ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU, di Teodoro Klitsche de la Grange

ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU

 

E principio oriuntur omnia ( Cicerone De re publica)

 

  1. Nell’Esprit des lois Montesquieu scriveva “Dopo aver esaminato quali sono le leggi di ogni governo, vediamo ora quelle che sono relative al suo principio. Fra la natura del governo e il suo principio esiste questa differenza: che è la sua natura a farlo tale, ed il suo principio a farlo agire. L’una è la sua struttura particolare, l’altro le passioni umane che lo fanno muovere[1]. L’importanza che il President à mortier annetteva al “principio del governo” era anticipata nel libro I, quando nell’illustrare i fondamenti delle leggi di ciascun popolo scrive “Esse devono essere in armonia con la natura e col principio del governo costituito, o che si vuol costituire, sia che lo formino, come fanno le leggi politiche; oppure che lo mantengano, come fanno le leggi civili”[2].

Per trovare il principio di ciascun governo prende le mosse dalla natura di esso, e in particolare di chi “esercita la suprema potestà, e, in secondo luogo, di come lo possa fare”[3] e conclude il capitolo “Non mi occorre altro per trovare i tre principi dei governi suddetti; essi ne derivano naturalmente. Comincerò col governo repubblicano e prima parlerò del democratico” del quale indica come principio la virtù. Subito dopo spiega perché “Ad un governo monarchico o ad uno dispotico non occorre molta probità per mantenersi o sostenersi. La forza delle leggi nell’uno, il braccio del principe ognora levato nell’altro, regolano o reggono ogni cosa. Ma in uno Stato popolare occorre una molla in più, la quale non è altri che la virtù… infatti, in una monarchia, dove chi fa eseguire le leggi giudica se stesso al di sopra di esse, si ha bisogno della virtù in misura minore che non in un governo popolare, dove chi fa eseguire le leggi sente che lui stesso vi è sottomesso, e ne porterà il peso”[4].

E, nelle stesse repubbliche, alle democrazie ne occorre assai di più che ai governi aristocratici “i politici greci che vivevano in un governo popolare, riconoscevano nella virtù l’unica forza capace di sostenerlo”; mentre “la virtù è altresì necessaria nel governo aristocratico, sebbene non vi sia richiesta in modo altrettanto assoluto… Per natura della costituzione occorre dunque che quel corpo (l’aristocrazia n.d.r.) possegga virtù”. E questa virtù minore (perché limitata al corpo governante) è la moderazione: “La moderazione è quindi l’anima di questi governi: ma quella…  che è fondata sulla virtù, non sulla viltà o sulla pigrizia dell’animo”[5].

Invece nella monarchia “lo Stato vive indipendentemente dall’amor di patria, dal desiderio di vera gloria… da tutte quelle eroiche virtù che troviamo tra gli antichi… Le leggi prendono il posto di queste virtù, ormai inutili… non ignoro affatto che i principi virtuosi non sono rari, ma dico che è assai difficile che in una monarchia il popolo lo sia”[6]. Per cui nelle monarchie il principio, la “molla” che fa funzionare lo Stato, è l’onore, perché “l’ambizione è pericolosa, in una repubblica, ma ha buoni effetti in una monarchia: essa le da la vita, ed ha il vantaggio di non essere pericolosa”[7]. Infine in un governo dispotico “Come in una repubblica occorre la virtù, e nella monarchia l’onore, così nel governo dispotico ci vuole la paura: la virtù non vi è necessaria e l’onore sarebbe pericoloso. Il potere immenso del principe passa tutto intero nelle mani di coloro ai quali egli confida… quando in un governo dispotico il principe dimentica per un momento di levare il braccio, quando non può annientare in un batter d’occhio coloro i quali detengono i primi posti, tutto è perduto… Occorre dunque che il popolo sia giudicato dalle leggi, e i grandi dal capriccio del principe; che la testa dell’ultimo fra i suddtiti sia sicura, e quella dei pascià sempre in pericolo”[8].

  1. In conclusione secondo Montesquieu:

Il principio (della “forma”) di governo è la molla che lo fa agire.

Tale principio è, in misura diversa, la virtù; questa dev’essere posseduta da chi governa: nelle democrazie da tutti i cittadini, nelle aristocrazie dagli ottimati, nelle monarchie dal re. Non lo scrive, ma anche negli Stati dispotici un barlume di virtù (magari diversa) la deve avere il despota. Onore e timore sono sentimenti che competono ai sudditi. In particolare  ai collaboratori dei sovrani.

Il principio è necessario, perché un corpo politico è composto di uomini, è un’istituzione vitale e non può prescindere da ciò che è suscettibile di far agire gli uomini e quindi l’istituzione. Le leggi sono necessarie, ma non sufficienti all’esistenza e vitalità dell’insieme.

Il principio è ciò che  “unifica” governanti e governanti: incide sul rapporto comando/obbedienza, ed è a un tempo fattore d’integrazione e di legittimità.

Come i pensatori politici “classici”, Montesquieu vede istituzioni fatte di uomini, dove taluni comandano ed altri obbediscono: è lungi dal pensatore francese credere che basti una bella costituzione, con tanto di commoventi enunciazioni di principi, e miriadi di leggi di attuazione (altrettanto commoventi) per fare uno Stato vitale. Le leggi non bastano: per costituirlo e conservarlo occorre la molla che le fa vivere. Anzi tra le leggi e il principio (la molla) vi dev’essere coerenza: sarebbe da sprovveduti costituire un governo democratico senza un minimo di virtù, e ancor più un governo dispotico senza la paura[9].

In tale contesto un ruolo di estremo rilievo riveste la virtù, in primo luogo perché ricorre – anche se non necessaria in egual misura per tutti – nelle tre forme di governo non dispotiche; e in questo Montesquieu si riallaccia al pensiero politico antico, per il quale era naturale legare il destino e la fortuna delle polis alla virtù dei cittadini; e non alla sola “bontà” delle leggi[10]. Se come scrive Montesquieu in apertura dell’Esprit des lois  “Le leggi… sono i rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose; e, in questo senso, tutti gli esseri hanno le proprie leggi: le divinità, gli animali, l’uomo” fin dall’inizio dell’opera fissa – per così dire – il rapporto tra esistente e normativo: in cui il primo determina il secondo assai più di quanto quello possa fare sul primo.

In questo senso i principi del governo sono la molla indispensabile per la comunità: la quale non vivendo di sole regole, anche le migliori possibili, deve fondarsi su un principio (generale) che la determini ad agire. Perché sul piano storico – e non solo – esistere significa agire: e l’agire chiede di mobilitare la/le volontà umane; vale la regola tomista omne agens agit propter finem che, oltre un secolo dopo Montesquieu un grande giurista come Jhering avrebbe individuato nel collegamento tra scopo ed interesse.

  1. Poco tempo dopo la morte di Montesquieu iniziò ad enfatizzarsi la figura del legislateur, di colui (coloro) che da (danno) regole certe alla comunità; e delle stesse regole – fissate in leggi – che, piuttosto d’essere scoperte studiando la “natura delle cose”, sono il prodotto (prevalente od esclusivo) della volontà umana. È questa a dare leggi alle cose, e non viceversa. Il rapporto tra l’esistente ed il normativo comincia a pendere a favore del secondo. Le costituzioni moderne frutto della ragione (dell’equità, della giustizia, ma in effetti della volontà) umana ne sono il frutto più evidente. Quella costituzione che non è tale se, come scriveva Thomas Paine, non la si può mettere in tasca: scritta, frutto di una deliberazione pubblica, a seguito (per lo più) di una discussione libera e razionale. Tuttavia per lungo tempo non andarono smarriti i collegamenti principali che ancoravano il normativo all’esistente, in particolare alla volontà e alla virtù nei cittadini. Anzi la rivoluzione francese, ed i giacobini in particolare, fecero della virtù un elemento necessario e primario del nuovo regime politico: segno che i collegamenti col reale erano ancora robusti.

Successivamente, come scrive Ernst Forsthoff “la dottrina dello Stato ha preso una via che l’allontanò dalle qualità umane, e per conseguenza anche dalla virtù. Nell’opera di Georg Jellinek, che ben rappresenta il periodo a cavallo dei due secoli, non se ne parla più”[11].

Per cui quella successiva “è divenuta una dottrina dello Stato senza virtù”. Probabilmente, anzi a seguire Forsthoff sicuramente, il tutto è stata una conseguenza del positivismo giuridico (inteso in senso lato), per cui la dottrina dello Stato è la dottrina del di esso sistema istituzionale e funzionale, e prescinde dalle qualità umane. In questo si può ravvisare anche un prevalere di aspetti “tecnici”, e, in particolare “tecnico-normativi”; Carl Schmitt scriveva che già nel pensiero di Machiavelli era chiaro l’aspetto tecnico di conquista e conservazione del potere: ma tale tecnica non prescindeva né dalle qualità né dai rapporti umani. Mentre la “tecnica” normativistica contemporanea sottintende di fare a meno – o di ridurre ai minimi termini . le une e gli altri.

Tuttavia, come scrive Forsthoff, il successo del positivismo è stato tale “che il diritto tedesco, né prima né dopo, ha mai più raggiunto o mantenuto, nella giurisdizione e nell’amministrazione, un livello così alto”; e questo è stato possibile in buona parte, grazie alle qualità (alle “virtù”) della burocrazia professionale tedesca, frutto, in particolare, dell’alleanza “tra un illuminismo di stampo storico e l’eredità della Riforma”; per cui “questo sistema giuridico, apparentemente spogliato da ogni riferimento etico e bloccato al piano puramente tecnico, aveva pur sempre una sua etica, in quanto si basava su specifiche virtù umane, senza le quali esso non potrebbe essere compreso”[12]. Per cui pensare che uno Stato possa reggersi solo in forza della bontà delle leggi, è fare un’affermazione parzialmente vera (e quindi in parte falsa). Nessuna “buona costituzione” può funzionare bene, se non è adatta alla situazione oggettiva e alle forze reali esistenti, in cui rientrano, in misura determinante, le qualità morali (le virtù) di chi governa, o meglio esercita funzioni pubbliche (a partire dal voto).

  1. Anche le constatazioni di Forsthoff dovrebbero essere aggiornate in base a quello che si pensa – per lo più – in questi anni, nel tardo dopoguerra, diventato un (terzo) dopoguerra (fredda).

Oggigiorno chi parlasse di virtù, muoverebbe al riso (o al sorriso), e  non solo per il non edificante spettacolo offerto dalle elites dirigenti, ma, ancor più, perché nessuno pensa più alle virtù come fattore di sostegno della comunità, e della democrazia in primo luogo. Gli si risponderebbe che bastano buone leggi, e lo si considererebbe un tipo bizzarro. Ma a chi scrive, e data la considerazione riconosciuta dal pensiero occidentale al necessario rapporto tra virtù e buona istituzione, appare bizzarro chi sostiene il contrario; e la prima replica che viene in mente è il tacitiano corruptissima res publica, plurimae leges, d’altra parte ampiamente confermato in Italia nell’ultimo mezzo secolo. In secondo luogo se tanti pensatori, da Platone ad Aristotele, da Cicerone a Machiavelli, da Montesquieu a Mably (per citarne una minima parte) hanno ritenuto il contrario, non si capisce perché si dovrebbe condividere l’idea che ad uno Stato bastino le buone leggi e, soprattutto, non abbisogni di una certa dose di virtù (e soprattutto quale esperienza di quale unità politica la corrobori).

In gran parte questo è l’esito della fase estrema della funzionalizzazione e tecnicizzazione del diritto, la concezione più coerente della quale è il neopositivismo giuridico. Presupposto (e condizione generale) del quale è concepire il mondo come universo di norme, dove non esistono persone (o soggetti di diritto), ma centri d’imputazione di rapporti giuridici; non esistono gerarchie di uomini ma gradazione di norme; non diritti soggettivi, ma norme da applicare; non il sovrano, ma la grundnorm, e così via in una coerente dis-umanizzazione (e de-concretizzazione) della visione del mondo. L’unico elemento umano rimane la “conoscenza del giurista”; nella quale tale concezione si rivela come ideologia di un gruppo sociale particolare, dei funzionari della fase decadente dello Stato borghese di diritto[13].

In tale concezione tutto ciò che è “extra-normativo” non è giuridico (e quindi irrilevante): al massimo si arriva al richiamo ai “valori costituzionali”.

Questo sembra abbia la funzione di soddisfare (al minimo) la necessità di fondare l’esistenza collettiva su qualcosa che è comunque non normativo, e così di “guadagnare il terreno di una legittimità riconosciuta” superando la mera legalità[14]. Cioè costituisce l’eccezione rispetto alla visione per lo più condivisa (dai giuristi).

  1. In realtà la concezione “classica” (all’interno della quale collocare la teoria dei principi di Montesquieu) era la risposta alla domanda: quand’è che l’ordinamento è vitale (in primo luogo) e giusto?

La risposta – data da oltre due millenni di riflessione politica coniuga fattori “esistenziali” e “fattuali” con altri di carattere più propriamente “normativo” e giuridico, con i primi che prevalgono sui secondi. Le qualità personali, le credenze, la legittimità, l’autorità ne costituiscono (ma non ne esauriscono) i capisaldi essenziali[15].

Se invece si chiede risposta alla domanda di come si deve interpretare correttamente (validamente) una norma giuridica, e più in generale come si atteggia la conoscenza  del giurista rispetto al sistema normativo – cioè una domanda diversa – e a contenuto ridotto, la risposta che danno i normativisti, coll’espungere dall’orizzonte del giurista (pratico) ogni elemento “fattuale” ha una sua correttezza. Per la quale tuttavia, come notato, in particolare per il carattere formale di tale teoria del diritto (e simili)[16], esiste (e si verifica) il rischio che “riducendo il diritto a proposizioni logiche prescindendo dal loro contenuto, se ne perda per strada, per così dire, qualche pezzo troppo importante per essere trascurato, o messo tra parentesi, proprio come una teoria fisica è esposta al rischio di trascurare qualche aspetto della realtà troppo importante per non dover essere spiegato. D’altra parte, chi mi assicura che il mio modello di conoscenza della realtà sia veramente coestensivo alla realtà che voglio spiegare? In altri termini: chi mi assicura che il mio ragionamento spieghi veramente tutto ciò che devo spiegare? La scienza rischia di essere un insieme di proposizioni che, paradossalmente, non fotografa il mondo, ma se stessa: lo scienziato rischia cioè di non vedere altro che il proprio ragionamento, e non la realtà che vuole spiegare. La «verità» significa così soltanto la coerenza ai presupposti di partenza, che peraltro non sono dimostrati, e scompare ogni riferimento alla realtà, per spiegare la quale lo scienziato «puro» ha iniziato a fare scienza. Siamo di fronte a una vera implosione del sistema[17].

E proprio questo è il punto: restringendo il problema dell’ordinamento a quello della corretta applicazione delle norme, si espungono dall’orizzonte giuridico gli elementi principali e determinanti, e comunque gran parte di ciò che ne fa necessariamente parte. Ovvero sia l’aspetto dell’unità, dell’azione e della coesione del gruppo sociale, sia quello dell’applicazione del diritto (attraverso la coazione organizzata e la violenza legittima); per cui il normativismo è stato da molti considerato come una gnoseologia giuridica, e lo è, perché, coerentemente, elimina dall’orizzonte giuridico tutto ciò che è “fattuale”.

Di converso e nella linea del pensiero politico classico, troviamo (tra gli altri) i giuristi istituzionisti, i quali ovviamente prendono in considerazione (massima) l’ordinamento e tutti quei fattori esistenziali che ne condizionano e determinano la forma e l’azione, con particolare riguardo alla situazione concreta.

Hauriou, il quale nel Précis de droit constitutionnel critica ripetutamente Kelsen, iniziando dall’errore, che stigmatizza, di assimilare “l’ordine oggettivo all’ordine statico” e subordinare “strettamente il dinamico allo statico”[18]. Mentre “ciò che gli uomini chiamano stabilità non è l’immobilità, ma il movimento coordinato (d’ensemble) lento ed uniforme che lascia sussistere una certa forma generale delle cose…”. A dare il senso e comprenderlo è del tutto inadatto il sistema di Kelsen essenzialmente statico, in cui non c’è posto per la libertà umana.

Santi Romano con la costante attenzione che ha dato dalla gioventù fino a poco prima di morire ai problemi del mutamento, della legittimazione e della crisi degli ordinamenti è, parimenti, esemplare di una concezione dinamica e vitalistica del diritto. Tornando a Montequieu, questi aveva ben chiaro che una comunità umana vive nella storia, nello spazio e (anche) nel tempo: lo stesso si può dire di Hauriou e Romano, che hanno il senso del diritto “bidimensionale”.

Un sistema statico è invece, per così dire, a parafrasare Marcuse, un diritto ad una dimensione, giacché non tiene conto del tempo – e conseguentemente della storia; (come di tante altre cose).

In questo senso la critica di Hauriou ai sistemi “statici”, che si convertono in una contemplazione delle regole è penetrante[19].

  1. Ciò stante occorre vedere quale fosse il concetto di virtù per Montesquieu e se è ancora necessaria oggigiorno:

“La virtù in una repubblica è cosa semplicissima. È l’amore della repubblica: è un sentimento e non una serie di nozioni…”[20]. Tuttavia data l’equivocità del termine, Montesquieu fin dall’avertissement all’Esprit des lois tiene a definirlo, delineandone il carattere pubblico e politico e non privato (cioè “non politico”) precisando:

“Ciò che chiamo virtù nella repubblica è l’amore della patria… Non è una virtù morale né cristiana, è la virtù politica; essa è la molla che fa agire (mouvoir) il governo repubblicano…”[21].

Coerentemente a quanto ritenuto già da Platone (la tesi di Callicle nel Gorgia) e da Aristotele, la virtù politica è connotato del cittadino (del civis), cioè dell’uomo pubblico, non del bonus paterfamilias, cioè dell’uomo privato: distinzione essenziale, mantenuta dal pensiero filosofico e in particolare dalla teologia cristiana, da Lutero a Bellarmino. E che, coerentemente alla generale confusione di pubblico e privato, oggigiorno spesso non viene più capita, al punto che, a sentire qualche rozzo demagogo, basterebbe un qualsiasi brav’uomo (purché privatamente onesto) a guidare uno Stato. Cosa che (non nuova, ma spesso ripetuta) suscitava il sarcasmo di Croce, come d’ “ideale che canta nell’animo di tutti gli imbecilli…”. Sicuramente di quel tipo di virtù privata non c’è necessità: non che guasti, ma sicuramente lo Stato può esistere ed agire anche se i costumi sessuali sono rilassati e quelli commerciali non proprio adamantini.

Invece dell’altra, di quella che Montesquieu chiamava virtù politica se ne sente il bisogno, in misura proporzionale a quanto si è ridotta da oltre cinquant’anni.

Come si sente la necessità della lezione di Montesquieu sui principi di governo come sentimenti e come molle per far agire l’istituzione statale. La contraria tesi, tanto ripetuta che siano sufficienti delle buone regole (leggi) è viziata di (almeno) tre errori.

Il primo dei quali è la riduzione del diritto a gnoseologia giuridica, come tecnica di applicazione delle norme al caso concreto. A questa concezione si addice la critica sopra riportata che così se ne perde “qualche pezzo troppo importante”. Mentre il diritto è essenzialmente un sistema di regolazione dell’azione. E’ l’orientamento che da alle azioni umane l’aspetto decisivo per comprendere l’essenza del diritto.

In secondo luogo, e conseguentemente che le regole non bastano: queste possono disciplinare, permettere, comandare le azioni, ma senza trascurare mai che l’“oggetto” ne è l’agire umano.

E soprattutto, infine, che per sostenere il fenomeno giuridico originario, cioè l’istituzione occorre far leva (anche) sul sentimento che fa “agire il governo”.

Uno Stato che non agisce, che non fa leva sul sentimento (cioè sul principio) è un’istituzione in cancrena: esistere, nella storia, significa agire. Agire non vuol dire (soltanto) applicare delle regole, ma soprattutto avere ciò che con termini diversi di concetti simili è stato chiamato virtù, amore della patria, senso dello Stato.

Senza il quale – o carente il quale – lo Stato cade o decade.

Certo si può rispondere come don Abbondio che la virtù è come il coraggio: se uno non ce l’ha non se lo può dare: ma occorre replicare che un primo passo per (tentare di ) averlo è pensare che sia necessario. Cioè il contrario degli idola correnti.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Lib. III, cap. I a cura di S. Cotta, Torino 1965, p. 83 (i corsivi sono nostri).

[2] Op. cit., p. 64.

[3] Op. cit., Lib. III, cap. 2 (i corsivi sono nostri).

[4] Op. cit., Lib. III, cap. 3.

[5] V. Lib. III, cap. 4. Si noti che in una nota, cancellata, Montesquieu prendeva ad esempio di aristocrazie non virtuose proprio quelle italiane, che languiscono e sembra che tutti ne ignorino l’esistenza, dovuta più che altro alla gelosia che susciterebbe la loro distruzione; del resto avvenuta circa mezzo secolo dopo, con la rivoluzione francese. Giudizio che si potrebbe adattare ad altre elites governanti italiane, anche contemporanee (i corsivi sono nostri).

[6] Lib. III, cap. 5 (i corsivi sono nostri).

[7] Lib. III, cap. 7 (i corsivi sono nostri).

[8] Lib. III, cap. 9 (i corsivi sono nostri).

[9] A tale proposito Montesquieu aveva in qualche misura previsto alcuni tratti del totalitarismo del XX secolo, il quale, come scriveva, tra gli altri, Wittvogel per il comunismo, presentava diverse analogie col dispotismo orientale ed il “modo di produzione asiatico”.

[10] V. per la riflessione filosofica sulla polis greca Gianfranco Lami, Socrate, Platone, Aristotele, Soveria Mannelli 2005.

[11] V. E. Forsthoff nella raccolta di saggi tradotti in italiano Stato di diritto in trasformazione, Milano 1973, p. 12.

[12] Op. cit., p. 18.

[13] Per uno sviluppo di questa tesi ci permettiamo di rinviare – dati i limiti di questa comunicazione – al nostro scritto Normativismo, funzionarismo, nichilismo in Behemoth n. 43 (gennaio-giugno 2008) e in Empresas politicas(n. 10-11 2008, p. 55 ss.).

[14] v. Carl Schmitt Die Tyrannei der Werte, trad. it. La tirannia dei valori, Roma 1987, Antonio Pellicani Editore, p. 38-39.

[15] In realtà nessun ordinamento è stato salvato (conservato) solo dalla propria superiore razionalità e giustizia. L’impero romano con la sua sapienza giuridica, la sua ars boni et equi, e il suo ordinamento razionale, fu travolto da popolazioni assai meno civili, ma tanto più decise a difendere la loro esistenza.

[16] Anche non condividendo i presupposti del neo-positivismo giuridico, teoria che enfatizzava il ruolo delle regole, il ruolo della c.d. ingegneria costituzionale, rischiano di cadere in errori e rischi simili.

[17] V. O. De Bertolis S.I., La metodologia giuridica di Norberto Bobbio in Civiltà Cattolica, quaderno 3687.

[18] Op. cit., p. 6.

[19] Mentre per gli ordinamenti umani vale l’aforisma di Eraclito “che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”.

[20] L’esprit des lois V, cap. 1.

[21] Avertissement (i corsivi sono nostri).

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Germania über alles, un mito che vacilla_Con il professor Marco Pugliese

Le vicende degli ultimi tre anni hanno scosso in profondità una narrazione che, a dispetto di tante evidenze, ha circondato la condizione della Germania di una aura di grande potenza in larga parte immeritata. Sia i detrattori che gli apologeti si sono nutriti di questo mito. L’acceso conflitto politico negli Stati Uniti, imperniato sulla insostenibilità degli enormi squilibri interni creati dalle modalità del processo di globalizzazione, l’andamento del conflitto ucraino, la demenzialità delle politiche energetiche ed ambientali, l’adesione acritica alle politiche sanzionatorie hanno messo in crisi le dinamiche dalle quali le classi dirigenti alemanne sono riuscite a trarre profitto in qualità di intermediari e sulle quali hanno basato il proprio modello di formazione sociale. Le proteste degli agricoltori tedeschi sono solo l’inizio di quello che potrà succedere nell’immediato futuro in Germania e di conseguenza nel resto d’Europa. Un ceto politico ed una classe dirigente particolarmente meschina sembra sempre più orientata ad accettare ed alimentare questa condizione cercando disperatamente di raccogliere le briciole che rimarranno disponibili dai nuovi assetti geopolitici che si stanno delineando sommando a dipendenza ulteriori dipendenze sempre più passive. Un contesto che farà dell’intera Europa un terreno di conquista e di conflitto di interessi altrui. Come vedremo nelle prossime puntate esistono ancora, anche per il nostro paese, margini oggettivi per una svolta. Tutto dipenderà da un rivolgimento del proprio ceto politico e della propria classe dirigente, al momento sempre meno probabile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Gli Stati Uniti lanciano attacchi contro lo Yemen e altri aggiornamenti, di SIMPLICIUS THE THINKER

È una settimana relativamente fiacca per le notizie in Ucraina. Ma la situazione è in bilico, in uno stato di stasi in attesa della prossima grande mossa. Le aspettative più pressanti attualmente sul tavolo sono:

La risoluzione finale e decisiva dello stallo del Congresso statunitense sull’Ucraina e:

La risoluzione decisiva da parte dell’Ucraina e di Zelensky della questione della mobilitazione, che in questo momento è al primo posto nella società.

Alcuni ricorderanno che la Rada ha continuato a tirare per le lunghe, prima promettendo la nuova legge sulla mobilitazione alla fine dello scorso anno, poi fissandola definitivamente per l’8 gennaio. Ora siamo all’1/12 e il disegno di legge finale continua a essere respinto, con entrambe le parti che si accapigliano perché nessuno vuole assumersi la responsabilità della società.

Tuttavia, la cosa importante da notare è che, nonostante la mancata approvazione ufficiale delle principali mozioni, la mobilitazione è già entrata nel vivo anche senza di essa. Le persone “sul campo” riferiscono che alcune zone sono città fantasma con uomini che si rifiutano di camminare per le strade come mai prima d’ora, tanto è peggiorata la situazione. Solo che la Rada non ha ancora deciso alcune delle misure più importanti, come l’abbassamento ufficiale dell’età di mobilitazione e la definizione precisa delle esenzioni mediche che possono salvare qualcuno. Ma a parte questo, la severità delle misure di repressione è aumentata drasticamente: nuovi posti di blocco, aumento dei controlli sui mezzi pubblici da parte dei gorilla, ecc.

Per quanto riguarda il Congresso, anche lì non ci sono ancora progressi. L’aggiornamento attuale è che uno dei “compromessi” ventilati è la presunta discussione da parte dei repubblicani di consentire l’ingresso di un certo numero di migranti al giorno attraverso il confine meridionale, ma con un “tetto” rigido o una quota sul numero totale. Ma finora, anche questo sembra non essere andato a buon fine:

In realtà, la situazione si è aggravata e ha preso una piega piuttosto drammatica, con il governatore del Texas Abbott che ha tolto il controllo ai federali, impedendo loro di entrare in uno dei parchi dove passano gli immigrati clandestini:

Per chiarire: la Guardia Nazionale del Texas ha sequestrato la terra e i suoi dintorni agli agenti del governo federale, impedendo loro di entrare. Questo è ovviamente “notevole”, come afferma il rapporto sopra riportato, ed è un altro passo verso una forma di scontro finale o di guerra civile.

Non sembra che si stia avvicinando una “conciliazione” tra le due parti, il che sembrerebbe indicare che il finanziamento dell’Ucraina non sarà risolto a breve, se mai lo sarà.

Quindi quale altra opzione hanno?

Beh, la grande notizia è che Biden per la prima volta ha manifestato pubblicamente il suo sostegno all’utilizzo dei mitici fondi russi sequestrati:

Si tratta delle riserve valutarie da 300 miliardi di dollari che la Russia aveva depositato nelle banche europee. Ma gli esperti hanno avvertito che un tale sequestro illegale aprirebbe il vaso di pandora che sarebbe la rovina finale del dollaro. Si tratta di fondi sovrani. Ciò significa che sono i soldi della banca centrale russa. E come tutti sappiamo, a prescindere da ciò che accade tra i “topi e gli uomini” dei governi e i loro tirapiedi, le banche centrali esistono su un piano di ordine superiore. In un certo senso, sono una classe a sé stante. E se “i piani meglio disposti di uomini e topi spesso vanno a rotoli”, i piani dei banchieri centrali non possono mai deviare. Per una banca centrale sequestrare il fondo sovrano di un’altra grande banca centrale è come se due delle più grandi famiglie criminali di un grande film del Padrino si dichiarassero guerra a vicenda. Si tratta di movimenti epocali, che scuotono il terreno e le cui conseguenze riecheggeranno per generazioni.

Lo faranno davvero? Io continuo a sostenere di no. Credo che si tratti della stessa disperata blaterazione e che rimarranno troppo timorosi per premere il grilletto, usandolo semplicemente come un’altra misura per gonfiare le vele dell’Ucraina e offrire una “speranza” vuota ed effimera. Ma questa è una delle ultime possibilità attualmente in discussione.

Infine, ricordiamo che la Russia ha la stessa quantità di beni che può confiscare all’Occidente, quindi lo “scambio”, se dovesse avvenire, non sarebbe altro che l’Occidente che deruba illegalmente il proprio popolo di 300 miliardi di dollari che non potrebbe legalmente convincere la popolazione a dargli per l’Ucraina.

Questi sono i due principali dilemmi irrisolti attualmente sul tavolo. Ieri Schumer ha addirittura lanciato un’altra esortazione urgente, avvertendo minacciosamente che se non si trova subito un accordo, la guerra ucraina potrebbe prendere una piega drastica a favore della Russia entro un mese:

A lui si è aggiunto John Kirby che ha dichiarato che tutti gli aiuti militari all’Ucraina sono effettivamente sospesi al momento, poiché “non ci sono più fondi”.

In realtà, gli Stati Uniti sembravano avere ancora circa 4 miliardi di dollari di autorità presidenziale di prelievo rimanente. Anche se non è molto, il fatto che si rifiutino di usare il resto può significare una delle due cose:

stanno inviando a Zelensky un messaggio forte per chiudere la guerra e avviare i negoziati.

Vogliono conservare l’ultima parte per scopi di vera emergenza. Per quanto l’Ucraina stia male in questo momento, non è ancora in acque veramente disperate o di emergenza. È chiaro che le loro linee non si stanno rompendo e non sono completamente invase. Se ciò dovesse accadere, forse l’ultima tranche di 4 miliardi di dollari viene conservata come una sorta di fondo di emergenza terminale deus ex machina.

Oppure il denaro è già stato sottratto dal corrotto MIC – chi può dirlo?

Nel frattempo, l’unica cosa interessante che esce dall’Ucraina in questo momento:

L’Istituto per lo studio della guerra è riuscito ad ammettere non solo che la Russia ha tutta l’iniziativa, ma anche che ha il 95% del personale delle sue unità, il che consente una rotazione e una generazione di forze tempestive e professionali:

E proseguono osservando che:

6/ La capacità della Russia di condurre rotazioni a livello operativo permetterà probabilmente alle forze russe di mantenere il ritmo generale delle loro operazioni offensive localizzate nell’Ucraina orientale nel breve termine.
In breve: le unità russe sono ben equipaggiate, recuperano facilmente eventuali perdite e hanno tutto il tempo operativo e l’iniziativa. L’Ucraina, invece, come abbiamo appreso nell’ultimo aggiornamento, sta subendo 30.000 perdite al mese e per la prima volta – secondo alcuni rapporti – non è stata in grado di reintegrare queste perdite mensili attraverso la mobilitazione.

Rapporti come i seguenti continuano ad essere confermati:

Ma la verità è questa:

Sul fronte tattico, l’Ucraina si sta comportando molto bene. In molti casi sono addirittura superiori alle forze russe su un determinato fronte o livello, grazie alle loro posizioni difensive e ai vantaggi che ne derivano, nonché all’uso più accorto della tecnologia UAV e delle capacità ISR della NATO.

Tuttavia, dove si stanno verificando molti danni sproporzionati è nel campo degli attacchi russi di profondità operativa totalmente inarrestabili. Le difese aeree dell’Ucraina sono ora più esaurite che mai e, al contrario, l’arsenale aereo della Russia è più forte che mai perché tutte le sue capacità produttive di PGM (munizioni guidate di precisione) hanno continuato ad aumentare in modo parabolico. Il paese sta sparando più missili e altri tipi di armi che mai, in particolare il crescente portafoglio di bombe UMPK.

Nell’ultimo rapporto abbiamo appreso che la Russia sta adattando le munizioni a grappolo RBK-500, ora abbiamo la piena conferma che sta utilizzando anche le Fab da 1500 kg e persino le termobariche ODAB-1500. Oggi Shoigu ha visitato la linea di assemblaggio delle UMPK, offrendoci un raro sguardo di prima mano su alcune delle innovazioni in corso in tempo reale:

Nell’immagine qui sopra si può anche vedere un test inedito di una delle bombe, che mostra come si capovolge dopo lo sgancio prima di aprire le ali.

A causa di questi aumenti, le posizioni dell’Ucraina nelle retrovie vengono colpite con perdite importanti ogni volta. Per esempio, dall’ultimo rapporto – in cui ho elencato diversi “siti posteriori” colpiti con perdite importanti – c’è stato un nuovo attacco a un hotel di mercenari a Kharkov.

Anche la guerra dei droni continua a scaldarsi: un recente articolo ha ammesso che i soldati ucraini sono costretti ad abbandonare i loro veicoli perché i droni russi li distruggono tutti senza pietà:

Gli uomini della sua unità hanno raccontato che negli ultimi mesi hanno lasciato i loro veicoli blindati e hanno camminato per sei miglia per raggiungere le posizioni sulla linea del fronte, ha riferito il Times. “Gli uomini della 117ª Brigata nella regione di Zaporizhzhia hanno affrontato una spiacevole camminata di quattro miglia sotto la pioggia e il fango, ha detto al Times un comandante dell’intelligence. Se prendevano i loro veicoli per trasportare munizioni o cibo al fronte, i droni russi potevano attaccare dall’alto.

L’ultima volta che abbiamo riportato le voci sull’integrazione dell’intelligenza artificiale russa negli FPV, ora abbiamo la conferma effettiva da parte del principale esperto di droni dell’Ucraina, il famigerato comandante Magyar:

Purtroppo, nonostante questi progressi, le truppe russe non sono in una posizione migliore. La padronanza dei droni dell’Ucraina sta raggiungendo nuove vette e i veicoli russi vengono sopraffatti da essi su quasi tutti i fronti quando vanno all’assalto. Come ho spiegato prima, le aree posteriori della Russia sembrano ben protette, ma nessuno ha ancora imparato a respingere bene i droni durante gli assalti, quando si è andati oltre la protezione EW posteriore.

L’Ucraina ha persino iniziato a introdurre unità di protezione dei veicoli come le seguenti per le sue unità più preziose, come questo Marder tedesco qui sotto:

Il social network ha pubblicato un filmato che mostra un veicolo da combattimento di fanteria Marder 1A3 di fabbricazione tedesca, appartenente al 10° Corpo d’Armata delle Forze Armate ucraine, equipaggiato con il sistema Sania, progettato per contrastare i droni con vista in prima persona (FPV). Il sistema Sania offre un duplice approccio alla difesa dagli UAV: rilevamento e soppressione. Il rilevatore del sistema analizza la presenza di droni FPV entro un raggio di 1,5 km. Quando viene rilevata, viene attivato un “jammer” anti-drone, in grado di sopprimere i segnali che controllano l’UAV a una distanza massima di 1 km.

Tra l’altro, è interessante notare che, mentre la guerra diventa estremamente “high tech” in una direzione, in un’altra va contraddittoriamente indietro come risposta a questo. Vedete, poiché l’attuale campo di battaglia post-moderno è così infuso di rumore di segnale ed è diventato un campo di battaglia elettromagneticamente saturo, le forze russe stanno trovando qualche ricorso nelle tecnologie antiche.

Come si può vedere qui sotto, stanno raccogliendo linee telefoniche e di comunicazione dismesse della Seconda Guerra Mondiale, perché si sono dimostrate più affidabili e resistenti al moderno ambiente EW:

Inoltre, tali linee di comunicazione fisiche terrestri sono particolarmente adatte all’attuale tipo di guerra posizionale, in cui non si avanza molto in un breve periodo di tempo, perché consentono di stabilire linee dirette tra i vari quartieri generali e le unità senza preoccuparsi di doverle risistemare quando il quartier generale del battaglione si sposta di diversi chilometri durante l’avanzata.

Tenete comunque presente che il cablaggio fisico per le comunicazioni è normale e standard anche al di là di questo, in quanto non c’è nulla che ne batta l’affidabilità e la sicurezza, ma credo che ora venga usato ancora più che mai. Ciò è dovuto in particolare al fatto che una delle più grandi e deludenti debolezze dell’esercito russo, che la guerra ha contribuito a rivelare, sono i sistemi di comunicazione.

Ci sono alcuni buoni sistemi e le comunicazioni sono in genere buone quando si tratta dei livelli più alti, cioè le brigate che parlano con i corpi d’armata e oltre, ma quando si tratta di formazioni più piccole e sezioni che comunicano, è spesso un completo pasticcio. Le radio Azart criptate standard dell’esercito russo – l’equivalente dei sistemi Harris americani – sono state criticate fin dall’inizio in quanto afflitte da scandali, costringendo molte unità russe ad affidarsi a Baofeng cinesi a basso costo che sono infinitamente craccabili e intercettabili.

Di norma, i Baofeng più economici e simili vengono utilizzati solo a distanza ravvicinata, come ad esempio il comandante di una batteria di artiglieria che comunica le indicazioni di tiro alle sue truppe a diversi metri di distanza. Questo è considerato relativamente sicuro perché le radio non hanno una portata enorme e quindi il loro segnale non può essere intercettato in modo affidabile. Le comunicazioni con le unità distanti sono in genere effettuate con set criptati e più standardizzati come Azart, ma ci sono ancora molti problemi da risolvere e le truppe russe spesso lamentano problemi di comunicazione tra le unità a distanze medie di 5-15 km. Questo è un settore in cui gli Stati Uniti e la NATO hanno un netto vantaggio. Tuttavia, va detto che questo vantaggio è per lo più sulla carta e non è stato dimostrato in un ambiente reale di contestazione EW. Dico questo perché ci sono molti rapporti che accennano a grossi problemi della NATO anche in questo campo; per esempio, sono stati segnalati problemi nei Marder/Leopard tedeschi nei campi di addestramento, citando specificamente il mancato funzionamento dei loro sistemi di comunicazione, e i comandanti sono stati costretti ad aprire il portello per “urlare” istruzioni alle unità vicine. Per esempio:

E dalla loro attuale wikipedia:

Come potete vedere, questo è un problema con cui molti dei migliori eserciti del mondo si scontrano.

Ciò che rimane da commentare:

Gli Stati Uniti e la loro piccola marmaglia isolata di “alleati” servili hanno attaccato lo Yemen con un attacco assolutamente impotente che non ha fatto nulla e non avrà alcun effetto sul continuo blocco dello Yemen sul Mar Rosso.

La Russia ha lanciato più di 7500 missili contro l’Ucraina, un Paese che ha la maggior parte delle sue infrastrutture “all’aperto”, e molti considerano che l’Ucraina sia stata a malapena colpita industrialmente dopo 2 anni di bombardamenti continui. Ora immaginate cosa possa fare una misera quantità di 70-100 missili Tomahawk di vecchia generazione a un Paese con strutture militari altamente decentralizzate e sparse nei deserti. In breve: niente.

Il bombardamento della NATO sulla Serbia, durato 3 mesi e 24 ore su 24, ha distrutto una dozzina di carri armati e ha potuto degradare l’AD solo del 50%. Senza l’intervento sul terreno, la coalizione fallita degli Stati Uniti non può fare nulla per lo Yemen – e non lo farà, quindi gli attacchi possono essere considerati solo come un debole “avvertimento” all’Iran, che susciterà solo risate di cuore a Teheran.

Il mondo può vedere che il regime del terrore statunitense non ha vestiti. Sembra sempre più debole, soprattutto dopo l’annuncio che Raytheon Lloyd ha diretto gli attacchi dal suo letto d’ospedale. Sì, ha premuto il grilletto di un computer portatile mentre si sporcava la padella:

Un regime decrepito, guidato da un presidente rimbambito e da un segretario di Stato debilitato, che lancia massacri illegali dalle proprie case di cura e dai propri letti d’ospedale contro la nazione più povera del pianeta, praticamente nello stesso giorno in cui il proprio alleato di blocco affronta all’Aia accuse di genocidio e crimini contro l’umanità. Non ci si può inventare nulla: l’ottica non è mai stata peggiore per l’Impero della Menzogna.Per non parlare del fatto che gli Stati Uniti hanno apparentemente subito delle perdite e ora stanno cercando di coprirle dopo che le forze di Ansar Allah hanno affermato di aver abbattuto un aereo statunitense e di aver colpito una nave:

L'”aereo” è stato almeno in parte confermato, anche se sembrava essere un drone di classe pesante:

E i problemi non sono finiti. Sia Tesla che Volvo hanno annunciato la cessazione totale della produzione a causa di problemi di interruzione delle forniture:

La deindustrializzazione tedesca continua a crescere:

Il tutto mentre la Russia sta vivendo una rinascita nel settore manifatturiero. I PMI sono alle stelle e l’industria russa degli utensili e degli stampi sta vivendo un’importante rinascita storica:

Infine, c’è la triste notizia che l’Ucraina ha ucciso Gonzalo Lira.

Grayzone ha riferito che il Dipartimento di Stato americano ha comunicato con il padre di Lira solo pochi giorni fa:

E lo stesso Gonzalo, fragile, scrisse dal carcere questo biglietto per la sorella, che il padre disse di aver ricevuto il 4 gennaio:

“Ho avuto una doppia polmonite (entrambi i polmoni), uno pneumotorace e un caso molto grave di edema (gonfiore del corpo). Tutto questo è iniziato a metà ottobre, ma è stato ignorato dal carcere. Hanno ammesso che avevo la polmonite solo in un’udienza del 22 dicembre. Sto per sottopormi a un intervento per ridurre la pressione dell’edema nei polmoni, che mi causa un’estrema mancanza di respiro, al punto da svenire dopo una minima attività, o anche solo per parlare per due minuti”.

Non c’è molto altro da dire. Lira era una figura controversa a causa della sua precedente attività di coach di incontri, ma questo non lo rendeva meritevole della morte da parte del regime ucraino. Per tutte le accuse mosse alla Russia, nessun giornalista o personaggio americano è morto in prigionia russa, mentre un cittadino americano non solo è morto in prigionia ucraina, ma anche sotto varie forme di tortura. Nel suo ultimo video ha descritto alcune di queste torture, come i bulbi oculari raschiati da oggetti appuntiti e altre tecniche macabramente medievali. Ma naturalmente a nessuno del regime nazi-complicato degli Stati Uniti importa; un’altra di una lunga serie di grossolane ipocrisie da parte di coloro che hanno portato il farsesco “Stato di diritto” e “Ordine basato sulle regole”.

Ecco le ultime, fatidiche parole di Gonzalo, tratte dall’ultimo minuto del suo ultimo video prima di attraversare il confine, per non essere mai più visto:

Non l’ho guardato spesso, ma quando l’ho fatto ho trovato le sue analisi intelligenti e abbastanza sagaci. Ma due cose che sono indiscutibili sono state formulate in modo poetico dall’eminente Signore della Guerra in Poltrona:

Rest in peace, Gonzalo.


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Comprendere l’approccio della Cina alla deterrenza, Di Michael Clarke

Comprendere l’approccio della Cina alla deterrenza
L’approccio cinese alla deterrenza prevede sia l’azione di persuasione che quella di dissuasione e si intreccia con l’idea di “controllo della guerra”.

Di Michael Clarke
09 gennaio 2024
Capire l’approccio della Cina alla dissuasione
Credito: Depositphotos
L’era della “competizione strategica” tra grandi potenze ha visto la deterrenza, sia come concetto che come obiettivo operativo, tornare a occupare un posto di preminenza nella difesa nazionale e nella politica strategica che non si vedeva dalla fine della Guerra Fredda.

Mentre si è prestata molta attenzione ai progressi tecnologici delle forze armate cinesi – che le forze armate statunitensi definiscono apertamente la “sfida del ritmo” – si è prestata relativamente meno attenzione ai concetti e alle strategie che possono animare le capacità dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA). L’ultima valutazione annuale del Pentagono, “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China”, ad esempio, ha osservato che il rapporto del Segretario Generale Xi Jinping al 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) nell’ottobre 2022 ha fissato l’obiettivo per il PLA di “costruire un forte sistema di deterrenza strategica” basato sullo sviluppo sia della “costruzione di forze di deterrenza nucleare tradizionale” sia della “costruzione di forze di deterrenza strategica convenzionale” – ma senza esaminare ulteriormente il modo in cui la Cina concepisce attualmente la deterrenza.

Data l’escalation di esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan nell’ultimo anno e il recente intensificarsi degli incidenti nel Mar Cinese Meridionale, è più che mai importante esaminare e comprendere come la Cina concepisca e pratichi forme di coercizione come la deterrenza. Un esame delle fonti cinesi autorevoli e semi-autorevoli sulla strategia e la dottrina del PLA rivela una serie di cose: che la Cina concepisce e pratica la deterrenza in un modo distinto che combina forme di coercizione dissuasive e coercitive; che la deterrenza è esplicitamente inquadrata come uno strumento per il raggiungimento di obiettivi politico-militari; e che la dottrina del PLA prevede un’applicazione sequenziale di posture deterrenti e coercitive attraverso uno spettro di tempo di pace-crisi-guerra.

Il pensiero cinese sulla deterrenza

Le recenti azioni cinesi nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale sottolineano il fatto che la politica internazionale “si svolge in una regione grigia di non pace e non guerra, in cui la minaccia della violenza – più che la sua semplice applicazione – è la variabile critica per la comprensione delle relazioni interstatali e delle crisi”.

Questo “potere di nuocere”, come lo ha definito Thomas Schelling, è al centro delle strategie di coercizione. Questa assume principalmente due forme: la deterrenza e la compellenza. La prima utilizza la minaccia della violenza per impedire a un attore di intraprendere un’azione che altrimenti potrebbe intraprendere in assenza della minaccia, mentre la seconda utilizza la minaccia della violenza per indurre un attore a intraprendere un’azione che preferirebbe non intraprendere. L’oggetto della deterrenza è quindi la dissuasione, ossia una minaccia “volta a impedire a un avversario di fare qualcosa”, mentre quello della compellenza riguarda l’uso di minacce “per far fare qualcosa a un avversario”.

La maggior parte dei teorici occidentali ha posto due ulteriori distinzioni tra deterrenza e compellenza. La prima riguarda il rapporto tra minaccia e uso della forza. La minaccia è solitamente considerata sufficiente per la deterrenza, ma insufficiente per la compellenza, che richiede sia la minaccia che l’uso esemplare della forza per avere successo. Il secondo è la questione di chi abbia l’iniziativa nella pratica di ciascun concetto. La deterrenza, come ha detto memorabilmente Schelling, “consiste nell’allestire la scena – annunciando, preparando il cavo d’inciampo, incorrendo nell’obbligo – e nell’aspettare”, mentre la compellenza “consiste nell’iniziare un’azione che può cessare, o diventare innocua, solo se l’avversario risponde… Per costringere uno prende abbastanza slancio da far agire l’altro per evitare la collisione”.

In sintesi, la deterrenza è una “strategia coercitiva progettata per impedire a un bersaglio di cambiare il suo comportamento”, in cui un deterrente emette minacce dissuasive “perché ritiene che un bersaglio stia per, o finirà per, cambiare il suo comportamento in modi che danneggiano gli interessi del coercitore”. La compellenza, al contrario, è una strategia coercitiva basata sull’imposizione di costi attraverso “minacce o azioni” fino a quando l’obiettivo non cambia il suo comportamento nei modi specificati dal coercitore.

In che modo queste accezioni occidentali di deterrenza e compellenza si rapportano al caso cinese?

In primo luogo, come ha sostenuto Dean Cheng della Heritage Foundation, il termine cinese più spesso tradotto in inglese come deterrenza, 威慑, “incarna sia la dissuasione che la coercizione”. Documenti autorevoli, come i compendi di Scienza della Strategia Militare (SMS) pubblicati ogni due anni dall’Accademia Cinese di Scienze Militari, illustrano questo legame nel pensiero cinese, con l’edizione più recente, del 2020, che afferma che la deterrenza ha due funzioni: “impedire alla controparte di fare ciò che vuole fare attraverso la deterrenza” (cioè la dissuasione) e “usare la deterrenza per costringere la controparte a fare ciò che deve fare” (cioè la compellenza).

La concezione cinese di questo concetto lo inquadra esplicitamente come uno strumento piuttosto che come un obiettivo della politica. L’obiettivo non è “dissuadere l’azione in uno o in un altro ambito, ma garantire l’obiettivo strategico cinese più ampio”, come impedire a Taiwan di dichiarare l’indipendenza o ottenere l’acquiescenza alle rivendicazioni cinesi sul Mar Cinese Meridionale.

Pertanto, la deterrenza non è concepita come un’attività statica, ma ha fasi di applicazione in tempo di pace, di crisi e di guerra. L’SMS del 2013, ad esempio, specifica che in tempo di pace l’obiettivo è quello di impiegare “una postura di deterrenza normalizzata per costringere l’avversario a non osare agire con leggerezza o avventatezza”, basata su “attività militari a bassa intensità”, come lo svolgimento di esercitazioni militari, “l’esibizione di armi avanzate” e l’affermazione diplomatica della “linea di fondo strategica” della Cina. Ciò fa pensare alla nozione di “deterrenza generale”, in cui “armi e avvertimenti sono un contributo all’ampio contesto della politica internazionale”, in cui l’obiettivo principale “è gestire il contesto in modo che per un avversario appaia fondamentalmente poco attraente ricorrere alla forza”.

Tuttavia, l’SMS del 2013 afferma che in situazioni di crisi il PLA adotterà “una postura di deterrenza ad alta intensità, per mostrare una forte determinazione di volontà di combattere e una potente forza effettiva, per costringere un avversario a invertire prontamente la rotta”. Il corrispettivo di questo concetto nella concezione occidentale è probabilmente la “deterrenza immediata”, che riguarda “la relazione tra Stati contrapposti in cui almeno una parte sta seriamente prendendo in considerazione un attacco mentre l’altra sta mettendo in atto una minaccia di ritorsione per impedirlo”.

La distinzione tra queste, come ha notato Lawrence Freedman, riguarda in ultima analisi “il grado di impegno strategico tra chi dissuade e chi è dissuaso”: la dissuasione immediata “implica uno sforzo attivo di dissuasione nel corso di una crisi, quando l’efficacia di qualsiasi minaccia sarà presto rivelata dal comportamento dell’avversario”, mentre la dissuasione generale “è del tutto più rilassata, e richiede semplicemente la trasmissione di un senso di rischio a un potenziale avversario per garantire che le ostilità attive non siano mai seriamente considerate”.

L’approccio cinese si discosta da questo approccio per quanto riguarda il funzionamento della deterrenza nello spazio tra crisi e guerra. Se la guerra dovesse scoppiare, l’obiettivo, si legge negli SMS 2013 e 2020, diventa il “controllo della guerra” (战争控制). Il “controllo della guerra” è stato equiparato a nozioni di gestione o controllo dell’escalation. Un’altra possibilità è suggerita dall’analisi del trattamento di questo termine nei documenti SMS 2013 e SMS 2020. Qui, infatti, il “controllo della guerra” deve essere utilizzato “nell’ambito dell’opportunità tra la guerra totale e la pace totale”. Lo scoppio della guerra è una condizione che rende possibile il controllo della guerra. La prevenzione della guerra non rientra tra i suoi imperativi”. In quanto tale, è un concetto di guerra.

L’SMS del 2013 ha fornito un’istantanea dell’essenza del “controllo della guerra” quando ha osservato che significa “afferrare l’iniziativa della guerra, essere in grado di regolare e controllare gli obiettivi, i mezzi, le scale, i tempi, le opportunità temporali e la portata della guerra, e sforzarsi di ottenere una conclusione favorevole della guerra, a un prezzo relativamente basso”. Scegliendo “i tempi per l’inizio della guerra” e sorprendendo il nemico attaccando “dove è meno preparato”, la Cina può “prendere l’iniziativa sul campo di battaglia, paralizzare il comando di guerra del nemico e dare una scossa alla volontà del nemico” e quindi “ottenere la vittoria ancora prima che inizi il combattimento”.

Il capitolo dell’SMS 2020 sul “controllo della guerra” fornisce ulteriori dettagli, identificando tre fasi necessarie per il suo impiego con successo: il “controllo delle tecniche di guerra” (cioè il controllo deliberato dell’escalation attraverso le capacità della zona grigia, convenzionali e nucleari); il controllo del ritmo, della velocità e dell’intensità del conflitto (cioè la centralità del passaggio dalle operazioni difensive a quelle offensive allo scoppio del conflitto); e la capacità di “porre fine alla guerra in modo proattivo” (cioè un approccio “escalation to de-escalate”).

Ciò suggerisce tre importanti implicazioni.

In primo luogo, l’attenzione al “controllo della guerra” si basa sul comportamento storico della Cina nei conflitti, dove Pechino ha avuto una “forte preferenza per l’escalation rispetto alla de-escalation per porre fine a un conflitto”. Questo approccio “escalation-to-deescalation” “nelle prime fasi del conflitto”, come ha osservato Oriana Skylar Mastro, si ritiene abbia rafforzato la capacità della Cina di prevenire “lo scoppio di una guerra totale” durante la guerra di Corea, la guerra di confine sino-indiana e la guerra sino-vietnamita.

In secondo luogo, la delimitazione del “controllo della guerra” in fasi distinte suggerisce che esso “è inteso a garantire la flessibilità delle opzioni militari in modo che il Partito Comunista Cinese possa realizzare le sue ambizioni politiche e influenzare la politica desiderata senza compromessi” e che gli strateghi cinesi ritengono che l’intensità del combattimento bellico possa essere controllata con precisione.

In terzo luogo, le capacità convenzionali sono ora percepite come strumenti importanti per raggiungere tale controllabilità. L’SMS 2020 ha esplicitamente osservato che “lo sviluppo di armi convenzionali ad alta tecnologia” non solo ha “ridotto il divario” tra la loro “efficacia di combattimento” e quella delle armi nucleari, ma che le capacità convenzionali ad alta tecnologia hanno “una maggiore precisione e una maggiore controllabilità”. In quanto tale, la deterrenza convenzionale “è altamente controllabile e meno rischiosa, e generalmente non porta a disastri devastanti come la guerra nucleare”. È conveniente per raggiungere obiettivi politici e diventa un metodo di deterrenza credibile”.

La pratica cinese del “potere di fare male”

La considerazione di queste implicazioni fornisce una possibile visione del futuro comportamento cinese in scenari di crisi e conflitto. L’evoluzione della strategia cinese nei confronti di Taiwan, in particolare, è coerente con la doppia accezione di deterrenza, che comprende sia la dissuasione che la compellenza negli autorevoli scritti militari cinesi. Ciò si evince dalla duplice natura della strategia cinese, che cerca di dissuadere Washington dall’intervenire nel caso in cui la Cina decidesse di usare la forza attraverso lo Stretto di Taiwan e contemporaneamente di costringere Taipei ad accettare il concetto e il modello di “riunificazione” di Pechino.

Per raggiungere il primo obiettivo (cioè dissuadere Washington), la Cina ha cercato di spostare in modo decisivo l’equilibrio militare tra lei e Taiwan, sviluppando al contempo le capacità per ritardare o negare l’accesso delle forze armate statunitensi all’isola e all’area circostante in caso di conflitto. La capacità della Cina di dissuadere l’intervento degli Stati Uniti si è basata su un significativo investimento La capacità della Cina di dissuadere l’intervento degli Stati Uniti si è basata su investimenti significativi in capacità anti-access/area denial (A2/AD), compreso il dispiegamento di una serie diversificata di missili balistici a corto raggio (SRBM), missili balistici a medio raggio (MRBM) e missili balistici a raggio intermedio (IRBM) – come gli SRBM DF-15 e DF-16, l’MRBM anti-nave DF-21D e l’IRBM DF-26 dispiegati dalle brigate della PLA Rocket Force incaricate di gestire le contingenze di Taiwan.

Significativamente, durante le esercitazioni militari dell’agosto 2022 nello Stretto di Taiwan, i lanci missilistici del PLA hanno probabilmente riguardato la variante DF-15, progettata per “attacchi di precisione, bunker-busting e operazioni anti-pista”. Altri elementi delle esercitazioni del PLA coerenti con un approccio A2/D2 nei confronti delle forze statunitensi sono stati l’inclusione di capacità anti-sommergibile aeree e marittime, come gli aerei da sorveglianza/guerra anti-sommergibile Y-8 e le sortite regolari dei caccia J-11 e J-16 dell’Aeronautica militare del PLA (PLAAF) (aerei che si pensa siano in grado di trasportare il missile aria-aria PL-15, ottimizzato per colpire gli aerei di rifornimento aereo e di controllo dell’allerta precoce attraverso la “linea mediana” dello Stretto di Taiwan). Tali capacità, come ha sostenuto Mark Cozad, analista del RAND, forniscono al PLA “numerose opzioni per mettere a rischio le principali basi statunitensi, gli hub logistici e le strutture di comando e controllo in tutta la regione”.

Il desiderio della Cina di costringere Taiwan è stato messo in mostra anche durante le esercitazioni ed è coerente con la sua strategia a lungo termine nei confronti di Taiwan, che ha cercato di integrare una serie di strumenti diplomatici, economici e militari per impedire a Taipei qualsiasi deviazione dall’interpretazione di Pechino del principio “Una sola Cina”. Le esercitazioni, e quelle successive dell’aprile 2023, suggeriscono che la Cina sta cercando di sfruttare quello che considera il suo crescente vantaggio militare nei confronti di Taiwan per dimostrare le punizioni e i costi che può imporre nel caso in cui Taipei non si muova verso quella che Pechino ritiene essere la “linea di fondo” per le relazioni nello stretto (in altre parole, l’accettazione del suo “principio di una sola Cina”).

Nell’agosto del 2022, ciò si è espresso con l’imposizione da parte di Pechino di una serie di sanzioni economiche e diplomatiche sostenute da esercitazioni militari che hanno colpito direttamente le acque territoriali, la zona economica esclusiva e la zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Ad esempio, le esercitazioni condotte al largo dell’isola cinese di Pingtan, nel punto più stretto dello Stretto di Taiwan, e nel Canale di Bashi, che separa le acque della Prima Catena Insulare dal Mare delle Filippine e dal più ampio Oceano Pacifico, hanno dimostrato la capacità della Cina di controllare questi punti di strozzatura vitali in una potenziale quarantena o blocco di Taiwan.

Che queste attività siano state concepite per segnalare la capacità della Cina di imporre una simile punizione è stato sottolineato da un analista dell’Accademia di ricerca navale del PLA, il quale ha affermato che le esercitazioni dell’agosto 2022 costituiscono una “postura di accerchiamento chiuso verso l’isola di Taiwan”, in cui il PLA potrebbe imporre “una situazione di chiusura della porta e di attacco dei cani” in caso di conflitto – un colorito giro di parole che implica che il PLA potrebbe efficacemente ritardare e/o negare alle forze statunitensi l’accesso a Taiwan.

Conclusioni

Rimangono tuttavia diverse incertezze sul modo in cui gli elementi di deterrenza e di costrizione dell’approccio cinese potrebbero essere utilizzati in caso di crisi.

In primo luogo, l’SMS 2020 prevedeva l’applicazione sequenziale di strategie deterrenti e compellenti in uno spettro di tempo di pace, crisi e guerra. Possiamo quindi chiederci dove si collochino le esercitazioni dell’agosto 2022 e quelle più recenti dell’aprile 2023 in questo spettro. Il quadro è probabilmente contrastante. Alcuni aspetti di queste esercitazioni erano coerenti con la postura di “deterrenza normalizzata” – basata su “attività militari a bassa intensità” come “l’esibizione di armi avanzate” e l’affermazione diplomatica della “linea di fondo strategica” della Cina – che l’SMS 2020 identificava come appropriata per il tempo di pace. Tuttavia, la portata e l’intensità delle esercitazioni erano suggestive della “postura di deterrenza ad alta intensità” che l’SMS 2020 descriveva come progettata per dimostrare “una forte determinazione della volontà di combattere… per costringere l’avversario a invertire prontamente la rotta”.

In secondo luogo, è probabile che per la Cina la compellenza sia una forma di coercizione difficile da attuare in modo efficace. Ciò sembra particolarmente vero per quanto riguarda il suo tentativo di compellenza nei confronti di Taiwan, poiché l’obiettivo della Cina – la “riunificazione” alle condizioni di Pechino – abroga il motore della diplomazia coercitiva. L’obiettivo della diplomazia coercitiva, come ha sostenuto Tami Davis Biddle, “è quello di costringere lo Stato (o l’attore) bersaglio a scegliere tra il concedere la posta in gioco contesa o il subire il dolore futuro che tale concessione eviterebbe”. Lo Stato costretto “deve essere convinto che se resiste soffrirà, ma se concede non soffrirà”. Tuttavia, se “soffre in entrambi i casi, o se ha già sofferto tutto quello che può, allora non concederà e la coercizione fallirà”. L’attuale comportamento della Cina dimostra ampiamente a Taiwan che soffrirà indipendentemente dal fatto che resista o ceda alla coercizione di Pechino, aumentando così la determinazione di Taiwan a resistere. Ciò solleva la questione di quando, e in quali circostanze, Pechino potrebbe rivalutare l’utilità del suo uso della coercizione.

Infine, il concetto di “controllo della guerra” indica non solo che la Cina crede che la coercizione possa essere calibrata con precisione, ma anche che il suo comportamento in caso di crisi è informato dalla preferenza per un approccio di tipo “escalation-to-deescalation”. Questo comporta due possibili rischi: In primo luogo, che la Cina cerchi di rendere routinarie le sue violazioni dello spazio aereo e delle acque territoriali di Taiwan, stabilendo così un nuovo status quo che rafforzerà la sua capacità di dettare le modalità, l’intensità e la durata della futura coercizione; in secondo luogo, che la convinzione della controllabilità dell’escalation convenzionale aumenti significativamente il rischio di futuri errori di calcolo.

La concezione e la pratica della deterrenza cinese presentano quindi un quadro difficile da decifrare per gli osservatori esterni e da prevedere per il futuro comportamento cinese. Elementi chiave del pensiero cinese sulla deterrenza, come il “controllo della guerra”, suggeriscono che il PLA potrebbe avere una maggiore disponibilità a sondare e mettere alla prova le “linee rosse” avversarie, nel tentativo di prendere l’iniziativa all’inizio di una crisi, in modo da ottenere un vantaggio strategico o operativo che possa essere sfruttato per indurre gli avversari a fare concessioni. Allo stesso tempo, però, gli sforzi di compellenza della Cina potrebbero produrre rendimenti sempre minori, man mano che gli avversari riconoscono che l’imposizione di costi è imminente, indipendentemente dal fatto che accedano o resistano alla coercizione. Gli osservatori esterni possono solo sperare che il riconoscimento di questo fatto possa indurre Pechino a una maggiore cautela.

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L’UNIONE EUROPEA, COORDINATA DALLA NATO, E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA _di Luigi Longo

 

L’UNIONE EUROPEA, COORDINATA DALLA NATO, E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA

di Luigi Longo

[…] l’Europa è diventata una Eurolandia priva di sovranità economica e soprattutto geopolitica e militare. Al suo interno è insediato un corpo di occupazione straniero, denominato NATO, inviato da tempo come mercenariato soldatesco in Asia Centrale, pronto a minacciare ed a rischiare una guerra mondiale in Georgia ed in Ucraina. Se questo è anche in parte vero, allora che senso ha elencare la tiritera del nostro grande profilo europeo, dalla filosofia greca al diritto romano, dalle cattedrali romaniche e gotiche dell’umanesimo rinascimentale, dalla rivoluzione scientifica all’illuminismo, dall’eredità classica greco-romana al cristianesimo, eccetera?

Pura ipocrisia.

Costanzo Preve*

  1. Avanzerò alcune riflessioni sull’Europa, non a partire dalla storia dell’Europa delle

Nazioni, che si formarono dopo la dissoluzione dell’impero di Carlo Magno (1), ma a partire dalla guerra Russia-Ucraina (cioè l’aggressione Usa alla Russia via Nato-Europa), che di fatto sancisce la fine del progetto dell’Unione Europea (avanzato e realizzato dopo la seconda guerra mondiale, anche se pensato intorno agli anni trenta del secolo scorso dagli Stati Uniti d’America) sostituito dal nuovo ruolo della NATO che meglio si addice alle nuove strategie statunitensi nella fase multicentrica [conflitto tra potenza egemone in declino (USA) e potenze consolidate (Russia, Cina) e in ascesa (India)] (2). Una << […] Europa occidentale (anche l’Europa orientale, mia precisazione LL) sottomessa ad una occupazione militare USA accettata dagli attuali governi fantocci, che appunto per questa ragione considero del tutto illegittimi, non importa se sanzionati o meno da elezioni manipolate >> (3).

 

  1. Raniero La Valle coglie il senso della metamorfosi, avviata già da anni (4), della NATO quando sostiene: << Da Washington a Vilnius infatti tutto torna, tutto vale per l’America e per la sua “impareggiabile” Corte: gli stessi nemici, la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord, il “terrorismo”, la stessa vittima che unifica tutti intorno all’altare del sacrificio, l’Ucraina, la stessa determinazione all’uso anche per primi dell’arma nucleare perché la deterrenza non basta più, la stessa idea che il vecchio concetto di difesa è superato, perché oggi con le armi della guerra non si decidono solo le guerre, ma le alternative di ogni tipo, la gestione delle crisi, le politiche industriali, l’economia, il clima, i temi della “sicurezza umana”, perfino la questione dell’uguaglianza di genere e la partecipazione delle donne: tutto ha a che fare con la NATO, il nuovo sovrano, perché il suo approccio è “a 360 gradi” e i suoi tre compiti fondamentali, “deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa”, devono essere adempiuti con assoluta discrezionalità: “risponderemo a qualsiasi minaccia alla nostra sicurezza come e quando lo riterremo opportuno, nell’area di nostra scelta, utilizzando strumenti militari e non militari in modo proporzionato, coerente e integrato”; e, come pare, a decidere nell’emergenza (ma questo non è stato scritto) può essere anche il generale comandante della NATO senza interpellare “la struttura”; insomma c’è il nucleare libero all’esercizio. […] L’Ucraina è stata totalmente integrata nella NATO, ma bisogna far finta che non lo sia, per non costringere la Russia a usare l’arma nucleare; Putin accusa il colpo, deve stare al gioco, e si dice “pronto a trattare separatamente le garanzie di sicurezza dell’Ucraina, ma non nel contesto della sua adesione alla NATO”. E a Vilnius si assicura che questo non avverrà, che l’Ucraina entrerà nella NATO solo a guerra finita, ed è la ragione per cui essa, come Biden ha voluto fin dal principio, non deve avere fine; e Zelensky dopo la prima arrabbiatura che gli è valsa l’accusa di “ingratitudine” da parte del ministro della difesa inglese, è passato all’incasso ed ha lietamente manifestato il suo entusiasmo. […] (così il) colonnello dello stato maggiore ucraino e analista militare Oleg Zhdanov: “negli ultimi 16 mesi noi ci siamo integrati nella macchina militare atlantica come mai avremmo neppure sognato prima del 24 febbraio 2022; pur non appartenendo ufficialmente alla NATO ormai il 90 per cento delle nostre procedure militari segue i parametri NATO. ma c’è di più, ormai la metà dei nostri armamenti sono NATO, i circa 40.000 uomini pronti a sfondare le linee russe sono vestiti, armati, trasportati, addestrati dalla NATO; perfino le loro armi personali sono state fornite dagli alleati”, e via enumerando: “i carri armati tedeschi Leopard 2, i gipponi Humvee americani o i corazzati Bradley e Strykes, decine di tipi diversi di blindati trasporto truppe, i cannoni francesi a lunga gittata Caesar o quelli USA M777, i lanciarazzi americani Himars, gli obici semoventi Krab polacchi”, tutto corredato da assistenza, pezzi di ricambio, personale specializzato, con una catena di interscambio e cooperazione nel lungo periodo, anche se “è difficile dire quando l’Ucraina entrerà nella NATO, forse mai” >> (5).

 

  1. La NATO è fondamentale per le strategie mondiali degli Stati Uniti d’America. La sua trasformazione, da strumento di difesa dal cosiddetto comunismo sovietico a quello di aggressione e di penetrazione nelle aree di influenza della Russia e della Cina per impedire il consolidarsi del polo asiatico (ormai in fase di decollo con le sue strutture di funzionamento e di coordinamento come, per esempio, i Brics) in grado di mettere in discussione l’egemonia mondiale statunitense con il suo modello di legame sociale della produzione e riproduzione della vita. Gli USA non accettano un mondo multicentrico, la loro storia di nazione è emblematica e dovrebbe essere di insegnamento; riporto, a tal proposito, quanto già sottolineato in altri scritti: è difficile che gli Stati Uniti rinuncino al dominio mondiale assoluto, ammantato di democrazia, diritti e menzogne varie, considerata la loro storia che dal 4 luglio 1776 (anno della dichiarazione di indipendenza) li ha visti in pace solo 18 anni su 246 anni nei quali si sono gradualmente evoluti: da neo-nazione in lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna (1775–1783), passando attraverso la monumentale Guerra civile americana (1861–1865) fino a trasformarsi, dopo aver collaborato al trionfo durante la Seconda Guerra Mondiale (1941-1945), nella più grande potenza al mondo dalla fine del XX secolo ad oggi, anche se, per nostra fortuna, in chiaro declino relativo. Alain Badiou non molto tempo fa sosteneva che:<< La potenza imperiale americana nella rappresentazione formale che fa di se stessa, ha la guerra come forma privilegiata, se non addirittura unica, di attestazione della sua esistenza. >> (6). La loro passione è comandare, usurpare, sottomettere ogni popolo; la loro missione è il dominio assoluto. Gli USA hanno un peso specifico maggiore che è quello del mandato divino che li porta a dominare il mondo in maniera assoluta (monocentrismo), al contrario delle altre potenze che sono per un dominio condiviso del mondo (multicentrismo). Il fattore determinante di questo sciagurato scenario sono le relazioni di potere e di dominio, le più stupide che l’essere umano sessuato si sia mai date. Altro è l’autorità! (ma questo è un altro discorso da approfondire).

Siamo, in questa fase multicentrica, in piena guerra “in senso largo” (7). Per esempio, si veda il ruolo della Norvegia/Finlandia/Svezia/Danimarca, Paesi del Nord Europa facenti parte sia della UE (ad eccezione della Norvegia) sia della NATO (ad eccezione della Svezia), che hanno firmato accordi bilaterali, in materia di difesa, con gli Stati Uniti d’America in caso di conflitto con la Russia (8).

Alberto Bradanini (ex ambasciatore a Pechino dal 2013 al 2015) così chiarisce << […] poiché qualsiasi conflitto anche lontano genera insidiose turbolenze, la dirigenza cinese condivide nella sostanza il giudizio di Mosca: che la genesi del conflitto vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e se possibile causarne persino la frantumazione, rendendola facile preda degli avvoltoi di Wall Street […] Nel giudizio di Pechino […] gli Usa mirano poi a impedire la saldatura Russia-Cina e a provocare un’analoga guerra per procura anticinese, questa volta combattuta fino all’ultimo taiwanese”. A suo avviso, gli Usa non accettano l’emergere di un mondo multipolare che fiorisce intorno all’alleanza russo-cinese, cui si aggiungerebbero “l’India e altre nazioni cosiddette emergenti che, infatti, non intendono seguire Washington nella politica sanzionatoria contro Mosca […] L’espansionismo Nato/Washington verso Est ha dunque l’obiettivo strategico di impedire quel percorso di pacificazione/integrazione euroasiatica che era emerso quale promessa di pace e sviluppo alla caduta dell’Unione Sovietica”. Una svolta che aveva determinato una nuova convergenza tra Cina e Russia, non più accomunate dall’ideologia anticapitalista come ai tempi di Mao e Stalin, ma da comuni interessi economici e strategici, e dalla medesima necessità di contenere l’espansionismo americano [corsivo mio, LL] >> (9). In sintesi, per dirla con l’economista marxiano Richard D. Wolff, che racchiude bene quanto sopra riportato, si può dire che:<< […] l’impero americano, inteso come primato capitalistico e geopolitico, è finito. Ma l’America non vuole accertarlo […] La Cina ha invece creato un ecosistema produttivo mastodontico da cui il mondo non può prescindere e pertanto codetermina ormai le sorti del capitalismo. In modo consensuale prima e conflittuale ora, ma mai subordinato […] il capitalismo si è “sinizzato” (così come in Russia si è russizzato, mia specificazione, LL) in modi che l’America non riteneva possibile, stante il perdurare della crasi tra economia di mercato e Partito comunista >> (10). Le difficoltà statunitensi, che evidenziano sia il declino sia l’incapacità strategica di raggiungere gli obiettivi nel tempo e nello spazio, sono evidenti nei due conflitti aperti in Ucraina (via Nato-Europa) prevalentemente contro la Russia e in Palestina (via Nato-Europa-Israele) prevalentemente contro la Cina. La debolezza USA si evince anche nel gioco di rimessa (perché non hanno un’idea sul nuovo mondo che si sta configurando, impegnati come sono nella quarta rivoluzione industriale, quella del transumanesimo, cioè la fine della dimensione umana dell’umanità, una rivoluzione nichilista del genere umano sessuato) tentando di contrastare i progetti di respiro mondiale della Cina (le vie della seta) e della Russia (il corridoio Nord-Sud russo-indiano International North-South Transport Corridor, INSTC) avanzando il suo progetto IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor): 1) guidando l’egemonia israeliana nel Nuovo Medio Oriente, come potenza regionale, con il suo progetto del canale di Gurion, concorrente del canale di Suez, con tutte le conseguenze nefaste sulla eliminazione della popolazione palestinese di Gaza per permettere lo sbocco nel Mediterraneo, 2) ridimensionando l’Egitto, 3) assestando un duro colpo alla direttrice di trasporto energetico e commerciale Bassora-Europa incentrata sulla Turchia. Dietro le infrastrutture e il controllo delle risorse energetiche si gioca una partita fondamentale nello scontro tra le potenze mondiali (USA, Cina, Russia e indirettamente la potenza in ascesa l’India) con le loro sub-potenze regionali (Israele, Iran, Turchia) (11).

 

  1. La Russia e la Cina, che sono i due centri (per ora) del costituendo polo asiatico, vogliono costruire un mondo multicentrico e sono in grado di mettere in discussione l’egemonia mondiale statunitense la quale è per un mondo monocentrico. Un polo asiatico che già nel 1956 lo storico Arnold Toynbee così configurava << Se, dopo aver così perduto l’amicizia del sottocontinente cinese, il nostro mondo occidentale dovesse perdere anche l’amicizia del sottocontinente indiano, l’Occidente avrebbe perduto a favore della Russia la maggior parte del Continente Antico tranne un paio di teste di ponte in Europa occidentale e in Africa; e questo potrebbe essere un evento decisivo nella lotta per il potere fra “mondo libero” e comunismo >> (una riflessione attuale nella sostanza se precisiamo i concetti di mondo libero e di comunismo e li rapportiamo allo storicamente dato) (12).

Costanzo Preve ha ragione quando sostiene che << […] Si tratta di una decisione (la decisione di resistere all’americanismo, mia precisazione LL) nutrita dalla consapevolezza della principale caratteristica dell’americanismo stesso, cioè della sua arroganza. […] Non si tratta solo della pura forza militare di tipo “imperiale” (Alessandro il Grande, Giulio Cesare, Gengis Khan, Napoleone). Si tratta di qualcosa di più profondo e di immensamente più abbietto, l’arroganza di essere il portatore di una civiltà superiore garantita addirittura da un mandato divino che legittima con la sua elezione inverificabile questa pretesa di superiorità. Oggi il solo portatore al mondo di questa intollerabile arroganza sono gli Stati Uniti d’America. Lo sono forse […] stati in passato l’Europa, la Russia, i mongoli, gli arabi, la Cina eccetera, ma è sicuro che nelle attuali condizioni geopolitiche non lo sono più. Questo è il dato da cui partire. >>. Un mandato divino di un Dio un po’ strano << […] il Dio di George Bush e del messianesimo ideocratico americano dei neo-conservatori (neocons) […] il Dio esclusivo e legato di fatto ad un singolo popolo eletto (un tempo gli ebrei, oggi gli americani del Destino Manifesto e della Casa sulla Collina, il popolo che lo svergognato bestemmiatore Bill Clinton ha spudoratamente definito nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca “l’unico popolo indispensabile nel mondo”), il Dio in nome del quale si gettano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e si invade l’Irak nel 2003, il Dio in nome del quale si moltiplicano le basi militari in tutti i paesi del mondo, pianificando ossessivamente la prossima guerra con la convivenza di un’Europa asservita e terrorizzata […] >> (13).

 

  1. E’ così forte la totale servitù volontaria delle Nazioni europee (e della sua sovrastruttura rappresentata dall’Unione europea) verso le strategie statunitensi che sulle guerre Russia-Ucraina e Israele-Palestina si è verificata una omogeneità così compatta nel velare la realtà. Bisogna risalire alla storia di Catilina di cui ci è giunta una sola verità: rare volte una tradizione così abbondante è stata così compatta nell’offuscare la realtà (14). L’aggredita Ucraina si trasforma in vittima dopo aver represso le regioni delle repubbliche popolari separatiste del Donetsk e Lugansk, una repressione iniziata nel 2014 contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Luhansk e Donetsk) che condusse ad una militarizzazione del contesto e ad alcuni massacri (a Odessa e Mariupol, i più importanti) e dopo essere stata lo strumento USA, tramite l’entrata di fatto nella NATO, della guerra alla Russia; così come l’aggredito Israele da parte di Hamas si trasforma in vittima dopo che dal 1948 (proclamazione della nascita dello Stato di Israele) ha occupato la Palestina cacciando con violenza e metodi inenarrabili i palestinesi (originariamente costituiti da arabi musulmani, arabi cristiani, ebrei e minoranze turche ed armene) (15). La menzogna sistematica che si fa verità dei dominanti! (16). E’ efficace l’osservazione di Luciano Canfora, a proposito del modello europeo pieno di democrazia, di libertà e diritti universali dei popoli con riferimento alla cosiddetta invasione russa all’Ucraina (e al piano di attacco di Hamas ad Israele), che ricorda la ferocia delle potenze europee nel perseguire il dominio del mondo: << Certo, se si pensa con quale determinazione gli europei perseguirono il dominio nel mondo, è piuttosto buffo che ora si mostrino come modello di virtù e facciano la predica agli altri. Una certa retorica europeista rassomiglia alla preghiera contrita di chi ne ha fatte di tutti i colori e improvvisamente diventa pio e virtuoso >> (17).

Si passa, cioè, da una fase storica monocentrica, a coordinamento occidentale USA fino al 1990-1991(implosione dell’ex URSS) e a coordinamento mondiale fino al 2011(ascesa delle potenze Russia e Cina), nella quale l’Europa ha avuto un ruolo da protagonista subordinato e incastrato nel sistema statunitense (americanizzazione del territorio europeo) e nelle sue strategie di dominio mondiale; ad una fase multicentrica dove l’Europa, governata e gestita dalla nuova NATO, diviene una espressione geografica di metternichiana memoria, nonchè campo di battaglia dello scontro tra potenze mondiali.

 

  1. L’Unione europea non esiste! Ciò che appare sono istituzioni (luoghi istituzionali) gestite da sub-decisori delle diverse nazioni che utilizzano le risorse delle diverse sfere sociali e realizzano le strategie di sviluppo (in alleanza o in conflitto tra loro) inserite in quelle statunitensi. Un esempio sono le sanzioni contro la Russia che hanno avuto un effetto negativo sull’Europa (l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche soprattutto per le imprese energivore e gasivore, la riduzione delle relazioni economiche, la recessione e l’accentuata perdita di potere d’acquisto, la sicurezza nelle nuove infrastrutture energetiche, eccetera); hanno portato vantaggi agli USA (il contenimento del calo della domanda di dollari per il commercio internazionale, la vendita del gas a prezzi multipli di quelli russi, l’attrazione delle imprese europee, eccetera); hanno stimolato l’economia russa aggirando le sanzioni: costruendo nuove relazioni in Asia (Cina, India, Iran), promuovendo lo sviluppo autosufficiente (nei settori alimentare, manifatturiero, beni di consumo, eccetera). Un altro esempio è il disastro dell’economia europea << […] il 2024 sarà un disastro per l’economia reale europea. Gli indicatori economici previsionali manifatturieri, i PMI, sono praticamente tutti negativi per i paesi Europei […] Quindi le premesse congiunturali sono pessime, ma c’è di peggio: le nuove norme europee di bilancio, quelle su cui è stato raggiunto un accordo, prevedono vincoli fortissimi allo spiegamento di politiche espansive fiscali. Il fatto che il deficit non possa superare l’uno per cento del PIL per quasi tutti i paesi europei viene a rendere impossibile qualsiasi politica di carattere anticiclico, anzi verrà a imporre tagli e aumenti delle tasse che saranno pro-ciclici. Quindi la crisi congiunturale non solo non sarà contrastata dalle politiche economiche della UE, ma perfino sarà accentuata. La crisi del 2011-2014 non ha insegnato proprio nulla […] >> (18).

L’Europa come soggetto politico unitario non è mai esistita. Sottolineo, con Luciano Canfora, che << l’Europa occidentale si divide molto presto e resta divisa: l’idea che sia un continente unitario è un’invenzione. Nel corso dei secoli la vediamo dilaniata, attraversata da conflitti di potenza, alle prese con una autorità spirituale, quella del pontefice romano, che era anche temporale e interloquiva con i governi dei singoli Stati. Ciò ha favorito una dialettica più vivace, ma anche una frantumazione strutturale, foriera di problemi >> (19).

Le potenze europee si sono sempre scontrate per l’egemonia del continente Europa: si pensi, a mò di esempio, al tentativo fallito di Napoleone Bonaparte che con rammarico affermava che << Non avevo finita la mia opera. L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune…Tale unione dovrà venire un giorno o l’altro per forza di eventi…Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di cassazione europea, di un sistema monetario unico, di pesi e misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta l’Europa. Avrei voluto dare di tutti i popoli europei un unico popolo…Ecco l’unica soluzione >> (20). Non si può scambiare l’Europa delle diverse nazioni in concorrenza-conflitto tra loro (che pure hanno avuto un ruolo di scambio sulla religione, sull’arte, sulla cultura, sulla natura, sulla scienza, eccetera, così come è oggi) con un soggetto politico coordinato! Si pensi, a mò di esempio, al Rinascimento italiano ed europeo che, per dirla con Fernand Braudel, << […] è quella lenta trasformazione, che non finisce di compiersi, attraverso la quale la civiltà occidentale passa dalle forme tradizionali del Medioevo alle forme nuove, già attuali, della prima modernità, ancora vitali in questa stessa civiltà occidentale in cui viviamo oggi, che appena uscita dalle sue antiche contraddizioni, ne fabbrica allegramente delle altre. >> (21).

L’ipocrisia dell’Europa come soggetto politico e unitario. Non è da condividere la riflessione dello storico Paul Kennedy quando afferma che «Beh, l’Europa di certo non sparisce. Avrà anche in futuro un ruolo politico centrale. Se nel 2030 avremo un’Unione Europea che comprenderà anche l’Ucraina, assisteremo a una trasformazione storica delle dinamiche politiche internazionali. Anche tutta l’area del Caucaso sarà attratta verso la Ue. Con un conseguente maggiore isolamento della Russia» (22). Per avere un ruolo politico centrale l’Europa dovrebbe essere autonoma, indipendente, sovrana, in grado di pensare e di realizzare una strategia progettuale per un modello di sviluppo e di relazioni sociali in una società europea dei popoli, con un ruolo centrale nello scambio culturale, politico, economico e sociale tra Occidente ed Oriente nel rispetto delle diverse storie territoriali. Ma l’Europa è serva delle strategie di potenza degli USA per il dominio monocentrico mondiale. Quindi occorre ripensarla con lo sguardo ad Oriente dove sono presenti potenze consolidate, come la Cina e la Russia, e potenze in ascesa, come l’India, che sono per un mondo multicentrico (23) e possono essere portatrici di un modello di sviluppo sociale diverso, sia pure in una logica sistemica capitalistica (i diversi capitalismi), capaci ancora di stare negli equilibri naturali e umani per le loro storie, culture, tradizioni, religioni, eccetera, al contrario dell’Occidente, a guida USA che è proiettato nel transumano (andare oltre l’umano) che significa la fine dell’umanità così come la conosciamo noi:<< Trasumanar significar per verba non si porìa […] il passare ad una condizione, o modo di essere, superiore a quella normalmente propria dell’uomo che non si può esprimere […] per mezzo di parole >> (24).

Il modo di produzione e riproduzione della vita statunitense, espressione di un modello di sviluppo egemonico, ma in fase di declino per l’avanzare del multicentrismo con altri modelli di sviluppo che propongono le altre potenze mondiali (si pensi al modello cinese delle vie della seta), ha penetrato e plasmato quello europeo. L’Europa è diventata uno strumento importante (una sorta di testa di ariete) per le proiezioni strategiche contro l’Oriente e le sue potenze. Di fatto l’Europa non c’è più, quella che appare è espressione di servitù volontaria dei sub-decisori che non vogliono perdere il loro potere derivato dalla fase gestionale e da quella esecutiva delle strategie dei pre-dominanti statunitensi nei rispettivi territori nazionali. I sub-decisori decidono le linee strategiche dello sviluppo dei rispettivi territori nazionali inglobate in quella egemonica degli Stati Uniti d’America. L’americanizzazione del territorio europeo (di cui conosciamo poco) è emblematica dei processi di penetrazione del modello di sviluppo egemonico degli USA. Tale modello incide profondamente e incorpora lo sviluppo delle nazioni europee nelle strategie di egemonia mondiale statunitense. Si pensi alle trasformazioni delle città e dei territori/NATO e all’approntamento delle infrastrutture territoriali (Tav, corridoi di mobilità, basi, logistica, porti, eccetera). Nella fase multicentrica l’Unione europea non serve come collante e aggregato per le strategie statunitensi così come è stato nella fase monocentrica del mondo Occidentale (e bipolare a livello mondiale), perché è stata sostituita dal progetto NATO. Non è un caso che l’Europa, come innanzi detto, non è stata mai autonoma e sempre subordinata agli Stati Uniti d’America a partire dalla seconda guerra mondiale.

  1. Riporto una buona sintesi di quanto sopra detto sull’Europa non sovrana, di Giorgio Agamben << […] Unione Europea concepita solo su ragioni economiche che ignorano non solo quelle spirituali e culturali, ma anche quelle politiche e giuridiche […] l’Unione Europea è tecnicamente un trattato fra Stati che viene fatta passare per una costituzione democratica […] La cosiddetta Costituzione europea è illegittima […] Il giurista tedesco Dieter Grimm ha ricordato che la costituzione europea manca il fondamentale elemento democratico, perché essa non è in alcun modo il frutto dell’autodeterminazione dei cittadini europei […] La sola parvenza di unità si raggiunge quando l’Europa agisce come vassallo degli Stati Uniti, partecipando a guerre che non corrispondono in alcun modo a interessi comuni e ancor meno alla volontà popolare. Del resto alcuni degli Stati firmatari del trattato, come l’Italia, per il numero di basi militari che ospitano, sono tecnicamente dei protettorati e non degli Stati sovrani. In politica estera, esiste, a volte, un occidente atlantico, ma non certo l’Europa. Come non esiste sul piano costituzionale, l’Europa non esiste sul piano politico e militare […] Il Medio Evo aveva capito, una unità formata da società politiche dev’essere qualcosa di più o di diverso di una società politica. Il Medio Evo ne cercava il criterio nella cristianità. L’uomo europeo-a differenza degli asiatici e degli americani, per i quali la storia e il passato hanno un significato completamente diverso-può accedere alla sua verità solo attraverso un confronto col suo passato, solo facendo i conti con la propria storia. Il passato non è, cioè, per lui soltanto un patrimonio di beni e di tradizioni, ma anche e innanzitutto una componente antropologica essenziale, che fa sì che egli possa accedere al presente solo archeologicamente, solo guardando a ciò che di volta in volta è stato. Questo significa che per gli Europei il passato è innanzitutto una forma di vita. Di qui il rapporto speciale che l’Europa ha con le sue città, con le sue opere d’arte, col suo passaggio: non si tratta di conservare dei beni più o meno preziosi, ma comunque esteriori e disponibili: in questione è la realtà stessa dell’Europa, la sua indisponibile sopravvivenza […] Distruggendo, ieri, le città tedesche, gli americani sapevano di demolire in qualche modo l’identità stessa della Germania; per questo, oggi, distruggendo col cemento, le autostrade e l’Alta Velocità il paesaggio italiano, gli speculatori non ci privano soltanto di un bene, ma distruggono la nostra stessa realtà storica […] Un tempo l’ideale comune di una Europa fu espresso politicamente nell’idea romana dell’impero e poi germanica di un Impero, che lasciava intatte le specificità dei popoli […] Mentre sarebbe urgente riflettere al difficile compito di costruire una unità preservando le diversità, vediamo al contrario che in tutti i paesi europei è in corso al contrario un vero e proprio smantellamento delle scuole e delle Università, cioè delle istituzioni che, trasmettendo la cultura dovrebbero vegliare al rapporto vivente fra il passato e il presente. A questo smantellamento, corrisponde una crescente museificazione del passato, a cominciare dalle stesse città, trasformate in centri storici, i cui abitanti sono trasformati in qualche modo in turisti nella propria stessa cultura […] Un alto funzionario dell’Europa nascente, Alexandre Kojevè, sosteneva che l’Homo sapiens era giunto alla fine della sua storia e non aveva ormai davanti a sé che due possibilità: l’accesso a un’animalità post storica (incarnata dall’american way of life) o lo snobismo (incarnato dai giapponesi, che continuano a celebrare le loro cerimonie del tè, svuotate, però, da ogni significato storico). Tra un’America integralmente rianimalizzata e un Giappone che si mantiene umano solo a patto di rinunciare a ogni contenuto storico, l’Europa potrebbe offrire l’alternativa di una cultura che resta umana e vitale, perché è capace di confrontarsi con la sua stessa storia nella sua totalità e di attingere da questo confronto una nuova vita >> (25).
  2. L’accentramento del potere nella fase multicentrica è funzionale a ridurre la filiera del comando che diventa essenziale nelle fasi (multicentriche e policentriche) di aperto conflitto tra le potenze mondiali. Per esempio, si veda il tentativo di riforma, a partire dal 2015, dell’Unione europea per quanto riguarda l’allargamento e l’approfondimento dei settori di intervento verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa (26). Si vuole riformare l’Unione europea per renderla più affidabile e servile eliminando i vassalli e i valvassori che facevano da collante e da coordinamento nella esecuzione e nella gestione delle strategie statunitensi contro le potenze che mettono in discussione il loro ordine mondiale monocentrico (Mario Draghi è uno dei protagonisti, per conto dei pre-dominanti statunitensi, di questa riforma verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa) (27). E’ emblematico che uno dei settori interessati maggiormente dalla riforma sia quello militare. Un settore che deve essere assorbito e coordinato da quello statunitense e da quello della NATO e deve svolgere un ruolo di minaccia, di intimidazioni e di potenziale conflitto contro la Russia e la Cina (e le loro aree di influenza) per indebolirle e ridimensionarle (28).

L’Europa ha la necessità di essere ri-pensata e ri-costruita, a partire da un processo di liberazione dalla servitù volontaria (29) verso gli Stati Uniti, che passa dalla smilitarizzazione delle basi USA e USA-NATO sul suo territorio (l’occupazione militare, tramite basi e accordi, è la forza che ha permesso alla potenza statunitense di coordinare lo sviluppo a livello mondiale fino al 2011, fine della fase monocentrica) e dall’uscita dal sistema euro incardinato nell’egemone sistema del dollaro (in fase di messa in discussione da altri sistemi monetari che esprimono altri modelli di sviluppo e di relazioni sociali, da capire e approfondire).

Occorre ripartire dalla cesura rappresentata dalla de-americanizzazione del territorio europeo (così come, con la dottrina Monroe (30), gli Stati Uniti d’America imposero, la de-europeizzazione del continente America); è necessario, per dirla con Costanzo Preve, “un radicale riorientamento gestaltico” che faccia uscire l’Europa dalla servitù volontaria statunitense e pensare ad un’altra Europa di nazioni autodeterminate e libere. Una rottura forte e qualitativa che può essere realizzata volgendo lo sguardo ad Est, al costruendo polo asiatico allargato che racchiude il 70% della popolazione mondiale,

ben sapendo che << […] Nella realtà sociale le espressioni sì e no sono inscindibilmente connesse fra loro in un rapporto dialettico. Nella realtà sociale non esiste alcun no che non contenga qualcosa di essenzialmente positivo. >> (31).

Un ripensamento e una ricostruzione che ponga le basi per una Europa autodeterminata che guardi ad Oriente dove le potenze mondiali in ascesa avanzano proposte di multicentrismo per un nuovo equilibrio (un nuovo nomos) di dominio mondiale (32).

 

  1. Che fare? Ci sono le condizioni soggettive e oggettive per pensare, progettare e costruire un’altra Europa e non continuare nella pura ipocrisia?

 

 

 

La citazione scelta come epigrafe è tratta da:

*Costanzo Preve e Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, Casa Editrice “il Prato”, Saonara (Padova), 2016, pag.86.

 

NOTE

 

  1. Alessandro Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, Capitolo V, pp. 113-127; sul complesso cammino della costruzione delle nazioni europee si rimanda a Andrea Zannini, Storia minima d’Europa. Dal neolitico a oggi, il Mulino, Bologna, 2019, pp. 223-237; sull’importanza della riconquista della sovranità delle nazioni per costruire un’altra Europa libera e autodeterminata come un nuovo spazio di raccordo e di scambio politico, economico e culturale tra Occidente e Oriente si vedano Costanzo Preve e Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, Casa Editrice “il Prato”, Saonara (Padova), 2016; Perry Anderson ed altri, a cura di, Storia d’Europa, Einaudi, Torino, 1993, volume primo.

2.Sul ruolo dell’Europa nelle strategie statunitensi si rimanda a Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2015, pp.87-96 e pp. 234-326; Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998; sul ruolo dei servizi segreti nella costruzione del progetto dell’Europa unita sia per scalzare l’influenza comunista sia per inglobare l’Europa nelle strategie di dominio statunitense si veda Richard J. Aldrich, OSS, CIA e Unità europea: il comitato americano per l’Europa unita, 1948-60 (prima, seconda, terza parte), www.comedonchisciotte.org, 24/8/2020; sulla costruzione delle istituzioni europee e sul loro funzionamento si legga Perry Anderson, Verso una Unione sempre più stretta? (prima, seconda, terza parte), www.comedonchisciotte.org, 2/1/2021; sulla fine del progetto europeo statunitense rimando al mio scritto Il progetto dell’Unione europea è finito, la Nato è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

  1. Costanzo Preve, Ripensare Marx oltre la destra e la sinistra, intervista a cura di Luigi Tedeschi, www.ariannaeditrice.it, 31/5/2007; Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizione all’insegna del Veltro, Parma, 2005.
  2. Sulla metamorfosi della Nato rinvio a Luigi Longo, L’americanizzazione del territorio (Appunti per una riflessione), www.conflittiestrategie, 29/3/2014 e www.italiaeilmondo.com, 27/5/2017; Idem, Il progetto dell’Unione europea, op. cit.; Idem, La Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 7/7/2022.
  3. Raniero La Valle, A Vilnius la Nato si è preso il mondo, www.ilfattoquotidiano.it, 25/7/2023.
  4. Redazione, La storia militare degli Stati Uniti sembra un gioco ma non lo è, www.infodata.ilsole24ore.com, 20/2/2020; Giovanni Viansino, Impero romano, impero americano. Ideologie e prassi, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2005.
  5. Sulla definizione della guerra in senso stretto (prima (1914-1918) e seconda guerra mondiale (1939-1945) ed in senso largo per la terza (1945-1989) e per la quarta tutt’ora in corso si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008.
  6. Redazione Ansa, Paesi nordici verso difesa aerea congiunta dalla Russia, www.ansa.it, 25/3/2023; Filippo Jacopo Carpani, Truppe al confine con la Russia: cosa c’è dietro la mossa USA in Finlandia, www.ilgiornale.it, 15/12/2023; Maurizio Blondet, Il ministro della Difesa tedesco: “l’Europa deve essere pronta alla guerra entro la fine del decennio”, www.maurizioblondet.it, 18/12/2023.
  7. Alberto Bradanini, Gli Usa temono un asse Russia-Cina e un mondo multipolare, intervista a cura di Luciana Borsatti, www.sinistrainrete.info, 11/5/2022.
  8. 10. Fabrizio Maronta, a cura di, conversazione con Richard D. Wolff, L’impero americano è finito ma l’America non lo accetta, “Limes” n.4/2023, pp.104-106.
  9. Maurizio Brignoli, Le cause economiche dietro il massacro di Gaza, www.ariannaeditric.it 18/11/2023; Enrico Tomaselli, La catabasi imperiale, www.ariannaeditrice.it, 24/12/2023; Pepe Escobar, Lo Yemen è pronto ad affrontare una nuova coalizione imperiale, www.comedonchisciotte.org, 23/12/2023; Jean Valyean, L’operazione “prosperity guardian” voluta dal Pentagono sta crollando dopo neppure una settimana, www.scenarieconomici.it, 24/12/2023; Marco Dell’Aguzzo, Chi (non) fa parte della coalizione Usa anti Houthi nel mar Rosso?, www.startmag.it , 30/12/2023; Manlio Dinucci, Medioriente: gli incendiari gridano “Al fuoco”, www.voltairenet.org, 31/12/2023; Enrico Tomaselli, Chi vuole allargare la guerra in Medio Oriente (e perché), www.ariannaeditrice.it , 4/1/2024.
  10. Arnold Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Aldo Martello editore, Milano, 1956, pag.54.
  11. Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pp. 38-39 e Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2013, pag.53.
  12. Si veda Luciano Canfora, Catilina. Una rivoluzione mancata, Laterza, Bari-Roma, 2023.
  13. Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina, Editrice C.R.T., Pistoia, 2004; Domenico Moro, Il seme della violenza. Le origini del conflitto israelo-palestinese, www.sinistrainrete.info, 19/10/2023 e 9/11/2023, prima e seconda parte; Salvatore Bravo, La cesoia corazzata, www.comunismoecomunità.org, 20/11/2023.
  14. Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo umanitario, sull’embargo terapeutico, e sulla menzogna evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000.
  15. Luciano Canfora, Intervista sul potere, a cura di, Antonio Carioti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2013, pag. 92; a proposito delle potenze europee che ne hanno fatto di tutti i colori si legga Attilio Brilli, Dove finiscono le mappe. Storie di esplorazioni e di conquista, il Mulino, Bologna, 2012.
  16. Leoniero Dertona, Disastro economia europea: il 2024 sarà recessione con misure fiscali e monetarie cicliche, www.scenarieconomici.it, 3/1/2024; Isabella Bufacchi, Soffre l’industria tedesca, la domanda non riparte, www.ilsole24ore.com , 8/1/2024; per una lettura delle sanzioni alla Russia che hanno avuto effetti negativi per l’Europa e hanno stimolato l’economia russa in Michael Hudson, L’economia USA: sorprendentemente robusta o un villaggio Potemkin?, www.comedonchisciotte.org 20/6/2023; Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), Le sanzioni alla Russia: l’idiozia al servizio del “potere”, www.comedonchisciotte.org , 12/9/2022; per una lettura delle sanzioni alla Russia che hanno portato vantaggi all’economia USA in Marco Della Luna, Il prezzo di Adamo, www.marcodellaluna.info ,1/9/2023; Domenico Moro, La montagna della UE e il topolino del nuovo patto di stabilità, www.comedonchisciotte.org , 9/1/2024.
  17. Luciano Canfora, Intervista sul potere, a cura di, Antonio Carioti, op. cit., p.90-91.
  18. Alessandra Necci, Al cuore dell’impero. Napoleone e le sue donne fra sentimento e potere, Universale Economica Feltrinelli (Marsilio Editori), Milano, 2023, pag.274; si veda il docufilm scritto e narrato da Alessandro Barbero, Ei fu. Vita, conquiste e disfatte di Napoleone Bonaparte, https://www.raicultura.it/storia/articoli/2021/05/Ei-fu-Vita-conquiste-e-disfatte-di-Napoleone-Bonaparte-b85194eb-356e-499e-b3f9-e9a78b13c263.html.
  19. Fernand Braudel, L’Italia fuori d’Italia. Due secoli e tre Italie in AaVv, Storia d’Italia. Dalla caduta dell’impero romano al secolo XVIII, Einaudi, Torino, 1974, Tomo secondo, pag. 2143. Si legga anche Jacques Le Goff, L’Italia fuori d’Italia. L’Italia nello specchio del Medioevo in AaVv, Storia d’Italia. Dalla caduta dell’impero romano al secolo XVIII, Einaudi, Torino, 1974, Tomo secondo, parte III, pp. 2060-2088; Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Editori Laterza, Bari-Roma, 1989.
  20. Paul Kennedy, Ecco i tre poli del nuovo mondo (e l’Europa non c’è), intervista a cura di Massimo Gaggi, https://www.corriere.it/la-lettura/24_gennaio_01/paul-kennedy-ecco-tre-poli-nuovo-mondo-l-europa-non-c-e-fbd42cd6-a7cb-11ee-aaf3-63d2857ce…
  21. L’obiettivo del multicentrismo bilanciato sarà possibile solo se la potenza aggressiva, per la sua storia, gli USA, saprà condividere il dominio mondiale con le altre potenze la Cina, l’India e la Russia che sono portatrici di una condivisione, nel rispetto delle proprie peculiarità storiche e territoriali, di un equilibrio dinamico tra le potenze. Leggo il multicentrismo bilanciato in maniera diversa dalla multipolarità bilanciata di John J. Mearsheimer che può evitare la fase policentrica che significherebbe la terza guerra mondiale e la fine dell’umanità considerata la forza distruttiva delle armi nucleari. Sulla multipolarità bilanciata si rimanda a John J. Mearsheimer, La tragedia delle grandi potenze, Luiss Press, Roma, 2019, pp. 259-427.
  22. Dante Alighieri, La divina commedia. Paradiso, a cura di Daniele Mattalia, BUR, Milano, 1989 (quarta edizione), canto I, versi 70-71, nota 70, pp.22-23. Sul transumanesimo come progresso nichilista dell’Occidente si rimanda a Roberto Pecchioli, L’uomo transumano. La fine dell’umanità, Arianna Editrice, Bologna, 2023.
  23. Giorgio Agamben, La crisi perpetua come strumento di potere in “Lo Straniero” del 3/11/2013; si legga anche Alessandra Ciattini, Verso un nuovo mondo: due punti di vista, www.ilcomunista23.blogspot.com, 15/7/2023.
  24. Luca Lanzalaco, Stati Uniti d’Europa: se li conosci li eviti, se li eviti ti salvi, www.comedonchisciotte.org, 15/12/2023; Idem, La revisione dei Trattati UE è l’attacco definitivo alla sovranità e alla democrazia, www.comedonchisciotte.org, 14/6/2022. Sottolineo che l’autore non fa riferimento alcuno al ruolo dell’Unione europea nelle strategie egemoniche degli USA nel conflitto strategico mondiale.
  25. Stefano Cingolani, Stati Uniti d’Europa: la vera riforma fiscale secondo Draghi, www.ilfoglio.it, 7/9/2023; Megas Alexandros, (alias Fabio Bonciani), E’ giunta l’ora che l’esperimento di massa in corsa dell’eurozona finisca! A dircelo è Mario Draghi, www.comedonchisciotte.org, 10/9/2023; Federico Fubini, Draghi:<< Europa sia unione vera, a partire dalla politica estera e difesa. Gli errori? Russia e Afghanistan >>, www.corriere.it, 8/11/2023; Redazione Ansa, Draghi è un momento critico per l’Europa, www.ansa.it, 29/11/2023; Katia Migliore, L’Europa è in crisi? Ci vuole più Europa! www.comedonchisciotte.org, 1/12/2023; Marina Lanza, a cura di, La UE pone fine alla finzione democratica, www.maurizioblondet.it , 21/11/2023.
  26. Nick Alipour, Il ministro della Difesa tedesco: << L’Europa deve essere pronta alla guerra entro la fine del decennio >>, www.maurizioblondet.it 18/12/2023; Stefano Porcai, Cambieranno le leggi, per favorire il complesso militare-industriale europeo, www.contropiano.org, 5/1/2024; sul ruolo dell’Unione europea nell’Asia centrale si veda Pepe Escobar, L’asia centrale è il primo campo di battaglia nel nuovo grande gioco, www.comedonchisciotte.org, 21/8/2023.
  27. Sulla conversione della sudditanza esteriore in interiore sottomissione, facendo sorgere quella psicologia del suddito che Friedrich Engels chiamò “da servitori” si veda Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, 1959, pp. 3-90.
  28. Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.
  29. Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, 1959, pag.804.
  30. Si veda, con una lettura critica, Valery Korovin, La fine dell’Europa. Insieme alla Russia sulla via del multipolarismo, Anteo Edizioni, Cavriago (RE), 2023.

 

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Odio il mio lavoro e voglio piangere, di AURELIEN

Odio il mio lavoro e voglio piangere.
Hai provato a tagliare la legna e a trasportare l’acqua?

AURELIEN
10 GEN 2024
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro apprezzando e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e mi ha scritto per dirmi che ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni all’indirizzo https://trying2understandw.blogspot.com/. Grazie, Marco. Sono lieto di annunciare che sono in preparazione un’altra traduzione in francese e una in olandese.

Una volta, durante le vacanze universitarie, lavoravo nel turno di notte in una fabbrica di ingegneria leggera (ve la ricordate?), svolgendo un lavoro talmente insignificante che a quei tempi non si pensava valesse la pena di automatizzarlo. Un caporeparto con un cappotto marrone (ve li ricordate?) e i baffetti alla Hitler pattugliava la fabbrica per assicurarsi che gli studenti che costituivano una parte della forza lavoro durante le vacanze facessero davvero qualcosa, invece di starsene seduti a farsi crescere i capelli. Non che ci fosse molto da fare: una macchina richiedeva solo di aprire uno sportello, estrarre un pezzo di plastica stampato con i guanti di protezione e scaricarlo in un cestino.

Iniziai a calcolare per quanto tempo avrei potuto continuare a fare quel lavoro senza impazzire e decisi che molto dipendeva dalla possibilità di trovare un modo per sconvolgere il sistema. Ma già a quell’età mi resi conto che gli attacchi frontali a un nemico più grande e potente erano una perdita di tempo e che era necessario qualcosa di più sottile. Iniziai a osservare il funzionamento della macchina con molta attenzione. I trenta secondi di addestramento che mi erano stati dati consistevano nell’aprire rapidamente la porta prima che la macchina iniziasse a raffreddarsi. Giusto, pensai, e cominciai a sperimentare molto lentamente, con piccoli ritardi di circa mezzo secondo prima di aprire la porta. Per quanto poteva vedere il caporeparto dal manto marrone, tutto procedeva normalmente. Poi, dopo un paio d’ore, la macchina ebbe un sussulto e non riuscì a estrudere altra plastica. Il caporeparto e un paio di altri uomini in camice marrone, ma senza baffi alla Hitler, frugarono nella macchina e si dichiararono perplessi. Mi dissero di andare a spazzare il pavimento, cosa che feci volentieri per un paio d’ore, prima che riuscissero a riavviare la macchina. La soddisfazione di aver messo sotto scacco il sistema in modo impercettibile mi ha fatto andare avanti per un’altra settimana o due, prima di arrendermi. Ma l’incidente confermò ciò che avevo iniziato a sospettare già a quell’età e che la politica studentesca era servita solo a sottolineare: gli assalti frontali a un problema sono raramente una buona idea se si vuole ottenere qualcosa, e la soluzione migliore è l’attacco indiretto che in molti casi nessuno si accorge di aver subito. In fondo, è il risultato che conta, non la teatralità.

Ho pensato a questo episodio di vecchia data perché questa settimana avevo intenzione di scrivere qualcosa sui travagli della Casta Professionale e Manageriale (PMC), sulle sue miserie e sui suoi stress. Ma mi sono subito accorto che il saggio voleva essere su un argomento piuttosto diverso, ma correlato, quindi lo lascerò per un’altra volta. Questo saggio parla del motivo per cui molte persone sono così infelici sul lavoro e di cosa possono fare al riguardo. (Ora, non sono uno psicologo o un sociologo o un esperto di sistemi e organizzazioni, e non osate insultarmi chiedendomi se sono un consulente di gestione. Ma non ho bisogno di esserlo. La realtà è che progettare e gestire organizzazioni in cui le persone sono felici del proprio lavoro è piuttosto facile: per degradarle e distruggerle ci vogliono molto più tempo, sforzi e denaro.

Se Tolstoj fosse stato un consulente di management, avrebbe detto che tutte le organizzazioni ben gestite si assomigliano e tutte quelle mal gestite sono diverse a modo loro. E, con le consuete tolleranze per le differenze culturali e storiche, avrebbe avuto ragione. I criteri per gestire un’organizzazione efficace in cui le persone sono felici non sono molto difficili da enumerare: la maggior parte delle persone potrebbe stilare un elenco in dieci minuti, e tali elenchi sarebbero piuttosto simili. L’essenza è la semplicità, la trasparenza e l’equità. È necessaria una gerarchia semplice e chiara che permetta al lavoro di trovare il proprio livello. Servono procedure semplici e trasparenti per l’assunzione e la promozione, in modo che le persone migliori e con maggiore esperienza salgano ai vertici. Servono sistemi di retribuzione semplici e trasparenti, in modo che le persone siano pagate in modo equo, in base all’anzianità e alle responsabilità, e soprattutto serve una cultura del lavoro efficace ed equa, condivisa da tutti, che non dipenda da regole complesse e infestate da avvocati, con eccezioni per ogni cosa.

In questo modo, si lavora con la natura umana. La maggior parte delle persone ama lavorare in gruppo per raggiungere un obiettivo comune, ha bisogno di qualcosa al di fuori di sé a cui sentirsi fedele e, in genere, è disposta a lavorare onestamente se viene pagata onestamente. Ci sono volute diverse generazioni per corrompere le persone e far loro accettare i metodi di lavoro neoliberali, e anche in questo caso la maggior parte di loro non ne è felice.

Ma resta vero che, per ragioni proprie, il Partito Interno ha deciso alcuni decenni fa di sabotare e distruggere le organizzazioni funzionanti, e ci è in gran parte riuscito. Sorge quindi la domanda: cosa può fare un povero essere umano che lavora per un’organizzazione che lo odia e lo vede solo come materia prima usa e getta, di cui sbarazzarsi quando non è più utile? Questo è l’argomento del resto di questo saggio.

La prima cosa da dire è che non tutti i lavoratori odiano il proprio lavoro, e questo fatto può darci qualche indizio da solo. Il macellaio, il panettiere, il casaro e il fruttivendolo del mio paese mostrano tutti i segni di entusiasmo per il loro lavoro, si prendono il tempo di dirti cosa comprare e come cucinarlo, e mostrano di essere orgogliosi di essere una fonte di competenza per la comunità locale. Il falegname, l’elettricista, l’uomo che viene a riparare la caldaia a gas, la persona che gestisce la salumeria o l’enoteca locale, l’uomo che gestisce il negozio di riparazione di computer, alla minima provocazione si scaglieranno contro il governo, l’autorità locale, le tasse di proprietà, le restrizioni di parcheggio e molte altre cose, ma pochi di loro sono essenzialmente scontenti del loro lavoro. Questo dimostra un aspetto ben noto ma poco considerato: le persone sono molto più felici sul lavoro se hanno anche un grado molto limitato di controllo sul proprio tempo e su come lo impiegano. Questo spiega anche perché le professioni reattive e ad alto stress, come la polizia e i servizi medici, rendono i loro operatori particolarmente malati e probabilmente moriranno giovani.

Il primo passo per sentire di avere un certo controllo sulla propria vita e sul proprio lavoro, quindi, è un’analisi della libertà che si ha effettivamente, e quindi di come si può rendere più sopportabile il proprio lavoro e la propria vita professionale. (Conosco l’argomentazione dell’accelerazionista secondo cui le persone dovrebbero essere sempre più infelici nel loro lavoro, in modo che la rivoluzione arrivi più rapidamente. Non lo trovo convincente). A sua volta, ciò richiede due cose. In primo luogo, è necessario riconoscere che in qualsiasi lavoro si possono trovare gradi di libertà, se si cerca bene. In questo caso, mi occupo principalmente di quelli che vengono spesso chiamati lavori “di conoscenza”, ma che sono meglio descritti come lavori “di informazione” o “di dati”, dal momento che spesso implicano ben poche conoscenze in quanto tali.

Invochiamo ancora una volta l’ombra di Jean-Paul Sartre e le grandi linee dell’Esistenzialismo. Credo che nulla sia più estraneo alla nostra cultura attuale dell’idea che nella vita abbiamo una serie di scelte libere e che siamo responsabili di esse e delle loro conseguenze. In un mondo in cui tutti sono vittime e nessuno è responsabile di nulla, questa è quasi un’eresia. Ma allora dobbiamo chiederci quanto sia utile per noi, in realtà, l’odierna etica della lamentela e i futili appelli ai “diritti”. Ci aiuta davvero a sopravvivere e a mantenere la nostra sanità mentale, lavorando in un’organizzazione che ci odia? Ci rende più felici? Credo che la risposta sia ovvia.

Quando Sartre disse che siamo “condannati a essere liberi”, non stava usando il paradosso o l’ironia gallica, o almeno non principalmente. Il suo cupo messaggio era di smettere di fingere: in qualsiasi situazione, anche la più estrema, ci sono sempre delle scelte aperte. Il prigioniero che viene condotto all’esecuzione ha la possibilità di scegliere come morire, quali sono i suoi ultimi pensieri e le sue ultime parole. Nella maggior parte dei casi, “devo”, “non ho scelta” o “sono costretto” è semplicemente una bugia, e la persona a cui stiamo mentendo è noi stessi. L’argomentazione “odio alzarmi per andare al lavoro, ma non ho scelta” non è una vera argomentazione, perché evidentemente si può rimanere a letto. Ciò che si sta dicendo in realtà, spesso, è qualcosa del tipo: “È meglio che mi alzi e vada a lavorare o rischio di perdere il mio lavoro, che odio, ma che mi porta cose che apprezzo, come il denaro e lo status, e mi permette di vivere in questa casa con la mia famiglia e di avere un’auto e le vacanze, e non sono disposto a sopportare l’enorme stress e le difficoltà di cercare di vivere in un altro modo. Quindi, in termini pratici, devo andare a lavorare”. Questo è quantomeno onesto, e lo è ancora di più quando, ad esempio, si lavora in un posto di lavoro precario a salario minimo, dove non lavorare potrebbe significare morire letteralmente di fame. Anche in questo caso, però, dice Sartre, si ha un grado di libertà almeno teorico, quindi bisogna essere onesti con se stessi.

Quindi il passo successivo è capire qual è il problema e quindi dove si trova, se c’è, la libertà potenziale. Se penso a tutte le persone che ho incontrato nel corso degli anni e che sono infelici nel loro lavoro, ciò che colpisce è la varietà dei motivi e dei modi in cui vengono descritti. Ho fatto il lavoro sbagliato. Il lavoro è cambiato in modi che non mi piacciono. Il lavoro non mi dispiace, ma odio l’azienda/ l’organizzazione/ la direzione/ il mio capo. Andava bene finché l’organizzazione non è stata fusa con un’altra o non sono state assunte nuove persone. C’è troppo lavoro e il ritmo è incessante. Voglio un aumento di stipendio. L’aumento di stipendio non vale lo stress supplementare. Non credo che quello che faccio sia utile. Una volta credevo che fosse utile, ma ora non lo credo più. Gli orari stanno rovinando il mio matrimonio. Il pendolarismo mi sta uccidendo. E così via per un centinaio di varianti diverse.

Il che suggerisce due cose. La prima è che la categoria “essere infelici al lavoro” non è molto utile. È un po’ come andare dal medico e dire “non mi sento bene”. L’altra è che è possibile distinguere tra diverse cose che si possono influenzare, se non cambiare, in misura diversa, in contesti diversi. Per esempio, pochi medici o insegnanti si lamentano della loro scelta di carriera in quanto tale. In generale, sono molto impegnati in quello che fanno e sono furiosi con tutte le cose che impediscono loro di farlo. La maggior parte delle persone che lavorano nel settore pubblico si sente un po’ così, soprattutto quando sono a diretto contatto con il pubblico. Anche un avvocato tributarista che lavora per aiutare i ricchi a pagare meno tasse può trarre soddisfazione professionale dall’uso della propria esperienza e delle proprie capacità professionali. Il peggior tipo di lavoro da fare, mi sembra, è quello che non ha alcun sottoprodotto utile, o addirittura quantificabile: simile a quello che David Graeber ha descritto come “lavori di merda”. Si può obiettare che la pubblicità e le pubbliche relazioni comportano effettivamente capacità e competenze di qualche tipo e possono produrre risultati. Ma immaginate di ottenere il posto di capo del monitoraggio delle iniziative di controllo delle diversità in una grande organizzazione. Per quanto si possa essere ben pagati, si deve sapere perfettamente che si contribuisce alla società in misura minore rispetto alla squadra di donne delle pulizie, etnicamente diverse, che vengono a lavorare per il minimo sindacale una volta che si è andati a casa. Dev’essere davvero difficile rimanere sufficientemente autocervellati da pensare di fare qualcosa di importante.

Il secondo punto si basa su ciò che Sartre aveva da dire sull’autenticità. In questo caso, la domanda diventa: per chi lo sto facendo? Ora, la risposta banale è: ho bisogno di un lavoro, di mantenermi, di mantenere la mia famiglia e così via. Ma questo non spiega perché si accettano lavori extra, perché si è gentili con persone sgradevoli, perché ci si sottomette a regole e direttive stupide, perché si difende l’organizzazione contro i suoi critici o perché si eseguono istruzioni che sembrano insensate. Certo, potete dire “ho paura di perdere il lavoro” o qualcosa di simile, ma non è una vera risposta. Dopotutto, avete fatto le vostre manovre per ottenere quella promozione, avete lottato per avere un ufficio più grande, vi siete offerti volontari per quel progetto quando non eravate obbligati. Avreste comunque mantenuto il vostro lavoro. Per chi lo state facendo?

In quasi tutti i casi, la risposta è che state cercando l’approvazione degli altri o dell’organizzazione per cui lavorate. Uno dei paradossi più curiosi della vita lavorativa è che le persone sono spesso disposte a dare la loro lealtà a cattive organizzazioni e cattivi dirigenti, nella speranza di ricevere da loro un po’ di rispetto e di convalida. Spesso questo accade perché crescendo sentiamo di non aver ricevuto abbastanza riconoscimento dai nostri genitori, dalla scuola o da altri, e quindi lo cerchiamo altrove. Per alcuni fortunati questo può derivare da un successo professionale individuale nello sport, nello spettacolo, nella politica o in qualche altro settore in cui il riconoscimento è pubblico e individuale. Per pochi sfortunati può derivare dall’accumulo nevrotico di ricchezze per compensare il riconoscimento a cui hanno sempre pensato di avere diritto, ma che non hanno mai avuto. Ma il riconoscimento autentico sembra essere un bisogno umano fondamentale, ed è per questo che le organizzazioni ben gestite sanno come impiegarlo, e che spesso è una motivazione migliore di qualsiasi somma di denaro.

Ma la maggior parte di noi non sarà mai individualmente popolare o famosa, e al giorno d’oggi la maggior parte di noi lavora per organizzazioni disfunzionali. Quindi, spesso inconsciamente, cerchiamo convalida e riconoscimento ovunque possiamo trovarlo, il che rende facile per le organizzazioni manipolarci, ma alla fine ci rende anche molto infelici. Può capitare che ci si contorca in nodi ideologici, si lavori a lungo, ci si offra come volontari e si abbiano sempre le opinioni giuste, e che alla fine della giornata, poiché si è considerati inoffensivi, si ottenga un lavoro di livello leggermente superiore a quello che forse si merita. Ma alla fine della vostra vita lavorativa, per chi avete fatto tutti questi compromessi? Molto bene: anni di educata sottomissione e di agili manovre possono avervi portato all’esaltante posizione di Direttore Senior della Gestione delle Misurazioni delle Prestazioni Finanziarie, con un ufficio decente e un buon numero di collaboratori. E poi un venerdì è tutto finito, perché si va in pensione o si trova un altro lavoro, e la cosa finisce lì. Ci possono essere dei saluti di rito e qualche bicchiere, e forse, beh, la vostra vita lavorativa è finita. Che cosa avete realizzato? Che cosa farete ora, che cosa potrete guardare indietro e dire di aver fatto? Sei andato alle riunioni, sei stato lontano dai guai, hai sostenuto la parte che ovviamente stava vincendo? C’è un momento della vostra vita, chiederebbe Sartre, in cui potete dire di aver lavorato per voi stessi e non per gli altri?

Ho avuto una vita lavorativa un po’ particolare, ma quando alla fine ho lasciato l’organizzazione in cui avevo trascorso la maggior parte del mio tempo, sono stati abbastanza felici di vedermi andare via, e nessuno è venuto a salutarmi. Ma è giusto così, perché mi ero lasciato le cose alle spalle, avevo influenzato gli eventi in un certo modo, erano successe cose che altrimenti non sarebbero successe e non erano successe sciocchezze che sarebbero potute succedere (e su questo punto ci torno).

Ovviamente, non tutti saranno uguali. Ho conosciuto persone che sono perfettamente soddisfatte della famiglia, del cane, dei nipoti, delle vacanze e del giardinaggio, e non hanno alcun interesse a parlare di ciò che facevano una volta nella loro vita professionale. Buona fortuna a loro. Ma un numero molto più grande, credo, si ritrova comunque con quella vita ristretta, senza necessariamente volerla, magari anche con un matrimonio insoddisfacente, non così benestante come si sperava, niente da fare la sera, i figli all’altro capo del Paese, e la sensazione assillante che in qualche modo avrebbero potuto vivere meglio la loro vita, se solo avessero saputo come.

Per esempio, una volta un funzionario molto anziano della mia organizzazione mi spiegò gentilmente perché le stravaganti promesse di una carriera sfavillante che mi erano state fatte quando ero più giovane erano ormai inutili. “Il tuo problema” mi disse, non senza gentilezza, “è che non sei percepito come sufficientemente dedito alle priorità gestionali dell’organizzazione”. All’epoca mi occupavo di altre cose oltre alle priorità gestionali, non ci pensavo molto e raramente, se non mai, ne parlavo. Ciononostante, dissi: “Sono un professionista e faccio quello che vuole l’organizzazione, comprese le sue pratiche di gestione”. Ah, la risposta è stata: ma non è sufficiente, abbiamo bisogno del tuo impegno totale. A quel punto ho capito che era arrivato il momento di pensare di andarmene, perché quando si confonde un’organizzazione burocratica con una chiesa o un partito politico, si è in guai seri. (Inutile dire che le priorità del management sono poi cambiate).

Ora, una delle scelte fondamentali in qualsiasi grande organizzazione è tra l’essere importanti e l’essere influenti. (In generale, essere importanti significa che le persone vi ascoltano per quello che siete. Essere influenti significa che le persone vi ascoltano per quello che siete, e spesso per le vostre conoscenze, il vostro giudizio e la vostra esperienza. Essere importanti significa essere consultati, invitati alle riunioni e tenere conto delle proprie opinioni. Essere influenti significa che qualcuno si ferma nel vostro ufficio e vi dice: sentite, abbiamo questo problema, cosa pensate che dovremmo fare? Essere importanti significa che, il giorno dopo che ve ne sarete andati, qualcun altro siederà sulla vostra sedia, dicendo le stesse cose, prendendo le stesse decisioni e partecipando alle stesse riunioni. Essere influenti significa che un giorno squilla il telefono o arriva un’e-mail e qualcuno dice: lei è una persona con una grande esperienza, sarebbe interessato a ….? So quale preferisco, ma l’importante è che, come tutte le scelte di cui sto parlando, sia consapevole e che se ne assumano le conseguenze. Allo stesso modo, potete avere una carriera ricca di varietà, anche se non vi porta ai vertici, oppure una carriera in cui vi aggrappate sempre alla scala delle promozioni, avanzando sempre più in alto. Non serve a nulla guardare fuori dalla finestra la pioggia che cade sul giardino e pensare: “Chissà cosa sarebbe successo se avessi accettato quel difficile lavoro all’estero che mi avevano offerto, ma che avevo rifiutato perché non volevo essere lontano quando si discuteva di promozioni?

Se accettiamo, quindi, che ci sono sempre delle scelte, anche molto difficili, la questione è come identificare il grado di libertà che abbiamo effettivamente nella nostra vita professionale, e come scegliere di prenderla o non prenderla, e in entrambi i casi come vivere le conseguenze che ne derivano. L’unica cosa che non possiamo fare, però, è negare che un grado di libertà esista, anche nelle circostanze meno promettenti.

La prima cosa che possiamo fare è decidere di fare un buon lavoro. Immagino che questo suoni quasi esilarantemente antiquato: nel mondo moderno del lavoro alienato, perché dovreste fare un buon lavoro per un’organizzazione che non vi valorizza? La risposta, ovviamente, è che non lo fate per loro, ma per voi e per la percezione che avete di voi stessi. Fare un buon lavoro quando non ci si aspetta un buon lavoro è un tipo di resistenza, che per di più vi farà ottenere un riconoscimento: non dalla vostra gerarchia, forse, ma dai colleghi che aiutate e consigliate, dai clienti e dai membri del pubblico che avete trattato bene, da coloro, in altre parole, le cui opinioni hanno un’importanza intrinseca. Notate che con “fare un buon lavoro” non intendo le noiose abitudini performative di lavorare a lungo e nei fine settimana, di portare il lavoro a casa, di essere sempre disponibili per qualsiasi cosa e di non dire mai di no a una richiesta. Si possono fare tutte queste cose e fare comunque un pessimo lavoro. No, intendo semplicemente fare un buon lavoro, in termini di vecchi concetti di qualità, coscienziosità e tempestività, a prescindere dal fatto che si venga pagati di più o meno. E alla fine della vostra carriera, o quando lascerete il vostro lavoro o la vostra professione, potrete ragionevolmente dire che, in un mondo molto imperfetto, avete fatto del vostro meglio.

Un modo specifico in cui potete fare del vostro meglio e reagire è quello di imporre il vostro lavoro e il modello della vostra vita professionale al massimo grado possibile. È sorprendente vedere come molti lavoratori dell’informazione trascorrano le loro giornate lavorative con il pilota automatico, con il lavoro urgente e sempre più urgente che si accumula, saltando da un compito all’altro, dalle e-mail alle telefonate, dalle riunioni Zoom alle chat e viceversa, anche se tutti sanno che, in pratica, questo è un modo stupido di lavorare. Esiste una vasta letteratura in merito, di cui ho parlato, quindi tutto ciò che dirò è che qualsiasi algoritmo che impiegate per strutturare il vostro lavoro e la vostra giornata è meglio di niente e vi aiuterà a resistere. Per esempio, c’è la semplice divisione quadripartita del lavoro sostenuta dal presidente Eisenhower (anche se a quanto pare non l’ha inventata lui). In sostanza, il lavoro può essere importante, urgente, entrambi o nessuno. Il lavoro urgente e importante va svolto subito, dedicandovi tutto il tempo possibile. Il lavoro che è importante ma non urgente, si dedica il tempo necessario quando si può. Il lavoro che è urgente ma non importante, lo si svolge ora ma dedicandovi il tempo minimo necessario. Il lavoro che non è né urgente né importante… beh, probabilmente non si dovrebbe fare. Da funzionario junior ho sviluppato l’abitudine di conservare le richieste improbabili che mi venivano fatte in una cartella separata e, se non mi venivano ricordate entro un mese, concludevo che il mio capo se ne era dimenticato e buttavo via i fogli.

Il punto è che qualsiasi algoritmo, dal più semplice elenco di cose da fare al più complesso software di pianificazione delle attività, vi permette di imporre le vostre priorità e il vostro calendario alla vostra vita lavorativa, in una certa misura, e quindi di recuperare un po’ della vostra vita e della vostra anima. Invece di lasciarvi impressionare dallo status e dalla gerarchia (“il capo del mio capo ne ha bisogno la prossima settimana”!), analizzate il vostro lavoro in termini oggettivi (“sì, ma i miei colleghi ne hanno bisogno oggi”) e lavorate in modo appropriato. E quando si presenta qualcosa di veramente importante e urgente (“Il Ministro ha bisogno di un brief per un’intervista televisiva tra due ore”) lo si riconosce e si mettono da parte altre cose.

Un altro modo è quello di assicurarsi di non essere solo un robot che esegue le richieste degli altri, ma di identificare e sfruttare il margine di manovra che si ha a disposizione. (Al di fuori della purezza teorica della modalità ideale di burocrazia di Weber, ci sono sempre decisioni da prendere su come procedere: in effetti, un certo elemento di giudizio personale è necessario se si vuole che un sistema burocratico funzioni in modo efficiente, poiché per definizione non si può pensare a tutti i casi in anticipo e stabilire istruzioni dettagliate. Qualsiasi organizzazione minimamente decente sa che i suoi manager devono essere in grado di prendere decisioni autonome quando si trovano di fronte a un problema inaspettato, e non solo di rimanere impotenti. Quindi, un prerequisito per sopravvivere in organizzazioni disfunzionali è avere pronte le proprie idee su come procedere in casi che vi sembrano significativi e in cui credete che ci siano risposte migliori e peggiori. Quindi, se siete abbastanza intelligenti e attenti, potete lavorare lentamente e sottilmente per spostare progressivamente le cose che vi stanno a cuore nella direzione che volete. Ora, tendiamo ad associare le decisioni politiche a persone importanti, ma in molti casi queste persone si limitano a scegliere tra opzioni fornite da altri. Se avete un’opzione ben ponderata da proporre, potete avere un’influenza che va ben oltre la vostra importanza formale. Inoltre, le persone importanti raramente hanno il tempo e lo sforzo di seguire i dettagli di ciò che hanno deciso, ammesso che se ne ricordino. Un funzionario giovane, con obiettivi chiari e che sa cosa vuole, può spesso modificare o addirittura interrompere iniziative che chiaramente non funzionano, o fare cose che migliorano la situazione, senza chiedere nulla a nessuno (ho fatto entrambe le cose, e no, non voglio entrare nei dettagli).

La condizione principale, ovviamente, è che si rinunci a proteste formali e a scontri aperti e che ci si preoccupi solo del risultato finale, non del grado di lucidatura del proprio ego. A volte non c’è alternativa al lasciare che persone importanti, con il loro ego smisurato, prendano decisioni stupide, ma c’è sempre un modo per sviscerarle in seguito, in silenzio e nell’anonimato. Ed è proprio questo il punto.

Parte del problema è che la maggior parte di noi vive la propria vita lavorativa – la propria intera vita, direbbero alcuni – in un mezzo sonno. Come direbbe un buddista, non vediamo mai le cose come sono, ma sempre filtrate dal nostro ego. È l’ego che vuole il riconoscimento in termini di denaro e di promozione e teme il rifiuto, la retrocessione ai ranghi dell’oscuro preterito o addirittura la perdita del lavoro. È l’ego che ci fa chiedere: cosa posso ottenere da questo lavoro, non cosa posso metterci dentro? Ed è la natura dell’ego a non essere mai soddisfatto, a volere sempre più potere, più soldi, anche solo una scrivania più grande in un cubicolo più grande o un’auto più nuova o un titolo più impressionante. E l’ironia della sorte è che non state lavorando per voi stessi nel tentativo di raccogliere questi gioielli, ma per il vostro ego e, in ultima analisi, per coloro che possono darvi i gioielli che il vostro ego desidera così tanto. Paradossalmente, ci sono probabilmente poche persone più infelici e insicure del ricco dirigente rampante che ha quasi sfondato e che giace sveglio di notte chiedendosi se uno dei suoi nemici intriganti lo farà licenziare. E alla fine della vita lavorativa che cosa si è realizzato e che cosa rimane, quando i gioielli sono finiti?

Un’altra parte del problema è il rapporto storicamente malsano e complesso della società occidentale con il concetto stesso di lavoro. Tradizionalmente la ricchezza, e quindi lo status sociale, si basava sulla proprietà della terra e sulle rendite che ne derivavano. Con la rivoluzione industriale sono arrivate le fortune, che sono state rapidamente depositate in investimenti con i quali le classi alte potevano vivere felicemente senza lavorare. (Nei grandi romanzi della fine del XIX e del XX secolo, è sorprendente come i protagonisti, dal Cigno di Proust al Gatsby di Fitzgerald, non lavorino mai). Lavorare un po’ ai piani alti di qualche banca, come diplomatico o come avvocato che si occupa principalmente di politica, era accettabile, in quanto non si trattava di un vero e proprio “lavoro”, ma qualsiasi cosa più pratica era la morte sociale. Questo atteggiamento è sempre stato particolarmente forte nei Paesi anglosassoni, ma al giorno d’oggi è più diffuso, sotto l’influenza della globalizzazione a guida anglosassone, e Paesi come la Germania e la Francia, con i loro tradizionali punti di forza nell’ingegneria, nella scienza e nella matematica, stanno assistendo a un crollo del numero di persone disposte a sottoporsi alla lunga e difficile istruzione e formazione richiesta, quando possono fare fortuna in borsa o su YouTube senza “lavorare” davvero.

L’idea del lavoro come attività che si autogiustifica e che è importante in sé, invece di essere solo una lotta guidata dall’ego per ottenere ricompense luccicanti, resiste in alcuni angoli oscuri della società occidentale, in parti del settore pubblico, in parti della medicina, in parti remote e specializzate del mondo accademico e dei media e soprattutto, ironia della sorte, tra gli specialisti, spesso appartenenti alla classe operaia, che sanno le cose e le fanno, e in molti casi mandano avanti la società. Una delle caratteristiche più curiose di questa svalutazione del lavoro in quanto tale è stato il modo in cui alcune parti della sinistra l’hanno abbracciata con convinzione. Di fronte alla scelta tra la garanzia di un lavoro e quella di un reddito garantito, hanno optato senza esitazione per dare alle persone più tempo per guardare la TV, piuttosto che dare loro qualcosa di utile da fare. Questo sembra incomprensibile se si considera che le origini della sinistra sono state nelle fabbriche e in altri luoghi di lavoro, nelle comunità di minatori e artigiani e in tutte le forme di raggruppamenti sociali con un interesse comune. Ma naturalmente questo fa il paio con il disprezzo della sinistra nozionistica per la gente comune e per qualsiasi attività di basso livello, non universitaria, che sia concretamente utile e implichi il fare qualcosa. Meglio avere un proletariato dipendente dal sostegno del governo, lobotomizzato dalla TV e che vota obbedientemente per la sinistra nozionistica ogni pochi anni. Le persone con un lavoro e un reddito iniziano a pensare in modo indipendente, e noi non possiamo permetterlo.

Tutto questo fa parte di un mondo di fantasia in cui il lavoro vero e proprio non deve essere fatto perché ci sono i robot, gli immigrati o altro. È un mondo familiare a quelli di noi che hanno una certa età e che ricordano gli schemi di condivisione degli appartamenti e le comuni che si disintegravano in modo acrimonioso quando qualcuno doveva fare la spesa o portare fuori la spazzatura, o anche raccogliere i soldi per la cassa comune. Ma non tutte le società e le culture sono così. Probabilmente conoscete una versione della parabola zen sul giovane monaco che chiede cosa deve fare per essere illuminato. “Tagliare la legna e portare l’acqua”, dice il saggio. E dopo? chiede il monaco entusiasta. “Tagliare la legna e portare l’acqua”. In altre parole, c’è un sacco di roba da fare per tenere insieme una società, e faremmo meglio a darci da fare, e se non lo facciamo bene, dovremo farlo di nuovo. Questo atteggiamento è ben visibile nelle società influenzate dal buddismo zen o chan, che hanno un’ossessione per i dettagli e la perfezione. Per prendere il Giappone, l’esempio che conosco meglio e il cui approccio fanatico alla qualità ha devastato l’industria occidentale, chi immaginerebbe che guidare un treno della metropolitana di Tokyo possa essere un’occupazione di alto livello? Ma se si vede il personale in uniforme elegante e l’orgoglio di gestire un sistema che deve essere puntuale al secondo nelle ore di punta, si comincia a capire.

La maggior parte delle persone al giorno d’oggi lavora in sistemi scadenti, che per ironia della sorte richiedono più sforzi per essere gestiti di quelli buoni. Ci saranno sempre lavori che distruggono l’anima, fisicamente difficili e sgradevoli da fare, anche dopo la rivoluzione, e sarebbe impertinente da parte mia pretendere di commentare come dovrebbero pensare e comportarsi coloro che fanno questi lavori. Ma mi sembra che i “lavoratori dell’informazione”, come li ho chiamati, il partito esterno della PMC, possano fare qualcosa per rendere la loro vita più sopportabile e per recuperare un piccolo senso di scopo, di dignità e persino, oserei dire, di libertà, nelle disfunzionali organizzazioni colossali in cui la maggior parte delle persone è condannata a lavorare oggi, se solo mettessero il loro ego nel cassetto in basso delle loro scrivanie.

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La Cina è piena di sogni sul 2049_di Yi Changliang

Prevedere il futuro della Cina: La tecnologia e il percorso verso il 2049
Un economista cinese sostiene che la tecnologia è la variabile chiave del potere nazionale

CST | STRATEGICTRANSLATION.ORG
9 GEN 2024
La Cina è piena di sogni sul 2049.

Il Partito Comunista Cinese considera il centesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese come la scadenza per il “grande ringiovanimento della nazione cinese”. In teoria, tutte le attività del partito e dello Stato sono finalizzate a questa data. Lo scopo dichiarato di tutta la politica cinese è quello di trasformare la Cina in un “grande Paese socialista moderno sotto tutti i punti di vista” entro il 2049. Nel linguaggio del partito, ciò significa che entro la metà del secolo la Cina deve diventare un esempio di “prosperità, forza, democrazia, cultura avanzata, armonia sociale e bellezza” per il mondo intero.

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In Cina questo è ben noto; è sorta un’intera industria intellettuale per analizzare e prevedere il cammino della Cina fino al 2049. Il Center for Strategic Translation ha appena pubblicato un estratto tradotto di una delle opere più importanti di questo genere: il libro di Yi Changliang Predicting the Future: A Study of China’s Composite National Strength in 2049.

Yi dirige il comitato editoriale di Macroeconomic Management, una pubblicazione della Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e le riforme (NDRC). Ciò lo rende un consulente ufficiale dell’agenzia di livello ministeriale incaricata di armonizzare la politica macroeconomica tra i numerosi organi burocratici della RPC. Le opinioni di Yi non devono essere lette come la linea ufficiale della NDRC, ma sono rappresentative del tipo di opinioni che informano la politica macroeconomica in Cina.

La “forza nazionale composita” [综合国力]- un’astrazione onnicomprensiva volta a sintetizzare tutti gli elementi del potere nazionale (militare, economico, culturale, ecc.) in un’unica metrica del successo nazionale – è il concetto organizzativo centrale dell’analisi di Yi. Yi cerca di quantificare le numerose sotto-componenti della forza nazionale composita della Cina e di prevederne l’evoluzione nei prossimi tre decenni. Nel nostro saggio introduttivo a questa traduzione descriviamo questi calcoli in modo più approfondito, ma l’infografica qui sotto, adattata da una figura inclusa in Predicting the Future, mostra le variabili che Yi ritiene più importanti:


Adattato da una figura di pagina 51 di 《 预见未来:2049中国综合国力研究》
Secondo Yi, “tra le componenti della forza nazionale composita, la scienza e la tecnologia sono le più critiche”. “Sul palcoscenico della competizione economica globale”, ci informa, “solo i Paesi con forti capacità di innovazione scientifica e tecnologica possono svolgere un ruolo di primo piano nello scambio di beni e servizi nell’economia globale o guidare lo sviluppo globale”. Secondo Yi, la tecnologia agisce come moltiplicatore del potere militare ed economico: “La prosperità tecnoscientifica farà prosperare la nazione; la forza tecnoscientifica renderà forte il Paese”.

Yi ritiene che la Cina non sia ben posizionata per trarre vantaggio da questa verità. Sostiene che l’industria cinese imita più che innovare. Questo fa sì che la Cina sia destinata a fare da secondo piano: Yi calcola che, a meno che la Cina non cambi rotta, non riuscirà a raggiungere la forza nazionale composita americana entro il 2049. Yi insiste sul fatto che per realizzare le visioni cinesi del 2049 devono verificarsi vittorie drammatiche sul fronte scientifico e tecnologico. Le sue raccomandazioni per assicurare queste vittorie sono l’oggetto dell’estratto che abbiamo tradotto.

Le sue raccomandazioni possono essere suddivise in due categorie. Yi ritiene che le aziende di Stato, le agenzie governative, i centri di ricerca accademici e le imprese del settore privato siano scarsamente integrati: le innovazioni scientifiche in un settore non sono facilmente trasferibili agli altri. Per risolvere questo problema, il PCC deve costruire “un’alleanza industria-università-ricerca orientata al mercato, con le imprese come pilastro principale”. In questo sistema, “un approccio guidato dal governo” coordinerà la ricerca scientifica “di base e fondamentale” tra i laboratori accademici e gli istituti di ricerca, mentre le imprese private motivate dai profitti prenderanno il comando nello “sviluppo della tecnologia sul mercato”.

Tuttavia, ancora più importante che trovare il giusto equilibrio tra mercato e Stato, è garantire che la Cina abbia il capitale umano necessario per spingere le frontiere scientifiche in primo luogo. Le raccomandazioni di Yi per trasformare l’istruzione sono audaci e talvolta radicali. Tra le altre cose, ciò significa che i bilanci per l’istruzione devono raggiungere livelli simili a quelli delle spese militari, che i programmi di studio dalla scuola primaria all’università devono essere rivisti e che l’intero sistema di cattedra deve essere abbandonato. Uno sforzo particolare deve essere dedicato alla coltivazione e alla cura di una ristretta fascia di geni scientifici: “I candidati devono essere selezionati tra i migliori, in modo che le università, per il bene del Paese e dell’umanità nel suo complesso, possano formare ed educare le vere élite tecno-scientifiche che guideranno il mondo”.

Gli occidentali tendono a pensare all’istruzione come a un settore della politica poco impegnativo e a bassa posta in gioco. Yi insiste sul fatto che, almeno per la Cina, la politica educativa deciderà se il futuro della Cina sarà definito dal pericolo o dal potere, dalla crisi o dal trionfo, dalla stagnazione o dalla prosperità.

Leggete la traduzione integrale QUI.

Glossario

Oltre alla traduzione, CST pubblica un glossario dei termini chiave della scrittura politica della RPC. Ogni voce è un saggio che riassume il significato e traccia la storia dei concetti chiave invocati dagli autori tradotti. Molti sono rilevanti per comprendere la previsione di Yi Changliang sul destino della Cina nell’anno 2049, tra cui:

Forza Nazionale Composita [综合国力]

Tecnologie fondamentali [关键核心技术]

Il Grande Ringiovanimento della Nazione Cinese [中华民族伟大复兴]

Prossimamente

Il Centro di traduzione strategica continuerà la sua indagine sul tecno-nazionalismo cinese nelle prossime settimane. Pubblicheremo un ulteriore estratto di America Against America di Wang Huning e un rapporto del CICIR sul rapporto tra tecnologia e ascesa e caduta delle grandi potenze.

La forza nazionale composita della Cina nel 2049
2049中国综合国力研究
Introduzione
La Cina sogna il 2049.

L’anno 2049 segna un anniversario speciale. Il 1° ottobre 1949, Mao Zedong si affacciò alla porta di Tienanmen e proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Fu cantato un nuovo inno. Fu innalzata una nuova bandiera. Il lungo secolo di umiliazione nazionale della Cina era finito. Ora il viaggio della Cina verso il ringiovanimento nazionale poteva iniziare.

Il viaggio iniziato nel 1949 si concluderà nel 2049. I leader comunisti cinesi identificano questo centenario come la data in cui la Cina sarà ufficialmente diventata un “grande Paese socialista moderno sotto tutti i punti di vista” [全面社会主义现代化强国], esempio di “prosperità, forza, democrazia, cultura avanzata, armonia sociale e bellezza” per il mondo intero.1 I leader del Partito spesso ancorano questo stato finale, altrimenti astratto, a obiettivi politici più concreti. Così la Cina deve costruire un esercito di “classe mondiale” [世界先进水平] e “riunificare” [统一] con Taiwan prima che il ringiovanimento nazionale possa essere pienamente realizzato.2 Xi Jinping fornisce una visione altrettanto chiara per il centenario: “Entro la metà del secolo”, ha detto durante il 20° Congresso nazionale, “dobbiamo trasformare la Cina in un grande Paese socialista moderno che guidi il mondo in termini di forza nazionale composita e di influenza internazionale”.3

Date queste grandi speranze, l’industria intellettuale dedicata al centenario della RPC non deve sorprendere. L’anno 2049 attira analisti di varia estrazione, accomunati solo dal desiderio di plasmare o prevedere il percorso della Cina verso questa data sacra. Il libro di Yi Changliang del 2020 Predicting the Future: A Study of China’s Composite National Strength in 2049 è uno dei più importanti di questo genere. Yi dirige il comitato editoriale di Macroeconomic Management,4 una pubblicazione della Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e la riforma, l’agenzia di livello ministeriale responsabile della creazione e del coordinamento della politica statale in materia di sviluppo economico e sociale.5 La NDRC è stata definita il “mini-Consiglio di Stato “6 , con il compito di armonizzare la politica macroeconomica tra i numerosi organi burocratici della RPC. Tutto, dalla Belt and Road Initiative alla stabilizzazione dei prezzi, rientra in questo ambito. Lavorare nella NDRC forma i funzionari a vedere i problemi sociali attraverso una lente olistica ma decisamente quantitativa. Questa è la lente che Yi usa per prevedere il futuro della Cina.

Al centro di queste previsioni c’è il concetto di forza nazionale composita. Se le classifiche tradizionali delle grandi potenze si concentrano su parametri di forza militare come il tonnellaggio navale o le dimensioni dell’esercito, le misure di forza nazionale composita mirano a sintetizzare la potenza militare con altre misure materiali di potere (come la potenza industriale) e con forme meno tangibili di forza (come l’influenza culturale globale, la stabilità politica o il dinamismo tecnologico). Il termine suggerisce una metrica onnicomprensiva per il successo nazionale.

Non esiste un metodo universale per calcolare questa metrica universale. Ognuno deve calcolarla secondo i propri metodi. La maggior parte dei cinesi che utilizzano questo concetto non fa alcun calcolo, ma si limita a usare l’espressione “forza nazionale composita” come una comoda abbreviazione per indicare l’insieme delle risorse a cui gli Stati attingono quando prosperano o cadono. Ma per un certo tipo di esperti cinesi, la tentazione di quantificare il concetto è irresistibile. Così è per Yi Changliang. In una sezione di Predicting The Future che CST non ha tradotto, Yi presenta la forza nazionale composita sotto forma di formula.7 Questa formula fornisce un’utile istantanea della metodologia più ampia di Yi. Essa recita:

CNS=[E+M+(Aa+Ab)]-1-α × Sβ × Q.
Il primo composto di questa formula è il “potere duro” [硬实力], composto dalla forza economica (E), dalla forza militare (M) e dalla forza tecnologica di una nazione. Quest’ultima variabile è ulteriormente suddivisa in scienza di base (Aa) e scienza applicata (Ab). La misura composita del potere duro è modificata dai fattori di rischio che uno Stato può affrontare (indicati da α); α aumenta quando un Paese sperimenta disordini interni, riducendo il valore del suo potere duro. Il valore modificato dell’hard power viene poi moltiplicato per il “soft power” di uno Stato [软实力], una misura del prestigio internazionale e dell’influenza diplomatica indicata con S, e per il suo smart power [巧实力], una misura della competenza strategica indicata con Q. Yi parte dal presupposto che più un Paese è moderno e democratico, più sarà accolto positivamente dalla comunità internazionale. Così completa la sua equazione includendo la democratizzazione (β) come moltiplicatore del soft power di una nazione.

Utilizzando questo modello, Yi crea una scala di punti per la forza nazionale composita. Secondo le sue stime, nel 2010 la Cina ha totalizzato un punteggio di 43,08. Con ulteriori calcoli che aggiungono alle sue equazioni variabili come la crescita economica, la strategia di sviluppo e il quadro istituzionale, Yi stima che entro il 2049 la forza nazionale composita della Cina crescerà fino a 239,96, mentre la forza nazionale composita degli Stati Uniti crescerà fino a 432,959.

Questi calcoli grossolani hanno una validità scientifica solo discutibile. Più interessanti delle loro conclusioni specifiche sono i presupposti su cui si basa l’intero esercizio. La tecnologia è la chiave di volta dell’analisi di Yi. Yi fa esplicitamente dell’abilità scientifica un elemento del potere nazionale la cui importanza è pari alla capacità industriale o alla forza militare. Insiste sul fatto che “l’innovazione tecnologica è la forza motrice primaria dello sviluppo e la [spina dorsale] strategica per la costruzione di un sistema economico moderno”. Il “punto di fusione tra scienza, tecnologia e industria” è ora “il principale campo di battaglia per accelerare lo sviluppo economico”.

C’è solo un problema: l’industria cinese imita più di quanto innovi. Il calcolo di Yi, secondo cui la Cina non raggiungerà gli Stati Uniti entro il 2049, si basa sul presupposto che la Cina continuerà a seguire un modello di sviluppo dipendente dall’imitazione della tecnologia straniera10.

Yi non è un rigido determinista storico: le sue proiezioni non rivelano ciò che deve essere, ma solo ciò che può essere, o meglio, ciò che è più probabile che sia se la RPC non trasforma il quadro istituzionale che circonda la crescita economica e lo sviluppo tecnologico cinese.11 In altre parole, le previsioni di Yi sono più avvertimenti che profezie. Ha idee precise su quali cambiamenti potrebbero portare la Cina a un futuro più luminoso. Queste raccomandazioni sono tradotte di seguito.

Alcuni temi spiccano. Come molti membri del Partito Comunista Cinese, Yi ritiene che il mondo sia alla vigilia di una “quarta rivoluzione industriale” durante la quale la robotica avanzata, la produzione additiva e l’intelligenza artificiale trasformeranno il volto dell’economia globale. A suo avviso, gli scienziati e i ricercatori che saranno i pionieri di queste nuove tecnologie dovranno essere cinesi. A tal fine, l’intera struttura macroeconomica della Cina deve essere riorganizzata. In alcuni casi ciò richiederà un cambiamento radicale. Per questo Yi raccomanda di “eliminare il sistema di cattedra per i professori delle università e dei college”. Solo se c’è “competizione per i posti di lavoro” nelle migliori università, dove i candidati sono veramente “i migliori selezionati tra i migliori”, le università cinesi possono “formare ed educare le vere élite scientifiche e tecnologiche che guideranno il mondo”. Per molti versi, le numerose proposte fiscali, di sviluppo e di istruzione di Yi sono tutte finalizzate alla creazione di questo ristretto strato di élite. Se la Cina produrrà gli scienziati e i tecnologi più talentuosi dell’umanità, tutto il resto andrà al suo posto.

Un’altra delle preoccupazioni principali di Yi è la costruzione del sistema. Oltre a riformare gli attuali “sistemi educativi e culturali; sistemi fiscali, tributari, finanziari e di investimento; sistemi di imprese statali e sistemi di proprietà intellettuale”, la Cina deve costruire un nuovo “sistema di innovazione tecno-scientifica”, un “sistema di innovazione della conoscenza”, un “sistema di diffusione della conoscenza”, un “sistema di sviluppo economico innovativo” e un “sistema di innovazione istituzionale”.

Per Yi, il pensiero sistemico si presta a una forma di governance molto specifica. Il vecchio modello di investimento diretto del governo nelle tecnologie emergenti è insufficiente; l’innovazione tecnologica progredirà più rapidamente nel regno della concorrenza commerciale. Il Partito deve promuovere un ambiente in cui le imprese competono tra loro, attingendo alla ricerca di base finanziata dal governo e all'”infrastruttura tecno-scientifica” creata dallo Stato. Nella goffa formulazione di Yi, il successo si presenterà come “un’alleanza industria-università-ricerca orientata al mercato, con le imprese come pilastro principale”. Sistemi che si autoalimentano come questi devono sostituire i più semplici accordi dall’alto verso il basso. Yi è fiducioso che se riforme come queste avranno successo, le scoperte della classe di scienziati geniali cinesi si diffonderanno rapidamente in tutta l’economia cinese, fungendo da motore della futura potenza cinese.

Nessuna di queste idee è in contrasto con le politiche effettivamente adottate dal Partito Comunista Cinese da quando Yi ha pubblicato il suo libro. Xi Jinping descrive anche la politica scientifica e tecnologica come il problema di “che tipo di persone dobbiamo coltivare”. Per Xi Jinping l’innovazione è anche una questione di “miglioramento” e di “creazione di sistemi” per coordinare gli sforzi delle università, degli istituti di ricerca e delle principali imprese ad alta tecnologia12. Se la forma del “nuovo sistema nazionale” [新型举国体制] che il Partito ha creato per potenziare la tecnologia cinese non corrisponde esattamente alle prescrizioni di Yi, ci sono chiari parallelismi tra il modo in cui il Partito descrive questo sistema (un “modello organizzativo e un meccanismo operativo che… fa leva sul ruolo decisivo del mercato nell’allocazione delle risorse, utilizza meglio il ruolo del governo [e] utilizza meglio la vasta domanda del mercato interno” per “integrare meglio un governo proattivo con un mercato efficiente” in modo che la Cina possa diventare una “grande potenza tecnologica autosufficiente”) e gli accordi istituzionali che Yi sostiene di seguito. 13

Le raccomandazioni di Yi si basano sulla sua convinzione che “la forza scientifica e tecnologica è la componente centrale della forza nazionale composita”. Il processo decisionale a Pechino suggerisce che Yi Changliang non è l’unico funzionario comunista convinto che il potere scientifico sia la chiave per realizzare i sogni del 2049.

GLI EDITORI

1. Xi Jinping 习近平, “Gaoju Zhongguo Tese Shehuizhuyi Weida Qizhi, Wei Quanmian Jianshe Shehuizhuyi Xiandaihua Guojia Er Tuanjie Zhengdou-Zai Zhongguo Gongchang Dang Diershici Quanguo Daibiao Daguo Daibiao Dahui Shangde Baogao 高举中国y色社会主义伟大旗帜 为全面建设社会主义现代化国家而团结奋斗–在中国共产党第二十次全国代表大会上的报告 [Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi e sforzarsi in unità per costruire un Paese socialista moderno sotto tutti i punti di vista – Relazione politica al 20° Congresso nazionale del popolo], “Xinhua 新华”, 25 ottobre 2022.
2. Jude Blanchette, Briana Boland e Lily McElwee, “Beijing’s Timeline for ‘Reunification’ with Taiwan?”. CSIS Interpret: China, 26 maggio 2023; U.S. Department of Defense, Military and Security Development Involving the People’s Republic of China (Washington DC: 2023), p. 189.
3. Xi, “Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi”.
4. Macroeconomic Management è una rivista accademica fondata e supervisionata dalla Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e la riforma. Sin dalla sua nascita nel 1984, la rivista ha pubblicato relazioni, analisi e opinioni relative alle politiche di sviluppo economico e sociale, alle condizioni economiche nazionali ed estere, alle esperienze regionali e ad altre raccomandazioni. Visitate il sito web della rivista all’indirizzo http://www.hgjjgl.com/list-201-1.html.
5. Lance L. P. Gore, “Il ‘mini Consiglio di Stato’ della Cina: National Development and Reform Commission”, EAI Background Brief, n. 614, 8 aprile 2011.
6. Ibidem.
7. Yi Changliang 易昌良, Yujian Weilai: 2049 Zhongguo Zonghe Guoli Yanjiu 预见未来:2049中国综合国力研究 [Prevedere il futuro: China’s Composite National Strength in 2049] (Beiijng: Zhongxin Chuban Jituan 中信出版集团 [CITIC Publishing Group], 2020), 119.
8. Ibidem, 146.
9. Ibidem, 156.
10. Ibidem, 150.
11. Ibidem.
12. Xi, “Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi”.
13. Quanmian Shenhua Gaige Weiyuanhui 全面深化改革委员 [Commissione per l’approfondimento delle riforme], “Guanyu Jianquan Shehuizhuyi Shichang Jinjixia Guanjian Hexin Jishu Gongguan Xinxing Jvguo Tizhu de Yijian 关于健全社会主义市场经济条件下关键核心技术攻关新型举国体制的意见 [Opinioni sul miglioramento del sistema New- Style Whole of Nation per la ricerca e l’innovazione]. stile nuovo di tutto il sistema nazionale per la ricerca sulle tecnologie fondamentali nelle condizioni dell’economia socialista di mercato], “, 8 settembre 2022.

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IL PUNTO D’ARCHIMEDE, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL PUNTO D’ARCHIMEDE

Il politico e la sfera giuridica

 

La distinzione tra “politico” e “giuridico” è particolarmente ardua perché ambito, scopo, presupposti dell’uno e dell’altro sono uguali, o simili, o, almeno in parte, coincidenti.

Se, ad esempio ci si chiede “qual è lo scopo della politica?” la risposta prevalente è il “bene comune” inteso come sicurezza (e protezione) dalle minacce (interne ed esterne), come concordia (interna) e come benessere; se si pone la stessa domanda per il diritto, la risposta prevalente sarà di regolare giustamente e con certezza i rapporti sociali; il che coincide, in parte, col “bene comune” inteso come concordia nella comunità, data da un lato la necessità di regole, dall’altro che siano condivise e accettate (prevalentemente) dagli associati.

Se, del pari, si parte dall’ambito, mentre il carattere “sociale” della politica è dato per scontato, quello del diritto ha dato qualche problema: ciò non toglie che perché esista una norma o un comando giuridico occorre sempre che esista una società, magari di due persone soltanto. Una norma che, come quella morale, sia solo interiore ed abbia a soggetti l’individuo e Dio (o la coscienza), non è giuridica. Di più: è giuridica solo se concretamente applicabile (e violabile); e – almeno in qualche misura – applicata.

Il che porta all’altro problema della efficacia del diritto, che necessita dell’uso della coazione, cioè della forza, a sua volta mezzo (tipico) della politica. E così potrebbe continuarsi a lungo.

D’altra parte ci sono le differenze e l’irriducibilità dell’uno all’altro.

Un esempio, per l’attualità perdurante (e a ragione) di una differenza essenziale è quello fatto da Max Weber sulla diversa attitudine dell’uomo politico e del funzionario “…Giacchè lo spirito di parte, la lotta, la passione – ira et studium – sono l’elemento del politico. E specialmente del capo politico. Alla sua attività presiede un principio completamente diverso, anzi opposto a quello che regola l’attività del funzionario. Il funzionario, quando l’autorità a lui preposta insiste – nonostante le sue obbiezioni – su un ordine che a lui sembra errato, tiene ad onorare di saperlo eseguire, sulla responsabilità del superiore, coscienziosamente ed esattamente come se esso corrispondesse al proprio convincimento: senza tale abnegazione e disciplina etica nel senso più alto, l’intero apparato andrebbe in rovina. Viceversa l’onore del capo politico, e quindi del capo di stato,  consiste nell’assumersi personalmente ed esclusivamente la responsabilità delle proprie azioni, che egli non può né vuole evitare o addossare ad altri. Sono proprio le nature di funzionari di grande levatura morale a far dei cattivi politici, irresponsabili secondo il concetto politico della parola, e, in questo senso, moralmente vili”[1]. In questo passo è formulata la distinzione tra l’attitudine e la funzione politica (che è di dare comandi) e quella del funzionario (della burocrazia) che è d’eseguirli. Ciò stante per capire e delimitare i differenti ambiti del politico e del giuridico, occorre individuare i punti di contatto, come le differenze tra gli stessi.

  1. Quanto a quelli, il primo è dato dal carattere e dall’ambito sociale in cui si esplicano necessariamente. Come cennato, vale la regola ubi societas ibi ius, come la speculare ubi ius ibi societas. Il presupposto della socialità del giuridico, come del politico è evidente. Com’è stato scritto, anche nell’isola di Robinson Crusoe, il diritto è nato solo con la presenza di Venerdì: prima sarebbe stato assurdo. Per la politica (ed il politico) nessuno, che ci risulti, ha mai messo in forse il presupposto del rapporto (relazione) sociale, dato che la politica è sempre attività di gruppi umani.

Altro carattere comune è quello della conservazione della società, dato anch’esso, per lo più, scontato per la politica, un po’ meno per il “giuridico”. Nella realtà se il diritto porta in se, in maggiore evidenza rispetto alla politica, l’idea di giustizia (con la conseguenza estrema, espressa nel detto fiat justitia pereat mundus) è pur vero che perché un comando (una norma) giuridica sia (per lo più) applicabile (quindi efficace) è necessario sia condivisa, almeno in prevalenza, nella società: un certo grado di concordia la deve supportare. Più in generale occorre ricordare come una delle concezioni prevalenti del diritto è che sia una tecnica sociale: una buona “tecnica” deve conseguire lo scopo specifico e assegnato di conservare la società. Solo comandi su cui una larga parte di associati siano d’accordo sono suscettibili di essere eseguiti con un minimo di forza ed un massimo di consenso. E lo stesso discorso, mutatis mutandis, vale per il benessere: la “buona” tecnica deve raggiungere obiettivi di “buona” (cioè efficace e positiva) gestione.

  1. Quanto ai punti di differenza, il principale è dato dal carattere autonomo del politico, cui si contrappone quello eteronomo del giuridico. Occorre chiarire tali concetti, e il rapporto tra autonomia del politico ed eteronomia del giuridico.

In primo luogo l’autonomia della politica (e del politico) non va intesa soltanto nel senso tradizionale, come indipendenza da precetti morali (e giuridici), ma anche nel senso letterale, di ciò che da obiettivi, regole, a se stesso: ovvero in senso positivo, prima che negativo, di possibilità/capacità di prima che di libertà da. Vale per la politica (ed il politico) la considerazione di Spinoza che i limiti e le regole che lo Stato deve osservare sono quelli naturali e non delle leggi civili, e che l’essere autonomi consiste per l’uomo nell’essere “in grado di respingere ogni violenza, di esigere a suo giudizio il risarcimento del danno subito e, in una parola, di vivere a suo talento[2]; e per gli Stati, trovandosi “tra loro come uomini allo stato di natura”[3], la situazione è la medesima. Per cui carattere della politica è di essere autonoma, nel senso di dare legge: o ai sudditi, (in e con) la pace, o, ai (possibili) nemici in (e con la) guerra. Il collegamento che lo spirito romano aveva individuato tra hostis ed auctoritas ed espresso nelle XII tavole: adversus hostem aeterna auctoritas, può spiegarsi così.

Per cui carattere della politica (e del politico) è di non riconoscere leggi (comandi) che non siano quelli che (la comunità) scelga di darsi; se si obbedisce a comandi altrui, significa che si è in una situazione patologica. Come quella di uno Stato protetto rispetto alla potenza protettrice.

Di converso il “giuridico” non è pensabile se non in una cornice di eteronomia: Autonoma è, nell’uomo, o può esserlo, la coscienza (morale o religiosa); ma il comando, la norma giuridica mai. Il massimo che può farsi per aumentare il grado di “autonomia” è di partecipare alla formazione delle norme (dei comandi) pubblici, come sostenuto da Hobbes e da Rousseau. Ma anche in una democrazia quanto più vicina al “tipo ideale” della stessa il soggetto che comanda (cioè l’assemblea dei cittadini) è distinto dai “comandati” – per cui come scriveva Hobbes – non c’è “patto tra il sovrano ed alcun suddito”[4].

Quindi se l’autonomia è connotato del politico – intesa come attributo dell’unità collettiva (ovviamente non dell’individuo) – l’eteronomia lo è del giuridico.

In questo senso il principio di Kant per cui “il sovrano nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)”[5], esprime compiutamente sia l’eteronomia del giuridico, che l’autonomia del politico, ovviamente in relazione allo Stato moderno. Avere solo diritti e nessun dovere significa sia poter dare comandi (leggi) sia (in caso di emergenza) non doverne rispettare alcuno (neanche quelli autonomamente assunti). Peraltro, quel coattivo tra parentesi indica proprio l’obbligo e il dovere giuridico, cioè applicabile ricorrendo alla forza (che il sovrano abbia doveri di altro genere – non giuridici – è concepibile e sostenuto, con ragione, da molti). Così da una parte il diritto, anche quello prodotto dalla autonomia privata, poggia in ogni caso su una decisione e volontà politica (anche di consentire e sostenere l’autonomia: è cioè un raro esempio di autonomia eteronoma); dall’altro il politico, cioè il carattere essenziale del potere sovrano è d’esser libero da ogni condizionamento e limite giuridico.

Il carattere “eteronomo” del diritto, riguardo alla decisione giuridica, risulta anche dalla struttura della medesima: la quale si fonda sull’autorizzazione/applicazione di comandi (norme) già decise (altrove); per cui un provvedimento o una sentenza sono sindacabili e qualificabili validi (o invalidi) in base ad un controllo di conformità rispetto alla norma o ai comandi che li supportano. Ciò sia se questi abbiano contenuto normativo (com’è, per lo più, nello Stato moderno) sia che consistano in semplici comandi (privi cioè di generalità e/o astrattezza). La decisione politica non è, di converso, sindacabile rispetto ad una norma. Mentre una sentenza è buona (valida) se il Giudice ha correttamente applicato il diritto vigente, la misura politica è buona in quanto congrua a risolvere una situazione, al limite infrangendo il diritto, comprese le norme costituzionali. Mentre per il Giudice vale il detto, sopra ricordato, fiat justitia, pereat mundus (intendendo per justitia il diritto applicabile), per la politica vale l’altro salus populi suprema lex[6]. E la salvezza dello Stato non è materia propriamente giuridica, e tantomeno di norme.

La stessa tesi fu fatta propria da Thomasius e da Kant, riguardo alla distinzione tra diritto e morale. Per il primo ogni diritto consiste di comandi esterni e non interni; Kant poi sostiene che “Il puro accordo e disaccordo di un’azione con la legge, egli dice, senza riguardo al movente dell’azione stessa, si chiama legalità (conformità alla legge) mentre quando l’idea del dovere, derivata dalla legge, è nello stesso tempo movente dell’azione si ha la moralità (dottrina morale). I doveri imposti dalla legislazione giuridica possono essere soltanto doveri esterni, perché questa legislazione non esige che l’idea del dovere, che è del tutto interna, sia di per se stessa motivo determinante della volontà dell’agente e siccome ha bisogno di moventi appropriati alle sue leggi, non può ammettere che moventi esterni. La legislazione morale, all’opposto, per quanto eriga a doveri anche azione interne, non esclude per questo le azioni esterne, ma si riferisce in generale a tutto ciò che è dovere”[7]. Da cui consegue che “al diritto è quindi immediatamente connessa, secondo il principio di contraddizione, la facoltà di costringere colui che lo pregiudica” e “un diritto stretto può dunque soltanto chiamarsi quello che è completamente esterno”; per cui “esso diritto s’appoggia unicamente sul principio della possibilità di una costrizione esterna la quale possa consistere con la libertà di ognuno secondo leggi generali”[8].

  1. Da ciò deriva che le regole (le leggi) della politica, ovvero quelle rispetto alle quali si valuta la congruità dei comportamenti politici (e delle istituzioni politiche) hanno come connotato comune proprio quello di non essere giuridiche; di non potersi cioè apprezzare (e coartare) quei comportamenti rispetto a regole di diritto (in particolare positivo, o a, seconda del significato che si da a quest’ultimo, a quello naturale). Si può condividere o meno l’opinione di Hobbes che “la legge naturale è, per definirla, un dettame della retta ragione riguardo ciò che si deve fare o non fare per conservare, quanto più a lungo possibile, la vita e le membra”, da cui consegue che i comportamenti relativi sono veri o falsi, e non come quelli, valutati sotto l’aspetto giuridico (così come le norme) leciti od illeciti, validi o non validi[9]; ovvero quella di Spinoza, secondo il quale lo Stato deve osservare solo le regole non del diritto civile, ma di quello naturale[10]; ma è sicuro che sul piano “effettuale”, questo appare vero.

D’altra parte, se si parte proprio dai “presupposti” del politico, come definiti da Freund, non si capisce come potrebbe formularsi in termini e in base a presupposti giuridici (preventivi e generali) la scelta tra pace e guerra, né se un’azione debba essere comandata e da chi, ovvero se un’attività debba essere pubblica o privata.

La prima, peraltro, non dipende (se non parzialmente) dalla volontà propria, perché scegliere di essere nemico di una data unità politica è decisione di un’altra unità; quanto agli altri due presupposti pretendere di codificare ciò che dev’essere pubblico o a chi si debba obbedire (compresa la forma di Stato) significa voler ingessare la storia. Anche se nell’illuminismo e tra i rivoluzionari dell’89 era diffusa la concezione del legislatore (e di legge, anche costituzionale) destinata a durare, tuttavia era parimenti diffusa la convinzione che una generazione non può vincolare (eternamente) le future; e, d’altra parte, a salvarli dalla deriva “giuridica” v’era il concetto del potere costituente che, comunque, sta sopra (e prima de) la stessa Costituzione, dallo stesso modificabile, anche integralmente.

L’altro presupposto del “giuridico” è, secondo Freund[11] la relazione tra permesso e vietato. Come quella tra sociale ed individuale non è esclusivo del diritto ma comune a molti altri settori dell’attività umana, in particolare alla morale. Tuttavia è la condizione di (pensabilità ed) esistenza di un comando, giacché comandare qualcosa presuppone la libertà di scegliere e quindi il vietare qualcos’altro. Né in una società in cui tutto è permesso, né in quella in cui si comandino cose impossibili (ad impossibilia nemo tenetur) è concepibile un comando eseguibile (in generale) e quindi neppure una regola giuridica.  Certo è immaginabile una società la cui grundnorm consista nel “tutto è permesso”, ma questa, oltreché mai vista nella storia, non avrebbe bisogno di diritto, inteso come apparato di coazione (quindi istituzione) atteso che non sarebbe possibile costringere ad alcunché. Una società del genere, senza istituzioni e senza divieti, è, in definitiva, l’esatta rappresentazione dello stato di natura hobbesiano.

  1. Consegue a quanto sopra che carattere essenziale delle regole della politica è proprio di non essere giuridiche, cioè suscettibili di comando e coazione esterna. Si potrebbe obiettare che la politica non ha regole (leggi); ma questa considerazione non è condivisibile. La politica ha infatti le regole che vuole osservare (questo è il primo volto dell’autonomia del politico); l’altro consiste in quelle regole che ne determinano il fine (l’hobbesiana salus rei publicae suprema lex); o nelle regole “tecniche” per la protezione della comunità e l’esercizio del potere. La filosofia ed il pensiero politico ne hanno elaborate tante. Da quella (De Benoist) di ridurre il numero dei nemici, che ha avuto le più varie formulazioni ed espressioni nel corso della storia (dal divide et impera romano al “mai la guerra su due fronti” del Quartier generale germanico del secolo scorso)[12]. Machiavelli, ma anche Hobbes e Spinoza ne hanno indicate diverse: il cui connotato comune (prevalente) è dipendere dallo scopo dell’attività politica. Cioè dalla protezione dell’esistenza comunitaria e dell’ordine che assicura, ai quali sono strumentali come mezzi al fine.

L’altro carattere del “politico” e delle sue regole è di essere “sovraordinate” al “giuridico” (e alle sue norme). Ciò non solo per la sovranità – concetto chiave perché è il punto di raccordo tra politica e diritto – e che ha (anche) la funzione di garanzia/protezione dell’ordine attraverso l’esercizio/disciplina della coazione; e non solo perché il fine della politica, nel caso d’emergenza (e talvolta non solo in quello) prevale su quello del diritto (la giustizia, o meglio l’equità), sicché, come scriveva Jhering “la forza sacrificherà il diritto per salvare la vita”; ovvero, secondo Santi Romano, la necessità è fonte di diritto[13]; ma anche perché a seguire le regole giuridiche (o, sotto un diverso aspetto, morali) piuttosto che quelle della “ragion di Stato”, una comunità prepara, come scriveva Machiavelli per il Principe “più tosto la ruina che la preservazione sua”. Se, ad esempio, le potenze occidentali avessero soccorso militarmente la Finlandia, aggredita nel 1939 dall’Unione Sovietica (come chiesto da buona parte dell’opinione pubblica), avrebbero avuto la normativa internazionale dalla loro parte (il protocollo di Ginevra del 1924 condannava la guerra di aggressione, e quella alla Finlandia lo era) ma fatta una pessima scelta politica: sia perché, oltre alla guerra con Hitler, se ne sarebbero trovati un’altra con Stalin, sia perché avrebbero consolidato la recente (e labile) alleanza tra i loro nemici. Citando Odilon Barrot, dato che talvolta la legalité nous tue, per non morire occorre “rompere” o “derogare” alla legalità.

D’altra parte è proprio il diritto positivo, con la nutrita casistica di deroghe ed eccezioni al diritto costituzionale ed ordinario che dimostra carattere e struttura di tale rapporto: rotture costituzionali, stati d’eccezione, stato di necessità, deroghe ed attenuanti alla legislazione penale.

Per cui correttamente Santi Romano riteneva, nel passo sopra citato, che anche in caso sia vietato far uso di poteri eccezionali, la necessità legittima la violazione del diritto (o meglio della legge) vigente.

In altri termini, in ogni ordinamento (che sia vitale) esiste una “clausola generale” (anche se non scritta, anche se vietata) in virtù della quale la protezione dell’esistenza (collettiva) prevale sulla legalità. Coincidendo, secondo Santi Romano il concetto d’istituzione con quello d’ordinamento[14], questa clausola è giuridica, perché costitutivo-conservativa dell’esistenza collettiva. Insieme alla sovranità – e sotto il profilo oggettivo – è il punto di raccordo tra fine del politico e finalità del diritto. Consegue da ciò che l’istituzione politica (nella modernità, e per eccellenza, lo Stato) ha il compito di far convivere esigenze della politica e del diritto, sein e sollen. Proprio nel pensiero (giuridico) istituzionista, e nel concetto d’istituzione ciò è avvertito più nettamente; secondo Hauriou “il potere è una libera energia della volontà che assume l’impresa di governo di un gruppo umano attraverso la creazione dell’ordine e del diritto”[15]. Quindi all’inizio c’è il potere; questo crea l’ordine attraverso l’istituzione[16]; il potere (e il governo) di fatto si trasforma così in un potere (e governo) di diritto. Il rapporto tra potere, ordine attraverso il diritto (cioè l’istituzione) e consenso coutumier fa si che l’istituzione debba tener conto sia del potere che del consenso e dell’ordine, e così dei “due” poli, politico e giuridico.

Il rapporto di “sovraordinazione” o di “decisività” tra politica e diritto, e di prevalenza-precedenza della prima sul secondo, cui ci ha avvicinato la tesi di Hauriou su potere ed ordine, è particolarmente evidente nel momento di fondazione (o ri-fondazione) dell’istituzione, e, in ispecie, dell’istituzione-Stato.

A questo è stato molto attento, sia negli scritti giovanili che negli ultimi, Santi Romano; lo stesso problema è, tuttavia, solitamente trascurato dai giuristi, in parte con l’attenuante che il giurista interpreta il diritto che è, e non indaga il momento genetico dell’istituzione. Ma proprio quest’ultimo mostra l’essenza e i modi del rapporto: la teoria di Sieyès sul potere costituente lo conforta (e ne è la più chiara espressione). Sieyès la fonda su tre caratteri distintivi di tale potere: il primo negativo, d’essere svincolato da ogni forma, “une nation est indèpendente de toute forme”. Al contrario dei poteri costituiti, che sono tenuti a rispettare la legalità (“il n’est legal qu’autant qu’il est fidèle aux lois qui lui ont été imposées”) la volontà nazionale (cioè il potere costituente) “au contraire n’a besoin que de sa réalité pour être toujours lègale, elle est l’origine de toute lègalité”. La nazione non è sottomessa ad una Costituzione, e non può (né deve) esserlo; non solo è indipendente d’ogni forma, ma non ha bisogno di alcuna giustificazione (supporto) giuridico. In essa realtà e legalità coincidono: la seconda è lo sviluppo-emanazione della prima. Infine “De quelque manière qu’une nation veuille, il suffit qu’elle veuille: toutes les formes sont bonnes, et sa volonté est toujours la loi suprême”; per cui è essa a determinare (ed istituire) la/e forma/e in cui si organizzerà ed articolerà l’istituzione[17]. Il politico non ha così una data forma, ma è creatore della (propria) forma. Il fatto che questa/e forma/e sia vitale (cioè efficace, capace di far esercitare il comando con successo e consenso) lo si deve al grado di accettazione da parte dei consociati, che si esprime in categorie (e concetti) essenzialmente politici (e “fattuali”) come autorità e legittimità. Così il “politico” e la volontà politica (tanto del “creatore” dell’ordine che dei governati) è il punto d’Archimede dell’ordinamento giuridico (statale): togliendo, modificando, o sostituendo quello, cambia questo: mentre non è vero il contrario; perché il cambiamento di una, o più norme (anche la maggior parte), e neppure quello di istituzioni modifica la costituzione (intesa nel senso schmittiano delle decisioni fondamentali sui modi e forme dell’esistenza politica) e ancor meno il potere costituente.

A tale proposito occorre ricordare come molti giuristi hanno notato che vi sono istituzioni originarie e derivate. Le prime sono “quelle in cui si concreta un ordinamento giuridico che non è posto da altre istituzioni e che è quindi, quanto alla sua fonte, indipendente. Ci sono viceversa istituzioni derivate, il cui ordinamento è, cioè, stabilito da un’altra istituzione, la quale afferma così, a questo riguardo, la sua superiorità sulla prima, che le rimane quindi subordinata[18]; così come lo Stato ha, secondo Rudolf Smend, il carattere che “il suo funzionamento non viene mantenuto da un motore o da un giudice esterni alla sua struttura, non viene sorretto da una causa o da una garanzia eteronome, ma si integra, grazie alla legislatività oggettiva rispetto al valore, esclusivamente in un sistema di integrazione gravitante su se stesso” per cui “In un senso del tutto diverso dalla costituzione di un’associazione, la costituzione scritta di uno Stato può perciò soltanto stimolare e limitare quella vita costituzionale che gravita su se stessa e che non può essere garantita eteronomamente[19]. In sintesi il carattere politico (e originario) dell’istituzione statale fa si che è il potere politico – e sovrano – inerente alla medesima a garantire unità, stabilità e applicazione del diritto; per le altre è un potere esterno all’istituzione (cioè, per lo più, un’altra istituzione), proprio perché priva di sovranità.

Si potrebbe con un paragone ardito,  adattare al diritto il teorema di incompletezza di Gödel, per il quale vi sono punti che il sistema non riesce a decidere né a dimostrare autonomamente. Di converso il politico, come scritto da Sieyès nel passo sopra citato, non ha necessità di legittimazione o d’essere conforme a una norma o ad una procedura giuridica.

  1. Il punto di giunzione (e frizione) tra giuridico e politico è dato dal diritto pubblico, intendendo con ciò quello che – in altre lingue romanze, come anche in italiano, ai tempi di Romagnosi – si chiama anche “diritto politico”. Nei suoi rami più alti, ma talvolta anche in quelli inferiori, sono ravvisabili diversi punti di raccordo (e di conflitto) tra esigenze della politica e principi ed istituti giuridici.

Proprio il diritto positivo (i diritti positivi) degli Stati moderni concorre a provare come il politico (e la politica) sono irriducibili al giuridico; in particolare, se si intende questo essenzialmente come regola, come norma applicabile esattamente da un giudice o da un funzionario. Le forme di questa irriducibilità sono varie. Ne ricordiamo le principali:

1) In primo luogo non c’è necessità di avere il diritto per creare il diritto: ciò è implicito nell’affermazione di Sieyès che la Nazione, per il solo fatto di esistere è tutto ciò che vuole essere: ovvero che non ha bisogno di alcuna legittimazione giuridica. Questo, oltre che da altri, è ripreso (e in certo senso, ampliato) nella nota tesi (v. supra nota 13) di Santi Romano, per cui anche senza autorizzazione legislativa all’uso di “poteri eccezionali e straordinari, questi potranno essere assunti ed esercitati in forza della necessità. Come è consuetudine, anzi a maggior ragione, data la sua maggiore energia, la necessità è fonte  autonoma del diritto, superiore alla legge[20].

2) Anche senza voler ricordare la funzione protettiva-conservatrice  dell’autorità politica, particolarmente chiara ed evidente nello “ stato di eccezione”, neppure in rapporti e situazioni non connotate dall’emergenza, ma, in un certo senso, normali, l’ambito del “politico” coincide col “normativo”. Infatti atti particolarmente rilevanti sono sottratti al sindacato del giudice, anche nelle democrazie liberali, dove il controllo è, di converso e di solito, penetrante e generale. Così nel diritto italiano gli atti politici, in quello francese gli actes de gouvernement non sono impugnabili davanti al Giudice. A tale proposito è stato sostenuto che “l’attività politica non può venir definita unicamente un’attività libera, ma un’attività libera perché politica[21]” e che gli atti espressione della funzione di governo sono “istituzionalmente sottratti ad ogni sindacato giurisdizionale. Essi sono sottratti per natura, non perché esiste l’art. 31 T.U. sul Consiglio di Stato”[22].

Anche in presenza dell’art. 113 della Costituzione italiana (che prescrive la sindacabilità generale degli atti amministrativi) la categoria degli atti politici è “sopravvissuta” alla Costituzione repubblicana[23] ; per cui ne risulta rafforzata la tesi che tali atti non sono justiciables per “natura”.

3) I poteri rappresentativi (e talvolta non solo quelli) sono immuni dalla giurisdizione penale. La prima costituzione europea moderna, cioè quella francese del 1791, già lo disponeva (titolo III, cap. I, art. 3) prescrivendo che i tribunali non potessero interferire nell’esercizio del potere legislativo né sospendere l’attuazione delle leggi: prescrizioni similari, e quelle sull’immunità dei parlamentari (dei Capi di Stato e dei Ministri) da arresti e processi erano riportate praticamente in tutte le costituzioni europee successive, degli Stati liberali prima e (poi) democratico-liberali; così come le deroghe alle competenze e forme ordinarie in caso di processo ipolitici.

L’argomento decisivo per spiegare le immunità (e le deroghe) per determinati organi “supremi” dello Stato è quello esposto, nel solco di una tradizione di pensiero sullo (o dello) Stato che risale a Bodin ed Hobbes, da Vittorio Emanuele Orlando, in un saggio del 1933. Scriveva infatti: “Che fra gli organi onde lo Stato manifesta la sua volontà e la attua, uno ve ne sia che su tutti gli altri sovrasta, superiorem non recognoscens, e che non potendo appunto ammettere un superiore (chè allora la potestà suprema si trasporterebbe in quest’altro) deve essere sottratto ad ogni giurisdizione e diventa, per ciò stesso, inviolabile ed irresponsabile, è noto” (il corsivo è nostro) [24].

  1. Il breve excursus che precede spero sia servito al chiarimento di ciò che è politico e ciò che è giuridico. La compenetrazione dei quali – nelle forme costituite – crea molteplici tipi d’interazione e rapporti, di cui il diritto positivo costituisce la testimonianza; e da cui i criteri distintivi sono registrati.

Resta il fatto che il diritto è per natura eteronomo, e gli sono essenziali (e “dati”) forma e procedura; mentre il politico è autonomo, è morfopoietico, e (in ultima analisi) non ha bisogno di osservare procedure o legittimazioni giuridiche per imporre la propria volontà.

Quando si cerca di dimenticare – o sminuire tali caratteri, i casi sono due: o si cerca di utilizzare il diritto come supporto in una battaglia politica ( come, ad esempio, l’uso leninista della legalità), ammantandosi del “valore aggiunto” della legge, rivolto – come arma in più – contro il nemico; o si confondono legalità e legittimità, forme e procedure, subordinazioni e coordinazioni, essere e dover essere, comando e obbedienza, pubblico e privato, in un caos, che la mancanza di un punto d’Archimede, visibile e riconosciuto (“pubblico”), rende durevole (quanto dannoso). Che può essere la forma ideologica di un moderatismo policratico, in cui la moderazione delle parole copre i fini particulari di una congerie (irresoluta e) tendenzialmente anarchica di poteri privati, anche se non sempre nell’oggetto, nella mentalità e nella funzione.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Politik als beruf, trad. it., Torino 1966, p. 72.

[2] V. Trattato politico, trad. it., Torino 1958, p. 168 (il corsivo è nostro).

[3] Op. cit., p. 195.

[4] Elements of Law Natural and Politic, trad. it., Firenze 1968, p. 178.

[5] Die Metaphisik der Sitten, trad. it., Bari 1973 p. 149.

[6] T. Hobbes scrive che legge, dovere e profitto del Sovrano “sono una medesima cosa, contenute nella sentenza, Salus populi suprema lex” v. Elements, sopra cit. p. 250.

[7] Die Metaphisik Der Sitten, I, Intr., § 3, op. cit., p. 21 (i corsivi sono nostri).

[8] Op. cit., p. 37

[9] “Per retta ragione nello stato naturale degli uomini non intendo, come molti fanno, una facoltà infallibile, ma l’atto di ragionare, cioè il ragionamento, proprio di ciascuno e vero, riguardo quelle proprie azioni che possono tornare a vantaggio o a danno degli altri uomini. Dico: proprio, perché, sebbene nello Stato la ragione dello Stato (cioè la legge civile) debba essere ritenuta retta da ciascun cittadino, fuori dello Stato, dove non si può distinguere la retta ragione dalla falsa, se non paragonandola alla propria, la ragione di ciascuno deve valere non soltanto come regola delle azioni proprie, fatte a proprio rischio, ma anche come misura della ragione altrui, nelle cose che ci riguardano. Ho detto: vero, cioè concluso mediante la corretta composizione di principi veri, perché ogni violazione delle leggi naturali consiste in un falso ragionamento, cioè nella stupidità di uomini che non considerano necessario alla propria conservazione l’adempimento dei loro doveri verso gli altri” Hobbes, op. cit., p. 90 (il corsivo è nostro).

[10] V. Spinoza “Vediamo dunque in qual senso si possa dire che lo Stato è soggetto alle leggi e che può delinquere. Se per legge si intende il diritto civile, ossia il diritto che si può civilmente rivendicare, e per delitto un’azione vietata dal diritto civile; ossia, se queste parole sono intese alla lettera, non si può in alcun modo dire che lo Stato sia soggetto alle leggi o che possa delinquere. Infatti, le regole e i motivi di soggezione e di ossequio, che lo Stato deve a propria garanzia conservare, non sono del diritto civile, ma del diritto naturale, giacché (per l’art. precedente) non si possono rivendicare per diritto civile, ma per diritto di guerra, e lo Stato non vi è tenuto se non per la sola ragione per cui anche l’uomo nello stato naturale è tenuto, se vuole mantenersi libero e se non vuole diventare nemico di se stesso, ad evitare di uccidersi: dovere, questo, che non implica soggezione, ma denota la libertà dell’umana natura. Il diritto civile dipende invece esclusivamente dalla volontà dello Stato, il quale, se vuole mantenersi libero, non deve adeguarsi se non al proprio talento e non riconoscere per bene o male se non ciò che esso stesso ha dichiarato tale; e quindi, non soltanto ha il diritto di imporsi, di promulgare leggi e di interpretarle, ma anche di abrogarle e di condonare la pena a qualsiasi delinquente per la pienezza del proprio potere”, op. cit., p. 205.

[11] Philosophie et sociologie, Louvain-La-Neuve 1984, p. 87 ss.

[12] Regola due volte non osservata, con le conseguenze, per la Germania, che tutti sanno.

[13] Santi Romano ritornò più di una volta sulla concezione della necessità come fonte di diritto (v. ad esempio il saggio del 1898 Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, ora in Scritti minori, vol. I). riportiamo il passo più significativo della seconda edizione del Diritto costituzionale generale (del 1947, l’anno della morte) “Talvolta, le leggi scritte accordano, in casi di necessità, al potere esecutivo la facoltà di emanare decreti o ordinanze, che si dicono per l’appunto di necessità o urgenza, in sostituzione del potere legislativo, cui normalmente spetterebbe la competenza di emanare le norme occorrenti. Ma anche quando tali leggi scritte mancano, o sono inadeguate alla situazione che si è formata, e persino quando espressamente vietano che si faccia uso di poteri eccezionali e straordinari, questi potranno essere assunti ed esercitati in forza della necessità. Come la consuetudine, anzi a maggior ragione, data la sua maggiore energia, la necessità è fonte autonoma del diritto, superiore alla legge. Essa può implicare la materiale e assoluta impossibilità di applicare, in certe condizioni, le leggi vigenti e, in questo senso, può dirsi che «necessitas non habet legem». Può anche implicare l’imprescindibile esigenza di agire secondo nuove norme da essa determinate e, in questo senso, come dice un altro comune aforisma, la necessità fa legge. In ogni caso, «salus rei publicae suprema lex» (il corsivo è nostro).

[14] V. L’ordinamento giuridico, rist. Firenze 1967, p. 27.

[15] Préçis de droit Constitutionnel, Paris 1929, p. 14.

[16] Op. cit., pp. 17 e ss.

[17] Qu’est-ce-que le tiérs État, Liv. V.

[18] v. Santi Romano, L’Ordinamento giuridico, cit. p. 141 (il corsivo è nostro).

[19] V. R. Smend Verfassung und Verfassungsrecht, trad. it. Milano 1988 p. 156; sul punto Smend ritorna nella voce Integration, trad. it. cit., p. 286 per sostenere che le istituzioni non statali “vengono garantite dalla dissoluzione interna per lo più mediante poteri esterni: il giudice, la coercizione amministrativa, sino agli strumenti della cosercizione sociale e a quelli della politica estera e del diritto internazionale. Per lo Stato, in quanto si pone semplicemente come compito, non vi sono affatto tali garanzie esterne” (il corsivo è nostro).

[20] Santi Romano. Diritto costituzionale generale, Milano 1947, p.92 (i corsivi sono nostri).

[21]  v.  Ranelletti-Amorth “Atti politici” in Noviss. Digesto italiano  vol. 3° p.1512 (il corsivo è nostro).

[22] v. P. Barile Atto del governo (e atto politico) in Enc. Diritto, vol, IV p. 225.

[23] V. p. es. Cass.,S.S.U.U. civili, 25/11/1983 n.7072 sugli atti della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi.

[24]V. E. Orlando Immunità parlamentari ed organi sovrani, Rivista di diritto pubblico,  XXV Roma 1933, ora in Diritto pubblico generale, Milano 1954, p. 487. E prosegue: “circa gli attributi ed i caratteri dell’organo sovrano come furono definiti di sopra, non vi sono gravi difficoltà, quando l’ordinamento ne riconosce ed ammette uno solo: e non importa se questo unico organo sovrano sia, in relazione alle varie forme di governo, una persona fisica (monarchia), o un collegio, e questo sia costituito da componenti di una classe privilegiata o dalla universalità dei cittadini (aristocrazie o democrazie assolute)” e specifica: “Si giustifica pertanto la nostra teoria la quale può riassumersi così: non si può dare organo sovrano senza che esso sia coperto della garanzia della inviolabilità, la quale importa: essere sottratto ad ogni giurisdizione capace di esercitare una coazione fisica sulla persona. Naturalmente, come avviene sempre nel mondo del diritto, questo principio generale deve, nell’applicazione, adattarsi alle manifestazioni concrete della realtà costituzionale, assumendo forme diverse senza però venir mai meno in se stesso”.

Se si tratta di organo collegiale “come sono le assemblee parlamentari, l’inviolabilità fisica non può normalmente porsi se non in via indiretta, attraverso l’inviolabilità dei membri; ma, d’altra parte, non è necessario e sarebbe anzi sconveniente, che questa forma di inviolabilità del collegio nelle persone dei suoi membri fosse così assoluta e così rigida come deve essere in rapporto a una persona fisica”. Per cui “Attraverso tutte queste differenze, per quanto importanti possano essere, è però sempre lo stesso principio che si applica, riaffermando l’inviolabilità  come qualità inseparabile dell’organo sovrano: diritto comune e non diritto di eccezione, poiché deriva per virtù di semplice logica giuridica dalla stessa maniera di essere dell’ordinamento” perché ad essere “rigorosamente esatti” non è tanto che il Parlamento (e gli altri organi sovrani) si sottraggono ad ogni giurisdizione “ ma bensì, che compete ad esso (comprendendo il Re) la giurisdizione suprema e che tale sua qualità sia sufficiente perché possa risolvere senza concorso di un’altra autorità, le questioni della sua prerogativa”, op. cit. p. 495 ss..

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SITREP 1/9/24: Ultimi aggiornamenti sulla guerra tecnologica all’avanguardia, di SIMPLICIUS THE THINKER

Questo sarà un aggiornamento irregolare e sparso per eliminare alcuni elementi marginali e tecnici interessanti ma minori che potrebbero non rientrare in pezzi più grandi.

Iniziamo con l’interessante immagine “trapelata” che si dice provenga dal sistema ucraino “Virage-Planshet” che ho già evidenziato in precedenza. Tra l’altro, Planshet significa proprio “tavoletta”. L’immagine ha suscitato molti commenti perché sembra implicare che l’Ucraina abbia una sorveglianza totale di tutti gli aerei russi nell’intera SMO, cosa che, tecnicamente parlando, non dovrebbe essere possibile:

La “legenda” è approssimativa: i cerchi viola sono aeroporti con gli orientamenti delle piste principali indicati da una linea bianca. Le icone degli aerei credo possano essere qualsiasi cosa: aerei, missili, elicotteri e droni. I rossi sono russi, i blu sono ucraini, motivo per cui i loro numeri di chiamata sono censurati. Vediamo circa tre velivoli ucraini vicino al Dnieper e alcuni nell’ovest dell’Ucraina, molti dei quali sono probabilmente elicotteri.

Nessuno sa quanto questo dato sia accurato, e il fatto che sia stato “deliberatamente” divulgato potrebbe far pensare a uno psyop con l’unico scopo di far “preoccupare” la Russia, suggerendo che l’Ucraina può vedere più mezzi di quanti ne veda in realtà. Inoltre, i mezzi visti all’estremità più lontana, ad esempio nella regione russa di Rostov, potrebbero essere marcatori di “ultime posizioni” note o ipotizzate, ecc. È difficile saperlo con assoluta certezza.

Ma in generale: non è possibile che l’Ucraina abbia la capacità di tracciare i voli russi in tempo reale a quella distanza. Non esiste una capacità satellitare in grado di farlo per ragioni che abbiamo già discusso: i satelliti ottici (EO) non sono geostazionari e possono scattare solo poche immagini all’ora. I satelliti che sono geostazionari e possono “librarsi sopra” un luogo, in un certo senso, sono in orbita estremamente distante e non sono EO perché a quella distanza non possono vedere o rilevare nulla con grande acutezza; di solito sono satelliti di comunicazione di vario tipo. I satelliti SAR (Synthetic Aperture Radar), d’altra parte, non possono nemmeno seguire bersagli in movimento, che appaiono come una macchia.

Ciò lascia l’unica possibilità di una sorta di HUMINT terrestre, che sembra poco plausibile per il tracciamento in tempo reale di dozzine di jet, a parte il loro semplice decollo/atterraggio – cosa che sappiamo essere fatta. E i radar OTH (Over the Horizon), che sono una tana di coniglio piena di complessità e problemi, soprattutto perché non sono sicuro che in Europa siano rimasti radar OTH realmente funzionanti.

Comunque sia, se l’immagine è reale, dimostra i livelli di sofisticazione assistita dalla NATO con cui l’Ucraina sta lavorando: un livello di ISR piuttosto sorprendente.

Abbiamo visto le loro immagini Virage qui sotto, ma solo in aree più isolate e localizzate, come gli attacchi missilistici provenienti dalla Crimea:

Questo è più facile da spiegare, poiché almeno i radar della regione di Odessa possono teoricamente tracciare fino a quella distanza, data la giusta altitudine dell’oggetto.

Una cosa che la nuova immagine Virage sembra rivelare è che la Russia ha dei buoni voli di pattugliamento sul Mar Nero a ovest della Crimea. Ciò sembra confermare le recenti notizie secondo cui i Mig-31 hanno abbattuto una raffica di missili Neptune a una distanza impressionante, 40-80 km dalla costa. Ciò significa che i Mig-31, con i loro radar notoriamente potenti, e potenzialmente anche gli A-50 AWAC, stanno effettivamente pattugliando il mare in quella regione.

Mi riferisco ai voli visti qui:

Questo porta al mio prossimo aggiornamento: l’AD russa ha dato prova di sé la scorsa settimana. Negli ultimi giorni, i grandi attacchi a Belgorod e in Crimea sono stati completamente respinti da una performance AD praticamente impeccabile. Lo sottolineo deliberatamente perché l’Ucraina si fa portavoce di una o due penetrazioni occasionali, come quella della nave il mese scorso (che io sostengo più che mai non fosse in realtà un attacco missilistico), ma ignora completamente il 95% delle altre volte in cui l’AD russa si dimostra impeccabile.

Gli attacchi degli ultimi giorni sono stati notati per la loro ferocia di saturazione e alcuni rapporti hanno affermato che i sistemi Pantsir-SM aggiornati della Russia potrebbero essere stati utilizzati nella regione di Belgorod per abbattere un’intera raffica di missili MLRS Vampire cechi.

La letteratura ha dimostrato che gli ultimi aggiornamenti dei Pantsir russi hanno radar molto migliori, più resistenti al rumore e al disordine, più adatti a rilevare i droni più piccoli, ecc. In breve: nell’ultima settimana si è assistito a un lavoro esemplare in cui l’AD russo ha fermato ogni singola raffica di armi degli UA, ma questo non lo sentirete dalla stampa di Zelensky.

In realtà, ciò che abbiamo sentito da parte sua è che l’AD dell’Ucraina è stata gravemente esaurita. Gli Stati Uniti si stanno affannando per trovare altri missili Patriot e l’ultimo attacco della Russia, giorni fa, è stato il primo in cui i funzionari ucraini hanno iniziato ad ammettere il numero di missili abbattuti:

I 18/24 Kh-101 sono ovviamente un falso poliziotto da “guerra dell’informazione”, ma è molto degno di nota il fatto che abbiano finalmente ammesso di aver abbattuto 0 Kinzhal e Iskander, stranamente solo pochi giorni dopo aver dichiarato un tasso di abbattimento di 10/10 sui Kinzhal.

Molti video hanno mostrato colpi diretti che nemmeno Kiev è riuscita a nascondere:

 

E continuano ad arrivare prove di grandi imprese distrutte.

Così come questo a Lvov:

Enormi code di ambulanze si sono formate nei pressi del reparto di chirurgia dell’ospedale militare della regione occidentale (Lviv) dopo gli attacchi missilistici di ieri. Un giornalista ucraino scrive di diverse decine di veicoli che portano i feriti. A Lvov, dopo il recente attacco, le Forze Armate russe si sono mosse molto bene. Le cronache locali riportano decine di ambulanze che trasportano i feriti. Poiché la banda di Zelensky tace ufficialmente su questo, i morti e i feriti non sono chiaramente civili.

La Russia sta causando ingenti danni alle imprese ucraine del settore della difesa, compreso il personale.

Il rapporto dello stabilimento Artem di Kiev afferma che “l’intero turno” di 50 persone è stato spazzato via da due Kinzhal:

Presunte informazioni privilegiate sull’attacco russo Kinzhal alle imprese militari di Kiev: “IL BILANCIO DELLE VITTIME NELL’IMPIANTO DI ARTEM È DI 50 PERSONE. Si tratta dell’intero turno di lavoro di quel giorno. Due pugnali sono entrati nell’officina. Gli unici fortunati sono stati quelli che hanno fatto tardi al lavoro perché la metropolitana si è fermata insieme all’elettricità, e quelli che stavano bighellonando in giro. La propaganda ucraina ha nascosto questo episodio, anche se tutti gli abitanti di Lukyanivka, Tatarka e Syrets lo hanno visto dalle loro finestre (foto). Ma la propaganda ha raccontato che tutti e 10 i Kinzhal sono stati abbattuti da un attacco massiccio, lanciando barattoli di sottaceti contro il nemico. (c) Maxim Ravreba PS. Qui sotto c’è un post con un link di una parente di uno degli operai morti, in cui si lamenta del fatto che la banda di Zelensky sta nascondendo informazioni sulle persone uccise durante lo sciopero. Suo nipote è morto lì”.

Sono stati pubblicati i necrologi, tra cui quello di una madre e di una figlia che, secondo quanto riferito, lavoravano entrambe al Luch Bureau. Si tratta di civili, ma purtroppo sono effettivamente considerati combattenti nemici perché lavorano in impianti di assemblaggio militari, che sono obiettivi legali.

L’ex generale ucraino Krivonos afferma che alcune delle imprese più importanti dell’Ucraina sono state completamente distrutte:

A seguito degli attacchi missilistici russi, l’Ucraina ha perso le imprese che producevano i missili più potenti del Paese – ha dichiarato l’ex capo delle forze speciali ucraine, il generale Krivonos. Il nostro governo sta facendo trapelare i dati relativi a queste imprese, che producevano armi potenti – afferma il generale. Nessuno è responsabile dei danni che questo provoca, lamenta Krivonos. “I funzionari di Kiev pensano solo a vincere le elezioni e non a come vincere la guerra”.

In conclusione: La campagna d’attacco invernale della Russia ha iniziato a colpire con forza le infrastrutture di difesa dell’Ucraina e ha probabilmente messo fuori uso un’enorme quantità di manodopera specializzata insostituibile, fondamentale per la produzione di droni e missili artigianali, che sono alcune delle ultime cose che l’Ucraina può ancora produrre internamente.

Un rapporto non corroborato di un giornale polacco ha inoltre affermato quanto segue:

L’analista russo Starshe Edda ha fatto i seguenti calcoli sulle scorte di Patriot americani:

La questione più interessante a questo proposito è la produzione di missili. Secondo i piani dell’ultimo decennio, entro il 2026 gli Stati Uniti avrebbero dovuto lanciare 600 + missili per i sistemi di difesa aerea Patriot PAC-3 MSE all’anno. Ora, secondo i dati disponibili, questa cifra è di circa 500 missili all’anno. È molto o poco? Nella difesa aerea di Kiev, per quanto si può giudicare, ora ci sono fino a cinque batterie “Patriot”, cioè fino a quaranta lanciatori. 40 lanciatori, se tutti relativi alla modifica del PAC-3, possono ospitare fino a 640 (fino a 16 missili da installare in quattro contenitori da quattro). In realtà, sono più piccoli, almeno una parte delle batterie della vecchia modifica PAC-2, per la quale i missili non sono più prodotti. Ma in ogni caso, vediamo che le cifre nominate della produzione annuale – è il valore di una salva completa al massimo. Questo non è così piccolo se si prende la vita di ( missili garantiti e due estesi ) per 30 anni, allora durante questo tempo si può accumulare a questo ritmo un migliaio e mezzo di ZUR. Ma questo va bene per il tempo di pace, ma in condizioni, quando un raid più o meno grande può richiedere il consumo di Patriot da centinaia di missili in su, escludendo altri mezzi, 500-600 all’anno diventano chiaramente insufficienti. Soprattutto se si considera che – gli utenti non sono affatto solo l’Ucraina, e non tutti sono disposti a fare i loro contratti nell’interesse di Kiev.Cosa succede alla fine? Abbiamo sentito la retorica della NATO sulle forniture di difesa aerea. Quanto rapidamente si tradurrà in realtà, sospetto che non lo sappiano né al Pentagono né a Bruxelles. Sicuramente lo sanno a Bethesda, nel Maryland (sede della “Lockheed-Martin”), ma è improbabile che lo dicano a qualcuno.

Un nuovo rapporto del FT conferma il crescente dominio della Russia nello spettro EW:

L’articolo ci dice per lo più quello che già sapevamo:

Sebbene l’Ucraina abbia “periodicamente trovato punti deboli” nella copertura EW della Russia, per la maggior parte tale copertura rimane vasta:

Il problema è che i russi sono in grado di mettere in campo sistemi di guerra elettronica su gran parte del fronte, in alcuni casi fino al livello di plotone quando si parla di cose come il Pole-21″, ha detto Watling.
I sistemi Pole-21 e Murmansk possono spegnere i segnali GPS per centinaia di chilometri di fronte, rendendo inutili i JDAM e i GMLRS americani. Purtroppo questi sistemi non hanno lo stesso effetto sugli FPV locali, soprattutto perché gli FPV volano molto bassi e non sono influenzati dai sistemi “posteriori” grazie all’orizzonte radar. Solo i sistemi in prima linea molto vicini possono disturbarli.

Questi fatti sono stati evidenziati due giorni fa, quando un nuovo video pubblicato dagli ucraini ha mostrato due dei più avanzati droni occidentali/NATO dell’Ucraina che sono stati annullati dall’AD russo mentre cercavano di attaccare un sistema Pantsir-S1 da qualche parte – come sostengono loro – nella regione di Belgorod:

Si vede che i droni arrivano e poi perdono la connessione. L’Ucraina ha affermato che hanno comunque “colpito il bersaglio” perché i droni (che sembrano essere forse Switchblade o una varietà correlata) sembrano avere un auto-tracker che potrebbe impiegare la capacità di colpire autonomamente il bersaglio tracciato dopo la perdita del segnale.

Ma non solo non ne sono convinto, un rapporto della guarnigione locale di Belgorod è apparso attraverso i circoli TG che afferma che non è stato colpito nulla e che tutti i loro sistemi AD erano a posto.

Alcuni sosterranno altezzosamente che gli Stati Uniti, come sempre, sono all’avanguardia in questi campi, ma un nuovo video proveniente dall’avanguardia della preparazione americana dimostra il contrario. Sebbene anche loro ci stiano “lavorando”, non si può assolutamente dire che siano all’avanguardia, in quanto sembrano essere nelle fasi formative di base della comprensione della tecnologia:

Questa è solo la loro prima accademia di addestramento contro la tecnologia dei droni e, a quanto pare, sono in ritardo di diversi anni rispetto alla Russia e all’Ucraina nel gestire e sistematizzare veramente questi sviluppi.

In effetti, la settimana scorsa ha visto una serie di fallimenti americani. Dal B-1B Lancer (300-500 milioni di dollari) precipitato nel South Dakota:

Il primo rover lunare americano in 50 anni ha fallito in modo ancora peggiore di quello russo, che almeno ha raggiunto molti altri obiettivi mentre girava intorno alla Luna:

Dov’erano tutte le persone che ridevano dell’incapacità della Russia di tornare sulla Luna?

Poi ci sono state le crude rivelazioni che le principali armi strategiche di deterrenza dell’America, i missili Minutemen III, sono così vecchie che “i disegni non esistono nemmeno più”:

Per non parlare del fatto che non ci sono tecnici viventi che capiscano i missili. Doh.

Questa rivelazione shock arriva solo due mesi dopo il fallimento spettacolare dell’ultimo test dei Minutemen da parte degli Stati Uniti:

Molti parlano giustamente di una grave “crisi di competenza” che sta colpendo gli Stati Uniti, anche a causa dell’ultimo fallimento del Boeing Max door.

Come se non bastasse, i soldati ucraini hanno rivelato che il motivo per cui nessuno dei loro Abrams è al fronte è che non funzionano. Ricordiamo i recenti rapporti sugli Abrams altamente sensibili, che hanno bisogno di cambiare i filtri ogni ora. Ma hanno fatto un ulteriore passo avanti e hanno mostrato un video schiacciante del loro cannone Abrams che non funziona, con gli stabilizzatori completamente fuori uso. Al minuto 0:30 si può vedere il cannone che trema e si agita:

Che shock. Le armi della NATO erano davvero per lo più spazzatura.

Come se non bastasse, la Germania ha lanciato la sua bomba: misteriosi “droni” hanno sorvolato il Paese per un anno, spiando le loro basi – e il colmo è che la Germania non è in grado di fare nulla al riguardo! la Germania non è apparentemente in grado di fare nulla al riguardo! Nessuno dei nuovi armamenti della NATO, dei sensori ad alta tecnologia, ecc. è in grado di respingere i droni. Da Bild:

Le notizie continuano a peggiorare per l’Occidente!

Nel frattempo, la tecnologia russa viene potenziata. Ad esempio, negli ultimi tempi l’Ucraina ha recuperato moduli di bombe a collisione russi UMPK:

Molti erano giustamente preoccupati, ma si è scoperto che il motivo è intenzionale: La Russia sta ora utilizzando i vettori a grappolo RBK-500 con questi UMPK insieme ai vecchi Fab-250/500. Ora stanno atterrando in territorio ucraino dopo aver scaricato le munizioni a grappolo:

La coda posteriore si stacca in volo, gli ammassi volano via e si disperdono, e l’intero modulo scivola inerte verso il suolo, esaurito. Quindi il fatto che vengano recuperati sta funzionando come previsto, anche se ovviamente sarebbe stato utile un qualche meccanismo di autodistruzione del modulo. Si può notare la differenza tra la variante RBK-500 qui sopra e i Fab-500m62 standard. Si noti il muso lungo:

L’RBK-500, tra l’altro, può notoriamente trasportare i “cluster intelligenti” Motiv-3M, dotati di sensori, che scendono sul campo di battaglia e mirano autonomamente a qualsiasi “armatura”, annientandola dall’alto:

Può benissimo essere quello che è stato usato in questo caso.

Ricorderete che l’ultima volta mi sono dilungato a lungo sulle carenze dei grandi droni UCAV russi e sulle mie opinioni erudite in materia. Ebbene, si è scoperto che ero stato smentito perché, proprio per coincidenza, è stato pubblicato un nuovo articolo che propone le stesse speculazioni:

L’articolo ruota attorno agli esperti che “sostengono” che la classe dei “droni pesanti”, come l’Orion russo, non è semplicemente adatta a un campo di battaglia moderno, proprio per le ragioni che ho descritto qui.

Il documento afferma che entrambe le parti in conflitto avevano riposto “grandi speranze” in questi grandi droni all’inizio, ma entrambe sono rimaste deluse. Nel caso dell’Ucraina i Bayrakar sono stati spazzati via dal cielo, nel caso della Russia i Mohajer-6 sperimentati non hanno funzionato e gli Orion/Forpost sembrano essere stati relegati a ruoli di mera osservazione/ricognizione per paura di avvicinarsi troppo all’AD nemica.

L’articolo scrive:

L’immagine positiva di questi droni, creata non senza la partecipazione delle strutture di marketing delle aziende americane e turche, ha seriamente compromesso le aspettative ad essi associate”, ha detto. Ma l’esperto chiarisce – già allora un certo numero di esperti dubitava dell’efficacia dei droni pesanti proprio nel quadro di un’operazione speciale. “Sono lenti, non manovrabili, e anche a causa delle loro caratteristiche di peso e dimensioni sono piuttosto evidenti per i sistemi di difesa aerea”, spiega l’analista, sicuro che l’esperienza della SVO abbia confermato la correttezza di questo punto di vista. L’esperto è sicuro che l’esperienza dell’SVO abbia confermato la correttezza di questo punto di vista”. Molti veicoli sono stati abbattuti, i rimanenti sono utilizzati pochissimo”, spiega la sua posizione.
Voglio essere chiaro: i droni pesanti sono assolutamente fondamentali per il futuro della guerra, ma non necessariamente come UCAV. Per la ritrasmissione/estensione/ripetizione del segnale, per la ricognizione, la sorveglianza, la SIGINT/ELINT, ecc. Tutte queste funzioni consentono al drone di rimanere lontano dalla linea di contatto, dove si annida l’AD ostile.

Ovviamente continuo a credere che gli UCAV possano funzionare se ricevono missili guidati da oltre 20 km piuttosto che da 10 km o bombe a caduta libera, ma questo richiede anche sensori altamente sensibili, che la Russia non è la migliore a produrre, per non dire altro. Un sensore deve essere estremamente potente per zoomare a 20-30 km e distinguere comunque i bersagli con sufficiente acutezza per “agganciare” un missile.

Se siete interessati, traducete automaticamente il resto dell’articolo, che contiene altre cose interessanti.

Nel frattempo, la Russia ha già testato sciami di droni sul fronte:

#ascolti
La nostra fonte riferisce che i russi hanno già attaccato più volte LBS con uno sciame di droni in modalità test, che hanno interagito insieme, praticando immediatamente una sezione di cinque chilometri quadrati della linea di difesa delle Forze Armate. In questo caso, 20/30 “uccelli” sono stati utilizzati immediatamente nell’attacco. Quando questo modello diventerà permanente, non si sa. Ma il fatto che i russi stiano lavorando in questa direzione e lo stiano già testando in vere e proprie ostilità è un rischio e un pericolo enorme per le Forze Armate.
Un importante analista russo (Starshe Edda) ha già previsto che entro l’estate del 2024 vedremo droni autonomi che si aggireranno sopra la zona di guerra e semplicemente “aspetteranno” che le truppe nemiche entrino in azione per attaccarle.

Osservando prima di tutto come il numero e la qualità dell’uso dei droni stia crescendo in modo esponenziale, posso concludere che entro l’estate di quest’anno, vedremo finalmente sciami d’attacco, che si aggireranno sul campo di battaglia in branco e aspetteranno la vittima. Vorrei che in questa corsa agli armamenti e alle tattiche di applicazione, non fossimo nel ruolo di recuperare il ritardo, ma diventassimo dei trendsetter.
Un importante progettista di radioelettronica dell’AFU ha anche riferito di essere stato testimone di un FPV russo che utilizzava già il puntamento autonomo, per di più in modalità termica:

Abbiamo discusso a lungo del fatto che il Lancet è stato reso capace di questo, ma per ora non di FPV, il che è ciò che distingue questa relazione.

L’AFU non è molto indietro. Secondo le indiscrezioni, sono già in possesso di FPV che volano autonomamente verso la parte posteriore lungo un percorso preprogrammato, consentendo a un operatore di prendere il controllo di ciascuno di essi a turno. Una volta utilizzato uno, il successivo è già lì vicino all’obiettivo da controllare, il che elimina la necessità di pilotarne uno nuovo dalla posizione di partenza, il che può richiedere molto tempo e a quel punto l’obiettivo potrebbe essere già sparito.

Newsweek, d’altra parte, osserva che i droni Kub-BLA aggiornati sono già stati spediti alle forze armate russe. Se ricordate, questo è stato il primo drone kamikaze russo prima che il Lancet rubasse la scena.

È stato pubblicato il primo gruppo di foto recenti delle posizioni della Flotta del Mar Nero della Russia. Dal momento che sono state diffuse da uno dei principali account marittimi con un gran numero di follower, non credo che qui si stia svelando alcuna OPSEC. Dico questo perché ci sono molte altre “fughe di notizie” più piccole sulle posizioni altamente sensibili della difesa aerea russa in Crimea che vengono diffuse in aree più oscure che seguo, e mi sono sempre astenuto dal pubblicare qualsiasi cosa relativa a queste.

Ma quanto segue è semplicemente per sottolineare un punto: Sebastopoli ha ancora molte navi militari:

Novorossijsk sembra avere la parte del leone ora, quindi una parte significativa della Flotta del Mar Nero sembra essersi trasferita lì per “le retrovie”:

Tuttavia, come detto in precedenza, questo non rappresenta una sorta di “perdita”, poiché qualsiasi nave in grado di sparare missili Kalibr può farlo anche da Novorossijsk, dato che i missili hanno una gittata di migliaia di chilometri e possono facilmente raggiungere qualsiasi punto dell’Ucraina.

Ma è per dimostrare che Sebastopoli non è affatto “completamente abbandonata” come vorrebbero far credere i sostenitori degli Stati Uniti. In effetti, alcune delle navi di cui sopra fanno continuamente la spola tra i due porti. Si chiama precauzione. Le navi lì sono ancora al largo e i famosi wunderwaffen dell’Ucraina sono in qualche modo incapaci di colpirle.

Sempre sul fronte dell’hardware, l’Ucraina ha recuperato alcuni missili balistici clone Iskander che ritiene possano essere fabbricati in Corea del Nord. Se fosse vero, ciò confermerebbe che la Corea del Nord sta finalmente fornendo missili balistici, il che cambierebbe le carte in tavola, in quanto consentirebbe alla Russia di sopraffare e terminare l’AD ucraina, gravemente impoverita, in modo economico:

L’investigatore di cui sopra nota che il missile è quasi identico a un Iskander, ma è leggermente più grezzo nella costruzione. I cavi che dovrebbero avere una schermatura EW (“RAP” nel video significa guerra elettronica) sono invece scoperti; e il cablaggio in generale è raggruppato in modo più rozzo attraverso il missile, così come altri aspetti.

Ora un po’ sul tema delle perdite.

Il canale Rezident riporta:

武武武#Inside
Una nostra fonte dello Stato Maggiore ha dichiarato che in inverno le perdite non militari delle Forze Armate dell’Ucraina sono state pari a quelle in combattimento. I soldati sono gravemente malati e, con l’inizio dei raffreddori, è aumentato il numero di congelamenti associati alla scarsa qualità dell’equipaggiamento invernale delle Forze Armate.
L’ex procuratore generale ucraino Lutsenko ha fatto scalpore due giorni fa quando ha rivelato che le perdite dell’AFU sono 30.000 al mese:

Questo sembra essere confermato da una nuova pubblicazione tedesca in cui il tenente generale della Bundeswehr Andreas Marlow ha fatto una rivelazione sorprendente:

Dei 200 mila militari professionisti che si trovavano a Kiev nel febbraio 2022, quasi tutti sono stati uccisi o feriti. Lo ha dichiarato il comandante della missione di addestramento della NATO Marlov, che da 14 mesi guida il comando di addestramento dell’UE in Ucraina in Germania. “Dei 200 mila militari professionisti disponibili nel febbraio 2022, la stragrande maggioranza è finora caduta o ferita. La stragrande maggioranza dei soldati delle Forze Armate oggi in prima linea – civili o, nel migliore dei casi, riservisti”, ha spiegato.
Beh, che dire?

Alla luce di ciò, l’umore non è dei migliori nell’AFU. I soldati realizzano sempre più spesso video come questo:

E i funzionari ucraini sono sempre più incisivi nelle loro incriminazioni contro Zelensky:

Arestovich, da parte sua, ha riscritto interamente la sua storiografia del conflitto, professando ora che la Russia ha sempre avuto ragione nell’attaccare l’Ucraina. È stata l’Ucraina a provocare la Russia con la sua ostile russofobia:

L’umore attuale è che Zelensky sia sempre più paranoico e tagliato fuori dagli eventi in corso, mentre Yermak sta prendendo sempre più controllo. Secondo le voci, entrambi temono che i membri della Rada tentino di prendere il controllo il 31/3/24, data in cui scade il mandato presidenziale legale di Zelensky, data in cui si sarebbero dovute tenere le elezioni.

Dal canale Legitimny:

#Inside
La nostra fonte nell’OP ha detto che l’Ufficio del Presidente continua a lavorare sul caso di un vuoto di legittimità che si verificherà in Ucraina dopo il 31 marzo 2014. Se la pista politica interna della Bankova verrà chiusa con l’aiuto delle forze di sicurezza, e il sabotaggio delle élite verrà fermato con arresti e nazionalizzazioni, allora con la direzione internazionale diventerà più difficile. In Corea, le elezioni si sono tenute nonostante la guerra per una serie di motivi, il principio della democrazia, il principale, ma non il principale. Per l’Occidente è sempre importante con chi sta negoziando e quanto sia legittimo questo potere, il che significa che dopo il 31 marzo 24 avremo un atteggiamento diverso, perché tutte le decisioni di Zelensky possono essere facilmente contestate in futuro nei tribunali o semplicemente annullate.
In sostanza, possono affermare che ha perso “legittimità” dopo tale data, e a quel punto possono potenzialmente essere fatte delle mosse per estrometterlo.

Naturalmente è stata la Rada stessa a votare per consentirgli di saltare le elezioni presidenziali, ma questo non elimina del tutto i timori di tali questioni di legittimità che possono nuovamente entrare nel dialogo pubblico dopo tale data.

Infine, vi lascio con quest’altro passaggio di riflessione del canale ZeRada che fa un buon lavoro di sintesi degli sviluppi:

Mentre la società ucraina, guidata da un quarto di litro, si convince che tutto andrà bene, la Russia ha cambiato tattica: l’anno scorso i bombardamenti hanno colpito soprattutto le strutture energetiche. Questo per convincere Kiev a negoziare. Ebbene, quale presidente continuerà a rovinare l’energia prima degli evidenti benefici dei negoziati? Inoltre, una persona misura tutto in se stessa: il Cremlino è andato a Istanbul dopo un certo livello di perdite e perdite previste. Quindi, quando Zaluzhny dice di aver commesso un errore nel calcolare il livello di perdite che Mosca può permettersi senza andare ai negoziati, è un furbo. Ha pensato tutto giusto. Mosca è andata a negoziati dolorosi a Istanbul⁇Mosca si aspettava anche che Kiev andasse a negoziati dopo gli scioperi nel settore energetico, ma no. A Zele non importa un fico secco del futuro di nessuno, se non di se stesso. Pertanto, a Mosca hanno cambiato tattica. Per quasi un anno hanno risparmiato razzi, “Gerani” e portato un mucchio di armi dalla RPDC. E ora tutto è volato, ma non verso il settore energetico, bensì verso fabbriche, officine, depositi di armi, campi d’aviazione e sistemi di difesa aerea.Parallelamente, la Russia applica nuove tattiche al fronte. Hanno cercato di organizzare uno sfondamento in un solo luogo (Avdeevka), ma quando non ha funzionato sono passati alla “tattica della pressione diffusa”, che consiste nel creare il maggior numero possibile di punti di tensione lungo l’intera linea del fronte. Se l’Ucraina dispone di 10 “Caesar” e la Federazione Russa di 50 D-30 (ndr: vecchi cannoni sovietici con caratteristiche inferiori), se tutto questo viene accumulato su una sola sezione del fronte, non ci sarà alcun vantaggio. Gittata e precisione – “risolvono”. Tuttavia, se si estende a 10 direzioni, le Forze Armate dell’Ucraina non avranno abbastanza armi. La stessa regola vale per le unità motivate. La stessa regola vale per le unità motivate: “Il 3° assalto (ndr: forze speciali d’élite di Azov)” può essere utilizzato solo in un luogo. Pertanto, non appena le Forze Armate dell’Ucraina hanno gettato diverse brigate da sotto Rabotino ad Avdeevka, le Forze Armate della Federazione Russa sono passate all’offensiva vicino a Rabotino. E così su tutto il fronte. Inoltre, questa tattica prevede la minimizzazione delle perdite. Se parti ben equipaggiate e motivate entrano in battaglia da qualche parte contro la Federazione Russa, trincerano il colpo in un altro sito. Sempre alla ricerca di un punto debole dove non ci sono controbatterie, EW, ecc… Si possono lasciare tutte le storie sulle tempeste di carne per il monoetere. Inoltre, in tutti i punti, tranne Krynok, su iniziativa della Federazione Russa.Tali tattiche non forniscono una rapida superiorità visibile, che permette a Kiev di fingere che tutto vada bene, ma strategicamente – sempre più fornisce uno squilibrio di forze e mezzi.In questa opzione, l’indicatore chiave non sarà m2 del territorio, ma la moralità delle unità.Pertanto, crediamo che sotto Kharkov andranno all’offensiva solo se sono sicuri di una completa superiorità.
Si tratta di un punto estremamente sottile, che ripeterò a modo mio:

L’Ucraina continua ad avere alcune parità localizzate o addirittura superiorità (in alcune misure come le capacità dei droni FPV, ecc.). Quindi, quando il conflitto è rappresentato da una lente molto fine, può essere quasi rappresentato con successo come una situazione di stallo. Tuttavia, ciò ignora la superiorità della Russia nella “totalità” delle misure sopra descritte. La lenta e quasi intangibile ondata di superiorità materiale e di personale che sta gradualmente sommergendo l’AFU in ogni direzione.

I resoconti propagandistici pro-UA fanno ovviamente del loro meglio per iperfocalizzarsi su quei casi di successo “ingranditi” – qui qualche BMP russo distrutto con i droni, lì qualche volontario disperso eliminato. Ma mascherano la pressione complessiva che sta crescendo e che è innegabile per gli osservatori imparziali. In effetti, alcuni hanno persino teorizzato che il fronte di Avdeevka fosse per lo più una trappola per attirare le ultime brigate d’élite rimaste in Ucraina, al fine di concentrarle lì in un’operazione di fissaggio, consentendo all’ampia superiorità della Russia in ogni altra direzione di iniziare a ridurre le difese.

Ecco la pressione crescente visualizzata in un nuovo articolo del WSJ:

L’ultima parte dello scritto citato sopra parla di un’offensiva a Kharkov. Si è parlato sempre più spesso di un’offensiva “a metà gennaio” in una nuova direzione a Kharkov, non solo allo scopo di liberare Belgorod dai colpi respingendo l’AFU, ma come un altro vettore per la strategia della “morte per mille tagli”.

C’è stato un aumento dell’attività in quella zona, ma non ci sono ancora indicazioni concrete che ciò avverrà.

Vi lascio con quest’ultimo video. Scott Ritter è tornato in Cecenia dove ha tenuto un discorso a un’enorme folla di circa 25.000 soldati, promuovendo la pace e l’amicizia tra gli Stati Uniti e la Cecenia:

Kadyrov took his turn and, in idiosyncratic fashion, proposed some quite ‘interesting’ things for 2024:


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Finlandia e Scandinavia! Ambizioni a rimorchio_con Max Bonelli e Giacomo Gabellini

La crescente ostilità statunitense nei confronti della Russia sta alimentando e sostenendo pericolosamente le ambizioni egemoniche, sopite da decenni, se non da secoli, di potenze minori lungo l’intero arco dei confini russi. Tra questi stanno emergendo i paesi scandinavi, ivi compresi la Svezia e la Finlandia. Mezzo secolo di postura neutrale, pur annacquata da evidenti complicità e simpatie con il mondo anglostatunitense e da una atavica russofobie, improvvisamente rimosse. Ambizioni che, per essere coltivate nei secoli scorsi, hanno avuto bisogno di un largo sistema di alleanze che comunque non hanno evitato tragiche disfatte. Gli attuali propositi poggiano, se vogliamo, su una condizione ancora più fragile, totalmente dipendente dalle intenzioni e dal supporto statunitense. La facilità e il cinismo con il quale gli ambienti angloamericani riescono a scaricare alleanze e rinnegare giuramenti di sostegno incondizionato dovrebbero spingere alla cautela le classi dirigenti di quei paesi e contemperare le ambizioni nel loro vicino oriente e nell’area artica alla loro reale forza e autorevolezza. Autorevolezza che, abbandonata la postura neutralista, è scemata vistosamente. Quello che è certo è che la condizione di servaggio sta trascinando gli stati e le classi dirigenti europee in una condizione di potenziale conflittualità interna al continente del tutto subordinata ai disegni egemonici esterni e ben peggiore, negli esiti, di quella già conosciuta nelle due guerre mondiali passate. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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