GLI U.S.A. DELUSI DAL SOFT POWER USANO LA STRATEGIA DELL’INSICUREZZA E MIRANO AI SOLDI_di Antonio de Martini

VEDIAMO ALL’OPERA LA CREAZIONE DEL BISOGNO DI UNO SCERIFFO. MA IL METODO NON PIACE A NESSUNO, NEMMENO AGLI AIUTANTI.

Questo articolo é del 28 maggio 2013 in questo blog ( cfr col “cerca”). L’ho ripreso, cambiando solo il titolo senza aggiornamenti completando la comprensione della situazione attuale ma evitando di abbellire col senno di poi.

E’ appena il caso di notare che negli ultimi dieci anni abbiamo visto svolgersi la STRATEGIA DELLA INSTABILITA’ e lo scontro felpato tra USA da una parte e Chiesa cattolica e paesi europei – separatamente- dall’altra. Se non si trova il modo di riunirli, saremo tutti perdenti.

Come la morte di Stalin nel 1953 diede uno stop allo sviluppo del processo di integrazione europea, così la morte dell’URSS nel 1991 ha dato un colpo mortale all’interesse degli europei verso il potenziamento della N.A.T.O.

Questo fatto non inaspettato ha innescato negli Stati Uniti una fase di pensiero strategico iniziata col concetto di New World Order lanciato dal Presidente George Bush senior nello stesso anno 1991 ( prima guerra irakena) e un ulteriore sviluppo pratico nell’attacco all’Irak nel 2003 ( seconda guerra irakena) in cui si ebbe conferma che in assenza di un Grande Nemico una coalizione militare difensiva ha maggiori difficoltà a tenere assieme i partners e che più ci si allontanava dalla data della scomparsa dell’URSS, più le coalizioni a guida USA diventavano incerte con adesioni simboliche quando non addirittura ambigue.

L’esperimento in Afganistan fu deludente fin dall’inizio, al punto di voler associare all’azione militare NATO persino truppe degli Emirati Arabi Uniti e l’attacco alla Libia fu ancor meno rassicurante: due importanti partners della NATO si dichiararono contrari all’intervento ( Germania e Turchia), mentre un altro partner NATO – l’Italia – dovette essere richiamato all’ordine in maniera energica perché mettesse le proprie basi a disposizione per l’operazione e facesse volare qualche aereo.

Le coalizioni strategiche e militari che in passato sussistevano anche in presenza di singoli importanti contenziosi economici interstatali, hanno cominciato a indebolirsi politicamente e perdere slancio di fronte alla mancanza di utilità marginale reale in cambio dei sacrifici richiesti.
Perché coalizzarsi e sacrificare i propri interessi nazionali quando non si ottiene che qualche posizione di parcheggio per politici scomodi in Patria?

Dopo una prima fase di economia euforica succeduta alla caduta dell’URSS, la mancanza di un limitatore di corsa rappresentato dalla minaccia di una sempre possibile crisi internazionale e la opportunità di sfruttare per la produzione industriale occidentale il sistema schiavistico di organizzazione del lavoro creato nei paesi a cultura socialista, ha sconvolto il commercio mondiale e creato il potenziale per la rinascita di microconflittualità interstatali che si credevano consegnate ai libri di storia.

La prima a prender vigore agli occhi del mondo è stata la Questione d’Oriente nome sotto il quale serpeggiarono e serpeggiano oggi, una miriade di problemi politici economici ed etnico-culturali nell’area balcanica e nel Levante.

La parte balcanica della questione è stata ” sistemata” con tre guerre, infiniti crimini di guerra, centinaia di migliaia di morti, di profughi e la creazione della più grande base militare USA fuori degli Stati Uniti in un territorio privo di identità, affidandolo a un mezzo bandito in cui i presidi di truppe straniere durano da anni e le chiese sono presidiate.

La crisi siriana, incistata nella crisi iraniana a sua volta avvolta nella rivalità falso-amichevole russo americana che condiziona lo svolgimento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, consente alcune riflessioni importanti per la nostra comprensione degli eventi internazionali.

La nascita dei concetti di guerra asimmetrica ( tra un forte e un debole) e di guerra senza limiti ( specie di settore e di intensità ) consente al paese o all’ideologia – o religione – che decida di resistere ad una aggressione e impostare la propria difesa strategica, una gamma di risposte di tale flessibilità da consentire una guerra indefinita e indefinibile o , se preferite, una guerra senza confini di tempo e di spazio.

È il conflitto per il possesso di tutte la stazioni di quella che fu un tempo “la via della seta” e che oggi notiamo quasi coincidere con la via delle risorse energetiche verso l’Europa intese come energia atomica, gas, petrolio e mano d’opera a basso costo.

La strategia di costruzione del secolo americano presuppone la necessità di acquistare questi beni al minimo costo, averne il controllo di vendita nel mondo ed imporre le transazioni nella moneta USA  ormai svincolata dall’obbligo di rapportarsi all’oro o a qualunque altro parametro che comporti la cessione di ricchezza reale a terzi.

Questa strategia geopolitica e geoeconomica incontra necessariamente ostacoli di varia capacità di  resilienza ( chiedo scusa per l’anglicismo) che vanno dalla Cina che aspira a distribuire e vendere le merci che produce ( su progettazione altrui) e vuole creare e proteggere le sue rotta commerciali; alla Russia che non vuole essere spossessata dell’ Asia e delle sue materie prime; alla Germania che insiste nel voler rifondare il valore delle monete sull’oro; ai Paesi emersi ( India, Brasile, Pakistan, Sud Africa, Indonesia ) ciascuno in uno dei settori prescelti ( es. il Pakistan nel nucleare, l’India nel software), specializzandosi nei subappalti di servizi e produzioni a costo infimo.

Accanto a questa politica Imperiale, una serie di clientes composti da alleati tradizionali un tempo egemoni o pari ( Francia, UK, Australia, Canada) e paesi le cui ambizioni geopolitiche inadeguate furono sconfitte in precedenza ( Germania, Giappone, Italia, ) che vivono ai margini di questa strategia raccogliendo le briciole politiche, ma rimasti ( finora) economicamente satolli.

Per reagire a questa tendenza a farsi la guerra tra paesi minori e disturbare la pax americana, gli Stati Uniti cercano di imporre regole di condotta dalle quali però si autoescludono in virtù della strampalata teoria  dell’eccezionalismo americano in virtù della quale si autoassolvono d’ogni colpa, dal genocidio dei pellerossa, allo sfruttamento del lavoro schiavistico dei neri, al conflitto per aprire e privatizzare il canale di Panama, alla guerra di Cuba, al lancio delle atomiche sul Giappone, al Vietnam, al tentativo di ridurre il troppo esuberante indice di natalità degli arabi, alle mire sul canale di Suez, all’esautoramento dell’ONU quando non conviene far votare il gregge.

Il problema geopolitico da risolvere per gli americani non è tanto la ricerca della supremazia militare che già hanno, ma la durata – auspicabilmente indefinita – e lo sfruttamento economico ottimale di questa supremazia.

La soluzione è non imporre d’iniziativa il proprio dominio politico sul mondo, ma provocare una tale atmosfera di insicurezza, squilibri e difficoltà a livello internazionale fino al punto di essere invocati a gran voce come equilibratori del globo ed accolti come salvatori.

Con questo espediente,Edward Luttvak promette che l’impero avrà una durata ottimale e non ha torto.

L’obiettivo prioritario è, ” dal momento che ad ogni egemonia imposta corrisponde prima o poi una reazione di rigetto, rinviare il piu possibile questo momento”.
Il comunismo, durato settanta anni in Russia, non è riuscito a sradicare la religione ortodossa.
Quindi la durata deve essere di almeno un secolo e superare la soglia delle tre generazioni di dominio con la prospettiva di allevare le nuove generazioni nell’ignoranza del concetto di indipendenza geopolitica nazionale, sostituita dal principio federalista di sussidiarietà ( “bevuto” per un periodo anche dalla CEI e inserito nel progetto di riforma del titolo V della Costituzione italiana del 2000, non andato in porto).

Il principio di sussidiarietà consiste nel ” risolvere i problemi al livello in cui si pongono”.
Il difetto sta nel fatto che si sono messi da soli in cima alla piramide decisionale.
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Noi potremo scegliere il tracciato della Roma-Civitavecchia, i francesi quello della TAV e loro la grande politica e le scelte economiche fondamentali.

Alcune tattiche politiche – ad esempio il brinkmanship – sono state mutuate  dall’impero romano d’Oriente, che Luttvak, nel suo bellissimo libro “La grande strategia dell’impero Bizantino” si ostina a chiamare Bizantino e non romano ( come d’altronde le Thermae le hanno chiamate ” bagno turco”): non sopportano di doverci tutto.

Il brinkmanship consiste nel muovere truppe con grande dispiego di mezzi e aggressività come se si volesse muovere guerra senza negoziare , ma si spera segretamente di vincere senza combattere piegando psicologicamente l’avversario.

Scriveva Clausevitz ” l’aggressore è amante della Pace, egli vorrebbe conquistare le nostre case senza sparare un sol colpo”.( CAP V della superiorità della Difesa strategica).

Nei casi iracheno, libico e siriano la tecnica intimidatoria non ha funzionato perché – sono affezionato alla metafora – gli USA si sono trovati di fronte ad altrettanti ” portieri ( di calcio) che parano i rigori perché non capiscono le finte” come dice il mio amico Mottironi.
Una concausa degli inconvenienti incontrati è stata provocata dalla necessità di subappaltare ai satelliti alcune incombenze militari per rigide ragioni di bilancio.

Lo strumento di dominio e predominio del New World Order è la tecnologia elevata a Moloch, alla quale sacrificano tutto e dalla quale si aspettano tutto.
Finora sono sempre riusciti ad essere i primi, magari comprando tecnologie altrove ed attraendo ogni possibile giovane talento con politiche di remunerazione e incentivi interessanti. ( i personal computer erano una creazione italiana).

L’attuale presidente Barak Obama, è stretto tra impegni inconfessabili presi per ottenere il reincarico, i vincoli di bilancio impostigli dall’ala dura dei ” tea party” che vogliono distruggere l’Obama care per rafforzare gli stanziamenti militari, tallonato dall’AIPAC ( la lobby filo Israele) che lo sospetta di simpatie filo islamiche, irritato per una serie di smacchi nord africani che attribuisce alla Clinton ( altra cambiale elettorale), ridicolizzato dalle superiori capacità manovriere di Putin, mal consigliato dallo staff della Casa Bianca in cui non c’è nessuno con esperienza militare e di strategia, sta distruggendo la propria immagine e ridicolizzando il conferimento del premio Nobel che la sua ambizione gli ha suggerito di ottenere e che assomiglia sempre piu al serto di lauro da poeta conferito a Claudio Nerone.

Parlo di Nerone a ragion veduta perché i paralleli con il mondo imperiale romano – anch’esso razionalista e materialista – sorgono ormai spontanei.
Anche Roma visse di tecnologia e di prepotenza.
La stessa crisi siriana è tutta impostata sulla necessità proclamata dallo stesso Obama in questi giorni di farsi obbedire a suon di bombe.

Non vi ricorda il romanissimo ” parcere subjectis et debellare superbos” ?

L’impero romano si infranse poi sullo scoglio spiritualistico e irrazionale del Cristianesimo, ossia con l’affermarsi di una corrente di pensiero e scelte di vita assolutamente diverse e risolutamente difese anche contro quanti tra gli israeliti – come Saulo, diventato poi San Paolo – si avventuravano fino a Damasco per lapidare gli ” ebrei dissenzienti.”
Saulo, credendo i cristiani una eresia ebraica aveva sottovalutato il fenomeno.

Il mondo angloamericano – protestante nella sua élite – ha percepito il pericolo demografico e cattolico rappresentato dagli ispanici che minacciano di diventare maggioranza nel paese, ha iniziato verso le altre tendenze religiose ( tranne i buddisti considerati positivamente) una campagna euroamericana di laicizzazione, flessibile nelle forme e nei contenuti : dalle iniziative fortemente mediatizzate anti pedofilia, al taglio dei fondi alle organizzazioni cattoliche americane operanti in Africa, alle critiche continue ( non completamente immeritate) sulle attività finanziarie dello Stato sovrano del Vaticano reo ( anche) di aver tolto i suoi fondi ( 8 miliardi e fischia) dalla borsa inglese, alle insinuazioni personali individuali a ogni livello.

Il nuovo Papa, giunto inaspettatamente ( stavo per dire provvidenzialmente) è stato un vero e proprio game changer che ha già iniziato a prendere in mano la situazione con decisione e capacità comunicativa fuori del comune.

Barak Obama per ora è sulla difensiva indiretta e finge di non vedere i milioni di persone che Francesco sta mobilitando contro “qualsiasi guerra”. (ma son tutte sue….)

Prima o poi Obama dovrà reagire in forma diretta o rinunziare alla irrinunciabile  strategia della instabilità, probabilmente credendo di limitarsi a rinunziare a una singola posta in pallio sia la Siria o Gerusalemme.
Il suo approccio pragmatico all’americana potrebbe far sottovalutare il problema anche a lui.

https://corrieredellacollera.com/2022/04/27/gli-u-s-a-delusi-dal-soft-power-usano-la-strategia-dellinsicurezza-e-mirano-ai-soldi/

 

La metamorfosi dell’Impero e le sue vittime_di Andrea Zhok

1. Il riflusso dell’imperialismo globalista USA

 

Nella frenesia angosciosa degli ultimi due anni, prima con la pandemia e ora con la guerra russo-ucraina, molti processi stanno accelerando e prendendo forme inedite.

Per comprendere gli eventi recenti bisogna partire da una constatazione, ovvero dall’esaurimento della spinta globalizzante dell’economia capitalistica mondiale. Come noto, il sistema capitalistico si conserva in equilibrio soltanto se e nella misura in cui può garantire ai detentori di capitale (investitori) una crescita futura del proprio capitale. Uno stato stazionario perdurante equivale senza resti ad un collasso per il sistema capitalistico, a partire dal fallimento degli istituti finanziari, che possono esistere soltanto sulla base di questo assunto di crescita.

La globalizzazione è stata la forma principale della crescita capitalistica (e delle promesse di crescita) a partire dagli anni ’70 del XX secolo. Dopo la caduta dell’URSS l’espansione globalizzante ha iniziato ad accelerare.

La globalizzazione tuttavia non è semplicemente un moto acefalo del capitale, per quanto essa esprima tendenze strutturali del capitalismo in quanto tale. Nell’ultimo mezzo secolo la globalizzazione è stata la forma presa dall’espansionismo “imperiale” americano.

La narrazione liberista per cui l’ampliamento e l’intensificazione degli scambi creerebbero automaticamente benessere per tutti i transattori è soltanto una fiaba per gonzi, che nasconde un punto cruciale: in ogni scambio è sempre decisivo il rapporto tra i poteri contrattuali dei contraenti. Chi ha maggior potere contrattuale è in grado di estrarre dallo scambio un profitto molto maggiore; chi estrae maggior profitto rafforza ulteriormente il proprio potere contrattuale futuro; e ciò che conta nel sistema è la gerarchia di potere che ne emerge (il capitale è potere).

Quando l’asimmetria di potere contrattuale conferito dalla capitalizzazione è grande, la parte “perdente” nello scambio è di fatto in condizioni di dipendenza totale, non dissimile da quella di uno schiavo nei confronti del padrone. Ciò accade negli scambi tra individui non meno che in quelli tra nazioni. In uno scambio tra poteri contrattuali massivamente asimmetrici la parte debole è disponibile a fornire qualunque servizio pur di evitare il collasso. Nel sistema mondiale degli scambi, all’indomani della caduta dell’URSS c’era un solo paese in cima alla piramide alimentare: gli USA, mentre un gran numero di paesi, soprattutto africani, in parte asiatici e sudamericani, fornivano la base della piramide, in condizioni di dipendenza totale.

In questa fase gli USA hanno alimentato la globalizzazione attraverso istituzioni internazionali (World Bank, International Monetary Fund, World Trade Organization) e hanno controllato il rispetto dei patti, dei contratti internazionali, e delle proprie aspettative, con l’esercito più forte del mondo.

Con il nuovo millennio è iniziata una fase caratterizzata da due principali fenomeni.

Il primo fenomeno è la comparsa sulla scena mondiale di un protagonista capace di sfruttare le occasioni offerte dalla globalizzazione in modo più efficace degli USA, battendoli proprio sul punto che la teoria predicava come qualificante: la capacità di produrre meglio a costi minori. La Cina, diversamente da altri paesi, aveva caratteristiche politiche, geografiche e demografiche tali da non essere senz’altro ricattabile e assoggettabile da parte americana. E sotto queste condizioni peculiari, invero uniche al mondo, il libero commercio ha operato effettivamente come capacità di trasferimento di capitali verso il produttore migliore. La Cina ha inoltre anche iniziato a fare affari con le parti più sfruttate del mondo, fornendo condizioni di scambio migliori, e così ha esteso la propria influenza insieme economica e geopolitica.

Il secondo fenomeno, parzialmente legato al primo, è stata la crescente fragilità di catene produttive sempre più estese e complesse. Quanto più estese e complesse, tanto maggiore la possibilità che eventi locali, guerre, epidemie, rivolgimenti politici, bolle finanziarie, ecc. creassero bruschi crolli delle aspettative di profitto.

La crisi subprime del 2007-2008 ha segnato qui la svolta, coinvolgendo l’intero pianeta, ma in maniera particolarmente dura l’Occidente a guida americana e i suoi satelliti. Dal 2008 il sistema finanziario e produttivo occidentale è stato tenuto artificialmente in vita con somministrazioni massive di denaro. Queste somministrazioni non hanno però avuto carattere “keynesiano”, anticiclico. Il denaro “stampato” dalle banche centrali è stato destinato direttamente o indirettamente allo stesso sistema finanziario che aveva creato la crisi, entrando solo in minima percentuale nell’economia reale. Dopo il 2008, a causa di queste politiche di trasferimento dalle banche centrali al sistema finanziario, il rischio di una bolla inflattiva senza crescita (stagflazione) era sempre più forte. Questo processo non poteva durare indefinitivamente e ha dato ripetuti segni di essere sulla strada di un nuovo tracollo (l’ultimo grave segno fu la crisi di liquidità bancaria del settembre 2019).

La fase in cui siamo entrati è quella in cui la “globalizzazione imperiale” americana è entrata in fase di riflusso. I vertici del complesso politico-finanziario-militare americano devono ripensare il proprio ruolo, modificando il modello propagandato negli ultimi decenni e riposizionando il proprio potere, mentre le catene produttive si accorciano.

Tutto ciò che ci sta succedendo da due anni a questa parte ricade nella cornice definita da questa inversione di una tendenza storica, inversione che ha una portata storica simile a quella della ritrazione dell’Impero romano dalla propria fase di massima espansione dopo il II secolo d.C. Un sistema come quello romano sul piano militare, o come quello americano sul piano economico, che può prosperare solo crescendo, quando inizia a decrescere deve cambiare pelle e, nel lungo periodo, natura.

Questa fase di transizione può essere lunga o breve, ma in ogni caso non può non essere traumatica.

 

2. Il ruolo della pandemia di Covid-19

 

Che la pandemia di Covid sia stata scatenata appositamente, o che sia stato invece un accidente, questo probabilmente non lo sapremo mai con certezza. Quello che è certo è che una volta avviata, le sue opportunità di manipolazione di sistema sono state prontamente colte.

Da anni si facevano simulazioni intorno a cosa sarebbe potuto e dovuto accadere in presenza di un grave evento pandemico (le più note simulazioni: Clade-X, del 2017-2018, e Event 201 del settembre 2019, entrambe a guida americana). Queste simulazioni consideravano sia le ripercussioni economiche, sia le esigenze di “indirizzo mediatico”, cioè di controllo del messaggio da rivolgere alla popolazione.

Quale che ne sia stata l’origine, dunque, quando la pandemia si è presentata, esistevano indicazioni operative e previsioni circa gli effetti, ed esisteva un dominus della vicenda, ovvero gli USA, che avevano tutte le conoscenze e tutti i mezzi per orientare le scelte, se non del mondo, almeno di tutti i paesi da essi direttamente dipendenti sul piano politico-militare.

E in effetti, la prima cosa da osservare è che i paesi che hanno adottato, con piccole variazioni, il medesimo modello basato sulla vaccinazione a tappeto, con vari livelli di pressione sui renitenti, coincidono con l’area di influenza geopolitica e militare diretta degli USA: questo modello è stato adottato da tutta l’Europa inclusa nella Nato, da Canada, Israele, Australia e Nuova Zelanda.

Il modello di gestione della pandemia è stato sin dall’inizio di tipo militare, e militare è stata la retorica della “guerra al virus”, dei “no vax” come disertori, ecc.

Gli obiettivi di questa manipolazione sono stati due: l’incremento di controllo interno sulla popolazione e il compattamento internazionale delle catene di comando del blocco a guida americana.

Ben prima dello scoppio della pandemia c’erano stati tumulti e proteste diffuse in molti paesi europei, visto che dai postumi della crisi del 2008 non si era mai davvero usciti. I tumulti più tenaci e minacciosi sono stati quelli promossi dai gilets jaunes in Francia, ma le proteste avevano punteggiato tutti i paesi. In Italia le proteste erano state contenute, trovando un’apparente valvola di sfogo elettorale, con la nascita di un governo “atipico” e apparentemente “antisistema” (che inizialmente suscitava alcune preoccupazioni a livello UE).

Con la pandemia tutti i margini di protesta, contestazione e rivendicazione sono stati messi a tacere per “cause di forza maggiore”. Questo è un desideratum di chiunque gestisca il potere, e ha un significato di lungo periodo. Infatti, che circostanze di stagnazione, inflazione, contrazione economica, disoccupazione, ecc. conducano a tumulti e proteste potenzialmente esplosive è ovvio. In una fase di massiva contrazione e riflusso, come quella avviata, questo rischio è previsto, e perciò il potere si premunisce, procedendo a restrizioni, con incremento di controlli, limitazioni agli spostamenti, controllo intensivo sulle espressioni d’opinione, ecc.

Il secondo obiettivo ha carattere internazionale e geopolitico. La pandemia si presenta come un’occasione per addomesticare e “normalizzare” il contrarsi della globalizzazione, specificamente in rapporto al grande concorrente cinese. Con lo scoppio della pandemia la Cina venne immediatamente presentata (lo era invero già in precedenza) come il grande untore mondiale. Questo fatto ha iniziato una spinta a riportare la produzione in una sfera di nuovo direttamente controllabile da parte della potenza imperiale americana. È un processo costoso, lungo e faticoso, che non si sarebbe potuto mai avviare se non grazie a qualcosa che venisse percepito come una inesorabile e fatale “causa di forza maggiore”.

 

3. Il ruolo della guerra russo-ucraina

 

Mentre nel caso della pandemia attribuirne l’avvio ad un’iniziativa volontaria da parte americana è solo una congettura, nel caso della guerra attualmente in corso individuare un’intenzione americana diretta di innescare il conflitto è piuttosto facile.

Nessuno, che non sia uno sfortunato lettore dei gemelli diversi Corriere-Repubblica, può avere dubbi sul fatto che gli USA hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per provocare questo conflitto. Ci sono le prove che il golpe in Ucraina del 2014 sia stato, almeno in parte, finanziato dagli USA e che questi abbiano deciso unilateralmente (alla faccia della sovranità ucraina) chi sarebbe succeduto a Yanukovich. Ci sono le prove di attività di armamento e addestramento militare americano delle forze armate ucraine ben prima del 2022. E c’è, come evidenza macroscopica, l’intero processo di espansione della Nato verso Est, in corso da oltre vent’anni, rispetto a cui i conflitti diplomatici con la Russia sono stati ripetuti e crescenti. Dunque, che gli USA abbiano lavorato per creare la condizioni di tale conflitto è certo. Questo, naturalmente, non significa che Putin sia stato costretto ad agire, visto che nessuna azione umana è mai obbligata: Putin porta la responsabilità delle scelte fatte, scelte che, nella propria ottica di una potenza internazionale che vuole rimanere tale, erano non obbligate, ma solo fortemente motivate.

Nell’ottica dell’impero americano la guerra perfeziona il processo avviato con la pandemia: questa volta l’operazione di ritrazione delle dipendenza globali si rivolge all’altro grande protagonista mondiale dopo la Cina, ovvero la Russia. La Russia non è economicamente comparabile con la superpotenza produttiva cinese, ma è l’unico vero competitore militare degli USA, oltre ad essere il paese con la maggiori risorse naturali del mondo; dunque, dopo gli anni del declino con Eltsin, la Russia è nuovamente di diritto una potenza capace di tenere testa all’impero americano.

Anche qui, come nel caso della pandemia, non bisogna mai cadere nell’errore di pensare che sia il fatto in sé, nella sua oggettività a creare certi esiti politici. Decisiva è la specifica orchestrazione interpretativa che ne viene data. Non è la pandemia ad aver causato i lockdown, né ad aver bloccato i consumi, né ad aver prodotto il Green Pass, ecc., parimenti, non è la guerra a causare automaticamente il distacco economico e politico dell’Europa dalla Russia.

Cruciale è invece il modo in cui la guerra è stata interpretata e continua ad essere letta dai principali media europei, modo che nutre una narrazione volta a creare una barriera di filo spinato tra l’“Occidente liberale” e l’“Impero del Male russo”. La demonizzazione di Putin, e dei russi in toto, è funzionale a creare una barriera durevole nel sentire popolare, che induca nel lungo periodo a separare Russia ed Europa, riconducendo economicamente l’Europa pienamente sotto l’ala americana.

L’Europa, cui gli USA avevano allentato la catena negli ultimi trent’anni, lasciando che dopo il trattato di Maastricht essa divenisse un polo neoliberale autonomo, viene ora richiamata all’ordine.

L’idea, cullata da molti europeisti, che l’UE fosse il nucleo di una forza mondiale autonoma viene riportata alla dura realtà: salvo i fratelli minori degli USA nel Regno Unito, l’Europa dal 1945 non è mai stata altro che una colonia americana, territorio occupato. L’americanizzazione culturale ha proceduto in maniera capillare a tutti i livelli, sempre però all’ombra silente di una dipendenza militare e politica assoluta (cui solo la Francia ha occasionalmente opposto qualche mugugno).

 

4. Chi guida il vascello?

 

Veniamo alla domanda più difficile. Chi è l’agente di tutto questo processo? Chi sya ai posti di comando della nave su cui siamo nostro malgrado imbarcati? La domanda è importante perché è proprio l’idea che il processo non sia nelle mani di nessuno, che sia qualcosa di “spontaneo”, a creare le condizioni della sua percezione pubblica come qualcosa di naturale, inevitabile, fatale.

Purtroppo non essendo di fronte ad istituzioni ufficiali, le possibilità di fornire una sorta di “elenco esaustivo di congiurati” è altamente improbabile. Ma forse una tale risposta, una risposta che desse i nomi e i piani di una sorta di “loggia segreta mondiale” non è richiesta, e non è nemmeno necessario che davvero una tale entità esista (per quanto non lo si possa escludere).

Forse invece di un tale “club di congiurati” è più sensato nominare ciò che li lega, prima e a prescindere dall’entrare in tale (eventuale) club. La migliore risposta che si può dare riecheggia la celebre espressione di Eisenhower, quando parlava del “complesso militare-industriale” americano.

Oggi come quando parlava Eisenhower, gli USA rimangono alla guida dell’impero globale, tuttavia la forma delle strutture di potere centrale ha subito una metamorfosi. La finanza ha una dimensione meno nazionalmente definita rispetto alla tradizionale economia industriale. E la dimensione militare negli USA è riassorbita nella politica neoliberale americana, che ha imparato da tempo a usare la sfera militare come il proprio più utile strumento. Lo stato neoliberale infatti non si affida al “libero scambio”, ma agisce energicamente per controllare gli approvvigionamenti di materie prime, usa l’esercito come strumento di pressione nei “trattati di libero scambio”, e usa le spese militari come mezzo di “intervento anticiclico”. Dunque invece che parlare di un “complesso militare-industriale” americano possiamo parlare di un “complesso politico-finanziario” a guida americana.

Questo complesso ha capacità e moventi per gestire la situazione mondiale nelle forme attuali. Se non è un’entità statutaria, sul modello di una “società segreta”, è probabile che si tratti di un nucleo flessibile dove ideologia e potere convergono. L’interesse primario è la conservazione del potere dell’attuale concentrazione finanziaria. Gli strumenti principali per implementare questo intento sono due: 1) la capacità di spostare i capitali internazionali (promuovendo politici graditi, condizionando gli apparati mediatici, ecc.) e 2) la minaccia militare rappresentata dall’esercito americano e dai suoi “alleati” (Nato in primis).

Al livello di questi gestori apicali del potere non c’è qui bisogno che “tutti siano d’accordo”, perché per ottenere spostamenti decisivi bastano accordi di minoranza di un gruppo compatto, capace di spostare i pesi nelle decisioni politiche e finanziarie che contano. Questo complesso è sì accomunato dall’interesse primario nel mantenimento del potere (la supremazia mondiale relativa), ma è anche accomunato da un’ideologia liberale in cui si identifica senza resti. Questo gruppo di comando non richiede una struttura istituzionale, né una distribuzione di compiti, come avviene nelle organizzazioni formalizzate, essendo unito dalla coincidenza tra il proprio potere, da preservare, e la visione del mondo liberale che sostiene e giustifica tale potere.

Queste caratteristiche di relativa indefinitezza rendono l’imputabilità dei responsabili delle odierne vicende ardua. Nominare questo o quel personaggio della finanza internazionale (Bill Gates, George Soros, ecc.), questo o quell’intellettuale di riferimento (Klaus Schwab, Bernard-Henry Levy, ecc.), questo o quel leader politico (Hilary Clinton, Emmanuel Macron, ecc.) non presenta mai un quadro di sufficiente distinzione, perché i confini di questo gruppo apicale del capitalismo liberale non sono netti ed è improbabile che ci sia un club specifico la cui tessera tutti debbano necessariamente avere in tasca. Esistono numerose associazioni che coltivano questo campo ideologico e operativo (World Economic Forum, Gruppo Bilderberg, ecc.), ma probabilmente non esiste alcuna “cupola” cui tutti facciano riferimento. Ciò che conta è la comune ideologia e la comune posizione apicale nella distribuzione del potere politico-finanziario a guida americana.

 

5. Apocalypse Now

 

Concludendo, oggi ci troviamo in una fase di ritrazione della fase globalista dell’impero americano, che sta richiamando una parte dei propri tentacoli, per consolidarsi ed arroccarsi sulle posizioni per gli USA più facilmente difendibili dell’Occidente egemonizzato o colonizzato.

Questa fase ha, ed avrà, costi economici e sociali spaventosi. Essi devono venir fatti pagare alla periferia dell’impero, in proporzione al potere contrattuale delle varie parti.

Ne saranno esentati i gruppi apicali USA e minoranze scelte delle province dell’impero. I costi interni agli USA dovranno essere tenuti bassi, perché, come per la Roma imperiale, non ci si può permettere di avere eccessivi tassi di malcontento sotto casa. Via via che ci si allontana dal centro dell’impero verso le sue propaggini meno integrate i costi saliranno esponenzialmente, e alcuni paesi verranno semplicemente sacrificati.

In questa fase, che durerà certamente per diversi anni, il potenziale esplosivo delle proteste e dei moti di ribellione verrà tenuto a bada con la duplice leva di “alte ragioni morali” e “doverose strette repressive”.

Da un lato, grazie al controllo dei media, la propaganda promuove un “bene superiore” che esprime l’adesione ideologica positiva, quella che identifica i “buoni” e i “cattivi”. Nella cornice liberale il “bene superiore” ha tipicamente la forma di “solidarietà con le vittime”, quali che siano (recentemente siamo passati dai morti per Covid alle vittime ucraine, ma la lista è lunga). Una volta inventata mediaticamente una vittima acconcia, e suscitati i gridolini di sdegno della plebe telecomandata, si può chiedere ogni sacrificio, fiduciosi nella malleabilità del pubblico.

Simultaneamente, delle vittime reali di questa catastrofica trasformazione, delle popolazioni schiacciate, delle culture cancellate, dei nuovi schiavi, delle plebi emarginate e ricattate né oggi né domani sentirà parlare nessuno.

Se questa dimensione “positiva” non basta come motivante, per gli altri, per i reprobi, per quelli che non si lasciano commuovere dai peana su commissione per le “vittime” col bollino, per questi bruti si ricorre, e si ricorrerà sempre di più, a forme repressive: minacce, rappresaglie lavorative, sanzioni, censure, divieti di manifestazione, sistemi di controllo e ricatto, ecc.

Il punto d’arrivo di questo processo, se riuscirà a dispiegare i propri effetti senza un’opposizione dura ed efficace, sarà l’abbandono integrale, anche formale, del paradigma democratico (già svuotato di fatto) e l’avvento di un neo-feudalesimo a base tecnocratica e plutocratica.

https://sfero.me/article/la-metamorfosi-impero-e-le-sue-vittime

Stati Uniti! Turbolenze interne e avventure esterne_con Gianfranco Campa

Una amministrazione e una compagine politica in crescente difficoltà. Il tentativo di recuperare una narrazione che riesca ad attirare almeno in parte i consensi nel ceto medio professionale americano migrato ormai nell’area repubblicana. L’impossibilità di far corrispondere alle parole i fatti. La percezione che gli equilibri interni e il dominio degli attuali centri decisori siano ormai scossi definitivamente dal consolidamento della fase multpolare. Un mix esplosivo che sta spingendo i centri decisori verso scelte di vero e proprio avventurismo militare e di pura provocazione. La guerra in Ucraina è solo un momento di uno stillicidio sempre più frenetico. Il viaggio della famiglia reale di Giordania e di Mario Draghi negli Stati Uniti, l’opzione di ulteriore riarmo del Kossovo offrono qualche indizio sulle pedine più solerti e disponibili ad essere utilizzate in questa strategia della tensione continua e sulla geografia di questi futuri esercizi temerari. Le élites stanno cogliendo il punto di svolta e cominciano ad adeguarsi alla nuova realtà e ad approfittare delle nuove opportunità. E’ tempo di sollevare gli sguardi e uscire dall’apatia. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci_di Alessandro Visalli

Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci.

 

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, il filoccidentale ma fedelissimo di Putin ex Presidente ed ex Primo ministro fino al 2020 Dmitrij Anatol’evič Medvedev[1], ha dichiarato sulla stampa russa che le sanzioni (congelamento delle riserve, misure sui capitali privati all’estero, esclusione dallo Swift) violano la sacralità della proprietà privata e lo stato di diritto, apparentemente cari all’occidente, e dunque manifestano una ‘guerra senza regole’ che ‘distruggerà tutto l’ordine economico mondiale’. Ne abbiamo già parlato[2].

Ma queste misure colpiscono principalmente la credibilità stessa di chi le promuove, stracciando leggi e regolamenti, con ciò mostrando la natura del potere, e determinano l’arrivo di un nuovo “Ordine finanziario mondiale” nel quale chi non è credibile non avrà più voce in capitolo. Chi farebbe patti con un baro? La risposta russa a questa mossa è stata di capovolgere il principio di base denaro-per-merci. L’idea è di connettere merci di base, petrolio, gas naturale, materie prime minerarie e oro, al rublo.

La guerra valutaria lanciata contro la Russia, fondata sull’inibizione della liquidità in modo che sia inibita sia la funzione di riserva di valore, sia quella di mezzo di scambio della moneta internazionale detenuta dal sistema economico russo, viene tradotta da questa mossa (alla quale lavora la Banca centrale Russa e la diplomazia economica altamente attiva verso i paesi ‘non allineati’, che crescono ogni giorno) in guerra di merci e monete. Ovvero in un confronto a tutto campo tra ‘merci’ cruciali e monete sovrane ad esse ancorate.

 

Se l’Occidente ha la sua valuta finanziaria, il ‘non-occidente’ (che si genera per negazione direttamente dalla logica della ‘crociata’ politico culturale altamente autolesionista avviata dai neocon americani negli anni Novanta ed ora fatta propria dai democrat al potere[3]) ha le merci di base e la capacità di trasformazione di queste. Da tempo, infatti, le basi industriali di tutte le filiere mondiali non sono più in Occidente.

Allora, chi ha paura di chi? Chi punisce chi? Chi ha ucciso il cervo? Si chiede Zhang Weiwei (docente di economia al Fudan e presidente del China Research Institute) su Guancha[4].

 

Di fatto, appena Putin ha lanciato questa controbomba (nucleare) il rublo è tornato al livello pre-sanzioni ed il Primo ministro polacco ha dichiarato “fallite” le sanzioni occidentali.

 

Ma la rivoluzione contro l’Ordine valutario americano[5], lanciata in questo modo, deve vedere necessariamente la partecipazione della Cina stessa, che è ormai la più grande economia mondiale (a parità di potere di acquisto, ovvero in termini di beni reali), il più grande commerciante di beni e il più grande mercato di consumo e investimento. E’ del tutto chiaro che avendo perso tutti questi primati gli Stati Uniti sono in una posizione di fragilità che la ‘bomba’ russa colpisce al cuore.

 

Questa considerazione mostra con precisione la posta della guerra e anche la ragione della disperata determinazione americana (e dei suoi clienti e subalterni).

 

E la cosa non potrebbe essere più seria. Il mondo è esattamente ad un punto di svolta sistemico.

Come Xi Jimping, con la sua “Iniziativa di Sicurezza Globale[6], propone un Nuovo ordine Diplomatico[7], così la risposta russa scardina l’Ordine finanziario americano, rendendo possibile sia una disconnessione da esso, sia la formazione con il tempo di un diverso allineamento egemonico. Saranno le due cose insieme a determinare, se la guerra[8] non interrompe il processo e la nostra vita, l’era post-americana.

 

La bomba nucleare finanziaria americana, lanciata contro la Russia (e prima contro altri, ma meno sistemici, come il Venezuela e l’Iran), ha, infatti, mostrato al mondo intero che, come riassume Weiwei, “se accetti pienamente l’egemonia finanziaria degli Stati Uniti, allora puoi solo giocare nelle sue regole del gioco, ti offre una sorta di comodità, ma allo stesso tempo può anche ricattarti o addirittura derubarti”.

Questa consapevolezza, davanti al mondo intero (Europa inclusa) apre la possibilità reale che ora i “rubli gas naturale”, i “rubli cibo”, i “rubli oro” e via dicendo (“rublo palladio”, 40% quota di mercato, “rublo nichel”, “rublo platino”, e via dicendo), ristrutturino in profondità la sorgente del valore della moneta[9]. Essi colpiscono, infatti, in un punto di altissima fragilità e molto noto, ma sino ad ora protetto da altissime dighe per il terrore degli effetti sistemici del loro crollo. Già nel 2009, Massimo Amato e Luca Fantacci, nel loro “Fine della finanza[10], ipotizzavano che la Cina e la Russia avrebbero preso il testimone dell’egemonia monetaria statunitense sulla base di una diversa idea di moneta e di credito. Nell’attuale mondo, la preferenza per la liquidità, e il rinvio del pagamento (ovvero della liberazione del rapporto di dipendenza implicitamente presente in ogni credito e debito), determina un sistema, cresciuto di passo a passo e di rinvio a rinvio, nel quale la tesaurizzazione è esasperata e la rendita del denaro liquido è privilegiata rispetto alla detenzione di ricchezza in forma di merci. Si può capire, le merci non sono il punto di forza dell’egemone americano (non più).

 

Sapendo questo, quel che in effetti hanno fatto gli americani, ma verso uno dei più grandi ed importanti mercati delle materie prime, e senza controllare i più grandi ed importanti mercati delle merci e della loro trasformazione (dio acceca chi vuole perdere) è di tradire il principio cardine dell’Ordine finanziario esistente per il quale la liquidità va sempre protetta. Ovvero il principio per il quale va sempre garantito, costi quel che costi, che sia sempre possibile la convertibilità incondizionata tra moneta e credito (per cui qualsiasi credito sia sempre rilevabile a richiesta in moneta). Questo è quel che rendeva il dollaro la moneta centrale e i suoi titoli la riserva di valore più affidabile per privati e stati. Se il credito è essenzialmente una relazione rischiosa, allora ciò che è stato fatto è di distruggerlo. Ma non si può distruggere una relazione senza esserne colpiti.

Ed il colpo cade in una situazione di enorme fragilità. Infatti la potenza americana, in prima fase fondata sulla maggiore produttività e sull’enorme dotazione di infrastrutture, industrie, capacità in un mercato continentale interconnesso, dalla crisi degli anni sessanta-settanta (nella quale quella supremazia si erode) e dalla rottura del 1971 non vive più del suo commercio e della sua produzione, ma dei suoi debiti. Paradossalmente vive di rendita sui propri debiti, grazie alla circolazione come moneta del debito della sua Banca Centrale, che è accettata in tutto il mondo come moneta di riserva.

 

Già nel 2009 Amato e Fantacci descrivevano per questo motivo la proposta di russi e cinesi (che ora sarà implementata da qualcosa come l’80% del mondo) come la scelta di non puntare a regolare il prezzo dei beni finanziari, garantendoli come abbiamo fatto continuativamente in questi 13 anni con costanti iniezioni di liquidità, ma regolare piuttosto il valore della moneta come mezzo per pagare i debiti e scambiare le merci. Si tratta di porre fine a quel sistema, governato dal centro imperiale come si è visto esattamente in questa crisi, nel quale la moneta finisce per essere l’unica merce che non costa nulla produrre e che dunque è per sua natura illimitata. Non avere una moneta centrale, questione sulla quale da tempo si affaticano in tanti, ed avere piuttosto monete sostenute solo dagli scambi commerciali (se voglio il gas russo compro rubli, se voglio il caffè compro real) e reciprocamente riconosciute ed interconnesse (forse sul modello dell’accordo Russo-Indiano che vede l’acquisto del gas, ed altre materie prime, usando le rupie che la Russia depositerebbe su conti di riserva nel paese) potrà reggere se riuscirà a stabilizzare il mercato finanziario nel tempo. Ovvero se diventerà un “Ordine finanziario”, come quello garantito dal dollaro.

Anche il sistema del dollaro svolge questa funzione in modo rischioso ed incerto, in particolare a causa dell’assenza di una sottostante economia effettivamente dominante, sostenuta da un attivo commerciale che renda logico detenere riserve. La funzione di riserva in qualche modo è ingiustificata. Si regge su se stessa. O meglio, anche questo si vede benissimo in questa crisi, ha il suo limite fuori di sé (si regge sulla indispensabile capacità di minaccia, e quindi di ordine, svolta dalle forze armate americane).

Nella proposta di Fantacci e Amato, tra non pagare i debiti e non prestare più, bisognava trovare un’altra uscita dalla crisi determinata dall’insostenibile illimitatezza di una moneta che non ha una sua specifica ragione. La strada l’aveva indicata Keynes, con il sistema del “bancor[11]; una moneta di conto senza liquidità, capace di garantire credito senza leva[12]. Se si sceglie, in altre parole, di non giocare più all’egemone (nella figura del creditore universale, e/o paradossalmente in quella del debitore universale, ma indispensabile, che assumono gli USA dagli anni sessanta in poi), si apre la possibilità offerta da Keynes di avviare un generale “disarmo finanziario”. Per ottenerlo bisogna però che il credito non sia più una merce indefinitamente trasferibile (insieme fittiziamente e molto concretamente, essendo sostanzialmente potere), ma torni ad essere visto per quel che è: “un rapporto tra un creditore e un debitore conforme, nella struttura giuridica e nella scadenza, allo scopo in vista del quale l’anticipazione è stata concessa; e che la moneta non sia una merce indefinitamente accumulabile, ma un mezzo di scambio e di pagamento all’interno di uno spazio economico e politico definito”[13].

Si tratta perciò e abbastanza semplicemente di guardare ai beni e non alla moneta come fonte della ricchezza. Semplice, ma non fattibile nel quadro di un sistema congegnato per essere gerarchico e garantire il potere di uno su molti (peraltro uno che non ha beni a sufficienza). Una cosa, sia chiaro, che nessuno può stabilire con un decreto.

 

In questo senso, come dice Weiwei, la Russia ha trasformato la guerra valutaria in una “guerra tra valuta e moneta[/beni]”, cosa che apre la strada per l’internazionalizzazione di altre valute, fuori del ricatto dell’immane tesaurizzazione del dollaro. Valute come il renmibi, la rupia, il rublo ovviamente, il real, la lira turca, il riyal arabo o iraniano, la sterlina egiziana[14]. La possibilità nasce dalla dimensione delle economie (a parità di potere di acquisto pari a quelle occidentali[15]), dalla abbondanza schiacciante delle risorse naturali (tra Russia e Cina sono in pratica completamente indipendenti, anche considerando l’influenza sul continente africano, nel quale ne vedremo presto delle bruttissime), dalla catena industriale non solo più grande quanto, e soprattutto più completa del mondo. La Cina, come dice l’economista cinese è, infatti, l’unico paese al mondo “in grado di produrre quasi tutto dalla prima rivoluzione industriale alla quarta rivoluzione industriale”.

 

C’è in pratica un solo ‘bene’ nel quale la superiorità Occidentale è ancora netta: le armi. Di qui l’assoluta necessità di spezzare la resistenza russa, prima che la Cina diventi troppo forte anche su questo terreno.

 

Di fronte al probabile ed imminente collasso del sistema degli ultimi quaranta anni, fondato come è sull’egemonia diplomatica e militare nel sistema gerarchico di sicurezza e sulla liquidità ancorata al dollaro, la proposta dello studioso cinese è quindi di “pensare a tutto [ed] agire con decisione quando è il momento”.

 

Si avvicina.

 

 

 

[1] – Eletto Presidente nel 2008, considerato più ‘liberale’ di Putin promosse un programma di modernizzazione ad ampio raggio e di riduzione della dipendenza dai prodotti energetici. Tra i suoi successi il trattato New Start e la vittoria in Ossezia del sud, ma anche la fine di una recessione molto pericolosa. Nel 2012 gli succede Putin e viene nominato Primo ministro (si è trattato di una staffetta a parti invertite, Putin era il suo Primo ministro). Nelle riforme del 2020 si è dimesso (in modo concordato) ed è stato nominato Vicepresidente del Consiglio di sicurezza. Laureato in giurisprudenza con un dottorato e docente all’Università di San Pietroburgo (città di cui Putin era vicesindaco).

[2] – Si veda, “Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma: disconnessioni e fine del sistema-mondo occidentale”, Tempofertile, 22 aprile 2022.

[3] – Si veda, “Circa David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022. E anche “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, tempofertile, 5 aprile 2022.

[4] – Zhang Weiwei, “Russia vs Stati Uniti: la guerra del denaro e della valuta”, Guancha, 25 aprile 2022

[5] – Vedi nota 8. Si nomina in questo modo la capacità della moneta americana, fino al 1971 nel suo ancoraggio nominale all’oro e in base al Trattato di Bretton Woods e dopo senza di esso, di essere quella riserva di valore ed unità di conto che rende stabile il sistema finanziario mondiale.

[6] – Discorso di Xi Jimping al Forum di Boao,

[7] – Ne abbiamo parlato in “Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione. Circa la posizione diplomatica e strategica cinese; Qin Gang e Yongnian Zheng”, Tempofertile 19 aprile 2022.

[8] – Si veda “Guerra”, Tempofertile 18 aprile 2022.

[9] – La metafora, usata dall’economista cinese, è ovviamente una immagine e solo questa. Non ci saranno “rubli gas”, distinti dai “rubli cibo”, ma semplicemente “rubli” con i quali devi comprare gas e cibo. La mossa è semplicissima, ma gli effetti sistemici sono difficili da valutare e dipendono interamente dalla reazione che il mondo avrà ad essa. Se il rublo conserverà il suo valore, o lo accrescerà, e soprattutto se sarà stabile, allora vorrà dire che i sottostanti beni stabilizzano il mercato, rendendo possibili le funzioni chiave della moneta (riserva di valore, unità di conto, mezzo di scambio). Negli ultimi due secoli questa funzione di unità di conto, riserva di valore e quindi di mezzo di scambio universale l’aveva avuta una moneta centrale (prima nel suo ancoraggio all’oro, in realtà mai completo, e poi senza). Essa aveva creato un “Ordine monetario”, non era stata solo una moneta tra le altre. Se le merci, in appropriati mercati e con sottostanti accordi bilaterali di swatch e di formazione e riconoscimento reciproco di ‘riserve’ riuscirà a svolgere la medesima funzione saremo in un nuovo “Ordine”, nel quale non ci sarà un egemone centrale.

[10] – Massimo Amato, Luca Fantacci, “Fine della finanza”, Donzelli 2009.

[11] – Cfr. “John Maynard Keynes, ‘Moneta internazionale’, il progetto di Bretton Woods”, Tempofertile, 10 dicembre 2016

[12] – Amato, Fantacci, op. cit. p. 279

[13] – Amato, Fantacci, op. cit. p.283.

[14] – A parità di potere di acquisto le monete indicate corrispondono ad un Pil che è rispettivamente il primo, terzo, sesto, ottavo, tredicesimo, diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo. Mentre la Cina è prima, l’India terza, la Russia è sesta, vicinissima alla Germania, complessivamente cubano 58 mila miliardi di dollari a PPA, su 141 mila del mondo complessivo e 68 mila miliardi del blocco Occidentale (calcolato come per quelli tra i primi venti).

[15] – Con l’ulteriore glossa che il Pil occidentale (anche a parità di potere di acquisto) è ‘drogato’ dalla presenza di un fatturato per intermediazione finanziaria e servizi evoluti che va dal 40% ca nel caso statunitense (e britannico) al 20% ca in quello tedesco. Depurandolo i rapporti di forza fondati su una economia non più finanziarizzata in questa misura cambierebbero drasticamente.

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IL VOLTO DELLA GUERRA CIVILE RUSSO- UCRAINA E LA SUA DURATA ed altro_di Antonio de Martini

QUANDO GLI ANGLOSASSONI PARLANO DI FOSSE COMUNI, CAMPI DI CONCENTRAMENTO E DISTRUZIONI DI CASE, SE NE INTENDONO. SANNO MENO DI NEUTRALITA’ E RISPETTO DELLE ALLEANZE.

Si parla spesso della guerra civile di Spagna del 1936 per invocare analogie con la situazione ucraina attuale. Si cercano parallelismi blasfemi tra i volontari che accorsero da ogni parte d’Europa e dalle Americhe in difesa della Repubblica spagnola ( il fior fiore dell’intellighenzia di ogni paese, tutti disinteressati, molti morti, nessun prigioniero, alcuni poi famosi come: André MalrauxJohn Dos PasosErnest HemingwayRandolfo PacciardiIljia EhrenburgMarta Gelhorn, ).

Nulla a che vedere coi sottufficiali istruttori inglesi di oggi, che, per salvare la pelle, come ogni onesto mercenario professionista reduce dalla Siria, dallo Yemen e dall’Afganistan é pronto per lo scambio di prigionieri e l’incasso del bonus.

La somiglianza tra i due conflitti si limita alla eterna tentazione degli Stati Maggiori di testare ” sul campo” l’efficacia tecnica di nuove armi – tipo il Javelin – il missile anticarro che si impenna per colpire i mezzi corazzati dall’alto – la zona meno protetta – dotato di una doppia carica esplosiva che scoppia in differenziata: la prima per neutralizzare la mini carica esplosiva posta dietro le piastre di protezione della torretta che svia la prima esplosione; la seconda carica cava giunge così a diretto contatto, e distrugge il carro.

Gran successo. Peccato che ne siano stati prodotti solo seimila annualmente.

In Spagna, ad esempio, i tedeschi testarono la tecnica di bombardamento in formazione che distrusse Guernica e i russi i primi carri armati sovietici classe T.

E’ all’addetto militare francese a Madrid – colonnello Henri Morel – si deve la prima relazione sugli effetti psicologici di un bombardamento su persone ( lui stesso) in ambienti non fortificati. Ammise, pur essendo un reduce di guerra, dopo un bombardamento aereo italiano, di essere rimasto oltre un’ora inebetito, benché incolume ( rapporto al 2eme bureau del 22 ottobre 1937 “lezioni tattiche della guerra di Spagna”).

Le mitragliatrici furono invece collaudate da Lord Kitchener nella campagna del Sudan contro il Mahdi ( morto mesi prima)del 1898. A Ondurmann, le perdite umane sudanesi furono enormi ( in un giorno, tra morti e feriti oltre ventimila popolani sommariamente armati che attaccavano con vecchie sciabole, falci e archibugi spinti dal fervore religioso) contro perdite irrisorie dello schieramento britannico: 46 di cui oltre la metà soldati e graduati egiziani . Ufficiali inglesi caduti: tre.

Il razzismo innato degli inglesi impedì loro di capire che la mitraglia avrebbe avuto effetto anche sui bianchi e offrì inconsapevolmente alla mitraglia una intera generazione di inglesi e francesi che ne venne sterminata pochi anni dopo sui campi della Marna, della Somme e di Verdun.

Più simili all’attuale, i conflitti immediatamente precedenti la guerra mondiale, come ad esempio il conflitto anglo-boero ( e , in parte la guerra italo-turca in Libia che vide il primo uso del bombardamento aereo con un tenente dei bersaglieri che tirò un paio di bombe a mano su un accampamento beduino).

In sud Africa, si inaugurarono, i campi di concentramento per donne e bambini dei boeri che continuavano la guerra ad oltranza. Gli bruciavano le fattorie e i familiari venivano lasciati morire di inedia e di fame e di malattie, al punto che una eroica donna inglese Emily Hobhouse condusse una feroce campagna contro il governatore locale Alfred Milner, accusandolo – dopo un giro di ispezioni grazie alle sue conoscenze altolocate – di aver istituzionalizzato questi trattamenti inumani, le fosse comuni ed altre forme di brutale inciviltà che oggi vengono rimproverati a Israele e ai russi, per piegare i coloni riottosi al volere di sua maestà e allo sfruttamento britannico delle miniere d’oro.

Alfred Milner, Alto Commissario e Governatore della Colonia del Capo dal 1897 promosse la guerra contro i Boeri per conquistare le due repubbliche governate dai coloni bianch di origine olandese dello Stato Libero di Orange e della Repubblica del Sud Africa del presidente Paul Kruger.

Gli appetiti inglesi su quelle terre nacquero nel 1867 con la scoperta della più grande vena d’oro mai trovata nel Transvaal.

La conquista condotta con mano ferma e senza scrupoli fruttò all’Inghilterrauna nuova perla perll’impero e a Milner il titolo di Visconte. Cecil Rodhes, l’uomo più ricco del mondo alla sua morte delegò a Milner la gestione delle sue immense ricchezze perché le usasse per salvaguardare l’impero. e la supremazia della razza bianca. L’ex presidente degli USA Bill Clinton é stato un borsista della Fondazione Rodhes.

I due si ritroveranno su opposte barricate anche in occasione del primo conflitto mondiale di cui Milner fu poi uno degli artefici, assieme a Georges Clemenceau, entrambi legati anche dalla comune corrisposta passione per Lady Violet Cecil, nuora di Lord Salisbury, il primo ministro.

Anche qui, ci fu una errata valutazione della cavalleria a causa della carica di Kimberly che portò alla luce per ragioni di propaganda due dei protagonisti ( i generali John French e Douglas Haig) che poi comandarono le truppe inglesi sul continente credendo di essere ancora alle prese con contadini boeri e che il cavallo fosse l’arma risolutiva per eccellenza. Contro questi idee incrostatesi in menti anguste, si levarono prevalentemente donne di carattere provenienti dalla buona società come la già citata Emily Hobhouse Charlotte Despard ( nome da sposata, in realtà la sorella del generale French), pacifista, sindacalista e comunista.

Assisi: un momento della manifestazione straordinaria ” marcia per la pace” organizzata in questi giorni ad Assisi. La marcia ricorda i ” fioretti di San Francesco” sulla perfetta letizia che iniziano spesso con ” Andando una volta santo Francesco da Perugia ad Assisi a tempo di verno ed il freddo grandissimo fortemente il crucciava…” Ora si marcia con meno letizia e senza comunicati sui media, ma la fame di pace affligge ugualmente un largo strato della popolazione italiana.

Le azzittarono col trucco inventato da Milner in Africa della ” guerra di difesa perché aggrediti”.E continuano ancora oggi che il testimone dei Sassoni é passato agli USA dove Lady Violet Cecil trasferì, dopo il 1945 la sua rivista “ National Interest“. In pratica la lotta tra imperialismo e pacifismo é stata essenzialmente una lotta tra menti femminili inglesi, di cuore e di carattere.

Il coraggio e l’audacia sul campo di battaglia – riservato ai maschi- non furono però più l’elemento decisivo delle battaglie con l’arrivo del nuovo secolo. Il primo conflitto mondiale – come il secondo- furono vinti dai paesi con maggiore capacità di produzione industriale protetta.

All’alba del nuovo secolo – il XXI – le armi decisive stanno rivelandosi l’elettronica e la comunicazione ( e il loro abbinamento). Ecco perché l’Ucraina sembra essere vittoriosa contro un colosso industrial-militare di vecchio tipo. Ecco perché chi sta collaudando di più i nuovi metodi ( incluso il cecchinaggio dei comandanti, impiegato per la prima volta contro lo sbarco ” di prova ” della brigata canadese a Dieppe nel 1942 dai tedeschi, che indusse gli USA a mettere sul retro degli elmetti – invece che sul davanti- le insegne di grado dei comandanti) sono gli anglosassoni e chi sta imparando di più, a caro prezzo, sono i russi, come avvenne nella campagna di Finlandia ( 1939) di cui Curzio Malapararte ci ha lasciato reportages interessanti e battute indimenticabili, come la differenza con l’Italia (“i finlandesi sono praticanti ma non credenti, gli italiani sono credenti, ma non praticanti” per sottolineare che l’Italia era non belligerante, e faceva solo chiacchiere e proclami).

IL NEGOZIATO DI ISTANBUL E IL FANTASMA DELLA NEUTRALITÀ

Fedeli alla vecchia tradizione USA che finiscono per provocare proprio i fenomeni che vogliono esorcizzare, gli americani, con l’annunzio della possibile adesione alla NATO di due stati tradizionalmente neutrali quali Svezia e Finlandia, hanno aperto l’ennesimo vaso di Pandora: quello della neutralità, su cui si sta dibattendo anche a Istanbul nei giri negoziali tra Ucraina e Russia, mediati dalla Turchia di Erdogan che, con questa mossa, si é differenziata dalla posizione degli altri partner NATO senza rompere con l’Alleanza Atlantica.

Autrice feconda, Micheline Calmy-Rey già ministro degli Esteri e presidente della Confederazione svizzera, nonché presidente del Consiglio d’Europa, offre con questo libro una visione inedita dell’idea di neutralità che chiama ” neutralità attiva” e consistente nella promozione attiva dell’idea e presi di pace invece che del pavido ed egoistico ripiegarsi su se stessi in cerca di una impossibile conservazione in un mondo ormai multipolare. Con una prefazione dell’ex Presidente francese Francois Hollande e contributi dei notissimi scrittori svizzeri Jean Ziegler e Roger Koppel, l’autrice propone all’Europa una funzione che gli burocrati di Bruxelles non hanno mai saputo ideare, benché sia in perfetta linea con l’ispirazione che ha creato l’istituzione, non nata per determinare il prezzo dei fagiolini e dei cavoletti …di Bruxelles.

Su 193 paesi del pianeta, gli stati neutrali sono una ventina e due tra questi sembrano sul punto di tradire la loro quasi secolare neutralità per aderire al blocco NATO nella vana ricerca di una sicurezza che non potranno comunque avere vista la vicinanza di confine con il presunto probabile avversario. Contenti loro….

Nel nostro caso, come Europei, abbiamo la scelta di onorare i più nobili motivi per cui l’Europa ha visto la luce ( mai più altre guerre sul nostro continente) o di obbedire alle pressanti richieste di una fazione USA in via di disfacimento dato che l’attuale presidente viene ormai visto come un ” one term President” privo di carisma, seguito e capacità di governo che a novembre gli elettori probabilmente non rinnoveranno.

Tornando al conflitto in corso, la strategia generale é mutuata dall’inquadramento fornito dall’ambasciatore Friederich Werner von der Schulemburg, per lunghi anni( dal 1934 fino alla guerra) ambasciatore a Mosca ed in seguito a capo del dipartimento 13 del Ministero degli Esteri tedesco che amministrava i territori conquistati a est.

Perfetto conoscitore del russo, era nato ed era stato allevato costì, sostenne – assieme al colonnello Claus von Stauffenberg, del quale condivise il destino dopo l’attentato a Hitler, che la Germania avrebbe potuto sconfiggere la Russia solo con l’aiuto dei russi trasformando la guerra in guerra civile e a tal uopo reclutò e portò in linea con la Wehrmacht oltre 250.000 uomini, appartenenti alle varie etnie su cui oggi anche gli USA intendono far leva, fino a che Hitler proibì il reclutamento di altri volontari russi. Speculando sul fatto che le ” altre etnie” non fossero da considerare russe il reclutamento continuò, ma in sordina fino a che i due, coi tremila complici antinazisti della “ Swarze Kapelle“, non finirono sulla forca.

Lo scontro sia ormai arenato in una sorta di replica tecnologica del primo conflitto mondiale: trincee, fango, fame e scontri ” corpo a corpo” tra persone che addirittura si conoscono, assumendo sempre più i contorni di una guerra civile. Una proxy war con a contrastare la Russia, un avatar di Joe Biden che non vuole concludere una trattativa perché non può e che non può vincere perché, fino a che la Russia avrà la superiorità aerea i rifornimenti più significativi ( artiglieria pesante, aerei da caccia) non avranno alcuna possibilità di giungere al fronte.

Resta intatta la possibilità che il parallelo con Hitler si spinga fino a segrete intese con possibili cospiratori ( Medvedev, Nebiulina ecc) , ma é inutile speculare sui segreti che non si cono c’erano che tra un secolo come sta avvenendo oggi per la Germania degli anni quaranta. Resta la carta dell’allargamento del conflitto ad altre etnie ( Georgia, Cabardinia, Moldova, Turkestan).

Si arriva così al capitolo più delicato della affidabilità degli USA come alleati. Su questo tema darò a giorni alle stampe un mio elaborato sulla fine ingloriosa del comando ABDA ( American , British, Dutch, Australian area) che fu il primo tentativo di creare una forza multilaterale per contrastare l’offensiva giapponese ( altro paese definito aggressore, mentre oggi, dopo ottanta anni, tutti gli storici riconoscono che gli USA li stavano strangolando limitando la loro possibilità di espansione e approvvigionamento petrolifero:

Nello scontro, contrariamente a quanto in promessa e in premessa, le indie olandesi non vennero difese e si lasciò distruggere quanto rimaneva della flotta olandese d’oltremare, dando la colpa al Maresciallo Archibald Wavel ( inglese) incaricato di una missione impossibile, non rifornito e al cui comando vennero sottratti mezzi USA che continuarono a rispondere direttamente a Washington per poi essere gli unici siuperstiti della sconfitta navale pi dolorosa del conflitto.

A questo ” tradimento” andrebbe aggiunta una lunga linea di stati e governanti coi quali gli USA hanno iniziato guerre per poi abbandonarli al loro destino ( Vietnam, Panama, Irak, eccetera)

Il tradimento più significativo é stato l’aver ” schiodato” l’Inghilterra dal Vicino Oriente, più con rudezza che con savoir faire:

Ancora un libro , ahimè in inglese, per illustrare in 380 pagine la storia di come gli USA scacciarono dai paesi arabi e dall’Iran ogni influenza britannica inviando come rappresentante personaggi come John Landis che ” consideravano come nemico principale, non la Germania, ma l’Inghilterra” a favore della quale dichiaravano di essere scesi in campo.

Prego il lettore di notare che tutte le fonti citate sono di origine atlantica e anglosassone, escludendo ogni fonte che potrebbe essere intesa come faziosa o parziale e interessata. Con queste premesse é ovvio che la guerra ucraina durerà molto. Quando scoppiò la guerra civile in Libano, previdi venti anni. Durò diciassette e mi scuso per l’approssimazione. Questa, rischia di durare altrettanto, a meno che non riesca l’intesa con i cospiratori interni alla Russia i cui nomi non conosco ma che é facile immaginare.

https://corrieredellacollera.com/2022/04/24/il-volto-della-guerra-civile-russo-ucraina-e-la-sua-durata/

CON NESSUNO DEI DUE NEMICI E SOPRATUTTO NON CON MATTARELLA, DRAGHI, DI MAIO & CO.

UN QUARTETTO DI GERONTI CI TRASCINA VERSO LA GUERRA MENTRE IL MONDO SCEGLIE LA NEUTRALITÀ

Ecco la prima pagina del NEW YORK TIMES di oggi 26 aprile 2022. Il quotidiano USA informa i suoi lettori che la neutralità guadagna spazio nel mondo: “Leaders of many countries refuse to take either side in the ucrainian fight.” Solo in Italia si cerca la guerra. Per distrarre la gente dall’idea di rivolta?

Gli storici della romanità narrano che quando giunse a Ravenna la notizia del sacco di Roma all’imperatore Romolo Augustolo, questi, all’annunzio ” Roma é perita!” scoppiasse in lacrime credendo trattarsi della sua gallina preferita cui aveva dato quel nome.

Gli storici della nostra era, racconteranno della ben diversa profondità di pensiero del nostro Presidente Sergio Mattarella che ci ha confidato di aver pensato immediatamente a ” Bella Ciao” all’annunzio dell’inizio della guerra tra Russia e USA, spacciata per conflitto tra Ucraina e Putin.

Dopo esserci doverosamente inchinati di fronte a tanto spessore di pensiero, affidiamoci all’Europa e al presidente del ” Comitato militare della Unione Europea” generale Claudio Graziano di cui favorisco una fotografia di circa sei anni fa. Ora, sicuramente non é migliorato.

Nella foto accanto: l’allora capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, oggi presidente del Comitato Militare della UE, mentre porge la mano cameratescamente a un manichino posto all’ingresso dello stand della Fiocchi. Più democratico lungimirante di così…

Non me la sento nemmeno di risparmiarvi la foto della ministra Elisabetta TRENTA del cui spirito improntato a criteri di assoluta democraticità non é parimenti lecito dubitare dopo che ha mostrato disponibilità assoluta a mettersi a disposizione delle nostre FFAA anima e corpo.

Nella foto a fianco: Elisabetta Trenta ministro della Difesa italiana gal giugno 2018 a settembre 2019, mentre da capitano in Irak si offre. All’obbiettivo si intende.

IL dibattito sull’opportunità di esaminare tutte le opzioni ferve un pò dappertutto come é agevole vedere nella foto del New York Times di oggi ( 26 aprile 2022) sopra e su ” Le Monde Diplomatique” di aprile 2022, sotto:

Ecco su quattro colonne l’articolo del prof Guillaume Lagane, ” aggregé d’histoire” che esamina la neutralità sotto ogni aspetto.

Prospettiva negata agli italiani che, come noto sanno che la parola d’ordine é una sola ” Vincere” ( è la parola d’ordine di una suprema volontà, come cantarono i nonni prima di piangere lacrime amare).

Mi scuso con i lettori più riflessivi, ma dopo aver constatato nel pubblico la massima disattenzione per questi temi riguardanti la vita e la morte della popolazione intera, non me la sento di spiegare troppo le varie posizioni del governo italiano su questo conflitto e il bullismo dei nostri dirigenti politici che andrebbero processati per non averci preparato ad eventuali conflitti dopo oltre ottanta anni di pace in Europa.

Non abbiamo il coraggio di difendere il nostro egoistico desiderio di sottrarre figli e amici al destino di chi é impreparato: essere il campo di battaglia e assistere impotenti come nella scorsa guerra allo scempio politico, economico e sociale dell’Italia.

Poco importa che si sia favorevoli o contrari. Siamo impreparati a tutto. Qualcuno dovrà pur pagare se negli ultimi trenta anni i pochi fondi a disposizione sono stati prima assorbiti dalla Marina e poi dall’aeronautica, lasciando l’esercito in stato di minorità, anche numerica, perfino rispetto alla polizia militare ( i CC) e privo di addestramento a livello gruppo tattico, di carri armati e artiglieria pesante. Sappiamo organizzare posti di blocco e siamo imbattibili nella raccolta rifiuti….

Putin ha avvertito con una serie di segnali precisi che ha capito il gioco: ha dato prima l’allarme nucleare ( segnale agli USA, non a noi che abbiamo poco o nulla di nucleare). Visto che Biden ha fatto il nesci, ha messo in stato di allarme la flotta del Pacifico (ovvia chiamata agli USA), altro segnale che i nostri hanno finto di non capire. Negli ultimi giorni, Lavrov ha evocato più direttamente lo spettro di ” una guerra con gli USA” ed ora “di una guerra nucleare”.

La Francia dispone di una trentina di bombe “A” di modesta dimensione e le elezioni di domenica mostrano che é spaccata a metà. Gli altri sono privi di armi nucleari. La guerra nucleare non ci riguarda. Riguarda Londra e gli USA.

E’ in corso una guerra limitata ( l’equivalente della “drole de guerre” del 1940 fino a Maggio) per avere – gli USA- basi nel mar nero. Se riescono, Putin potrebbe attaccare con armi nucleari direttamente gli USA.Non ora, ma a ottobre, in maniera da essere poi protetto anche dall’inverno russo.

Distrutte venti città di grande dimensione, gli USA sono una flotta ( e un Midwest) senza un paese. La Russia ha già ricostruito dal nulla Mosca ( 2 volte), Stalingrado, Leningrado e la Russia europea. Resta un immenso retroterra con decine di città da uno/due milioni di abitanti, alcune nemmeno segnate sulla carta geografica.

La direttiva nucleare presidenziale N 159 , firmata Carter, indica che gli obbiettivi principali sarebbero le infrastrutture.

L’autorizzazione recentemente chiesta dal Presidente Biden di poter lanciare i missili per primi (” first strike”: cosa fino a pochi mesi fa impensabile) significa che sanno di essere vulnerabili, a meno che il ” first strike” non miri all’Europa e dia loro abbastanza tempo per reagire.

In buon italiano significa che la Russia non ha interesse ad attaccare l’Europa, ma se decide di reagire potrebbe attaccare direttamente Londra o gli Stati Uniti. Questi, fin de non recevoir, cercano di coinvolgerci sperando che il primo campo di battaglia diventi il nostro continente.

La Cina lo ha capito. Il New York Times lo ha capito. Le Monde Diplomatique lo ha capito. E chi finge di non capire, é un beota o un traditore.

https://corrieredellacollera.com/2022/04/26/con-nessuno-dei-due-nemici-e-sopratutto-non-con-mattarella-draghi-di-maio-co/

Russian Media Today, 26 April 2022 _di gilbertdoctorow … il 28 aprile 2022

La notizia numero uno della televisione di stato russa il 26 aprile è stata l’incontro a Rammstein, in Germania, di funzionari della difesa degli Stati Uniti e di 40 paesi alleati per definire la politica sulla fornitura di assistenza militare all’Ucraina, inclusa la previsione di riunioni mensili di questo tipo in futuro.

La delegazione statunitense era guidata dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin e le sue osservazioni sono state analizzate dai “capi parlanti” russi. Hanno anche espresso le loro considerazioni sul valore pratico delle consegne di armi pesanti che la Germania e altri paesi europei hanno promesso durante il raduno.

Come è ormai consuetudine, la migliore discussione su questi temi è stata nel talk show politico “The Great Game”, che presenta l’analisi più calma e raccolta delle notizie più importanti della giornata. Nessuno dei relatori cerca di sminuire gli altri, che è stata la lunga tradizione di tali spettacoli. Tutti sono avvertiti dal moderatore di non presumere di dare consigli militari al comandante in capo della nazione. Eppure anche qui era chiaro che l’umore dei relatori è per un’azione più decisa contro l’Ucraina in questo momento, ovvero il bombardamento delle “istituzioni decisionali” a Kiev, come ha proposto di fare il ministero della Difesa russo una settimana fa in risposta a Attacchi missilistici e di artiglieria ucraini oltre il confine con la Russia. Ciò è stato reso ancora più attuale dalle dichiarazioni della delegazione britannica a Rammstein che incoraggiava gli ucraini a fare proprio questo e dalla corrispondente offerta di spedire missili appropriati a Kiev ora. I relatori vogliono anche che le infrastrutture di trasporto dell’Ucraina vengano distrutte senza indugio per evitare che le nuove armi pesanti spedite a Kiev raggiungano le forze ucraine al fronte.

Sicuramente arriverà il bombardamento del centro di Kiev, rimuovendo di fatto il regime ucraino. Ma arriverà al momento della scelta di Vladimir Vladimirovich e segnerà la decisione russa di dividere l’Ucraina in più stati, come ha detto ieri il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Nikolai Patrushev potrebbe essere nelle carte se la guerra si trascina a causa dell’intervento occidentale e delle cheerleader.

Rispetto alla dichiarazione di ieri di Lloyd Austin secondo cui l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di indebolire notevolmente le forze armate russe per un lungo periodo di tempo, i relatori di The Great Game hanno offerto un’interpretazione che vale la pena ripetere qui. I russi vedono questo come un’ammissione da parte di Washington che la posizione degli ucraini sul campo di battaglia è senza speranza. Gli americani ora cercano di ridefinire i loro obiettivi in ​​modo da trasformare una sconfitta in un’apparente vittoria. Qualunque cosa accada in prima linea nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, Washington potrà dire di aver costretto la Russia a immergersi profondamente nella sua scorta di missili e altri equipaggiamenti ad alta tecnologia, di aver costretto la Russia a perdere una parte sostanziale dei suoi soldati professionisti .

Per quanto riguarda la spedizione appena annunciata di super carri armati dalla Germania e altri equipaggiamenti ad alta tecnologia da altri Stati membri della NATO, il panel russo sembrava fiducioso che sarebbe stato troppo poco, troppo tardi e sarebbe stato per lo più distrutto a terra dai missili russi e dai bombardamenti aerei.

Quanto sopra è molto più rassicurante sulla nostra sopravvivenza futura qui a Bruxelles ea New York di qualsiasi dichiarazione statunitense di ieri secondo cui la guerra nucleare è fuori discussione.

©Gilbert Doctorow, 2022

Media russi oggi, 28 aprile 2022

In adempimento della mia missione di portare ai lettori occidentali notizie di particolare importanza nei media russi su cui altrimenti sarebbero probabilmente all’oscuro, rivolgo l’attenzione alle informazioni pubblicate sul sito Web Interfax e riportate da Lenta.ru e altri importanti portali di notizie russi: il capo dell’intelligence esterna russa (SVR), Sergei Naryshkin, ha parlato dei piani della Polonia di prendere il controllo di parte del territorio dell’Ucraina.

Secondo SVR, la Polonia sta coordinando questo problema con gli Stati Uniti. L’idea è di stabilire il controllo militare e politico di Varsavia sui “suoi territori storici” che oggi rientrano nei confini dell’Ucraina. La Polonia introdurrebbe le sue truppe nelle regioni occidentali del paese con la copertura di una missione per “proteggere il territorio dall’aggressione russa”. Alla fine questo dovrebbe portare a una spartizione dell’Ucraina. I polacchi installerebbero un governo amico nel territorio che controllano, cacciando i nazionalisti ucraini.

Naturalmente, le ambizioni polacche nell’Ucraina occidentale sono storicamente fondate come lo sono quelle della Russia rispetto all’Ucraina orientale, che un tempo era conosciuta come Nuova Russia. I seguaci occidentali della guerra ora sapranno con certezza dove si trova la città di Leopoli, a 50 km o meno dal confine polacco. È la città in cui si sono ritirati diplomatici americani e di altri stranieri dopo che Kiev sembrava insicura nei primi giorni della guerra. È stato il punto di smistamento per i mercenari stranieri in arrivo e le consegne di rifornimenti militari in Ucraina dall’Occidente.

Dopo le tre partizioni della Polonia nel 18 ° secolo e per l’intero periodo del 19 ° secolo, Lviv alias Lvov alias Lemberg, fu una città polacca nota per la sua splendida architettura mitteleuropea e la sua vocazione filosofica: la città fu sede di sette mistiche religiose, sia ebraiche che cristiane.

Infatti, se vogliamo ripercorrere nella storia le origini dell’attuale conflitto in e oltre l’Ucraina, ci troviamo necessariamente indietro nel 16 ° e 17 ° secolo, quando le grandi potenze dell’epoca, la Turchia ottomana, la Polonia , Svezia e Russia erano tutte impegnate in una guerra per le terre che figurano nell’odierna Ucraina. Per una buona iniziazione alla cultura, o forse per meglio dire alla barbarie di quei tempi, che prefigurano quello che sta succedendo ora in posti come Bucha, un buon punto di partenza è con il romanzo Taras Bulba dell’autore ucraino-russo Nikolai Gogol . L’ho appena riletto in russo e vi assicuro che il romanzo è una splendida guida iniziale per comprendere le passioni dei giorni nostri.

Tuttavia, nessuno dei precedenti tiene conto della potenza militare che la Russia è oggi. Possiamo considerare la possibilità di una mossa polacca delle sue forze nell’Ucraina occidentale come il tipo di intervento che Vladimir Putin aveva in mente quando ha detto ieri ai legislatori riuniti a San Pietroburgo che avrebbe provocato un fulmineo contrattacco da parte della Russia. Nel frattempo, un simile possibile intervento della Romania per inghiottire la Moldova e minacciare di invadere il territorio separatista russo della Transnistria, stretto tra Moldova e Ucraina, potrebbe anche innescare una potente risposta militare da parte di Mosca.

La molla principale della storia si sta svolgendo in modo spasmodico e distruttivo.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/04/28/russian-media-today-28-april-2022/

“NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022, di Roberto Buffagni

NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022.

 

Il discorso del presidente Putin al “Consiglio dei legislatori” del 27 aprile1 segue immediatamente le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del Segretario di Stato americani a Kiev2, che individuano come obiettivo strategico “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“; e la riunione della NATO a Ramstein, con le dichiarazioni del presidente Biden, secondo il quale ci troviamo in un frangente storico analogo al crollo dell’URSS3.

Le dichiarazioni ufficiali americane chiariscono che l’obiettivo strategico statunitense è la distruzione dell’integrità politico-territoriale della Russia, una frammentazione della Federazione russa sul modello jugoslavo analoga a quella che seguì il collasso dell’URSS. Infatti, solo così è possibile “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“. Finché la Russia resta politicamente coesa, essa resterà una grande potenza, che sarà SEMPRE in grado di muovere guerra ad altri paesi. Non lo sarebbe più soltanto quando fosse disgregata in entità politiche troppo piccole e deboli per designare autonomamente un nemico.

Ovviamente, su questa base è assolutamente impossibile ogni trattativa tra Ucraina e Russia, tra paesi occidentali e Russia. Le dichiarazioni ufficiali americane risultano infatti in una chiara minaccia esistenziale per la Russia.

Il discorso del Presidente Putin ne prende atto, e reagisce con fermezza, chiarendo che la Russia è disposta a opporvisi con tutti i mezzi a sua disposizione, e si richiama all’esperienza storica del suo paese:

Non abbiamo dimenticato i barbari piani dei nazisti per il popolo sovietico: scacciarlo. Ricordate, vero? Volevano costringere chi ne fosse in grado a lavorare come schiavi, a fare un lavoro servile, costretti in schiavitù. Chi venisse ritenuto superfluo, andava inviato oltre gli Urali o al Nord, per estinguervisi. Questo progetto è documentato, documentato storicamente. Noi non ce ne siamo dimenticati.

Ricordiamo anche come gli stati occidentali hanno incoraggiato terroristi e criminali nel Caucaso settentrionale nei primi anni ’90 e 2000, come hanno sfruttato i problemi del nostro passato, problemi reali, ingiustizie del passato nei confronti di interi popoli, compresi i popoli del Caucaso. Ma non lo hanno fatto per renderci migliori, nient’affatto. Hanno fatto tutto questo per riportare nel nostro presente i problemi del passato, per incoraggiare atteggiamenti separatisti nel nostro paese, e finalmente dividerlo e distruggerlo. Ecco perché hanno fatto tutto questo. Volevano ricacciarci nell’arretratezza. Molti hanno cercato di fare lo stesso con la Russia, in tutte le epoche.

[…] “Consentitemi di sottolinearlo ancora una volta: se qualcuno intende intervenire dall’esterno e creare una minaccia strategica per la Russia per noi inaccettabile, deve sapere che i nostri attacchi di rappresaglia saranno fulminei. Ne abbiamo gli strumenti, strumenti di cui nessun altro, oggi, può disporre. Non ci limiteremo a minacciare; li useremo, se necessario. E voglio che tutti lo sappiano: tutte le decisioni necessarie, su questo punto, sono già state prese.”

Da quanto sopra risulta che la Russia si dispone a combattere con tutte le sue forze per la propria sopravvivenza, e che è pronta a compiere gli stessi – spaventosi – sacrifici che l’hanno salvata dalla distruzione sia nella Seconda Guerra Mondiale (27 milioni di morti), sia nel più lontano passato, ad esempio contro l’invasione delle forze di coalizione europee guidate dalla Francia napoleonica.

Il 30 maggio 1962, alla Camera dei Lord, il Maresciallo Bernard Montgomery, Viscount El Alamein, disse: “Rule 1, on page 1 of the book of war, is: ‘Do not march on Moscow’.

L’Italia sta per partecipare a una guerra che si propone lo scopo di distruggere la Russia senza darsi neppure la pena di dibatterne in Parlamento. Per il bene dell’Italia, è necessario che tutti gli italiani protestino con la massima fermezza, in tutti i modi possibili e legali, contro questa decisione politica che coinvolge loro e i loro figli in una avventura bellica sciagurata.

2 “We want to see Russia weakened to the point where it can’t do things like invade Ukraine.” (Ministro della Difesa Austin) https://www.pbs.org/newshour/world/blinken-austin-return-from-visit-to-ukraine-say-russia-is-failing-in-war-efforts

Fasi storiche e transizioni, di George Friedman

Fasi storiche e transizioni

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

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Ho detto prima che il 1991 fu l’anno in cui un’era finì e ne iniziò un’altra. Nel 1991 l’Unione Sovietica crollò e fu firmato il trattato di Maastricht. Si verificò l’operazione Desert Storm e il miracolo economico giapponese crollò. L’era precedente era stata dominata dalla Guerra Fredda, un confronto ideologico e strategico globale tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. La maggior parte degli eventi globali rientra da qualche parte in quel paradigma.

L’essenza della nuova era era racchiusa nell’Unione Europea, emersa dalla paura di un’altra guerra europea e dalla convinzione che la guerra fosse obsoleta e che il sistema globale fosse ora principalmente una questione economica. Questa era aveva anche altre dimensioni. Desert Storm ha dato energia al fondamentalismo islamico e ha innescato decenni di guerra al terrorismo. Il declino del Giappone ha fatto spazio all’ascesa della Cina. La nuova era non riguardava il potenziale di guerra nucleare nella lotta bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma piuttosto il declino dei confini nazionali e il primato del commercio internazionale.

A mio avviso, l’invasione russa dell’Ucraina segna una nuova era, la cui forma non è ancora chiara. Ovviamente, la guerra è tornata come fattore primario, ma forse più importante, l’uso della guerra economica da parte degli Stati Uniti e la resurrezione delle istituzioni della Guerra Fredda segnalano un nuovo modo di usare l’economia: dalla fede nell’economia globale che arricchisce il mondo all’uso dell’economia globale come strumento di guerra. Questo deve essere preliminare perché abbiamo visto solo l’Ucraina e forse il COVID-19 come indicatori di questo cambiamento.

La vita umana è costruita su modelli: nascita, infanzia, età adulta, riproduzione e uscita. Se la vita di un essere umano è ordinata nelle sue grandi linee, mi sembra strano pensare che la vita della società umana sia casuale. Quindi, forse passo troppo del mio tempo a cercare quei modelli, una teoria sul campo dell’umanità. Guardando al 1991 e a ciò che si sta svolgendo ora davanti a noi, ho deciso di provare a dare una rapida mano all’analisi della storia umana degli ultimi 200 anni circa. Di seguito hai il mio primo, e probabilmente cotto a metà, tagliato a questo. Il suo uso non è semplicemente trovare l’ordine nella storia, sebbene ciò abbia importanza. Il suo potenziale utilizzo potrebbe essere che nel trovare l’ordine, i colpi strazianti e psicologicamente destabilizzanti inflitti dai cambiamenti potrebbero essere mitigati. Ovviamente, pensieri così grandiosi devono seguire la domanda se l’ordine che sto presentando è reale o semplicemente un’illusione che ho creato, con confini che sono chiari solo nella mia testa. Normalmente non presento idee minimamente ponderate (alcuni potrebbero discuterne), ma in questo caso ho pensato che potesse avere un certo valore. È qualcosa con cui gioco da tempo, ma sembra particolarmente significativo nel 2022. Non ho cercato di includere gli eventi di transizione come ho fatto nel 1991 ma semplicemente di identificare i punti di transizione.

Ciò è fortemente incentrato sull’Europa, con menzioni minime di altri continenti, ma ciò è dovuto al fatto che la storia globale è stata forgiata e dominata dall’Europa negli ultimi 200 anni circa, transitando in altri paesi come driver solo in epoche successive.

Cinque epoche di storia dal 1789 e la sesta emergente

1. 1789-1858 (69 anni): Il repubblicanesimo sfida i regni d’Europa

Questa epoca inizia con la Rivoluzione francese e l’ascesa di un tentativo di rimodellare l’Europa in un’unica entità. Emerse una cultura di stati-nazione governati liberamente, con il declino del vecchio ordine politico e sociale europeo.

2. 1858-1914 (56 anni): gli imperi europei dominano il globo

Il 1858 segnò l’istituzione del Raj britannico in India e un punto definitivo in cui gran parte del mondo, già sotto l’intrusione e l’assalto europeo, si trovò avvolta nell’imperialismo europeo, dove prima c’erano assalti ma nessun sistema imperiale sistematico. Laddove la Francia definì l’epoca precedente, la Gran Bretagna definì questa.

3. 1914-1945 (31 anni): l’Europa si fa a pezzi, emergono gli USA

Questa epoca fu dominata dalle guerre europee che portarono all’emergere degli Stati Uniti come forza economica e militare dominante e al crollo del
sistema imperiale britannico.

4. 1945-1991 (46 anni): Due ideologie dell’Illuminismo diventano geopolitiche

Questo periodo è stato dominato dalla lotta USA-URSS incentrata sull’Europa ma combattuta a livello globale. La paura globale era di una guerra nucleare, ma la realtà globale era che il modello economico e tecnico americano dominava gran parte del mondo, soppiantando la cultura dell’imperialismo europeo.

5. 1991-2022 (31 anni): trionfo americano e fantasia di pace e prosperità globale

6. 2022-????

Quando guardiamo alle epoche precedenti, siamo colpiti dalla discontinuità. L’egocentrismo europeo è sostituito dall’ossessione europea per il mondo. L’ossessione europea per il mondo è sostituita dalla subordinazione europea agli Stati Uniti. Lo scontro militare ideologico della Guerra Fredda è sostituito da un’ideologia globalista.

Separando le epoche, non è semplicemente che un conflitto è finito ed è emerso un nuovo potere, ma piuttosto è cambiata la realtà fondamentale del mondo. La cosa più importante della Guerra Fredda non è stata la vittoria degli Stati Uniti, ma la creazione di una concezione completamente nuova del mondo. A partire dalla Rivoluzione francese, le certezze del mondo cambiarono drasticamente ogni generazione o due.

Se questo è vero, definire quale paese sale o scende, sebbene necessario, non è sufficiente. Se la guerra in Ucraina definisce la fine della quinta era, un ritorno a una guerra fredda multigenerazionale tra Stati Uniti e Russia come principio determinante dell’epoca è il risultato meno probabile. La fine della Guerra Fredda ha portato giocatori molto diversi a giocare a un gioco molto diverso.

Continuo a guardare la sequenza e mi rendo conto che ogni epoca era una realtà fondamentalmente diversa. E la cosa più sorprendente è la velocità con cui si evolve. Quando guardo altre volte, i cambiamenti su questo ordine dopo una o due generazioni non si verificano. Ora appare con regolarità. Alcuni direbbero che è tecnologia, ma non credo. La tecnologia ha una base nell’Illuminismo e l’illuminazione è una cultura infelice, che desidera sempre qualcosa di nuovo e di migliore. La tecnologia è semplicemente parte di questa cultura.

Il punto cruciale è che all’interno di un’epoca c’è un tema generale che si ripete costantemente. Nella quarta epoca ci fu la Guerra Fredda, la terza guerra europea e mondiale. Il quinto ha visto il declino delle nazioni a favore dell’economia. La differenza tra le epoche è sorprendente e improvvisa. Se ho ragione, siamo appena oltre la soglia della sesta epoca, la cui forma potrebbe essere distinguibile se questo modello diventasse molto più completo e significativo. A guardare il modello, questi elementi sembrano ovvi e non hanno segreti. Ma è ovvio perché tutti conosciamo questa storia e non abbiamo guardato attentamente sotto il cofano. Sto cercando di trovare il fermo sul cofano, ancora lontano dallo sguardo attento. I primi pensieri, a lungo borbottati.

https://geopoliticalfutures.com/historical-phases-and-transitions/

Geopolitica della Russia_da Geopolitical Future

Un saggio senza dubbio interessante, ma con alcuni punti da chiarire:

  • la relativa debolezza della Russia rispetto alla relativa forza degli Stati Uniti e la compatezza e forza dei diversi sistemi di alleanza e cooperazione in via di formazione
  • la postura globale o prevalentemente locale della visione geopolitica russa rispetto a quella occidentale
  • la constatazione che comunque la Russia è una potenza nucleare di prim’ordine con un potere grandissimo di deterrenza
  • le alternative geopolitiche e geoeconomiche possibili della Russia rispetto a quelle del mondo occidentale.

Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il presidente russo Vladimir Putin ha descritto il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 come “la più grande catastrofe politica” del XX secolo. A quelli fuori dalla Russia può suonare come un’iperbole, ma per chi ci ha vissuto è una storia diversa. In breve tempo, hanno assistito al loro governo a Mosca, una potenza alla pari con gli Stati Uniti per quasi cinque decenni, perdere l’equilibrio e non riprendersi mai completamente. La Russia divenne indigente, persino senza scopo.
Il crollo dell’Unione è stato così traumatico che continua a definire l’identità della Russia di oggi.
E anche se il paese è rimasto formidabile nel suo vicino estero, è meno capace di una volta nel garantire i suoi interessi nazionali più lontani. Per capire perché è così, dobbiamo iniziare guardando una mappa.

Geografia, o i pericoli dell’Occidente

In effetti, la sfida più fondamentale e strategica della Russia – nelle sue due dimensioni internazionali e domestiche – deriva dalla geografia del paese. La gran parte del territorio russo si trova tra i 50 gradi e 70 gradi di latitudine. Per comparazione, la latitudine di Londra è di circa 51 gradi, quella di Berlino ha 52 gradi e quello di Ottawa 45. Il clima della Russia è generalmente fresco, e la vegetazione e l’uomo nel loro ciclo vitale tendono ad abitare aree che sono al di sotto dei 60 gradi di latitudine. Il cuore dell’agricoltura russa si trova a sud-ovest, lungo i suoi confini
con Ucraina, Caucaso e Kazakistan. Il clima e l’agricoltura spiegano molto dei motivi per i quali tre quarti della popolazione vive nella zona tra il confine della Russia con l’Europa e gli Urali. Le città più cruciali del paese, tra cui la sede del suo governo, inoltre, sono tutte vicine all’Europa. La Russia ha pochi fiumi, e quelli che ha fluiscono principalmente verso ovest, rendendo difficoltoso trasportare merci lungo il territorio nazionale.
La Russia compensa questi svantaggi naturali affidandosi alle ferrovie, che ulteriormente evidenziano l’importanza dell’occidente e delle regioni meridionali. Ed è così che la Russia è sproporzionatamente preoccupata – e in pericolo – per i suoi tratti occidentali.
In quanto potenza terrestre, la Russia è intrinsecamente vulnerabile.
Il suo confine con l’Europa è estremamente suscettibile all’invasione, situata com’è sulla pianura nord europea. Questa distesa piatta di terra inizia in Germania e, appena ad est dei Carpazi, ruota verso sud, aprendo proprio alle porte della Russia. Storicamente, è stata un’importante arteria di invasione militare occidentale. Poiché i nemici della Russia lo hanno fatto così spesso utilizzando questa rotta di invasione, Mosca ha provato a rendere più difficile per gli invasori raggiungere il suo territorio spingendo i confini della Russia il

più a ovest possibile. Quando i confini nazionali non potevano essere estesi, Mosca ha stabilito zone cuscinetto tra il nucleo della Russia e il resto della Europa. Al culmine dell’Unione Sovietica, Mosca ha goduto di un ampio zona-cuscinetto che si estendeva bene nell’Europa centrale.
Con il crollo dell’Unione Sovietica, però, la Russia ha perso la maggior parte di questi territori
e da allora è sulla difensiva. Considera che nel 1989 San Pietroburgo era a circa 1.000 miglia dalle truppe NATO. Adesso quella distanza è di circa 200 miglia.

UNA CONCENTRAZIONE DI RICCHEZZA

La geografia russa presenta una sfida si troppo evidente: chi governa il Paese deve gestire il paese più grande del mondo, che comprende popoli molto diversi, clima, risorse naturali e reti di infrastrutture. la Federazione Russa è composta da 85 soggetti federali che consistono amministrativamente in strutture che vanno da regioni autonome e repubbliche alle singole città. Di conseguenza, la Russia ospita economie altamente regionalizzate in cui ricchezza e prosperità sono distribuite in modo non uniforme.
La ricchezza è concentrata in Occidente, in particolare a Mosca e nel Distretto Federale Centrale.
In tempi di prosperità, la disparità economica può essere rappezzata e la pressione nei distretti ad alto reddito si allevia abbastanza facilmente.
Ma in tempi di costrizione economica, come è successo quando i prezzi del petrolio sono scesi alla fine del 2014, il governo centrale deve far fronte alla pressione sociale dei distretti più poveri dell’interno.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, che lo sviluppo economico della Russia sia stato dalla fine della Guerra Fredda così irregolare. Gli anni ’90 erano dedicati alla sopravvivenza, non alla crescita economica. Le riforme del decennio erano finalizzate a una cosa: prevenire il ritorno della Russia al regime comunista.
La maggior parte dei russi viveva in condizioni di povertà o quasi; la maggior parte delle imprese statali sono state privatizzate – in offerta. La crisi finanziaria russa del 1998 e le proteste associate hanno portato a un grande cambiamento. Le persone erano pronte ad accettare un governo forte e così ha accolto con favore un sovrano più forte.
Entra in campo Vladimir Putin, che ha cercato di aggiustare l’economia e poi ricostruire il governo.
Da allora, lo sviluppo della Russia è stato basato sulle esportazioni di energia, che a loro volta hanno alimentato il bilancio della spesa e dei consumi.

Questo ha funzionato abbastanza bene quando i prezzi dell’energia erano alti. Ma quando cadono, cadono anche le entrate russe. Questo porta inevitabilmente a periodiche recessioni economiche. Dal 2015 al 2017, per esempio, i cittadini hanno protestato contro la disoccupazione, i salari bloccati, i tagli ai programmi di governo, salari reali più bassi, fallimento e frustrazione generale con standard di vita ridotti. Le proteste erano limitate, ma potevano minacciare Putin a lungo termine. Adesso tocca alle sanzioni occidentali minacciare l’economia russa e una volta, ancora una volta, Putin non deve solo mantenere il controllo ma mostrare anche alle persone che sta rispondendo ai loro bisogni.
Il modo in cui lo ha fatto è erigere un doppio livello del sistema economico. Controlla un livello attraverso la sua “cerchia ristretta”, che sono le aziende di proprietà statale, mentre l’altro livello è soggetto alle leggi del libero mercato. Quelle gestite dallo stato costituiscono circa un quinto della economia russa. Il popolo russo ancora sostiene Putin – e potrebbero anche fidarsi di lui – ma considerano oligarchi e amministratori regionali come persone corrotte. Il presidente deve contemperare i bisogni del suo popolo e i bisogni delle aziende che sostengono l’economia. Nel 2001 si è schierato con il popolo, ha condotto una campagna contro gli oligarchi per poi prendere il controllo dei media e delle aziende energia energetiche.

Ha anche riorganizzato parte dello stato e le agenzie di sicurezza che aiutano a mantenere l’ordine.
Ha istituito la Guardia Nazionale, che unifica diverse forze di sicurezza interna sotto il controllo diretto del presidente.
Lo scopo dichiarato delle truppe è quello di proteggere l’ordine pubblico, combattere l’estremismo, proteggere le figure e le strutture del governo, aiutare a proteggere il
confine e controllare il commercio di armi. Ha inoltre ins
ediato funzionari fedeli al suo governo
in luoghi importanti. Ad esempio, tra
il 2017 e il 2018, ha rimosso 16 generali dai loro incarichi presso il Ministero della Protezione Civile, le Emergenze ed eliminazione delle conseguenze
dei disastri nazionali; un corpo responsabile della risposta alla protezione civile,
ai disordini pubblici e proteste, all’interno del Ministero, sostituendoli con funzionari selezionati personalmente. I licenziamenti in primis hanno colpito il Caucaso, l’Estremo Oriente e città alla portata di Mosca – città dove, fino alla fine del 2017, era stato segnalato un aumento dei disordini.

Tutta la politica è locale

Politicamente, il governo russo sotto Putin ha consolidato il suo potere abbastanza presto.
Sotto la sua amministrazione, i partiti politici sono relativamente poco importanti; il sistema favorisce i partiti filo-Cremlino. Partiti che non supportano il governo hanno poche possibilità di ottenere seggi alla Duma, la camera bassa del parlamento. Nel 2000, a breve dopo aver assunto la sua prima presidenza, Putin in realtà ha ridotto il numero dei partiti rappresentati alla Duma. Nel 2012, l’allora Presidente Dmitri Medvedev sembrava fare marcia indietro su questa mossa approvando una legge che semplificava le procedure di registrazione per i partiti politici. Sulla carta, la nuova normativa intendeva aprire il sistema dei partiti a gruppi di interesse alternativi. In pratica, il sistema è rimasto chiuso.
Cinque partiti politici, tutti filogovernativi in una certa misura, attualmente dominano la Duma. Russia Unita, il partito di Putin, detiene 323 seggi su 450, facendo quello che dice Putin di fare. Il Partito Comunista (57), il Partito Democratico Liberale(23), Una Russia Giusta(27) e New People Party (14) detengono i posti rimanenti. Gli ultimi quattro partiti non sono visti come partiti ufficiali filo-governativi e quindi rappresentano almeno in parte l’opposizione. In particolare, il termine “opposizione” è usato liberamente; i rappresentanti raramente sfidano le iniziative guidate da Putin.

Voti espressi dai funzionari di questi partiti riflette un disaccordo con Russia unita e la burocrazia allo stesso tempo rimane fedele al presidente e al sistema. Hanno una certa distanza dal regime, ma non vi si oppone apertamente.
Putin ha anche consolidato il potere politico con l’epurazione dei governatori russi: un aspetto importante, considerando il rapporto tra governatori e membri del governo nazionale.
Spesso lavorano insieme, dipendono l’uno dall’altro e hanno cura degli interessi reciproci. Sono state reintrodotte le elezioni governative nel 2012, ma mentre la legge da reintrodurre si stava facendo strada nel sistema, più di 20 governatori erano riconfermati dal Cremlino, ritardando le elezioni in queste località fino al 2017. Poi, nel 2013 Putin ha firmato una legge regionale che ha permesso elezioni per decidere tra l’elezione diretta dei governatori o avere l’elezione regionale con seleziona e nomina di un governatore da una breve lista stilata da Putin.
I governatori regionali, a loro volta, svolgono un ruolo nel nominare membri del Consiglio della Federazione Russa, la camera alta del parlamento.
Il consiglio è composto da due rappresentanti eletti da ciascuna delle 83 entità federali della Russia. Un rappresentante è scelto dal legislatore regionale
e uno è selezionato dal governatore della regione. La lunghezza del mandato varia con l’entità federale. Costruito dentro questo sistema è un livello di reciprocità tra
governatore e presidente, abilitando ulteriormente Putin nell’esercizio di influenza. È in grado di garantire che un candidato ottenga una carica di governatore,e in cambio, il governatore può
nominare un membro pro-Cremlino al consiglio.

Questa relazione diventa ancora più importante considerando che il consiglio approva i decreti presidenziali di legge marziale, dichiara lo stato di emergenza, schiera truppe all’estero, sovrintende alla nomina presidenziale del procuratore generale e decide l’impeachment e i verdetti.
Putin ha dedicato gran parte della sua politica, di capitali e risorse per consolidare il suo potere attraverso le riforme inel governo dei vari organi di sicurezza. Ricostruendo il suo cerchio interno e rinnovando la struttura del potere, Putin ha dimostrato che ha bisogno di estendere la sua rete per garantire che decreti e politiche siano attuati correttamente e che i dissidenti restino messi a tacere.

Il fulcro della sua politica estera

Gran parte delle macchinazioni politiche di Putin, tuttavia, hanno lo scopo di perpetuare un mito all’estero. Il mito che la Russia sia forte quanto sembra. Senza la capacità di agire in modo altrettanto deciso come poteva fare durante la Guerra Fredda, in Russia è relegato a concentrarsi sul proprio cortile.
Le vulnerabilità lungo il suo confine occidentale costringono la Russia a mantenere un forte punto d’appoggio in Ucraina e Bielorussia. La Russia ha bisogno di questi due paesi per isolarlo dalle minacce esterne. Anche se la Bielorussia è rimasta saldamente all’interno della sfera di influenza della Russia nell’era post-sovietica, l’Ucraina no. Dopo che i sostenitori filo-occidentali hanno rovesciato il governo amico della Russia a Kiev, Mosca non aveva altra scelta che rispondere con forza. Sin dall’inizio del 2014 ha conquistato la penisola di Crimea e ha inviato truppe e rifornimenti ai ribelli pro-Russia che combattono nell’Ucraina orientale.
La Crimea è stata annessa in parte per garantire un punto d’appoggio in Ucraina e in parte per mettere in sicurezza il porto di Sebastopoli, sede della flotta del Mar Nero.
La marina russa è composta principalmente da quattro principali flotte – il Nord, il Baltico, il Mar Nero e Pacifico. I primi tre sono tutti basati sulla parte europea della Russia e sono vincolati da importanti strozzature che ne limitano l’accesso alle acque aperte. Dal momento che gran parte della Russia è senza sbocco sul mare, la perdita o la compromissione dei porti e del quartier generale per ognuno di queste flotte ridurrebbero gravemente il potere della flotta russa e incidono negativamente sul commercio marittimo.

Dal Mar Nero, attraverso il Bosforo, la Russia ottiene l’accesso al Mediterraneo e da lì l’Atlantico.
Nonostante tutto, l’Ucraina è rimasta la priorità assoluta della Russia e il fulcro della sua politica estera. La Russia post-sovietica non aveva nessuno né le risorse né i mezzi per riprendere l’Ucraina. Il potere ridotto della Russia ha forzato Mosca per adottare una strategia di disgregazione globale che mirava principalmente agli Stati Uniti. (La loro rivalità è un elemento dell’era della Guerra Fredda che rimane intatta.) Mosca lo ha fatto in modo più visibile in Siria, dove ha funzionato per sfruttare la sua influenza nella risoluzione del conflitto con un risultato più vantaggioso verso gli Stati Uniti che sull’Ucraina, anche se è stata parte attiva anche in Venezuela e Corea del Nord.
Ad esempio, a metà del 2013 si è inserita la Russia stessa nella crisi internazionale negoziando un accordo per distruggere il programma siriano di armi chimiche. Nello stesso anno, le proteste dell’Euromaidan in Ucraina hanno estromesso il Governo favorevole alla Russia a Kiev e sostituito esso con uno che ha favorito l’Occidente. In una posizione molto più debole di quella di pochi mesi prima, la Russia si rivolse ancora una volta al conflitto in Siria. Dopo aver rimodellato le percezioni del potere russo, rafforzando la posizione delle forze e dei suggerimenti di Assad nei negoziati con gli Stati Uniti, il limitato intervento siriano limitato ha ampiamente soddisfatto lo scopo strategico della Russia.
Recentemente la Russia ha deviato dalla globale strategia di interdizione e ha invaso l’Ucraina.
La mossa ha rivitalizzato la NATO e in generale la relazione USA-Europa. Mentre l’Occidente non si è impegnato direttamente in un’azione militare con la Russia in Ucraina, ha però fornito significativo supporto logistico e militare all’Ucraina.

In aggiunta l’Occidente ha applicato severe sanzioni contro la Russia, isolando il Paese da gran parte dell’economia globale. La Nato ha anche aumentato le rotazioni delle sue truppe, incrementato difesa e dispiegamento di sistemi d’arma lungo il fianco orientale della NATO. Per la Russia, l’aumento della presenza della NATO – e in particolare quella degli Stati Uniti – nel suo cortile costituisce una grave minaccia.

È una minaccia che non può gestire completamente. A più di 30 anni dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia sta ancora cercando di trovare la sua strada. Nella vita delle nazioni, 30 anni non sono così lunghi nel tempo, e la caduta degli imperi tende a risuonare per anni dopo. Inoltre, l’economia Russa dopo la pandemia ora deve affrontare gli ulteriori vincoli di sanzioni di vasta portata
Ciò è particolarmente problematico in una regione complessa e pericolosa come quella russa; una regione in cui apparire debole può essere una minaccia altrettanto grande che essere debole. La Russia deve contemporaneamente cercare di apparire più potente di quel che è e gestire meticolosamente la potenza che ha. Ma il vero potere è durevole. Le illusioni sono effimere. Azioni intraprese dalle nazioni deboli, progettate per farle apparire più forti quasi sempre falliscono nel lungo periodo.

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SANZIONI ED ETEROGENESI DEI FINI, di Teodoro Klitsche de la Grange

Dall’inizio del conflitto russo-ucraino i mass-media mainstream (ossia la grande maggioranza) esaltano l’efficacia delle sanzioni decise – in particolare quelle dell’U.E..

Questo toccandone ogni possibile aspetto e conseguenza. Si legge con piglio giustizial-populista, che sono sequestrati i panfili degli oligarchi. Ma come ciò possa danneggiare il tenore di vita della stragrande maggioranza dei russi che quei panfili li hanno visti solo in cartolina, non si comprende; e ancor meno come, da ciò, possa diminuire il consenso popolare a Putin. Piuttosto potrebbe farlo – e probabilmente lo può – l’aumento delle perdite umane provocate dal proseguire della guerra. Parimenti non è chiaro se il divieto di vendere mocassini, prosecco e parmigiano ai russi possa creare problemi a Putin; casomai li crea ai produttori italiani.

Certo sanzionare le importazioni di petrolio e gas problemi seri allo Zar li può provocare: solo che perché la minaccia diventi efficace occorrono anni. Nel frattempo Putin concluderà la guerra e le sanzioni saranno inutili.

D’altra parte nel secolo scorso l’efficacia delle sanzioni economiche per dissuadere dall’aggressione o comunque coartare la volontà del sanzionato è stata – per lo più – minima.

A partire da quelle applicate all’Italia perla guerra d’Etiopia, fino al caso della piccola Cuba che ha resistito per diversi decenni alle misure economiche degli U.S.A., e conservato il proprio regime nemico degli Yanquis; permettendosi anche qualche intervento all’estero (a dispetto degli americani, e, ovviamente sollecitato dai sovietici). Se ci si chiede il perché, data la sproporzione dei mezzi (tra sanzionanti e sanzionati) i risultati siano stati così modesti, occorre, principalmente, rifarsi a due ragioni.

La prima: che la guerra reale è condizionata, limitata ad un obiettivo politico. Vince chi lo consegue, perde chi non lo raggiunge. Occorre pertanto che per dissuadere l’aggressore le sanzioni siano efficaci nel lasso di tempo decorrente tra inizio e conclusione della guerra. Nel caso ad esempio della guerra di Etiopia, le sanzioni all’Italia durarono poco più di sette mesi e furono revocate due mesi dopo la caduta di Addis Abeba. Ma non avevano né influito sulle operazioni né distolto Mussolini dall’obiettivo politico (la conquista dell’Etiopia). Conseguito il quale diventavano inutili.

La seconda: per essere efficaci le sanzioni devono essere applicate da quanti più soggetti, di guisa da non lasciare alternativa al sanzionato. Quelle per la guerra d’Etiopia furono inefficaci perché, per diverse ragioni, Germania, U.S.A. e perfino alcuni Stati che le avevano deliberate non le applicarono o lo fecero parzialmente e distrattamente. Lo zucchero cubano, nell’altro caso ricordato, trovò un acquirente interessato nell’Unione sovietica e Stati satelliti.

Al contrario l’embargo deciso da U.S.A., Gran Bretagna e Olanda contro il Giappone nel luglio del 1941 era estremamente efficace, perché il Giappone non poteva trovare delle possibili sostituzioni alle materie prime che venivano a mancare, petrolio in primo luogo.

I militari giapponesi stimavano che il petrolio accumulato o comunque disponibile non sarebbe durato più di due anni: entro quel termine avrebbero dovuto cessare l’aggressione alla Cina e l’occupazione dell’Indocina. La guerra scoppiò meno di sei mesi dopo. Il principale (se non unico) caso di sanzioni efficaci nel secolo scorso ebbe il risultato di dar inizio ad una guerra nuova, e non di concludere quella in corso. Cioè raggiunse l’obiettivo opposto alle intenzioni proclamate: costituendo così caso da manuale di eterogenesi dei fini (esternati).

Cambiando angolo visuale sopravvalutare l’effetto delle sanzioni è un errore di valutazione che consegue alla sopravvalutazione dell’elemento economico in un ambito essenzialmente politico com’è la guerra. Il discorso relativo è di un’ampiezza da non poter essere contenuto in un articolo. Sta di fatto che l’esito della guerra – salvo il “caso” ricordato da Clausewitz – dipende da una serie di fattori, fattori di potenza. Ossia idonei a far prevalere la propria volontà su altri, o, all’inverso, di non far prevalere quella degli altri sulla propria. Ambedue condizionate dall’obiettivo politico della guerra (o della pace). Nel caso più frequente alle volte conseguirlo esige di vincere (sul piano militare) la guerra, in altri di non perderla. Allo scopo i fattori di potenza (economico, militare, organizzativo, anche costituzionale) non è solo il primo. Anzi possono essere compensati da altri. Nella guerra dei sette anni, la Prussia, piccola ma dotata di un grande esercito guidato dal miglior generale dell’epoca – ed alleata ed aiutata dalla Gran Bretagna – riuscì a realizzare l’obiettivo di non soccombere ai tre più potenti Stati continentali dell’epoca: Francia, Austria e Russia, dotati di risorse economiche, finanziarie e demografiche superiori di circa 20 volte a quelle di Federico II. Nel XX secolo le guerre rivoluzionarie di liberazione – asimmetriche in sé – hanno mostrato come popoli colonizzati, poveri ed arretrati hanno raggiunto l’indipendenza dagli Stati colonizzatori, malgrado la disparità anche nei mezzi militari. Questo essenzialmente per il loro obiettivo politico (l’indipendenza), la determinazione nel perseguirlo nonostante danni e perdite, e la coesione realizzata allo scopo. Dalla parte dei colonizzatori, dove l’interesse economico era prevalente e richiedeva il controllo del territorio coloniale, il costo delle guerre si rivelò superiore ai benefici dell’occupazione (onde preferirono concedere l’indipendenza). Cioè opera in senso inverso alla logica economicistica e quantitativa. Logica che avrebbe avuto un ruolo sicuramente più ampio e di “successo”, in stato di pace. Per cui, dati i risultati delle sanzioni efficaci (cioè Pearl Harbour) c’è da augurarsi che, ai fini della pace, quelli delle sanzioni U.E. lo siano il meno possibile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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