Stati Uniti, il ritorno dei naufraghi_con Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti stiamo assistendo ai primi segnali di un ribaltamento della narrazione che ha giustificato sino ad ora la gestione della pandemia da parte dell’establishment dominante. Di fronte alla evidenza stridente della realtà, alle nubi che si affacciano all’orizzonte circa il dissesto economico provocato e le probabili implicazioni di lunga durata delle scelte farmacologiche adottate in grande fretta diventa sempre più arduo proseguire sulla stessa strada non ostante il sostegno monolitico della gran cassa mediatica. Rappresenta il tentativo, probabilmente estremo, di consentire ai naufraghi dell’attuale panorama politico non solo di riemergere dalla crisi di consenso, di autorità e di autorevolezza in cui sono sprofondati, ma di riprendere saldamente in mano il controllo della situazione, riuscendo nel capolavoro di coinvolgere pesantemente nella responsabilità di una gestione fallimentare e cinica Donald Trump. E’, infatti, il primo reale momento di rottura, probabilmente non ancora irreparabile, del profondo legame dell’ex presidente con lo zoccolo duro del suo elettorato, grazie anche ad una clamorosa ingenuità. Non sappiamo se fatale. Siamo ancora agli inizi e il finale dello spartito non è ancora stato scritto. Richiederà il sacrificio di alcuni capri espiatori in campo democratico e neocon. Le incognite però sono ancora troppe: il caso Epstein, di fatto oscurato, ma non ancora chiuso; il dilemma dei rapporti con la Cina e soprattutto con la Russia non più eludibile, grazie ai passi intrapresi da Putin e Lavrov; l’immigrazione sempre più incontrollata e la situazione economica a dir poco incerta; gli stati federati che sempre più intraprendono iniziative contrastanti con gli indirizzi del governo centrale; la polarizzazione drammatica all’interno del Partito Democratico; le possibili alternative che stanno emergendo nella leadership trumpiana. Tutti fattori che rischiano di risucchiare la ciurma dei naufraghi proprio nel momento in cui riescono ad aggrapparsi a qualche relitto per rimanere a galla, rendendo improcrastinabile l’avvento di nuovi timonieri. Sempre che ci siano. In Italia i sintomi di una crisi quantomeno di autorevolezza non mancano; come al solito la classe dirigente tarderà a cambiare lo spartito, scritto da altri e riprodotto malamente dai nostri epigoni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vrowfd-usa-e-i-naufraghi-di-ritorno-con-g-campa.html

 

Buon Natale da tutta la redazione

Quest’anno auguriamo il nostro Buon Natale con lo scritto di due autori esterni al sito, ma dai quali abbiamo attinto a piene mani. Rappresentano bene alcuni dei principi informatori e lo spirito che guidano faticosamente la conduzione della nostra realtà editoriale.

Andrea Zhok

Spero che un giorno guarderemo a questo periodo come un incubo superato, un periodo di follia collettiva come ogni tanto la storia riserva.
Ma in attesa di quel momento, se mai verrà, una cosa, alla vigilia del Natale più mesto di sempre, voglio dirla.
Questa vicenda, se da un lato ha distrutto molte illusioni, dall’altro ha aperto anche una dimensione umana insperata e inattesa.
Si sono scoperte affinità e solidarietà ideologicamente trasversali, si è riusciti a trovare conforto nella parola e nell’atto di persone fino a poco tempo prima sconosciute, con cui si è stabilita una connessione umana fondata su un primario senso di libertà, rispetto della persona e giustizia.
Questa connessione è “prepolitica”, o forse meglio, è originariamente politica nel senso primitivo del termine: è fiducia umana nella capacità di cooperare.
L’abbandono definitivo delle categorie politiche del passato, a partire da “destra” e “sinistra”, abbandono per alcuni maturato da tempo, ha ricevuto la definitiva consacrazione.
Il mondo che ci aspetta a valle di questo tornante della storia è un mondo politicamente da ricostruire da zero, perché del vecchio mondo non è rimasta pietra su pietra (per quanto molti non se ne siano ancora accorti).
Per quanto possibile, Buon Natale.
Pierluigi Fagan
ERMENEUTICA DEL NATALE. Com’è noto, il gatto è irresistibilmente attratto dall’albero di Natale che per lui è un semplice albero, oltretutto a portata di scalabilità. Così lo scala ma, arrivato in alto, il suo peso lo fa oscillare di qui e di là fino a farlo cadere per terra. Il gatto, infatti, non tiene conto che noi umani amiamo sradicare gli alberi per metterceli a casa a simbolo di una narrazione di mito generale, per lui l’albero è sempre ben piantato e quindi non è rischioso. Così un semplice istinto alla scalabilità dal punto di vista del gatto, per noi si trasforma in una gratuita cattiveria iconoclasta o una critica radicale al mito umano del Natale nell’ambito di una cultura occidentale che ha trasformato più antichi miti legati alle segnature stagionali.
Ieri ho sentito M. Cacciari in una intervista ripetere con sorriso sarcastico che “i fatti non esistono” come cosa ovvia e nota. A chiusura di questo secondo anno di società in pandemia, molti sono convinti che i fatti non esistono perché esistono solo le interpretazioni. Ma se qualcuno interpreta cosa sta interpretando se non ci sono i fatti e loro effetti in forma di fenomeno? Il pensiero si metterebbe in moto di suo elaborando complesse argomentazioni così, moto proprio?
I fatti esistono ma la loro natura e significato varia a seconda dell’impianto interpretativo, quello del gatto non è il nostro e viceversa. Sta il fatto che un gattone di dieci chili che arriva in cima ad un albero di Natale in precario equilibrio e senza le sue naturali radici, cade. Qualsiasi impianto interpretativo usiate.
In molte accese discussioni nel dibattito pubblico che hanno animato e suppongo continueranno ad animare i tempi che corrono, alcuni discutono la propria interpretazione contro quella dell’interlocutore, ma senza passare dai fatti. I fatti, a loro volta, sono diversamente definiti a seconda dei diversi impianti interpretativi. La faccenda è complicata, ma mi auguro che piano piano si evolva la convenzione pubblica di discutere anche animatamente le interpretazioni, includendo però il fatto pur nella sua problematica comune definizione. Il come definiamo i fatti ha conseguenze e la peggiore e non farci i conti dedicandosi solo alle interpretazioni.
E con ciò, i miei migliori auguri a lettori, lettrici e variamente dibattenti, ognuno dalla sua prospettiva, della pagina.

La proposta di trattato russo Di: George Friedman

Qui sotto un importante articolo di George Friedman per tema la proposta di trattato russo offerta agli Stati Uniti e alla NATO e i due testi inviati il 15 dicembre dal Ministro degli Esteri Russo.

La proposta, apparentemente e semplicisticamente, può essere interpretata come un atto propagandistico, pur di rilievo; destinato in fondo nel peggiore dei casi a rimanere un episodio di quel confronto mediatico e propagandistico con scarse implicazioni dirette nella dinamica dei rapporti diplomatici e del confronto multipolare. Una impressione suffragata dall’accoglienza distratta offerta dai media italiani, dalla sufficienza che traspare dalle penne più o meno illustri, comunque scontatamente ossequiose e dall’assenza al momento di valutazioni da parte delle maggiori riviste di approfondimento di geopolitica del mondo occidentale; probabilmente un tentativo di lasciar scivolare nell’indifferenza il passo diplomatico.

In realtà è insolito, di fatto irrituale, il fatto che il testo di una proposta di trattato, specie di questa importanza strategica, sia pubblicizzato dalla parte proponente prima di essere quantomeno valutato e discusso, sondato nei normali canali diplomatici.

Rappresenta piuttosto l’indizio della drammaticità crescente dello stato delle relazioni diplomatiche tra due dei tre principali attori geopolitici, gli Stati Uniti e la Russia, in un contesto internazionale sempre più inquieto ed affollato di nuovi protagonisti. Un modo, probabilmente, di far uscire allo scoperto la controparte da una tattica strisciante di avvolgimento o di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Colpisce, pertanto, il diverso atteggiamento delle due parti in causa.

I primi impegnati da oltre trent’anni in una politica di accerchiamento e pericoloso avvicinamento al cuore della nazione russa una volta fallito il tentativo di destabilizzazione, disgregazione e predazione interna di quel paese, ma con una opinione pubblica ancora del tutto impreparata a sostenere i costi ed i rischi di una politica così espansiva ed aggressiva. Una condotta che ha fatto strame degli impegni e delle garanzie di neutralità dei paesi sganciatisi dal Patto di Varsavia concordate con Gorbaciov, del principio di integrità degli stati scaturiti dalla dissoluzione del blocco sovietico nel momento stesso in cui se ne chiede il rispetto per alcuni di essi, in particolare la Georgia e soprattutto l’Ucraina; un indirizzo, una condotta stridente con i proclami di rispetto dei diritti delle minoranze, tanto cari alla UE e agli Stati Uniti, tranne quando, nella fattispecie, queste siano costituite dalle popolazioni russe rimaste prigioniere, senza praticamente diritto di cittadinanza, degli stati sorti dalla divisione amministrativa della Unione Sovietica, disegnata per altri fini politici. Una condotta portata alle estreme conseguenze con il colpo di stato in Ucraina del 2014, lo smacco più cocente della presidenza di Putin. Un processo niente affatto lineare con diversi sgradevoli imprevisti nel carniere: lo smacco in Georgia, la relativa autonomia ed indipendenza acquisita dalla Turchia nei confronti della NATO ed il suo inedito rapporto di collaborazione conflittuale con la Russia, sancito dal recente avvicinamento con l’Armenia, sostitutivo di quello apertamente ostile del secolo passato. Un atteggiamento e una inerzia che impedisce, al momento, di giocare la carta dell’Ucraina per sganciare la Russia dalla Cina, ma con grave smacco dei centri euroorientali ed in parte tedeschi e scandinavi in grado di lucrare notevolmente sulla postura russofoba.

I secondi impegnati con maggior successo in una politica, comunque, ancora di contenimento, una volta superata definitivamente l’illusione della possibilità di integrazione nell’area occidentale su basi più paritarie e non di mera resa.

Difficile però interpretarne le motivazioni determinanti.

Potrebbe essere un gesto obbligato, al limite della disperazione, teso ad interrompere in qualche maniera il processo di logoramento e arretramento e a portare allo scontro in una situazione meno sfavorevole.

Potrebbe al contrario essere un gesto calcolato in un contesto molto più aperto ed incerto. Gli ultimi otto mesi sono stati ricchi di episodi salienti:

  • l’assemblea primaverile della NATO che ha sancito un dualismo di indirizzi, con i paesi dell’Europa Orientale impegnati sul fronte russo e quelli dell’Europa Centro-Occidentale adibiti a retrovia e dirottati verso il Pacifico e l’Africa Mediterranea
  • l’avvento di un governo tedesco più filoamericano che renderà più stridente la contradizione tra l’allineamento geopolitico e la relativa autonomia geoeconomica di quel paese; in trepidante attesa di quello che potrà avvenire l’anno prossimo in Francia. Non a caso l’acceso confronto elettorale  transalpino sia già finito sotto il mirino delle due fazioni americane
  • lo stallo diplomatico evidenziato dal colloquio tra Biden e Putin
  • il crescente sodalizio tra Russia e Cina, sancito dall’ultimo colloquio tra Putin e Xi Jin Ping, tenutosi appena prima della proposta russa di trattato e sempre più sostenuto dall’incapacità americana di scegliersi coerentemente l’avversario principale, pur avendolo individuato
  • l’emergere definitivo nello scacchiere asiatico di stati in grado non solo di partecipare a sistemi di alleanze preconfezionate, ma di condizionare pesantemente le azioni e gli indirizzi dei tre paesi più importanti dal punto di vista economico e militare
  • soprattutto l’esito dell’intervento americano in Afghanistan e in particolare le modalità di gestione del ritiro e del dopo-intervento in quell’area, con il corollario della crescente e profonda avversione all’interventismo nella popolazione, ma anche tra gli stessi militari statunitensi

Non sarà semplice affogare da parte americana l’iniziativa nelle tattiche dilatorie tese a procrastinare i comportamenti di questi ultimi trenta anni.

Il passo diplomatico russo è destinato dunque a mettere a nudo la reale consistenza di queste dinamiche. Ad evidenziare in particolare che la carta più importante in mano alla attuale gruppo dirigente di avventurieri statunitensi rimane la possibilità di fomentare conflitti con truppe di terzi sul terreno, in questo caso europee. Non solo! Potrebbe dare una grande spinta ad un chiarimento definitivo nello scontro politico in corso da anni negli Stati Uniti che ha per oggetto la natura dei rapporti con la Russia e le modalità di scontro e conflitto con la Cina. L’esito delle presidenziali americane di un anno fa parevano aver segnato l’epilogo definitivo di una guerra. Si è rivelato l’esito mal riuscito di una battaglia di un gruppo dirigente incapace di dare coerenza politica ai propri proclami e di creare la coesione interna necessaria e indispensabile all’esercizio di potenza e di influenza esterna, dibattuto com’è nel suo proposito insopprimibile di egemonia mondiale e di guida predestinata. Il terreno di coltura di colpi di mano incontrollati e dall’esito catastrofico del quale l’Ucraina è senz’altro uno dei focolai più pericolosi. Putin conta su una sola certezza: sa benissimo chi è l’interlocutore con il quale trattare dei problemi del continente europeo. Il rumore dei grandi assenti tra i destinatari del documento è nelle orecchie di chi vuol sentire. Dalla sua gioca il fatto che due punti caldi nel mondo (Taiwan e Ucraina) sono troppi anche per la più grande potenza militare, al netto di giochi di corridoio_Buona lettura, Giuseppe Germinario

La proposta di trattato russo

Di: George Friedman

Abbiamo operato con un modello della Russia. Avendo perso i suoi territori non russi con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, alla Russia mancano i cuscinetti che la proteggevano. Il suo imperativo nazionale è recuperare quegli stati di confine, formalmente o informalmente. Potrebbero essere occupati dalle forze russe o, per lo meno, governati da governi nativi che escludono la presenza delle potenze occidentali e si coordinano con Mosca. I russi hanno raggiunto questo obiettivo nel Caucaso meridionale attraverso la diplomazia e lo stazionamento di forze di pace russe nella regione. Hanno aumentato il loro potere in Asia centrale. Ma la regione critica per la Russia è a ovest, di fronte all’Europa occidentale, agli Stati Uniti e alla NATO. Lì, la perdita della Bielorussia e dell’Ucraina ha posto un problema critico. Il confine orientale dell’Ucraina è solo a circa 300 miglia (480 chilometri) da Mosca e l’Ucraina è alleata con gli Stati Uniti e le potenze europee, informalmente se non come parte della NATO.

La strategia della Russia fino a questo punto era stata quella di evitare l’intervento militare diretto contro le forze ostili e utilizzare misure ibride per costruire influenza e ottenere il controllo. Questo è quello che è successo nel Caucaso. Questo è anche quello che è successo in Bielorussia, dove un’elezione contestata ha lasciato il presidente Alexander Lukashenko in una posizione debole, e Mosca ha usato il suo potere per assicurare la posizione di Lukashenko e controllare gli eventi a Minsk. L’ ondata di rifugiati verso il confine polacco ha messo la Polonia sulla difensiva e ha creato un senso di crisi in Polonia. Per quanto riguarda la Bielorussia, è stata semplicemente l’arena scelta dalla Russia, un satellite preso a bassa voce.

Mentre la Russia stava reclamando i suoi cuscinetti, abbiamo rivolto la nostra attenzione all’Ucraina, che, come ho detto, è il cuscinetto chiave. È vasto, minaccia direttamente la Russia e dall’Ucraina la Russia potrebbe minacciare anche l’Occidente. In effetti, tra la Bielorussia nella pianura nordeuropea e il controllo dell’Ucraina sui Carpazi, la Russia non solo poteva difendersi, ma anche minacciare un attacco all’Europa dal Mar Baltico al Mar Nero.

I russi hanno mobilitato le forze lungo i confini dell’Ucraina – da est, nord e sud – e, senza fare minacce palesi, hanno creato una situazione in cui sembrava possibile un’invasione dell’Ucraina. Ho scritto la scorsa settimana dubitando che i russi avrebbero tentato una complessa occupazione di un paese ostile perché le possibilità di fallimento, anche contro una resistenza minima, erano reali e perché i russi non potevano prevedere le azioni americane. Se intervenisse, gli Stati Uniti probabilmente interverrebbero a terra, ma possiedono anche arsenali di missili anticarro lanciati da aerei o navi nel Mar Baltico e nel Mar Nero. Come si evolverebbe questo conflitto non è noto e gli Stati Uniti potrebbero non scegliere una controparte militare. Ma la Russia non poteva saperlo, né poteva rischiare di agire sull’intelligence, che spesso si sbaglia.

Per completare la ricostruzione dell’Unione Sovietica, i russi devono prima neutralizzare gli Stati Uniti senza un’azione militare. La migliore strategia per questo è neutralizzare la NATO, le cui forze militari sono limitate ma comunque significative. Ancora più importante, una risposta americana alla Russia senza la disponibilità del territorio della NATO e senza il sostegno politico degli alleati della NATO complicherebbe la dinamica militare e politica dell’azione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano già indicato la loro cautela minacciando il sistema bancario russo se ci fosse stata una guerra in Ucraina, piuttosto che minacciare un’azione militare.

Pertanto, prima ancora che la Russia prendesse in considerazione un’azione militare in Ucraina, doveva neutralizzare politicamente i (già cauti) Stati Uniti, e la chiave era paralizzare la NATO e in particolare la Germania. La Germania vede la Russia come una fonte cruciale di energia, un partner commerciale che potrebbe crescere di importanza e un problema da evitare. Ancora più importante per esso è l’Europa, di cui la NATO è un elemento cruciale, non tanto come forza militare, ma come un’altra forza che tiene insieme l’Europa. Come potenza dominante in Europa (al di fuori della Gran Bretagna), la Germania ha l’imperativo nazionale di mantenere la sua posizione economica dominante, che le conferisce una grande influenza sul comportamento degli europei in materia militare.

Per la Germania, quindi, una guerra non sarebbe adatta alle sue esigenze. Rischierebbe un conflitto che potrebbe indebolire gravemente l’economia europea in un momento delicato. La Germania vede la Polonia come un problema difficile poiché è nella NATO, ma la posizione della Polonia nei confronti della Russia non soddisfa gli interessi della Germania. La Germania vorrebbe ovviamente un cuscinetto contro la Russia in Bielorussia e Ucraina, ma non se ciò significa enormi costi economici e aumento del potere americano in Europa. Gli Stati Uniti dominano la NATO e un conflitto esteso massimizzerebbe le considerazioni militari americane e minimizzerebbe le preoccupazioni economiche tedesche. In breve, mentre potrebbe esserci una serie di posizioni sulle mosse della Russia in Europa, la Germania, la potenza leader, deve evitare la guerra e pagherà un prezzo per questo. La neutralizzazione degli Stati Uniti da parte della Russia passa attraverso la NATO, l’Europa e in particolare la Germania. Se hanno punti di vista divergenti, una difesa americana unilaterale contro la Russia diventa molto rischiosa.

Arriviamo così allo straordinario documento che la Russia ha consegnato la scorsa settimana. Il documento è mirato alla NATO. La clausola chiave è l’articolo 5: “Le Parti si astengono dallo schierare le proprie forze armate e armamenti, anche nel quadro di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, nelle aree in cui tale dispiegamento potrebbe essere percepito dall’altra Parte come una minaccia per sua sicurezza nazionale, ad eccezione di tale spiegamento all’interno dei territori nazionali delle Parti”.

In altre parole, la Russia chiede il diritto di limitare il dispiegamento delle truppe statunitensi nei paesi della NATO se i russi si sentono minacciati da tale dispiegamento. L’effetto immediato sarebbe che, mentre la Polonia potrebbe rafforzare la propria forza, gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dalla Polonia se la Russia si sentisse minacciata, cosa che dice di fare. Naturalmente, se la Federazione Russa reintegrasse gli ex territori sovietici nel suo sistema politico, cosa che penso sia una possibilità, allora la Russia sarebbe liberata dall’articolo 5.

Ci sono altre clausole che garantiscono che gli Stati Uniti rifiuteranno il documento. È quindi una domanda interessante perché i russi l’abbiano creato. Potrebbe essere concepito come una piattaforma negoziale, ma è troppo distorta dall’interesse russo per essere una piattaforma praticabile per Washington. Un’altra possibilità è che sia per il consumo interno russo, a dimostrazione del fatto che la Russia parla agli Stati Uniti come un potente pari da rispettare. Oppure potrebbe essere che dopo la risposta iniziale degli americani alle minacce russe – che il loro sistema bancario sarebbe stato danneggiato – i russi leggessero gli Stati Uniti come riluttanti a rispondere in Ucraina.

La chiave dal mio punto di vista è che nessuno vuole una guerra in Ucraina perché sarebbe lunga e sanguinosa, e il vantaggio geografico andrebbe alla Russia. Una proposta sul tavolo, per quanto assurda, può dare alle nazioni caute l’opportunità di capitolare mentre sembrano preferire un corso diplomatico a risposte militari irrazionali. Gran parte dell’Europa non è disposta a combattere per l’indipendenza dell’Ucraina. Gli Stati Uniti, preoccupati per la libera diffusione del potere russo attraverso la forza militare, potrebbero scegliere un intervento. Questa proposta potrebbe essere vista in Europa come una “base di discussione”, limitando le opzioni americane.

Un’invasione dell’Ucraina sarebbe piena di rischi per la Russia. Il fallimento o la resistenza prolungata trasformerebbero la Russia da una potenza riemergente in una nazione da scartare. Il presidente russo Vladimir Putin ovviamente sa che questo documento sarà respinto, ma nel suo contesto, il rifiuto tornerà alle controproposte, ed è possibile che la NATO e gli Stati Uniti diano un po’ di terreno in cambio dell’eliminazione di alcune delle clamorose richieste russe. Oppure Putin vuole che tutti lo vedano in termini non menzionati – come un ultimatum – e nel panico.

In ogni caso, il pezzo chiave della ricostruzione russa – l’Ucraina – è sul tavolo, e il documento confonde così completamente le questioni, chiedendo cambiamenti fondamentali nel modo in cui operano gli Stati Uniti, che qualcosa può essere concesso sotto la pressione europea. Putin non ha nulla da perdere da questo documento e qualcosa da guadagnare. Presumo che la risposta americana sarà quella di rifiutare i colloqui basati sul documento.

https://geopoliticalfutures.com/the-russian-treaty-proposal/?tpa=YTIwZWNmYjhiYWU4M2YyZWY4M2VjMzE2NDA4Nzg0MzdiZjI1ZjY&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-russian-treaty-proposal/?tpa=YTIwZWNmYjhiYWU4M2YyZWY4M2VjMzE2NDA4Nzg0MzdiZjI1ZjY&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

IL TESTO DEI DUE DOCUMENTI

17/12/2021 13:30

ACCORDO TRA LA FEDERAZIONE RUSSA E GLI STATI UNITI D’AMERICA SULLE GARANZIE DI SICUREZZA

 

 La Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America, di seguito denominati le Parti,

Guidati dai principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite 1970 anno, l’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, nonché le disposizioni della Dichiarazione di Manila del 1982 sulla risoluzione pacifica delle controversie internazionali, la Carta per la sicurezza europea del 1999, l’Atto fondatore del 1997 sulle relazioni reciproche, la cooperazione e sicurezza tra la Russia e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico;

Ricordando l’inammissibilità nelle loro reciproche, nonché in generale nelle relazioni internazionali, dell’uso della forza o della minaccia della forza in qualsiasi altro modo incompatibile con le finalità ei principi della Carta delle Nazioni Unite;

sostenere il ruolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali;

Riconoscendo la necessità di unire gli sforzi per rispondere efficacemente alle sfide e alle minacce contemporanee alla sicurezza in un mondo globalizzato e interdipendente;

procedendo dalla stretta osservanza del principio di non ingerenza negli affari interni, compreso il rifiuto di sostenere organizzazioni, gruppi e individui che propugnano un cambio di governo incostituzionale, nonché qualsiasi azione volta a modificare il sistema politico o sociale di uno dei contraenti feste;

nel senso di migliorare l’esistente o creare ulteriori meccanismi di interazione efficaci e prontamente avviati per risolvere problemi e disaccordi problematici emergenti attraverso un dialogo costruttivo basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento degli interessi e delle preoccupazioni reciproche in materia di sicurezza, nonché per sviluppare una risposta adeguata alle sfide e minacce nel campo della sicurezza;

sforzandosi di evitare qualsiasi scontro militare e conflitto armato tra le Parti e rendendosi conto che uno scontro militare diretto tra di esse può portare all’uso di armi nucleari, che avrebbe conseguenze di vasta portata;

Riaffermando che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e che non dovrebbe mai essere scatenata, oltre a riconoscere la necessità di compiere ogni sforzo per prevenire il pericolo di una tale guerra tra Stati nucleari;

Riaffermando i propri obblighi ai sensi dell’Accordo sulle misure per ridurre il rischio di una guerra nucleare tra l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e gli Stati Uniti d’America del 30 settembre 1971, l’Accordo tra il governo dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e il governo degli Stati Uniti d’America sulla prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sovrastante del 25 maggio 1972, l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sull’istituzione di centri di riduzione del rischio nucleare di 15 settembre 1987 e l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sulla prevenzione delle attività militari pericolose del 12 giugno 1989 anno;

hanno convenuto quanto segue:

 

Articolo 1.

Le parti interagiscono sulla base dei principi di indivisibile ed eguale sicurezza, fatta salva la reciproca sicurezza, e per tali finalità:

non intraprendere azioni e non svolgere attività che incidono sulla sicurezza dell’altra Parte, non parteciparvi e non supportarla;

non attuare misure di sicurezza adottate da ciascuna Parte individualmente o nell’ambito di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione, che pregiudicherebbero gli interessi di sicurezza fondamentali dell’altra Parte.

 

Articolo 2.

Le Parti si adoperano per garantire che qualsiasi organizzazione internazionale, alleanza militare o coalizione a cui partecipa almeno una delle Parti, rispetti i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite.

 

 

Articolo 3.

Le Parti non utilizzeranno il territorio di altri Stati allo scopo di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra Parte, o altre azioni che ledano gli interessi fondamentali di sicurezza dell’altra Parte.

 

Articolo 4.

Gli Stati Uniti d’America si impegnano a escludere un’ulteriore espansione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico in direzione orientale, a rifiutare di ammettere all’alleanza Stati che in precedenza facevano parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Gli Stati Uniti d’America non stabiliranno basi militari sul territorio di stati che erano precedentemente membri dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e non sono membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, non utilizzeranno le loro infrastrutture per alcuna attività militare o svilupperanno una cooperazione militare bilaterale con loro.

 

Articolo 5.

Le Parti si astengono dal dispiegare le proprie forze armate e armi, anche nell’ambito di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, in aree in cui tale dispiegamento sarebbe percepito dall’altra Parte come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, ad eccezione di tali dispiegamento nei territori nazionali delle Parti.

Le parti si astengono dal pilotare bombardieri pesanti equipaggiati per armi nucleari o non nucleari e dal trovare navi da guerra di superficie di tutte le classi, anche all’interno di alleanze, coalizioni e organizzazioni, in aree, rispettivamente, al di fuori dello spazio aereo nazionale e al di fuori delle acque territoriali nazionali, da dove possono impegnare obiettivi nel territorio dell’altra Parte.

Le parti mantengono il dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi per prevenire pericolose attività militari in mare aperto e nello spazio aereo sopra di esso, compreso l’accordo sulla distanza massima di rendez-vous tra navi da guerra e aerei.

 

Articolo 6

Le Parti si impegnano a non dispiegare missili terrestri a medio e corto raggio al di fuori del proprio territorio nazionale, nonché in quelle aree del proprio territorio nazionale da cui tali armi sono in grado di colpire obiettivi sul territorio nazionale dell’altra Parte.

 

Articolo 7.

Le Parti escludono il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale e restituiscono tali armi già dispiegate al di fuori del territorio nazionale al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato nel territorio nazionale. Le parti elimineranno tutte le infrastrutture esistenti per il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale.

Le Parti non addestreranno personale militare e civile di paesi non dotati di armi nucleari all’uso di tali armi. Le parti non conducono esercitazioni e addestramento di forze polivalenti, compreso lo sviluppo di scenari con l’uso di armi nucleari.

 

Articolo 8.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data di ricezione dell’ultima notifica scritta dell’attuazione delle necessarie procedure nazionali da parte delle Parti.

Fatto in duplice esemplare, ciascuno in lingua russa e inglese, entrambi i testi facenti ugualmente fede.

 

 

Per la Federazione Russa

Per gli Stati Uniti d’America

17/12/2021 13:26

ACCORDO SULLE MISURE DI SICUREZZA DELLA FEDERAZIONE RUSSA E DEGLI STATI MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DELL’ATLANTICO DEL NORD

Progetto

La Federazione Russa e gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), di seguito denominati i Partecipanti,

riaffermando la volontà di migliorare le relazioni e approfondire la comprensione reciproca;

Riconoscendo che per rispondere efficacemente alle sfide moderne e alle minacce alla sicurezza in un mondo interdipendente, è necessario unire gli sforzi di tutti i Partecipanti;

Convinti della necessità di prevenire attività militari pericolose e ridurre così la probabilità che si verifichino incidenti tra le proprie forze armate;

rilevando che gli interessi di sicurezza di ciascun Partecipante richiedono di aumentare l’efficacia della cooperazione multilaterale, rafforzare la stabilità, la prevedibilità e la trasparenza in campo politico-militare;

riaffermando il loro impegno nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e della cooperazione in Europa, dell’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche, sulla cooperazione e sulla sicurezza tra la Federazione Russa e il Trattato Nord Atlantico Organizzazione del 1997, il Codice di condotta relativo agli aspetti di sicurezza politico-militare del 1994, la Carta per la sicurezza europea del 1999 e la Dichiarazione di Roma “Relazioni NATO-Russia: una nuova qualità” dei Capi di Stato e di governo della Federazione Russa del 2002 e Stati membri della NATO;

hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1.

I partecipanti alle loro relazioni sono guidati dai principi di cooperazione, eguale e indivisibile sicurezza. Non rafforzano la loro sicurezza individualmente, nel quadro di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione a scapito della sicurezza degli altri.

I partecipanti alle reciproche relazioni si impegnano a risolvere pacificamente tutte le controversie internazionali, nonché ad astenersi da qualsiasi uso della forza o dalla minaccia di un suo uso in qualsiasi modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.

I Partecipanti si impegnano a non creare condizioni o situazioni che possano rappresentare o essere considerate come una minaccia alla sicurezza nazionale degli altri Partecipanti.

I partecipanti eserciteranno moderazione nella pianificazione militare e durante le esercitazioni per ridurre i rischi di possibili situazioni pericolose, aderendo agli obblighi previsti dal diritto internazionale, compresi quelli contenuti negli accordi intergovernativi sulla prevenzione degli incidenti in mare al di fuori delle acque territoriali e nello spazio aereo sovrastante , nonché negli accordi intergovernativi sulla prevenzione di attività militari pericolose.

Articolo 2.

Per risolvere problemi e risolvere situazioni problematiche, i Partecipanti utilizzano meccanismi di consultazioni urgenti su base bilaterale e multilaterale, compreso il Consiglio Russia-NATO.

I partecipanti su base regolare e volontaria si scambiano valutazioni delle minacce moderne e delle sfide alla sicurezza, forniscono informazioni reciproche su esercitazioni e manovre militari, le principali disposizioni della dottrina militare. Al fine di garantire la trasparenza e la prevedibilità delle attività militari, vengono utilizzati tutti i meccanismi e gli strumenti esistenti di misure volte a rafforzare la fiducia.

Per mantenere i contatti di emergenza tra i Partecipanti, sono organizzate linee telefoniche “calde”.

Articolo 3.

I partecipanti confermano di non vedersi l’un l’altro come avversari.

I partecipanti mantengono un dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi di prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sopra di esso (principalmente nel Baltico e nella regione del Mar Nero).

Articolo 4.

La Federazione Russa e tutti i partecipanti che dal 27 maggio 1997 erano stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, di conseguenza, non dispiegano le loro forze armate e armi sul territorio di tutti gli altri stati europei, oltre alle forze di stanza in questo territorio dal 27 maggio 1997 anno. In casi eccezionali, quando si verificano situazioni legate alla necessità di neutralizzare la minaccia alla sicurezza di uno o più Partecipanti, tali collocamenti possono essere effettuati con il consenso di tutti i Partecipanti.

Articolo 5.

I Partecipanti escludono il dispiegamento di missili a terra a medio e corto raggio in aree da cui sono in grado di colpire bersagli sul territorio di altri Partecipanti.

Articolo 6

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, accettano obblighi che precludono un ulteriore allargamento della NATO, inclusa l’adesione dell’Ucraina, così come di altri stati.

Articolo 7.

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, si rifiutano di condurre qualsiasi attività militare sul territorio dell’Ucraina, così come in altri stati dell’Europa orientale, della Transcaucasia e dell’Asia centrale.

Al fine di escludere il verificarsi di incidenti, la Federazione Russa e i partecipanti che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico non condurranno esercitazioni militari e altre attività militari al di sopra del livello di brigata in una striscia di larghezza e configurazione concordate su ciascun lato del la linea di confine della Federazione Russa e gli stati che sono con essa in un’alleanza militare, nonché i membri che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.

Articolo 8.

Il presente Accordo non pregiudica e non sarà interpretato come lesivo della responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, nonché i diritti e gli obblighi dei membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Articolo 9.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data in cui le notifiche di consenso ad essere vincolati da più della metà degli Stati firmatari sono depositate presso il depositario. Per quanto riguarda uno Stato che ha dato tale notifica in una data successiva, il presente Accordo entrerà in vigore alla data della sua trasmissione.

Ciascuna Parte del presente Accordo può recedere dallo stesso inviando l’apposita notifica al depositario. Il presente Accordo termina per tale Partecipante [30] giorni dopo il ricevimento di detta notifica da parte del depositario.

Il presente Accordo è stato redatto in russo, inglese e francese, i cui testi fanno ugualmente fede, ed è conservato negli archivi del depositario, che è il governo…

Fatto in [città …] [XX] giorno [XXX] mese [20XX].

Stati Uniti! Percorsi paralleli…per ora_Con Gianfranco Campa

Qualsiasi formazione sociale, prima o poi, è costretta ad affrontare una situazione di crisi della propria classe dirigente e del corrispondente ceto politico. La dinamica di queste crisi è una particolare cartina di tornasole utile a definire queste fasi di transizione come un percorso di declino oppure di trasformazione attiva e rigeneratrice. Un indizio significativo è la capacità di ricambio e rinnovamento di soggetti promotori e protagonisti. Negli Stati Uniti stiamo assistendo a due tendenze apparentemente contraddittorie. Da una parte, nel campo democratico e neoconservatore, alla parziale riproposizione di personaggi in grado di proporre spartiti ormai ripetitivi e desueti; maschere consunte ormai in grado di incantare, con la loro narrazione e in un quadro di degrado morale e di corruzione di costumi sterili, fasce sempre più ristrette di pubblico; dall’altra ad una dinamica del confronto politico tra due forze che, impossibilitate a comunicare e incapaci di definire un terreno comune di gioco, ormai procedono lungo percorsi paralleli sino a creare luoghi propri e separati di comunicazione, di organizzazione sociale, propri canali di finanziamento. Una situazione che non potrà protrarsi ancora per troppo tempo, pena il disfacimento dell’attuale formazione socio-politica statunitense. Una situazione che potrà trovare una soluzione di continuità quando una delle parti avrà saputo completare la propria fase di rinnovamento e di formazione di una classe dirigente e di un ceto politico presentabile e convincente. Al momento è il movimento legato a Donald Trump ad avere più prospettive di successo e a offrire una qualche prospettiva realistica a quel paese. Il fatto che una parte dell’establishment sempre più significativa abbia preso atto di questa dicotomia e stia scegliendo, a differenza di quattro anni fa, quest’ultima componente rivela il carattere ormai strutturato del movimento. Si vedrà se a questa maggiore solidità corrisponderà altrettanta coerenza e saldezza politica. L’oggetto del contendere sono l’accettazione o meno della coesistenza in un mondo multipolare ormai consolidato e le modalità costitutive di una formazione sociale sufficientemente coesa e dinamica. Due temi sempre più presenti in quella nazione e sempre più evanescenti nel nostro amato e decadente Bel Paese. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

NB_ Abbiamo il fondato sospetto, quasi la certezza, che You Tube, in buona compagnia con piattaforme dello stesso orientamento, manipolano pesantemente i dati di accesso e la condivisione di testi e video. Suggeriamo, quindi, di digitare in maniera preferenziale la piattaforma di rumble, indicata con il link dedicato. Quando disporremo di altri mezzi attingeremo ad una fonte del tutto autonoma

https://rumble.com/vqpy3f-stati-uniti-e-i-percorsi-paralleli-con-gianfraco-campa.html

Stati Uniti! Vittorie di Pirro_con Gianfranco Campa

Non sarebbe la prima volta che una vittoria, oscurata per altro da sospetti giustificati, si può trasformare rapidamente in una sconfitta, addirittura in una rotta catastrofica. Ne sta prendendo atto la classe dirigente statunitense. Il gruppo dirigente democratico considera ormai la presidenza Biden-Harris una parentesi da chiudere e da contenere con il minor danno possibile. Confermata la pochezza disarmante di Kamala Harris, ormai il gruppo dirigente democratico sta pensando alle possibili alternative senza provocare ulteriori conflitti distruttivi. Nell’altro versante i neocon sembrano prendere atto della loro sconfitta e del loro drammatico isolamento. Considerano Trump non più un nemico, ma una risposta inadeguata a problemi reali. Stanno quindi pensando ad una tattica di condizionamento ed infiltrazione. Dal loro cappello iniziano a spuntare conigli e personaggi di varia umanità, medici dalla propensione istrionica, personaggi costruiti sulle scene televisive, proprio quando il movimento trumpiano sta superando brillantemente la propria dipendenza dal personaggio pubblico e si sta trasformando in una corrente strutturata, memore delle esperienze e delle debolezze della sua fase originaria legata ai Tea Party. Tattiche e strategie che tengono in poco conto l’accavallarsi di problemi, dalle caratteristiche a volte disgustose, perverse e di crisi che stringe drammaticamente i margini di azione e rivela i limiti di indirizzo politico di una classe dirigente ormai priva di autorevolezza e credibilità ma ancora con un enorme potere. La combinazione perversa di ambizioni smisurate e drammatica inadeguatezza è una miscela esplosiva. La tentazione di colpi di mano dalle conseguenze drammatiche si insinua pericolosamente, sia all’interno che all’esterno del paese. Il focolaio dell’Ucraina potrebbe essere la prima miccia disponibile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB_ Abbiamo il fondato sospetto, quasi la certezza, che You Tube, in buona compagnia con piattaforme dello stesso orientamento, manipolano pesantemente i dati di accesso e la condivisione di testi e video. Suggeriamo, quindi, di digitare in maniera preferenziale la piattaforma di rumble, indicata con il link dedicato. Quando disporremo di altri mezzi attingeremo ad una fonte del tutto autonoma

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UE, Italia, Francia, Germania! Il triangolo imperfetto_di Giuseppe Germinario

Grande emozione e tanta enfasi tra i protagonisti della firma del trattato del Quirinale. Peccato che a così grandi aspettative ostentate non sia corrisposta una corrispondente ed adeguata attenzione nella stampa italiana, relegata ben addentro alle pagine interne, alle spalle della scontata sequela su green pass e coronavirus; sorprendentemente almeno un qualche minimo accenno nella stampa transalpina. Un oscuramento che stigmatizza intanto un aspetto: la credibilità di Draghi, evidentemente, non coincide e non ha un effetto di trascinamento significativo su quella dell’Italia; il destino e le fortune politiche di uno sono evidentemente separati da quelli dall’altra. Il dubbio che il segno politico concreto dell’iniziativa si discosti pesantemente dall’immagine e dalla narrazione che si è voluto offrire si insinua nelle menti meno coinvolte dalla propaganda; tutto questo a cominciare dalla forma stessa adottata prima ancora di entrare ad esaminare i contenuti. Il valzer iniziato con il trattato bilaterale di Aquisgrana tra Francia e Germania nel 2019 e proseguito con quello odierno sottoscritto da Francia e Italia richiama l’immagine di un triangolo incompiuto.

Per essere un direttorio autorevole armato della volontà di imprimere una svolta al processo di costruzione della Unione Europea nella forma avrebbe dovuto concludersi con un accordo trilaterale o quantomeno con un ulteriore bilaterale tra Italia e Germania dai contenuti del tutto corrispondenti a quello di Aquisgrana; per essere un sodalizio latino-mediterraneo credibile in grado di sostenere il confronto con le altre due aree geopolitiche costitutive della UE avrebbe dovuto comprendere almeno la Spagna, per quanto ancora essa dibattuta storicamente tra Francia e Germania.

Nel primo caso la coerenza avrebbe richiesto tutt’al più un accordo tra capi di governo tale da definire le condotte nel Consiglio Europeo e in sede di Commissione Europea, quindi nelle sedi preposte; nel secondo avrebbe sancito definitivamente anche nella forma l’Unione Europea come il terreno di confronto e cooperazione tra stati nazionali raggruppati in sfere di influenza e di interessi più omogenei.

La scelta più o meno consapevole di adottare la forma così impegnativa e costrittiva del trattato tra stati sotto le spoglie del lirismo europeista avulso e nemico degli stati nazionali non fa che accentuare i limiti, i vincoli e le ambiguità della costruzione europea tali da rimuovere piuttosto che porre chiaramente sul terreno e possibilmente risolvere i problemi e i conflitti latenti, sino a renderli progressivamente dirompenti; con il risultato finale di rivelare finalmente nella NATO più che nella UE il reale fattore, per altro esogeno, di relativa coesione politica di gran parte del continente. In mancanza saranno i trattati stessi ad essere progressivamente svuotati di contenuti o dimenticati.

I rapporti di cooperazione rafforzata, pur nella loro ambiguità, sono qualcosa di diverso e di poco compatibile con la forma del trattato, checché ne dicano gli estensori di quest’ultimo, in quanto riconoscono implicitamente la trasversalità interna agli stati del confronto politico ed esplicitamente la loro coerenza e subordinazione agli indirizzi della Commissione Europea. I due trattati, in particolare quello più esteso e specifico tra Italia e Francia, di fatto formalizzano ed irrigidiscono il confronto tra stati all’esterno del circuito istituzionale.

Dubbi e riserve che non sono affatto attenuati dall’esame del merito delle clausole, pur avendo queste ultime più la forma di una dichiarazione di intenti che di impegni cogenti in entrambi i trattati, ma maggiormente in quello franco-tedesco.

Quest’ultimo deve pagare certamente pegno alla funzione di apripista, ma può permettersi di indugiare maggiormente nella retorica europeista grazie al ruolo di leadership locale dei due paesi.

Essendo carenti di aspetti cogenti e piuttosto pleonastici nella stesura, non rimane che individuare nell’enfasi attribuita ai singoli aspetti le diversità, le affinità e soprattutto le intenzioni riposte in questi due atti in attesa di conoscere i protocolli aggiuntivi, sempre che siano resi disponibili.

In quello di Aquisgrana prevale nettamente l’enfasi sul ruolo del sodalizio franco-tedesco nell’agone mondiale, con la ciliegina della richiesta velleitaria di un seggio alemanno all’ONU; nell’esplicita richiesta di coinvolgimento delle Germania nell’area subsahariana con un effetto solo secondario di trascinamento della UE.

Riguardo al contesto europeo la postura generale franco-tedesca è quella di due paesi impegnati a determinare genericamente gli indirizzi e l’organizzazione della Unione Europea; quella del trattato quirinalizio è piuttosto di due paesi impegnati ad adeguarsi all’indirizzo, specie giuridico, della Comunità, per quanto si possa parlare di indirizzo giuridico coerente di essa.

L’unico afflato europeista decisamente retorico presente in quello di Aquisgrana viene riservato alla collaborazione ed integrazione persino giuridica delle aree transfrontaliere, in particolare dei distretti; un vecchio cavallo di battaglia della retorica europeista non a caso più incisivo e pernicioso nei confronti dell’organizzazione statale francese che di quella teutonica.

Un ambito curato anche in quello italo-francese ma senza enfasi ed articolato in ambiti più definiti tra i due stati.

Un altro ambito comune trattato nei due accordi riguarda la forza e il complesso industriale militare.

In quello franco-germanico il tono è più generico ed enfatico; nell’altro è più scontato e precisato.

La ragione del primo risiede sicuramente nei trascorsi storici particolarmente drammatici tra i due paesi, come pure nella loro collocazione, con la Francia dibattuta in tre scenari geografici, dei quali uno prettamente terraneo dal quale sono arrivati i guai peggiori. Sono però il presente e le prospettive future a dettare le scelte. Al destino manifesto di duratura concordia verso una meta ed una casa comune annunciato nel patto corrisponde un percorso a dir poco contraddittorio se non controcorrente. A fronte di un paio di progetti industriali integrati in stato di avanzamento corrisponde lo stallo totale in materia di controllo e gestione dell’armamento strategico nucleare, di gestione delle comunicazioni, di indirizzo e addestramento comune delle due forze militari e di sviluppo di una logistica comune. Poca cosa rispetto a progetti più importanti (Gaia, il nuovo caccia europeo, semiconduttori, ect) in colpevole ritardo, ancora ai prodromi, con un divario terribile da colmare; troppo presto per distinguere il fumo dall’arrosto, la velleità dalla volontà. Il paradosso maggiore risiede in una Germania che di fatto predilige il coordinamento e l’integrazione militare con paesi come l’Olanda, la Repubblica Ceca e la Danimarca e di un corpo militare francese assai poco disposto a condividere i propri asset strategici, specie nel nucleare, nella missilistica e in aviazione, per quanto fragili e malconci, con un paese quasi del tutto privo di conoscenze in quei settori.

Dal lato italico il quadro generale della cooperazione ed integrazione militare appare almeno in apparenza molto più scontato con la parte francese che dimostra di avere le idee molto chiare e gli italiani a giocare di rimessa e limitare i danni quando non arriva a infliggersi la zappa sui piedi. La tradizione tutta italica di adesione a qualsivoglia avventura militare occidentale in giro per il mondo e di delega agli organismi internazionali delle decisioni non fanno che alimentare queste altrui aspettative. Lo si nota già nelle facilitazioni previste alla mobilità delle truppe molto più fruttuose per la Francia, visti i suoi interessi nel Mediterraneo, che per l’Italia, assente nello scenario Atlantico e renano. La decisione, improvvida quantomeno nei tempi, di affidare integralmente all’ESA (Agenzia Spaziale Europea) la gestione dei propri fondi del settore spaziale, presa dal quel campione dell’interesse nazionale del Ministro Colao, nonché l’esito nefasto del tentativo di controllo dei cantieri navali francesi STX da parte di Fincantieri, non fa che confortare ulteriormente questa impressione di subordinazione ed ignavia ormai ben sedimentata.

Non a caso l’intervento comune in questi ambiti sia specificato molto meglio nel trattato franco-italiano.

I due anni trascorsi tra un trattato e l’altro hanno con ogni evidenza modificato notevolmente il contesto che ha portato alla loro stesura.

Allora si trattava di contrapporre un polo europeista a guida franco-tedesca all’anomalia della politica estera trumpiana, all’insorgere dell’ondata “sovranista” in Italia, in Ungheria e alla Brexit.

Oggi si tratta di riportare nell’alveo dell’eterno confronto-scontro della competizione franco-tedesca la progressiva formazione di almeno tre aree culturali e di cooperazione distinte di stati europei. In queste sono comprese quella costitutiva dell’Europa Orientale e dei paesi sede di paradisi fiscali (Irlanda, Austria, Olanda) controllata con sempre maggiore difficoltà dalla Germania; l’altra latino-mediterranea, potenzialmente dirompente, ma tutta da inventare, comprensiva almeno di Italia, Spagna e Francia.

Una prima lettura dell’accordo italo-francese potrebbe indurre a coltivare l’illusione di un’area così strategica.

La diversa qualità del ceto politico, delle classi dirigenti e degli assetti istituzionali dei due paesi e il pesante ed evidente squilibrio tra questi dovrebbero ricondurci a considerazioni più prosaiche e prudenti.

Se a questo si aggiunge il sostegno entusiastico espresso dall’amministrazione Biden, parecchi altri dubbi dovrebbero dissolversi sulla reale natura dell’accordo. Un paese che non riesce e la sua corrispondente amministrazione che, a differenza di Trump, probabilmente nemmeno intende districare il groviglio di interessi economici che la avviluppano alla Cina, principale avversario-nemico strategico, con il suo appoggio all’accordo intende paradossalmente, ma non troppo, non tanto inibire tentazioni autonome pressoché velleitarie della classe dirigente tedesca dalla leadership americana a favore delle relazione con cinesi e russi, quanto di farle capire e ricordare che gli indirizzi e gli impulsi geoeconomici relativamente autonomi devono ormai sempre più essere ricondotti e sottomessi alle dinamiche geopolitiche di un contespo multipolare.

Il trattato di Aquisgrana ha seguito infatti metodi e significati opposti rispetto a quello dell’Eliseo del 1963 allorquando fu snaturato nel significato solo dal repentino voltafaccia tedesco sotto pesante pressione americana e vide l’esclusione dell’Italia, per il suo eccessivo e cieco filoatlantismo.

IL RAPPORTO TRA ITALIA E FRANCIA

Il giudizio sul “trattato del Quirinale” non può differire di molto dal suo equivalente di due anni fa.

Vi è un punto in realtà realmente qualificante per i due paesi e disconosciuto nei commenti: l’attenzione riservata al settore agricolo. Sia l’Italia che la Francia fondano gran parte del proprio investimento in agricoltura sul prodotto tipico con un relativo ridimensionamento da parte francese, anche per ragioni di ambientalismo liturgico, di alcune produzioni intensive di allevamento e vegetali su vasti territori e con una significativa riduzione negli ultimi tempi dei contributi finanziari europei elargiti di fatto a compensazione del sostegno finanziario francese alla Unione Europea. Un aspetto che mette in concorrenza tra loro le economie agricole dei due paesi, ma che li spinge a fare fronte comune contro la Commissione Europea tutta impegnata a penalizzare questo tipo di coltivazione.

Paradossalmente, quindi, più un fattore di polarizzazione all’interno della UE che di coesione.

Per il resto la sospensione di giudizio sul trattato pende purtroppo a sfavore di un rapporto più equilibrato tra i due paesi.

La Francia infatti dispone ancora a differenza dell’Italia:

  • di una organizzazione statale, pur insidiata dal regionalismo europeista, ancora sufficientemente centralizzata, con la presenza di una classe dirigente e dirigenziale compresa quella militare, preparata e in buona parte diffidente se non ostile all’attuale presidenza, tale da consentire la definizione e il perseguimento di una strategia; quella italiana in antitesi è frammentata e ridondante nelle competenze in modo tale da consentire flessibilità e capacità di adattamento passivo e reazione surrettizia;

  • di una grande industria strategica, pubblica e privata, anche se fragilizzata, specie nell’aspetto finanziario, da alcune scelte imprenditoriali e tecnologiche sbagliate; l’Italia, dal canto suo, continua a vivere e ad emergere in qualche maniera grazie alla presenza prevalente della piccola e media industria in gran parte però dipendente produttivamente da circuiti produttivi e imprenditoriali stranieri;

  • di un sistema universitario riorganizzato in sei grandi poli in grado di offrire nuovamente, rispetto a questi ultimi anni, una buona formazione e specializzazione tecnico-scientifica. Il numero e la qualità di ingegneri e ricercatori ha infatti ricominciato a risalire;

  • di un sistema finanziario e bancario più centralizzato e indipendente reso possibile dalla presenza della grande industria, da una gestione coordinata delle risorse finanziarie ricavate dalle attività agricole e dalla rendita monetaria garantita dalla gestione dell’area africana francofona; un vantaggio che le ha consentito di codeterminare, assieme alla Germania, anche se in posizione subordinata, le regole europee di regolazione del sistema bancario e finanziario con la supervisione statunitense;

  • di un sistema di piccole e medie imprese, al contrario il quale, a differenza di quello italiano, sta rasentando l’irrilevanza e trascinando il paese verso un cronico deficit commerciale e dei pagamenti, sempre meno compensato dalla fornitura di servizi evoluti e che costringe sempre più il paese ad assorbire la propria rendita finanziaria e a dipendere ulteriormente dai dictat tedeschi e dalle scorribande e acquisizioni americane. Con un peso dell’industria che non arriva nemmeno al 18% del prodotto francese, non a caso la stampa transalpina batte ormai da anni sul problema della reindustrializzazione del paese come fattore di coesione sociale, di riduzione degli enormi squilibri territoriali e di acquisizione di potenza. Un elemento che dovrebbe mettere sotto altra luce il lirismo professato a piene mani nel trattato sui propositi di collaborazione, integrazione e scambio imprenditoriali in questo ambito. Qualcosa di particolarmente evidente assurto agli onori della cronaca nel settore automobilistico in un rapporto di gran lunga peggiorativo rispetto a quello detenuto dalla componentistica italiana rispetto all’industria tedesca.

Una situazione non irreversibile a patto di avere una classe dirigente e un ceto politico non genuflesso e capace.

Per concludere giudicare l’accordo franco-italiano soprattutto dal punto di vista propagandistico e dal vantaggio di immagine offerto a Macron in vista delle prossime elezioni presidenziali risulta troppo limitativo se non proprio fuorviante. Tant’è, come già sottolineato, che la stampa francese lo ha del tutto ignorato, quella italiana lo ha glissato e relegato, per altro per breve termine, nelle pagine interne.

Il peso politico di questo accordo rischia di essere molto più soffocante per l’Italia, soprattutto per la qualità della nostra classe dirigente che prescinde dalla validità di numerosi suoi esponenti spesso relegati in funzioni periferiche e di second’ordine, ma anche purtroppo del nostro ceto politico nella sua quasi totalità.

Una ulteriore cartina di tornasole della direzione, oltre alla già citata decisione nel settore aerospaziale a favore dell’ESA presa da Colao & C., sarà l’esito de:

  • la vicenda TIM dove si prospetta il pericolo di una divisione dei compiti tra la gestione americana della rete strategica e quella francese del sistema multimediale italiani con la eventuale compartecipazione, bontà loro, italiana

  • la vicenda OTO-Melara con la possibile cessione ad un gruppo industriale del complesso militare franco-tedesco.

Chissà se questa volta sarà sufficiente per la nostra sopravvivenza la capacità tutta italica di adeguamento passivo e di atteggiamento erosivo così brillantemente esposto da Antonio de Martini. In mancanza non resterà che sperare nel “buon cuore” statunitense, possibilmente preoccupato di un dominio franco-tedesco che potrebbe indurre dalla condizione di dipendenza privilegiata a giungere realmente ad una forma di qualche indipendenza politico-economica dall’egemone americano e di rivalsa rispetto al tradimento britannico della Brexit. Nel caso ancora più nefasto, il placet americano così entusiasta al trattato del “Quirinale” potrebbe essere il segnale di via libera ad una aggregazione dell’Italia nel tentativo di mantenere una parvenza di influenza della Francia nell’Africa francofona; soprattutto di uno spolpamento definitivo del Bel Paese, anche come compensazione dell’affronto subito dalla Francia ad opera di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia sulla faccenda dei sommergibili e sulla sua silenziosa esclusione di fatto dal quadrante strategico del Pacifico, pur essendo lì presente con qualche residuo coloniale. A meno di un tracollo di Macron e della macronite. Solo a quel punto il giochino a fasi alterne, tra i tanti passi quello di affidare la maggior parte dei comandi militari nella periferia della NATO alla forza militare più limitata ed infiltrata, la Germania e al potenziale ribelle qualche pacca e qualche osso, potrà richiedere qualche nuova variante.

NB_Qui sotto il testo dei due trattati oggetto dell’articolo

aquisgrana 2019

TRATTATO DEL QUIRINALE ITA FRANCIA

una polemica giustificata_a cura di Giuseppe Germinario

La stampa italiana, nella quasi totalità è ridotta ad una grancassa di livello miserabile. A maggior ragione serve ascoltare altre campane_Giuseppe Germinario
Maria Zhakarova risponde a Molinari di Repubblica:
“Ho letto con entusiasmo il Suo articolo, dottor Maurizio Molinari, su Repubblica. Era da molto tempo che non vedevo un’assurdità così deliziosa.
Capisco perché nessuno della Sua redazione lo abbia firmato e Lei si sia assunto in prima persona la responsabilità di questa vergognosa missione. Nessun giornalista che si rispetti vorrebbe il suo nome sotto il titolo “Carri armati e migranti: la morsa di Putin sull’Europa”.
Andiamo per ordine.
L’articolo dice: “…abbiamo visto l’arrivo di unità militari russe al confine con l’Ucraina: stiamo parlando di almeno 90.000 uomini con relativi mezzi blindati ed artiglieria… l’esercito ha stabilito una base a Yelnya, 260 km a nord del confine ucraino”.
Probabilmente, dottor Molinari, Lei ha ascoltato le affermazioni statunitensi secondo cui la Russia starebbe concentrando truppe al confine con l’Ucraina, ma non ha letto il comunicato ufficiale del Ministero della difesa ucraino, che smentisce le fobie statunitensi. Lei per definizione chiaramente ignora la posizione di Mosca. E perché dovrebbe, quando può scrivere della “creazione di una base con mezzi blindati ed artiglieria a Yelnya” senza alcun fact-checking. Non c’è nessuna base. Nel nostro Paese non esistono affatto basi militari. Esiste la dislocazione di unità delle forze armate russe sul nostro territorio nazionale. E questo è assolutamente un nostro diritto sovrano, che non viola gli impegni internazionali assunti e appartiene, come, tra gli altri, ama dire la NATO, alle “attività di routine”.
Ma il Suo sproloquio sulla realtà russa non finisce qui. Lei scrive che Yelnya si trova a km. 260 dal confine ucraino. E dunque i nostri carri armati sono sul confine o a km. 260 da esso? Se il direttore di Repubblica ha un’idea confusa di dove sia Yelnya (anche se non lo credo, visto che le ha dedicato un intero articolo) forse sarà più informato sulla collocazione della Svizzera tra Francia e Italia. E la distanza è addirittura inferiore ai 260 km. Ma non è che domani la Repubblica scriverà che Berna è a un passo dall’attaccare Italia e Francia contemporaneamente, visto che tutte le truppe svizzere sono più vicine ai confini di questi Paesi di quanto non sia Yelnya all’Ucraina?
Il difetto di tale logica non sembra ovvio ai lettori del Suo giornale Repubblica? Quello che Lei si permette di fare non è consentito a un giornalista perbene.
“… Nel 2014 la Russia intervenne dopo la sconfitta nelle presidenziali ucraine del candidato da lei sostenuto…. Ora la minaccia di invasione punta a tenere sotto scacco il nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky” – prosegue l’articolo.
E chi sarebbe il “candidato della Russia” che avrebbe perso le elezioni nel 2014? Si riferisce a Yanukovych? Candidato non della Russia, ma delle regioni sud-orientali dell’Ucraina. E non ha perso, ha vinto, e non nel 2014, ma nel 2010. Inoltre, aveva vinto le elezioni precedenti, nel 2004. Ma per impedirgli di andare al potere allora, l’opposizione ucraina, sostenuta dai protettori occidentali, ha escogitato una procedura inconcepibile, una parodia della democrazia – un “terzo turno” di elezioni, e ha fomentato una “rivoluzione arancione”, trascinando Victor Yushchenko alla presidenza dell’Ucraina. E nel 2010 Viktor Yanukovych ha vinto di nuovo, con un ampio sostegno dalle regioni del sud-est dell’Ucraina, ma l’Occidente non ha avuto alcuna possibilità di ribaltare di nuovo la scelta del popolo ucraino. Gli USA e l’UE hanno deciso di rimandare il putsch a un momento più favorevole. Momento che si è presentato nel 2013, quando Viktor Yanukovych è diventato improvvisamente immeritevole, rimandando la firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea. Nel giro di un paio di mesi, in Ucraina si è tenuta un’altra “Maidan” sotto la guida degli Stati Uniti, con la sottosegretaria di Stato americano Nuland che distribuiva soldi, panini e promesse di sostegno incondizionato ai “rivoluzionari”. E nel 2014, caro Direttore, Viktor Yanukovych non si è candidato. Ha lasciato l’Ucraina perché se fosse rimasto lì, sarebbe stato ucciso dai radicali ucraini che hanno sparato, picchiato a morte e bruciato centinaia di loro connazionali
La Sua non conoscenza della sostanza della questione è sorprendente.
Anche se mi è piaciuta molto l’espressione “tenerlo sotto scacco” che Lei usa in riferimento alla politica russa in Ucraina e personalmente a Vladimir Zelensky. Prima di tutto è un’espressione bellissima. In secondo luogo, non mi pare che gli scacchi siano vietati, vero? O solo se i russi non vincono?
L’unico problema è che in Ucraina ora non c’è un re, infatti i pedoni possono trasformarsi solo in regine.
La politica della Russia nei confronti della sovranità dell’Ucraina fin dalla sua indipendenza ha avuto come unico obiettivo la costruzione di relazioni di buon vicinato. Quello che è successo nel 2014 in Crimea è qualcosa che spieghiamo di continuo, ma che in Occidente viene costantemente ignorato. Ogni tentativo di esporre i fatti si scontra con “articoli”, simili al Suo, che distorcono la percezione della realtà.
Ma lo ripeterò ancora una volta. Nel 2014, dopo il colpo di stato incostituzionale in Ucraina, ennesimo risultato dell’ingerenza occidentale negli affari di uno stato sovrano, il popolo che vive in Crimea ha fatto la sua scelta storica, è sfuggito al dilagante estremismo nazionalista e illegale tenendo un referendum che in precedenza aveva molte volte cercato di organizzare, ma che gli era sempre stato vietato.
La prossima volta che sulle pagine del Suo giornale apparirà qualcosa sulla “volontà illegittima del popolo di Crimea”, siate così gentili da ricordare ai lettori che in Kosovo non c’è stato assolutamente alcun referendum, ma i Paesi occidentali, compresa l’Italia, ne hanno riconosciuto la “sovranità”. E questo nonostante la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che indica esplicitamente l’integrità territoriale della Serbia, intendendo il Kosovo come parte di essa.
Veniamo ora ai migranti: “Putin crea parallelamente un’altra situazione di crisi sostenendo il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko nella decisione di far arrivare migliaia di migranti da Asia e Medio Oriente fino alla frontiera polacca per creare un nuovo, esplosivo, fronte di attrito con l’Unione europea”.
Signor Molinari, pare che Lei abbia letto molti “rapporti dal campo” polacchi visto che ripete come un mantra tutte queste infinite accuse contro Alexander Lukashenko e per qualche motivo contro il presidente russo per aver “creato un esplosivo fronte di attrito” e una “situazione di crisi”. Ma dice sul serio?
Viene voglia di rimandarla al sito del Ministero dell’Interno italiano, in particolare alla sezione “Statistiche dell’immigrazione”. Bene, questo meraviglioso sito web italiano è stato recentemente aggiornato e scrive nero su bianco che il numero di migranti che vengono maltrattati attraverso il confine dalle forze dell’ordine polacche non è niente in confronto al numero di clandestini dall’Africa lasciati entrare nell’UE attraverso il suo territorio dalla sola Italia. In soli tre giorni di novembre: più di duemila persone. Dall’inizio dell’anno – quasi 60 mila (e molti di loro attraverso la Libia devastata dall’occidente, di cui parleremo in seguito). Gli attuali eventi sul Bug sono solo una vivida immagine (che però dimostra chiaramente fino a che livello di disumanità possono arrivare le guardie di frontiera di uno stato membro dell’UE).
Ora la domanda è: quando Repubblica scriverà che gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno “creato un esplosivo fronte di attrito e una situazione di crisi in Europa” con le loro azioni folli?
Bruxelles dovrebbe cercare le vere cause della crisi migratoria dell’UE nelle vecchie dichiarazioni dei leader della coalizione anti-Iraq, anti-Libia, dei capi di stato e di governo di quei paesi che hanno istigato la “primavera araba” e per 20 anni in Afghanistan hanno fatto non si sa cosa.
L’articolo prosegue così: “è interessante come tutto ciò coincida con l’imminente inaugurazione del Nord Stream 2, che aumenterà la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas russo, e con l’ostilità di Mosca a raggiungere accordi sul clima…”
Qualche parola sul gas, sulla “dipendenza dell’Europa” e sull’ecologia, visto che ha deciso di mettere insieme più o meno tutti i temi all’ordine del giorno (in quello che chiama “editoriale”). L’Italia da sola riceve fino a 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Russia. Mosca non ha mai tradito o ingannato Roma sulle consegne di gas. Come può in coscienza un giornalista italiano parlare con un tono così becero dei fornitori russi di idrocarburi?
Lei personalmente, dottor Molinari, non ama il gas russo? Molto bene. Ho una grande idea: Maurizio per protesta riscaldi la sua casa con copie de “La Repubblica”.
Chi Le dà il diritto di insultare il nostro Paese con calunnie nauseanti? È alla ricerca dello scoop? Ho una super esclusiva per Lei. Pubblichi una frase di verità sul Suo giornale: “Non c’è fornitore di gas all’Europa più affidabile della Russia”.
Ora parliamo della “dipendenza”, una parola di cui chiaramente non capisce il significato. La vita di tutti noi dipende da un numero enorme di cose, senza le quali cesseremmo di esistere: acqua, sole, ossigeno, ecc. Questo La fa impazzire? Per quanto riguarda il gas russo, la situazione è molto più certa dei terremoti in Sicilia o dell’acqua alta a Venezia : il gas c’è, c’era e ci sarà. La smetta di confondere i lettori e di farsi prendere dal panico.
Gioisca per ogni nuovo giorno, anche se tutto in questo mondo è interdipendente: le persone dipendono l’una dall’altra, la vita dipende dal sole, le piante dall’acqua.
Fondamentalmente non ha senso commentare i Suoi giudizi sulle politiche ambientali della Russia: le nostre priorità in questo settore (molto avanzate anche per gli standard europei) sono state enunciate dal presidente russo nell’ambito degli eventi multilaterali ad alto livello conclusisi di recente. Per favore, dottor Molinari, quando si occupa dell’agenda russa, segua almeno le dichiarazioni che vengono fatte nel Suo Paese. Nel suo videomessaggio al vertice del G20 (tenutosi a Roma, Maurizio!) il presidente Putin ha detto senza mezzi termini: “La Russia sta sviluppando a ritmo spedito il settore energetico a basso contenuto di carbonio. Oggi, la quota di energia proveniente da fonti praticamente senza carbonio – e questo include, come sappiamo, il nucleare, l’energia idroelettrica, l’eolico e il solare – supera il 40% e, se aggiungiamo il gas naturale – il combustibile a più basso contenuto di carbonio tra gli idrocarburi – la quota raggiunge l’86%. Questo è uno dei migliori indicatori del mondo. Secondo gli esperti internazionali, la Russia è tra i leader nel processo di decarbonizzazione globale”.
E infine la Libia “…nella tela europea del presidente Putin c’è anche la Turchia … soprattutto per la convergenza di interessi in Libia nel riuscire a scongiurare le elezioni in programma il 24 dicembre per eleggere un governo”.
Qui Le voglio ricordare che la firma del rappresentante russo si trova sotto il documento finale della seconda conferenza di Berlino sulla Libia, e la Russia è una di quelle (poche, a dire il vero) parti che, anche nelle attuali difficili circostanze, hanno promosso la normalizzazione e il dialogo politico nel Paese distrutto dall’Occidente. La Russia ha partecipato ad alto livello (ministro degli esteri Lavrov) alla recente conferenza internazionale sulla Libia a Parigi, e ha concordato la dichiarazione finale. Il ministro ha sottolineato più volte, anche durante discorsi pubblici, che la cosa principale ora è rispettare il calendario che i libici stessi hanno concordato un anno fa, soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento delle elezioni generali, sia presidenziali che parlamentari. Lo vede, spero, che questo contraddice completamente quello che Lei scrive?
Se vogliamo parlare della tela in cui l’Europa è caduta, dovrebbe ricordare come l’Occidente abbia alterato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia. Le ricordo che nel 2011 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva dichiarato una no-fly zone sulla Libia, che è stata utilizzata da alcuni paesi della NATO, non per proteggere i civili, ma per bombardarli, con la conseguente distruzione dello stato libico, il barbaro assassinio di Gheddafi e la pluriennale crisi migratoria in Europa, di cui l’Italia è prima vittima. Non lo sa? Mi contatti, sono sempre disponibile a raccontarLe molte cose interessanti, compreso a quale link corrisponde il sito dell’ONU.
A parte mi soffermo su qualcosa che non balza agli occhi a prima vista. Lei pone la domanda ” come reagirà l’Ue di Macron, Scholz e Draghi alla sfida ibrida russa in pieno svolgimento”.
La risposta è breve: in nessun modo. Non reagiranno in alcun modo, perché non c’è “nessuna sfida ibrida russa”. È un’invenzione, come tutto il Suo articolo. La smetta di alimentare questo mito per entrare nelle grazie di politici russofobi. Rispetti i Suoi lettori. Gli italiani non meritano bugie così sfacciate.”
(Ambasciata della Federazione Russa in Italia e San Marino)

Stati Uniti! Azzardi pericolosi di centri in stato confusionale, con Gianfranco Campa

Due leader in difficoltà ai due lati del Pacifico, ma uno di essi messo decisamente peggio. Un ceto politico che si dimena con sprezzo del ridicolo riuscendo a trasformare le proprie vittime designate in martiri al culmine della popolarità. Un tentativo di recupero dei consensi nella vecchia base elettorale con il rilancio di una politica estera della “working class” che pare una riproposizione in un contesto inidoneo della geopolitica degli anni ’90. Una classe dirigente tentata a contrabbandare qualche concessione nell’immediato con la rinuncia strategica in un contesto multipolare, specie quello indo-pacifico, nel quale sono numerosi e potenti gli attori in grado di condizionare le scelte. Una crisi interna che è prossima a rinunciare anche alle ultime certezze, come nella gestione della pandemia. Nel mezzo alcuni giochi inquietanti e pericolosi, difficilmente controllabili, in corso nei laboratori americani. Rischiamo un’altra Wuhan, questa volta a stelle e strisce? Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vpgzxt-stati-uniti-biden-e-gli-azzardi-pericolosi.html

 

 

Unione Europea tra retorica e realtà_con il professor Augusto Sinagra

La retorica europeista non riesce più a coprire le mancanze e le incongruenze di una organizzazione comunitaria che vorrebbe atteggiarsi ed essere riconosciuta come istituzione statale quando, in realtà, è un apparato amministrativo figlio di trattati che regolano in qualche maniera le dinamiche geopolitiche tra gli stati nazionali europei e soprattutto tra questi e gli Stati Uniti. Quando le questioni regali, proprie delle prerogative sovrane degli stati emergono, immediatamente vengono alla luce le ambiguità e il peccato di origine della Unione Europea. Lo squilibrio tra chi intende mantenere le proprie prerogative e chi, tra questi l’Italia, riesce inopinatamente a rinunciarvi in nome di un lirismo sterile è destinato ad accrescersi ai danni di questi ultimi. La UE è uno strumento di depotenziamento del concerto europeo e a lungo andare una incubatrice di conflitti tanto più perniciosi quanto più rimossi. La rinuncia, anzi la constatazione dell’impossibilità di un qualsiasi ruolo assertivo nelle situazioni di crisi sempre più frequenti ed improvvise trova giustificazioni ormai al limite del patetico. L’imperdonabile ritardo scientifico e tecnologico manifestatosi con la crisi pandemica e la trasformazione digitale in corso viene rimosso con il rifugio consolatorio nella primigenia fasulla della determinazione regolatoria di quei mercati e di quelle emergenze. Al ritardo nelle tecnologie legate alla difesa dell’ambiente e alla diversificazione energetica si reagisce con fughe in avanti foriere di crisi e dissesti esattamente proporzionali alla negazione dei necessari tempi di transizione e di costruzione di una propria capacità industriale. Sarà drammaticamente tardi quando ci si accorgerà di essere vittime del proprio stesso bluff. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vpfp7t-ue-tra-retorica-ed-evidenze-con-augusto-sinagra.html

Credere nella scienza, di Andrea Zhok

L’aspetto più significativo della gestione della crisi pandemica in Italia consiste nella rivelazione strisciante, ma sempre meno rimovibile, della sciatteria del nostro ceto politico dirigente. Una superficialità il cui vortice sta risucchiando anche le cosiddette “riserve della Repubblica”, in primo luogo Mario Draghi e lo stesso Presidente della Repubblica. Questa crisi, in quanto situazione di emergenza, avrebbe potuto consentire nel bene e nel male veri e propri atti di rottura, svolte decisive in una qualche direzione, sia essa positiva o negativa, decisionista o inclusiva, autoritaria o partecipativa, elitaria o democratica. Comunque una direzione precisa il cui presupposto avrebbe dovuto poggiare su un ceto politico ed una classe dirigente capace di assumersi la responsabilità politica esplicita delle decisioni, esplicitando apertamente al cospetto della popolazione l’incertezza della situazione, i limiti di adeguatezza delle istituzioni, il rischio delle decisioni, addirittura l’azzardo di alcune scelte rispetto ad una condizione nuova e sconosciuta almeno alle ultime tre generazioni. Hanno invece preferito nascondersi come pecorelle smarrite dietro un presunto verbo scientifico indiscusso e indiscutibile, vero e proprio ossimoro più consono ad un credo religioso e ad una istituzione inquisitoria che ad una attività che si fonda sulla ricerca continua, sulle conferme e sulle falsificazioni (nella sua accezione epistemologica e procedurale). Verbo in realtà talmente volubile, contraddittorio e condizionato da innumerevoli pressioni ed interessi da logorare l’autorevolezza dei detentori del sapere e da trasformare le sedi dedite in baracconi per esibizionisti e giocolieri di parole. Succede quando il decisore cerca di giustificare le proprie scelte politiche, in quanto tali preposte a definire priorità e residualità, vincitori e perdenti, rifugiandosi ed aggrappandosi alla presunta oggettività e indiscutibilità della scienza, in realtà appoggiandosi alle versioni più “opportune” di esperti veri e presunti riconosciuti istituzionalmente al momento. Una prassi che ha trovato un humus sempre più favorevole nella situazione di degrado, soprattutto istituzionale, del nostro paese, ma che si è trovata la via spianata da una critica inizialmente tutta concentrata sulla natura complottistica di queste scelte piuttosto che impegnata nell’esame del merito di queste, in gran parte scellerate, in una condizione comunque di effettiva emergenza. In questa situazione di crisi, i decisori politici avrebbero potuto scegliere due strade dalla chiara direzione: assumersi la responsabilità diretta delle decisioni operative, come hanno fatto ad esempio in Cina, in Corea; delegare ad esperti queste decisioni sulla base però di priorità ben definite e di verifiche periodiche stringenti della loro efficacia, come fatto ad esempio in Svezia, in Nuova Zelanda. I nostri hanno preferito decidere tutto e il suo contrario, ma assumendo le vesti di semplici portavoce. Sono riusciti nel miracolo di provvedimenti allo stesso tempo draconiani, approssimativi ed indiscriminati. Una situazione paradossale ed inquietante che può realmente spingere ad una dinamica autoritaria e totalitaria più simile, nella farsa tragicomica, alla configurazione di una repubblica delle banane in preda a colpi di mano di élites decadenti ed arroccate che all’avvio di un processo di rigenerazione del paese; comunque adatta a prestarsi a banco di prova. Ne sono conferme ultime il gravissimo e meschino provvedimento di ostracismo a Puzzer e le potenzialità di manipolazione e controllo insite nel Green Pass e soprattutto nelle sue modalità di giustificazione. Meccanismo avviato con straordinaria cialtroneria da Giuseppe Conte II e dalla sua coalizione, nella quale il PD ha avuto la principale responsabilità che paradossalmente è riuscito ad eludere grazie alla compiacenza leghista e proseguito con maggior compiutezza e sagacia. A rimettere il treno sui binari, a prescindere dalla direzione, è arrivato Supermario; la parabola però sembra aver già raggiunto l’apice. In via di logoramento la credibilità acquisita nella gestione della pandemia, a Mario Draghi rimane la carta del ruolo da svolgere nel consesso europeo; è però una carta a tempo, legata in gran parte all’esito delle elezioni in Francia e alla formazione del governo tedesco. Su questo il Presidente del Consiglio ha mostrato di subire comunque qualche precoce segno di contagio della sciatteria imperante con qualche concessione di troppo alla demagogia della Gretina e della “casalinga” di turno elevate al ruolo di “influencer”. Più solida rimane, almeno al momento, la carta della gestione del PNRR. Riguardo a questo potrà contare sulle aperture di credito a prescindere della Commissione Europea e sui tempi di esecuzione di circa cinque anni. La condizione è che riesca ad adeguare, almeno in qualche misura, le modalità operative della macchina amministrativa italiana agli stringenti criteri operativi europei e a integrarvisi. Non è detto purtroppo che ci riesca. Per il resto, se gli andrà bene, ci vorranno cinque anni perché le aspettative dichiarate riposte sul PNRR si rivelino infondate ed emergano chiaramente quelle implicite. Di questi tempi, poter procedere per cinque anni, significa disporre di tempi biblici. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Credere nella scienza

Pubblicato il 2 novembre 2021 alle 18:47

Se c’è una cosa che può mettere a repentaglio ogni residua salute mentale è sentire i supporter del Green Pass che rivendicano di parlare a nome della “Scienza”.

Ora, si può comprendere, psicologicamente, che qualcuno abbia l’incontenibile desiderio di credere alle rassicurazioni del governo per immaginare un “ritorno alla normalità” e che perciò sia disposto a credere a qualunque cosa pur di scrollarsi di dosso la vicenda pandemica.

Che questa spinta psicologica conduca a un abbassamento delle difese critiche è umano, dannoso per sé e per gli altri, ma umano.

Ma rivendicare di essere “dalla parte della scienza” contro, si suppone, il “pregiudizio antiscientifico”, questo è semplicemente troppo.

A ben veder chi prende queste posizioni di solito si esprime dicendo di “Credere nella scienza”, e già l’uso delle parole qui è significativo. Ciò che qui viene invocato sotto il nome della “Scienza” ha più l’aspetto di una versione aggiornata del vitello d’oro: un idolo enigmatico cui prosternarsi e tributare onori nella più perfetta passività. La Scienza sembra essere immaginata come dispensatore di verità rivelate, erogate da una sorta di clero remoto, etereo, neutrale e biancovestito. Della natura reale della scienza, della sua tormentata storia, del fatto che essa debba tutte le sue qualità migliori all’adozione di un metodo critico, che include fallibilità, apertura alla libera discussione e consolidamento solo nel lungo periodo, di tutto ciò non sembrano sapere nulla.

Ecco, se già sentire parlare di “fede nella scienza” appare un ossimoro indigeribile, sentirla invocare a sostegno del Green Pass è cosa da uscirne pazzi.

Fede nella scienza 1

Dall’inizio di questa vicenda si sapeva che i percorsi di approvazione dei vaççini erano stati semplificati e accelerati in modo straordinario e che i contratti di fornitura dei medesimi da parte della case farmaceutiche erano stati secretati.

Già questo per chiunque avesse uno straccio di coscienza scientifica avrebbe dovuto far puntare i piedi, visto che i protocolli di approvazione hanno certe caratteristiche per motivi non arbitrari, radicati nella passata esperienza scientifica; e visto che la secretazione dei contratti (come è emerso successivamente) celava la richiesta di uno scudo contro gli indennizzi da parte della case farmaceutiche, che dichiaravano di non poter garantire per eventuali effetti collaterali a lungo termine.

Eravamo dunque di fronte sin dall’inizio ad un’infrazione della metodologia di ricerca consolidata e a un’evidente opacità da parte dei soggetti stessi che avevano svolto la ricerca.

Rispetto a questi dati si è risposto con l’urgenza di provvedere all’emergenza pandemica, urgenza che giustificava queste procedure “eccentriche”. Ora, questo argomento è discutibile, ma può essere comprensibile, tuttavia è troppo capire che si tratta di un argomento squisitamente politico e non scientifico?

Fede nella scienza 2

Pochi mesi dopo le prime somministrazioni sono cominciati a emergere dati scientifici su svariati effetti collaterali, effetti che non erano presi in considerazione nei dati forniti dalla case farmaceutiche: trombosi atipiche,[1]sindrome di Guillain-Barré,[2] miocarditi (specialmente nei giovani) e pericarditi,[3] ADE (antibody-dependent enhancement),[4] attivazioni o riattivazioni di sindromi autoimmuni.[5]

Qui, il minimo sindacale di buonafede e coscienza avrebbe richiesto di ammettere che eravamo di fronte ad un prodotto farmaceutico di cui effettivamente ignoravamo almeno in parte il livello di possibile nocività.[6]

Rispetto a tutto ciò si è proceduto senza un tentennamento né un dubbio, limitandosi a riversare sull’opinione pubblica tonnellate di rassicurazioni televisive a costo zero. In sostanza le rassicurazioni governative si erano dimostrate malriposte, visto che la sperimentazione pregressa non aveva portato alla luce problemi che successivamente erano stati riconosciuti. Ma tutto ciò non ha smosso foglia né sollevato dubbio.

La più ferrea inamovibilità, sempre nel nome del primato della scienza, ça va sans dire.

 

Fede nella scienza 3

L’introduzione del Green Pass è stata motivata con la clausola che lo si faceva per evitare la diffusione del virus: la motivazione fondamentale dei divieti della certificazione verde stava nell’impedire la trasmissione del contagio. Peccato che già quando il Green Pass era in fase di discussione era perfettamente noto che i soggetti vaççinati potevano trasmettere il virus in maniera o uguale, o almeno comparabile, con i soggetti non vaççinati.[7] Ciononostante si è continuato a propagandare senza pudore un immaginario da untore manzoniano in cui il non vaççinato sarebbe una minaccia per il vaççinato, laddove in effetti il vaççinato è parimenti una possibile minaccia sia per altri vaççinati che, a maggior ragione, per i non vaççinati.

Ma tranquilli, una volta di più era la Scienza a parlare per bocca del governo.

Fede nella scienza 4

Sempre all’insegna della massima trasparenza scientifica si è continuato a negare (e in parte si continua a negare) l’esistenza di cure per il Sars-Cov-2, nonostante l’accumularsi di studi scientifici che dicono il contrario[8] e nonostante molte cure siano entrate nei protocolli sanitari di altre nazioni.

È importante capire qui che c’è un abisso tra l’affermazione che “esistono terapie efficaci” e l’affermazione che “esiste una pillola magica” che fa scomparire il virus. Le cure efficaci esistono, la pillola antivirale magica che fa sparire il virus no (e per i virus in generale è raramente trovata). La trasparenza scientifica avrebbe allora ammesso argomentazioni del tipo: il vaççino è una forma di intervento “cost-effective”, che coinvolge di meno le strutture ospedaliere, e che perciò è preferibile per certi gruppi di persone (ad esempio i soggetti più fragili).

Ma anche qui di trasparenza scientifica non ne abbiamo avuta nemmeno l’ombra: si è fatta una campagna all’insegna del vaççino come sola ed unica salvezza e chi dice altrimenti è un traditore.

Sempre nel sacro nome della Scienza.

Fede nella scienza 5

Successivamente, visto che non volevamo farci mancare nulla, abbiamo cominciato non solo a raccomandare, ma di fatto ad obbligare (con il ricatto del Green Pass) donne incinte a inocularsi dei vaççini che riportavano esplicitamente nelle indicazioni delle case farmaceutiche di non essere stati testati su donne in stato di gravidanza. Anche questo all’insegna del principio di precauzione e delle migliori pratiche scientifiche, senza dubbio. E a coronamento di questa oscenità alcuni hanno avuto il coraggio di replicare ex post che oramai le inoculazioni erano avvenute in gran numero, e che non era successo nessuna apocalisse, dunque avevano ragione.

Chissà quale manuale di deontologia medica raccomanda di testare dei vaççini sulla popolazione generale, senza screening, senza seguire i pazienti testati, e con semplice farmacovigilanza passiva per valutarne gli effetti collaterali.

Ma state sereni, è sempre la Scienza che parla per bocca del governo, e voi dovete tacere e fare penitenza.

Fede nella scienza 6

E infine abbiamo avuto un infinito balletto in cui:

a) ci si è inventati di sana pianta con il GP che la durata dell’immunità da superamento della malattia era inferiore a quella fornita dalla vaççinazione, laddove è dimostrato essere esattamente il contrario;

b) ci si è rifiutati di prendere in considerazione esami del sangue che mostrassero l’ampia presenza di anticorpi anti-covid come ragione per posporre l’inoculazione;

c) si è cambiato in corso d’opera ripetutamente l’obiettivo della cosiddetta immunità di gregge, aumentando costantemente il target (65%, 75%, 80% della popolazione), salvo poi concludere ciò che in ambito scientifico era già stato spiegato da tempo, ovvero che con questi vaçccini un’immunità capace di eradicare un virus con queste caratteristiche semplicemente non era ottenibile;

d) si è estesa d’ufficio di tre mesi la data di scadenza dei vaççini (perché le indicazioni delle case farmaceutiche si venerano quando serve, si interpretano liberamente altrimenti);

e) si sono cambiate le condizioni di refrigerazione dei medesimi vaççini;

f) si è estesa ad hoc la presunta durata ufficiale dell’immunità da 9 a 12 mesi, proprio mentre si aggiornava continuamente la durata effettiva della copertura conferita dai vari vaççini in un caleidoscopio di numeri (9 mesi? 6 mesi? 4? 2? Con rabbocchino o senza?)

g) si prospetta serenamente la somministrazione di una terza dose di vaççino (e poi basta?), senza che vi siano stati studi sistematici su efficacia e sicurezza della somministrazione;

h) si è chiusa la porta al riconoscimento di altri vaççini usati nel mondo, alcuni con funzionamento tradizionale a virus inattivato, senza fornire spiegazioni di sorta.

E si potrebbe continuare in un perdurante sterminio di ogni buona pratica scientifica, di ogni criterio di trasparenza, di ogni precauzione, di ogni dubbio, di ogni libertà di dibattito.

In tutta questa vicenda la “Scienza” ha fatto capolino soltanto nella veste di un cappello retorico per conferire autorità a decisioni politiche arbitrarie.

Ecco, se traete diletto dal ricattare il prossimo con una certificazione per vivere, se godete nel bullizzare ragazzini e adolescenti, nel negare la libertà fondamentale di autodeterminazione sul proprio corpo, benissimo, avete dietro tutta la forza dello stato, dunque potete farlo. La storia vi giudicherà.

Ma la scienza, la scienza per piacere lasciatela stare, perché la confondete continuamente col principio d’autorità, e niente vi è di più estraneo allo spirito scientifico.

 

[1] • Pomara C., et al. Post-mortem findings in vaççine-induced thrombotic thombocytopenia https://haematologica.org/article/view/haematol.2021.279075

• Perry et al., “Cerebral venous thrombosis after vaççination against COVID-19 in the UK: a multicentre cohort study”, in The Lancet

https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01608-1/fulltext

[2] • Jane Woo, et al., “Association of Receipt of the Ad26.COV2.S COVID-19 Vaççine With Presumptive Guillain-Barré Syndrome – February-July 2021”,  JAMA,October 7, 2021, doi:10.1001/jama.2021.16496

https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2785009

• Per un sunto giornalistico: https://quifinanza.it/info-utili/video/vaççino-covid-effetti-collaterali-johnson-astrazeneca/516937/?fbclid=IwAR3FwN0wn0hKUWDGpSw-fZXjCgD7mIdNj-0XTB6-Mr8GnvXkumfl-sfJ-mA

[3]             • Saif Abu Mouch, et al., Myocarditis following COVID-19 mRNA vaççination, in Vaççine  (https://doi.org/10.1016/j.vaççine.2021.05.087);

• Supriya S. Jain et al., COVID-19 Vaççination-Associated Myocarditis in Adolescents, in Pediatrics, 2021 – doi: 10.1542/peds.2021-053427 https://pediatrics.aappublications.org/content/early/2021/08/12/peds.2021-053427

• George A. Diaz et al., Myocarditis and Pericarditis After Vaççination for COVID-19

https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2782900

• Montgomery et al., Myocarditis Following Immunization With mRNA COVID-19 Vaççines in Members of the US Militaryhttps://jamanetwork.com/journals/jamacardiology/fullarticle/2781601

• Rose et al., A Report on Myocarditis Adverse Events in the U.S. Vaççine Adverse Events Reporting System (VAERS) in Association with COVID-19 Injectable Biological Products, in Current Problems in Cardiologyhttps://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0146280621002267?via%3Dihub

• Aye et al., Acute myocardial infarction and myocarditis following COVID-19 vaççination, in International Journal of Medicine, 29 September 2021

https://academic.oup.com/qjmed/advance-article/doi/10.1093/qjmed/hcab252/6377795

[4]             • Darrell, O. Ricke, Two Different Antibody-Dependent Enhancement (ADE) Risks for SARS-CoV-2 Antibodies, in Front. Immunol. 12:640093. doi: 10.3389/fimmu.2021.640093

• Nouara Yahi et al., Infection-enhancing anti-SARS-CoV-2 antibodies recognize both the original Wuhan/D614G strain and Delta variants. A potential risk for mass vaççination?, in Journal of Infection

https://www.journalofinfection.com/article/S0163-4453(21)00392-3/fulltext?fbclid=IwAR2At6Gy3AnLPHY4pWtKpJb3SmeQ1RljYplRz_oVopGew_YepQQLecA9X0Q

• Cheng et al., Factors Affecting the Antibody Immunogenicity of Vaççines against SARS-CoV-2: A Focused Review

https://www.mdpi.com/2076-393X/9/8/869

[5] • Watad et al, Immune-Mediated Disease Flares or New-Onset Disease in 27 Subjects Following mRNA/DNA SARS-CoV-2 Vaççination

https://www.mdpi.com/2076-393X/9/5/435

• Talotta, R., Do COVID-19 RNA-based vaççines put at risk of immune-mediated diseases? In reply to “potential antigenic cross-reactivity between SARS-CoV-2 and human tissue with a possible link to an increase in autoimmune diseases

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1521661621000024?via%3Dihub

[6] • Hernandez et al., “Safety of COVID-19 vaççines administered in the EU: Should we be concerned?”, in Toxicology Reports, 8 (2021) 871–879.

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2214750021000792

• Jiping Liu et al., Comprehensive investigations revealed consistent pathophysiological alterations after vaççination with COVID-19 vaççines, in Cell Discovery (2021) 7:99.

https://www.nature.com/articles/s41421-021-00329-3.pdf

[7] • Griffin, Sh., Covid-19: Fully vaççinated people can carry as much delta virus as unvaççinated people, data indicate, in BMJ 2021; 374:n2074  https://www.bmj.com/content/374/bmj.n2074?fbclid=IwAR1RfrBGtGkQlf_gxHLUzjCkVBlQNPrHiVsPoDcqXeQ49A9nggHyEBv07as

• Nidhi Subbaraman, How do vaççinated people spread Delta? What the science says

https://www.nature.com/articles/d41586-021-02187-1

• Singanayagam et al., “Community transmission and viral load kinetics of the SARS-CoV-2 delta (B.1.617.2) variant in vaççinated and unvaççinated individuals in the UK: a prospective, longitudinal, cohort study”, in The Lancet, 29 Ottobre 2021

https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(21)00648-4/fulltext

• Kasen K. Riemersma et al., Shedding of Infectious SARS-CoV-2 Despite Vaççination,

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.31.21261387v5

• Nguyen Van Vinh Chau et al., Transmission of SARS-CoV-2 Delta Variant Among Vaççinated Healthcare Workers, Vietnam

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3897733

[8] • Paul E. Alexander, et al. Early multidrug treatment of SARS-CoV-2 infection (COVID-19) and reduced mortality among nursing home (or outpatient/ ambulatory) residents, in Medical Hypotheses 153 (2021)

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34130113/

• Brian Procter, et al. Clinical outcomes after early ambulatory multidrug therapy for high-risk SARS-CoV-2 (COVID-19) infection

• https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33388006/

Kory, P., et al., “Review of the Emerging Evidence Demonstrating the Efficacy of Ivermectin in the Prophylaxis and Treatment of COVID-19”, in American Journal of Therapeutics, 2021 May-Jun; 28(3)

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8088823/?fbclid=IwAR3m5ePPYN1q6xUaHpIlOe0jHJufOZY98TS1bE4J5IZLdb6S08zrDpRppLo

• Santin et al., “Ivermectin: a multifaceted drug of Nobel prize-honoured distinction with indicated efficacy against a new global scourge, COVID-19”, in New Microbes and New Infections, Volume 43, September 2021

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2052297521000883?via%3Dihub

• Biancatelli et al., “Quercetin and Vitamin C: An Experimental, Synergistic Therapy for the Prevention and Treatment of SARS-CoV-2 Related Disease (COVID-19)” https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fimmu.2020.01451/full

• Huet et al., Anakinra for severe forms of COVID-19: a cohort study, The Lancet, July 2020

https://www.thelancet.com/journals/lanrhe/article/PIIS2665-9913(20)30164-8/fulltext

• Gautret et al. “Hydroxychloroquine and azithromycin as a treatment of COVID-19: results of an open-label non-randomized clinical trial”, in International Journal of Antimicrobial Agents

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0924857920300996?via%3Dihub

PS_

In tutta questa vicenda la “Scienza” ha fatto capolino soltanto nella veste di un cappello retorico per conferire autorità a decisioni politiche arbitrarie.
Ecco, se traete diletto dal ricattare il prossimo con una certificazione per vivere, se godete nel bullizzare ragazzini e adolescenti, nel negare la libertà fondamentale di autodeterminazione sul proprio corpo, benissimo, avete dietro tutta la forza dello stato, dunque potete farlo. La storia vi giudicherà.
Ma la scienza, la scienza per piacere lasciatela stare, perché la confondete continuamente col principio d’autorità, e non vi è niente di più estraneo allo spirito scientifico.

https://sfero.me/article/credere-scienza?fbclid=IwAR2SqyBfSW6UGSHPUfXaPxhEQSoj-2ecvuRyyWsWn_M42KcaaVG34B8eoek

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