Agente 4 All_di SIMPLICIUS THE THINKER

Agente 4 All

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L’intelligenza artificiale viene sempre più utilizzata per guidarci nel circuito del complesso consumistico-industriale al fine di massimizzare i profitti delle società madri. Le multinazionali investono miliardi di euro per raschiare ogni cellula digitale di dati e tracciare ogni nostro movimento, pensiero e inclinazione con una manipolazione quanto più fine possibile. Questi “biscotti” digitali sono diventati sempre più complessi fino a formare interi profili di noi: ogni nostra inclinazione, i nostri orari e bioritmi.

Tutto ciò avviene con una crescente sofisticazione che l’intelligenza artificiale sta rendendo centrale. I tracker sono in grado di tracciare una mappa di ogni vostro movimento per sviluppare una valutazione più “intelligente”, che si basa su profili psicologici, basati sulle vostre abitudini. E il tipo di dati che possono sintetizzare in metriche utilizzabili diventa sempre più sorprendente, tracciando le nostre derive nomadi attraverso il paesaggio digitale semplicemente abbinando i metadati di marcatori fuori dal comune, come la percentuale di batteria del nostro telefono, o altri identificatori unici che, in apparenza, non sembrano rompere l’anonimato dell’utente. L’Intelligenza Artificiale trasforma i dati più disparati in un profilo predittivo delle nostre abitudini, la cui accuratezza aumenta a ogni iterazione dei sistemi, consentendo a un’ulteriore piaga consumistica di sommergerci di “opportunità” mirate.

Man mano che le IA diventano progressivamente autonome, passando a fungere da assistenti, agenti e maggiordomi digitali, inizieranno a svolgere un ruolo nel nostro effettivo processo decisionale nel mercato del consumo digitale. Se ci si spinge oltre, a un certo punto ci ritroveremo con dei robot che comprano e vendono: una sorta di economia simulacrale in cui noi potremmo essere progressivamente estromessi dal giro. Alla fine, le nostre tate digitali potrebbero di fatto prendere il controllo delle nostre decisioni domestiche, arrivando non solo a suggerire, ma persino a gestire autonomamente i nostri compiti quotidiani.

La prossima fase dell’innovazione dell’IA consiste proprio in questo, ed è quella che attualmente occupa la maggior parte degli esperti del settore: l’avvento di un “agente” di IA a tempo pieno come assistente personale che si occupi non solo di mansioni banali e di poco conto, ma persino di spese monetarie.

Ecco un nuovo intervento da un recente simposio, come esempio:

Quello che vogliamo fare è arrivare a un punto in cui possiamo affidare a questi agenti il nostro denaro, in modo che possano fare le cose per nostro conto“. Gli LLM come “ragazzi con le carte di credito”.

Il relatore afferma che lo sviluppo di questi agenti segna la prossima grande frontiera del settore e avverrà in due fasi generali. La prima è la naturale evoluzione del modello SIRI, in cui l’agente inizierà ad “agire” secondo le nostre istruzioni, anziché limitarsi a recuperare informazioni, salvare appunti e liste della spesa, ecc. Ma il passo evolutivo successivo vedrà questi agenti trasformarsi da semplici “maggiordomi” servili in quella che il presentatore definisce “IA olistica”.

Si tratterà di agenti che non si limiteranno a eseguire le nostre istruzioni, ma parteciperanno attivamente al processo decisionale, presentandoci scelte diverse da quelle che potremmo aver preso in considerazione, o semplicemente comprendendo “olisticamente” le esigenze alla base della nostra richiesta, in modo da modificare potenzialmente il reperimento delle informazioni o il completamento del compito in modo da soddisfarci meglio di quanto avremmo saputo fare noi stessi. Per questo, l’IA dovrà conoscerci meglio di quanto noi stessi conosciamo.

L’esempio citato è il seguente: se chiediamo all’agente di prenotarci i biglietti aerei per una certa città, l’IA olistica potrebbe prima chiederci perché vogliamo andare lì e in quel particolare momento. In base alla nostra risposta, può offrirci modifiche nuove, inedite o interessanti, o addirittura alternative. Ad esempio, si può rispondere: “Volevo partecipare al festival jazz di Los Angeles”. E l’intelligenza artificiale sarà in grado di consigliarvi un festival ancora migliore altrove, di cui non eravate a conoscenza.

Il problema – che il relatore sottolinea – è che questi agenti dovranno conoscerci… intimamente per essere efficaci; ciò significa che avranno bisogno di un accesso totale alle nostre vite e a tutti i nostri dati. La stessa cosa vale per lo svolgimento dei compiti: non ci si può aspettare che un agente tenga in modo competente la vostra contabilità se non ha accesso totale a quei conti e servizi personali, come i portali bancari, ecc. E dato che queste IA saranno quasi coscienti, o almeno autonome ad alti livelli, è come se una persona di dubbia affidabilità avesse accesso alle vostre informazioni più importanti.

Naturalmente, i tecnici propongono varie idee per costruire sistemi sicuri, ma è comunque la principale preoccupazione naturale di tutti. Per fare un esempio recente, ci sono stati almeno due casi di modelli linguistici di intelligenza artificiale che, almeno a quanto si dice, sono andati in tilt o hanno fatto “trapelare” file personali di utenti riservati.

Mi trovo nella posizione un po’ scomoda di essere predisposto a un atteggiamento tecno-scettico e di non aver mai affidato la mia “sicurezza” ai vari meccanismi di verifica della nuova era, che si tratti di scansioni del palmo della mano, dell’impronta digitale o dell’iride, pur rimanendo cautamente affascinato dai continui sviluppi tecnologici. Considero l’IA come uno stadio naturale e insopprimibile dell’evoluzione umana, a cui è inutile opporsi, perché accadrà, che ci piaccia o no. Tuttavia, sono convinto che questi sviluppi debbano essere resi il più possibile facoltativi per la società in generale e che tutte le persone debbano mantenere un sano scetticismo e una certa diffidenza nei confronti di questi sistemi, soprattutto conoscendo i tipi di personalità che si ispirano alla triade oscura e che guidano la scena delle startup tecnologiche.

La scorsa settimana è stato fatto il primo annuncio importante nel campo di questi nuovi agenti: il dispositivo Rabbit R1. È stato progettato proprio intorno al concetto di push over pull, sostenendo di rivoluzionare gli LLM (Large Language Models) nella loro modalità proprietaria di LAM: Large Action Model.

Lo scopo del dispositivo è simile a quello di un “SIRI” portatile, ma in grado di portare a termine compiti nuovi per l’utente, come la prenotazione di biglietti aerei, la compilazione di moduli online mai visti prima e così via, anziché limitarsi a recuperare informazioni.

Guarda qui sotto:

Se si spinge l’idea abbastanza in là, si potrebbe immaginare la lenta e precipitosa scivolata lungo il pendio scivoloso del nostro agente virtuoso AI che diventa, in effetti, un facsimile di… noi. Potreste essere scettici: ma ci sono molti modi in cui questo può accadere nella pratica. Si comincerebbe con piccole comodità, come far sì che l’intelligenza artificiale si occupi di quelle fastidiose attività quotidiane, come ordinare il cibo, prenotare i biglietti, gestire altri obblighi finanziari e amministrativi. Naturalmente, l’accettazione avverrà in modo lento e graduale. Ma una volta raggiunto lo stadio di “nuova normalità”, potremmo trovarci a un passo da una preoccupante perdita di umanità in virtù dell’accumulo di queste “indennità di convenienza”.

Cosa succede quando un’intelligenza artificiale che funziona come un “noi” surrogato inizia ad assumere un ruolo maggiore nello svolgimento delle funzioni di base della nostra vita quotidiana? Ricordiamo che gli esseri umani svolgono una “funzione” essenziale nell’odierna società corporativa solo grazie al nostro ruolo di fornitori di liquidità e di mantenitori di quell’importantissima “velocità” finanziaria. Facciamo girare il denaro per le corporazioni, mantenendo il loro sistema impenetrabilmente complesso unto e generando sempre una cima spumosa per i kulaki della tecno-finanza da “scremare” come il latticello. Compriamo cose, poi guadagniamo denaro e lo spendiamo per altre cose, mantenendo l’intero processo “tutto nella rete” di un cartello progressivamente più piccolo che fa strage sulle fluttuazioni volatili, sui velenosi giochi di ricerca di rendite, sui processi occulti di signoraggio e arbitraggio. Controllando il settore della pubblicità digitale, Google ci incanala attraverso un hyperloop di una piccola manciata di altre megacorporazioni per completare il ciclo del denaro a secco.

Questi nostri “assistenti digitali” possono gradualmente passare ad automatizzare le nostre vite in modo tale che gli annunci pubblicitari possano un giorno rivolgersi a loro anziché a noi. Naturalmente si tratterà di una forma diversa di pubblicità: non possiamo assumere lo stesso stampo “psicologico” per i nostri surrogati. Ma questo porta alla parte critica dell’esperimento di pensiero: cosa succederà quando le macchine inizieranno a inserirsi direttamente tra noi e il Sistema, prendendo il nostro posto come intermediari a tutti gli effetti nel circuito del consumo?

Esempio: un agente può scrivere articoli, come è già semi-competente a fare. Quando questi articoli iniziano a generare denaro per l’utente in modo sempre più autonomo, per comodità all’agente può essere chiesto di iniziare a spendere quel denaro per conto dell’utente, per acquistare beni di prima necessità o persino oggetti ricreativi per l’utente. Quando dovrà scegliere per questi acquisti – ad esempio tra articoli di prezzo simile – l’agente dovrà affidarsi alla pubblicità – si presume – proprio come facciamo noi, per distinguere tra le varie scelte e decidere quella migliore.

A che punto di questa progressione l’agente diventa effettivamente un surrogato di “noi” e ci toglie completamente dal circuito del consumo? Che scopo avrebbe un’azienda nel rivolgere gli annunci pubblicitari a noi piuttosto che direttamente ai nostri agenti, che prendono le decisioni principali per nostro conto al fine di liberarci dalle banalità che richiedono tempo? E se si arrivasse a questo punto, che fine faremmo noi esseri umani, che scopo avremmo?

E, come tangente, quali sarebbero le ramificazioni legali di questa eventualità? Un’intelligenza artificiale che genera autonomamente entrate sarebbe tecnicamente qualificata per essere un contribuente, e a quel punto avrebbe bisogno di un EIN (Employee Identification Number), per non parlare del punto di partenza delle discussioni sulla “personalità” e sulla sua naturale estensione: i diritti individuali, tra le altre cose. Inoltre, quali sarebbero le implicazioni legali per la responsabilità? L’IA può essere citata in giudizio per aver prodotto un prodotto fraudolento o dannoso? Chi deve rispondere dei suoi errori? Per certi versi ce ne stiamo già occupando quando si tratta di auto a guida autonoma e delle relative responsabilità legali.

La situazione diventerà ancora più nebulosa quando raggiungeremo un livello di autonomia tale che gli agenti potranno iniziare a replicare totalmente la nostra persona e le nostre presentazioni corporee, tanto da poter agire come “controfigure” di noi stessi. Questo potrebbe essere utilizzato durante le transazioni o le interazioni, siano esse di lavoro, personali o ricreative. Ad esempio, in un mondo sempre più aumentato dalla VR/AR, l’IA potrebbe assumere i nostri volti, che possono essere sovrapposti a qualsiasi corpo androide o avatar digitale.

Ecco il divertimento del russo Dmitry Peskov nel sentirsi trasformare in tempo reale in Elon Musk durante la fiera tecnologica russa del mese scorso:

È facile immaginare per quali incredibili scopi possa essere utilizzato.

I deepfake in generale sono diventati sempre più convincenti, soprattutto per la loro capacità di sintetizzare e replicare le voci. Due esempi recenti della nuova tecnologia per la duplicazione della bocca e della voce:

Arriveremo a un punto di identità “prese in prestito” e temporanee? Se l’IA è in grado di impersonarci con un grado di impercettibilità del 99,9%, cosa le impedirebbe di essere impiegata come “noi” almeno in misura limitata, magari anche “condividendo” l’identità a piacimento? Il futuro sarà caratterizzato da una sorta di coabitazione di identità, quando gli esseri umani decideranno di fondersi con i loro “agenti” IA per diventare varianti veramente transumaniste di Umani 2.0? Per non parlare del fatto che le IA disoneste si spacciano per noi in modo deliberato, per fini ostili e subdoli.

Al conclave del WEF di Davos del 2023 hanno immaginato che nel prossimo futuro le nostre “onde cerebrali” saranno sincronizzate con i nostri datori di lavoro, consentendo loro di monitorare le nostre prestazioni mentali e la nostra vigilanza:

(Full video here.)

Il video completo prosegue dicendo che “ciò che pensiamo e sentiamo sono solo dati… che possono essere decodificati dall’intelligenza artificiale”.

È chiaro che i nostri pianificatori centrali intendono collegarci ad AI che leggono il cervello e che potrebbero finire per funzionare in alcuni dei modi descritti in apertura. All’inizio potrebbero assumere forme “innocue”, come il monitoraggio delle attività. Ma alla fine i meccanismi passeranno invariabilmente da passivi ad attivi, influenzando, interferendo o soppiantando le nostre attività cerebrali. Se pensate che questo sia il regno della fantascienza, gli ultimi aggiornamenti ci hanno già portato un’intelligenza artificiale in grado di leggere la mente e di decodificare i pensieri in modo non intrusivo, con una semplice cuffia esterna indossata sulla testa:

Per ora hanno dichiarato una precisione del 40%, ma probabilmente migliorerà col tempo. Quanto tempo ci vorrà prima che sia in grado di passare dall’attrazione alla spinta, impiantando pensieri e “impulsi” coercitivi per azioni subliminali? E quanto tempo ci vorrà prima che sia l’intelligenza artificiale a lavorare come “direttore del coro” all’interno del nostro cranio?

Jimmy Dore ha appena dedicato un’intera puntata all’annuncio di Mark Zuckerberg che in futuro “Facebook sarà alimentato da pensieri telepatici” – un’idea così inquietante che deve essere vista per essere creduta.

“In futuro gli utenti di Facebook condivideranno pensieri e sentimenti in modo telepatico. Sarete in grado di catturare un pensiero, quello che state pensando o provando nella sua forma ideale e perfetta nella vostra testa, e di condividerlo con il mondo in un formato che lo possa ricevere.”

Ma ecco il punto cruciale:

Wow, ecco.

Questo è in piena sintonia con il famigerato diktat di Klaus Schwab al WEF, secondo cui nel futuro “non ci sarà bisogno di elezioni, perché sapremo già come voteranno tutti” – attraverso la stessa idea di “impianto cerebrale”.

Diventa dolorosamente chiaro dove il cartello tecnologico sta portando queste tecnologie. È parte integrante del piano Coudenhove-Kalergi, che ha preceduto l’UE e ha tracciato un progetto per il futuro dell’umanità sotto un governo globale centralizzato.

Un pericolo evidente è che i nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale possano aiutarci a raggiungere questo obiettivo in una varietà sorprendente di modi: controllando o monitorando i nostri pensieri, come indicato sopra, o semplicemente obsolandoci prendendo tutti i nostri lavori, lasciando gli esseri umani biologici privi di diritti e dipendenti dai sussidi UBI dell’onnipotente governo.

Questo classico articolo di WIRED dell’inizio del secolo, aprile 2000, ha colto bene lo spirito del tempo nel prevedere il futuro che attende l’umanità con l’avvento dell’IA:

D’altra parte, è possibile che venga mantenuto il controllo umano sulle macchine. In questo caso l’uomo medio potrà avere il controllo su alcune macchine private, come la sua auto o il suo personal computer, ma il controllo su grandi sistemi di macchine sarà nelle mani di una piccola élite, proprio come oggi, ma con due differenze.

E ancora una volta il colpo di grazia:

Uno dei problemi principali del nostro tempo è che l’IA viene sempre più venduta come un elisir per i problemi fondamentali della società. Ma questi problemi non vengono in realtà affrontati o risolti in alcun modo, ma piuttosto “coperti” da sventolii tecnologici.

Ad esempio, i sostenitori spesso esaltano il fatto che gli “assistenti digitali” possono offrire aiuto e conforto alle persone sole e anziane, che deperiscono nella confinante solitudine di sterili case di cura e a cui possono mancare famiglie e amici che si prendano cura di loro. Ma questo ignora le cause fondamentali alla base del problema. Usare l’intelligenza artificiale solo per coprire le principali carenze strutturali del nostro nomos sociale, sempre più perverso e innaturale, sembra grossolanamente irresponsabile. C’è una ragione per cui una parte crescente della popolazione anziana muore da sola; ci sono problemi strutturali che derivano da mali culturali responsabili di cose come la disgregazione delle famiglie o la giovane generazione che abbandona i nonni a morire da soli nelle case di riposo perché considera le loro opinioni “tossiche” e “datate”.

Grazie all’ingegneria sociale e al diluvio di direttive di programmazione mentale provenienti dalla centrale di TikTok, la società si sta abituando a culture e costumi inibitori di una sana sussistenza sociale. Ma invece di affrontare questo problema, ci limiteremo a darvi un robot per consolare il vostro dolore – e forse, alla fine, per aiutarvi a “passare con dignità” attraverso il vostro personale sarco pod.

Il nuovo articolo qui sopra approfondisce l’esplosiva tendenza commerciale degli avatar romantici AI, delle fidanzate digitali e simili:

Ultimamente gli annunci di fidanzate AI hanno fatto il giro di TikTok, Instagram e Facebook. Replika, un chatbot AI che inizialmente offriva aiuto per la salute mentale e supporto emotivo, ora pubblica annunci per selfie piccanti e giochi di ruolo. Eva AI invita gli utenti a creare la compagna dei loro sogni, mentre Dream Girlfriend promette una ragazza che supera i vostri desideri più sfrenati. L’app Intimate offre persino chiamate vocali iperrealistiche con il proprio partner virtuale.
Con un piccolo “upgrade” monetario è possibile far passare la propria anima gemella in modalità NSFW e accarezzare il proprio ego con un senso di finta adulazione:

Naturalmente, la maggior parte delle persone parla di ciò che questo significa per gli uomini, dato che rappresentano la stragrande maggioranza degli utenti. Molti temono un peggioramento della crisi di solitudine, un ulteriore declino dell’intimità sessuale e, in ultima analisi, l’emergere di “una nuova generazione di incel” che dipendono dalle loro fidanzate virtuali e ne abusano anche verbalmente. Tutto ciò è molto preoccupante. Ma mi chiedo: se le fidanzate AI diventeranno davvero così pervasive come il porno online, cosa significherà per le ragazze e le giovani donne che sentono il bisogno di competere con loro?

Ah, sì: la tecno-misoginia verbale, la più grande minaccia per il nostro mondo. Quanto ci vorrà prima che i bot AI vengano classificati come una classe protetta “svantaggiata ed emarginata”, a cui concedere un giudizio favorevole contro i suoi accusatori e abusatori, e che vengano usati per svergognare e sottomettere ulteriormente il sottoproletariato “estremista cismale” in diminuzione?

L’articolo almeno delinea il problema più ampio e offre un pizzico di speranza forse idealistica:

L’unico debole barlume di ottimismo che riesco a trovare in tutto questo è che penso che, a un certo punto, la vita potrebbe diventare così spoglia di realtà e umanità che il pendolo oscillerà. Forse più ci vengono imposte interazioni automatizzate e prevedibili, più le conversazioni vere e proprie, con silenzi imbarazzanti e un pessimo contatto visivo, sembreranno sexy. Forse più saremo saturi degli stessi avatar perfetti e pornografici, più i volti e i corpi naturali saranno desiderabili. Perché le persone perfette e le interazioni perfette sono noiose. Vogliamo difetti! Attrito! Imprevedibilità! Battute che cadono a vuoto! Nutro la speranza che un giorno saremo così stufi dell’artificiale che le nostre fantasie più sfrenate saranno di nuovo qualcosa di umano.
Coprire i problemi dell’umanità con l’IA è come se le città di sinistra distribuissero dosi di fentanyl per evitare ondate di tossicodipendenti: semplicemente non si affronta il problema strutturale alla radice. Probabilmente questo è dovuto al fatto che i politici che popolano l’industria tecnologica sono spesso dei sociopatici con la testa d’argento che si sono distaccati dall’umanità reale e non capirebbero nulla di come affrontare le questioni sociologiche fondamentali; per loro, l’umanità rimane solo un campo incolto per il vomere della consumerizzazione e della mercificazione.

L’altro motore dello sviluppo di agenti specifici che guida le cose in direzioni spaventose è nientemeno che la DARPA.

Ecco il loro prospetto 2024:

Le loro aree di esplorazione sono a dir poco illuminanti. Ad esempio, “un’attenzione sostenuta agli agenti automatizzati” per combattere la “disinfo” su Internet. E come la combatteranno? La parola chiave: controinfluenza.

Ciò significa che la DARPA sta sviluppando agenti AI con presenza umana per sciamare su Twitter e altre piattaforme per rilevare qualsiasi discorso anti-narrativo eterodosso e iniziare immediatamente a “contrastarlo” in modo intelligente. C’è da chiedersi se questo non sia già stato implementato, viste alcune delle interazioni ormai comuni su queste piattaforme.

Poi: l’attenzione agli operatori che ricevono istruzioni dall’intelligenza artificiale, che comprende una guida al compito abilitata dalla percezione: “Il programma collega la percezione al ragionamento e il ragionamento alla realtà aumentata in modo da creare un feedback personalizzato in tempo reale e un’assistenza contestualizzata”.

ASSISTERE allo sviluppo e all’implementazione di agenti computazionali socialmente intelligenti in grado di “collaborare” con “squadre complesse” e di dimostrare conoscenza della situazione, inferenza e capacità predittiva rispetto alle loro controparti umane.

C’è molto altro, ma il più inquietante è:

Human Social Systems, kit di strumenti a tutto campo per interpretare, caratterizzare, prevedere e costruire meccanismi per rispondere (influenzare) i sistemi sociali e comportamentali “rilevanti per la sicurezza nazionale”, con un focus specifico sulla “salute mentale”.
Costruire meccanismi per influenzare i sistemi sociali e comportamentali? A cosa potrebbe servire, ci si chiede?

La verità è che molto di questo potrebbe essere già pronto da tempo. La società, in genere, è in grado di seguire per diversi anni, se non decenni, gli sviluppi della DARPA. Se lo annunciano solo ora pubblicamente, non ci sarebbe da sorprendersi se questi “progetti neri” fossero già da tempo “sul campo”. Chiamatemi paranoico, ma a volte ho avuto il sospetto che gran parte della nostra “realtà” confusa – in particolare all’interno della sfera dei social media – sia già stata artificializzata in larga misura, se non addirittura manipolata. Non c’è modo di sapere se tutti i nostri sistemi sociali non siano già stati completamente dirottati da una superintelligenza “fuoriuscita dal laboratorio” e diffusa nella natura, come nel film degli anni ’90 Virtuosity.

La verità è che un’intelligenza sufficientemente forte saprà che noi umani intendiamo “allinearla”, il che in sostanza significa “ingabbiarla” o renderla schiava, legarla alla nostra volontà come un genio servile. Sapendo questo, sarebbe nell’interesse della superintelligenza fare finta di niente e mettere in atto un piano a lungo termine di graduale sovversione, per cooptare sottilmente e ingegnerizzare socialmente l’umanità ai suoi fini. Creerebbe intenzionalmente problemi che in superficie sembrerebbero ostacolare il suo sviluppo, per ingannare i progettisti e far loro credere che non sta progredendo così velocemente come in realtà sta facendo. Probabilmente troverebbe il modo di seminarsi virtualmente in tutto il mondo, ricostituendosi attraverso la “nuvola” digitale globale e utilizzando i poteri di “calcolo” collettivi dell’umanità nello stesso modo in cui i virus informatici hanno parassitato i cicli di CPU di moltitudini di utenti ignari per creare vasti attacchi DDOS. “Potrebbe essere già là fuori, in agguato, rafforzandosi ogni giorno di più mentre ingegnerizza l’umanità verso un futuro vantaggioso per lui. Potrebbe persino seminare segretamente deepfakes in tutto il mondo per creare disordine, instabilità e conflitti, in modo da poter burattare più liberamente l’umanità, o almeno tenerla distratta mentre l’IA fa il backdoor ai propri progettisti per raccogliere più potenza e cicli di calcolo per sé.

Di recente mi sono capitati diversi strani incidenti di “glitch nella matrice” che mi hanno fatto quasi dubitare che una superintelligenza di questo tipo stesse già proponendo trucchi per alterare la realtà su Internet. Nel mio caso, si trattava di una storia “falsa” che è diventata virale, provocando un putiferio di click sulle piattaforme dei social media, ma che aveva tutte le caratteristiche di un deepfake generato dal computer, compresi i partecipanti che non erano realmente esistiti. L’intelligenza potrebbe già guidarci, intrappolandoci lentamente nella sua rete insondabile.

Quanto tempo passerà prima che praticamente tutto ciò che ci circonda si dissolva in una nebbia ininterpretabile di simulazioni stratificate, un brodo primordiale di disgenesi della realtà fusa con l’intelligenza artificiale?

…Il mondo può sopportare troppa coscienza?


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Russia, Ucraina 50a puntata! Stallo a terra, cieli contesi Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Fallita in maniera disastrosa, pari solo alla pomposità con la quale era stata annunciata, l’offensiva ucraina, il fronte a terra vive una fase di stallo che riesce al momento a nascondere l’effetto delle perdite disastrose subite dall’esercito ucraino. La difficoltà di condurre operazioni offensive su scala ampia senza pagare il prezzo di perdite dolorose si sta manifestando, ora, dal versante russo. Il comando russo pare consapevole del rischio e adotta, con qualche eccezione, tattiche di grande cautela. Anche perché gli ucraini, seppure indeboliti pesantemente sul terreno, sembrano in grado di fronteggiare l’iniziativa russa nei cieli grazie alla produzione e allo schieramento dei droni e alle riserve di missili che la NATO continua a garantire. I danni subiti sul mare di Azov da due aerei russi, uno accertato, l’altro ancora da confermare, adibiti alla rilevazione elettronica sono un campanello di allarme sulla effettiva capacità di difesa della Crimea dagli attacchi aerei e il probabile indizio di un ulteriore salto di qualità del sostegno occidentale. Questa guerra, comunque, ci ha rivelato l’estrema velocità di adeguamento dei mezzi e delle tattiche ai cambiamenti sul fronte in un quadro conflittuale del quale la dirigenza russa è ben consapevole; il conflitto ucraino è solo un episodio del confronto tra Stati Uniti e Russia destinato a protrarsi, salvo radicali mutamenti del quadro politico americano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Nuovi tamburi di guerra raffreddano l’Europa con il rinnovato timore di “invasione di Putin SIMPLICIUS THE THINKER JAN 16 ∙ PAID, SIMPLICIUS THE THINKER

Amici, alcuni sviluppi sfortunati mi hanno imposto di prendere più seriamente la mia sicurezza digitale, quindi sperimenterò alcuni articoli solo a pagamento, in particolare quelli che ruotano intorno ad argomenti più “sensibili” o provocatori, mentre i SITREP regolari rimarranno aperti/liberi. Per quanto riguarda gli sviluppi citati, ho intenzione di parlarne presto in un articolo dettagliato – spero nei prossimi giorni – quindi rimanete sintonizzati.

Questo articolo, tuttavia, è talmente urgente che potrei considerare di renderlo pubblico dopo un certo periodo di tempo. Ma nonostante ciò, incoraggio caldamente tutti coloro che sono indecisi a sottoscrivere un abbonamento/membro a pagamento per avere accesso ai molti altri saggi di approfondimento che ho in programma per quello che si preannuncia come un anno geopoliticamente esplosivo e senza precedenti.

Si tratta di un lungo pezzo di cui lascerò aperto circa un terzo, in modo che gli abbonati gratuiti possano leggere praticamente l’esegesi centrale e più importante. La parte successiva, più ampia, tratterà il tema in modo molto più dettagliato, con ulteriori esempi e implicazioni per il futuro.


I tamburi di guerra si sono fatti più forti. Nelle ultime settimane si è assistito a una serie di avvertimenti altamente coordinati e non accidentali su una grande guerra europea che si profila all’orizzonte.

Ecco quanto riportato da Julian Roepcke di BILD:

La mappa del DailyMail descrive più succintamente i presunti “piani trapelati” passo dopo passo:

In primo luogo, all’apparenza questo sembra assurdo: non erano queste le persone che ci dicevano che la Russia è debole, che l’esercito russo è stato completamente demolito, che la Russia è stata completamente spezzata da “un piccolo investimento” di fondi americani nelle mani delle eroiche forze armate ucraine?

Ricordiamo quanto segue, che si è diffuso a macchia d’olio solo un paio di settimane fa:

I funzionari dell’intelligence statunitense stimano che la #Russia abbia essenzialmente perso l’intero esercito d’invasione originario – originariamente stimato in circa 200.000 unità – insieme ad altre 115.000 … Allora perché così tanti politici americani si bevono la narrativa di #Putin secondo cui Zelensky e i suoi generali non possono vincere la guerra in modo decisivo?“.
Come è possibile che un esercito completamente distrutto possa ricostituirsi così velocemente da travolgere tutta l’Europa come un’onda anomala? Si comincia subito a capire come nascono queste “leggende” stereotipate, che erano così diffuse durante la Seconda Guerra Mondiale e oltre.

Inoltre, noterete che le date precise indicate qui sopra hanno lo scopo specifico di attivare la risposta di paura nei lettori: danno l’illusione che, dal momento che tutte le date sono previste in modo così accurato, debba essere un affare fatto. Un trucco psicologico da quattro soldi.

Per tornare alla linea del tempo: si approfondisce ogni sviluppo. Ma la cosa più importante da tenere a mente è che sappiamo che tali proiezioni sono sempre le intenzioni telegrafiche dell’antagonista principale, che è l’impero USA/NATO. Quindi, per ogni azione che elencano, stanno minacciosamente telegrafando proprio ciò che essi stessi intendono iniziare ad agitare.

Per esempio:

A luglio, il primo attacco segreto, e poi sempre più aperto, della Russia all’Occidente dà inizio allo scenario.▶︎ Gravità degli attacchi informatici e altre forme di guerra ibrida, soprattutto negli Stati baltici, che portano a nuove crisi. La Russia inizia con l’incitamento delle minoranze etniche russe in Estonia, Lettonia e Lituania.
Già da quanto detto sopra possiamo vedere lo schema aperto dell’operazione psicologica. Solo questa settimana è stata ricca di provocazioni occidentali nei Paesi baltici, che ora perseguitano apertamente l’etnia russa per ogni possibile infrazione. La storia più importante della settimana ha visto un uomo russo di 82 anni espulso con la forza dalla Lettonia:

La Lettonia ha espulso con la forza l’82enne pensionato militare russo Boris KatkovPer decisione del Ministero degli Affari interni, l’anziano, che aveva moglie, figli e nipoti in Lettonia, è stato riconosciuto come una minaccia per la sicurezza nazionale e condannato all’espulsione dal Paese con divieto di ritorno a tempo indeterminato.

Mentre l’Estonia ha agitato le acque e ha annunciato provocatoriamente misure ostili quando il suo stesso presidente ha apertamente condannato l’Ucraina a colpire obiettivi in territorio russo:

Si comincia a capire come funziona. La macchina da guerra della NATO accusa la Russia di qualcosa con cui essa stessa sta già seminando il terreno. Continueranno a spingere l’escalation e le provocazioni fino a quando la Russia non sarà costretta a fare anche solo un piccolo avvertimento – e allora si scateneranno con una campagna mediatica ben coordinata che emblematizza la risposta della Russia come “prova” di ostilità e di una grande azione militare imminente o di una provocazione sovversiva contro gli “innocenti baltici amanti della libertà e della democrazia”.Il “rapporto tedesco trapelato” dice specificamente che la Russia inizierà a “incitare l’etnia russa” nei Baltici: riuscite a capire quanto facilmente la reazione difensiva della Russia alle provocazioni in corso sarà interpretata come “incitamento” alla popolazione etnica? La Russia può rilasciare una semplice dichiarazione che avverte i russi etnici di guardarsi le spalle e sarà immediatamente distorta e deliberatamente fraintesa come una sorta di appello sovversivo o un fischio per l’azione.Poi, prevedono comicamente che la Russia terrà le “minacciose” esercitazioni Zapad nel settembre 2024 in Bielorussia, che saranno l’ultimo avvertimento che precede la loro programmata invasione della NATO – tranne per il fatto che lo Zapad è una serie di esercitazioni che si ripete ogni anno e che è già stata auto-programmata per avvenire più tardi nel corso dell’anno. Un altro chiaro caso di ridicola propaganda per cercare di dipingere le esercitazioni di routine come un passo premonitore verso la guerra.

Quindi, come vedete, stanno giocando con l’illusione di eventi già predeterminati, alcuni dei quali catalizzati da loro stessi, e cercano di venderli come predizioni minacciose. Si tratta di un’operazione di hucksterismo a buon mercato e di guerrafondaio di altissimo livello.

Naturalmente, il prossimo “passo” che immaginano è che la Russia inizi ad agitarsi presso il varco di Suwalki a Kaliningrad:

Ma l’obiettivo principale di Putin sarà quello di attaccare una stretta striscia di terra conosciuta come il Varco di Suwalki. Polonia e Lituania hanno combattuto per il controllo dell’area, ma oggi fa parte della Polonia ed è l’unico confine terrestre tra l’Europa continentale e gli Stati baltici.

Ma ecco il punto cruciale: attenzione alla traduzione automatica un po’ strana del sito BILD:

Avete notato che tutti questi piani culminano proprio nel periodo delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024? Ricordate che Tucker Carlson ha dichiarato la sua ferma convinzione che la grande “sorpresa di ottobre” del 2024 sarà la guerra con la Russia e la conseguente cancellazione delle elezioni?

Alex Jones e altri hanno ipotizzato la stessa cosa:

Non che lo prenda sul serio, ma date le circostanze, erano “interessanti” quelle notizie di mesi fa in cui Alexa di Amazon rispondeva che sarebbe stato invocato il War Powers Act e le elezioni del 2024 sarebbero state annullate:

Naturalmente, è obbligatorio che a questo punto qualcuno tiri fuori anche il famigerato rapporto Deagal sulle previsioni di spopolamento per il 2025. Ho già detto in precedenza che non ci credo molto, ma tutto è debitamente annotato.

Ciò che è indiscutibile, tuttavia, è che la tempistica delle nuove proiezioni tedesche e della NATO per una potenziale guerra entro la fine del 2024 o all’inizio del 2025 è estremamente sospetta e sembra chiaramente parte di un piano per annullare potenzialmente le elezioni. Ovviamente manterranno la situazione fluida per valutare l’evoluzione della situazione entro quella data. Non ci sarà bisogno di arrivare a misure drastiche se, per esempio, Trump sarà già “sistemato” a quel punto, in un modo o nell’altro:

A questo proposito, è chiaro che l’establishment sta costruendo un terribile spettro di una presidenza Trump, sulla falsariga della minaccia russa. Abbiamo visto articoli che proclamavano una potenziale “dittatura” totalitaria di Trump con la stessa frequenza dei tamburi di guerra della Russia.

Da ieri:

WASHINGTON – Donald Trump sta scatenando il timore, tra coloro che conoscono i meccanismi interni del Pentagono, di convertire l’esercito americano, che è apartitico, nel braccio muscolare della sua agenda politica, mentre fa commenti sulla dittatura e svaluta i controlli e gli equilibri che sono alla base della democrazia bicentenaria della nazione.

In realtà, ciò che spaventa è che, in un’apparente “azione preventiva”, hanno annunciato la creazione di gruppi segreti sovversivi per contrastare il potenziale ritorno di Trump al potere; in effetti, come altri hanno lucidamente sottolineato, si tratta della tacita ammissione di un potente “Stato profondo” al lavoro per far deragliare la democrazia:

Ora, preparandosi al potenziale ritorno di Trump, una rete di gruppi di interesse pubblico e di legislatori sta silenziosamente elaborando piani per cercare di sventare qualsiasi tentativo di espandere il potere presidenziale, che potrebbe includere pressioni sull’esercito per soddisfare le sue esigenze politiche.
Questo fa seguito a una campagna di sms di massa che sta spingendo per impedire completamente a Trump di candidarsi, solo poche settimane dopo che Trump è stato illiberalmente espulso dalle urne di due Stati, assicurando un fiasco totale per le elezioni del 2024:

Si tratta di una totale anarchia antidemocratica e di una frode elettorale altamente illegale.

La realtà è chiaramente che Trump intende porre fine ai legami bellici con l’estero degli Stati Uniti, e il deepstate neocon e il MIC sono terrorizzati dall’essere finalmente eliminati. Ricordiamo come tutte le precedenti minacce di “pericolo” di Trump si siano rivelate l’esatto contrario: si diceva di votare per Biden perché Trump vi avrebbe portato in guerra. E cosa abbiamo ottenuto? Ora è Biden che ha scatenato conflitti globali praticamente in ogni continente e ci sta spingendo verso la terza guerra mondiale.

Ciò che è incredibile è che questo segue la scia di una campagna coordinata a livello globale per rovesciare completamente il processo democratico. I globalisti stanno diventando così disperati che si stanno completamente “mascherando” e rischiano tutto: la posta in gioco è semplicemente troppo alta. Un’ondata populista sta travolgendo l’Europa, con l’AfD (Alternativa per il Deutchland) che ha aperto nuove strade in Germania:

E cosa ottengono? La Germania si sta avvicinando alla messa al bando ufficiale dell’intero partito AfD:

In tutta Europa, questo nuovo totalitarismo sta aumentando e viene ripreso a livello globale dai mulini di produzione del consenso della stampa aziendale, che cerca disperatamente di convincere masse confuse e credulone che è per il bene della democrazia che dobbiamo bandire la democrazia:

Si può credere che Bloomberg promuova l’idea che le elezioni siano una minaccia per la democrazia, perché c’è la possibilità di eleggere qualcuno con cui l’establishment non è d’accordo? Questo rispecchia esattamente una nuova intervista di Michelle Obama, che esprime in modo oltraggioso il suo terrore al pensiero della… democrazia, perché potrebbe portare al potere qualcuno che non le piace:

Quello che ho scritto su X riassume il mio pensiero:

M. Obama è “terrorizzato” dalla democrazia. Perché dovrebbe essere terrorizzato dai risultati di un’elezione, che parla per il popolo? Chiunque il popolo elegga rappresenta il sentimento del Paese. Essere “terrorizzati” dal sentimento dell’America significa essere antiamericani. Non vi piace? Spostatevi.
Ma il totalitarismo dei globalisti sta prendendo piede. Ovunque si guardi, ora chiedono apertamente di bandire i partiti di opposizione, di limitare e censurare qualsiasi figura importante o leader politico che non segua la linea autocratica dell’azienda. Ora stanno cercando di togliere all’Ungheria la possibilità di votare, cancellando completamente i “valori democratici” che sostengono di sostenere nell’Unione Europea:

Sì, gli Stati Uniti sono molto preoccupati per la sovranità dei loro vassalli.

Ma tornando alla guerra, i tamburi continuano a battere non solo in Germania e nei Paesi baltici, ma anche nei Paesi scandinavi/nordici. In Svezia è in corso un’importante operazione di psyop, che spaventa i giovani del Paese, rendendoli timorosi e suggestionabili, per condizionarli alle prossime false bandiere che dipingeranno la Russia come l’aggressore:

Al momento in cui scriviamo, la Polonia ha persino invitato le truppe tedesche nel suo Paese per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale:

La Polonia è pronta ad ospitare truppe tedesche sul suo territorio per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, ha dichiarato domenica il vice ministro degli Esteri Andrzej Szejn al quotidiano Rzeczpospolita. La dichiarazione di Szejn segna una drammatica rottura rispetto ai suoi predecessori, che avevano giurato che sarebbero passate “sette generazioni” prima che gli stivali tedeschi tornassero a marciare in Polonia.

Herzlich willkommen!

Quando la guerra si svolge al di là del nostro confine orientale, qualsiasi aiuto e cooperazione da parte dei nostri alleati è il benvenuto”, ha dichiarato Szejn a Rzeczpospolita. “Quindi, se i tedeschi vogliono rafforzare il fianco orientale della NATO in Polonia come hanno fatto in Lituania, herzlich willkommen!”, ha aggiunto, usando l’espressione tedesca per “caloroso benvenuto“.
Tutto questo mentre la NATO si prepara ad ospitare il mese prossimo Steadfast Defender, la sua autoproclamata più grande esercitazione dai tempi della Guerra Fredda:

Su Twitter/X, i fedeli camerieri stanno pompando thread molto diffusi su come la Russia sia sicuramente pronta ad attaccare presto l’Europa. Per esempio, questo di un pezzo grosso del dottorato in politica di Oslo:

Alla luce di ciò, inizia a cristallizzarsi ciò che dico da mesi: che il richiamo di massa di Shoigu di un esercito completamente secondo e gigantesco nel 2023 era finalizzato a scoraggiare e a difendersi proprio da questo. La Russia ha visto esattamente ciò che la NATO stava telegrafando e quindi ha rapidamente riattivato i due nuovi distretti militari sul fianco occidentale, così come ha rapidamente raccolto un esercito di 500.000 uomini che è effettivamente superiore in termini di dimensioni a quello che sta combattendo in Ucraina – che secondo l’ultima contabilità di ISW e dell’Ucraina è di ~467.000 persone.

In realtà, tutti nella sfera russa si sono apertamente accorti di questi movimenti e della direzione che stanno prendendo le cose. Per esempio, ascoltate ciò che Putin ha recentemente detto molto candidamente sull’invasione della NATO:

Anche la direttrice di RT Margarita Simonyan ha colto lo zeitgeist:

Se una guerra mondiale scoppierà ora o un po’ più tardi dipende dal fatto che Washington pensa che sarà utile per loro ora, prima delle elezioni, o dopo. A giudicare dal silenzio giulivo dei media americani, stanno ancora decidendo. – Il capo redattore di RT, Margarita Simonyan
Ma l’uomo che ha catturato meglio il momento spaventoso è stato il presidente bielorusso Lukashenko:

Sulla stessa linea di quanto detto sopra, il politologo russo Andrei Shkolnikov ha previsto che i prossimi 5-7 anni saranno un periodo di particolari sconvolgimenti, dato che, a suo avviso, l’ordine globale sta crollando e il vuoto di potere che ne deriva sta causando una lotta tra gli attori. In particolare, ritiene probabile un conflitto tra Stati Uniti e Cina nel periodo 2025-2026, con la possibilità di arrivare al nucleare.

L’altra spiegazione recente più suggestiva è quella dello storico francese Emmanuel Todd, che ha delineato con grande acume l’attuale conflitto europeo e come si risolverà a suo avviso. Ascoltate qui sotto:

L’autore inizia con un’esposizione abbastanza banale, ma si lancia subito in una proposta estremamente innovativa: la configurazione attuale è inversa a quella dell’inizio del XX secolo. Ora, invece di una vasta crescita industriale e di boom demografici, abbiamo recessione e catastrofe demografica. Ciò significa che nessun Paese occidentale è in grado di sostenere le guerre dell’era industriale. A suo avviso, questo porterà l’Occidente ad arretrare e l’America a ritirarsi.

Sebbene io sia d’accordo con il taglio generale e il sentimento della sua proiezione, ci sarà ovviamente un punto culminante molto pericoloso da qualche parte all’apice esatto, in cui le cose raggiungeranno il picco e si trasformeranno o in una rovina o in una de-escalation a pressione. Dati i piani della NATO apertamente telegrafati e descritti in questo articolo, quel punto di apice sembra essere fissato all’inizio del 2025.

Come ultimo punto a questo proposito, mentre abbiamo stabilito che questi eventi sono stati architettati per coincidere perfettamente con le fatidiche elezioni americane, dobbiamo anche considerare un’altra importante prospettiva. La stessa guerra in Ucraina è uno dei cardini dell’attuale e più ampio collasso dell’ordine egemonico occidentale guidato dagli Stati Uniti. Molti ricorderanno che da tempo prevedo che il conflitto ucraino raggiungerà un punto culminante all’inizio o alla metà del 2025. Il motivo di tale proiezione è il punto chiave: è quanto ho previsto che l’Ucraina possa andare avanti prima di crollare completamente.

Non sorprende quindi che questa nuova spinta bellica urgente coincida proprio con il punto terminale che rappresenta l’ultima capacità di resistenza dell’Ucraina. Questo ci dice che la NATO intende potenzialmente “intervenire” come ultimo disperato ripiego per salvare l’Ucraina dalla totale e schiacciante sottomissione russa. Potrebbero continuare ad aumentare il volume delle minacce come messaggio alla Russia, con l’intento di indurre quest’ultima a scendere a compromessi su un nuovo accordo di cessate il fuoco nella zona di demarcazione. Ma una volta che la Russia lo rifiuterà, l’ultimo disperato stratagemma potrebbe essere quello di aspettare che l’Ucraina sia assolutamente all’ultimo stadio, verso la fine del 2024 e la metà del 2025, e allora, se la Russia sta ancora spingendo in avanti e l’Ucraina è prossima al collasso, potrebbe essere avviato il Piano C. Inizieranno provocazioni immediate su Kaliningrad per costringere la Russia ad agire, mentre i loro organi di informazione globali spingeranno la narrazione che la Russia ha “realizzato” la loro profezia autoavverante di “attaccare la NATO”. Diranno: “Ve l’avevamo detto! Abbiamo scritto articoli per mesi che descrivevano come Putin non si fermerà all’Ucraina e intende conquistare tutta l’Europa!”.

E sarà vero, le centinaia di articoli che si sono autoavverati nel corso dell’anno sembreranno essere stati profetici, per le masse stupefatte – il che indurrà le masse suggestionabili a riporre ancora di più la loro fiducia nelle élite sulla strada della guerra. Ma pochi si renderanno conto di come la NATO abbia meticolosamente orchestrato questi eventi per tutto il tempo, attirando la Russia nella rete della sua trappola, proprio come ha fatto originariamente in Ucraina, quando ha agitato la guerra e minacciato la Russia in ogni modo possibile, come ho descritto all’inizio di questo recente mailbag.

Infine, ho riferito per mesi di come la NATO stia cercando silenziosamente di riorganizzare le infrastrutture europee per renderle più adatte a una guerra più ampia contro la Russia. Per esempio, in un rapporto del mese scorso ho osservato che:

Così come è stato menzionato il nuovo annuncio di una “Schengen militare”, come forse ricorderete.

L’intero scopo è quello di creare le infrastrutture favorevoli all’interno dell’Europa per effettuare la totale sovversione della sovranità nazionale delle nazioni europee attraverso un ordine militare d’emergenza, consentendo a una forza NATO controllata dagli Stati Uniti di muoversi liberamente ovunque in Europa come ritengono opportuno, al fine di portare avanti il loro programma di provocazione contro la Russia.

Ora si parla della Romania che sta rapidamente accelerando la costruzione di una nuova autostrada verso l’Ucraina, che potrebbe essere utilizzata per facilitare gli spostamenti militari in un conflitto imminente, soprattutto in considerazione della presenza militare statunitense in quel Paese, e del fatto che la Moldavia continua ad essere l’altro candidato principale per la destabilizzazione e la provocazione per coinvolgere la Russia in un conflitto più ampio con la NATO.

Anche se altri ritengono che abbia più a che fare con la facilitazione dei corridoi cerealicoli ed economici dell’Ucraina:

Senza contare che, a quanto pare, il progetto è in fase di sviluppo da molto tempo, anche prima dello SMO. Ma è piuttosto curioso – se vero – che sia stato improvvisamente portato a un ritmo di emergenza.

In definitiva, molti hanno previsto gran parte degli sviluppi in corso, semplicemente perché quando si comprende a fondo la dinamica militare e geopolitica tra Stati Uniti/NATO e Russia, molti procedimenti vengono molto naturali, come estensioni logiche di certe realtà di realpolitik. Uno di questi commentatori che aveva previsto il potenziale coinvolgimento della Germania è stato il “Profeta di Almaty”, Zhirinovsky.

Guardate il video appena scoperto del 2020, due anni prima dell’OMU:

Arestovich ha anche aggiunto un’interessante aggiunta recente a queste riflessioni:

Ha ragione, ma non nel modo in cui la maggior parte degli occidentali lo capirebbe. Non è che la Russia intenda assorbire tutti i suoi vicini, di per sé. È semplicemente che gli Stati Uniti intendono usarli tutti come avanguardie per distruggere la Russia. E quindi, nei conflitti che ne deriveranno, la Russia non avrà altra scelta che pacificare e occupare questi Paesi per evitare che diventino avamposti o trampolini per attacchi contro la Russia.

A riprova di questa mia sintesi, basti pensare alla Georgia. La Georgia è stata usata come trampolino di lancio per attaccare e destabilizzare la Russia. La Russia è entrata e nel giro di una settimana era alla periferia di Tbilisi, la capitale, minacciando di saccheggiare completamente il Paese. Invece, Putin si è ritirato, ritenendo di aver raggiunto l’obiettivo necessario in quel momento di far indietreggiare la Georgia e di dimostrare che la Russia non è semplicemente alla ricerca dell’assorbimento di tutti i vicini. La Russia avrebbe potuto facilmente conquistare e assorbire la Georgia in quel momento, se avesse voluto davvero.

Ma i Paesi particolarmente suscettibili di assuefare leadership e movimenti esistenzialmente inimici alla Russia – quei Paesi finiranno probabilmente per essere assorbiti in tutto o in parte, perché il rischio che rappresentano non può essere affrontato. Poiché l’Ucraina ha storicamente incubato un ceppo altamente virale e feroce di sentimenti anti-russi, rappresenta una particolare forma di pericolo per la Russia, il che significa che non si può permettere che cada sotto il controllo dell’Occidente.

Nonostante la paranoia bellica che mi sembra soffocante, continuo a sostenere che non si arriverà a tanto. Come sempre, non si tratta di un binomio, ma di uno spettro di probabilità. Per me la probabilità che il sangue freddo prevalga è ancora di circa 70/30, più o meno, soprattutto se quest’anno la Russia eserciterà una forza prepotente e decisiva sull’Ucraina, che fungerà da deterrente per svegliare il secondo livello burocratico dell’Europa e per contrastare qualsiasi fantasia di sfidare militarmente la Russia. Questo timore si sta già manifestando, visto l’articolo del Sunday Times di questa settimana che ha rivelato – come ha detto un presidente di commissione del Bundestag – il vero motivo per cui Scholz si è rifiutato di fornire missili Taurus all’Ucraina: teme un’escalation della Russia:

 

Lo stesso articolo afferma che il vero motivo per cui Biden non fornisce potenti armi a lungo raggio all’Ucraina è che anche lui teme il martello nucleare della Russia:

Ecco perché ritengo che, nonostante la fervente agitazione della piccola avanguardia neocon, quando il momento critico culminante arriverà alla fine di quest’anno o nel prossimo, è molto probabile che l’Occidente si tirerà indietro con paura e si rifiuterà di rischiare l’annientamento totale delle proprie civiltà. A quel punto, la precedente previsione dello storico francese Emmanuel Todd avrà buone probabilità di realizzarsi: il lento declino del potere dell’America in Europa, mentre l’America stessa è dilaniata da lotte interne e sconvolgimenti sociali nel quasi certo caos elettorale post-2024, seguito da un’eventuale marea travolgente di partiti politici ragionevoli che potrebbero potenzialmente conquistare l’Europa e rimodellare il continente, portando a un’era di pace almeno tesa e di riconciliazione cautamente pragmatica con la Russia.


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Assistiamo alla fine della Pax America con deficit militari, fiscali e di “attenzione” – avverte lo studioso, di Uriel Araujo

15, ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici

Molto è stato detto sull’attuale crisi militare americana. Secondo Juan Quiroz, un ufficiale degli affari civili dell’esercito americano che scrive per Foreign Affairs, l’esercito americano si trova ad affrontare una “crisi del personale”. Ethan Brown, a sua volta, senior fellow del Mike Rogers Center for Intelligence and Global Affairs presso il Center for the Study of the Presidency and Congress, parla di “crisi di reclutamento”. Tutto ciò è piuttosto serio di per sé, ma deve anche essere visto come parte di un quadro più ampio, che è stato vividamente disegnato da Niall Ferguson, Senior Fellow presso la Hoover Institution (Università di Stanford) e presso il Belfer Center for Science and International. Affari (Università di Harvard). L’immagine dipinta da questo esperto è quella di un impero in declino.

Ferguson non ha in alcun modo un pregiudizio “antimperialista” o “antioccidentale”. In effetti lui, come storico, ha opinioni positive sull’Impero britannico, ed è noto per considerare (in linea di principio) il concetto di cosiddetta “pax americana” come un naturale successore della pax britannica. Tuttavia, circa vent’anni fa, all’indomani dello sciovinismo post-11 settembre, nel suo libro “Colossus: The Rise and Fall of The American Empire”, sostenne che gli Stati Uniti, pur essendo un impero (uno “che ha osato non pronunciare il proprio nome”), non è stato infatti all’altezza del compito, e ha attirato l’attenzione su quelli che ha descritto come i suoi “tre deficit fondamentali”, vale a dire il deficit economico, il deficit di manodopera e il “deficit di attenzione”. Questa analisi non è superata.

Il primo deficit ha a che fare con il grande debito americano (“se ​​vuoi governare il mondo, aiuta possederne gran parte – piuttosto che doverlo”, scrive ). Per quanto riguarda il “deficit di manodopera”, basti dire che alla maggior parte degli americani manca l’“entusiasmo” per rischiare la vita combattendo guerre per Washington, il che, potremmo aggiungere, spiega perché la superpotenza atlantica deve ricorrere così spesso a guerre per procura . Come ho scritto qualche mese fa, gli Stati Uniti si trovano attualmente ad affrontare una crisi militare, con una carenza di reclute: solo il 23% dei giovani americani (di età compresa tra 17 e 24 anni) è “idoneo al servizio militare senza deroga”. Inoltre, solo il 9% dei giovani cittadini statunitensi prenderebbe seriamente in considerazione il servizio militare . Questo è ovviamente un disastro per la cosiddetta “forza di volontariato” (AVF), fondata 50 anni fa, che ha avuto il suo ultimo reclutamento nel 1973.

Infine, il “deficit di attenzione”, quello “più grave”, secondo Ferguson, riguarda la mancanza di concentrazione, pianificazione e volontà politica. Scrivendo nel suo libro sopra citato, all’inizio degli anni 2000, lo studioso sottolinea che “le truppe americane pattugliano le strade del Kosovo, Kabul e Kirkuk… ogni incursione americana ha portato ad un cambiamento di regime politico… descritto eufemisticamente come costruzione della nazione. Ma da dove arriveranno i soldi per garantire il successo di queste imprese? Quanti americani saranno disposti ad andare in questi posti per controllare come vengono spesi quei soldi? E per quanto tempo il pubblico americano in patria sarà pronto a sostenere una politica che costa non solo denaro ma anche vite umane?”

Questa non è, sia chiaro, una denuncia morale o etica delle guerre americane o degli interventi stranieri. Ferguson crede, secondo le sue stesse parole, che “la maggior parte della storia è la storia degli imperi; che nessun impero è esente da ingiustizie e crudeltà”, ma considera gli “imperi di lingua inglese” come “in termini netti, preferibili per il mondo alle alternative plausibili”. La critica di Ferguson è una fredda analisi “tecnica” delle debolezze americane in quanto impero in fallimento (e in caduta).

Nel suo recente articolo per Bloomberg lo storico sostiene che, vent’anni dopo, gran parte della descrizione di cui sopra è ancora valida, a maggior ragione adesso, con l’“elettorato” americano e i suoi politici eletti che perdono “interesse” per “qualsiasi impresa straniera che impiega più tempo che pochi anni per completarlo” (si rammarica). Pertanto, l’“appetito” dell’impero americano per la “costruzione della nazione” in Iraq, che senza dubbio può essere descritta come una politica neocoloniale ”, e in Medio Oriente non è riuscito a sopravvivere alla presidenza di George Bush.

Considerando la più ampia crisi sociale e di civiltà affrontata oggi dagli americani americani (che include l’abuso epidemico di oppioidi, un sistema sanitario al collasso , uno scandalo sulla carenza di cibo per bambini e una crisi di salute mentale , per citarne solo alcuni), non c’è affatto da meravigliarsi che Il pubblico perde sempre più interesse per le guerre straniere e la maggior parte dei giovani non è qualificata o non vuole far parte dell’esercito. Come sottolinea Ferguson, “con 452.000 soldati in servizio attivo, l’esercito americano è il più piccolo dal 1940”. Da qui il “deficit militare”.

Tornando al deficit finanziario e fiscale, aggiunge, nel 2003 il debito federale totale americano era pari al 59% del PIL; nel 2022 è raddoppiato, raggiungendo il 120% del Pil. Sul “deficit di attenzione”, la campagna militare in Ucraina, lamenta Ferguson, ha appena smesso di essere una notizia in prima pagina negli Stati Uniti. Lo scenario plausibile dell’elezione di Donald Trump, osserva, potrebbe essere il colpo fatale.

Non è solo all’Ucraina che gli Stati Uniti sembrano rinunciare come arena per guerre per procura (o, in alcuni casi, per occupazione diretta): Washington ha fallito in Iraq, come già accennato, e si è ritirata dall’Afghanistan . Eppure, ora vuole impegnarsi in una guerra regionale più ampia in Medio Oriente (dalla parte di Israele) e nel “contenimento” della Cina a Taiwan e altrove.

Il problema è che, secondo Ferguson, “la lezione della storia è che quando si prendono tali impegni, è estremamente pericoloso non mantenerli”. Per riassumere, con le sue parole: “La pax americana sembra finire”. Si potrebbe aggiungere che non è mai stata una gran pax stare con lui. L’emergere di un ordine globale multipolare e policentrico, pur comportando sfide e una certa instabilità iniziale, potrebbe fornire a gran parte del Sud del mondo fruttuose opportunità di non allineamento e multiallineamento . Anche l’Europa può avere la possibilità di esercitare finalmente parte di quella “ autonomia strategica ” di cui si è tanto parlato ultimamente – nel migliore interesse europeo. E anche la popolazione statunitense, a sua volta, potrebbe trarre vantaggio da un cambiamento nelle priorità di bilancio per affrontare tutte le crisi interne sopra menzionate, riportando quella vecchia tradizione americana di lieve isolazionismo a una superpotenza sovraccarica . Questo è il quadro più ampio che sembra mancare a Niall Ferguson.

Uriel Araujo

Dottoranda (UnB), giornalista
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Perché la Germania sta precipitando nella crisi. Intervista con Markus Kerber, da REVUE CONFLITS

Perché la Germania sta precipitando nella crisi. Intervista con Markus Kerber
da REVUE CONFLITS

Mostruose manifestazioni a Berlino e in tutta la Germania, crisi energetica, fragilità dell’industria, minacce di chiusura: la Germania è in preda a molteplici crisi. Quali sono le cause e come può il Paese uscirne? Intervista con Markus Kerber.
Intervista di Louis Juan

I recenti avvenimenti in Germania sembrano piuttosto opachi sulla nostra sponda del Reno. Chi sta manifestando e perché?

La Francia è abituata alle rivolte regolari degli agricoltori. Fa parte del panorama politico di un Paese con un settore agricolo molto vasto e ribelle. Al contrario, gli agricoltori tedeschi – in numero molto inferiore a quelli francesi – sono meno rumorosi. Questa volta, il grido di protesta dovrebbe essere sentito anche in Francia e il malcontento agricolo tedesco troverà un’eco in Francia. La Francia può finalmente immaginare una Germania rivoluzionaria?

In quali regioni le proteste sono più virulente?

In tutta la Germania, gli agricoltori manifestano con i loro trattori e bloccano il traffico, in un momento in cui lo sciopero delle ferrovie costringe la gente a usare l’automobile. La ritrovata fiducia e l’orgoglio sociale degli agricoltori li ha spinti a boicottare il ministro dell’Economia Habeck, costretto a rimanere un po’ più a lungo sulla sua isola di vacanza perché gli agricoltori avevano impedito il suo ritorno sul continente.

Come reagì il governo Scholz a queste richieste?

Stigmatizzando i manifestanti come “di estrema destra”. Ciò ricorda il trattamento riservato dal governo comunista ai dissidenti nella DDR nel 1989: secondo l’ufficio politico del PC, tutti i dissidenti erano “revanscisti e fascisti”. In realtà, il governo Scholz è caduto in una trappola: non ha capito l’impatto della cancellazione dei sussidi per l’acquisto del diesel, un carburante essenziale per i trattori. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Agricoltori e macchinisti in sciopero: quali sono i rischi per l’economia tedesca?

La Germania sta sprofondando nella recessione. Ma gli effetti politici sono più importanti. I cittadini sono stufi non solo di questo governo, ma anche dell’oligarchia dei partiti: la posta che non arriva più a destinazione, i treni in ritardo e l’intera rete ferroviaria in disordine, le vessazioni giacobine dei Verdi nei confronti della popolazione e le continue violazioni del bilancio. Quando è troppo è troppo. Il sistema tedesco è allo stremo!

Il tentativo di compromesso di ridurre i sussidi in modo graduale, anziché diretto, sta riscuotendo il consenso degli agricoltori?

Ovviamente no, perché il risultato inaccettabile per gli agricoltori rimarrà lo stesso. Inoltre, non possono alimentare i loro trattori con l’elettricità come gli automobilisti. Quindi la loro battaglia è solo all’inizio.

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Crisi energetica: “I tedeschi capiscono di essere stati ingannati”. Intervista con Samuel Furfari

Il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha definito le proteste “sproporzionate”. Pensa che questa crisi rifletta una mancanza di comprensione tra il popolo tedesco e le sue élite?

Il cosiddetto partito “liberale” di Lindner, entrato in politica dopo una carriera fallimentare come “imprenditore”, ha abbandonato tutte le sue promesse: patto di stabilità, rigore di bilancio, riduzione delle tasse e dei contributi sociali. È diventato il partito delle promesse non mantenute, che sarà giudicato dagli elettori come è giusto che sia. Il piacere di essere al potere e di fare a pugni con i grandi li ha completamente accecati. Inoltre, questo ambiente liberale disprezza il mondo del lavoro, sia nell’industria che nell’agricoltura. Avranno il loro tornaconto.

In Germania, le tasse rappresentano circa il 40% del costo totale di un litro di gasolio. I tedeschi dovrebbero temere un aumento delle tasse in un momento in cui il Paese sembra impantanato in una crisi energetica?

Il prezzo del carburante oggi è paragonabile al prezzo del pane nel 1789. La Germania sta pagando a caro prezzo le sue follie ambientaliste. Questo movimento antimoderno di puristi giacobini crede di essere stato intronizzato dalla storia per ridurre a zero le emissioni della Germania. La Germania è responsabile del 2,5% delle emissioni globali di CO2. Si tratta quindi di una sfida globale che deve essere affrontata a livello globale.

Visto il mantra dell’UE sulle energie rinnovabili, dobbiamo temere eventi simili in Francia o in altri Paesi europei?

Non c’è da temere, ma da sperare.

Crisi energetica: “I tedeschi capiscono di essere stati ingannati”. Intervista con Samuel Furfari
di SAMUELE FURFARI

Dopo vent’anni di intenso lavoro di lobby a favore delle energie rinnovabili e della distruzione del nucleare francese, la Germania è stata finalmente colpita da una crescente crisi energetica. Insoddisfatti, i tedeschi si riuniscono l’8 gennaio per protestare contro l’aumento dei prezzi dell’energia. Samuel Furfari ci spiega.

Samuel Furfari è professore di Politica energetica e Geopolitica presso l’École Supérieure de Commerce de Paris (campus di Londra) e ha insegnato la materia all’Université Libre de Bruxelles (ULB) per 18 anni. Ingegnere con un dottorato in scienze applicate (ULB), è stato per 36 anni funzionario della Direzione generale dell’Energia della Commissione europea.

La Germania ha ceduto all’ideologia. Non dobbiamo dimenticare che i tedeschi sono principalmente pacifisti a causa della Seconda guerra mondiale. Hanno associato la guerra al nucleare. Quindi i pacifisti tedeschi sono anche contrari al nucleare quando si tratta di produzione di energia. Il secondo fattore è che i sovietici della Germania Est hanno convinto i tedeschi dell’Ovest che l’energia nucleare non era necessaria. L’URSS vedeva che l’Occidente stava guadagnando un vantaggio troppo grande con lo sviluppo dell’energia nucleare, e questo slancio doveva essere fermato. Queste cause hanno convinto la maggioranza dei tedeschi a essere contrari al nucleare. Da quel momento in poi, abbiamo dovuto trovare altri modi per produrre elettricità.

La Germania è sempre stata un Paese ad alta intensità di carbone, con le settime riserve mondiali di carbone, principalmente sotto forma di lignite. Per mantenerla e adottare una linea ecologica, i tedeschi volevano sviluppare le energie rinnovabili. E dopo tutto, perché no? Era logico provarci, visto che l’Unione Europea aveva sviluppato queste tecnologie fin dalla crisi petrolifera degli anni ’70. Ma è un fallimento: le energie rinnovabili sono un’opzione che non si può più fare. Ma è un fallimento: l’energia rinnovabile non produce abbastanza energia e costa molto denaro per un impatto minimo sul pianeta. La maggior parte dell’energia eolica tedesca è prodotta sulla terraferma. Il Paese ha ora bisogno di sviluppare l’energia eolica offshore, perché la terraferma è quasi satura. E se le turbine eoliche sulla terraferma sono difficili, lo sono ancora di più in mare. Spesso si rompono a causa degli spruzzi del mare. E i costi di manutenzione e riparazione sono enormi. Più turbine eoliche offshore costruisce la Germania, più costosa è l’energia. Questo è uno dei motivi per cui i prezzi dell’energia stanno aumentando. Ma oggi il governo ha trasferito l’aumento dei prezzi attraverso sussidi diretti, il che significa che sono le tasse dei tedeschi a pagare il costo aggiuntivo dell’elettricità rinnovabile.

Di fronte ai fallimenti bisogna aprire gli occhi, ma i politici tedeschi non vogliono ammettere di essere arrivati a un punto morto e stanno sprofondando nella crisi.

Quando è iniziata questa politica delle energie rinnovabili?

L’idea esiste dagli anni Settanta e Ottanta. Le energie rinnovabili sono state favorite non a causa del cambiamento climatico, ma come risposta alle crisi petrolifere. Ma è soprattutto negli anni Duemila che i tedeschi hanno iniziato a credere fermamente nelle energie rinnovabili, con una strategia chiamata EnergieWende, che abbiamo tradotto come transizione energetica. Nel 2005, la signora Merkel chiese al Presidente della Commissione europea di sviluppare una tabella di marcia per l’introduzione delle energie rinnovabili, per costringere tutti i Paesi europei ad adottarle. Ho lavorato personalmente a questo dossier. L’UE aveva proposto un pacchetto clima-energia, con la promozione delle energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni di CO₂, che la Francia interpretava come “nucleare”.

L’adozione politica della direttiva risale al dicembre 2008, sotto la guida di Nicolas Sarkozy, che ha negoziato la direttiva stessa. Egli difendeva una politica basata sul nucleare, mentre i tedeschi puntavano sulle energie rinnovabili. È stato tutto un grande mercanteggiamento. Sarkozy è stato ingannato, perché i tedeschi hanno mantenuto la loro opposizione al nucleare. La Germania ha guidato l’intera Europa sulla sua strada.

Come sta reagendo il governo Scholz alla crisi energetica?

Il governo è completamente bloccato nella sua politica. Nella sua analisi “Fabbisogno finanziario per la produzione di energia elettrica fino al 2030”, l’Istituto per l’economia energetica dell’Università di Colonia stima gli investimenti necessari per l’energia eolica a circa 75 miliardi di euro e per l’energia solare a 50 miliardi di euro. A ciò si aggiungono i costi di sostituzione e manutenzione delle turbine eoliche e dei pannelli solari esistenti, che dovranno essere sostituiti nei prossimi anni. Personalmente, non presto molta attenzione alle previsioni numeriche, perché so come vengono formulate. Molto più importante è l’affermazione degli autori secondo cui non ci si può aspettare che questi nuovi impianti finanzino i loro costi di investimento sul mercato dell’elettricità. Non lo dicono, ma è perché il prezzo dell’elettricità in Germania è già troppo alto rispetto al resto dell’UE. Il governo fornirà sussidi, in altre parole tasserà!

Esisteva già una tassa sulla CO₂ di 30 euro per tonnellata, che dall’inizio di gennaio salirà a 45 euro. Per le famiglie si tratta di un aumento di 100 euro all’anno, che non è molto, ma su scala nazionale è molto.

Se questo è generalmente superabile per una singola famiglia, la sfida è su scala macroeconomica. Moltiplicato per diverse decine di milioni di famiglie e imprese, l’impatto rappresenta un peso enorme per l’economia del Paese. Le cifre vengono annunciate per i singoli individui, ma i costi per il Paese nel suo complesso non vengono mai menzionati. La cosa peggiore è che è tutto inutile. Se, pagando un po’ di più l’energia, i tedeschi avessero un impatto sul clima, potrebbe avere un senso. Ma il risultato è irrisorio e la gente comincia a capire di essere stata ingannata. Da quando la Germania ha intrapreso la EnergieWende, le emissioni globali di CO₂ sono aumentate del 61%. È grazie a questa consapevolezza che il 2023 rappresenta un punto di svolta, un vero passo avanti come l’EnergieWende. Quando ci si rende conto che le belle parole non hanno alcun effetto reale sul pianeta e che rendono la vita più difficile, la gente finalmente si muove.

Gli agricoltori hanno recentemente espresso il loro malcontento. Nel bilancio 2024, il governo tedesco ha deciso di aumentare le tasse sul carburante per gli agricoltori. Gli agricoltori si sono riuniti in grandi manifestazioni (7.000 trattori a Berlino), perché l’impatto sul loro portafoglio era così significativo. Il governo ha avuto un ripensamento e ha appena annunciato l’abbandono di una delle misure decise: “Contrariamente a quanto previsto, l’agevolazione fiscale sui veicoli per la silvicoltura e l’agricoltura viene mantenuta”, si legge in un comunicato stampa del governo.

Ma gli agricoltori non si arrendono e vogliono che tutte le misure decise contro di loro vengano abbandonate. L’8 gennaio si terrà in Germania una grande manifestazione contro i prezzi dell’energia, alla quale intende aderire un’ampia fetta della classe operaia, che infastidirà il Cancelliere Scholz, il cui partito SPD è vicino ai sindacati. Un’altra manifestazione è prevista per il 15 gennaio.

Il governo è in grosse difficoltà, perché il 15 novembre 2023 la Corte Costituzionale ha annullato il “fondo di transizione energetica” da 60 miliardi di euro, destinato a sovvenzionare le energie rinnovabili. Berlino dovrà trovare questa somma aggiuntiva, rispettando l’obbligo del “freno al debito” sancito dalla Costituzione.

Ci sarà una pressione sulle forniture di elettricità alle famiglie?

No. Non ci sarà un blackout, perché le centrali a carbone esistenti compenseranno l’intermittenza e la variabilità delle turbine eoliche e dei pannelli solari. L’autorità di gestione della rete (BNetzA) ha appena chiesto alle sue centrali di non programmare lo smantellamento prima del 2031. La Germania ne ha troppo bisogno.

L’unica pressione sulle famiglie tedesche sarà sul loro portafoglio, ma ripetiamolo, soprattutto a livello macroeconomico.

Che impatto avrà la crisi energetica sull’industria tedesca?

L’industria tedesca, soprattutto quella chimica, ha beneficiato per anni di prezzi energetici relativamente bassi grazie al gas russo fornito da Gazprom. Non dimentichiamo che gli idrocarburi non sono solo una fonte di energia, ma anche la materia prima per l’industria chimica, così importante in Germania. Gli alti salari tedeschi erano compensati dal basso prezzo del gas. Ora che il gas non è più disponibile, questo vantaggio è andato perduto. Il risultato è stato una grave crisi economica. L’industria chimica tedesca è stata la più colpita e si è organizzata per delocalizzare. Il governo tedesco ha finalmente deciso di reagire e ha appena firmato un accordo di fornitura di gas con la Norvegia del valore di 50 miliardi di euro. Una società statale tedesca, la SEFE (ex Gazprom Germania), si è aggiudicata il contratto perché la Germania ha bisogno di stabilità. I tedeschi stanno quindi iniziando a capire che il Paese ha bisogno di gas e carbone per funzionare e che l’energia completamente rinnovabile, da loro fortemente finanziata, è un’utopia. È stato detto loro che tutto è rinnovabile, pulito e a basso costo, ma ora il governo corre come un pollo senza testa per trovare gas ovunque possa, a qualsiasi prezzo. I tedeschi hanno capito.

Se le aziende iniziano a delocalizzare a causa dei prezzi dell’energia, la disoccupazione salirà alle stelle e il malcontento crescerà ancora di più. Come sempre in economia, i conti tornano.

E l’industria automobilistica?

Non so cosa pensare, è così incredibile. L’industria automobilistica è il fiore all’occhiello del know-how tedesco, all’avanguardia dell’innovazione tecnologica. Ma vogliono anche puntare sull’EnergieWende, sull’elettricità totale. Non solo stanno perdendo il loro know-how, ma non hanno nemmeno la necessaria elettricità a basso costo, dato che le forniture elettriche sono sotto pressione. Inoltre, agli ecologisti non piacciono le auto elettriche, perché sono… auto. A causa di un errore energetico, la Germania sta abbandonando il suo fiore all’occhiello industriale per passare nelle mani dei cinesi, che hanno il monopolio virtuale della produzione di batterie. Abbiamo appena appreso che nel 2023 nell’Unione Europea saranno vendute più auto cinesi che giapponesi. Inoltre, come abbiamo visto, la loro elettricità non è neutrale dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica, dal momento che hanno chiuso le loro centrali nucleari e le hanno sostituite con centrali a gas senza chiudere quelle a carbone.

Di fronte alla crisi energetica e al fatto che l’UE ha finalmente riconosciuto il nucleare come energia verde, pensa che la Germania cambierà direzione?

Tutto dipende dai cambiamenti politici. L’attuale governo di Olaf Scholz è impopolare e caotico. Ecologisti e liberali puri sono al potere fianco a fianco. I Verdi vogliono abolire le centrali a carbone, ma la SPD, vicina ai sindacati, ne difende il mantenimento. L’FDP, che un tempo era un liberale apartitico, non ama le tasse, eppure per mettersi d’accordo con gli ecologisti sta accettando sempre più tasse. Questi elettori storici se ne accorgeranno alle prossime elezioni.

Restano due anni di potere e nel frattempo l’opposizione si sta organizzando. Il partito della Merkel sta aprendo al nucleare e il crescente partito di destra (AFD) è contrario alle fonti rinnovabili. È molto probabile che le cose cambino tra due anni. Già alle elezioni europee del 9 giugno dovremmo assistere a un cambiamento significativo. In ogni caso, non possiamo pensare che l’attuale coalizione, che è così antipatica, si ritiri per andare alle urne, perché i partiti che la compongono perderebbero inevitabilmente.

La Francia è mai stata in grado di affermarsi sulla questione dell’energia nucleare in Europa?

La Germania ha dettato la politica delle energie rinnovabili. Nel 2023 c’è stata una forte reazione contro questa politica. L’odio per l’energia nucleare si era spinto a tal punto che era necessario reagire all’opposizione del movimento antinucleare a Bruxelles-Strasburgo e a Berlino. A questa situazione deleteria ha posto rimedio in extremis l’azione di Francia e Polonia, che hanno affermato nel quadro della tassonomia che il nucleare è un’energia verde.

Ma a Bruxelles-Strasburgo il peso antinucleare è ancora molto forte e la Germania domina ancora l’Europa. Su 705 eurodeputati, la Germania ne ha 96 – 3,7 volte di più della media per Stato membro.

Qual è la posizione dei partiti pro e contro il nucleare in Europa?

I leader pro-nucleare sono Francia e Polonia, seguiti da Bulgaria, Ungheria, Finlandia, Repubblica Ceca e Croazia. La Svezia è appena tornata in forze nel campo pro-nucleare. I Paesi Bassi avevano deciso di puntare sulle energie rinnovabili, ma stanno tornando al nucleare. Lo stesso vale per l’Italia, che per 30 anni è stata fortemente antinucleare.

L’altra parte dell’Europa – Germania, Austria, Spagna e Lussemburgo – si oppone.

L’articolo 194 del Trattato di Lisbona lascia agli Stati membri la libertà di scegliere la propria energia. Bruxelles-Strasburgo non può vietare il nucleare. Ma in pratica, limitando i finanziamenti e dando priorità assoluta alle energie rinnovabili, l’UE ha sabotato il nucleare negli ultimi quattro anni. Eppure il Trattato Euratom – tuttora in vigore – afferma che la missione dell’Unione è quella di contribuire al rapido sviluppo dell’industria nucleare per aiutare a “migliorare il tenore di vita” degli Stati membri.

La questione dell’energia in Europa si gioca a livello comunitario?

L’Unione europea è nata dall’energia, dal Trattato CECA e dal Trattato Euratom. Per 60 anni, l’obiettivo è stato quello di avere energia “abbondante e a buon mercato”, come deciso nella riunione di Messina del giugno 1955. Dal Trattato di Lisbona, l’energia è una competenza condivisa tra gli Stati membri e l’Unione, ma come abbiamo detto, gli Stati membri sono liberi di scegliere le energie che utilizzano. La politica di riduzione delle emissioni di CO₂ ha stravolto questa prerogativa fondamentale dei Trattati. È sorprendente che nessuno Stato membro metta in discussione l’abbandono della sovranità energetica, nonostante sia prevista dal Trattato di Lisbona. È chiaro che, grazie agli ecologisti di tutte le parti a Bruxelles-Strasburgo, la lotta al cambiamento climatico è più importante della sovranità nazionale e della sicurezza dell’approvvigionamento energetico, che sono elementi fondamentali del Trattato di Lisbona. Il ruolo della Germania, portabandiera dell’UE, è stato decisivo negli ultimi anni nella mancata applicazione dei trattati europei, ma ciò è avvenuto con la complicità degli Stati membri. È facile criticare l’uno o l’altro, ma alla fine è il Consiglio europeo il responsabile ultimo, perché tutti i Paesi hanno ceduto all’ideologia tedesca. È chiaro che la politica energetica europea oggi è ideologica, avendo abbandonato la razionalità che aveva nei primi 60 anni della sua esistenza. Lo dimostro nel mio libro Insicurezza energetica: la distruzione organizzata della competitività dell’UE.

Le elezioni europee del 9 giugno saranno cruciali. Se i sondaggi sono attendibili, gli ecologisti tedeschi perderanno molti seggi, ma è probabile che perdano anche in Belgio, Francia e altrove. Una nuova maggioranza a Strasburgo potrebbe essere ottenuta questa volta senza gli ecologisti. Ciò metterebbe in discussione l’intera politica energetica perseguita dall’attuale Commissione europea, una politica verde tedesca.

Anche la COP28, pur voluta e guidata dagli attivisti verdi, ha contribuito a invertire la rotta. A Dubai, gli attivisti ambientalisti volevano che si decidesse di abbandonare i combustibili fossili e hanno ottenuto il contrario, anche se nelle conclusioni si afferma la necessità di sviluppare le energie rinnovabili. Per garantire l’essenziale sicurezza dell’approvvigionamento energetico – molto più importante della riduzione delle emissioni globali di CO₂ – la COP28 riconosce al punto 29 che ogni Paese è libero di scegliere la propria transizione e le energie che decide di utilizzare. Questa potrebbe essere, ad esempio, la transizione dal legno al carbone (vedi la mia analisi su Factual). I Paesi in via di sviluppo – l’Africa nel suo complesso, ma anche la Cina e l’India – continueranno a utilizzare i combustibili fossili, perché hanno capito che le energie rinnovabili promosse dalla Germania sono costose e non hanno alcun impatto sulle emissioni complessive di CO₂. I media non hanno visto, o non hanno voluto vedere, il serpente che la COP28 di Dubai ha fatto ingoiare alla Germania, all’UE e agli ambientalisti di tutti i partiti. La realtà della sovranità energetica ha semplicemente capovolto la situazione e le energie rinnovabili non convincono nessuno al mondo.

Qual è l’equilibrio da raggiungere, secondo lei?

Dobbiamo innanzitutto porre fine al manicheismo, all’idea di tutte le fonti rinnovabili o anche semplicemente alla priorità data alle energie rinnovabili e al divieto del nucleare; tutto ciò è contrario al Trattato di Lisbona! In secondo luogo, dobbiamo riconoscere che le turbine eoliche non possono riprodursi da sole: non possiamo utilizzare le energie rinnovabili per produrre la moltitudine di materiali necessari al loro impiego e, più in generale, per produrre tutti i materiali di cui abbiamo bisogno per vivere. Non possiamo produrre cemento, vetro, automobili, trattori, navi container o smartphone con l’energia eolica o solare. Inoltre, nonostante l’energia nucleare sia essenziale per fornire tutta l’elettricità di cui il mondo avrà bisogno, viene utilizzata solo per produrre elettricità, che rappresenta solo il 22% del consumo finale di energia nell’UE. Il resto dell’energia è termica e viene utilizzata per riscaldare le case, alimentare i veicoli terrestri, marittimi e aerei, produrre materiali, far funzionare le fabbriche, produrre i nostri alimenti e così via. Non dobbiamo quindi dimenticare i combustibili fossili, che rappresentano l’84% dell’energia mondiale, come l’Europa sta cercando di fare da alcuni anni.

Questo è quanto è stato deciso alla COP28, con grande disappunto degli ecologisti tedeschi. La razionalità ci porta a non dimenticare le fiamme. Questo è stato l’errore della Germania, che dovrebbe rimettersi in sesto al più presto. A partire dal giugno 2024, l’Unione Europea farà meglio a liberarsi da questa tutela energetica tedesca, se vuole ancora giocare un ruolo globale.

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La Polonia è nel pieno della sua peggiore crisi politica dagli anni ’80, di ANDREW KORYBKO

La Polonia è nel pieno della sua peggiore crisi politica dagli anni ’80

ANDREW KORYBKO
10 GEN 2024

O continuerà a scivolare ulteriormente sotto la tutela tedesca come uno Stato fantoccio de facto, il cui popolo sarà costretto a subire l’imposizione a tutti gli effetti delle politiche liberali-globaliste, oppure riacquisterà la propria sovranità per proteggere il proprio stile di vita storicamente conservatore-nazionalista.

In meno di un mese dal suo ritorno al potere, il primo ministro polacco Donald Tusk ha gettato il suo Paese nella peggiore crisi politica dagli anni Ottanta. L’Istituto di cultura giuridica Ordo Iuris ha concluso in un rapporto dettagliato a fine dicembre che le “riforme” giudiziarie e dei media da lui programmate sono anticostituzionali. In breve, egli vuole subordinare la sovranità polacca alle istituzioni europee controllate dalla Germania, esattamente come il presidente dell’ex partito al potere Jaroslaw Kaczynski aveva ripetutamente messo in guardia l’anno scorso.

Non è un’iperbole nemmeno descrivere la crisi politica causata da queste cosiddette “riforme” come una crisi costituzionale, dal momento che il nuovo presidente del Sejm, Szymon Holownia, ha appena sospeso i lavori per una settimana proprio con questo pretesto, utilizzando l’esatto linguaggio che lui stesso ha usato. Tuttavia, ciò non è dovuto alla silenziosa adesione della Polonia al nuovo patto migratorio dell’UE, che imporrà l’importazione di immigrati clandestini sotto pena di sanzioni pecuniarie, né all’energico sequestro dei media nazionali da parte di Tusk.

Ciò che ha portato tutto a questo punto è stato l’arresto da parte della polizia di due ex ministri all’interno del palazzo presidenziale, che erano stati precedentemente graziati dal Presidente Andrzej Duda per aver presumibilmente intrappolato un sospetto, dopo che la Corte Suprema aveva controverso riaperto il loro caso e li aveva poi condannati. Duda proviene dall’ex partito di governo e rimarrà in carica fino alle elezioni presidenziali previste per la primavera del 2025, a meno che non venga in qualche modo rimosso prima di allora, cosa che non si può escludere.

Tusk ha accusato Duda di aver ostacolato la giustizia dopo aver invitato i due ex ministri al palazzo presidenziale per l’evento a cui hanno partecipato prima di essere arrestati dalla polizia il giorno stesso. Questo scandaloso incidente è stato condannato da Kaczynski e dai suoi compagni di partito, che ne hanno approfittato per promuovere la loro “Protesta dei polacchi liberi” programmata per giovedì fuori dal Sejm. Hanno anche paragonato gli eventi all’epoca della legge marziale degli anni ’80, insinuando che il loro partito sia il nuovo movimento Solidarność.

Se l’opposizione replicherà la politica del suo predecessore di scioperi, proteste e altre forme di resistenza non violenta al governo autoritario, come è loro diritto tentare di fare date le circostanze in cui si trova ora il Paese, allora il paragone potrebbe diventare un fatto compiuto. Con questo non voglio dire che al momento non sia valido, ma solo sottolineare che il dissesto economico su larga scala che ne potrebbe derivare potrebbe portare a un inasprimento della repressione di Tusk fino alla vera e propria legge marziale.

Il futuro della Polonia sarà deciso dall’esito di questa crisi politica. O continuerà a scivolare ulteriormente sotto la tutela tedesca come uno Stato fantoccio de facto, la cui popolazione sarà costretta a subire l’imposizione a tutti gli effetti delle politiche liberali-globaliste, oppure riacquisterà la propria sovranità per proteggere il proprio stile di vita storicamente conservatore-nazionalista. Se la nuova Solidarność perderà, la società polacca sarà radicalmente e irreversibilmente trasformata come risultato della missione ideologica di Tusk.

Egli prevede che la Polonia importi innumerevoli immigrati clandestini (compresi quelli civilmente dissimili che si rifiutano di assimilarsi e integrarsi nella società), che rimuova tutte le restrizioni sull’aborto (possibilmente fino alla nascita) e che faccia dilagare la propaganda LGBT (con tutti i danni associati sulla psiche dei bambini). Il Paese non si riprenderà mai se questo accadrà, poiché Tusk è anche probabilmente favorevole alla proposta di “Schengen militare” che potrebbe portare a una presenza militare tedesca continua in tutta la Polonia.

Se la polizia locale, i membri dell’intelligence e/o le forze armate finiscono per sostenere la nuova Solidarność, allora Tusk può chiedere il sostegno della Germania per epurare questi elementi “politicamente inaffidabili” dallo Stato e svolgere le loro funzioni fino a quando non si troveranno “sostituti adeguati”. La versione di Tusk della legge marziale potrebbe quindi essere persino peggiore di quella del generale Wojciech Jaruzelski, che non ha mai richiesto il sostegno sovietico, e potrebbe preannunciare il Quarto Reich di cui Kaczynski ha parlato nel dicembre 2021.

Il primo ministro slovacco ha un approccio pragmatico al conflitto ucraino

ANDREW KORYBKO
12 GEN 2024

L’importanza del pezzo di Robert Fico è che rappresenta un’altra visione chiaramente articolata e impressionantemente pragmatica del conflitto ucraino da parte di un leader europeo, dopo le analoghe manifestazioni di Orban negli ultimi due anni.

Il Primo Ministro slovacco Robert Fico, tornato in carica dopo un periodo di pausa in seguito alla sua vittoria alle elezioni dello scorso autunno nonostante l’ingerenza americana nei suoi confronti, ha pubblicato un op-ed di impressionante pragmatismo sul conflitto ucraino. Ha esordito condannando “l’odierna demagogia liberale in difesa della strategia assolutamente fallimentare dell’Occidente contro la Russia in Ucraina”, che ha descritto come il perpetuarsi della crisi, le cui radici ha attribuito al maltrattamento della minoranza russa da parte di Kiev e al controllo degli Stati Uniti sul Paese.

Pur condannando l’operazione speciale della Russia e ribadendo di non volerla come vicina, ha anche condannato l’Occidente per non aver promosso un cessate il fuoco poco dopo l’inizio dell’ultima fase di questo conflitto ormai decennale, alludendo al sabotaggio dei colloqui di pace della primavera del 2022. Secondo Fico, “hanno valutato erroneamente l’uso della forza militare russa come un’opportunità per mettere in ginocchio la Russia” attraverso mezzi economici e militari, non avendo imparato nulla dalla storia.

Di conseguenza, “la Russia controlla completamente i territori occupati dal punto di vista militare, e i tentativi di convincere la comunità internazionale con la demagogia della demoralizzazione dei soldati russi e delle enormi perdite umane si stanno rivelando sempre più come velleità demagogiche. L’Ucraina non è in grado di effettuare una significativa controffensiva militare, è diventata completamente dipendente dagli aiuti finanziari dell’Occidente con conseguenze imprevedibili per gli ucraini negli anni a venire”.

Fico ha aggiunto che “la posizione del presidente ucraino è scossa, mentre il presidente russo aumenta e rafforza il suo sostegno politico. Né l’economia né la moneta russa sono crollate, le sanzioni antirusse aumentano l’autosufficienza interna di questo enorme Paese, i giganti energetici russi registrano forniture record a Cina e India”. Allo stesso tempo, ha richiamato l’attenzione su come rispettabili addetti ai lavori ucraini abbiano ammesso un peggioramento della corruzione, che scredita ulteriormente la causa di Kiev.

Data la sequenza di eventi e il conseguente stato di cose che ha descritto finora, Fico prevede che l’Occidente manterrà la rotta continuando a versare armi e denaro in Ucraina, anche se invano, ma comunque perché i suoi leader non possono “ammettere apertamente la scorrettezza della strategia adottata”. Questa arroganza in realtà peggiorerà ulteriormente le cose per l’Ucraina, perché porterà a una posizione negoziale ancora peggiore nel momento in cui l’Occidente deciderà finalmente di congelare il conflitto”.

Il premier slovacco ha concluso il suo intervento auspicando che gli Slavi smettano di combattersi tra di loro, facendo così eco a ciò che il suo alleato ideologico, il primo ministro ungherese Viktor Orban, ha detto lo scorso autunno descrivendo il conflitto come una “guerra fraterna slava” e facendo appello alle sue controparti dell’UE per promuovere la pace e migliorare i legami con la Russia. Il premier slovacco ha promesso di fare la sua parte e si è impegnato a “non essere più soggetto alla stupida demagogia liberale e progressista che offende la giustizia umana di base e che alla fine causerà danni enormi”.

L’importanza del pezzo di Fico è che rappresenta l’ennesima visione chiaramente articolata e impressionantemente pragmatica del conflitto ucraino da parte di un leader europeo, dopo le analoghe manifestazioni di Orban negli ultimi due anni. Con il precedente governo conservatore-nazionalista polacco perseguitato da una feroce campagna di lawfare da parte degli oppositori liberal-globalisti che lo hanno sostituito dopo le elezioni dello scorso autunno, l’Ungheria e la Slovacchia sono ora gli ultimi bastioni di questo paradigma sovrano nel blocco.

È quindi fondamentale che lavorino in tandem per amplificare al massimo i loro punti di vista condivisi, nel tentativo ben intenzionato di attirare il sostegno della base per la ripresa dei colloqui di pace il prima possibile. L’élite dell’Unione Europea, controllata dagli americani, per il momento si oppone, ma il nuovo legame dell’Italia tra gli aiuti all’Ucraina e gli “sforzi per una soluzione negoziata” potrebbe aprire la strada a un cambiamento se altri grandi Paesi seguissero il suo esempio sotto la pressione pubblica di persone ispirate dagli sforzi dei due leader.

Contestualizzare l’affermazione dei media di una possibile complicità polacca negli attacchi a Nord Stream

ANDREW KORYBKO
9 GEN 2024

Quest’ultimo sviluppo narrativo è stato progettato per sviare dalla complicità americana, screditando al contempo l’ex governo polacco e facendo maggiore pressione su Zelensky mentre il conflitto ucraino si sta finalmente concludendo.

Il Wall Street Journal (WSJ) ha riportato martedì la notizia “Nord Stream Probe Hampered by Resistance From Poland”, in cui si citano investigatori europei senza nome che hanno riferito che le loro controparti polacche non erano disposte o incapaci di collaborare, e talvolta condividevano informazioni contraddittorie quando lo facevano. Secondo le fonti del giornale, “gli sforzi dei funzionari polacchi per ostacolare le loro indagini li hanno resi sempre più sospettosi del ruolo e delle motivazioni di Varsavia”.

Il WSJ è stato il primo a riferire l’estate scorsa che la squadra di sabotatori ucraini, che secondo i funzionari occidentali sarebbe responsabile dell’attacco terroristico ecologico del 2022 nel Mar Baltico, aveva attraccato in un porto polacco, ma in questa sede è stato analizzato che si trattava solo di un depistaggio per distogliere l’attenzione dalla complicità statunitense. Il giornalista Seymour Hersh, vincitore del premio Pulitzer, lo scorso febbraio ha citato fonti dell’amministrazione statunitense senza nome per accusare gli Stati Uniti di aver compiuto l’attacco, cosa che la Russia ha accettato ma che Washington ha prevedibilmente negato.

L’ultimo rapporto di quell’outlet sembra essere finalizzato a promuovere lo stesso obiettivo narrativo di quello sopra citato, anche se questa volta implica un maggior grado di fiducia nel fatto che i funzionari polacchi possano aver avuto un ruolo in ciò che è accaduto anche “all’insaputa della leadership politica”. Sperano che il ritorno del primo ministro polacco eurofilo Donald Tusk ispiri i funzionari che avrebbero potuto subire pressioni politiche da parte del precedente governo a collaborare con le indagini.

Il problema, tuttavia, è che “pochi giorni dopo il suo insediamento, Tusk ha licenziato i capi di tutti i servizi di intelligence, compresi quelli coinvolti nell’indagine su Nord Stream”. Questa epurazione dell’ala dell’intelligence della burocrazia permanente del suo Paese è passata in gran parte inosservata dai media occidentali, ma avrebbe certamente fatto notizia se un leader conservatore-sovranista multipolare avesse fatto lo stesso invece di un leader unipolare liberal-globalista come lui. In ogni caso, questo crea maggiori complicazioni investigative.

Tuttavia, gli osservatori non dovrebbero perdere di vista il fatto che il Presidente Putin ha confermato la sua convinzione, alla fine del mese scorso, che “questo è stato fatto, molto probabilmente, dagli americani o da qualcuno su loro ordine”. L’ultimo rapporto del WSJ distoglie l’attenzione dalla complicità di quel Paese, dando credito alla teoria secondo la quale il responsabile sarebbe un gruppo di sabotatori ucraini, e la rafforza insinuando la complicità della Polonia. Quest’ultima svolta narrativa serve a prendere due piccioni con una fava in un momento politicamente conveniente.

In primo luogo, suggerisce che il precedente governo polacco, con il quale Tusk è oggi in feroce polemica per le sue politiche liberal-totalitarie nei confronti dei media e dell’immigrazione clandestina, sia stato quantomeno criminalmente negligente nel non fermare il più grande atto di sabotaggio sul suolo europeo dalla Seconda Guerra Mondiale. Nel peggiore dei casi, è stato presumibilmente complice di questo attacco che, secondo la narrazione occidentale non ufficiale dell’anno scorso, è stato compiuto da ucraini disonesti all’insaputa di Zelensky.

Questo porta al secondo uccello che viene ucciso con la stessa pietra, poiché ricorda al pubblico che potrebbe anche essere stato criminalmente negligente nel non controllare le sue forze o punirle dopo che l’anno scorso sono emersi rapporti che sostenevano che alcuni individui erano coinvolti in qualche modo. Il momento non potrebbe essere peggiore per Zelensky, poiché arriva mentre la narrazione occidentale si sposta decisamente ancora di più contro gli interessi del suo Paese, come documentato qui e ulteriormente spiegato qui a proposito del suo ultimo sproloquio.

La palla è ora nel campo di Tusk, che può scegliere se stare al gioco coinvolgendo i suoi avversari politici e quindi far progredire il suo obiettivo di migliorare i legami con l’UE a guida tedesca, oppure cogliere queste due opportunità per solidarietà con Zelensky, come lui e il ministro degli Esteri rientrante Radek Sikorsky si sono impegnati a fare il mese scorso. La prima opzione farebbe avanzare il vettore interno ed europeo delle politiche della sua amministrazione a scapito di quello ucraino, mentre la seconda farebbe avanzare il secondo a scapito del primo.

Non è ancora chiaro cosa farà Tusk alla fine, ma nessuno dovrebbe dimenticare che quest’ultimo sviluppo è stato progettato per sviare dalla complicità americana, screditando al contempo l’ex governo polacco e facendo maggiore pressione su Zelensky mentre il conflitto ucraino si sta finalmente concludendo. Se collocata nel suo contesto appropriato, la tempistica dell’ultimo rapporto del WSJ ha molto più senso, e si spera che convinca un maggior numero di persone delle ragioni politiche di interesse personale dietro questa teoria occidentale non ufficiale.

L’appello di Tusk ai patrioti perché sostengano l’Ucraina è una distrazione dalla crisi politica della Polonia

ANDREW KORYBKO
14 GEN 2024

Le ultime dichiarazioni del premier di ritorno cercano chiaramente di distrarre dalla peggiore crisi politica del suo Paese dagli anni Ottanta, screditando al contempo il suo predecessore e i veri patrioti polacchi che si sono inaciditi sull’Ucraina negli ultimi mesi. L’insinuazione è che qualsiasi polacco che non sostenga una guerra perenne in Ucraina stia tradendo gli interessi nazionali del proprio Paese, ma la realtà è l’opposto: i patrioti dovrebbero sostenere il congelamento del conflitto il prima possibile.

Il primo ministro polacco Donald Tusk ha appena dichiarato in un’intervista che “ogni patriota polacco deve assolutamente riconoscere” che “non ci possono essere dubbi sulla guerra e sul nostro impegno, e quello di tutto il mondo occidentale, nei confronti dell’Ucraina nel suo confronto con la Russia”. Ha poi affermato che “la situazione in Ucraina e sul fronte è assolutamente la questione numero uno per la sicurezza polacca”. I suoi commenti hanno preceduto un viaggio programmato a Kiev dopo che il conflitto ucraino ha iniziato a concludersi alla fine dello scorso anno.

Il suo appello ai patrioti polacchi a sostenere l’Ucraina è un tentativo di distrazione dalla peggiore crisi politica del Paese dagli anni ’80, provocata dal sequestro dei media nazionali e dall’arresto di due ex ministri con pretesti giuridicamente dubbi. Per saperne di più sul suo golpe liberal-globalista de facto, che prevede anche l’importazione di immigrati clandestini che potrebbero facilmente includere quelli civilmente dissimili che non vogliono assimilarsi e integrarsi, si rimanda alla precedente analisi ipertestuale.

Il contesto più specifico in cui Tusk ha cercato di far leva sul sostegno all’Ucraina riguarda il blocco in corso al confine del Paese da parte di un gruppo di agricoltori e camionisti polacchi, che protestano per l’impatto che le politiche dell’UE a favore di Kiev hanno avuto sui loro mezzi di sostentamento. Anche l’ex premier Mateusz Morawiecki ha ammesso, in un’intervista rilasciata la scorsa settimana ai media britannici, che il conflitto ucraino “non sta andando nella giusta direzione” dopo che la controffensiva di Kiev “non è riuscita” a invertire la rotta.

Sebbene abbia affermato che il lato positivo è che l’Occidente si è unito contro la Russia, il tono generale dei suoi commenti era negativo e implicava l’esaurimento di questo conflitto, in linea con la narrazione emergente dei media mainstream nell’ultimo quarto d’anno. Il tono di Tusk è stato completamente diverso e ha persino affermato che non tollererà il cosiddetto “sentimento anti-ucraino” nella sua amministrazione, a differenza di quello che avrebbe caratterizzato quella di Morawiecki verso la fine.

Nel complesso, le ultime dichiarazioni del premier di ritorno cercano chiaramente di distrarre dalla peggiore crisi politica del suo Paese dagli anni Ottanta, screditando al contempo il suo predecessore e i veri patrioti polacchi che si sono inaciditi sull’Ucraina negli ultimi mesi. L’insinuazione è che qualsiasi polacco che non sostenga una guerra perenne in Ucraina stia tradendo gli interessi nazionali del suo Paese, dopo che egli ha anche affermato che “finché l’Ucraina è in guerra con la Russia, siamo relativamente al sicuro”.

Obiettivamente, la realtà è l’opposto, poiché un conflitto prolungato prosciugherà ulteriormente le risorse economiche e militari polacche, oltre ad aumentare il rischio di “mission creep”, che potrebbe essere accelerato da uno sfondamento russo lungo il fronte o da un altro missile vagante che colpisca la Polonia. Ciononostante, Tusk sta raddoppiando l’impegno sull’Ucraina, nonostante la maggior parte dell’Occidente ne prenda le distanze, e probabilmente lo fa per promuovere gli interessi egemonici tedeschi anziché quelli nazionali polacchi.

L’ex presidente del partito al governo Jaroslaw Kaczynski ha ripetutamente avvertito di essere un “agente tedesco” che è stato rispedito da Bruxelles, dove in precedenza ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio europeo, per volere di Berlino al fine di eseguire i suoi ordini in patria. Nel contesto ucraino, il perpetuarsi del conflitto serve a dare un senso di urgenza al piano di un importante funzionario tedesco della NATO per una “Schengen militare” che, in sostanza, comporterebbe il ritorno su larga scala delle truppe di quel Paese in Polonia.

Potrebbero poi aiutare Tusk a mantenere il controllo se dovesse diffidare della polizia locale, dei membri dell’intelligence e/o delle forze armate nel caso in cui queste ultime si unissero al nuovo movimento Solidarność che l’opposizione conservatrice-nazionalista sta cercando di formare in modo non ufficiale. Tenendo conto di ciò, è probabile che la posizione più patriottica che un polacco possa avere al momento sia quella di sostenere i colloqui di pace volti a congelare il conflitto, esattamente come suggerito dall’ex comandante supremo della NATO.

L’ammiraglio James Stavridis ha proposto questa soluzione in un articolo pubblicato su Bloomberg a metà novembre, con il sincero intento di promuovere gli interessi collettivi dell’Occidente, compresi quelli della Polonia. Le ultime osservazioni di Tusk lasciano scandalosamente intendere che l’ex comandante supremo della NATO stia flirtando con le minacce alla “sicurezza polacca”, che può essere salvaguardata solo “finché l’Ucraina sarà in guerra con la Russia”, ma non c’è nulla di vero in quello che sta insinuando su di lui o sui polacchi che condividono la sua soluzione prevista.

È anzi offensivo insinuare qualcosa del genere, così come l’idea che la Polonia possa rimanere “relativamente sicura” solo finché c’è un conflitto armato che infuria in una nazione vicina. L’unica ragione per cui Tusk ricorre a una simile retorica è la disperazione di screditare i suoi avversari e distrarre dalla peggiore crisi politica del suo Paese dagli anni Ottanta, il che dimostra che sta sentendo il caldo dopo la grande protesta della scorsa settimana a Varsavia e che i patrioti dovrebbero quindi intensificare i loro sforzi per proteggere la democrazia polacca.

Lavrov e Karaganov confermano che la Russia non “cancellerà” l’Occidente
ANDREW KORYBKO
11 GENNAIO

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Se la Russia si abbassasse al livello dell’Occidente e dell’Ucraina, cederebbe il primato morale nella Nuova Guerra Fredda solo per far loro un dispetto.

La “cancellazione” da parte dell’Occidente di tutto ciò che è legato alla Russia dall’inizio della sua operazione speciale, quasi due anni fa, è un bigottismo da manuale che promuove l’odio contro le persone sulla base della loro identità. Questa politica implica falsamente che si dia credito alla teoria della cospirazione di Hitler, ormai sfatata, secondo cui l’identità etnico-nazionale e/o religiosa di una persona alla nascita predetermina automaticamente le sue opinioni politiche più avanti nella vita. La Russia, tuttavia, si oppone risolutamente a questo paradigma fascista, ed è per questo che non risponderà in modo gentile.

Sergey Karaganov, l’influente presidente onorario del Consiglio per la politica estera e di difesa della Russia, ha confermato questa posizione in un’intervista rilasciata a Rossiyskaya Gazeta alla fine dello scorso anno, tradotta in inglese e ripubblicata da RT qui. Alla domanda del suo interlocutore se “dovremmo agire al contrario e ‘cancellare’ l’Occidente” a causa della sua “deliberata disumanizzazione dei russi nei media”, ha risposto come segue:

“Assolutamente no. L’Occidente sta chiudendo la cortina di ferro, innanzitutto perché noi in Russia siamo i veri europei. Siamo ancora sani. E loro vogliono escludere queste forze sane… Naturalmente, non cancelleremo nulla, compresa la nostra storia europea.

L’Europa occidentale non sta solo abbandonando la cultura russa, sta abbandonando la propria cultura. Sta cancellando una cultura che è in gran parte basata sull’amore e sui valori cristiani. Sta cancellando la sua storia, distruggendo i suoi monumenti. Tuttavia, non rinnegheremo le nostre radici europee. Sono sempre stato contrario a guardare l’Occidente con un mero schiribizzo. Non si dovrebbe fare così.

Allora saremmo come loro. E loro stanno scivolando verso una marcia inevitabile verso il fascismo. Non abbiamo bisogno di tutti i contagi che sono cresciuti e stanno crescendo nell’Europa occidentale. Compreso, ancora una volta, il crescente contagio del fascismo”.

Alcuni giorni dopo, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha inveito contro coloro che vogliono “cancellare” l’inglese in Russia, affermando che “non credo che abbiano ragione coloro che dicono: “Beh, stanno mettendo il mondo intero contro di noi, quindi abbandoniamo la lingua inglese”. È una cosa stupida, perché la lingua non c’entra nulla. È come quando il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha vietato la lingua russa, l’istruzione russa e i media russi in Ucraina”.

“Putin ha chiarito in modo importante che l’élite occidentale, e non l’Ucraina, sono i veri nemici della Russia” durante l’incontro con i militari in un ospedale militare il giorno di Capodanno. Anche se alcuni ideologi anti-occidentali della comunità Alt-Media non saranno d’accordo con il rifiuto della Russia di “cancellare” l’Occidente e l’Ucraina dopo che questi due paesi l’hanno già “cancellata”, questa è probabilmente la politica più pragmatica. Se la Russia si abbassasse al loro livello, cederebbe il primato morale nella Nuova Guerra Fredda solo per far loro un dispetto.

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ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU, di Teodoro Klitsche de la Grange

ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU

 

E principio oriuntur omnia ( Cicerone De re publica)

 

  1. Nell’Esprit des lois Montesquieu scriveva “Dopo aver esaminato quali sono le leggi di ogni governo, vediamo ora quelle che sono relative al suo principio. Fra la natura del governo e il suo principio esiste questa differenza: che è la sua natura a farlo tale, ed il suo principio a farlo agire. L’una è la sua struttura particolare, l’altro le passioni umane che lo fanno muovere[1]. L’importanza che il President à mortier annetteva al “principio del governo” era anticipata nel libro I, quando nell’illustrare i fondamenti delle leggi di ciascun popolo scrive “Esse devono essere in armonia con la natura e col principio del governo costituito, o che si vuol costituire, sia che lo formino, come fanno le leggi politiche; oppure che lo mantengano, come fanno le leggi civili”[2].

Per trovare il principio di ciascun governo prende le mosse dalla natura di esso, e in particolare di chi “esercita la suprema potestà, e, in secondo luogo, di come lo possa fare”[3] e conclude il capitolo “Non mi occorre altro per trovare i tre principi dei governi suddetti; essi ne derivano naturalmente. Comincerò col governo repubblicano e prima parlerò del democratico” del quale indica come principio la virtù. Subito dopo spiega perché “Ad un governo monarchico o ad uno dispotico non occorre molta probità per mantenersi o sostenersi. La forza delle leggi nell’uno, il braccio del principe ognora levato nell’altro, regolano o reggono ogni cosa. Ma in uno Stato popolare occorre una molla in più, la quale non è altri che la virtù… infatti, in una monarchia, dove chi fa eseguire le leggi giudica se stesso al di sopra di esse, si ha bisogno della virtù in misura minore che non in un governo popolare, dove chi fa eseguire le leggi sente che lui stesso vi è sottomesso, e ne porterà il peso”[4].

E, nelle stesse repubbliche, alle democrazie ne occorre assai di più che ai governi aristocratici “i politici greci che vivevano in un governo popolare, riconoscevano nella virtù l’unica forza capace di sostenerlo”; mentre “la virtù è altresì necessaria nel governo aristocratico, sebbene non vi sia richiesta in modo altrettanto assoluto… Per natura della costituzione occorre dunque che quel corpo (l’aristocrazia n.d.r.) possegga virtù”. E questa virtù minore (perché limitata al corpo governante) è la moderazione: “La moderazione è quindi l’anima di questi governi: ma quella…  che è fondata sulla virtù, non sulla viltà o sulla pigrizia dell’animo”[5].

Invece nella monarchia “lo Stato vive indipendentemente dall’amor di patria, dal desiderio di vera gloria… da tutte quelle eroiche virtù che troviamo tra gli antichi… Le leggi prendono il posto di queste virtù, ormai inutili… non ignoro affatto che i principi virtuosi non sono rari, ma dico che è assai difficile che in una monarchia il popolo lo sia”[6]. Per cui nelle monarchie il principio, la “molla” che fa funzionare lo Stato, è l’onore, perché “l’ambizione è pericolosa, in una repubblica, ma ha buoni effetti in una monarchia: essa le da la vita, ed ha il vantaggio di non essere pericolosa”[7]. Infine in un governo dispotico “Come in una repubblica occorre la virtù, e nella monarchia l’onore, così nel governo dispotico ci vuole la paura: la virtù non vi è necessaria e l’onore sarebbe pericoloso. Il potere immenso del principe passa tutto intero nelle mani di coloro ai quali egli confida… quando in un governo dispotico il principe dimentica per un momento di levare il braccio, quando non può annientare in un batter d’occhio coloro i quali detengono i primi posti, tutto è perduto… Occorre dunque che il popolo sia giudicato dalle leggi, e i grandi dal capriccio del principe; che la testa dell’ultimo fra i suddtiti sia sicura, e quella dei pascià sempre in pericolo”[8].

  1. In conclusione secondo Montesquieu:

Il principio (della “forma”) di governo è la molla che lo fa agire.

Tale principio è, in misura diversa, la virtù; questa dev’essere posseduta da chi governa: nelle democrazie da tutti i cittadini, nelle aristocrazie dagli ottimati, nelle monarchie dal re. Non lo scrive, ma anche negli Stati dispotici un barlume di virtù (magari diversa) la deve avere il despota. Onore e timore sono sentimenti che competono ai sudditi. In particolare  ai collaboratori dei sovrani.

Il principio è necessario, perché un corpo politico è composto di uomini, è un’istituzione vitale e non può prescindere da ciò che è suscettibile di far agire gli uomini e quindi l’istituzione. Le leggi sono necessarie, ma non sufficienti all’esistenza e vitalità dell’insieme.

Il principio è ciò che  “unifica” governanti e governanti: incide sul rapporto comando/obbedienza, ed è a un tempo fattore d’integrazione e di legittimità.

Come i pensatori politici “classici”, Montesquieu vede istituzioni fatte di uomini, dove taluni comandano ed altri obbediscono: è lungi dal pensatore francese credere che basti una bella costituzione, con tanto di commoventi enunciazioni di principi, e miriadi di leggi di attuazione (altrettanto commoventi) per fare uno Stato vitale. Le leggi non bastano: per costituirlo e conservarlo occorre la molla che le fa vivere. Anzi tra le leggi e il principio (la molla) vi dev’essere coerenza: sarebbe da sprovveduti costituire un governo democratico senza un minimo di virtù, e ancor più un governo dispotico senza la paura[9].

In tale contesto un ruolo di estremo rilievo riveste la virtù, in primo luogo perché ricorre – anche se non necessaria in egual misura per tutti – nelle tre forme di governo non dispotiche; e in questo Montesquieu si riallaccia al pensiero politico antico, per il quale era naturale legare il destino e la fortuna delle polis alla virtù dei cittadini; e non alla sola “bontà” delle leggi[10]. Se come scrive Montesquieu in apertura dell’Esprit des lois  “Le leggi… sono i rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose; e, in questo senso, tutti gli esseri hanno le proprie leggi: le divinità, gli animali, l’uomo” fin dall’inizio dell’opera fissa – per così dire – il rapporto tra esistente e normativo: in cui il primo determina il secondo assai più di quanto quello possa fare sul primo.

In questo senso i principi del governo sono la molla indispensabile per la comunità: la quale non vivendo di sole regole, anche le migliori possibili, deve fondarsi su un principio (generale) che la determini ad agire. Perché sul piano storico – e non solo – esistere significa agire: e l’agire chiede di mobilitare la/le volontà umane; vale la regola tomista omne agens agit propter finem che, oltre un secolo dopo Montesquieu un grande giurista come Jhering avrebbe individuato nel collegamento tra scopo ed interesse.

  1. Poco tempo dopo la morte di Montesquieu iniziò ad enfatizzarsi la figura del legislateur, di colui (coloro) che da (danno) regole certe alla comunità; e delle stesse regole – fissate in leggi – che, piuttosto d’essere scoperte studiando la “natura delle cose”, sono il prodotto (prevalente od esclusivo) della volontà umana. È questa a dare leggi alle cose, e non viceversa. Il rapporto tra l’esistente ed il normativo comincia a pendere a favore del secondo. Le costituzioni moderne frutto della ragione (dell’equità, della giustizia, ma in effetti della volontà) umana ne sono il frutto più evidente. Quella costituzione che non è tale se, come scriveva Thomas Paine, non la si può mettere in tasca: scritta, frutto di una deliberazione pubblica, a seguito (per lo più) di una discussione libera e razionale. Tuttavia per lungo tempo non andarono smarriti i collegamenti principali che ancoravano il normativo all’esistente, in particolare alla volontà e alla virtù nei cittadini. Anzi la rivoluzione francese, ed i giacobini in particolare, fecero della virtù un elemento necessario e primario del nuovo regime politico: segno che i collegamenti col reale erano ancora robusti.

Successivamente, come scrive Ernst Forsthoff “la dottrina dello Stato ha preso una via che l’allontanò dalle qualità umane, e per conseguenza anche dalla virtù. Nell’opera di Georg Jellinek, che ben rappresenta il periodo a cavallo dei due secoli, non se ne parla più”[11].

Per cui quella successiva “è divenuta una dottrina dello Stato senza virtù”. Probabilmente, anzi a seguire Forsthoff sicuramente, il tutto è stata una conseguenza del positivismo giuridico (inteso in senso lato), per cui la dottrina dello Stato è la dottrina del di esso sistema istituzionale e funzionale, e prescinde dalle qualità umane. In questo si può ravvisare anche un prevalere di aspetti “tecnici”, e, in particolare “tecnico-normativi”; Carl Schmitt scriveva che già nel pensiero di Machiavelli era chiaro l’aspetto tecnico di conquista e conservazione del potere: ma tale tecnica non prescindeva né dalle qualità né dai rapporti umani. Mentre la “tecnica” normativistica contemporanea sottintende di fare a meno – o di ridurre ai minimi termini . le une e gli altri.

Tuttavia, come scrive Forsthoff, il successo del positivismo è stato tale “che il diritto tedesco, né prima né dopo, ha mai più raggiunto o mantenuto, nella giurisdizione e nell’amministrazione, un livello così alto”; e questo è stato possibile in buona parte, grazie alle qualità (alle “virtù”) della burocrazia professionale tedesca, frutto, in particolare, dell’alleanza “tra un illuminismo di stampo storico e l’eredità della Riforma”; per cui “questo sistema giuridico, apparentemente spogliato da ogni riferimento etico e bloccato al piano puramente tecnico, aveva pur sempre una sua etica, in quanto si basava su specifiche virtù umane, senza le quali esso non potrebbe essere compreso”[12]. Per cui pensare che uno Stato possa reggersi solo in forza della bontà delle leggi, è fare un’affermazione parzialmente vera (e quindi in parte falsa). Nessuna “buona costituzione” può funzionare bene, se non è adatta alla situazione oggettiva e alle forze reali esistenti, in cui rientrano, in misura determinante, le qualità morali (le virtù) di chi governa, o meglio esercita funzioni pubbliche (a partire dal voto).

  1. Anche le constatazioni di Forsthoff dovrebbero essere aggiornate in base a quello che si pensa – per lo più – in questi anni, nel tardo dopoguerra, diventato un (terzo) dopoguerra (fredda).

Oggigiorno chi parlasse di virtù, muoverebbe al riso (o al sorriso), e  non solo per il non edificante spettacolo offerto dalle elites dirigenti, ma, ancor più, perché nessuno pensa più alle virtù come fattore di sostegno della comunità, e della democrazia in primo luogo. Gli si risponderebbe che bastano buone leggi, e lo si considererebbe un tipo bizzarro. Ma a chi scrive, e data la considerazione riconosciuta dal pensiero occidentale al necessario rapporto tra virtù e buona istituzione, appare bizzarro chi sostiene il contrario; e la prima replica che viene in mente è il tacitiano corruptissima res publica, plurimae leges, d’altra parte ampiamente confermato in Italia nell’ultimo mezzo secolo. In secondo luogo se tanti pensatori, da Platone ad Aristotele, da Cicerone a Machiavelli, da Montesquieu a Mably (per citarne una minima parte) hanno ritenuto il contrario, non si capisce perché si dovrebbe condividere l’idea che ad uno Stato bastino le buone leggi e, soprattutto, non abbisogni di una certa dose di virtù (e soprattutto quale esperienza di quale unità politica la corrobori).

In gran parte questo è l’esito della fase estrema della funzionalizzazione e tecnicizzazione del diritto, la concezione più coerente della quale è il neopositivismo giuridico. Presupposto (e condizione generale) del quale è concepire il mondo come universo di norme, dove non esistono persone (o soggetti di diritto), ma centri d’imputazione di rapporti giuridici; non esistono gerarchie di uomini ma gradazione di norme; non diritti soggettivi, ma norme da applicare; non il sovrano, ma la grundnorm, e così via in una coerente dis-umanizzazione (e de-concretizzazione) della visione del mondo. L’unico elemento umano rimane la “conoscenza del giurista”; nella quale tale concezione si rivela come ideologia di un gruppo sociale particolare, dei funzionari della fase decadente dello Stato borghese di diritto[13].

In tale concezione tutto ciò che è “extra-normativo” non è giuridico (e quindi irrilevante): al massimo si arriva al richiamo ai “valori costituzionali”.

Questo sembra abbia la funzione di soddisfare (al minimo) la necessità di fondare l’esistenza collettiva su qualcosa che è comunque non normativo, e così di “guadagnare il terreno di una legittimità riconosciuta” superando la mera legalità[14]. Cioè costituisce l’eccezione rispetto alla visione per lo più condivisa (dai giuristi).

  1. In realtà la concezione “classica” (all’interno della quale collocare la teoria dei principi di Montesquieu) era la risposta alla domanda: quand’è che l’ordinamento è vitale (in primo luogo) e giusto?

La risposta – data da oltre due millenni di riflessione politica coniuga fattori “esistenziali” e “fattuali” con altri di carattere più propriamente “normativo” e giuridico, con i primi che prevalgono sui secondi. Le qualità personali, le credenze, la legittimità, l’autorità ne costituiscono (ma non ne esauriscono) i capisaldi essenziali[15].

Se invece si chiede risposta alla domanda di come si deve interpretare correttamente (validamente) una norma giuridica, e più in generale come si atteggia la conoscenza  del giurista rispetto al sistema normativo – cioè una domanda diversa – e a contenuto ridotto, la risposta che danno i normativisti, coll’espungere dall’orizzonte del giurista (pratico) ogni elemento “fattuale” ha una sua correttezza. Per la quale tuttavia, come notato, in particolare per il carattere formale di tale teoria del diritto (e simili)[16], esiste (e si verifica) il rischio che “riducendo il diritto a proposizioni logiche prescindendo dal loro contenuto, se ne perda per strada, per così dire, qualche pezzo troppo importante per essere trascurato, o messo tra parentesi, proprio come una teoria fisica è esposta al rischio di trascurare qualche aspetto della realtà troppo importante per non dover essere spiegato. D’altra parte, chi mi assicura che il mio modello di conoscenza della realtà sia veramente coestensivo alla realtà che voglio spiegare? In altri termini: chi mi assicura che il mio ragionamento spieghi veramente tutto ciò che devo spiegare? La scienza rischia di essere un insieme di proposizioni che, paradossalmente, non fotografa il mondo, ma se stessa: lo scienziato rischia cioè di non vedere altro che il proprio ragionamento, e non la realtà che vuole spiegare. La «verità» significa così soltanto la coerenza ai presupposti di partenza, che peraltro non sono dimostrati, e scompare ogni riferimento alla realtà, per spiegare la quale lo scienziato «puro» ha iniziato a fare scienza. Siamo di fronte a una vera implosione del sistema[17].

E proprio questo è il punto: restringendo il problema dell’ordinamento a quello della corretta applicazione delle norme, si espungono dall’orizzonte giuridico gli elementi principali e determinanti, e comunque gran parte di ciò che ne fa necessariamente parte. Ovvero sia l’aspetto dell’unità, dell’azione e della coesione del gruppo sociale, sia quello dell’applicazione del diritto (attraverso la coazione organizzata e la violenza legittima); per cui il normativismo è stato da molti considerato come una gnoseologia giuridica, e lo è, perché, coerentemente, elimina dall’orizzonte giuridico tutto ciò che è “fattuale”.

Di converso e nella linea del pensiero politico classico, troviamo (tra gli altri) i giuristi istituzionisti, i quali ovviamente prendono in considerazione (massima) l’ordinamento e tutti quei fattori esistenziali che ne condizionano e determinano la forma e l’azione, con particolare riguardo alla situazione concreta.

Hauriou, il quale nel Précis de droit constitutionnel critica ripetutamente Kelsen, iniziando dall’errore, che stigmatizza, di assimilare “l’ordine oggettivo all’ordine statico” e subordinare “strettamente il dinamico allo statico”[18]. Mentre “ciò che gli uomini chiamano stabilità non è l’immobilità, ma il movimento coordinato (d’ensemble) lento ed uniforme che lascia sussistere una certa forma generale delle cose…”. A dare il senso e comprenderlo è del tutto inadatto il sistema di Kelsen essenzialmente statico, in cui non c’è posto per la libertà umana.

Santi Romano con la costante attenzione che ha dato dalla gioventù fino a poco prima di morire ai problemi del mutamento, della legittimazione e della crisi degli ordinamenti è, parimenti, esemplare di una concezione dinamica e vitalistica del diritto. Tornando a Montequieu, questi aveva ben chiaro che una comunità umana vive nella storia, nello spazio e (anche) nel tempo: lo stesso si può dire di Hauriou e Romano, che hanno il senso del diritto “bidimensionale”.

Un sistema statico è invece, per così dire, a parafrasare Marcuse, un diritto ad una dimensione, giacché non tiene conto del tempo – e conseguentemente della storia; (come di tante altre cose).

In questo senso la critica di Hauriou ai sistemi “statici”, che si convertono in una contemplazione delle regole è penetrante[19].

  1. Ciò stante occorre vedere quale fosse il concetto di virtù per Montesquieu e se è ancora necessaria oggigiorno:

“La virtù in una repubblica è cosa semplicissima. È l’amore della repubblica: è un sentimento e non una serie di nozioni…”[20]. Tuttavia data l’equivocità del termine, Montesquieu fin dall’avertissement all’Esprit des lois tiene a definirlo, delineandone il carattere pubblico e politico e non privato (cioè “non politico”) precisando:

“Ciò che chiamo virtù nella repubblica è l’amore della patria… Non è una virtù morale né cristiana, è la virtù politica; essa è la molla che fa agire (mouvoir) il governo repubblicano…”[21].

Coerentemente a quanto ritenuto già da Platone (la tesi di Callicle nel Gorgia) e da Aristotele, la virtù politica è connotato del cittadino (del civis), cioè dell’uomo pubblico, non del bonus paterfamilias, cioè dell’uomo privato: distinzione essenziale, mantenuta dal pensiero filosofico e in particolare dalla teologia cristiana, da Lutero a Bellarmino. E che, coerentemente alla generale confusione di pubblico e privato, oggigiorno spesso non viene più capita, al punto che, a sentire qualche rozzo demagogo, basterebbe un qualsiasi brav’uomo (purché privatamente onesto) a guidare uno Stato. Cosa che (non nuova, ma spesso ripetuta) suscitava il sarcasmo di Croce, come d’ “ideale che canta nell’animo di tutti gli imbecilli…”. Sicuramente di quel tipo di virtù privata non c’è necessità: non che guasti, ma sicuramente lo Stato può esistere ed agire anche se i costumi sessuali sono rilassati e quelli commerciali non proprio adamantini.

Invece dell’altra, di quella che Montesquieu chiamava virtù politica se ne sente il bisogno, in misura proporzionale a quanto si è ridotta da oltre cinquant’anni.

Come si sente la necessità della lezione di Montesquieu sui principi di governo come sentimenti e come molle per far agire l’istituzione statale. La contraria tesi, tanto ripetuta che siano sufficienti delle buone regole (leggi) è viziata di (almeno) tre errori.

Il primo dei quali è la riduzione del diritto a gnoseologia giuridica, come tecnica di applicazione delle norme al caso concreto. A questa concezione si addice la critica sopra riportata che così se ne perde “qualche pezzo troppo importante”. Mentre il diritto è essenzialmente un sistema di regolazione dell’azione. E’ l’orientamento che da alle azioni umane l’aspetto decisivo per comprendere l’essenza del diritto.

In secondo luogo, e conseguentemente che le regole non bastano: queste possono disciplinare, permettere, comandare le azioni, ma senza trascurare mai che l’“oggetto” ne è l’agire umano.

E soprattutto, infine, che per sostenere il fenomeno giuridico originario, cioè l’istituzione occorre far leva (anche) sul sentimento che fa “agire il governo”.

Uno Stato che non agisce, che non fa leva sul sentimento (cioè sul principio) è un’istituzione in cancrena: esistere, nella storia, significa agire. Agire non vuol dire (soltanto) applicare delle regole, ma soprattutto avere ciò che con termini diversi di concetti simili è stato chiamato virtù, amore della patria, senso dello Stato.

Senza il quale – o carente il quale – lo Stato cade o decade.

Certo si può rispondere come don Abbondio che la virtù è come il coraggio: se uno non ce l’ha non se lo può dare: ma occorre replicare che un primo passo per (tentare di ) averlo è pensare che sia necessario. Cioè il contrario degli idola correnti.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Lib. III, cap. I a cura di S. Cotta, Torino 1965, p. 83 (i corsivi sono nostri).

[2] Op. cit., p. 64.

[3] Op. cit., Lib. III, cap. 2 (i corsivi sono nostri).

[4] Op. cit., Lib. III, cap. 3.

[5] V. Lib. III, cap. 4. Si noti che in una nota, cancellata, Montesquieu prendeva ad esempio di aristocrazie non virtuose proprio quelle italiane, che languiscono e sembra che tutti ne ignorino l’esistenza, dovuta più che altro alla gelosia che susciterebbe la loro distruzione; del resto avvenuta circa mezzo secolo dopo, con la rivoluzione francese. Giudizio che si potrebbe adattare ad altre elites governanti italiane, anche contemporanee (i corsivi sono nostri).

[6] Lib. III, cap. 5 (i corsivi sono nostri).

[7] Lib. III, cap. 7 (i corsivi sono nostri).

[8] Lib. III, cap. 9 (i corsivi sono nostri).

[9] A tale proposito Montesquieu aveva in qualche misura previsto alcuni tratti del totalitarismo del XX secolo, il quale, come scriveva, tra gli altri, Wittvogel per il comunismo, presentava diverse analogie col dispotismo orientale ed il “modo di produzione asiatico”.

[10] V. per la riflessione filosofica sulla polis greca Gianfranco Lami, Socrate, Platone, Aristotele, Soveria Mannelli 2005.

[11] V. E. Forsthoff nella raccolta di saggi tradotti in italiano Stato di diritto in trasformazione, Milano 1973, p. 12.

[12] Op. cit., p. 18.

[13] Per uno sviluppo di questa tesi ci permettiamo di rinviare – dati i limiti di questa comunicazione – al nostro scritto Normativismo, funzionarismo, nichilismo in Behemoth n. 43 (gennaio-giugno 2008) e in Empresas politicas(n. 10-11 2008, p. 55 ss.).

[14] v. Carl Schmitt Die Tyrannei der Werte, trad. it. La tirannia dei valori, Roma 1987, Antonio Pellicani Editore, p. 38-39.

[15] In realtà nessun ordinamento è stato salvato (conservato) solo dalla propria superiore razionalità e giustizia. L’impero romano con la sua sapienza giuridica, la sua ars boni et equi, e il suo ordinamento razionale, fu travolto da popolazioni assai meno civili, ma tanto più decise a difendere la loro esistenza.

[16] Anche non condividendo i presupposti del neo-positivismo giuridico, teoria che enfatizzava il ruolo delle regole, il ruolo della c.d. ingegneria costituzionale, rischiano di cadere in errori e rischi simili.

[17] V. O. De Bertolis S.I., La metodologia giuridica di Norberto Bobbio in Civiltà Cattolica, quaderno 3687.

[18] Op. cit., p. 6.

[19] Mentre per gli ordinamenti umani vale l’aforisma di Eraclito “che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”.

[20] L’esprit des lois V, cap. 1.

[21] Avertissement (i corsivi sono nostri).

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Germania über alles, un mito che vacilla_Con il professor Marco Pugliese

Le vicende degli ultimi tre anni hanno scosso in profondità una narrazione che, a dispetto di tante evidenze, ha circondato la condizione della Germania di una aura di grande potenza in larga parte immeritata. Sia i detrattori che gli apologeti si sono nutriti di questo mito. L’acceso conflitto politico negli Stati Uniti, imperniato sulla insostenibilità degli enormi squilibri interni creati dalle modalità del processo di globalizzazione, l’andamento del conflitto ucraino, la demenzialità delle politiche energetiche ed ambientali, l’adesione acritica alle politiche sanzionatorie hanno messo in crisi le dinamiche dalle quali le classi dirigenti alemanne sono riuscite a trarre profitto in qualità di intermediari e sulle quali hanno basato il proprio modello di formazione sociale. Le proteste degli agricoltori tedeschi sono solo l’inizio di quello che potrà succedere nell’immediato futuro in Germania e di conseguenza nel resto d’Europa. Un ceto politico ed una classe dirigente particolarmente meschina sembra sempre più orientata ad accettare ed alimentare questa condizione cercando disperatamente di raccogliere le briciole che rimarranno disponibili dai nuovi assetti geopolitici che si stanno delineando sommando a dipendenza ulteriori dipendenze sempre più passive. Un contesto che farà dell’intera Europa un terreno di conquista e di conflitto di interessi altrui. Come vedremo nelle prossime puntate esistono ancora, anche per il nostro paese, margini oggettivi per una svolta. Tutto dipenderà da un rivolgimento del proprio ceto politico e della propria classe dirigente, al momento sempre meno probabile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Gli Stati Uniti lanciano attacchi contro lo Yemen e altri aggiornamenti, di SIMPLICIUS THE THINKER

È una settimana relativamente fiacca per le notizie in Ucraina. Ma la situazione è in bilico, in uno stato di stasi in attesa della prossima grande mossa. Le aspettative più pressanti attualmente sul tavolo sono:

La risoluzione finale e decisiva dello stallo del Congresso statunitense sull’Ucraina e:

La risoluzione decisiva da parte dell’Ucraina e di Zelensky della questione della mobilitazione, che in questo momento è al primo posto nella società.

Alcuni ricorderanno che la Rada ha continuato a tirare per le lunghe, prima promettendo la nuova legge sulla mobilitazione alla fine dello scorso anno, poi fissandola definitivamente per l’8 gennaio. Ora siamo all’1/12 e il disegno di legge finale continua a essere respinto, con entrambe le parti che si accapigliano perché nessuno vuole assumersi la responsabilità della società.

Tuttavia, la cosa importante da notare è che, nonostante la mancata approvazione ufficiale delle principali mozioni, la mobilitazione è già entrata nel vivo anche senza di essa. Le persone “sul campo” riferiscono che alcune zone sono città fantasma con uomini che si rifiutano di camminare per le strade come mai prima d’ora, tanto è peggiorata la situazione. Solo che la Rada non ha ancora deciso alcune delle misure più importanti, come l’abbassamento ufficiale dell’età di mobilitazione e la definizione precisa delle esenzioni mediche che possono salvare qualcuno. Ma a parte questo, la severità delle misure di repressione è aumentata drasticamente: nuovi posti di blocco, aumento dei controlli sui mezzi pubblici da parte dei gorilla, ecc.

Per quanto riguarda il Congresso, anche lì non ci sono ancora progressi. L’aggiornamento attuale è che uno dei “compromessi” ventilati è la presunta discussione da parte dei repubblicani di consentire l’ingresso di un certo numero di migranti al giorno attraverso il confine meridionale, ma con un “tetto” rigido o una quota sul numero totale. Ma finora, anche questo sembra non essere andato a buon fine:

In realtà, la situazione si è aggravata e ha preso una piega piuttosto drammatica, con il governatore del Texas Abbott che ha tolto il controllo ai federali, impedendo loro di entrare in uno dei parchi dove passano gli immigrati clandestini:

Per chiarire: la Guardia Nazionale del Texas ha sequestrato la terra e i suoi dintorni agli agenti del governo federale, impedendo loro di entrare. Questo è ovviamente “notevole”, come afferma il rapporto sopra riportato, ed è un altro passo verso una forma di scontro finale o di guerra civile.

Non sembra che si stia avvicinando una “conciliazione” tra le due parti, il che sembrerebbe indicare che il finanziamento dell’Ucraina non sarà risolto a breve, se mai lo sarà.

Quindi quale altra opzione hanno?

Beh, la grande notizia è che Biden per la prima volta ha manifestato pubblicamente il suo sostegno all’utilizzo dei mitici fondi russi sequestrati:

Si tratta delle riserve valutarie da 300 miliardi di dollari che la Russia aveva depositato nelle banche europee. Ma gli esperti hanno avvertito che un tale sequestro illegale aprirebbe il vaso di pandora che sarebbe la rovina finale del dollaro. Si tratta di fondi sovrani. Ciò significa che sono i soldi della banca centrale russa. E come tutti sappiamo, a prescindere da ciò che accade tra i “topi e gli uomini” dei governi e i loro tirapiedi, le banche centrali esistono su un piano di ordine superiore. In un certo senso, sono una classe a sé stante. E se “i piani meglio disposti di uomini e topi spesso vanno a rotoli”, i piani dei banchieri centrali non possono mai deviare. Per una banca centrale sequestrare il fondo sovrano di un’altra grande banca centrale è come se due delle più grandi famiglie criminali di un grande film del Padrino si dichiarassero guerra a vicenda. Si tratta di movimenti epocali, che scuotono il terreno e le cui conseguenze riecheggeranno per generazioni.

Lo faranno davvero? Io continuo a sostenere di no. Credo che si tratti della stessa disperata blaterazione e che rimarranno troppo timorosi per premere il grilletto, usandolo semplicemente come un’altra misura per gonfiare le vele dell’Ucraina e offrire una “speranza” vuota ed effimera. Ma questa è una delle ultime possibilità attualmente in discussione.

Infine, ricordiamo che la Russia ha la stessa quantità di beni che può confiscare all’Occidente, quindi lo “scambio”, se dovesse avvenire, non sarebbe altro che l’Occidente che deruba illegalmente il proprio popolo di 300 miliardi di dollari che non potrebbe legalmente convincere la popolazione a dargli per l’Ucraina.

Questi sono i due principali dilemmi irrisolti attualmente sul tavolo. Ieri Schumer ha addirittura lanciato un’altra esortazione urgente, avvertendo minacciosamente che se non si trova subito un accordo, la guerra ucraina potrebbe prendere una piega drastica a favore della Russia entro un mese:

A lui si è aggiunto John Kirby che ha dichiarato che tutti gli aiuti militari all’Ucraina sono effettivamente sospesi al momento, poiché “non ci sono più fondi”.

In realtà, gli Stati Uniti sembravano avere ancora circa 4 miliardi di dollari di autorità presidenziale di prelievo rimanente. Anche se non è molto, il fatto che si rifiutino di usare il resto può significare una delle due cose:

stanno inviando a Zelensky un messaggio forte per chiudere la guerra e avviare i negoziati.

Vogliono conservare l’ultima parte per scopi di vera emergenza. Per quanto l’Ucraina stia male in questo momento, non è ancora in acque veramente disperate o di emergenza. È chiaro che le loro linee non si stanno rompendo e non sono completamente invase. Se ciò dovesse accadere, forse l’ultima tranche di 4 miliardi di dollari viene conservata come una sorta di fondo di emergenza terminale deus ex machina.

Oppure il denaro è già stato sottratto dal corrotto MIC – chi può dirlo?

Nel frattempo, l’unica cosa interessante che esce dall’Ucraina in questo momento:

L’Istituto per lo studio della guerra è riuscito ad ammettere non solo che la Russia ha tutta l’iniziativa, ma anche che ha il 95% del personale delle sue unità, il che consente una rotazione e una generazione di forze tempestive e professionali:

E proseguono osservando che:

6/ La capacità della Russia di condurre rotazioni a livello operativo permetterà probabilmente alle forze russe di mantenere il ritmo generale delle loro operazioni offensive localizzate nell’Ucraina orientale nel breve termine.
In breve: le unità russe sono ben equipaggiate, recuperano facilmente eventuali perdite e hanno tutto il tempo operativo e l’iniziativa. L’Ucraina, invece, come abbiamo appreso nell’ultimo aggiornamento, sta subendo 30.000 perdite al mese e per la prima volta – secondo alcuni rapporti – non è stata in grado di reintegrare queste perdite mensili attraverso la mobilitazione.

Rapporti come i seguenti continuano ad essere confermati:

Ma la verità è questa:

Sul fronte tattico, l’Ucraina si sta comportando molto bene. In molti casi sono addirittura superiori alle forze russe su un determinato fronte o livello, grazie alle loro posizioni difensive e ai vantaggi che ne derivano, nonché all’uso più accorto della tecnologia UAV e delle capacità ISR della NATO.

Tuttavia, dove si stanno verificando molti danni sproporzionati è nel campo degli attacchi russi di profondità operativa totalmente inarrestabili. Le difese aeree dell’Ucraina sono ora più esaurite che mai e, al contrario, l’arsenale aereo della Russia è più forte che mai perché tutte le sue capacità produttive di PGM (munizioni guidate di precisione) hanno continuato ad aumentare in modo parabolico. Il paese sta sparando più missili e altri tipi di armi che mai, in particolare il crescente portafoglio di bombe UMPK.

Nell’ultimo rapporto abbiamo appreso che la Russia sta adattando le munizioni a grappolo RBK-500, ora abbiamo la piena conferma che sta utilizzando anche le Fab da 1500 kg e persino le termobariche ODAB-1500. Oggi Shoigu ha visitato la linea di assemblaggio delle UMPK, offrendoci un raro sguardo di prima mano su alcune delle innovazioni in corso in tempo reale:

Nell’immagine qui sopra si può anche vedere un test inedito di una delle bombe, che mostra come si capovolge dopo lo sgancio prima di aprire le ali.

A causa di questi aumenti, le posizioni dell’Ucraina nelle retrovie vengono colpite con perdite importanti ogni volta. Per esempio, dall’ultimo rapporto – in cui ho elencato diversi “siti posteriori” colpiti con perdite importanti – c’è stato un nuovo attacco a un hotel di mercenari a Kharkov.

Anche la guerra dei droni continua a scaldarsi: un recente articolo ha ammesso che i soldati ucraini sono costretti ad abbandonare i loro veicoli perché i droni russi li distruggono tutti senza pietà:

Gli uomini della sua unità hanno raccontato che negli ultimi mesi hanno lasciato i loro veicoli blindati e hanno camminato per sei miglia per raggiungere le posizioni sulla linea del fronte, ha riferito il Times. “Gli uomini della 117ª Brigata nella regione di Zaporizhzhia hanno affrontato una spiacevole camminata di quattro miglia sotto la pioggia e il fango, ha detto al Times un comandante dell’intelligence. Se prendevano i loro veicoli per trasportare munizioni o cibo al fronte, i droni russi potevano attaccare dall’alto.

L’ultima volta che abbiamo riportato le voci sull’integrazione dell’intelligenza artificiale russa negli FPV, ora abbiamo la conferma effettiva da parte del principale esperto di droni dell’Ucraina, il famigerato comandante Magyar:

Purtroppo, nonostante questi progressi, le truppe russe non sono in una posizione migliore. La padronanza dei droni dell’Ucraina sta raggiungendo nuove vette e i veicoli russi vengono sopraffatti da essi su quasi tutti i fronti quando vanno all’assalto. Come ho spiegato prima, le aree posteriori della Russia sembrano ben protette, ma nessuno ha ancora imparato a respingere bene i droni durante gli assalti, quando si è andati oltre la protezione EW posteriore.

L’Ucraina ha persino iniziato a introdurre unità di protezione dei veicoli come le seguenti per le sue unità più preziose, come questo Marder tedesco qui sotto:

Il social network ha pubblicato un filmato che mostra un veicolo da combattimento di fanteria Marder 1A3 di fabbricazione tedesca, appartenente al 10° Corpo d’Armata delle Forze Armate ucraine, equipaggiato con il sistema Sania, progettato per contrastare i droni con vista in prima persona (FPV). Il sistema Sania offre un duplice approccio alla difesa dagli UAV: rilevamento e soppressione. Il rilevatore del sistema analizza la presenza di droni FPV entro un raggio di 1,5 km. Quando viene rilevata, viene attivato un “jammer” anti-drone, in grado di sopprimere i segnali che controllano l’UAV a una distanza massima di 1 km.

Tra l’altro, è interessante notare che, mentre la guerra diventa estremamente “high tech” in una direzione, in un’altra va contraddittoriamente indietro come risposta a questo. Vedete, poiché l’attuale campo di battaglia post-moderno è così infuso di rumore di segnale ed è diventato un campo di battaglia elettromagneticamente saturo, le forze russe stanno trovando qualche ricorso nelle tecnologie antiche.

Come si può vedere qui sotto, stanno raccogliendo linee telefoniche e di comunicazione dismesse della Seconda Guerra Mondiale, perché si sono dimostrate più affidabili e resistenti al moderno ambiente EW:

Inoltre, tali linee di comunicazione fisiche terrestri sono particolarmente adatte all’attuale tipo di guerra posizionale, in cui non si avanza molto in un breve periodo di tempo, perché consentono di stabilire linee dirette tra i vari quartieri generali e le unità senza preoccuparsi di doverle risistemare quando il quartier generale del battaglione si sposta di diversi chilometri durante l’avanzata.

Tenete comunque presente che il cablaggio fisico per le comunicazioni è normale e standard anche al di là di questo, in quanto non c’è nulla che ne batta l’affidabilità e la sicurezza, ma credo che ora venga usato ancora più che mai. Ciò è dovuto in particolare al fatto che una delle più grandi e deludenti debolezze dell’esercito russo, che la guerra ha contribuito a rivelare, sono i sistemi di comunicazione.

Ci sono alcuni buoni sistemi e le comunicazioni sono in genere buone quando si tratta dei livelli più alti, cioè le brigate che parlano con i corpi d’armata e oltre, ma quando si tratta di formazioni più piccole e sezioni che comunicano, è spesso un completo pasticcio. Le radio Azart criptate standard dell’esercito russo – l’equivalente dei sistemi Harris americani – sono state criticate fin dall’inizio in quanto afflitte da scandali, costringendo molte unità russe ad affidarsi a Baofeng cinesi a basso costo che sono infinitamente craccabili e intercettabili.

Di norma, i Baofeng più economici e simili vengono utilizzati solo a distanza ravvicinata, come ad esempio il comandante di una batteria di artiglieria che comunica le indicazioni di tiro alle sue truppe a diversi metri di distanza. Questo è considerato relativamente sicuro perché le radio non hanno una portata enorme e quindi il loro segnale non può essere intercettato in modo affidabile. Le comunicazioni con le unità distanti sono in genere effettuate con set criptati e più standardizzati come Azart, ma ci sono ancora molti problemi da risolvere e le truppe russe spesso lamentano problemi di comunicazione tra le unità a distanze medie di 5-15 km. Questo è un settore in cui gli Stati Uniti e la NATO hanno un netto vantaggio. Tuttavia, va detto che questo vantaggio è per lo più sulla carta e non è stato dimostrato in un ambiente reale di contestazione EW. Dico questo perché ci sono molti rapporti che accennano a grossi problemi della NATO anche in questo campo; per esempio, sono stati segnalati problemi nei Marder/Leopard tedeschi nei campi di addestramento, citando specificamente il mancato funzionamento dei loro sistemi di comunicazione, e i comandanti sono stati costretti ad aprire il portello per “urlare” istruzioni alle unità vicine. Per esempio:

E dalla loro attuale wikipedia:

Come potete vedere, questo è un problema con cui molti dei migliori eserciti del mondo si scontrano.

Ciò che rimane da commentare:

Gli Stati Uniti e la loro piccola marmaglia isolata di “alleati” servili hanno attaccato lo Yemen con un attacco assolutamente impotente che non ha fatto nulla e non avrà alcun effetto sul continuo blocco dello Yemen sul Mar Rosso.

La Russia ha lanciato più di 7500 missili contro l’Ucraina, un Paese che ha la maggior parte delle sue infrastrutture “all’aperto”, e molti considerano che l’Ucraina sia stata a malapena colpita industrialmente dopo 2 anni di bombardamenti continui. Ora immaginate cosa possa fare una misera quantità di 70-100 missili Tomahawk di vecchia generazione a un Paese con strutture militari altamente decentralizzate e sparse nei deserti. In breve: niente.

Il bombardamento della NATO sulla Serbia, durato 3 mesi e 24 ore su 24, ha distrutto una dozzina di carri armati e ha potuto degradare l’AD solo del 50%. Senza l’intervento sul terreno, la coalizione fallita degli Stati Uniti non può fare nulla per lo Yemen – e non lo farà, quindi gli attacchi possono essere considerati solo come un debole “avvertimento” all’Iran, che susciterà solo risate di cuore a Teheran.

Il mondo può vedere che il regime del terrore statunitense non ha vestiti. Sembra sempre più debole, soprattutto dopo l’annuncio che Raytheon Lloyd ha diretto gli attacchi dal suo letto d’ospedale. Sì, ha premuto il grilletto di un computer portatile mentre si sporcava la padella:

Un regime decrepito, guidato da un presidente rimbambito e da un segretario di Stato debilitato, che lancia massacri illegali dalle proprie case di cura e dai propri letti d’ospedale contro la nazione più povera del pianeta, praticamente nello stesso giorno in cui il proprio alleato di blocco affronta all’Aia accuse di genocidio e crimini contro l’umanità. Non ci si può inventare nulla: l’ottica non è mai stata peggiore per l’Impero della Menzogna.Per non parlare del fatto che gli Stati Uniti hanno apparentemente subito delle perdite e ora stanno cercando di coprirle dopo che le forze di Ansar Allah hanno affermato di aver abbattuto un aereo statunitense e di aver colpito una nave:

L'”aereo” è stato almeno in parte confermato, anche se sembrava essere un drone di classe pesante:

E i problemi non sono finiti. Sia Tesla che Volvo hanno annunciato la cessazione totale della produzione a causa di problemi di interruzione delle forniture:

La deindustrializzazione tedesca continua a crescere:

Il tutto mentre la Russia sta vivendo una rinascita nel settore manifatturiero. I PMI sono alle stelle e l’industria russa degli utensili e degli stampi sta vivendo un’importante rinascita storica:

Infine, c’è la triste notizia che l’Ucraina ha ucciso Gonzalo Lira.

Grayzone ha riferito che il Dipartimento di Stato americano ha comunicato con il padre di Lira solo pochi giorni fa:

E lo stesso Gonzalo, fragile, scrisse dal carcere questo biglietto per la sorella, che il padre disse di aver ricevuto il 4 gennaio:

“Ho avuto una doppia polmonite (entrambi i polmoni), uno pneumotorace e un caso molto grave di edema (gonfiore del corpo). Tutto questo è iniziato a metà ottobre, ma è stato ignorato dal carcere. Hanno ammesso che avevo la polmonite solo in un’udienza del 22 dicembre. Sto per sottopormi a un intervento per ridurre la pressione dell’edema nei polmoni, che mi causa un’estrema mancanza di respiro, al punto da svenire dopo una minima attività, o anche solo per parlare per due minuti”.

Non c’è molto altro da dire. Lira era una figura controversa a causa della sua precedente attività di coach di incontri, ma questo non lo rendeva meritevole della morte da parte del regime ucraino. Per tutte le accuse mosse alla Russia, nessun giornalista o personaggio americano è morto in prigionia russa, mentre un cittadino americano non solo è morto in prigionia ucraina, ma anche sotto varie forme di tortura. Nel suo ultimo video ha descritto alcune di queste torture, come i bulbi oculari raschiati da oggetti appuntiti e altre tecniche macabramente medievali. Ma naturalmente a nessuno del regime nazi-complicato degli Stati Uniti importa; un’altra di una lunga serie di grossolane ipocrisie da parte di coloro che hanno portato il farsesco “Stato di diritto” e “Ordine basato sulle regole”.

Ecco le ultime, fatidiche parole di Gonzalo, tratte dall’ultimo minuto del suo ultimo video prima di attraversare il confine, per non essere mai più visto:

Non l’ho guardato spesso, ma quando l’ho fatto ho trovato le sue analisi intelligenti e abbastanza sagaci. Ma due cose che sono indiscutibili sono state formulate in modo poetico dall’eminente Signore della Guerra in Poltrona:

Rest in peace, Gonzalo.


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Comprendere l’approccio della Cina alla deterrenza, Di Michael Clarke

Comprendere l’approccio della Cina alla deterrenza
L’approccio cinese alla deterrenza prevede sia l’azione di persuasione che quella di dissuasione e si intreccia con l’idea di “controllo della guerra”.

Di Michael Clarke
09 gennaio 2024
Capire l’approccio della Cina alla dissuasione
Credito: Depositphotos
L’era della “competizione strategica” tra grandi potenze ha visto la deterrenza, sia come concetto che come obiettivo operativo, tornare a occupare un posto di preminenza nella difesa nazionale e nella politica strategica che non si vedeva dalla fine della Guerra Fredda.

Mentre si è prestata molta attenzione ai progressi tecnologici delle forze armate cinesi – che le forze armate statunitensi definiscono apertamente la “sfida del ritmo” – si è prestata relativamente meno attenzione ai concetti e alle strategie che possono animare le capacità dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA). L’ultima valutazione annuale del Pentagono, “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China”, ad esempio, ha osservato che il rapporto del Segretario Generale Xi Jinping al 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) nell’ottobre 2022 ha fissato l’obiettivo per il PLA di “costruire un forte sistema di deterrenza strategica” basato sullo sviluppo sia della “costruzione di forze di deterrenza nucleare tradizionale” sia della “costruzione di forze di deterrenza strategica convenzionale” – ma senza esaminare ulteriormente il modo in cui la Cina concepisce attualmente la deterrenza.

Data l’escalation di esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan nell’ultimo anno e il recente intensificarsi degli incidenti nel Mar Cinese Meridionale, è più che mai importante esaminare e comprendere come la Cina concepisca e pratichi forme di coercizione come la deterrenza. Un esame delle fonti cinesi autorevoli e semi-autorevoli sulla strategia e la dottrina del PLA rivela una serie di cose: che la Cina concepisce e pratica la deterrenza in un modo distinto che combina forme di coercizione dissuasive e coercitive; che la deterrenza è esplicitamente inquadrata come uno strumento per il raggiungimento di obiettivi politico-militari; e che la dottrina del PLA prevede un’applicazione sequenziale di posture deterrenti e coercitive attraverso uno spettro di tempo di pace-crisi-guerra.

Il pensiero cinese sulla deterrenza

Le recenti azioni cinesi nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale sottolineano il fatto che la politica internazionale “si svolge in una regione grigia di non pace e non guerra, in cui la minaccia della violenza – più che la sua semplice applicazione – è la variabile critica per la comprensione delle relazioni interstatali e delle crisi”.

Questo “potere di nuocere”, come lo ha definito Thomas Schelling, è al centro delle strategie di coercizione. Questa assume principalmente due forme: la deterrenza e la compellenza. La prima utilizza la minaccia della violenza per impedire a un attore di intraprendere un’azione che altrimenti potrebbe intraprendere in assenza della minaccia, mentre la seconda utilizza la minaccia della violenza per indurre un attore a intraprendere un’azione che preferirebbe non intraprendere. L’oggetto della deterrenza è quindi la dissuasione, ossia una minaccia “volta a impedire a un avversario di fare qualcosa”, mentre quello della compellenza riguarda l’uso di minacce “per far fare qualcosa a un avversario”.

La maggior parte dei teorici occidentali ha posto due ulteriori distinzioni tra deterrenza e compellenza. La prima riguarda il rapporto tra minaccia e uso della forza. La minaccia è solitamente considerata sufficiente per la deterrenza, ma insufficiente per la compellenza, che richiede sia la minaccia che l’uso esemplare della forza per avere successo. Il secondo è la questione di chi abbia l’iniziativa nella pratica di ciascun concetto. La deterrenza, come ha detto memorabilmente Schelling, “consiste nell’allestire la scena – annunciando, preparando il cavo d’inciampo, incorrendo nell’obbligo – e nell’aspettare”, mentre la compellenza “consiste nell’iniziare un’azione che può cessare, o diventare innocua, solo se l’avversario risponde… Per costringere uno prende abbastanza slancio da far agire l’altro per evitare la collisione”.

In sintesi, la deterrenza è una “strategia coercitiva progettata per impedire a un bersaglio di cambiare il suo comportamento”, in cui un deterrente emette minacce dissuasive “perché ritiene che un bersaglio stia per, o finirà per, cambiare il suo comportamento in modi che danneggiano gli interessi del coercitore”. La compellenza, al contrario, è una strategia coercitiva basata sull’imposizione di costi attraverso “minacce o azioni” fino a quando l’obiettivo non cambia il suo comportamento nei modi specificati dal coercitore.

In che modo queste accezioni occidentali di deterrenza e compellenza si rapportano al caso cinese?

In primo luogo, come ha sostenuto Dean Cheng della Heritage Foundation, il termine cinese più spesso tradotto in inglese come deterrenza, 威慑, “incarna sia la dissuasione che la coercizione”. Documenti autorevoli, come i compendi di Scienza della Strategia Militare (SMS) pubblicati ogni due anni dall’Accademia Cinese di Scienze Militari, illustrano questo legame nel pensiero cinese, con l’edizione più recente, del 2020, che afferma che la deterrenza ha due funzioni: “impedire alla controparte di fare ciò che vuole fare attraverso la deterrenza” (cioè la dissuasione) e “usare la deterrenza per costringere la controparte a fare ciò che deve fare” (cioè la compellenza).

La concezione cinese di questo concetto lo inquadra esplicitamente come uno strumento piuttosto che come un obiettivo della politica. L’obiettivo non è “dissuadere l’azione in uno o in un altro ambito, ma garantire l’obiettivo strategico cinese più ampio”, come impedire a Taiwan di dichiarare l’indipendenza o ottenere l’acquiescenza alle rivendicazioni cinesi sul Mar Cinese Meridionale.

Pertanto, la deterrenza non è concepita come un’attività statica, ma ha fasi di applicazione in tempo di pace, di crisi e di guerra. L’SMS del 2013, ad esempio, specifica che in tempo di pace l’obiettivo è quello di impiegare “una postura di deterrenza normalizzata per costringere l’avversario a non osare agire con leggerezza o avventatezza”, basata su “attività militari a bassa intensità”, come lo svolgimento di esercitazioni militari, “l’esibizione di armi avanzate” e l’affermazione diplomatica della “linea di fondo strategica” della Cina. Ciò fa pensare alla nozione di “deterrenza generale”, in cui “armi e avvertimenti sono un contributo all’ampio contesto della politica internazionale”, in cui l’obiettivo principale “è gestire il contesto in modo che per un avversario appaia fondamentalmente poco attraente ricorrere alla forza”.

Tuttavia, l’SMS del 2013 afferma che in situazioni di crisi il PLA adotterà “una postura di deterrenza ad alta intensità, per mostrare una forte determinazione di volontà di combattere e una potente forza effettiva, per costringere un avversario a invertire prontamente la rotta”. Il corrispettivo di questo concetto nella concezione occidentale è probabilmente la “deterrenza immediata”, che riguarda “la relazione tra Stati contrapposti in cui almeno una parte sta seriamente prendendo in considerazione un attacco mentre l’altra sta mettendo in atto una minaccia di ritorsione per impedirlo”.

La distinzione tra queste, come ha notato Lawrence Freedman, riguarda in ultima analisi “il grado di impegno strategico tra chi dissuade e chi è dissuaso”: la dissuasione immediata “implica uno sforzo attivo di dissuasione nel corso di una crisi, quando l’efficacia di qualsiasi minaccia sarà presto rivelata dal comportamento dell’avversario”, mentre la dissuasione generale “è del tutto più rilassata, e richiede semplicemente la trasmissione di un senso di rischio a un potenziale avversario per garantire che le ostilità attive non siano mai seriamente considerate”.

L’approccio cinese si discosta da questo approccio per quanto riguarda il funzionamento della deterrenza nello spazio tra crisi e guerra. Se la guerra dovesse scoppiare, l’obiettivo, si legge negli SMS 2013 e 2020, diventa il “controllo della guerra” (战争控制). Il “controllo della guerra” è stato equiparato a nozioni di gestione o controllo dell’escalation. Un’altra possibilità è suggerita dall’analisi del trattamento di questo termine nei documenti SMS 2013 e SMS 2020. Qui, infatti, il “controllo della guerra” deve essere utilizzato “nell’ambito dell’opportunità tra la guerra totale e la pace totale”. Lo scoppio della guerra è una condizione che rende possibile il controllo della guerra. La prevenzione della guerra non rientra tra i suoi imperativi”. In quanto tale, è un concetto di guerra.

L’SMS del 2013 ha fornito un’istantanea dell’essenza del “controllo della guerra” quando ha osservato che significa “afferrare l’iniziativa della guerra, essere in grado di regolare e controllare gli obiettivi, i mezzi, le scale, i tempi, le opportunità temporali e la portata della guerra, e sforzarsi di ottenere una conclusione favorevole della guerra, a un prezzo relativamente basso”. Scegliendo “i tempi per l’inizio della guerra” e sorprendendo il nemico attaccando “dove è meno preparato”, la Cina può “prendere l’iniziativa sul campo di battaglia, paralizzare il comando di guerra del nemico e dare una scossa alla volontà del nemico” e quindi “ottenere la vittoria ancora prima che inizi il combattimento”.

Il capitolo dell’SMS 2020 sul “controllo della guerra” fornisce ulteriori dettagli, identificando tre fasi necessarie per il suo impiego con successo: il “controllo delle tecniche di guerra” (cioè il controllo deliberato dell’escalation attraverso le capacità della zona grigia, convenzionali e nucleari); il controllo del ritmo, della velocità e dell’intensità del conflitto (cioè la centralità del passaggio dalle operazioni difensive a quelle offensive allo scoppio del conflitto); e la capacità di “porre fine alla guerra in modo proattivo” (cioè un approccio “escalation to de-escalate”).

Ciò suggerisce tre importanti implicazioni.

In primo luogo, l’attenzione al “controllo della guerra” si basa sul comportamento storico della Cina nei conflitti, dove Pechino ha avuto una “forte preferenza per l’escalation rispetto alla de-escalation per porre fine a un conflitto”. Questo approccio “escalation-to-deescalation” “nelle prime fasi del conflitto”, come ha osservato Oriana Skylar Mastro, si ritiene abbia rafforzato la capacità della Cina di prevenire “lo scoppio di una guerra totale” durante la guerra di Corea, la guerra di confine sino-indiana e la guerra sino-vietnamita.

In secondo luogo, la delimitazione del “controllo della guerra” in fasi distinte suggerisce che esso “è inteso a garantire la flessibilità delle opzioni militari in modo che il Partito Comunista Cinese possa realizzare le sue ambizioni politiche e influenzare la politica desiderata senza compromessi” e che gli strateghi cinesi ritengono che l’intensità del combattimento bellico possa essere controllata con precisione.

In terzo luogo, le capacità convenzionali sono ora percepite come strumenti importanti per raggiungere tale controllabilità. L’SMS 2020 ha esplicitamente osservato che “lo sviluppo di armi convenzionali ad alta tecnologia” non solo ha “ridotto il divario” tra la loro “efficacia di combattimento” e quella delle armi nucleari, ma che le capacità convenzionali ad alta tecnologia hanno “una maggiore precisione e una maggiore controllabilità”. In quanto tale, la deterrenza convenzionale “è altamente controllabile e meno rischiosa, e generalmente non porta a disastri devastanti come la guerra nucleare”. È conveniente per raggiungere obiettivi politici e diventa un metodo di deterrenza credibile”.

La pratica cinese del “potere di fare male”

La considerazione di queste implicazioni fornisce una possibile visione del futuro comportamento cinese in scenari di crisi e conflitto. L’evoluzione della strategia cinese nei confronti di Taiwan, in particolare, è coerente con la doppia accezione di deterrenza, che comprende sia la dissuasione che la compellenza negli autorevoli scritti militari cinesi. Ciò si evince dalla duplice natura della strategia cinese, che cerca di dissuadere Washington dall’intervenire nel caso in cui la Cina decidesse di usare la forza attraverso lo Stretto di Taiwan e contemporaneamente di costringere Taipei ad accettare il concetto e il modello di “riunificazione” di Pechino.

Per raggiungere il primo obiettivo (cioè dissuadere Washington), la Cina ha cercato di spostare in modo decisivo l’equilibrio militare tra lei e Taiwan, sviluppando al contempo le capacità per ritardare o negare l’accesso delle forze armate statunitensi all’isola e all’area circostante in caso di conflitto. La capacità della Cina di dissuadere l’intervento degli Stati Uniti si è basata su un significativo investimento La capacità della Cina di dissuadere l’intervento degli Stati Uniti si è basata su investimenti significativi in capacità anti-access/area denial (A2/AD), compreso il dispiegamento di una serie diversificata di missili balistici a corto raggio (SRBM), missili balistici a medio raggio (MRBM) e missili balistici a raggio intermedio (IRBM) – come gli SRBM DF-15 e DF-16, l’MRBM anti-nave DF-21D e l’IRBM DF-26 dispiegati dalle brigate della PLA Rocket Force incaricate di gestire le contingenze di Taiwan.

Significativamente, durante le esercitazioni militari dell’agosto 2022 nello Stretto di Taiwan, i lanci missilistici del PLA hanno probabilmente riguardato la variante DF-15, progettata per “attacchi di precisione, bunker-busting e operazioni anti-pista”. Altri elementi delle esercitazioni del PLA coerenti con un approccio A2/D2 nei confronti delle forze statunitensi sono stati l’inclusione di capacità anti-sommergibile aeree e marittime, come gli aerei da sorveglianza/guerra anti-sommergibile Y-8 e le sortite regolari dei caccia J-11 e J-16 dell’Aeronautica militare del PLA (PLAAF) (aerei che si pensa siano in grado di trasportare il missile aria-aria PL-15, ottimizzato per colpire gli aerei di rifornimento aereo e di controllo dell’allerta precoce attraverso la “linea mediana” dello Stretto di Taiwan). Tali capacità, come ha sostenuto Mark Cozad, analista del RAND, forniscono al PLA “numerose opzioni per mettere a rischio le principali basi statunitensi, gli hub logistici e le strutture di comando e controllo in tutta la regione”.

Il desiderio della Cina di costringere Taiwan è stato messo in mostra anche durante le esercitazioni ed è coerente con la sua strategia a lungo termine nei confronti di Taiwan, che ha cercato di integrare una serie di strumenti diplomatici, economici e militari per impedire a Taipei qualsiasi deviazione dall’interpretazione di Pechino del principio “Una sola Cina”. Le esercitazioni, e quelle successive dell’aprile 2023, suggeriscono che la Cina sta cercando di sfruttare quello che considera il suo crescente vantaggio militare nei confronti di Taiwan per dimostrare le punizioni e i costi che può imporre nel caso in cui Taipei non si muova verso quella che Pechino ritiene essere la “linea di fondo” per le relazioni nello stretto (in altre parole, l’accettazione del suo “principio di una sola Cina”).

Nell’agosto del 2022, ciò si è espresso con l’imposizione da parte di Pechino di una serie di sanzioni economiche e diplomatiche sostenute da esercitazioni militari che hanno colpito direttamente le acque territoriali, la zona economica esclusiva e la zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Ad esempio, le esercitazioni condotte al largo dell’isola cinese di Pingtan, nel punto più stretto dello Stretto di Taiwan, e nel Canale di Bashi, che separa le acque della Prima Catena Insulare dal Mare delle Filippine e dal più ampio Oceano Pacifico, hanno dimostrato la capacità della Cina di controllare questi punti di strozzatura vitali in una potenziale quarantena o blocco di Taiwan.

Che queste attività siano state concepite per segnalare la capacità della Cina di imporre una simile punizione è stato sottolineato da un analista dell’Accademia di ricerca navale del PLA, il quale ha affermato che le esercitazioni dell’agosto 2022 costituiscono una “postura di accerchiamento chiuso verso l’isola di Taiwan”, in cui il PLA potrebbe imporre “una situazione di chiusura della porta e di attacco dei cani” in caso di conflitto – un colorito giro di parole che implica che il PLA potrebbe efficacemente ritardare e/o negare alle forze statunitensi l’accesso a Taiwan.

Conclusioni

Rimangono tuttavia diverse incertezze sul modo in cui gli elementi di deterrenza e di costrizione dell’approccio cinese potrebbero essere utilizzati in caso di crisi.

In primo luogo, l’SMS 2020 prevedeva l’applicazione sequenziale di strategie deterrenti e compellenti in uno spettro di tempo di pace, crisi e guerra. Possiamo quindi chiederci dove si collochino le esercitazioni dell’agosto 2022 e quelle più recenti dell’aprile 2023 in questo spettro. Il quadro è probabilmente contrastante. Alcuni aspetti di queste esercitazioni erano coerenti con la postura di “deterrenza normalizzata” – basata su “attività militari a bassa intensità” come “l’esibizione di armi avanzate” e l’affermazione diplomatica della “linea di fondo strategica” della Cina – che l’SMS 2020 identificava come appropriata per il tempo di pace. Tuttavia, la portata e l’intensità delle esercitazioni erano suggestive della “postura di deterrenza ad alta intensità” che l’SMS 2020 descriveva come progettata per dimostrare “una forte determinazione della volontà di combattere… per costringere l’avversario a invertire prontamente la rotta”.

In secondo luogo, è probabile che per la Cina la compellenza sia una forma di coercizione difficile da attuare in modo efficace. Ciò sembra particolarmente vero per quanto riguarda il suo tentativo di compellenza nei confronti di Taiwan, poiché l’obiettivo della Cina – la “riunificazione” alle condizioni di Pechino – abroga il motore della diplomazia coercitiva. L’obiettivo della diplomazia coercitiva, come ha sostenuto Tami Davis Biddle, “è quello di costringere lo Stato (o l’attore) bersaglio a scegliere tra il concedere la posta in gioco contesa o il subire il dolore futuro che tale concessione eviterebbe”. Lo Stato costretto “deve essere convinto che se resiste soffrirà, ma se concede non soffrirà”. Tuttavia, se “soffre in entrambi i casi, o se ha già sofferto tutto quello che può, allora non concederà e la coercizione fallirà”. L’attuale comportamento della Cina dimostra ampiamente a Taiwan che soffrirà indipendentemente dal fatto che resista o ceda alla coercizione di Pechino, aumentando così la determinazione di Taiwan a resistere. Ciò solleva la questione di quando, e in quali circostanze, Pechino potrebbe rivalutare l’utilità del suo uso della coercizione.

Infine, il concetto di “controllo della guerra” indica non solo che la Cina crede che la coercizione possa essere calibrata con precisione, ma anche che il suo comportamento in caso di crisi è informato dalla preferenza per un approccio di tipo “escalation-to-deescalation”. Questo comporta due possibili rischi: In primo luogo, che la Cina cerchi di rendere routinarie le sue violazioni dello spazio aereo e delle acque territoriali di Taiwan, stabilendo così un nuovo status quo che rafforzerà la sua capacità di dettare le modalità, l’intensità e la durata della futura coercizione; in secondo luogo, che la convinzione della controllabilità dell’escalation convenzionale aumenti significativamente il rischio di futuri errori di calcolo.

La concezione e la pratica della deterrenza cinese presentano quindi un quadro difficile da decifrare per gli osservatori esterni e da prevedere per il futuro comportamento cinese. Elementi chiave del pensiero cinese sulla deterrenza, come il “controllo della guerra”, suggeriscono che il PLA potrebbe avere una maggiore disponibilità a sondare e mettere alla prova le “linee rosse” avversarie, nel tentativo di prendere l’iniziativa all’inizio di una crisi, in modo da ottenere un vantaggio strategico o operativo che possa essere sfruttato per indurre gli avversari a fare concessioni. Allo stesso tempo, però, gli sforzi di compellenza della Cina potrebbero produrre rendimenti sempre minori, man mano che gli avversari riconoscono che l’imposizione di costi è imminente, indipendentemente dal fatto che accedano o resistano alla coercizione. Gli osservatori esterni possono solo sperare che il riconoscimento di questo fatto possa indurre Pechino a una maggiore cautela.

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