kherson, ecc.) in modo abbastanza efficace all’inizio, ma con gli stessi svantaggi, in quanto ci sono state molte più perdite del solito. E in futuro, questa non è la strategia di scelta più forte.

4.   Stressare il nemico fino al punto di rottura

È qui che iniziamo a entrare nel vivo del metodo che la Russia probabilmente impiegherà. Una strategia correlata  che possono usare operativamente su scala molto più grande, e che credo potremmo vedere molto presto nella prossima offensiva, è l’allungamento intenzionale del fronte fino al punto di rottura, sfruttando le debolezze dell’AFU in termini di uomini e qualità delle truppe. Ma soprattutto, a proposito dell’argomento  attuale, metterebbe a dura prova la logistica del server-farm C4ISR della NATO.

Se la Russia apre più fronti nuovi e ampi, aumenta esponenzialmente le ore di lavoro, la potenza di elaborazione, ecc. necessarie per tenere traccia di tutto e trasmetterlo all’AFU. I suddetti, vasti cicli computazionali del backend della NATO verrebbero messi a dura prova per tenere traccia di tali ampie distribuzioni di forze e possibilità. Inoltre, i sistemi guidati ucraini, come gli HIMAR, che sono relativamente pochi, si allungherebbero e si disperderebbero, vanificando ulteriormente il vantaggio dell’ISR, poiché i dati sui bersagli della NATO sono inutili se i sistemi a cui li inviano non sono posizionati in modo efficace, o sono diluiti in tutto il Paese.

Per chiarezza, immaginiamo che la maggior parte della guerra si svolga su un fronte vicino. L’AFU può concentrare lì tutti i suoi sistemi di precisione come gli HIMAR, gli M270, ecc. e usarli per concentrare il fuoco su un’area relativamente più piccola, dove la sorveglianza della NATO può anche tenere traccia in modo molto più efficace ed efficiente delle aree posteriori russe, del C3, dei rifornimenti, della logistica, ecc.

Ma se distribuita su più fronti ampi, l’Ucraina non avrebbe altra scelta che diluire le sue unità di precisione più potenti, distanziandole di centinaia/migliaia di chilometri. Detto questo, l’estremo rischio di questa situazione, come abbiamo discusso nella Parte 2, sarebbe l’utilizzo da parte della Russia di fronti TROPPO ampi e distanti tra loro, superando così un punto di diminuzione dei benefici. Ma questo vale solo per gli estremi lontani, come un fronte nell’Ucraina occidentale, nella provincia di Volyn. Anche se ora ci sono stati alcuni lievi indizi – anche se potrebbe trattarsi delle solite finte maskirovka – che la Russia potrebbe ancora scegliere il temuto primo vettore del mio rapporto della seconda parte. Non solo sono stati avvistati droni russi che hanno misteriosamente ronzato nella regione di Zhytomir (a ovest di Kiev) in Ucraina per la prima volta dall’inizio dell’SMO, ma c’è stata una “strana attività” nell’estremo ovest della Bielorussia, con testimonianze di “truppe Wagner” (o truppe che “assomigliavano a Wagner”) a Baranovichi, in Bielorussia, vicino al confine polacco/ucraino/bielorusso. Ciò ha costretto l’Ucraina a dislocare 20.000 uomini in quella zona in preparazione di un possibile assalto russo da quel vettore, secondo quanto riportato dall’autorevole canale ucraino “Resident”:

Il canale TG ucraino “Resident” condivide un insider: Lo Stato Maggiore sta concentrando 20.000 truppe delle Forze Armate dell’Ucraina a Zhytomyr per respingere un eventuale attacco russo dalla Bielorussia.

Zhytomyr sarebbe in linea con l'”Asse di MacGregor” delle nostre previsioni della precedente Parte 2. Un asse di questo tipo potrebbe benissimo realizzare ciò che abbiamo menzionato in precedenza: l’allungamento e la tensione delle capacità di intelligence/ricognizione della NATO e dell’Ucraina, che darebbe alle grandi forze russe più spazio per avanzare in queste condizioni dominate dal digitale. In breve, divide le risorse nemiche in questi domini, mette a dura prova le capacità di intelligence e di ricostruzione dell’Ucraina e della NATO, risorse satellitari (e altre risorse SIGINT, ELINT, ecc.), richiedendo ai satelliti di orbitare in orbite più ampie, imprevedibili e meno coordinate, il che degrada e aumenta i tempi di reazione e i cicli OODA della NATO stessa.

5.   EW Forza bruta

È anche possibile forzare e sopraffare l’infrastruttura elettronica del nemico con l’impiego su larga scala di potenti sistemi EW. Ma un problema che molti trascurano è che i potenti disturbatori disturbano anche i vostri stessi dispositivi.

In particolare nell’ambito della guerra con i droni. Se avete uno dei campi di battaglia standard che vediamo spesso, campi ampi e distesi con una terra di nessuno al centro, droni da entrambe le parti che vi si librano sopra e correggono il fuoco dell’artiglieria – e posizionate un potente sistema Krasukha dietro la vostra artiglieria e iniziate a inondare i cieli sopra quel campo con un segnale di disturbo, manderete in tilt i vostri droni e quelli dei nemici.

Sistema di disturbo automatico (R-330Zh, Zhitel) &SATCOMjamm (Tirada-2)      9    om     e co tatto 1ne

 

Questo è già stato menzionato più volte nelle interviste con i soldati russi, che lamentano il fastidio di non poter usare i loro cannoni anti-drone o i sistemi EW in alcune circostanze, poiché interferiscono anche con i loro droni.

Ora, se aveste i vostri droni nativi con bande segrete personalizzate che i vostri ingegneri militari hanno progettato per essere specificamente immuni alle bande di disturbo, potrebbe essere una storia diversa. Ma sfortunatamente, questo è il problema di entrambe le parti che si affidano agli stessi prodotti cinesi DJI, piuttosto che costruire dispositivi indigeni.

Detto questo, l’effetto reale che l’EW russo sta avendo su questa guerra è molto sottovalutato e sottostimato. A causa della suprema OPSEC della Russia e della grande quantità di filmati di droni che vediamo, la maggior parte presume che la tecnologia russa sia inattiva o “sottotono”. Ma in realtà, se si presta attenzione ai rapporti e alle interviste con la stessa attenzione con cui lo faccio io, ci si accorge che le forze ucraine si lamentano costantemente del dominio EW che prevale contro di loro. Diamine, il nostro ultimo rapporto riguardava proprio questo fatto. E ci sono state molte segnalazioni di interi fronti oscurati dall’EW russa:

Tuttavia, il Financial Times ha riferito che un alto funzionario governativo ucraino ha dichiarato che le interruzioni di Starlink hanno creato una “catastrofica” perdita di comunicazioni in prima linea nella guerra in Ucraina. Un funzionario anonimo ha dichiarato al giornale che tali interruzioni si sono verificate mentre le forze armate avanzavano nelle aree occupate dai russi.

I soldati hanno anche detto al giornale che i sistemi di comunicazione hanno smesso di funzionare a metà strada.

e che alcune tecnologie Starlink non hanno funzionato nelle aree recentemente sottratte ai russi.

In un’intervista rilasciata venerdì a Newsweek, V.S. Subrahmanian, professore di informatica presso la Northwestern University, ha dichiarato che la Russia “ha praticamente messo fuori uso tutte le comunicazioni militari dell’Ucraina” all’inizio della guerra,         ed è solo quando è stata

introdotta la tecnologia Starlink che “le comunicazioni sono tornate ad essere abbastanza affidabili”.

 

FORBES ) BUSINESS ) AEROSPAZIO E DIFESA

David Axe Personale di Forbes

Scrivo di navi, aerei, carri armati, droni, missili e satelliti.

24 dicembre

2022-

 

181

 

Es-

.05:52

Ma c’è anche molto di più. Una gran parte, e oserei dire la maggioranza, dei video di droni dell’AFU che vediamo sono contro DPR/LPR o forze volontarie. Contro le brigate russe vere e proprie, i loro droni sono quasi completamente annullati, a parte l’unico punto di debolezza quando le unità russe avanzano e per caso superano la loro copertura EW.

6.   Perfezionamento della combinazione ricognizione-colpo

L’altro metodo più diretto e logico è ironicamente il più sistematico e difficile: un modo per sconfiggere il nemico in condizioni moderne è semplicemente quello di essere molto meglio addestrati, più efficienti e, in generale, di avere forze armate più disciplinate, più severe, più veloci e più precise.

In particolare, questo si riferisce a cose come il già citato ciclo OODA, che è compreso nella famosa dottrina concettuale russa del Reconnaissance Strike Complex (RSC) e del Reconnaissance Fire Complex (RFC). In sostanza, queste dottrine hanno a che fare con l’affinamento del processo e del “flusso di lavoro” per integrare e semplificare i vari sistemi e le procedure addestrabili coinvolte nell’acquisizione di un bersaglio e nel trasmettere efficacemente i dati agli equipaggi dei cannoni in tempi brevi. La Russia ha dichiarato di aver ridotto le sue capacità di RSC a 10 secondi, fino a 2-3 minuti per alcuni sistemi.

Pertanto, quanto più si riesce a imporre sistematicamente uno standard elevato in tutte le formazioni e quanto più queste possono operare in modo serrato, riducendo i tempi di reazione in questo tipo di cicli decisionali, tanto più è possibile superare i cicli del nemico e quindi annullare gran parte delle sue capacità multidominio 5GW / C4ISR.

Questo può sembrare un’insalata di parole tecnologiche, ma per semplificare: se la NATO dispone di tutte queste potenti capacità di ricognizione satellitare e di ELINT, esse possono essere in parte annullate se il migliore addestramento della Russia consente loro di prendere decisioni più rapide sull’acquisizione di un obiettivo e sul suo aggancio. Se la NATO avverte l’AFU, ad esempio, che una grande forza russa (o un contingente di aerei) si sta muovendo in un particolare settore, questo “elemento sorpresa” può essere in parte annullato se i circuiti RSC/OODA della Russia sono così ben perfezionati da superare le capacità dell’AFU di trasmettere le informazioni necessarie a livello tattico, anche a dispetto della conoscenza generale dell’avanzata russa da parte della forza ucraina. In sostanza, se sapete che un nemico è dall’altra parte del campo perché ve lo dice qualcuno con un satellite, ma i circuiti di ricognizione del nemico sono molto più veloci dei vostri, allora avrà poca importanza, perché vi batterà comunque sul tempo.

Ma, come accennato all’inizio, questa è l’opzione di gran lunga più difficile, perché si basa su una mentalità “senza scorciatoie”, di duro lavoro e olio di gomito, che consiste semplicemente nel perfezionare l’insieme delle forze armate a un livello di capacità estremamente elevato, piuttosto che affidarsi a “espedienti” come gli attacchi a sorpresa o le maskirovka per confondere la percezione del campo di battaglia del nemico.

 

Ma per farlo è necessario uno sforzo parallelo di modernizzazione delle forze armate, in modo che le strutture e le infrastrutture tecnologiche siano in grado di sostenere efficacemente l’aumento del carico di questi standard. Un modo in cui la Russia lo ha fatto negli ultimi anni è stato quello di introdurre costantemente sistemi “network-centrici” per integrare digitalmente i propri campi di battaglia in modo tale che l’interoperabilità dei sistemi e delle unità possa consentire di disperdere i dati di puntamento in modo tempestivo e razionale. La Russia ha iniziato a utilizzare sistemi come il sistema di gestione del campo di battaglia Strelets-M (Sagittarius-M) e Andromeda-D (parte del programma Ratnik) che, in parole povere, fornisce ai soldati una console con una mappa digitale, consentendo loro di inserire le posizioni del nemico con il semplice tocco di un dito e di inviare istantaneamente tali posizioni a una serie di unità di fuoco per ingaggiare il nemico.

Come il sistema Link-16 degli Stati Uniti, questo sistema consente a un soldato di terra russo di trasmettere i dati di puntamento anche a un bombardiere di prima linea come il Su-34, se è dotato di un sistema corrispondente. Solo alcune settimane fa, abbiamo avuto una delle prime immagini di un ufficiale di un’unità di artiglieria russa che utilizzava una console di questo tipo: https://www.bitchute.com/video/WII88BHXBghz/ .

 

Il sistema è già stato impiegato con successo in Siria, dove i soldati russi hanno fornito dati di puntamento ai bombardieri Su- 24M, con una precisione dichiarata del “100%“.

Quindi, in ultima analisi, la domanda è: la Russia ha un vantaggio che può annullare le capacità della NATO? Abbiamo sentito alcuni resoconti (per lo più da figure militarmente collaterali come i soldati della DPR, filtrati da pessimisti cosmici come Strelkov) e lamentele su alcune gravi carenze nei circuiti OODA della Russia quando si tratta di individuare i bersagli dell’artiglieria.

Una di queste denunce descriveva come un’unità AFU stesse guadando un fiume e trasmettesse i dati del bersaglio all’artiglieria russa da qualche parte nelle retrovie. Ma il processo decisionale doveva passare attraverso così tante catene di comando e autorizzazioni che, quando i proiettili iniziarono a volare, le unità AFU erano già lontane.

Ma è sempre facile selezionare i piccoli incidenti che concordano con la propria narrazione. Ci possono essere problemi localizzati in alcune unità, come in ogni grande forza combattente. Ma non ci sono prove che suggeriscano che il problema sia endemico per tutte le unità di combattimento. Il fatto è che non si uccide un avversario che è quasi il proprio pari con un rapporto perdite senza precedenti di 10:1, causandogli centinaia di migliaia di caduti, se le catene di comando per la decisione di attaccare sono così inservibili.

La verità è che i militari occidentali non sono forze di artiglieria. L’Ucraina è stata elogiata perché combina il meglio delle capacità dell’Occidente, compresi i suoi sistemi più moderni, avanzati e capaci (PhZ2000, Krabs, Arcieri, Dana, Cesari, M109, M777, Zuzana, ecc.) e munizioni intelligenti, con le superiori dottrine sovietiche di artiglieria per creare un’alchimia di forze dal potenziale di combattimento senza precedenti. E con “senza precedenti” intendo letteralmente migliore dell’esercito americano. Non credetemi sulla parola, leggete questo famoso thread su Twitter dell’ex esperto del Dipartimento della Difesa Trent Telenko, che esulta per l’impareggiabile e rivoluzionaria sintesi di rete/integrazione dell’AFU, che rende la sua forza di artiglieria di gran lunga superiore persino a quella dell’esercito statunitense. Ecco un estratto:

“Si tratta di un vero e proprio ambiente software distribuito che ha ridotto la richiesta di fuoco alla pressione del grilletto da 20 minuti a 30 secondi. A titolo di paragone, l’Esercito degli Stati Uniti ha effettuato la richiesta di fuoco in 5 minuti nella Seconda Guerra Mondiale, in 15 minuti in Vietnam e in un’ora attualmente. No, non è un errore di battitura. L’aumento del tempo dell’esercito americano “dalla chiamata alla pressione del grilletto” ha a che fare con il tentativo di prevenire il fuoco amico e con l’inclusione di ufficiali JAG [Avvocatura Militare USA] nei centri di controllo del fuoco dell’artiglieria di divisione, che controllano le regole di ingaggio e i danni collaterali delle chiamate al fuoco. Nel 2006, quando alla task force delle forze speciali dell’esercito americano a caccia di obiettivi di alto valore è stato dato accesso diretto a una batteria MLRS con razzi GMLRS – senza una catena di comando avvelenata da ufficiali JAG – si è riusciti a riportarla ai  livelli di 15 minuti del Vietnam o dell’ Iraq, grazie al Blue Force Tracker. Questo non è durato a lungo con l’amministrazione Obama, grazie agli obiettivi di alto valore dei Talebani che usavano i propri figli come scudi umani, seguiti dalle foto dei bambini morti sui cellulari. Poi tutto è tornato al gioco degli ufficiali JAG e le Forze speciali hanno iniziato a comprare droni kamikaze.

Molti esperti militari americani si sono poi trovati d’accordo con l’innovativa esposizione di Trent sui sistemi GIS Art e “Nettle” dell’Ucraina. (Per saperne di più: https://themoloch.com/conflict/uber-for- artillery- what-is-ukraines-gis-arta-system).

Quindi, qual è il punto? Che questa capacità impareggiabile nelle mani di una forza ucraina che non solo possiede i più grandi e moderni obici d’artiglieria, le munizioni più precise e con la migliore gittata, ma anche la più potente forza combinata di tutti gli ISR e le ricognizioni satellitari della NATO/FiveEyes questa storica forza della natura – si sta facendo bagnare il naso dalle forze d’artiglieria russe. Certo, anche l’AFU riesce magistralmente a dare i suoi colpi qua e là. Ma nel complesso, le forze di artiglieria russe, utilizzando le rivoluzionarie capacità di ricognizione e di fuoco della Russia stessa, stanno facendo piazza pulita degli ucraini nella guerra di artiglieria.

Certo, i detrattori diranno che è perché la Russia ha molte più munizioni da spendere, ma se quei nuovi sistemi occidentali e le capacità di GIS Art erano così grandi, la precisione e il tempo di uccisione non avrebbero dovuto superare il vantaggio delle munizioni russe?

Inoltre, è stato confermato che le forze russe stanno utilizzando una serie di sistemi equivalenti, come ad esempio il computer integrato di controllo dell’artiglieria ASUNO, che interagisce con il sistema Planshet-M-IR

per consentire ai droni e a molti altri sistemi di inviare in rete i dati di puntamento direttamente ai cannoni di artiglieria, consentendo di ridurre a pochi secondi il tempo necessario per raggiungere il bersaglio.

L’ASUNO può anche, in modo automatizzato, controllare intere batterie di unità di artiglieria multiple, guidandole verso il bersaglio in modo rapido. Alcuni video hanno già mostrato l’utilizzo del sistema da parte delle forze di artiglieria russe in prima linea.

In definitiva, l’RCS/RFC russo ha dimostrato il suo valore devastando l’esercito dell’AFU in modo così grave da indurlo a ordinare un intero secondo esercito dall‘UE.

7.   Economie di scala

Finora, per molti versi, la Russia ha impiegato il metodo dell’atomizzazione e dell’ambiguità con grande successo, semplicemente per necessità. Aveva già una forza straordinariamente piccola che non aveva altra scelta se non quella di operare come un “fantasma”, apparendo in molti luoghi contemporaneamente e utilizzando le regole di Sun Tzu per sembrare molto più grande e onnipresente di quanto fosse in realtà.

Questo, a sua volta, ha giocato in qualche modo a loro favore, perché il fatto di avere una forza già piccola ha praticamente precluso loro la possibilità di “concentrarsi” in un modo che avrebbe favorito gli snoopers della NATO, che fanno leva sull’ISR.

Ma ora, con la forza prevista di 300-500k (o più) nuovi mobiks [mobilitati] che entrano in mischia, non ci sarà altra scelta se non quella di muoversi in formazioni grandi e appetitose che presentano “ambienti ricchi di bersagli” per l’occhio onniveggente della NATO. Ed è qui che il metodo di disseminazione delle forze può funzionare. Estendendo le forze su nuovi fronti molto ampi, si possono mettere a dura prova le capacità della NATO.

Inoltre, c’è qualcosa da dire sul concetto di “economie di scala”. Cioè, c’è un certo beneficio che si ottiene scalando le proprie forze, dove certe ridondanze e parallelizzazioni di sistemi iniziano a lavorare in tandem in modo tale da diventare “più della somma delle loro parti”, conferendo ulteriori benefici.

Un esempio: finora la potenza aerea russa è stata definita da molti “anemica”, e molti non si rendono conto che ciò è dovuto all’esiguo numero di forze che la Russia ha effettivamente impegnato nel conflitto. Questo ha effetti reciproci sulla funzione dell’insieme delle forze di prima linea in un determinato teatro. Pensate a una battaglia come a una sorta di ecosistema: avete visto i famosi video in cui i lupi vengono introdotti in una riserva naturale, provocando una reazione a catena di eventi: il lupo mangia i cervi, che mangiano l’erba, che sottrae acqua al ruscello, soffocando la riproduzione dei pesci. Quindi, introducendo un lupo, si ottiene un miracolo: si verifica una catena di eventi complessa e apparentemente paradossale, che alla fine porta a rivitalizzare il fiume e l’habitat ittico.

L’ escalation russa prevede un aumento delle truppe di tutti i reparti, compresa l’aviazione. Abbiamo visto come 400 jet e 300 elicotteri siano ora presumibilmente stazionati fuori dall’Ucraina, pronti all’azione.

Allo stesso modo, con la forza della scala, aumentando il supporto aereo a una determinata linea del fronte, la Russia provocherà una reazione a catena nell’ecosistema. Ci saranno più “donnole selvagge” per le missioni SEAD, i sistemi di AD delle AFU saranno di conseguenza molto più sotto pressione e meno attivi, il che a sua volta comporterà la partecipazione attiva di ancor più potenza aerea, sotto forma di bombardieri di prima linea e di elicotteri d’attacco, ora in grado di operare più liberamente. Questo effetto domino causerà un aumento dell’efficacia delle unità d’assalto che avanzano verso il nemico, impedendo loro di essere “statiche” e bloccate in battaglie posizionali e d’attrito, il che annullerà gran parte dell’ISR della NATO, che fa affidamento su obiettivi statici le cui coordinate possono essere trasmesse ai sistemi di artiglieria. In breve, si trasformerà in un campo di battaglia più fluido che ostacola e mette a dura prova i sistemi ISR, in particolare la ricognizione satellitare.

Allo stesso modo, il concetto di “economia di scala” si riferisce all’aumento dei sistemi AD russi in ogni settore. Come discusso brevemente nella Parte 2, un sistema di AD più “densamente” integrato e stratificato può avere effetti di moltiplicatore, dovuti al fatto che tutte le varie parti disparate si sovrappongono l’una all’altra, come i neuroni che si legano in connessioni moltiplicative dell’efficacia.

Concetto di protezione ADA russo tattico

 

Questo rafforzerà ulteriormente la capacità della Russia di intercettare gli attacchi nelle “retrovie”, che è proprio quello che è stato il maggiore (e unico) punto di forza delle capacità ISR della NATO. Bisogna capire che l’uso molto ridotto della forza da parte della Russia ha comportato un drastico sottopotenziamento e sottoutilizzo dei sistemi AD. Ma con il prossimo aumento delle truppe, verranno portate in zona di operazioni molte più brigate missilistiche e si avrà un effetto additivo, come le onde stazionarie o i sistemi cimatici, dove le frequenze sovrapposte diventano molto più forti, insieme.

Molti, mesi fa, sono rimasti a guardare perplessi, con gli occhi sgranati, lo spettacolo del ponte Antonovsky martellato dagli HIMAR, spesso senza che i russi facessero il minimo sforzo per intercettare i missili. Molti non si rendono conto che il colpevole è l’esiguità delle forze russe. Così largamente disseminate, anche le brigate missilistiche hanno operato in modo anemico, tanto che non è stato possibile trovare una sola unità Pantsir per coprire il ponte, almeno fino alla fine, quando ne sono state spostate altre.

Quindi, come da domanda iniziale: ecco come la Russia può far avanzare un grande esercito nonostante l’eccesso di ISR della NATO. Aumentando drasticamente il numero di truppe, e di conseguenza le brigate AD, l’AD russa genererà un’efficacia crescente grazie all’integrazione stratificata e sovrapposta, che a sua volta ostacolerà gli attacchi dell’AFU alle retrovie e ai depositi di munizioni, consentendo così alle forze russe di mantenere intatte le linee di rifornimento e di avanzare in modo più coerente.

Naturalmente, la NATO cercherà di vanificare tutto ciò aumentando la fornitura di sistemi di precisione all’Ucraina, per far fronte alla forza con la forza e tentare di sopraffare i sistemi AD. Per esempio, il loro ultimo pacchetto prevedeva l’invio di altri 18 sistemi HIMARS (oltre ai circa 20 che l’Ucraina già possiede); ma non è chiaro se/quando li riceveranno, dato che sono emerse indicazioni che non arriveranno a breve.

8.   La dottrina sovietica classica è ancora al primo posto

 

L’ultima strategia su scala operativa che menzioneremo, che funziona nell’annullare la portata e la sorveglianza dei sistemi ISR della NATO, è in qualche misura ciò che la Russia ha già fatto con successo.

In breve: impegnarsi in una guerra di artiglieria a lungo raggio – anche se “artiglieria” è una semplificazione eccessiva e intende rappresentare tutti i sistemi a lungo raggio, dall’artiglieria a granata a quella a tubo, ai missili lanciati da terra e dall’aria, ecc.

Ora, questo può sembrare contraddittorio, poiché in precedenza abbiamo detto che la guerra di movimento e di manovra su larga scala può annullare molti aspetti della moderna ibridazione e digitalizzazione del campo di battaglia. Ma, mancando la capacità di aprire ampi fronti, l’alternativa è quella di posizionare le proprie forze in modo tale che le aree posteriori critiche siano tutte fuori dalla portata dei sistemi a più lungo raggio del nemico, in questo caso

HIMAR. E poi semplicemente usare il vasto overmatch di ‘artiglieria’ per logorare il nemico con una lenta guerra  d’attrito.

Questo metodo si basa su una certa superiorità quantitativa e qualitativa nel fuoco a lungo raggio, che la Russia possiede. Non solo la Russia ha un numero molto maggiore di unità a lungo raggio in generale, ma ovviamente anche molte più munizioni, e un raggio d’azione molto maggiore.

Spesso i sostenitori dell’Occidente affermano che l’artiglieria occidentale ucraina è “superiore in termini di gittata” a quella dei sistemi russi e dell’eredità sovietica. È vero solo nella misura in cui alcuni dei più moderni sistemi occidentali in dotazione, come l’M777, il Caesar, ecc. possono sparare munizioni RAP e base-bleed avanzate, con un vantaggio di gittata di circa 30-40 km rispetto alle tipiche munizioni di artiglieria che possono raggiungere un picco di 25 km. E sebbene la Russia impieghi molti vecchi sistemi, dal 2S1 Gvozdikas, 2S4 Akatsiya, il 2S19 Msta-S standard e vari obici trainati come D-20 e 30, che hanno tutti una gittata inferiore, la Russia impiega anche una serie di altri sistemi con gittata pari o superiore ai sistemi occidentali, ad esempio gli Msta- B 2A65, i Malkas 2S7M, i Giatsint-S 2S5, gli Msta-S aggiornati 2S19-M2 e una serie di artiglierie tubolari come i Bm-21 Grad, i Bm-27 Uragan, i Bm-30 Smerch ecc.

Il punto è che, grazie alla superiorità del raggio d’azione, i sistemi russi possono essere ulteriormente dietro la linea di contatto, il che significa che le arterie di rifornimento critiche che alimentano questi sistemi possono essere posizionate ancor più nelle retrovie, e mantenere la regolarità dei rifornimenti. Se il vostro 2S7M Malka, ad esempio, può sparare con una gittata di oltre 50 km, significa che può trovarsi a 50 km dietro la linea di contatto. E il suo deposito di munizioni primario può trovarsi a 20-30 km di distanza. Ciò significa che le munizioni si trovano a 70-80 km dalla linea del fronte. Un HIMARs ha una portata massima di 90 km,  ma non può sparare proprio dalla linea di contatto, deve essere almeno 10-20 km dietro la linea per essere al sicuro da vari sistemi di prima linea a corto raggio, come i droni in attesa. Quindi, arretrando di 10-20 km,  l’HIMARs si trova ora a 90-100 km dal rifornimento critico di munizioni che alimenta il Malka, che ora è fuori portata.

 

Questo è solo un esempio di come la superiorità qualitativa del raggio d’azione possa annullare l’ISR. I satelliti della NATO individueranno e trasmetteranno le coordinate di quel deposito di munizioni, ma l’AFU non potrà fare nulla perché i suoi sistemi non possono raggiungerlo. Nel frattempo, i depositi di munizioni critici del fronte e dei battaglioni ucraini potrebbero trovarsi a soli 50-60 km dalla linea di contatto e i sistemi russi possono colpirli. Se l’AFU li sposta molto più indietro, allora improvvisamente il divario tra le unità operative in prima linea e le munizioni essenziali che le alimentano diventa troppo grande e inefficiente, rallentando in modo critico il loro rifornimento ed erodendo la loro efficacia di combattimento.

Quindi, costringendo l’Ucraina a questa guerra di fuoco a lungo raggio, la Russia sta annullando le capacità di ricognizione dell’Occidente, ma solo fino a quando manterrà il vantaggio qualitativo nella portata dei propri sistemi. Se l’Ucraina, ad esempio, cominciasse a rifornirsi in massa di sistemi a più lungo raggio, come i tanto sbandierati GLSDB, potrebbe teoricamente cominciare a vanificare questo vantaggio, e l’overmatch ISR della NATO sarebbe improvvisamente di nuovo in grado di dettare l’iniziativa operativa.

Qualcuno potrebbe obiettare che una simile tattica non funzionerebbe contro gli Stati Uniti. La Russia è fortunata che l’Ucraina non abbia molti altri sistemi a lungo raggio. Ma se la Russia si scontrasse con gli Stati Uniti, entrambe le parti metterebbero immediatamente in crisi i satelliti dell’altra, annullando all’istante tutte le “munizioni guidate” che richiedono il GPS satellitare per funzionare. E indovinate quale Paese funzionerà meglio in uno scenario di guerra classico?

 

III.

Un’ultima cosa importante da considerare, a proposito della domanda iniziale, su quanto possa funzionare bene la Russia nella prossima offensiva, contro il vasto sconfinamento dell’occhio onniveggente della NATO: chi guiderà l’operazione? Di recente, come è noto, la Russia ha nominato Valery Gerasimov Comandante Supremo dell’intera guerra, segnalando un portentoso cambiamento nella serietà con cui il Cremlino considera ora il conflitto.

Quest’uomo taciturno e poco allegro è stato oggetto di molte speculazioni in Occidente, dove a volte è diventato una sorta di figura mitica. Anche se ciò è dovuto in parte al suo contegno tranquillo ed enigmatico, che rifugge dalle luci della ribalta, a differenza di tanti generali americani innamorati dell’esibizione e della ruffianeria davanti ai flash della stampa, e che chiacchierano sulla CNN per ottenere la mancia delle aziende.

No, Gerasimov si vede dempre seduto e in ascolto, in tranquilla osservazione di chi lo circonda. In molte vecchie bobine di filmati della guerra cecena degli anni ’90, si può anche intravedere Gerasimov che si apposta alle spalle dei suoi superiori più loquaci, valutando attentamente ogni loro parola.

Abbiamo discusso qui le varie dottrine e strategie di combattimento in un moderno scenario di guerra ibrida e generazionale. Gerasimov è l’uomo che ha praticamente “scritto il libro” su questo argomento. La sua famosa “Dottrina Gerasimov” è stata a lungo considerata una sorta di apoteosi della comprensione russa dell’evoluzione e della filosofia della guerra moderna.

Sebbene ci siano molte controversie sul contenuto stesso della dottrina, e sebbene non ci sia nulla di particolarmente “rivoluzionario” nel pensiero – si tratta semplicemente di un tentativo di comprendere e distillare la moderna guerra 5GW attraverso la lente dell’uso che ne ha fatto l’America per fomentare crisi come la Primavera araba – esiste comunque la prova che almeno le forze russe sono ora nelle mani capaci di qualcuno che comprende intimamente le complessità e le sfumature del combattere una guerra moderna così complessa.

 

Il punto di vista di Gerasimov sulla guerra futura

La dottrina prevede un rapporto di 4:1 tra azioni non militari e militari. Gerasimov sottolinea “l’importanza del controllo dello spazio informativo e del coordinamento in tempo reale di tutti gli aspetti di una campagna, oltre all’uso di attacchi mirati in profondità nel territorio nemico e alla distruzione di infrastrutture critiche civili e militari”. Propone inoltre di ammantare le unità militari regolari con “il travestimento da forze di peacekeeping o di gestione delle crisi”.[1]

 

È interessante notare che la “Dottrina” è nata in un momento (2013) in cui la Russia si stava preparando ad affrontare i suoi primi scenari di “guerra ibrida” sia in Siria che in Ucraina. E così ha delineato una serie di parametri per massimizzare l’efficacia in questi conflitti asimmetrici e “irregolari”: come sfruttare al meglio le piccole forze con una varietà di azioni clandestine, dal cyberspazio, alle forze politiche, partigiane, indirette/irregolari/paramilitari, alle tecniche asimmetriche, ecc.

Tuttavia, meno noto è il fatto che nel 2019, mentre la crisi ucraina marciava lentamente verso l’inevitabile momento della polveriera, Gerasimov, leggendo a quanto pare le foglie di tè, avrebbe aggiornato una sorta di v2.0 informale della sua “Dottrina”, che ancora una volta ha ribadito l’importanza di prepararsi a un confronto militare più classico e diretto tra eserciti di forza bruta.

In questo nuovo discorso, ha sottolineato la particolare importanza di preparare “armi di precisione” con largo anticipo rispetto al conflitto, osservando che tentare di produrre tali armi solo quando il conflitto è già scoppiato è una strategia fallimentare che non funzionerà mai. Per quanto semplice possa sembrare questo concetto, sembra che la Russia lo abbia preso a cuore e si sia preparata bene, secondo le sue linee guida. La NATO, invece, non ne ha tenuto conto.

Gerasimov è quindi un uomo che sa leggere da che parte soffia il vento, i modelli e le tendenze della guerra moderna e le sfumature della crisi attuale. È giusto, quindi, che la fase culminante sia guidata da lui, un comandante che è diventato sinonimo di sfruttamento di queste tattiche asimmetriche e irregolari per ottenere la vittoria. Possiamo quindi rimanere fiduciosi che la Russia applicherà i metodi più sottili presentati qui, e molti altri, nei prossimi giorni, utilizzando sia la tattica del fronte largo per allungare e stressare le capacità dell’Occidente, sia in teatri selezionati, dove il fronte rimane più fisso, continuando a impiegare il proprio Recon-Fire-Complex e l’RSC a lungo raggio per soffocare e annullare le capacità ISR dell’Occidente.

E non dimentichiamo che il comandante supremo ucraino Zaluzhny idolatra Gerasimov come il più grande leader militare e pensatore dell’era moderna:

Non solo Zaluzhny ha studiato tutto ciò che Gerasimov ha scritto e lo considera al di sopra di tutti gli altri, ma il generale più giovane ritiene che la Russia sia l’epicentro e la fonte di tutta la scienza militare del mondo.

Ora il mondo attende la resa dei conti finale tra “maestro” e “discepolo”.

 

 

Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa, di Simplicius The Thinker_a cura di Roberto Buffagni

Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa

Come le trasformazioni storiche dei conflitti ci guidano verso le incognite moderne.

di

Simplicius The Thinker

28 febbraio

https://simplicius76.substack.com/p/the-changing-face-of-war-future-of

 

Ci sono decenni in cui non accade nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni“. – Vladimir Il’ič Ulyanov

 

Nel corso della vasta storia della guerra, ci sono stati alcuni conflitti che sono serviti come punti di snodo fondamentali per il progresso della scienza militare. La prospettiva scorciata della storia ci seduce con la visione delle guerre come monoliti statici: due parti che si affrontano fino a una data conclusione. Vediamo anni interi, o addirittura decenni, compressi in brevi filmati, sia in forma letterale in video, sia nell’equivalente testuale: libri di storia i cui capitoli ripercorrono anni in pochi gesti scelti e concisi.

 

Ma come si può vedere nell’attuale conflitto ucraino, guardare dal mezzo del vortice offre una prospettiva completamente diversa. I mesi trascorrono, le truppe sembrano strisciare da una posizione stagnante all’altra, con lunghe cesure intermedie di inattività. Allo stesso modo, gli sviluppi operativi sul campo di battaglia si allungano a mesi o addirittura ad anni.

 

Ma la maggior parte delle guerre più importanti e lunghe, in realtà, subisce progressi fondamentali durante il loro corso, tanto che la fine spesso non assomiglia molto all’inizio, come se si trattasse di due conflitti distinti biforcati da un cambiamento epocale, come la svolta di un’epoca.

 

La guerra civile americana, ad esempio, iniziò come un conflitto che per certi versi imitava lo stile di guerra europeo-napoleonico. Grandi processioni di truppe che marciavano in colonne ordinate, sparando con moschetti ad avancarica da file lunghe e regolari.

Ma man mano che la guerra si trascinava, la crudele necessità divenne la parola d’ordine con cui i soldati sperimentavano nuovi modi per rimanere in vita, tattiche più efficienti per uccidere il nemico. Non solo la nascente rivoluzione industriale aveva avuto un grande impatto sulla capacità di manovrare e spostare, per la prima volta nella storia, forze e rifornimenti su rotaie e navi a vapore, ma invenzioni come il telegrafo avevano trasformato la complessità delle comunicazioni di guerra.

 

Ma si trattava di cose che esistevano già, anche se in forma minore. Man mano che il conflitto si protraeva, venivano insistentemente innovati nuovi modi di combattere.

 

Ad esempio, i moschetti lunghi e ingombranti come il modello Springfield 1861 avevano reso necessario stare in piedi durante la ricarica, poiché il processo di ribaltamento del corno della polvere nella canna, per far scendere i pallini, si svolgeva meglio con il moschetto in posizione stabile e verticale.

Questo si articolava naturalmente nella tattica standard di tre file rotanti di uomini: una fila sparava, poi indietreggiava per ricaricare mentre la successiva faceva un passo avanti per sparare. Ricaricare a terra era difficile o quasi impossibile, perché rovesciare la polvere in canna era difficile se il fucile era orizzontale, e l’accesso alle sacche contenenti la polvere, i pallini, l’imbottitura, ecc. era ancora più scomodo.

 

Ma con l’introduzione dei fucili a ripetizione, che videro una maggiore diffusione durante il periodo centrale della guerra, le truppe potevano ora sdraiarsi in copertura e sparare salve di colpi multipli senza dover ricaricare. Questo aprì un paradigma di guerra completamente nuovo, liberandosi dalla rigidità napoleonica che aveva dominato in precedenza.

Le truppe potevano ora essere più mobili, sparare da posizioni accovacciate come i cecchini. Gruppi più piccoli e agili divennero sempre più efficaci. Inoltre, la comparsa delle canne rigate (anziché a canna liscia) migliorò notevolmente la precisione, costringendo entrambe le parti a iniziare a “trincerarsi” e a combattere maggiormente da posizioni coperte per evitare la crescente letalità delle nuove caratteristiche balistiche.

 

Dopo alcuni anni, la guerra, iniziata come un pastiche dell’era napoleonica, si trasformò improvvisamente in una guerra di trincea.

1 Trinceramenti, ultima fase guerra civile americana

Anche la scienza dell’artiglieria aveva fatto passi da gigante durante la guerra. Soldati intraprendenti capirono presto che potevano sparare non solo direttamente contro il nemico, ma anche su terreni nascosti: nacque così il “fuoco indiretto”. A metà della guerra, il tiro d’artiglieria veniva calcolato matematicamente per colpire le truppe al di là della “visuale”.

 

Inoltre, le mongolfiere e i palloni a idrogeno cominciarono a essere utilizzati come moderni “droni”: occhi nel cielo per correggere il tiro d’artiglieria con una serie di bandiere che l’operatore della mongolfiera poteva sventolare per notificare alle forze di terra la correzione di fuoco necessaria.

Lowe fu chiamato per un’altra missione dimostrativa che avrebbe cambiato l’uso effettivo dell’artiglieria da campo. Il 24 settembre 1861, gli fu ordinato di posizionarsi a Fort Corcoran, a sud di Washington, per salire e sorvegliare gli accampamenti confederati a Falls Church, in Virginia, a una distanza più a sud. Una batteria di artiglieria dell’Unione nascosta era posizionata a distanza a Camp Advance. Lowe doveva dare indicazioni con segnali a bandiera all’artiglieria, che avrebbe sparato alla cieca su Falls Church. Ogni segnale avrebbe indicato le regolazioni a sinistra, a destra, lunghe o corte. Contemporaneamente i rapporti venivano telegrafati al quartier generale del forte. Con solo poche correzioni, la batteria si trovò ben presto a sparare colpi esattamente sul bersaglio. Questo fu il precursore dell’uso dell’osservatore avanzato di artiglieria (FO).

Anche la mitragliatrice Gatling fu inventata durante la guerra, rendendola uno dei primi conflitti in assoluto a essere caratterizzato da una “mitragliatrice”. Durante l’assedio di Petersburg, in Virginia, nel 1864, le mitragliatrici Gatling venivano utilizzate per colpire le “trincee” nemiche, in una chiara prefigurazione dei conflitti successivi. Le stesse trincee si estendevano per oltre 30 miglia intorno a Petersburg e Richmond, cambiando completamente il carattere della guerra, tanto che un osservatore inconsapevole non l’avrebbe nemmeno scambiata per la stessa guerra.

Inutile dire che la fine della guerra non assomigliava quasi più all’inizio, e che anzi lasciava presagire le tattiche dei prossimi scontri del XX secolo.

 

Anche le precedenti guerre di Crimea e la successiva guerra franco-prussiana furono note per i loro importanti progressi che cambiarono il volto del conflitto. Anche se nel caso di quest’ultima guerra, essa non è durata abbastanza a lungo per sperimentare un vero e proprio cambiamento epocale.

 

Per questo, dobbiamo rivolgerci alla Prima guerra mondiale, un conflitto che notoriamente ha visto interi avanzamenti generazionali in quasi tutte le categorie di guerra – anche se, è vero, alcune di esse sono regredite all’indietro. L’avvento del volo aveva appena dato vita all’età d’argento dell’aviazione. Ma i primi aerei erano accrocchi rozzi e primitivi le cui rispettive nazioni, nelle prime fasi del 1914, sapevano a malapena come utilizzare questo strumento imprevisto.

 

I primi aerei, infatti, venivano utilizzati per scopi di ricognizione e per correggere il tiro d’artiglieria, proprio come fanno oggi i droni e i palloni aerostatici dell’epoca della Guerra Civile. Anche gli aerei si alzavano in volo per osservare i colpi di artiglieria e poi scendevano per segnalare la correzione necessaria.

 

Alla fine questi osservatori volanti cominciarono a entrare in contatto con quelli della parte avversaria. Gli aerei non erano ancora armati e gli uomini non avevano modo di nuocere l’uno all’altro, il che, ironia della sorte, fece sì che i primi scontri aerei si trasformassero in fraternizzazioni amichevoli. I piloti avversari si vedevano come parte di una fratellanza distinta, a volte salutandosi o aiutandosi a vicenda.

 

Non sorprende, tuttavia, che ben presto sia nata la necessità di difendersi. Le prime battaglie aeree videro gli aviatori sollevare primitivamente da terra mattoni, catene, dardi e altri materiali che avevano infilato nelle loro cabine di pilotaggio. Ben presto, i piloti cominciarono a dotarsi di pistole d’ordinanza e a spararsi addosso con revolver e pistole Colt 1911, attorno alle quali si svilupparono rapidamente alcuni progressi, come una gabbia per raccogliere i bossoli e impedire che si depositassero sul pavimento della cabina di pilotaggio.

Pistola statunitense M1911 calibro 45 con caricatore esteso e gabbia di cattura in ottone. Nei primi tempi della Prima Guerra Mondiale, quando gli aerei non avevano le mitragliatrici, i piloti nemici si sparavano addosso con le pistole. La gabbia evitava che i bossoli esauriti venissero espulsi sul pavimento della cabina di pilotaggio e interferissero con i comandi a pedale.

Un pilota russo di nome Pyotr Nesterov fu addirittura il pioniere della tecnica dello “speronamento aereo” nel 1914. Anche se sfortunatamente uccise sia lui che il nemico, la tecnica fu in seguito perfezionata e ampiamente utilizzata.

 In questa fase iniziale gli aerei erano ancora disarmati e Nesterov divenne il primo pilota a distruggere un aereo nemico in volo. Durante la Battaglia di Galizia del 25 agosto 1914 (secondo il calendario Vecchio Stile ancora in uso in Russia), dopo aver provato vari metodi in occasioni precedenti senza successo, utilizzò il suo Morane-Saulnier Type G (s/n 281) per speronare l’aereo da ricognizione austriaco Albatros B.II dell’osservatore Barone Friedrich von Rosenthal e del pilota Franz Malina dell’FLIK 11.[4] Desideroso di distruggere l’aereo nemico, probabilmente intendeva colpirlo di striscio, ma danneggiò il proprio velivolo tanto quanto quello nemico ed entrambi gli aerei precipitarono. Come era consuetudine all’epoca, Nesterov non era legato e cadde dall’aereo, morendo per le ferite riportate il giorno successivo.[5] Morirono anche il pilota e l’osservatore austriaco. La città di Zhovkva (attualmente nell’Oblast’ di Leopoli, Ucraina), situata nei pressi della battaglia, è stata ribattezzata Nesterov in suo onore nel 1951. Il suo metodo di speronamento fu utilizzato durante la Seconda guerra mondiale da diversi piloti sovietici con successo e senza perdite di vite umane. La tecnica divenne nota come taran.

Alla fine, i pianificatori riuscirono a capire l’utilità di utilizzare gli aerei più grandi e robusti che venivano sviluppati per bombardare gli obiettivi. Così, all’inizio, i piloti cominciarono a lanciare bombe in modo rozzo dall’abitacolo, nell’improbabile speranza di colpire i bersagli senza alcun tipo di strumento o ausilio visivo.

 

Nel corso della guerra, si svilupparono sistemi più precisi, su velivoli da bombardamento molto più grandi e dedicati. Il russo Igor Sikorsky è accreditato per aver creato il primo aereo quadrimotore e l’Ilya Muromets fu il primo vero “bombardiere” della storia. Si dimostrò un successo nel devastare le postazioni e le infrastrutture nemiche e i Paesi si affrettarono ad armare i propri “caccia” con cannoni più capaci di abbattere i bombardieri più grandi che venivano ora messi in campo.

Ciò significava che gli aerei da combattimento erano ora armati con potenti mitragliatrici come le Hotchkiss, dando inizio a una nuova era in cui i piloti non si lanciavano più mattoni e pistole a salve, ma sparavano grossi e precisi calibri in grado di squarciare le fusoliere a pelle morbida degli aerei.

 

L’inventore russo Gleb Kotelnikov sperimentò anche il paracadute a zaino, in questo periodo, e le battaglie aeree videro ora la presenza regolare di piloti che si lanciavano con il paracadute da aerei, palloni e zeppelin danneggiati, il che richiese la riscrittura al volo dei codici di condotta bellica, dato che sparare sui combattenti che si lanciavano con il paracadute fu presto considerato disonorevole e poco cavalleresco.

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Prima della seconda guerra mondiale, ma è interessante notare come i paracadutisti sovietici si lanciassero dai loro aerei prima che venissero formatii moderni corpi aviotrasportati della seconda guerra mondiale.

 

La Seconda Guerra Mondiale iniziò in modo simile, nel senso che le prime iterazioni delle forze armate furono equivalenti a una sorta di brancolamento nel buio, mentre i paesi lottavano per fondare nuove dottrine, scoprire le tattiche, le combinazioni e gli usi più efficaci dell’epoca appena nata dei mezzi corazzati.

 

Come Big Serge illustra molto opportunamente in questo articolo: “Poche parole hanno elettrizzato il lessico militare come Blitzkrieg. La parola ha assunto nel tempo una forma paradossale: significa così tante cose diverse che sembra quasi che non significhi nulla, eppure è universalmente riconosciuta e gode di un forte prestigio. Certo, non è immediatamente evidente cosa si intenda per Blitzkrieg. È un termine operativo, che si riferisce alla penetrazione e all’accerchiamento di grandi formazioni nemiche? O è piuttosto una designazione tattica legata all’uso combinato di armi aeree e corazzate? O forse non si tratta di nessuna delle due cose: in alcuni casi, Blitzkrieg (che significa semplicemente guerra lampo) è semplicemente usato per indicare una vittoria molto rapida.” https://bigserge.substack.com/p/german-rebirth-blitzkrieg?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Non solo i tedeschi stavano seriamente cercando di capire le tattiche dei carri armati, ma i primi giorni della Seconda Guerra Mondiale non assomigliano affatto ai penultimi. Come spiega Serge, la prima incursione della Germania in Francia fu caratterizzata da un monopolio di piccoli Panzer I e II, ben lontani dagli imponenti, terrificanti e rivoluzionari Panther e Tiger dell’epoca successiva.

 

La Seconda Guerra Mondiale ha visto una ricchezza senza precedenti di salti generazionali, sui quali si potrebbero scrivere interi volumi, che in effetti sono stati scritti. Ma i punti salienti includono gli aerei che passarono dalle eliche all’avvento dell’era dei jet entro la fine della guerra. I sistemi di allerta precoce per individuare grandi flotte di velivoli e i bombardamenti erano all’inizio molto rudimentali. Giganteschi localizzatori acustici come questi erano in uso in tutti i Paesi:

Sebbene all’inizio della guerra la Gran Bretagna, la Germania e l’URSS disponessero di sistemi “radar” di prima generazione, questi erano rozzi e non avevano la potenza di trasmissione necessaria per raggiungere le frequenze a microonde richieste per un rilevamento dettagliato. Ma con il protrarsi della guerra, vennero introdotte nuove generazioni di radar molto più potenti. Nel 1942, l’URSS aveva messo in campo il suo primo radar di allarme aereo, che cambiò il calcolo del rilevamento degli aerei.

 

Secondo alcune stime, la composizione delle forze della Wehrmacht tedesca all’inizio della guerra era meccanizzata solo per il 20% circa, mentre il resto utilizzava ancora carri trainati da cavalli per far avanzare l’esercito su terreni insidiosi.

 

Ma lentamente il carattere della guerra si modificò, con l’introduzione nel 1944 di elementi come il razzo V-2 – essenzialmente un moderno missile balistico – e delle bombe volanti V-1.

 

Alla fine della guerra, il conflitto non assomigliava più nemmeno lontanamente a quello dell’inizio. Nuovi carri armati e distruttori di carri armati massicciamente corazzati e potenti si aggiravano sui campi di battaglia, aerei con sistemi radar e caccia a reazione solcavano i cieli mentre missili a lungo raggio relativamente precisi colpivano obiettivi a centinaia di chilometri di distanza.

 

Non solo il mondo aveva voltato pagina verso l’era della missilistica durante il lungo corso della guerra, ma ancora più significativamente verso l’era atomica con gli ignominiosi attacchi atomici degli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. Verso la fine del conflitto, anche le glide-bombs e le TV-guided bombs cominciarono a essere ampiamente utilizzate.

https://youtu.be/Ur-G97BVtX0

 

Era passata un’intera epoca. Mentre l’inizio della Seconda Guerra Mondiale assomigliava per certi versi alla Prima Guerra Mondiale e ad altri conflitti precedenti, la parte finale della guerra guardava ai conflitti a venire, come la Guerra di Corea, e per molti versi aveva iniziato ad assomigliare alla guerra moderna per l’ampiezza delle telecomunicazioni, la portata esponenzialmente più lunga, la maggiore precisione e la potenza di ogni tipo di sistema d’arma.

 

Il presente

Oggi in Ucraina stiamo assistendo a quello che probabilmente diventerà un altro cambiamento epocale, un passaggio d’epoca. All’inizio del conflitto si è assistito a un utilizzo maldestro delle tecnologie dei droni di prima generazione, come i modelli di base DJI Phantom, modelli per famiglie. In breve tempo si è passati ai DJI Mavic, più piccoli e versatili, e ad altri tipi di otto ed esacotteri più grandi e potenti, agli ibridi ad ala fissa-VTOL e ora ai droni da corsa FPV con occhialini VR.

 

I droni hanno iniziato a essere modificati con batterie, ricevitori/trasmettitori ed eliche speciali per aumentarne la resistenza, la portata e il potenziale di uccisione. Anche l’equipaggiamento con telecamere termiche (IR) divenne onnipresente, conferendo ai droni la capacità di un ISR quasi totale.

 

Tuttavia, la goffaggine dei primi stadi di questa evoluzione diventa evidente alla luce delle possibilità future, ma ha rivelato indizi dell’imminente tempesta di progressi che serviranno come punto di “biforcazione” dal quale il conflitto non tornerà più indietro.

 

Soprattutto perché la “asimmetricità” rimane l’unico mezzo con cui l’Ucraina può imporre una qualche pressione sul campo di battaglia alla Russia, loro e i loro controllori negli Stati Uniti sono stati impegnati ad accelerare il cambiamento sia sperimentalmente che concettualmente in termini di come potrebbe essere il futuro del conflitto. A seconda di quanto si trascinerà questo conflitto, e ci sono buone probabilità che sia molto lungo (il colonnello MacGregor ha recentemente condiviso la presunta informazione privilegiata secondo cui i pianificatori russi si aspettano ora una guerra di 30 mesi), potremmo iniziare a vedere cose inaugurate nello scenario di battaglia che pochi di noi hanno immaginato.

Anche da parte russa molti leader intellettuali hanno lanciato appelli per un riorientamento verso i sistemi futuri. Dmitry Rogozin, che in passato è stato a capo di Roscosmos (la “NASA” russa) e dell’industria della difesa russa, ha recentemente pubblicato un appello alle armi. Nel suo primo paragrafo, fa eco ai nostri sentimenti recenti, denunciando l’uso dell’aviazione da combattimento nel moderno campo di battaglia ricco di ISR, che ha, in sostanza, reso obsoleti i gloriosi “martelli d’assalto” degli anni ’80.

“La battaglia con la NATO e il suo fantoccio, la pesantemente armata Ucraina, ha dimostrato che la guerra moderna è una guerra di mezzi robotici che garantiscono l’efficacia dell’artiglieria e della fanteria d’assalto. È una guerra di avatar, di robot da combattimento, in cui l’esito della battaglia non è deciso da un gigante di due metri che spiana con una formidabile mitragliatrice, ma da un “uomo occhialuto e intelligente” che crea un UAV da ricognizione e attacco con un collegamento radio protetto, un complesso per superare i disturbi della guerra elettronica nemica e localizzare il suo UAV in base ai dati video, nonché un altro “uomo occhialuto e intelligente” in grado di disporre abilmente di questi mezzi della guerra moderna, di stabilire la posizione del nemico e di fornire in un paio di minuti alla nostra parte le coordinate esatte del nemico. “

E poi chiede apertamente che la totalità delle capacità dell’aviazione e della flotta russa sia autonoma e senza equipaggio.

Allo stesso modo, è giunto il momento di comprendere finalmente che sia l’aviazione che la flotta dovrebbero essere prevalentemente senza equipaggio e avere una maggiore furtività nei confronti del nemico e autonomia di applicazione. I droni aerei e marittimi sostituiranno inevitabilmente l’aviazione da combattimento e la flotta tradizionale. E tutti gli altri partecipanti al conflitto armato dovrebbero procedere dal fatto che tutta l’azione sarà fissata per mezzo di mezzi ottico-elettronici, radio-tecnici e altri tipi di ricognizione nemica – spaziale e senza equipaggio/aria, e il mezzo più importante per la loro sopravvivenza sul campo di battaglia è il mantenimento di una comunicazione “indistruttibile” tra le unità e l’efficienza del processo decisionale.

Va notato che sia il nuovo Su-57 che i carri armati T-14 Armata sono stati progettati con capacità di utilizzo senza equipaggio. Le versioni future dovevano poter essere pilotate a distanza e anche il più recente drone russo S-70 Okhotnik è destinato ad avere una modalità autonoma di “gregario” per assistere le missioni del Su-57.

 

Proprio il mese scorso, Rogozin ha aperto la strada all’ingresso nel conflitto degli UGV (Unmanned Ground Vehicles) russi “Marker”. Il veicolo robotico è disponibile in numerose varianti che gli permettono di svolgere ruoli di tank-killer (con ATGM), anti-fanteria, anti-aria, o un combat-mule che trasporta munizioni, rifornimenti o soldati feriti. La Russia aveva già testato l’Uran-9 pesantemente armato in Siria e aveva raccolto molte informazioni utili per lo sviluppo, ma la tecnologia non era ancora maturata abbastanza per un uso regolare.

 

È difficile stabilire quanto di tutto ciò sia vero, ma Rogozin ha già affermato che il robot Marker ha un catalogo di obiettivi di carri armati nemici (come Abrams, Leopard, ecc.) salvato nel suo database e può autonomamente distinguerli e ingaggiarli.

“Non appena inizieranno le consegne di carri armati Abrams e Leopard alle truppe ucraine, il Marker riceverà un’immagine elettronica appropriata e sarà in grado di rilevare e colpire automaticamente i carri armati americani e tedeschi con ATGM”.

Al momento il limite principale di queste piattaforme sembra essere la portata del controllo/segnale. Gli UAV godono del lusso di un cielo aperto, quindi il segnale di solito non ha ostacoli. Ma gli UGV devono di solito avere una linea di vista diretta (o quasi) con il controllore, il che rende il loro raggio d’azione molto limitato – e questo è stato il principale difetto dell’Uran-9 in Siria; i rapporti affermano che la Russia ha lottato con la caduta del segnale anche a distanze relativamente brevi o medie, come 300-400 metri. In ambienti urbani, dove questi veicoli si rivelerebbero particolarmente essenziali, la situazione peggiora ulteriormente a causa della grande quantità di ostacoli che attenuano il segnale.

 

Una soluzione potrebbe essere rappresentata da droni aerei che fungono da “ripetitori” del segnale. Questa soluzione è già stata utilizzata nell’attuale SMO da entrambe le parti. Gli UAV trasportano in cielo un ripetitore di segnale che consente all’unità militare di comunicare con il quartier generale del battaglione se le radio da combattimento sono fuori portata.

 

Per quanto riguarda il futuro più immediato, il popolare canale Telegram russo “Starshe Edda” ritiene che, se la guerra continuerà, entro il prossimo autunno assisteremo a una “guerra completamente diversa”, in cui le armi sperimentali ora in fase di sperimentazione e prototipazione entreranno in produzione di massa da entrambe le parti.

Se l’SVO non si concluderà improvvisamente con negoziati e una tregua, in autunno assisteremo a una guerra completamente diversa. Questi tipi di armi, prima di tutto, sono ovviamente sistemi senza pilota (sia aerei che terrestri). Ciò che è attualmente disponibile sotto forma di campioni e prototipi sarà trasferito alla categoria dei prodotti di massa.

 

Ci saranno molti sistemi robotizzati e senza pilota, così come munizioni di alta precisione, ma a mio avviso non ci sarà una sola cosa, cioè le tattiche del loro utilizzo stabilite in un sistema coerente. Per ora, si tratta ancora di passi provvisori nella guerra di un nuovo ordine tecnologico, qualcosa come i fucili ad ago Dreise o Mitrailleuse. Non ancora un fucile a retrocarica con una cartuccia unitaria del solito modello e non una mitragliatrice, ma non più un fucile a miccia e non un fucile a pallettoni. In tutto questo, si svilupperanno tattiche, si aggiungeranno regole di combattimento, alcuni campioni e rami di sviluppo saranno riconosciuti come vicoli ciechi, altri, al contrario, si svilupperanno e raggiungeranno la perfezione nell’uccidere una persona.

Esso giudica con precisione il periodo attuale come quello che ho definito la fase di sviluppo “a tentoni nel buio”. È l’inquietante momento della dentizione del neonato che si sta lentamente affermando; l’equivalente della prima guerra mondiale dei piloti che si lanciano mattoni e catene di biciclette l’un l’altro, non comprendendo ancora il pieno potenziale di ciò che hanno. In questi momenti, le direzioni rimangono ancora incerte fino a quando qualcosa non prende piede, si rapprende in dottrine intelligibili, modi di operare e regole di condotta che generano l’uso più efficace di ogni nuovo sistema.

 

Intelligenza artificiale

Per ora, la direzione di sviluppo più ovvia rimane quella di droni FPV più veloci, più precisamente controllabili e più economici, che possono essere usati per abbattere sia i blindati che il personale. La loro velocità e le loro dimensioni li rendono praticamente invisibili al rilevamento radar, o almeno estremamente poco pratici da agganciare e abbattere. Inoltre, la loro manovrabilità permette loro di aggirare i sistemi d’armamento anti-drone dell’EW, che si basano sui tempi di reazione dell’operatore per individuare e seguire il drone con i suoi mirini per un tempo sufficiente a interrompere il suo collegamento di comunicazione.

 

Sebbene entrambe le parti li utilizzino già con crescente regolarità, per necessità l’AFU sembra spingere maggiormente in questa direzione, come si vede in questi recenti video.

 

Ma a parte questo, l’intelligenza artificiale è la tecnologia più in ascesa che presto trasformerà il volto di tutti i conflitti, compreso questo, se dovesse durare abbastanza a lungo. I sistemi di intelligenza artificiale in grado di negoziare in modo “intelligente” il terreno e di trovare, identificare e persino ingaggiare bersagli da soli sono già in fase di prototipazione in tutto il mondo e molto probabilmente faranno presto il loro ingresso nel conflitto in corso.

 

Questo drone israeliano di Elbit Systems, ad esempio, è in grado di muoversi autonomamente negli ambienti interni e di utilizzare il riconoscimento facciale per individuare e ingaggiare da solo i combattenti nemici.

https://youtu.be/rcFyZDRmUiA

Per coloro che potrebbero essere contrariati, questa tecnologia non è rivoluzionaria. Le app dei social media e gli iPhone utilizzano già da tempo algoritmi di riconoscimento facciale per individuare i volti nelle foto. Anche le fotocamere di consumo, da diversi anni, dispongono di funzioni di autofocus per il riconoscimento facciale, che consentono di “mettere a fuoco” automaticamente l’obiettivo su una persona anche se questa si muove avanti e indietro. Diamine, anche i nuovi sistemi di sicurezza a basso costo, come questo di ADT, sono ora dotati di riconoscimento facciale che salva i volti dei vostri amici e familiari e vi avvisa quando si avvicinano alla vostra casa e, viceversa, può avvisarvi se si tratta di un “estraneo”.

 

Esistono anche sfruttamenti più sinistri di questa tecnologia:

Applicato a un drone, unito alla tecnologia di rilevamento ambientale di oggetti come la “modalità di guida autonoma” di Tesla, porta direttamente a progressi come il sistema israeliano di cui sopra. Tuttavia, il vero punto di forza è rappresentato dagli algoritmi molto più avanzati utilizzati per distinguere le minacce da quelle che non lo sono, come ad esempio il rilevamento di determinate “posture” corporee, armi in mano, differenze nelle uniformi, ecc.

 

I missili da crociera dispongono già da tempo di capacità di base di intelligenza artificiale di questo tipo, utilizzate per confrontare i bersagli a terra con i dati memorizzati da satellite/immagini. Ecco una descrizione della fase terminale del missile francese “Storm Shadow / Scalp”, in cui si arrampica sul bersaglio:

La salita in quota ha lo scopo di ottenere le migliori probabilità di identificazione e penetrazione del bersaglio. Durante il bunt, l’ogiva viene sganciata per consentire a una telecamera termografica ad alta risoluzione (homing a infrarossi) di osservare l’area del bersaglio. Il missile cerca quindi di localizzare il bersaglio sulla base delle informazioni di puntamento (DSMAC). Se non ci riesce, e c’è un alto rischio di danni collaterali, è in grado di volare verso un punto di impatto invece di rischiare l’imprecisione.

Google è stata pioniera di questo lavoro sotto la bandiera del controverso “Progetto Maven”, che ha suscitato un quasi-ammutinamento dei dipendenti, debitamente preoccupati, per le macabre implicazioni militari che tali tecnologie comportavano.

Proprio la scorsa settimana, questo nuovo reportage ha mostrato come Eric Schmidt, ex-CEO e presidente esecutivo di Google e Alphabet Inc. abbia lavorato fianco a fianco con il governo degli Stati Uniti per accelerare e semplificare le acquisizioni e lo sviluppo di tecnologie AI. In effetti, ha lasciato Google per fare di questo la sua nuova carriera e il suo impegno a tempo pieno. Sembra che sia molto determinato a sconfiggere la Cina nella guerra dell’IA e si sforza di sottolineare che l’IA è la tecnologia che determinerà il vincitore del futuro.

“Immaginiamo di voler costruire un sistema migliore per combattere la guerra”, dice Schmidt, delineando ciò che equivarrebbe a un’enorme revisione del dispositivo militare più potente del pianeta. “Creeremmo semplicemente un’azienda tecnologica”.

In breve, egli ritiene che i processi di approvvigionamento del governo siano troppo ponderosi per competere nell’era dell’accelerazione della singolarità, quindi il suo obiettivo “lungimirante” è quello di utilizzare l’architettura di un’azienda tecnologica della Silicon Valley come base per il modo in cui il governo dovrebbe ricercare e acquisire queste nuove tecnologie.

Una nuova arma

Il problema tecnologico del Pentagono è più pressante, secondo Schmidt, quando si tratta di IA. “Ogni tanto arriva una nuova arma, una nuova tecnologia che cambia le cose”, afferma. “Einstein scrisse una lettera a Roosevelt negli anni ’30 in cui diceva che c’era una nuova tecnologia – le armi nucleari – che avrebbe potuto cambiare la guerra, e così è stato. Io sostengo che l’autonomia e i sistemi decentralizzati e distribuiti [alimentati dall’IA] sono altrettanto potenti”.

Esiste una moltitudine di modi in cui l’intelligenza artificiale rivoluzionerà molto presto la guerra. Molti di questi sono già in fase iniziale, altri hanno fatto passi da gigante. Chi ha letto il mio articolo sull’ISR conosce la crescente importanza e il dominio di questo campo; ma ora immaginate che al posto degli analisti umani che scrutano faticosamente infiniti gigabyte di dati satellitari per localizzare le posizioni delle truppe russe, ci sia un instancabile, e molto più veloce ed efficiente, algoritmo di intelligenza artificiale che scansiona ed elabora in pochi secondi migliaia di ettari di dati sul terreno, individuando ogni singolo oggetto di interesse che può essere bersagliato, ordinandolo e raggruppandolo in appositi cestini, e persino – alla fine – instradando autonomamente i dati verso l’esatta e appropriata unità di fuoco settoriale che l’intelligenza artificiale giudica più capace, pronta, equipaggiata, ecc. , per gestire il compito.

 

Le iniziative sono già state esplorate; questo articolo descrive un programma chiamato SMART (Space-based Machine Automated Recognition Technique) che fa proprio questo. Inizialmente incentrato su compiti più banali, come l’addestramento di reti neurali per individuare progetti di costruzione in tutto il mondo da immagini satellitari, nel paragrafo finale si ammette che il vero obiettivo è quello di “trasferire questa tecnologia al settore dell’intelligence per l’uso nel mondo reale” – sapete cosa significa.

 

Tuttavia, non mi sorprenderebbe se le agenzie di intelligence stessero già utilizzando una qualche iterazione di questa tecnologia, dato che di solito ciò che le agenzie più importanti hanno è di diverse generazioni/decenni avanti rispetto a ciò che le startup civili stanno ricercando. Sono certo che in Ucraina utilizzano versioni incipienti di questo software di intelligenza artificiale addestrato a setacciare le foto satellitari alla ricerca di posizioni russe.

Allo stesso modo, per molti altri sistemi, come ad esempio i radar, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più dominante, poiché i sistemi radar si affidano ad algoritmi avanzati per ingrandire il segnale del bersaglio eliminando il disordine, sapendo quale rumore/disordine può essere scartato in base a una serie di criteri. Si potrebbe pensare che il radar sia abbastanza semplice: si punta il fascio di luce nel cielo vuoto e qualsiasi segnale puro venga restituito è il bersaglio.

 

Ma c’è un problema: nell’ambiente odierno in cui domina l’ISR, quasi tutte le risorse di rilievo volano a bassa quota, “sotto il radar” per evitarlo: dagli aerei da combattimento ai droni, fino ai missili da crociera che ora sono programmati esclusivamente per “abbracciare il terreno” tramite la mappatura del terreno.

 

Per questo motivo, l’importanza dei radar “Look Down” diventa rapidamente suprema. Si tratta di radar montati su apparecchi come gli AWAC, in grado di scansionare non solo il cielo, ma anche il terreno, e di distinguere un oggetto in movimento rispetto alla grande confusione di altri oggetti a terra, come auto in movimento, persone, alberi ondeggianti, ecc. Affinché un sistema computazionale possa distinguere un elicottero che si muove a una velocità approssimativa di un’auto a 50 piedi dal suolo, da altre auto che viaggiano direttamente sotto di lui, è necessario disporre di enormi quantità di potenza computazionale parallela che alimenta algoritmi avanzati di intelligenza artificiale in grado di distinguere in modo molto “intelligente” questi dati. È così che tali sistemi radar possono anche rilevare oggetti a terra come carri armati e formazioni mobili in movimento.

 

L’ultima frontiera

Ma l’ultima frontiera della capacità dell’intelligenza artificiale non sarà costituita da semplici algoritmi per il rilevamento “intelligente” degli oggetti, bensì dalla piena autonomia, che si concretizzerà in risorse integrate in rete in grado di comunicare tra loro e di risolvere compiti comuni. In parole povere, questo descrive la prossima era degli “sciami di droni”, che è di gran lunga l’area di sviluppo più critica. E qui la Cina sembra essere all’avanguardia.

 

Un filmato pubblicato di recente mostra uno sciame di droni autonomi cinesi che navigano in una foresta di bambù senza l’uso del GPS.

 

Molti hanno visto il video di cui sopra, ma non il grafico di accompagnamento che mostra come i droni siano stati in grado di seguire insieme un obiettivo umano, proprio attraverso questa foresta:

Ora immaginate di liberare decine, o centinaia, o migliaia di questi droni – armati con 4-6 kg di esplosivo, come un tipico drone FPV oggi trasporta normalmente – per setacciare autonomamente il paesaggio brullo, fumoso e pieno di trincee dei vasti campi agricoli dell’Ucraina e dare la caccia ai soldati che si rintanano senza speranza in quelle stesse fortificazioni.

 

Così:

Gli Stati Uniti hanno recentemente lanciato un altro grido d’allarme, sostenendo che sia la Russia che la Cina stanno investendo pesantemente in questo campo.

Infatti, il mese scorso è giunta la notizia che la PMC russa Wagner sta lavorando segretamente con aziende cinesi per sviluppare la tecnologia degli sciami di droni da utilizzare contro l’AFU. Forse a prima vista è improbabile, ma ci sono tutte le ragioni per credere che sia vero. Non solo l’Ucraina rappresenta per la Cina l’ultima piattaforma di test sul campo di battaglia reale per affinare le proprie tecnologie segrete in preparazione dell’inevitabile escalation di Taiwan, ma la cosa è stata anche confermata direttamente da un mercenario australiano che ha combattuto a Bakhmut il mese scorso.

 

In questo video, il mercenario australiano che ha combattuto contro Wagner afferma apertamente che speciali “squadre cinesi di DJI stanno aiutando Wagner dietro la linea”.

 

Chi controlla i chip controlla il futuro

Abbiamo stabilito che chi ha la maggiore potenza di calcolo avrà i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati, con la massima capacità di sfornare istruzioni/operazioni pure. Ciò significa che coloro che possiedono i chip migliori, ossia le industrie e le capacità dei semiconduttori, saranno i re delle prossime guerre dell’IA.

Il CEO di Intel a Davos ha dichiarato che: “Le catene di fornitura dei chip plasmeranno la geopolitica più del petrolio nei prossimi 50 anni”.

Gli Stati Uniti e la Cina, ovviamente, sono tra le nazioni leader in questo senso, mentre la Russia mostra qui una delle sue debolezze più evidenti. Tuttavia, non tutto è perduto. Gli Stati Uniti hanno la base tecnologica, ma si affidano pesantemente ai visti H1B di molti altri Paesi come India, Cina, Russia, ecc. (quanti, ad esempio, sanno che la linea Pentium di Intel prende il nome dal suo capo progettista russo, Vladimir Pentkovski)?

 

Questo è un grande punto debole per gli Stati Uniti perché, man mano che il mondo continua a de-dollarizzarsi e il valore della moneta fiat e dello stile di vita americano continua a crollare rispetto ai paesi d’origine in ascesa da cui provengono questi emigranti, diventerà sempre meno attraente venire a lavorare negli Stati Uniti e, in alternativa, più competitivo rimanere a casa. Questo porterà a un grave degrado dell'”innovazione” americana in questi settori.

 

E per quanto riguarda il capitale umano effettivo per la programmazione e la progettazione di questi futuri sistemi di intelligenza artificiale, si può dire che la Russia non ha eguali al mondo. E le sue nuove generazioni brillano sempre di più. Basta dare un’occhiata ai risultati dei rinomati campionati “International Collegiate Programming”:

Certo, gli Stati Uniti hanno finalmente strappato una singola vittoria nell’evento più recente. Ma gli ultimi due decenni sono stati dominati dalla Russia.

 

Le istituzioni con il maggior numero di vittorie:

E se si vuole vedere quanto gli Stati Uniti siano caduti in basso per quanto riguarda il loro capitale umano intellettuale e il loro sistema educativo, basta guardare ai decenni precedenti dello stesso concorso:

Gli Stati Uniti non erano da meno, prima che le disastrose politiche neoliberiste condannassero il tessuto stesso della società.

 

Si potrebbe sostenere che il futuro appartiene a chi ha la tecnologia, ma la tecnologia apparterrà a chi ha il capitale umano per sognarla e innovarla.

 

Ricordiamo che una delle uniche ragioni della presunta “arretratezza” della Russia rispetto all’Occidente in materia di progresso tecnologico è dovuta all’enorme e ingiusto handicap che le è stato artificialmente imposto: la Russia si è vista tarpare le ali in ogni occasione. Attraverso sanzioni schiaccianti. Ostacoli e sabotaggi imposti per decenni. Quando si trattava di industrie critiche, l’Occidente aveva sempre egoisticamente “accaparrato” la tecnologia tra di loro per lo sviluppo iterativo.

 

Per esempio, il motivo per cui la Corea del Sud e il Giappone sono così potenti nel campo dei semiconduttori è che gli Stati Uniti hanno investito e sovvenzionato pesantemente le loro industrie nel secondo dopoguerra, al fine di creare una sorta di mercato di manodopera a basso costo da cui la nascente classe media americana potesse rifornirsi.

 

Alla Russia, purtroppo, non è mai stato concesso un simile lusso, ma piuttosto il contrario:

E come ho detto in questo articolo, così come l’Occidente finge la dipendenza della Russia dai suoi chip, in realtà nasconde la propria vera dipendenza dalla Russia e dalla Cina per le risorse con cui produrre quei chip. Vedete, l’Occidente ha il know-how tecnologico (importato da H1B), ma non le materie prime. Questo articolo di un think tank statunitense lo definisce una minaccia alla sicurezza nazionale di massima priorità.

È per questo che siti importanti come TomsHardware hanno pubblicato titoli come questo l’anno scorso:

Nell’articolo si dice chiaramente:

La fonte condivide alcuni numeri preoccupanti, che evidenziano la dipendenza dell’industria statunitense dei chip dai materiali provenienti dalla Russia/Ucraina. Ad esempio, il gruppo di ricerca di mercato Techcet afferma che il 90% delle forniture di neon per semiconduttori negli Stati Uniti proviene dall’Ucraina, mentre il 35% del palladio statunitense proviene dalla Russia. Inoltre, anche altri materiali vitali come il C4F6, l’elio e lo scandio provengono dalla regione del potenziale punto di infiammabilità.

In breve, la Russia ha altrettanti punti di pressione sull’industria americana dei semiconduttori, ed entrambe stanno investendo molto per cercare di cambiare la situazione: gli Stati Uniti per espandere e diversificare le loro catene di fornitura (molto più difficile di quanto sembri, per ragioni che esulano da questo ambito) e la Russia per sviluppare le sue capacità di produzione di chip.

 

Shock futuro

Il volto del conflitto ucraino si sta già evolvendo rapidamente. Oggi vediamo regolarmente droni che duellano nei cieli sopra il paesaggio in rovina, cosa che sarebbe stata difficile da immaginare fino a pochi anni fa.

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Come evidenziato nel mio precedente articolo, le forze russe stanno già iniziando a utilizzare una serie di sistemi EW automatizzati “a guardia delle trincee” come l’Harpoon-3 e lo Stoizh, che disabilitano i droni anche mentre i soldati dormono nelle loro trincee. Anche i robot “Marker” russi daranno presto la caccia a Leopard e Abrams in natura, come immaginato da Rogozin?

Quel che è certo è che, se il conflitto continuerà per diversi anni, potrebbe essere quasi irriconoscibile se visto attraverso la lente di questi inizi primitivamente umili e comprensibili. Da diversi anni ormai, la Russia mostra come le truppe possano lavorare insieme a UGV o sistemi autonomi non guidati, e con la crescente intrattabilità del problema delle operazioni in trincea dell’Ucraina, è ipotizzabile che la Russia possa iniziare a lanciare sistemi non guidati per fornire supporto di fuoco nelle sempre difficili operazioni di sgombero delle trincee.

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Entrambe le parti stanno cercando di fare passi avanti nei sistemi di gestione del campo di battaglia, costruiti per organizzare la distribuzione delle enormi quantità di dati provenienti dai sensori. I “partner” occidentali hanno aiutato l’Ucraina a sviluppare tali sistemi, come il “Delta”, che si dice abbia alcune capacità di base di intelligenza artificiale nel fornire “raccomandazioni sui bersagli”.

Il video di cui sopra sostiene addirittura che il veicolo Autonomous Combat Warrior (ACW) di Rheinmetall sarà inviato all’Ucraina. Sebbene non sia stato in grado di verificarlo, è stato riferito che la Germania intende fornire all’Ucraina il Boxer RCH 155, un’incredibile piattaforma di artiglieria semovente autonoma che deve essere vista per essere creduta.

 

Man mano che la carenza di truppe dell’Ucraina diventa sempre più grave, i finanziatori occidentali spingeranno verso una sempre maggiore autonomia dell’AFU per colmare il deficit. Questi sistemi non presidiati saranno controllati, ovviamente, da ufficiali occidentali sufficientemente lontani dal campo di battaglia per ridurre i rischi per se stessi. Questo viene già fatto con la guerra dei droni UAV, ma potrebbe presto estendersi anche ai sistemi terrestri.

 

Allo stesso modo, mentre la Russia continua a distruggere il potenziale offensivo dell’Ucraina (che è già sostanzialmente esaurito), l’Ucraina sarà costretta a combattere in una strategia sempre più orientata alla difesa e allo stallo, che richiederà un ulteriore arroccamento nel tipo di guerra intrattabile ora prevalente.

 

Questo potrebbe spingere la Russia a inaugurare l’uso di sistemi UGV senza equipaggio per mitigare meglio il pericolo sproporzionato di dover prendere d’assalto infinite posizioni e trincee rinforzate con grandi perdite di vite umane. Dopotutto, non è un’ipotesi così remota: il fratello minore disarmato dell’Uran-9, lo sminatore Uran-6, è già stato utilizzato efficacemente fin dall’inizio del conflitto.

 

E quanto ci vorrà prima di vedere nuove versioni dei droni russi Lancet e KUB programmate con l’intelligenza artificiale per andare a caccia di obiettivi nemici in modo autonomo, anche lontano dalla portata dei collegamenti dati di controllo?

2 reparto russo si addestra con il Soratnik UGV

In definitiva, non possiamo prevedere quanto durerà il conflitto ucraino, anche se probabilmente si tratterà di un po’ di tempo, almeno diversi anni, a meno di eventi imprevisti da cigno nero. Un tempo più che sufficiente per assistere a una svolta epocale nell’evoluzione dei sistemi di combattimento, che cambierà per sempre il volto di tutte le guerre.

 

Un giorno guarderemo a questi momenti di nascita dei droni di consumo che lanciano piccole cariche esplosive nelle trincee con gli stessi occhi con cui abbiamo guardato a quel mondo apparentemente selvaggio e antidiluviano delle sparatorie aeree con le pistole, molto prima che il Fokker del Barone Rosso solcasse i cieli alleati. E con lo spirito nazionale galvanizzato, la solidarietà senza precedenti del narod [popolo] russo e il fervore di ingegnosità visto quotidianamente nei suoi combattenti, è chiaro che la Russia sarà colei che prenderà le redini e condurrà il mondo per mano attraverso l’oscurità labirintica di questa nuova era.

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Ecologia o delirio ?_di Davide Gionco

Ecologia o delirio ?
Le politiche ambientali dell’Unione Europea, l’idealità totalmente slegata dalla realtà.

di Davide Gionco

L’UE e gli ecologisti monotematici
L’Unione Europea è governata da ecologisti. Almeno in teoria.
Nulla fanno per evitare la diffusione delle microplastiche nell’ambiente e di altri composti chimici che portano effetti avversi gravi sulla salute umana: glifosato, PFAS, grafene, sostanze nanotecnologiche, radioattività, ecc..
Nulla fanno per evitare la diffusione di armi che uccidono molto più dell’effetto serra, anzi, fanno di tutto per aumentarne la produzione, così come per diffondere la mentalità di guerra.
Ma ci difendono dall’unico grave pericolo preso in considerazione dalla narrativa dei mass media: le emissioni di CO2 che portano al cambiamento climatico.
Da questa ideologia scaturiscono le proposte del piano “Fit for 55”.

Naturalmente non si propongono limitazioni all’importazione di prodotti commerciali contenenti energia fossile consumata in altri continenti, che causano emissioni di CO2 esattamente come se lo facessimo in Europa. Le limitazioni al consumo di energia vengono imposte unicamente in Europa, così che il risultato, alla fine, sarà comunque insufficiente rispetto all’obiettivo prefissato, dato che gli altri, fuori dall’Europa, avranno continuato ad inquinare, anche grazie agli acquisti di merci estere da parte dei paesi dell’UE.

In realtà l’unico motivo sicuro per cui l’UE dovrebbe affrancarsi dalle energie fossili è che si libererebbe dai condizionamenti da parte dei paesi fornitori di gas e di petrolio. L’autosufficienza energetica è qualcosa che può offrire ad un governo molti margini di azione nella politica internazionale e garantire una maggiore stabilità dei prezzi per famiglie ed imprese.

Chiudiamo qui la discussione sulla opportunità o meno di perseguire l’obiettivo primario di perseguire la riduzione delle emissioni di CO2. Assumiamo che si tratti dell’obiettivo giusto da perseguire e valutiamo la razionalità e l’efficacia delle soluzioni proposte.
La sensazione è che da parte della Commissione Europea e dei mezzi di informazione (che sanno solo fungere da amplificatore) è che vi sia una idealità totalmente slegata dalla realtà.
Un conto è che una singola persona, una singola famiglia, una singola impresa passi dall’auto a benzina all’auto elettrica o che installi una pompa di calore o che metta l’isolamento termico ad un edificio. Un altro conto è che a farlo siano centinaia di milioni di persone in tutta Europa o 60 milioni di persone in tutta Italia.

Ci sono dei problemi di fattore scala, come si dice fra noi ingegneri. Infatti è prima necessario verificare che filiere produttive dispongano di quanto necessario (materie prime, manodopera, capitali) per fare fronte all’aumento della domanda del mercato.

 

Il caso delle auto elettriche
Se un cliente si presenta da un autorivenditore per acquistare un’auto elettrica, questi non avrà problemi a vendergli una singola auto elettrica. Né la rete elettrica avrà, successivamente, problemi a rendere disponibile la necessaria energia elettrica per il funzionamento di una singola auto elettrica. Né ci saranno problemi, quando sarà ora di smaltire la batteria dell’auto, a trovare un modo sostenibile per farlo,
Ma ben diverso è che si presentino da tutti gli autorivenditori in Italia 20 milioni di italiani, ciascuno ordinando un’auto elettrica. In quel caso per rispondere all’ordinativo sarà necessario fare i conti con la capacità del sistema di produrre nel tempo richiesto tempi brevi una tale quantità di automobili. E’ evidente che i produttori non sarebbero pronti per passare da 100 mila auto vendute elettriche vendute in Italia nel 2022 a 1,3 milioni l’anno (totale delle auto vendute in Italia nel 2022), 13 volte tanto.
Per fare fronte a questa nuova domanda, infatti, sarà necessario reperire in sufficiente quantità le materie prime per i nuovi motori elettrici e per le batterie, le quali non sono prodotte scrivendo numeri sul computer, come si fa quando si scrive una norma, ma sono estratte dal pianeta terra, con implicazioni ambientali, sociali, geopolitiche, con il rischio di guerre per il controllo delle risorse.
Oltre a questo sarà anche necessario organizzarsi per smaltire, in modo ecologicamente sostenibile, le batterie elettriche esauste, per quantitativi 13 volte superiori a quelli attuali.

E si dovrebbe anche fare i conti con la disponibilità di energia elettrica, che dovrebbe aumentare considerevolmente rispetto all’attuale produzione.
Dove la prendiamo? Che cosa significa aumentare a tali livelli di disponibilità di energia elettrica?
Nel 2020 l’Italia aveva un consumo di energia elettrica di 319 TWh, di cui solo 273 TWh prodotti in Italia (e 46 TWh importati) e di cui 182 TWh provenienti da fonti non rinnovabili e solo 91 TWh da fonti rinnovabili.
A questo si andrebbero aggiungere altri 65 TWh l’anno per sostituire l’energia fossile delle auto termiche con energia elettrica da fonti rinnovabili.
L’Unione Europea ha proposto che dal 2035 vi sia il divieto di produrre auto termiche in Europa, per evitare di emettere CO2 con i motori termici. Ma questo significherà anche organizzarsi per aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili di 182 + 65 = 247 TWh/anno rispetto ai 91 TWh/anno attuali, con un incremento pari a 2,7 volte. Oltre al fatto che dovremmo assicurarci che anche i 46 TWh/anno che importiamo provengano da fonti rinnovabili-
A chi parla di costruire nuove centrali nucleari risponderei che, dal momento della decisione, ci vogliono 14-15 anni prima di mettere in servizio una centrale nucleare (quindi saremmo già in ritardo per il 2035). E, anche in questo caso, dovremmo fare i conti con la disponibilità di ingegneri e di personale tecnico per progettarle e realizzarle, considerando che questo avverrebbe simultaneamente in tutta Europa.

In sostanza stiamo parlando di ideologia pura, di cifre teoriche scritte sulla carta, senza tenere conto della fattibilità concreta di quanto proposto.

Non a caso lo scorso mese di dicembre 2022 il CEO della Toyota, primo produttore al mondo di automobili (qualcosa ne sanno) ha detto chiaramente che al momento non siamo ancora pronti, sia per il fatto di non disporre di sufficiente energia elettrica per tutte queste auto. Se, infatti, l’energia elettrica necessaria fosse prodotta da fonti fossili, i rendimenti sarebbero peggiori di quelli attuali e inquineremmo ancora di più.

Oltre alla sostanziale impossibilità e non convenienza tecnica è anche necessario affrontare il discorso economico: quante famiglie sono in grado di permettersi di acquistare un’auto elettrica nuova da 30-40 mila euro nei prossimi anni a venire? Dove trovare tutti questi soldi, se non sommergendo di debiti le famiglie, a solo vantaggio degli istituti di credito finanziario?

Il caso delle case ecologiche
Il discorso si fa ancora più insostenibile nel caso dell’obbligo imposto dalla UE di portare tutti gli edifici almeno in classe energetica E entro il 01.01.2030 ed entro la classe D entro il 01.01.2033.
Sarebbe certamente una cosa utile. Anche per chi non fosse convinto dell’utilità ambientale, sarebbe certamente utile per il portafoglio che abitassimo tutti in case energeticamente efficienti, perché questo ci consentirebbe di ridurre il peso delle bollette per il riscaldamento e la nostra dipendenza estera da fonti energetiche fossili.

Quello che pare una emerita assurdità è pretendere che tutti i proprietari (compreso lo Stato) di edifici di classe energetica inferiore alla E riescano a realizzare i necessari interventi di ristrutturazione edilizia da qui al 31.12.2029. E poi, in soli 2 anni, fare lo stesso per gli edifici in classe E, a portare almeno in classe D.

Secondo i dati forniti dall’ENEA, i lavori di ristrutturazione energetica degli edifici trainati dal Superbonus 110% hanno portato in 3 anni di lavori a ristrutturare 360’000 edifici, saturando di lavoro il settore dell’edilizia.
Quindi, lavorando a pieno regime, il settore è in grado di ristrutturare al massimo 120’000 edifici ogni anno.
Considerando che gli edifici in Italia di classe energetica inferiore alla E sono 8,8 milioni, questo significa che, disponendo dell’attuale forza lavoro, servirebbero 73 anni per completare i lavori richiesti (entro fine 2029, meno di 7 anni) dalla UE. Oppure, in alternativa, servirebbe moltiplicare almeno di 10 volte la forza lavoro nel settore delle ristrutturazioni energetiche. Considerando che oggi l’edilizia occupa 2 milioni di persone, dovremmo istantaneamente passare a 20 milioni di lavoratori nel settore (ovviamente da formare e a cui fornire le necessarie attrezzature), sapendo che attualmente in Italia siamo in tutto 18-19 milioni di lavoratori.
Ovvero dovrebbe tutti lavorare nell’edilizia (compresi i disoccupati), tralasciando tutte le altre attività lavorative.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che, addirittura, sarebbero previsto, per chi non si adegua, il divieto di affittare o di vendere tali immobili.
Se anche il governo non avesse affossato il Superbonus 110%, non tanto riducendo la quota di detrazioni all’80%, ma soprattutto vietando la cedibilità dei crediti fiscali, il che taglierà fuori dal beneficio la grande maggioranza dei proprietari, fiscalmente incapienti, con l’attuale forza lavoro si potrebbero mettere a norma solo 840’000 edifici nei tempi imposti dalla UE, lasciando quasi 8 milioni di edifici fuori norma, sui 12 milioni esistenti in tutta Italia. Ovvero 2 edifici su 3 non sarebbero più né affittabili, né vendibili.
Si tratta, quindi, non solo di una disposizione impossibile, ma delirante.
E’ solo il caso di far notare che nessuno dei geni che ci governano, né dei geni che fanno finta di fare opposizione, se ne sia accorto. Quantomeno non si è sentito nessuno che abbia denunciato l’impossibilità delle richieste della UE, con la proposta di rispedirle al mittente.

Conclusioni
La prima conclusione da tratte è che in Europa e in Italia non siamo governati da ecologisti, ma da persone in preda ad un delirio ideologico.
Infatti concentrano tutte le attenzioni ad un solo aspetto, forse neppure il più urgente, delle questioni ambientali, senza occuparsi di tutti gli altri aspetti.
In secondo luogo vogliono imporre ai cittadini europei ed al mondo produttivo delle misure fattivamente impossibili da realizzare e con conseguenze catastrofiche certe sull’economia.
Se dobbiamo impegnarsi a salvaguardare il pianeta, lo dobbiamo fare per il nostro benessere e dei nostri discendenti.
Se le misure proposte portano inevitabilmente a sommergere di debiti cittadini e imprese, a devastare l’ambiente in altre zone del pianeta, a bloccare il mercato immobiliare, impedendo alla gente di cambiare casa o di vendere un immobile, a doversi privare dei mezzi di trasporto…
E tutto questo senza incidere più di tanto sull’effetto serra, dato che il resto del mondo continuerà ad inquinare come e più di oggi.

Nel frattempo gli stessi che ci governano trascurano, per ossequio alle varie lobbies industriali, tante altre questioni che riguardano la qualità di vita della gente, come la diffusione di altre sostanze inquinanti nell’ambiente, nei cibi, nei farmaci. Come la crescita della produzione e vendita di armi, che porta inevitabilmente all’aumento di morti ed al maggior potere dei produttori di armi nei confronti dei decisori politici. Ricordiamoci che “L’Italia ripudia la guerra”. Non lo abbiamo scritto a caso nella Costituzione.

Vorrei chiedere ai nostri politici ed ai giornalisti che fanno informazione di liberarsi da questi folli condizionamenti ideologici, perché la storia ci insegna quanti morti sono arrivati dalle derive ideologiche nei decisori politici.
Chiediamoci se l’attuale modello economico, che punta a trasformare tutto in business, incurante degli “effetti collaterali” (sulle persone, sull’ambiente), sia davvero un modello economico adeguato pert gli obiettivi che ci prefissiamo.
Va bene usare le ideologie per pensare ad un mondo migliore, ma impariamo a fare sempre i conti con la realtà. Diversamente rischiamo di raggiungere risultati molto diversi da quelli sognati.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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