Stati Uniti! Politica nel pallone_con Gianfranco Campa

Improvvisamente, consuetudini tollerate diventano l’occasione e il pretesto per creare non ancora il casus belli, certamente l’ostacolo alla realizzazione di trame ed obbiettivi politici degli avversari. Negli Stati Uniti il caso dell’aerostato vagante è stato lo strumento e l’occasione sollevata ad arte per rimescolare le carte secondo tre linee di riferimento. Ad una componente decisa a condurre il confronto geopolitico ostile contestualmente con la Russia e la Cina si giustappone una componente russofoba ed una sinofoba. Tutte e tre imbevute di un trasporto ideologico che porta spesso a forzare l’interpretazione politica degli atti e conseguentemente il merito degli atti politici. Il tutto in un contesto di opinione pubblica sempre più ostile nei confronti della leadership cinese, ritenuta responsabile del processo di degrado economico e sociale negli Stati Uniti. Una partita a tre che espone sempre più le scelte politiche statunitensi ad una schizofrenia incapace di definire chiaramente le priorità. Una situazione che rischia di trascinare una parte significativa del movimento MAGA verso una deriva neocon suscettibile di ricreare su nuove basi avventuriste i vecchi equilibri interni. Un contesto nel quale sono fondamentali gli intrecci e le interrelazioni esterne di queste fazioni con parte dei centri decisori stranieri. Sempre più labili questi ultimi con quelli russi, ancora significativi e determinanti con quelli cinesi. Il contrasto sul “palloncino” ha per oggetto una contesa su scelte ben più impegnative: il raddoppio delle basi statunitensi nel Pacifico ed una separazione dei legami economici sino-statunitensi il più graduale e meno dirompente possibile per i due paesi. Un intrico della cui complessità rischia di sfuggire il bandolo a qualcuno dei tanti attori protagonisti nello scenario politico interno e geopolitico. Buon e attento ascolto, Giuseppe Germinario

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LA STRATEGIA USA NEL MONDO RACCONTATA DA GEORGE FRIEDMAN NEL 2015 E DA ME NEL 2022, di Antonio de Martini

George Friedman é il miglior analista strategico vivente negli USA, fondatore e direttore per parecchi lustri dell’agenzia STRATFOR che ha offerto i migliori approfondimenti fino a che l’ha diretta personalmente.

Nel 2015 in una conferenza a Chicago, tra esperti, ha spiegato la strategia generale degli Stati Uniti per mantenere l’egemonia mondiale. Ecco in inglese, con sottotitoli in francese, in un filmato You tube estratti della sua visione, mai contestata da alcuno. Lascio a lui il compito della illustrazione dei principi che considero realistica e solidamente fondata.

Una prova di quanto qui detto e previsto é certamente il conflitto ucraino e il successivo atteggiamento americano nei confronti della Unione Europea e della Brexit. Se ne deduce che interpretare correttamente gli avvenimenti e le scelte riguardanti il conflitto ucraino é di importanza vitale per noi e per il futuro del continente.

CAPIRE LE LEZIONI DELLA NUOVA GUERRA UCRAINA

L’alluvione di chiacchiere, sovente mendaci, vanitose o inconcludenti, specie in Italia da parte di coloro che non sono riusciti a collocarsi come esperti di pandemia, ha impedito a una pubblica opinione distratta dall’endemico qualunquismo, di ascoltare le poche considerazioni logiche e a mente fredda sulle ragioni dello scontro, sulle strategie e sulle tattiche impiegate e identificare, distinguendo, quali siano gli interessi rispettivamente degli USA, dell’Europa ( EU) e dell’Italia.

Si naviga a vista, annaspando tra l’etica a buon mercato e la speranza di non essere creduti. Sempre più vero il detto che ” é difficile far capire qualcosa ad un uomo quando il suo stipendio dipende dal non capire.”

Di conseguenza abbiamo i “no war “che si affiancano ai “no vax” e i possibilisti che non comprano più i quotidiani per non farsi imbottire di comunicati – diretti e indiretti- emessi da scarti di leva anche professionale, privi di esperienza militare, digiuni di geografia, di storia e privi di conoscenza delle lingue più utili ( inglese, ucraino e russo), senza quindi accesso diretto alle fonti.

I cattolici, guerrafondai per non perdere il posto in Rai, stati messi in fuori gioco dall’intervento del Papa e i fautori della NATO hanno strillato tanto tempestivamente e tanto in falsetto da far capire a tutti che i ragazzi del coro erano stati istruiti con cura, ma con tonalità da stadio.

Proviamo a mettere ordine nel buio in cui brancoliamo noi italiani ?

GLI ANTEFATTI

Per facilitare la comprensione di fatti e antefatti sfuggiti ai più, ecco qui sotto, a disposizione per consultazione, una serie di links di questo blog ( ma ce ne sono anche altri che mi sono stancato di radunare. Potete cercarli clikkando in alto a sinistra nella finestra ” cerca”) che vi riportano al 2014 e alle omissioni dei media italiani. La crisi era prevista e prevedibile, l’intervento armato russo più volte minacciato. Nessuno se ne é preoccupato. Nessuno ha capito che una guerra in Europa, avrebbe significato la perdita dell’ubi consistam della Unione Europea, diventata l’avatar della NATO.

La disinvolta smentita al primo solenne ” mai più guerre in Europa” pronunziato dal 1945 in poi da ogni singolo politico del continente, implica fatalmente una perdita di credibilità anche dell’altro “ mai più” che in questi giorni riecheggia per ogni dove sulla shoà. Presto tradiranno anche quello.

https://corrieredellacollera.com/2014/02/25/ucraina-prima-pedina-della-teoria-del-domino-o-prova-di-una-nuova-yalta-a-geometria-variabile-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/28/ucraina-tra-usa-e-russia-con-germania-mezzana-dalla-ribellione-alla-secessione-a-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/15/la-sfida-usa-russia-per-lucraina-intanto-pagano-i-paesi-brics-con-svalutazioni-selvagge-brasile-india-cina-sud-africa-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/14/la-russia-riponde-allamerica-con-una-proposta-globale-di-sfruttamento-economico-sostenibile-dellasia-sebastopoli-e-ormai-come-sagunto-ma-questa-volta-io-tifo-per-annibale-di-antonio-de-marti/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/02/crisi-ucraina-in-crescendo-per-supplire-alla-impossibilita-militare-di-intervento-n-a-t-o-e-soddisfare-la-fazione-bellicista-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/08/ancora-su-ucraina-italia-stati-uniti-ma-scomodiamo-carl-schmitt-e-la-grande-bellezza-scegliete-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi/

Le ragioni della scelta del punto di attacco all’impero russo

A) La ragione principale é che l’Ucraina si prestava come zona di scontro ideale per via dell’esistenza di una resistenza ed un odio sordo accumulati durante gli anni della industrializzazione forzata che ha distrutto la piccola proprietà agricola e il latifondo, per dare vita a grandi complessi industriali ormai cadenti; l’esistenza di reduci della guerra mondiale che avevano combattuto con la Wehrmacht e anche con le SS contro l’odiato Stalin (oltre 250.000 uomini, ottocentomila se consideriamo logistica e retrovie), la continuità nel tempo dell’organizzazione Gehlen e dei partigiani nazionalisti, che fornirono subito dopo la concessione dell’indipendenza, una base storica e politica all’aspirazione, legittima, dell’Ucraina ad allontanarsi dalla sua ex potenza coloniale. Meglio avere il padrone a novemila Km da Kiev che a novecento. Il contrasto tra queste due Ucraine ha fornito il brodo di coltura dello scontro cui ha contribuito la generale corruttela del paese, la sua relativa vicinanza a Mosca, gli errori politici di Nikita Krusciov che fece tutta la sua carriera politica come segretario del partito ucraino e che cercò di ammansire gli ucraini con particolari riconoscimenti e annacquare il loro nazionalismo con attribuzioni di territori russofoni ( Crimea e e Donbass ) all’Ucraina con una rettifica delle frontiere verso est immettendo alcuni milioni di russi. Riteneva impensabile una secessione.

Anche il fatto che l’urto militare sia stato iniziato – e maldestramente- dai russi ha giovato alla narrativa propagandistica americana, lungamente preparata e ammirabilmente dispiegata.

B) I rapporti privilegiati dell’URSS ( che fu il primo paese a riconoscere il nuovo stato ebraico) con lo stato di Israele e il via vai creatosi con l’autorizzazione all’emigrazione, rese il paese facilmente permeabile in entrambi i sensi quella frontiera rispetto ad altre ( es il Caucaso) da parte di elementi estranei. Anche la presenza sul territorio ucraino di significative minoranze polacche , rumene e ungheresi facilitavano la creazione di spinte centrifughe.

C) la vicinanza – a partire dal 1990/91- delle frontiere occidentali e segnatamente quella polacca.

D) La riconosciuta validità della “ strategia Schulenburg“, dal nome del capo del “Dipartimento 13” del ministero degli esteri del Reich incaricato di amministrare i territori russi occupati che ha costituito un precedente. Si legga ( editore SugarCo) “Fra Hitler e Stalin” di Hans von Herwarth, segretario di Schulenburg miracolosamente scampato alla forca.

Schulenburg, dopo anni di vita in Russia, dove era nato, elaborò e mise in opera l’idea che “per battere i russi, servono altri russi e ogni guerra alla Russia, per riuscire deve essere trasformata da guerra in guerra civile”. La strategia ebbe successo, tanto che Hitler ne frenò il reclutamento per eccesso di riuscita perché – contrastava con la filosofia nazista degli untermenschen slavi – e, scoperto che Friederik Schulenburg ( e il suo interfaccia militare Claus Von Stauffenberg) erano anche l’anima dell’attentato del 20 luglio 1944 , impiccò tuttifornendo un alibi antinazista postumo agli USA per utilizzare le reti clandestine create durante la guerra dai tedeschi.

In questa mia intervista a un canale you tube di qualche settimana fa, cerco di illustrare la situazione.

n parole povere entrambi i contendenti sul terreno hanno accettato la sfida ed entrambi hanno fallito nella speranza di realizzare vittorie lampo. Siamo allo stallo. Nel primo conflitto mondiale i contendenti impiegarono quattro anni ad accorgersene.Nel secondo i tempi si allungarono per via dell’imposizione della resa senza condizioni che costrinse a combattere fino alla fine. Oggi si cerca di prolungare la guerra fornendo armi e illusioni all’Ucraina, ma evitando il coinvolgimento diretto.

Lo scopo degli USA é provocare un salasso di uomini e denari fatale alla Russia, farla diventare – uso le parole che Winston Churchill pronunziò a proposito nelle rappresaglie provocate dagli inutili attentati del SOE britannico – “ il popolo più odiato d’Europa” con drammatici resoconti di “bombardamenti sulla popolazione inerme” ( che però la propaganda dipinge come intrepido e destinato alla vittoria) e soprattutto – come spiegato da Friedman nel suo video– per scavare un abisso di morti e inimicizia tra la Germania e la Russia che abbinando tecnologie e risorse naturali relegherebbero gli USA a potenza di terza fila.

COSA SUCCEDE ADESSO: L’ALLARGAMENTO?

Nel suo sforzo di far durare la guerra gli USA rischiano di estenderla in direzioni non volute distruggendo quel che resta della Unione Europea, già mutilata della secessionista Gran Bretagna, certamente incoraggiata dal governo d’oltreatlantico. Altri sono pronti a seguire, come il gruppo di Visegrad ( filo britannico, composto da Repubblica Ceca ( che ha appena eletto presidente ìl’ex comandante NATO, Slovacchia, Polonia e l’Ungheria) e l’Italia che litigando con pretesti speciosi con la Francia, tendono a isolare Francia e Germania che sono state il nucleo motore della maldestra costruzione europea che va smantellata per evitare che seguano la Germania nella marcia verso est. Quanto conti l’Europa per gli USA, é dimostrato dall’ormai famoso ” fuck Europe” della plenipotenziaria del Dipartimento di stato, Victoria Nuland intercettata durante la predisposizione del governo filo NATO uscito dalla ” rivolta di piazza Maidan.

Continuare ad alimentare la guerra anche con sole armi e denari, comporta – oltre al pericolo di sfaldamento della coalizione occidentale – il rischio concreto di essere bombardati proprio come é accaduto nei giorni scorsi all’Iran che é apparso – negano, ma non vengono creduti – come il fornitore di armi ( Droni a basso costo e in gran numero per saturare le difese elettroniche) della Russia. Chi la fa, l’aspetti e l’anello più debole della NATO ( siamo chiamati a Bruxelles, ” l’anello di spaghetti”) siamo noi italiani.

Le punzecchiature polemiche di Putin e Medvevdev all’Italia servono a polemizzare senza attaccare la Germania che viene trascinata quasi a forza nel campo occidentale, mentre Svezia e Finlandia , consce di rappresentare un possibile prossimo fronte, hanno di molto raffreddato il loro entusiasmo verso l’adesione alla NATO e hanno inscenato roghi del Corano – e ammesso ufficialmente di finanziare il PKK – per passare la patata bollente del rifiuto a Erdogan che pur di essere protagonista accetta anche parti di ” cattivo”. La Turchia, bastione militare dell’ala destra dello schieramentoNATO, é già ostentatamente neutrale e l’unica che si adopera per trovare scappatoie negoziali. Al pericolo di allargamento dello scontro al contenzioso Serbia-Kosovo, ho dedicato un articolo tre giorni fa. In Israele sono ripresi gli scontri cruenti coi palestinesi e il Papa , quando invoca la cessazione delle ostilità ormai chiede tregua ” su tutti i fronti”.

IL RIDIMENSIONAMENTO USA?

Per parte loro, i russi hanno dato cenno, prima di volontà di prolungamento dello scontro con il reclutamento di 300.000 riservisti, adesso di prepararsi all’allargamento del conflitto con la chiamata alle armi di altri cinquecentomila uomini, ma dettaglio trascurato volutamente dagli occidentali, l’allarme nucleare lo ha dato alle truppe del Pacifico, dando a intendere che mira a rappresaglie casomai verso gli Stati Uniti e non verso l’Europa.

Gli resta da capire che gli USA non possono essere colpiti nel portafoglio, dato che stampano dollari senza limiti, ma che devono essere colpiti nell’immagine e nel prestigio come fece Ben Laden con un attacco nel cuore di Manhattan.

La Marina americana si vanta di essere la regina degli oceani come l’Inghilterra di un tempo, ma non vedo nuovi Nelson all’orizzonte. Il comandante della V flotta USA ( di stanza a Bahrein) si é suicidato di recente e la flotta del Pacifico é in ristrutturazione dopo una serie di incidenti degni della scoperta della tomba di Tutankamon.

Una iniziativa, la meno cruenta possibile, che chiuda il canale di Panama separando flotte e oceani, oppure nello stretto di Hormuz ( golfo persico) che interrompa il 30% dei flussi di greggio del mondo, distruggerebbe la politica dell’embargo e il presto dell’America in uno con le residue speranze di Biden di restare alla Casa Bianca.

SCELTE PER L’EUROPA E L’ITALIA.

Tra una Europa strutturata come oggi e gli USA, credo la scelta di giocare la carta americana sia obbligata, a condizione che sia a fronte di contropartite militari, politiche ed economiche concrete e non promesse all’inglese.. Diversa sarebbe la situazione in cui il direttorio franco tedesco si rendesse conto della necessità di riconoscere l’importanza politica, strategica ed economica di spostare il baricentro verso il sud e il mediterraneo con un ruolo centrale a Italia, Spagna, eTurchia, nonché al Maghreb che secoli di corteggiamento e le presenti risorse minerarie rendono omogeneo con noi.

L’Italia potrebbe intanto dare un segnale di serietà rinunziando da subito all’accordo con Inghilterra e Giappone per progettare l’aero da combattimento del futuro. Che senso ha dire che siamo un paese serio che tiene fede alla parola con gli alleati, quando si progetta “l’aereo del futuro” con due paesi estranei alla UE mentre si progetta contemporaneamente di “diventare l’hub energetico del centro europa? Che senso ha privarsi di una delle cinque( inadeguate e insufficienti) batterie antiaeree con cui dovremmo difendere l’intero territorio italiano per regalarla a un paese che viene bombardato da oltre un anno ( stando a quanto detto dai media)…Che senso ha annunziare previsioni economiche quando si sono sbagliate tutte quelle fatte negli ultimi venti anni? Che senso ha che il Consiglio supremo di Difesa chieda alla NATO un rafforzamento dell’ala sud dell’alleanza quando in contemporanea mandiamo i nostri carri armati nel nord Europa e i nostri aerei in Romania?

Ecco , la nostra presidente del Consiglio Meloni, fa bene a non voler scimmiottare il fascismo, ma dio ci salvi se intende (o intendono?) scimmiottare il ” La guerra continua” di Pietro Badoglio buonanima.

https://corrieredellacollera.com/2023/01/31/la-strategia-usa-nel-mondo-raccontata-da-george-friedman-nel-2015-e-da-me-nel-2022/

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La funzione adattativa della cultura sistemico-complessa ad un mondo sempre più complesso, di Pierluigi Fagan

La funzione adattativa della cultura sistemico-complessa
ad un mondo sempre più’ complesso

di Pierluigi Fagan

Studioso indipendente. Independent scholar.

Sommario

Negli ultimi settanta anni il mondo ha subito una inflazione di complessità. Né le nostre
forme istituzionali, né quelle culturali corrispondono in senso adattivo a questo mutato
scenario. Analizzeremo quindi le necessità di trasformazione delle une e delle altre alla
luce della cultura della complessità e di come questa si riflette sugli “studi sul mondo”.

Parole chiave

Era complessa, cultura della complessità, onto-gnoseologia complessa, mondologia,
adattamento.

Summary

Over the past seventy years, the world has undergone an inflation of complexity.
Neither our social nor cultural forms correspond positively in an adaptive sense to this
changed scenario. We will therefore analyze the transformation needs of both in the
light of the culture of complexity and how this is reflected in ‘world studies’.

Keywords

Complex Age, complexity culture, complex onto-gnoseology, worldology, adaptive
system.

L’invito a partecipare alla riflessione sistemico-complessa di questo numero della rivista
chiedeva di analizzare, in senso critico, le forme del nostro mentale rispetto al “nostro
stare al mondo”. Il mondo è il contesto ultimo, lì dove l’estrema varietà dei vari modi
individuali e collettivi, mentali, comportamentali ed istituzionali, intessuti assieme
(cum-plexus), formano la realtà. Mondo-realtà oggi in sempre più rapida e profonda
trasformazione, evento che impone a tutti i soggetti individuali e collettivi umani, di
verificare il loro adattamento.

La prima edizione dell’Origine delle specie di Darwin (1859) non conteneva il concetto
di “evoluzione”, stante che il termine introdotto poi da Herbert Spencer, era mutuato dal
latino ciceroniano dove aveva il semplice significato di “svolgimento”. Si trattava dello
svolgimento dei due rotoli della pergamena che contenevano testi scritti. Lungo qui
sarebbe ripercorrere le avventure del concetto che da descrittivo è poi diventato

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 55
teleologico, quasi che l’evoluzione fosse una scala di progresso (Gee H., 2016). In
effetti, H. Spencer non fu solo il coniatore del concetto di evoluzione come poi inteso in
biologia evolutiva e più in generale nella nostra immagine di mondo generale, ma anche
quello di progresso (Spencer, H., 2018). Quest’ultimo fu poi assunto nello Zeitgeist
della fine XIX secolo ed inizio XX, come cifra dell’epoca della grande esplosione delle
attività economiche moderne e della affermazione di potenza della modernità
occidentale a guida anglo-britannica.

Ebbe grandi meriti concettuali l’opera di Darwin. Innanzitutto, ponendo il problema del
tempo, del tempo molto lungo. È noto che nella mente di Darwin, i diversi pezzi della
sua nuova immagine di mondo rispetto al problema delle specie, fecero un salto anche
in seguito alle prime scoperte fatte in geologia da Charles Lyell. Il concetto di “tempo”
ai tempi di Darwin era limitato alle verità bibliche, nella versione precisata dai calcoli
del vescovo anglicano James Ussher che tra creazione e contemporaneità di metà
Ottocento, contava poco meno di 6000 anni. Questo era lo spazio mentale del “tempo
del mondo” a metà Ottocento e solo lungo i successivi decenni, a fatica, la geologia lo
allargò sino agli attuali 4,5 miliardi del tempo della Terra e poi la cosmologia agli
attuali 13,8 miliardi di anni dell’Universo.

Nel tempo, e questo è il secondo apporto decisivo dell’Opera dell’inglese, si svolge il
cambiamento. Sembra strano dover sottolineare tale banalità oggi per lo più acquisita,
ma va ricordato quale fosse lo stato della mentalità generale della nostra area culturale,
l’area occidentale, ancora solo un secolo e mezzo fa. La creazione era perfetta, quindi
non aveva alcuna ragione per cambiare. Ci sono due concezioni principali della metrica
del cambiamento: continuo o a salto e Darwin poggiava la sua idea di formazione anche
di strutture molto complesse, ad esempio l’occhio, proprio sulla lunga estensione
temporale e quindi sommatoria di micro-cambiamenti adattivi. Negli anni ’70 invece, in
paleontologia, coi lavori di S. Jay Gould e N. Eldredge, si fa strada la Teoria degli
equilibri punteggiati ovvero improvvisi e radicali cambiamenti ad esempio dei piani
corporei, ove le novità si concentrano su geni strutturali. Salti di strutturazione di un
sistema possono avvenire per cumulo continuato di piccole modifiche, come per
cambiamenti puntiformi di nodi delle reti particolarmente determinanti.

Cambiamento del contesto generale che è il mondo fisico, di cui poi abbiamo scoperto
lentamente la storia fatta di chimica emergente in biologia, ecologia e dipanatasi in un
clima altalenante tra lunghi periodi glaciali e più brevi stagioni miti, tra cui il nostro,
l’Olocene, “solo” 13.000 anni in un tempo di 4,5 miliardi di anni. In questo tapis roulant
sempre in movimento che è il contesto, si ambienta la vita delle specie, da circa 3
milioni di anni anche il nostro genere e da 300.000 anni circa quella della nostra specie
Sapiens. Il vivere invece in grandi forme di vita associata con estranei, la civiltà, conta
poco più di 5/6000 anni. Il gioco dell’esistenza è appunto esistere per un tratto di tempo
nel più generale flusso cangiante del contesto che è il mondo. Noi come individui, come
gruppi informali, come gruppi formali istituzionalizzati, come umanità, assieme a tutte
le altre specie animali e vegetali, adattandoci gli uni con gli altri, come individui e come

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 56
sistemi, e adattandoci tutti al più generale contesto di un mondo in cambiamento fisico-
chimico-termodinamico perenne con moto costante o a volte a salto.

Tempo, cambiamento, adattamento. Questi, tra gli altri, i tre concetti che ci ha portato in
dote il sistema di pensiero di Darwin. Ma come per la “relatività” di Einstein, non
sempre i concetti di un sistema di pensiero o l’intero sistema, in questo caso un sistema
interno al pensiero naturalistico, percolano velocemente ed in maniera precisa
all’interno delle nostre immagini di mondo generali. A volte non percolano affatto, a
volte lo fanno in tempi piuttosto lunghi, asincroni, contrastati, a volte se ne estraggono
concetti che partono con certi significati e nell’interpretazione delle nostre immagini di
mondo dominanti e più ampiamente condivise, prendono significati diversi. Si adattano
anche loro essendo il linguaggio e la sua sottostante trama di significati anch’esso un
sistema nel tempo, in cambiamento adattivo.

Possiamo ora passare alla verifica del “nostro modo di stare al mondo”, rispetto ad un
mondo descritto per tempo, cambiamento e problema adattivo che pone.

Come per il tempo, anche il concetto di mondo andrebbe analizzato criticamente. A
parte segnalare la molto complessa composizione di sfere di sistema tra il nostro ambito
più prossimo (amici-famiglia) e quelle sociali ed istituzionali, varrà la pena sottolineare
un tipico errore di percezione da mentalità occidentale ovvero identificare il mondo col
nostro mondo. Per andar a vie brevi, segnalo solo che tutta l’Unione europea conta
meno del 6% della popolazione mondiale, l’intero Occidente (Europa più Anglosfera)
arriva intorno al 13% del mondo umano nella sua interezza. Tra l’altro il “nostro”
mondo ha sempre crescenti tassi di anzianità e sempre minori tassi di natalità; quindi, va
a contrarsi come peso percentuale nelle previsioni per i prossimi trenta anni. Dovendo
revisionare la nostra percezione di consistenza, dovremmo anche moderare la nostra
sfrenata passione per le dichiarazioni di universalità. Queste, semmai possibili,
richiederebbero quantomeno una minima conoscenza etno-antropo-geostorica e quindi
culturale delle varietà umane sul pianeta. Tendiamo spesso a dire cose anche con una
certa presunzione di verità ultima, pur non avendo mai aperto -ad esempio- il Corano
(1,8 mld di credenti) o ignorando i principi della cultura sinica (anche oltre i cinesi
propriamente detti somma anche altri popoli-culture, ad occhio 1,6-1,7 mld di individui)
o indiana o africana. Tendiamo un po’ troppo spesso a far coincidere il nostro limitato
mondo col mondo esteso e questa errata percezione del contesto non può che generare
immagini di mondo idealistiche, autocentrate e prive di realistico portato adattativo.

Ma veniamo al contesto ultimo a cui dobbiamo adattarci, il mondo nel suo complesso,
in quanto tempo e come è cambiato. Il mondo umano, nei soli ultimi settanta anni, si è
triplicato. Eravamo circa 2,5 miliardi negli anni ’50, oggi siamo secondo gli statistici
delle Nazioni Unite, 8 miliardi a novembre ‘22. Si stima tra 9,3 e 10,0 miliardi al 2050,
ma sulla precisione delle stime c’è inesauribile dibattito (Dorling D., 2021). L’intero
registro della storia umana non nota alcuna triplicazione in soli settanta anni e
comunque mai partendo dalla già rilevante cifra di 2,5 miliardi. Ciò non porti a credere
si voglia qui iniziare un lamento malthusiano sul “siamo troppi”, il problema è lo stile di

vita. Ad esempio, il pianeta basterebbe ed avanzerebbe in termini di spazio e risorse se
vivessimo tutti all’indiana, ce ne vorrebbero cinque se vivessimo tutti all’americana
(Butera F.M., 2021). Poiché sembra difficile poter convincere noi stessi e gli americani
a vivere all’indiana, ma anche convincere gli indiani ed in genere gli asiatici (l’Asia è il
60% della popolazione umana) e poi gli africani a non aspirare all’agio di vita
occidentale per quanto reinterpretata a modo loro, si comincerà anche a capire quale
lungo elenco di problemi adattivi in termini di reciproca convivenza e generale
compatibilità con lo stesso limitato pianeta abbiamo, in questa fase storica.

Non sono solo aumentati gli individui in questa che possiamo definire “grande
inflazione” recente, dove inflazione qui ha il significato che ha in cosmologia, sono
aumentate ovviamente anche tutte le forme istituzionali. Gli stati si sono altresì
triplicati. Da circa 70 ad anni ’50, oggi ne contiamo poco più di 200 all’Assemblea
generale delle Nazioni Unite. Del resto, sono cinquemila anni che in varie forme (regno,
impero, città-Stato, Comune, principato, khanato, califfato e via così) si stabiliscono
domini giuridici, politici ed amministrativi con bordi più o meno precisati e sovranità
interna. Sistemi cioè, noi viviamo in forme associate creando sistemi di diritto oltreché
di fatto (Buckley W., 1998). E lo facciamo per l’ottima ragione che, com’è noto,
l’intero è qualcosa più delle parti (Aristotele, 2000, pag. 387). Infatti, noi ci
adattiamo ai sistemi di vita associata ed usiamo questi come veicoli adattivi. Questi
sistemi sono i nostri riduttori di complessità che danno ordine e prevedibilità, nonché la
“forza” delle unioni. Questa grande esplosione varietale di accompagno alla grande
inflazione umana, oltre agli Stati, ha contato molte altre forme, da quelle delle
organizzazioni multilaterali, le multinazionali, le ONG, le organizzazioni criminali e
molte altre tipologie. Per lasciare sempre una quantificazione del nostro specifico
mondo, l’Europa conta poco meno di un quarto del totale degli stati del mondo (23%),
come detto con ben meno del 10% della popolazione. Se ne deduce un certo nanismo
stato-nazionale, figlio della nostra complessa geostoria. Ma la nostra geostoria che era
ad ambiente interno locale (il nostro sub-continente) per lungo tempo, ha poi
approfittato del resto del mondo con colonie ed imperi, mentre oggi deve trovare forme
di convivenza mondiale con soggetti molto più massivi in un sistema-mondo di vastità
planetaria. Sono dunque amentate di molto le varietà componenti il “sistema umano
planetario” e di conseguenza sono molto aumentate le interrelazioni grazie a nuovi
mezzi e modi di usarli. Nei trasporti, nelle telecomunicazioni, negli scambi di persone,
di idee, di prodotti e servizi, di reciproci investimenti (Vegetti M., 2017).

Infine, e per limitare al canonico “tre” (Johnson N., 2009) l’elenco dell’inventario della
radiografia della “grande inflazione” in breve tempo occorsa a livello umano-planetario,
va segnalato che ormai, in tutto il pianeta, più o meno ogni comunità umana e sempre in
descrizione a grana grossa, organizza la propria attività economica con le forme
moderne. La forma moderna di economica (tecnica-scienza, mercato, capitale) è detta
anche capitalismo ma di capitalismo esiste un numero di definizioni poco minore di
“complessità”, qualche decina abbondante (Ingham G., 2010). Su “modo economico
moderno” si deve considerare la dipendenza delle condizioni iniziali e dal percorso. Le

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 58
condizioni iniziali erano quelle di una isola (l’Inghilterra del XVII secolo, la Gran
Bretagna del XVIII, il Regno Unito del XIX) inizialmente con scarsi cinque milioni di
abitanti, piena di energia fossile (carbone), quindi potente energia a basso costo, del cui
utilizzo ignoravamo limiti ed impatti eco-ambientali, con una certa propensione
all’andare a rapinare genti e risorse altrui in giro per il mondo, con navi, armi a scoppio
ed armi ideologiche non meno potenti. Lo si segnala non per ragioni etico-morali, ma
funzionali, ciò era funzione della viabilità del sistema di economia moderna. Va da sé
che anche in forme mutate, il sistema di economia moderna potenziato dai nostri
avanzamenti tecno-scientifici che però risponde per lo più alla logica interna del sistema
(quindi il profitto ad ogni costo), esteso a grandi parti di un mondo ad 8-10 mld di
persone, con grandi parti di esso che per altro hanno appena cominciato a fare quello
che noi abbiamo fatto per duecento anni e che aspirano, legittimamente, a livelli di
benessere simili ai nostri, crea un irrisolvibile problema adattivo. Tra tutti noi e tra noi
ed il pianeta.

È in ragione di questa appena accennata descrizione dei tempi recenti e logica dei
sistemi che compongono il mondo umano, che vediamo in emersione una
fenomenologia appena un gradino prima del fatidico caos. Che sia problema virologico,
ecologico, climatico, demografico-migratorio, culturale (es: “scontro di civiltà”),
economico, finanziario, valutario, politico interno e politico esterno ovvero il grande
problema delle relazioni internazionali o geopolitico. Con relativo seguito di cascate di
nuovi problemi concettuali, dal mai da noi considerato concetto di “limite”, alle
interdipendenze, alle democrazie in assenza di consapevolezza diffusa e relativa
partecipazione politica, alla salute mentale media, alla dogmatica sulla “crescita” del
valore economico, allo stress per i treni di perturbazioni (dalla crisi dei mutui subprime
al Covid, dalla guerra attuale alla nuova fase di de-globalizzazione o annunciata grande
guerra tra “democrazie ed autocrazie” promossa dall’attuale amministrazione
americana). Il tutto, quanto a società occidentali, con società allungate da livelli inediti
di vari tipi di diseguaglianze (Innerarity D., 2022). Siamo al compiersi di una parabola
di modernità alla fine della quale sembra noi non sia più in grado di immaginare il
“dopo che si fa?”, prorogando ormai da qualche decennio, il precario utilizzo del
prefisso “post…”. Un lungo funerale del moderno che non riesce a voltare pagina.

Potremmo dire, in sintesi, che il mondo oggi è di una complessità cresciuta
enormemente in poco tempo, le nostre forme sociali ed istituzionali provengono da un
passato molto meno complesso e così le nostre immagini di mondo. Tempo ristretto,
cambiamento vasto e profondo, adattamento problematico. La diagnosi è quindi
semplice: severo rischio di disadattamento all’Era complessa. Prima di preoccuparci
dell’universo mondo dispensando consigli agli altri sette miliardi di condomini planetari
dovremmo forse cominciare dal mettere ordine al nostro sistema, concreto e mentale,
poiché il rischio disadattivo è prevalentemente nostro visto che gli ultimi quattro secoli
ci hanno visto in posizione dominante. La stessa nostra credibilità a discutere con gli
altri condomini planetari è fortemente intrisa di sfiducia nei confronti della nostra onestà

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 59
intellettuale e delle stesse nostre intenzioni (Mahbubani K., 2019). Nelle comunità la
reputazione conta.

L’invito che mi è stato fatto a partecipare alle riflessioni di questo numero della rivista,
chiedeva altresì di mostrare come quanto detto criticamente a proposito del mondo, si
riflette nel mio lavoro di studio, che è ciò che ho fatto sull’oggetto “mondo” in questi
anni. Per farlo dovremo prima inquadrare più precisamente quella che qui chiamo
“cultura complessa”, poi vedere come applicarla agli studi sul mondo.

Dal mio punto di vista la cultura sistemico-complessa è una onto-gnoseologia. È una
ontologia in quanto si tratta di inquadrare a priori ogni oggetto del discorso (ed ogni
discorrente e ricevente del discorso o co-dialogante) come un sistema, parti in
interrelazione che creano un qualcosa che ha coerenza interna maggiore di quanto si
abbia con l’esterno. Esterno che è fatto da altri sistemi con cui si hanno interrelazioni e
che più in generale si può anche dire contesto o ambiente. Non solo le interrelazioni e
relative interdipendenze tra sistemi sono importanti e modificanti, ma anche quella più
generale col contesto. Da qui l’importanza del concetto di adattamento o viabilità
direbbe Ernst von Glasersfeld (1995). Ogni sistema ha una storia, un tempo. Varietà
(parti, meglio se varie nella loro comparazione relativa), interrelazioni (ad una, due,
molte vie, rientranti o meno, portanti segnali lineari o non lineari, feedback, ricorsività
etc.), sistemi maggiori che nascono dall’interrelazione tra sistemi minori, tempo (breve
medio-lungo), queste le coordinate di una ontologia sistemica.

Tale apriori, applicato al mondo concreto, non mostra eccezioni di corrispondenza
ovvero tutto può esser descritto come un sistema. Non abbiamo idee chiare sul livello
primo, semmai esista (il livello micro, precedente i quark), o del livello ultimo (uno o
più universi e varie problematiche della sua/loro definizione spazio-temporale), ma tutto
ciò che sta in mezzo, risponde a questa descrizione sistemica. Che siano quark che
fanno adroni o adroni ed elettroni che fanno atomi o atomi che fanno molecole o
molecole che fanno qualsiasi altra cosa, minerale, gassosa, liquida, vegetale, animale,
umano-sociale, dalla goccia d’acqua agli ammassi di galassie, tutto risponde ad una
descrizione sistemica. Vale per il mondo materiale, ma vale anche per quello ideale dai
caratteri agli alfabeti, le lingue, le idee, i concetti, i paradigmi, le teorie, le ideologie, le
credenze, i discorsi, le immagini di mondo, le culture che nel tempo diventano
tradizioni. Nonché i nostri vari tipi di istituzioni sociali. Lo stesso nostro
cervello/mente, l’organo adattivo per eccellenza, è fatto di varietà e sistemi neuronali
collegati a breve (dendriti) ed a lungo (assoni), con molte strutture a rientro (feedback)
su cui viaggiano segnali elettrochimici, nel contesto corporeo e sociale, cambiando nel
tempo.

Come credo molti ben sanno tra coloro che condividono questa impostazione, fertile e
distintiva è questa forma di inquadramento degli enti. Evita l’eccessiva semplificazione
(riduzionismo) che non è dote di natura del mondo sebbene sia spesso richiesta specifica
della nostra povera mente che cerca di catturarla, mostra la pluralità di strati emergenti
costitutiva tutti i sistemi-enti, immunizza dell’eccesso di aspettativa di precisione

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 60
definitoria (determinismo), dinamizza l’essere, convoca la relazioni come ingrediente
primo dell’essere stesso, le interdipendenze, porta a leggere il testo col contesto, il
diretto e l’indiretto, la grana fine e la grana grossa, i limiti che le cose hanno (tutte), al
contempo le aperture sempre presenti in ogni presunta chiusura, il relativo al posto del
sempre vagheggiato assoluto, il tempo, quindi il cambiamento nelle sue varie metriche,
l’imperativo adattivo e molto altro.

Se questa è la breve definizione dell’ontologia, studio delle forme dell’ente in generale,
la gnoseologia attingerà più direttamente al grande sviluppo del pensiero complesso. Il
termine “gnoseologia” non è molto usato, si usa in genere epistemologia. Lunga e
complicata la storia del perché il secondo termine che è restrittivo rispetto al primo, è
l’unico ad esser usato. Non la possiamo qui sviluppare, diremo solo che dipende molto
dalla logica delle immagini di mondo tipicamente anglosassoni che sono dominanti in
Occidente. Le forme di conoscenza umane (gnosi) sono ben più ampie delle sole forme
di conoscenza scientifica (episteme), quindi se epistemologia alla fine è una filosofia
della scienza, gnoseologia è la riflessione sulle forme di conoscenza non solo scientifica
ma anche umano-sociale ed umanistiche.

In gnoseologia complessa, si usano ovviamente logiche di deduzione ed induzione, ma
anche spesso di abduzione (Bonfantini M., 1987). Le forme duali di categorizzazione
saranno plurali e non solo dialettiche nel senso neoplatonico-hegeliano. Il sistema
categoriale andrebbe analizzato a parte rivedendo le sistematizzazioni date da Aristotele
e Kant, ma particolar rilievo avrà il concetto di “relazione” che modifica
dinamizzandolo il concetto di ente al suo interno e nel suo rapporto con l’esterno.
Ampio lo sciame dei concetti trovati nell’indagine sistemico-complessa degli ultimi
settanta anni. A puro titolo di esempio citiamo: emergenza, auto-organizzazione, non
linearità, strutture ricorsive, dipendenza dalle condizioni iniziali e dal percorso,
approssimazione statistica, vari principi di indeterminazione etc.

Un aspetto specifico è decisivo soprattutto quando inquadriamo oggetti molto grandi e
complessi come “uomo” o “mondo”. Si tratta del necessario sviluppo di una seconda
forma di conoscenza accanto a quella verticale delle discipline e delle sotto-
specializzazioni delle varie discipline tipica del moderno, una forma orizzontale che
unisce più discipline tra loro (interdisciplinare), le attraversa (transdisciplinare), ne usa
più d’una al contempo per indagare l’oggetto (multidisciplinare). Le due forme,
specialismo-verticale e generalismo-orizzontale, sono legate da un principio di
indeterminazione per cui la prima va più vicino agli oggetti ma ha difficoltà ad
inquadrarli nell’insieme e nei rapporti col contesto, la seconda pagherà in precisione
avvantaggiandosi però dell’ampiezza di inquadratura. Anche se questa seconda, in
fondo, usa al contempo tutti i guadagni specifici delle varie specifiche discipline e non è
solo uno sfocato “olismo”. Proveniamo da almeno quattro secoli di sviluppo della
conoscenza mono-disciplinare e la forma multi-inter-transdisciplinare è ancora tutta da
sviluppare, provare e correggere, formalizzare creando tradizioni di metodo, corpo
teorico stratificato, nuovi concetti e sintesi di sintesi. Lascia francamente sbigottiti il

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 61
nostro attuale metodo di studio del mondo. Economisti che scorporano l’economico
dall’ambiente si alternano ad ecologhi esperti di ambiente ma non di economico, che
sopravvengono ad analisti politici che sanno tutto del dentro gli Stati ma niente di
politica internazionale così come i secondi nulla sanno degli oggetti e fenomeni che
studiano gli altri. Analisi di entità non ambientate in geografia, non pesate con
demografia, con nessuna conoscenza geostorica o geoeconomica, ignara almeno dei
contorni delle principali culture e mentalità del mondo, incluso almeno un minimo di
storia del pensiero religioso che tanta importanza ha ancora nella composizione delle
immagini di mondo non europee. Così c’è sembrato che il mondo fosse un unico grande
mercato globale imponendoci le totali aperture dei mercati delle merci, dei servizi e del
lavoro quando dominava il sacerdote economico. Poi abbiamo scoperto che ciò sta
rendendo parimenti ricca una parte del mondo diversa dalla nostra, una parte che
minaccia di chiederci di partecipare a pari grado almeno nelle definizioni e gestioni dei
regolamenti del mondo. Cosa che non ci conviene. Allora ecco che con un ribaltamento
sconcertante la globalizzazione stile WTO è archiviata e con essa i sacerdoti economici,
è il momento dei dai sacerdoti geopolitici che ci istruiscono sulle insidie minacciose
dell’eterno conflitto di potenza. Da Smith siamo retrocessi ad Hobbes. Con breve
intermezzo degli inquietanti sacerdoti virologici. Avevamo di recente appena
cominciato a prestare orecchio ai lamenti dei sacerdoti ecologico-climatici (dopo averli
ignorati per decenni), ma ecco che quelli economici ci avvertono che ora è il momento
di tornare a scavare ed usare carbone perché il nostro fornitore di gas in Europa è
diventato un “nemico”. Adattarsi all’era complessa con questa confusione nell’area
della conoscenza, per non parlare della sua distribuzione e condivisione, non sembra
proprio alla nostra portata.

L’adattamento al mondo cambiato e che cambia non può che richiedere un adeguamento
delle immagini di mondo e queste rispondono primariamente all’inquadramento degli
enti (ontologia) e le modalità con cui tentiamo di conoscerli (gnoseologia).

Per chiudere questo breve auto-esame della cultura sistemico-complessa sarà utile dire
qualcosa sulla sua breve e recente storia. Non è forse un caso che tale forma mentale si è
andata sviluppando praticamente in corrispondenza con la “grande inflazione” umana,
sociale e politica, degli ultimi settanta anni (McNeill J.R., 2018). Cambia il mondo,
cambia il nostro modo di osservarlo prima che di viverlo. I due fondamenti teorici che
più di altri si riconoscono tali provengono da un biologo teoretico, Ludwig von
Bertalanffy quanto a Teoria Generale dei Sistemi (2004) e da un fisico matematico,
Norbert Wiener, quanto alla Cibernetica (2001). Il metodo pluridisciplinare, già
teorizzato come necessario da Bertalanffy, si manifesta nelle famose Conference Macy
dove il primo set di concetti contamina antropologia, psicologia, economia, sociologia
oltreché biologia e fisica. La cibernetica sarà poi la base dello sviluppo di ricerca in
scienze cognitive fino ai progetti di Artificial Intelligence, a vari tipi di modellizzazioni
(automi informatici). La matematica della complessità diventa geometria (frattali),
teoria del caos, fisica computazionale, network e reti. Ingegneria, urbanistica, teorie
dell’organizzazione e quindi management ne sono fortemente attratte. Abbiamo prime

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 62
ricezioni in psicologia (Piaget) a cui seguono quelle in sociologia (Luhmann), che
comunque nasce sistemica già di suo. Anche la linguistica nasce come sistemica anche
se, per via di altre vicende, verrà poi identificata con il concetto di struttura. Gli studi
storici si arricchiscono del contributo epistemico della scuola francese delle Annales, in
pratica fondazione della geo-storia (Braudel F., 1988) coi suoi fenomeni di “lunga
durata”. Stranamente impermeabili risultano l’economia ed in parte la stessa filosofia.
Esistono oggi studi e sviluppi di economia delle complessità (Hidalgo C., 2016) ma si è
dovuto attendere la lunga sequenza di fallimenti teorico-pratici recenti (bolle, crisi
mutui subprime, crisi della crescita, disordini da globalizzazione), prima che la ricerca
cercasse di capire cosa evidentemente non aveva capito del suo oggetto di studio. A
partire dalla surreale definizione di “uomo economico” (Hirschman A.O., 2011) che è
però base di tutto lo sviluppo successivo delle teorie principali dal campo. L’economia è
oggi la disciplina dal più forte connotato ideologico essendo le sue pratiche ciò che
ordina i nostri sistemi di vita associata, da qui la resistenza teorica all’auto-revisione con
fissazione dogmatica come sempre avviene quando un sistema è recalcitrante al
cambiamento. Quanto alla filosofia il discorso è ovviamente molto complesso in sé.
Diremo solo che il grande lavoro di Edgar Morin (1977-2004), non ha al momento più
di tanto figliato in senso sistemico-complesso generale. Ma qui dovrebbe intervenire
una più specifica analisi della crisi storica che investe il “pensiero che pensa sé stesso”
(Aristotele, 2000), forse già dalla seconda metà del XIX secolo. La teoria del paradigma
di T. Khun (1969-99), nel campo delle immagini di mondo generali, porta a pensare
molto idonea l’idea di poter dare questo ruolo al concetto sistemico/complesso.
Sociologia della conoscenza e politica (a vari livelli) sono però sistemi di attrito che
condizionano lo sviluppo di nuove forme di immagini di mondo.

Come si vede, la stessa cultura della complessità è un fenomeno emergente, come se la
complessità intrinseca del mondo, dei suoi oggetti, dei suoi fenomeni, del nostro
sguardo individuale e collettivo, fosse un modo di esser dell’ontologia generale che però
le nostre forme storiche di pensiero hanno per lungo tempo evitato di riconoscere,
semplificandole. Almeno fino a che la “complessità” del mondo non ha cominciato ad
esplodere nella recente “grande inflazione”.

Su questo ultimo punto, mi permetto una breve osservazione sulla differenza tra
complicato e complesso. Personalmente, credo che ripetere questa differenziazione per
cercar di comunicare all’esterno il campo del pensiero sistemico-complesso, renda la
questione più complicata del necessario, in senso occamiano. Dal mio punto di vista,
semplicemente “tutto” è complesso visto che l’ontologia, che è filosofia prima, è
sistemica in senso universale. Al suo interno si potranno avere differenti gradi quali
quelli che per comodità chiamiamo “semplici” e quelli più prevedibili ed ordinati che
chiamiamo “complicati”. Ma poiché l’impianto complesso, essendo una onto-
gnoseologia, afferisce alle forme fondamentali del pensiero umano che poi si estrinseca
in immagine di mondo che applichiamo all’immensa varietà di oggetti e fenomeni del
mondo, dell’essere umano, della relazione tra uomo (individuale ed associato, mentale e
materiale) e mondo (fisico, biologico, sociale, politico), converrebbe darlo come

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 63
paradigma generale (in senso kuhniano) e trattare le altre come regioni specifiche
piuttosto che chiedere ai pensanti di domandarsi se e quando applicare l’impianto
complesso, quando quello complicato o quando quello semplificato quasi avessimo un
intero armadio di abiti mentali da scegliere secondo occasione ed umore. La mente
umana non funziona così, l’immagine di mondo ha un paradigma centrale che per lungo
tempo ha orientato alla “semplificazione” mentre oggi, in termini adattivi, è richiesto
l’orientamento alla complessità. Il complesso è nativo dell’ambito della vita, quindi
dalla biologia in su. Ma lo è altrettanto della chimica (Kauffman S., 2005), disciplina
che ha avuto purtroppo pochi epistemologi (Bencivenga-Giuliani, 2014) che ne
vantassero la mitologia specifica che invece è ricchissima ed assai istruttiva di cos’è la
complessità del reale a livelli molto basici ed universali. Per non parlare di quanta
complessità emerge obiettivamente dalla fisica (Gell-Mann M., 1996). È il paradigma
dell’immagine di mondo settata sui principi del XIX secolo basati sulla Rivoluzione
industriale (le “macchine”), a sua volta figlia della meccanica newtoniana e coordinato
con i principi dell’economia moderna, che va relativizzato. Meglio allora fare la
rivoluzione paradigmatica fino in fondo e stabilire che il sistema mentale legge
complessità ovunque ed egli stesso ne dovrebbe assumere forme e principi stante che il
singolo oggetto più complesso che conosciamo è proprio il cervello/mente umano
(Tononi G., 2014).

Nel mio specifico campo di studio che è una forma di geopolitica complessa che diventa
nei fatti una nuova disciplina, la mondologia, applico quindi di default l’ontologia
sistemica che siano Stati o sistemi regionali o sistemi economici e valutari, culturali o
quant’altro. Ne leggo l’ambientazione geografica. Ne debbo però anche leggere la
sostanza in geografia umana che spesso è demografia: quanto grandi o piccoli, con
quante e quali fasce di età, con quale momento dinamico (anzianità, natalità) etc. Per
evitare la trappola determinista-riduzionista è bene poi ricordarsi che gli umani
interpretano le condizioni date in geografia in molti modi da cui la geostoria specifica
dei vari popoli o aree continentali o subcontinentali. Così per la geoeconomia che oltre
ai grandi concetti sfocati come “globalizzazione” impone la conoscenza di minima del
suo numero-peso-misura generale. Questo quanto a “geo” (Cerreti-Marconi-Sellari,
2019). Quanto a “polis”, va da sé la necessaria conoscenza delle metriche di politica
estera ed internazionale, ma non meno quella delle varie politiche interne che
condizionano le scelte di politica estera dei decisori. Se non proprio l’impossibile
conoscenza di tutto ciò, almeno il possesso di buone mappe sul dove andar a reperire le
informazioni necessarie all’analisi specifica. Il conflitto tra attori nel mondo può spesso
prender forme belliche; quindi, nozioni di militare e strategia (polemologia) sono
necessari. Ovvia la necessità di conoscere più nello specifico le forme economiche,
finanziarie, valutarie dell’unità metodologica base che per il campo è lo Stato, per “n”
Stati e loro interrelazioni. Così per le necessarie nozioni aggiornate in campo
tecnologico, a sua volta oggi in grande accelerazione che impatta militare ed economia,
ma spesso anche sociologia e politica. Poiché però la sostanza dell’unità metodologica

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 64
statale sono gli umani, occorre conoscere anche le principali forme delle varie culture.
La nostra ignoranza dell’Asia (60% del mondo umano) o dell’Africa (sarà il 25% nel
2050) è vasta e profonda. Infine, poiché lo scenario è il mondo, non si può prescindere
da considerazioni ambientali, ecologiche, climatiche stante che queste scienze sono
giovani, i loro consolidati sono ancora incerti e precari, la loro sensibilità agli interessi
dominanti e sfidanti massima, la loro complessità intrinseca altrettanto alta. Impossibile
iniziare un dibattito in questi campi se non si accetta per convenzione una comune
logica abduttiva. Tutto questo lo abbiamo dato ad elenco, ma va messo a sistema
facendo interferire i vari saperi tra loro, conoscendo anche gli statuti epistemologici
delle varie discipline che ci forniscono idee e modi di organizzarle oltreché i famosi
“dati”, con loro impostazioni sempre criticabili e rivedibili. Se l’avalutatività weberiana
è un miraggio, occorrerà però star ben attenti a non abusare di tagli ideologici a priori
(politici, filosofici o anche solo epistemici di questa o quella disciplina) che distorcono
la nostra percezione del mondo nel suo complesso.

Se questo è l’oggetto mondo ovvero “spazio” va ricordato anche il suo “tempo”.
Sempre settanta anni fa circa, nasceva una nuova disciplina che è la futurologia (Gidley
J.M., 2017). Questa è una disciplina vera e propria, con sue cattedre universitarie,
metodo, letteratura, dibattito epistemico. Cercar di prevedere i corsi principali di
sviluppo del cambiamento complesso del mondo è sempre più necessario, se non altro
come ipotesi abduttive. Più o meno quello che oggi sappiamo sul cambiamento
climatico, lo sapevamo anche negli anni Ottanta. Avessimo allora preso sul serio queste
conoscenze, avremmo avuto quaranta anni per spalmare gli interventi di adeguamento.
Ora ci rimangono per lo più quelli di mitigazione degli effetti irreversibili. Il mondo è
diventato un sistema denso occorre prevederne gli andamenti per rilasciare nel tempo
azioni di cambiamento adattativo. In un mondo così complesso, quando si manifestano i
problemi è sempre troppo tardi per risolverli.

Il fine di tutto ciò, di questa richiesta nuova “mondologia”, è l’adattamento all’era
complessa. Il concetto di adattamento in biologia prevede una lotteria di copiatura con
errore e ricombinazione genica da cui scaturirebbe la novità che può poi diventare
elemento adattativo che si espande nelle popolazioni tramite riproduzione. A livello di
specie umana, già da tempo si studia l’adattamento in termini di novità culturale che
porta poi gli umani a trasferirla ai loro sistemi di vita associata (Cavalli Sforza L.L.,
2004). Per altro anche in biologia, si sta tentando di uscire dai dogmi individualistici,
deterministici e riduzionisti, (Jablonka E., Lamb M.J., 2007), inserendo la complessità
epigenetica ed il ruolo delle popolazioni, dei livelli emergenti che dal genoma porta
all’individuo o al gruppo, plasticità e selezione multilivello, biologia dello sviluppo etc.
Conseguente è stata la comparsa, ad esempio, del concetto di “costruzione di nicchia”
ovvero non solo l’accettazione passiva, l’adeguamento per autotrasformazione al dettato
del contesto cui adattarsi. In logica adattiva, molte specie cambiano il proprio ambiente,
la nostra più di tutte le altre, modificando i nostri modi di pensare ed agire, ma anche i
sistemi istituzionali in cui viviamo e l’ambiente stesso cui dovremmo adattarci. Queste
auspicate trasformazioni intenzionali richiedono oggi, senza eccezioni, di saper dove

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 65
metter le mani. Siamo passati dal credere che l’ordine del mondo avesse garanzie
divine, per poi affidarci alla “mano invisibile” del mercato, sarà il caso di diventare un
po’ meno infantili, consapevoli e responsabili.

La grande inflazione degli ultimi settanta anni, oltretutto generatrice di metriche
accelerate a cascate sempre più intrecciate di fenomeni inusuali, ci dice che il contesto è
e sta cambiando profondamente. Dovremmo cambiare anche il nostro modo di stare al
mondo. Ma prima dobbiamo forse cambiare il modo con cui pensiamo di conoscere il
mondo ed il modo con cui pensiamo di progettare non solo i meccanismi ma anche i
sistemi sociali ed istituzionali, le interrelazioni economiche, sociali e politiche che
fanno il nostro modo di stare al mondo. Progettare qui significa curare le “condizioni di
possibilità”. In metafora, un po’ meno ingegneria, un po’ più agricoltura. Portare la
cultura sistemico-complessa a candidarsi come paradigma subentrante il razionalismo
modernista che nacque in altro tempo e condizione del mondo, è forse la via politica più
utile e saggia per evitare la lunga sequenza di catastrofi cui saremo destinati (Servigne
et alt., 2020) se non saremo in grado di rimanere al di qua del caos che si prospetta con
il serio rischio di fallimento adattivo.

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Il ritorno della guerra industriale, di Alex Veršinin

L’Occidente può ancora fornire l’arsenale della democrazia?

La guerra in Ucraina ha dimostrato che l’era della guerra industriale è ancora qui. Il massiccio consumo di attrezzature, veicoli e munizioni richiede una base industriale su larga scala per il rifornimento: la quantità ha ancora una qualità propria. Il combattimento su vasta scala ha contrapposto 250.000 soldati ucraini, insieme a 450.000 soldati cittadini recentemente mobilitati, contro circa 200.000 truppe russe e separatiste . Lo sforzo per armare, nutrire e rifornire questi eserciti è un compito immane. Il rifornimento di munizioni è particolarmente oneroso. Per l’Ucraina, ad aggravare questo compito ci sono le capacità russe di incendi profondi, che prendono di mira l’industria militare ucraina e le reti di trasporto in tutta la profondità del paese. Anche l’esercito russo ha subito transfrontalieri attacchi e atti di sabotaggio ucraini , ma su scala minore. Il tasso di consumo di munizioni e attrezzature in Ucraina può essere sostenuto solo da una base industriale su larga scala.

Questa realtà dovrebbe essere un monito concreto per i paesi occidentali, che hanno ridimensionato la capacità industriale militare e sacrificato scala ed efficacia per l’efficienza. Questa strategia si basa su ipotesi errate sul futuro della guerra ed è stata influenzata sia dalla cultura burocratica dei governi occidentali sia dall’eredità di conflitti a bassa intensità. Attualmente, l’Occidente potrebbe non avere la capacità industriale per combattere una guerra su larga scala . Se il governo degli Stati Uniti sta pianificando di diventare ancora una volta l’ arsenale della democrazia , allora le capacità esistenti della base militare-industriale degli Stati Uniti e le ipotesi fondamentali che ne hanno guidato lo sviluppo devono essere riesaminate.

Stima del consumo di munizioni

Non sono disponibili dati esatti sul consumo di munizioni per il conflitto Russia-Ucraina. Nessuno dei due governi pubblica dati, ma una stima del consumo di munizioni russo può essere calcolata utilizzando i dati ufficiali sulle missioni di fuoco forniti dal Ministero della

Difesa russo durante il suo briefing quotidiano.

Numero di missioni antincendio quotidiane russe, 19-31 maggio

Sebbene questi numeri mescolino razzi tattici con artiglieria convenzionale a guscio duro, non è irragionevole presumere che un terzo di queste missioni sia stato lanciato da truppe missilistiche perché formano un terzo della forza di artiglieria di una brigata di fucilieri motorizzati, con altri due battaglioni che sono tubi artiglieria. Ciò suggerisce 390 missioni giornaliere sparate dall’artiglieria a tubo. Ogni colpo di artiglieria a tubo è condotto da una batteria di sei cannoni in totale. Tuttavia, è probabile che i guasti durante il combattimento e la manutenzione riducano questo numero a quattro. Con quattro cannoni per batteria e quattro colpi per cannone, l’artiglieria a tubo spara circa 6.240 colpi al giorno. Possiamo stimare un ulteriore spreco del 15% per i proiettili posizionati a terra ma abbandonati quando la batteria si è mossa in fretta, i proiettili distrutti dagli attacchi ucraini sui depositi di munizioni o i proiettili sparati ma non segnalati ai livelli di comando superiori. Questo numero arriva fino a 7.176 colpi di artiglieria al giorno. Va notato che il Ministero della Difesa russo riporta solo missioni di fuoco da parte delle forze della Federazione Russa. Questi non includono le formazioni delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, che sono trattate come paesi diversi. I numeri non sono perfetti, ma anche se sono inferiori del 50%, ciò non cambia comunque la sfida logistica complessiva.

La capacità della base industriale dell’Occidente

Il vincitore in una guerra prolungata tra due potenze alla pari si basa ancora su quale parte ha la base industriale più forte. Un paese deve avere la capacità produttiva per costruire enormi quantità di munizioni o avere altre industrie manifatturiere che possono essere rapidamente convertite alla produzione di munizioni. Sfortunatamente, l’Occidente sembra non avere più nessuno dei due.

Attualmente, gli Stati Uniti stanno riducendo le scorte di munizioni di artiglieria. Nel 2020, gli acquisti di munizioni di artiglieria sono diminuiti del 36% a 425 milioni di dollari . Nel 2022, il piano è di ridurre la spesa per i colpi di artiglieria da 155 mm a 174 milioni di dollari. Ciò equivale a 75.357 colpi “stupidi” di base M795 per l’artiglieria regolare, 1.400 colpi XM1113 per l’M777 e 1.046 colpi XM1113 per i cannoni di artiglieria rotonda estesa. Infine, ci sono $ 75 milioni dedicati alle munizioni a guida di precisione Excalibur che costano $ 176K per round, per un totale di 426 round. In breve, la produzione annuale di artiglieria statunitense durerebbe nel migliore dei casi solo da 10 giorni a due settimane di combattimento in Ucraina. Se la stima iniziale dei proiettili russi sparati fosse superiore del 50%, estenderebbe l’artiglieria fornita solo per tre settimane.

Gli Stati Uniti non sono l’unico paese ad affrontare questa sfida. In un recente gioco di guerra che ha coinvolto forze statunitensi, britanniche e francesi, le forze britanniche hanno esaurito le scorte nazionali di munizioni critiche dopo otto giorni .

Sfortunatamente, questo non è solo il caso dell’artiglieria. Giavellotti anticarro e Stinger di difesa aerea sono nella stessa barca. Gli Stati Uniti hanno spedito 7.000 missili Javelin all’Ucraina , circa un terzo delle sue scorte, con altre spedizioni in arrivo. Lockheed Martin produce circa 2.100 missili all’anno, anche se questo numero potrebbe salire a 4.000 in pochi anni. L’Ucraina afferma di utilizzare 500 missili Javelin ogni giorno.

La spesa per missili da crociera e missili balistici da teatro è altrettanto massiccia. I russi hanno lanciato tra 1.100 e 2.100 missili . attualmente Gli Stati Uniti acquistano 110 missili da crociera PRISM, 500 JASSM e 60 Tomahawk all’anno, il che significa che in tre mesi di combattimento, la Russia ha bruciato quattro volte la produzione annuale di missili degli Stati Uniti. Il tasso di produzione russo può solo essere stimato. La Russia ha iniziato la produzione di missili nel 2015 in tirature iniziali limitate, e anche nel 2016 le corse di produzione sono state stimate a 47 missili . Ciò significa che aveva solo da cinque a sei anni di produzione su vasta scala.

 

Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra

La scorta iniziale nel febbraio 2022 è sconosciuta, ma considerando le spese e l’obbligo di trattenere scorte sostanziali in caso di guerra con la NATO, è improbabile che i russi siano preoccupati. In effetti, sembrano avere abbastanza per spendere missili da crociera a livello operativo su obiettivi tattici . L’ipotesi che ci siano 4.000 missili da crociera e balistici nell’inventario russo non è irragionevole. Questa produzione probabilmente aumenterà nonostante le sanzioni occidentali. Ad aprile, ODK Saturn, che produce motori missilistici Kalibr, ha annunciato ulteriori 500 posti di lavoro . Ciò suggerisce che anche in questo campo l’Occidente ha solo parità con la Russia.

Ipotesi sbagliate

Il primo presupposto chiave sul futuro del combattimento è che le armi a guida di precisione ridurranno il consumo complessivo di munizioni richiedendo un solo colpo per distruggere il bersaglio. La guerra in Ucraina sta sfidando questa ipotesi. Molti sistemi di fuoco indiretto “stupidi” stanno raggiungendo una grande precisione senza una guida di precisione, e tuttavia il consumo complessivo di munizioni è enorme. Parte del problema è che la digitalizzazione delle mappe globali, combinata con una massiccia proliferazione di droni, consente la geolocalizzazione e il targeting con maggiore precisione, con prove video che dimostrano la capacità di mettere a segno colpi di primo impatto con fuochi indiretti.

Il secondo presupposto cruciale è che l’industria può essere attivata e disattivata a piacimento. Questo modo di pensare è stato importato dal settore degli affari e si è diffuso attraverso la cultura del governo statunitense. Nel settore civile, i clienti possono aumentare o diminuire i loro ordini. Il produttore può essere danneggiato da un calo degli ordini, ma raramente tale calo è catastrofico perché di solito ci sono più consumatori e le perdite possono essere ripartite tra i consumatori. Sfortunatamente, questo non funziona per gli acquisti militari. C’è solo un cliente negli Stati Uniti per i proiettili di artiglieria: i militari. Una volta che gli ordini diminuiscono, il produttore deve chiudere le linee di produzione per tagliare i costi per rimanere in attività. Le piccole imprese potrebbero chiudere del tutto. Generare nuova capacità è molto impegnativo, soprattutto perché è rimasta così poca capacità produttiva da cui attingere lavoratori qualificati. Ciò è particolarmente impegnativo perché molti vecchi sistemi di produzione di armamenti richiedono molta manodopera al punto da essere praticamente costruiti a mano e ci vuole molto tempo per addestrare una nuova forza lavoro. I problemi della catena di approvvigionamento sono anche problematici perché i sottocomponenti possono essere prodotti da un subappaltatore che cessa l’attività, con perdita di ordini o riattrezzature per altri clienti o che fa affidamento su parti dall’estero, possibilmente da un paese ostile.

Il quasi monopolio della Cina sui materiali delle terre rare è una sfida ovvia qui. La produzione di missili Stinger non sarà completata fino al 2026, in parte a causa della carenza di componenti . statunitensi I rapporti sulla base industriale della difesa hanno chiarito che aumentare la produzione in tempo di guerra può essere difficile, se non impossibile, a causa dei problemi della catena di approvvigionamento e della mancanza di personale addestrato a causa del degrado della base manifatturiera statunitense.

Infine, vi è un’ipotesi sui tassi di consumo complessivo di munizioni. Il governo degli Stati Uniti ha sempre minimizzato questo numero. Dall’era del Vietnam ad oggi, le fabbriche di armi leggere si sono ridotte da cinque a una sola. Ciò è stato evidente al culmine della guerra in Iraq , quando gli Stati Uniti hanno iniziato a scarseggiare le munizioni per armi leggere, costringendo il governo degli Stati Uniti ad acquistare munizioni britanniche e israeliane durante la fase iniziale della guerra. Ad un certo punto, gli Stati Uniti dovettero attingere al Vietnam e persino alle scorte di munizioni dell’era della seconda guerra mondiale di . Munizioni calibro 50 per alimentare lo sforzo bellico . Questo è stato in gran parte il risultato di presupposti errati sull’efficacia delle truppe statunitensi. In effetti, il Government Accountability Office ha stimato che ci sono voluti 250.000 colpi per uccidere un ribelle . Fortunatamente per gli Stati Uniti, la loro cultura delle armi ha assicurato che l’industria delle munizioni per armi leggere abbia una componente civile negli Stati Uniti. Questo non è il caso di altri tipi di munizioni, come mostrato in precedenza con i missili Javelin e Stinger. Senza l’accesso alla metodologia del governo, è impossibile capire perché le stime del governo degli Stati Uniti fossero sbagliate, ma c’è il rischio che gli stessi errori siano stati commessi con altri tipi di munizioni.

Conclusione

La guerra in Ucraina dimostra che la guerra tra avversari alla pari o vicini alla pari richiede l’esistenza di una capacità di produzione tecnicamente avanzata, su larga scala, dell’era industriale. L’assalto russo consuma munizioni a tassi che superano di gran lunga le previsioni statunitensi e la produzione di munizioni. Affinché gli Stati Uniti fungano da arsenale della democrazia in difesa dell’Ucraina, è necessario uno sguardo approfondito al modo e alla scala con cui gli Stati Uniti organizzano la propria base industriale. Questa situazione è particolarmente critica perché dietro l’invasione russa c’è la capitale manifatturiera mondiale, la Cina. Mentre gli Stati Uniti iniziano a spendere sempre più scorte per mantenere l’Ucraina in guerra, la Cina non ha ancora fornito alcuna assistenza militare significativa alla Russia. L’Occidente deve presumere che la Cina non permetterà la sconfitta della Russia, soprattutto a causa della mancanza di munizioni. Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve prima migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra.

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Ucraina, il conflitto attraverso le immagini La propaganda 4a puntata Con Max Bonelli

Nella quarta puntata di immagini della guerra ucraina volgeremo l’attenzione ad alcune caratteristiche della propaganda che, nelle circostanze drammatiche di una guerra, assume regolarmente il ruolo principale di comunicazione anche nelle sue forme più paradossali ed estreme. Buona visione, Giuseppe Germinario

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IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA, di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Nota introduttiva

Questo saggio era stato pubblicato sul n. 1/2003 della rivista
“Palomar”. I problemi che tratta non sono per nulla cambiati. Anzi sono
stati aggravati dalla c.d. “legge Severino” onde è ancora un lavoro per
il ministro Nordio.

 

IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA

  1. È merito – non dei minori – di Berlusconi aver posto, dopo la decisione della Cassazione sul legittimo sospetto, il problema dell’immunità degli organi apicali dello Stato in termini politici concreti e reali – ovvero di potere – ciò che a finire tra Commissioni (parlamentari), leggine, codicilli, causidici, girotondi e “mozioni degli affetti” ha tutto da perdere in chiarezza e importanza. In sostanza le questioni poste dal presidente del Consiglio sono semplici: se le persone preposte o componenti gli organi supremi dello Stato possano essere giudicate, con la conseguenza, possibile, della condanna e detenzione mentre sono in carica. E, correlativamente, se la loro permanenza o rimozione nella carica non sia di competenza esclusiva del corpo elettorale, cioè dell’ “organo” in cui si esercita, primariamente, quella sovranità del popolo, fondamento della Costituzione repubblicana (art. 1).

A sentire il coro che si leva dai girotondi e dalla nomenklatura del centrosinistra, la risposta è semplice: i ladri devono stare in galera. Il che, in concreto, significa che in tale (scomoda) posizione deve stare chi le Procure – e spesso qualche Tribunale – giudicano tale. Il fatto che, forse per caso, ma forse no, i suddetti “ladri” siano coloro che occupano le poltrone da cui hanno da poco allontanato molti dei coristi, non li turba. Evidentemente la maestà della Giustizia è, in questi casi, considerata, la migliore delle derivazioni (nel senso di Pareto) perché copre, col suo ingombro, il più evidente e umano tra i residui: quello di potere, in termini filosofici elevato da Nietzsche a Wille zur macht, e che con saggezza pari all’efficacia dell’espressione il buon senso siciliano ha riassunto nel detto: cumannari è megghiu cà….

A confutare quanto ripetuto dall’opposizione basterebbe, forse, tale constatazione. Ma dato che, indipendentemente da chi occupa certe posizioni di potere, il pensiero politico e costituzionale moderno, praticamente unanime, sostiene proprio il contrario di ciò ch’è urlato “in tondo”, e, in particolare, che quanto è auspicato (per Berlusconi e i suoi sodali, s’intende), è escluso in uno Stato ben ordinato, ci sembra utile ricordarne le ragioni.

  1. A ricercare i motivi per cui un organo sovrano, e chi vi è preposto, sia “protetto” (cioè sia, in misura e modi variabili, sottratto alla giurisdizione) si ha l’imbarazzo della scelta. Si può partire dall’immunità degli organi sovrani, o dal principio politico della democrazia; dalla distinzione dei poteri o dal carattere rappresentativo degli organi (in maggiore o minore misura) immuni.

Prendendo le mosse dal principio (liberale) della distinzione dei poteri, recepito da tutte le Costituzioni borghesi (in caso contrario, non sarebbero liberali), come il potere legislativo non può cassare o riformare sentenze o provvedimenti di Giudici, così quello giudiziario non può intervenire né sulle Camere, né sui loro atti e procedimenti, né sulle persone dei deputati (senza autorizzazione della Camera stessa). La prima costituzione europea moderna, cioè quella francese del 1791, già lo disponeva (titolo III, cap. I, art. 3) prescrivendo che i tribunali non potessero interferire nell’esercizio del potere legislativo né sospendere l’attuazione delle leggi: prescrizioni similari, e quelle sull’immunità dei parlamentari da arresti e processi erano riportate praticamente in tutte le costituzioni europee successive, degli Stati liberali prima e (poi) democratico-liberali. La ragione era semplice e chiara: la libertà politica non sopporta sovrapposizioni e concentrazioni di poteri (o di atti) riconducibili a due funzioni distinte. È per quella altrettanto pericoloso un Parlamento il quale riformi una sentenza o ordini un arresto che un Giudice il quale disapplichi una legge e mandi in carcere un deputato, perché ambedue queste “invasioni” concentrano in un solo potere atti pertinenti a diverse e distinte funzioni. Per cui al principio (liberale) della distinzione dei poteri è connaturale impedire che questi interferiscano tra loro, se non in casi tassativi e limitati (basati sulla distinzione di Montesquieu tra pouvoir de statuer e pouvoir d’empêcher).

Anche se il senso è diverso, dal principio politico democratico si desume la stessa “interdizione”. Qui non viene tanto in rilievo – anche se comunque ha un peso – la circostanza che i giudici, in un ordinamento come il nostro, o, in generale, degli Stati continentali europei, costituiscono un corpo burocratico di funzionari reclutati per concorso, e quindi, per tale carattere, disomogeneo al principio della democrazia, come scrive Carl Schmitt[1], e ripetuto da Berlusconi. Perché una giurisdizione esercitata da magistrati elettivi (come in molti stati U.S.A.) è legittimata dal “popolo” quanto il deputato[2].

Piuttosto in tal caso viene in considerazione, per l’appunto, la contrapposizione tra giudizio di uno o più funzionari, e quello del “popolo” stesso. In fondo l’aveva acutamente notato Machiavelli[3]quando scriveva che “lo accusare uno potente a otto giudici in una repubblica non basta; bisogna che i giudici siano assai, perché i pochi sempre fanno a modo de’ pochi. Tanto che se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo arebbono accusato, vivendo lui male, e per tale mezzo, senza far venire l’esercito spagnolo, arebbono sfogato l’animo loro; o, non vivendo male, non arebbono avuto ardire operargli contro”. Il Segretario fiorentino aveva capito che, in una Repubblica (da intendersi nel caso come una forma costituzionale se non democratica, con elementi di democrazia) un tribunale “ordinario” che giudichi un politico configura un potenziale (ma assai probabile) caso di conflitto costituzionale e, ancor più facilmente, origina un conflitto politico. Perché delle due l’una: o il giudizio del Tribunale è conforme a quello della maggioranza e allora i partigiani dell’eventuale accusato potranno sempre additare come esempio di giustizia estranea all’ordinamento democratico il verdetto di alcuni funzionari su un uomo comunque popolare; o non lo è, e si apre un contrasto, assai più grave, tra la volontà di tutti (o quasi) e il giudizio di pochissimi. Perciò occorre trovare “alcuno modo di accuse contro all’ambizione de’ potenti cittadini”, ovvero una strada che possa evitare i conflitti che la giustizia ordinaria genera quando oggetto del giudizio è un affare (e/o un uomo) politico.

L’impossibilità, in grandi democrazie come quelle moderne, di giudizi nell’areopago, ha determinato che la giustizia “politica” sia normalmente esercitata, con procedure (e da organi speciali) o comunque presenti vistose deroghe od eccezioni agli “ordini” comuni. In genere le Carte costituzionali delle democrazie borghesi prevedono la competenza a giudicare di una seconda Camera (il modello ne è stato la Camera dei Lords inglese) come il Senato U.S.A., o il nostro nello Statuto albertino o quello della Terza Repubblica Francese; ovvero di un giudice speciale (come talvolta le Corti costituzionali); l’esercizio dell’azione penale è riservato ad organi politici (la Camera dei rappresentanti negli U.S.A., o quella dei deputati in Italia; ambedue le camere in Francia nella Costituzione vigente).

Immunità dalla giustizia ordinaria, variamente configurate, accompagnano di solito tali “status” e “ordini” eccezionali[4]; anche le norme definenti i crimini “politici” di solito sono formulate in guisa che l’interprete abbia una certa “discrezionalità” nel determinarne l’ambito[5]. Per cui si può agevolmente constatare come, nelle democrazie moderne, è normale che la giustizia “politica” esercitata su ministri, Capi di Stato, parlamentari e talvolta funzionari, lo sia in forme e procedure extra-ordinem: l’unico connotato comune ai vari ordinamenti, invero, è quello, negativo, di escludere (in tutto o in parte) la competenza dei Tribunali ordinari. Nessuno prevede che ministri, deputati o Capi di Stato possano essere giudicati da una Corte ordinaria con il comune procedimento. In questo può affermarsi che l’intuizione di Machiavelli ha avuto successo. La natura “politica” del processo, delle parti e del suo oggetto (e il suo collegamento con decisioni popolari) prevale sul principio democratico dell’isonomia; il rapporto con la volontà e le scelte popolari è tuttavia, per lo più confermato dal ruolo giudiziario che vengono ad assumere organi politici, spesso legittimati anch’essi democraticamente, perché elettivi.

Alle stesse conclusioni ai può giungere partendo dal principio – e dal concetto – di rappresentanza politica. Questa comporta la distinzione, già chiaramente formulata nella Costituzione francese del 1791 (tit. III, cap. IV, sez. 2, art. 2) in base alla quale non tutti i poteri dello Stato sono rappresentativi, e non tutti i funzionari dello Stato sono dei rappresentanti. L’uno e l’altro sono riservati a uno o pochissimi organi (e loro titolari): il Capo dello Stato, le Camere, il Governo.

Ad esser rappresentata è l’unità politica, intesa come totalità; funzione della rappresentanza è far esistere ed agire la comunità. Senza rappresentanza – o senza l’opposto principio di forma, cioè l’identità – una società politica non può agire. Senza i poteri rappresentativi, che la Costituzione italiana vigente identifica esplicitamente nel Capo dello Stato e nelle Camere, la Repubblica non esisterebbe neppure: ancor meno ciò che non esiste (e viene ad esistenza solo quando c’è una rappresentanza) potrebbe agire. Da una parte, ma con ciò entriamo nel profilo successivo, ciò comporta che coloro che rappresentano (anche se a giudizio di taluni indegnamente) l’unità e la totalità, non possono essere giudicati da chi non è rappresentante, ma esercita soltanto un pouvoir commis; dall’altra che un G.I.P. che ordinasse l’arresto o un Tribunale che condannasse un solo deputato, e più ancora il Capo dello Stato o un congruo numero di parlamentari, decapiterebbe lo Stato, togliendogli – nei casi più gravi – la capacità di agire, e negli altri, influendo sulle decisioni degli organi rappresentativi[6].

L’argomento decisivo per spiegare l’ “immunità” di determinati organi (e dei loro titolari e componenti) è comunque di essere “sovrani”. Senza voler entrare nella tematica della sovranità moderna (cioè della sovranità tout-court) fin dal medioevo è stato individuato un organo (o un soggetto) il quale decideva in ultima istanza; anche prima che il concetto moderno di sovranità fosse elaborato, l’identificazione di tale organo (o soggetto) era assai importante, perché legittimante o meno lo justum bellum[7]. Tale criterio d’identificazione dell’organo “sovrano” era ripetuto spesso nella filosofia e nel diritto pubblico moderno. Era sviluppato da Hobbes e da de Maistre, ma in effetti presente in altri pensatori, tra cui Kant e Locke, in quest’ultimo nella forma negativa dell’impossibilità che vi sia un sovrano laddove una controversia non è decidibile da un’autorità. Corollario della stessa era che non può esistere, in un’unità politica, la compresenza di più poteri “sovrani”. Tra tutti coloro che hanno sostenuto l’impossibilità di concepire più sovrani in un’unità politica, è importante ricordare, per l’estrema chiarezza, il pensiero del giovane Marx, secondo il quale “è proprio del concetto di sovranità che questa non possa avere doppia e addirittura opposta esistenza”, per cui la questione che si pone in concreto è “sovranità del popolo o del monarca”: infatti “se la sovranità esiste nel monarca, è una sciocchezza parlare di una sovranità contraria esistente nel popolo”[8]. Nucleo di tale teoria è che vi è nello Stato un organo (un soggetto) che giudica ma non può essere giudicato da alcuno; che ha “tutti i diritti e nessun dovere (coattivo)”[9].

Marx sintetizzava così in poche parole il profilo più importante del pensiero politico  sulla sovranità: che di (organi o soggetti) sovrani, in una unità politica, ve ne può essere uno solo. Questa è la ragione decisiva per ritenere che se a un altro potere (o soggetto) fosse consentito esercitare una coazione sul sovrano, questo non sarebbe più tale, ma lo sarebbe l’altro. Onde evitare questa “traslatio imperii” (la quale peraltro potrebbe assumere anche moto …pendolare), gli organi sovrani sono sottratti (in tutto o in parte) alla giurisdizione ordinaria. E’ quanto sosteneva (tra gli altri) un Presidente del Consiglio italiano, e fine giurista, come Vittorio Emanuele Orlando, in un saggio di settant’anni orsono. Scriveva infatti: “Che fra gli organi onde lo Stato manifesta la sua volontà e la attua, uno ve ne sia che su tutti gli altri sovrasta, superiorem non recognoscens, e che non potendo appunto ammettere un superiore (chè allora la potestà suprema si trasporterebbe in quest’altro) deve essere sottratto ad ogni giurisdizione e diventa, per ciò stesso, inviolabile ed irresponsabile, è noto[10] (il corsivo è nostro). Analoga spiegazione era stata data da Thomas Hobbes “ Infine, dal fatto che ciascuno dei cittadini sottomette la sua volontà alla volontà di colui che ha il potere supremo sullo Stato, così da non potere usare delle proprie forze contro di lui, segue evidentemente che qualunque cosa costui faccia, non può essere punito[11] (il corsivo è nostro). E alla stessa conclusione si arriva a leggere Bodin: secondo il quale “Le prerogative sovrane devono essere tali da non poter convenire altro che al principe sovrano; se anche i sudditi possono essere partecipi, esse cessano di essere tali” perché “ciò significa che questo, da suo servitore che era, diverrà suo compagno, e così facendo egli rinuncerà alla sovranità; perché la qualifica di sovrano, ossia posto al di sopra di tutti i sudditi, non può convenire a chi di un suo suddito faccia un compagno”[12].

D’altra parte una delle “marques de souvraineté” secondo Bodin non è rendere giustizia, ma giudicare in ultima istanza. Chi giudica in ultima istanza non può – in tutta evidenza – essere utilmente giudicato perché un eventuale giudizio sarebbe comunque sottoposto alla revisione sovrana. Ammettere poi che si possa giudicare in ultima istanza in modo difforme dal sovrano, significa dividere la sovranità. Anche se Bodin viveva agli albori dello Stato moderno, così diverso dall’attuale, si rinviene anche nel suo pensiero la soluzione (negativa) del problema: che cioè, ad essere decisivo, è sempre il giudizio del (popolo) sovrano. E che questo non può essere oggetto di riesame da altri perché, in tal caso non sarebbe più sovrano; o, se altri giudica, il relativo giudizio è ininfluente rispetto a quello del sovrano.

L’immunità, indipendentemente dalla dibattuta questione se ad essere sovrano sia un potere costituito, o il potere costituente, l’organo o il popolo – che, relativamente alla questione qui esaminata, è ininfluente – compete, come sosteneva Orlando, a quell’organo (o organi) apicali, superiorem non recognoscens nell’ordinamento dello Stato. E, come riteneva Santi Romano, relativamente alle immunità parlamentari, “Il fondamento di tutte queste immunità dei senatori e dei deputati è da ricercarsi non soltanto nel bisogno di tutelare il potere legislativo da ogni attentato del potere esecutivo e nella convenienza di non distrarre senza gravi motivi i membri del Parlamento dall’esercizio delle loro funzioni, ma nel principio più generale dell’indipendenza e dell’autonomia delle Camere verso tutti gli altri organi e poteri dello Stato: di tale principio esse costituiscono una delle varie applicazioni o, meglio, una particolare guarentigia”[13]; per cui non costituiscono eccezioni, ma applicazione di un “principio più generale”.

Il pregio di questa concezione, nelle sue varie formulazioni e articolazioni, è di spiegare la ragione dell’immunità per qualsiasi tipo e forma di Stato, indipendentemente dai principi, valori e forme di governo di ciascuno: non è possibile che in uno Stato (ben) ordinato un giudice, anche “supremo”, possa giudicare e condannare un componente dell’organo “sovrano”, sia che si tratti del parlamentare o del Capo dello Stato in una democrazia borghese, del componente del Soviet Supremo in una delle (defunte) democrazie popolari, ovvero del Fürher, Caudillo o Duce in uno Stato fascista o nazista. Se lo fa, ciò significa soltanto che ad essere “sovrano” è il Tribunale e non il Soviet Supremo, il Parlamento, o il Conducator.

Cosa d’altra parte non ignota al diritto pubblico: in talune costituzioni non moderne, l’autorità “suprema” competeva a un organo le cui funzioni originarie (e prevalenti) erano giudiziarie; sviluppando le quali aveva assunto un primato politico. E’ il caso, ad esempio, del Consiglio dei Dieci a Venezia.

  1. A cercare le ragioni (politiche) per cui la regola generale è quella esposta da Orlando e non l’eccezione criticata si ha l’imbarazzo della scelta. Ma il motivo principale è la situazione d’indipendenza in cui deve trovarsi l’organo sovrano, per garantire quella della comunità rappresentata. Senza l’indipendenza da altri poteri, dall’esterno ma anche all’interno, di quello, non è possibile garantirla di questa: e lo stesso vale per la libertà di agire che ne è la prima, necessaria, conseguenza. Un organo dipendente e perciò non libero di agire non è in grado di tutelare l’esistenza della comunità.

In una democrazia politica l’unica dipendenza che quell’organo può avere è verso il popolo, organizzato nel corpo elettorale. Se dipende – in tutto o, verosimilmente, anche solo in parte – da altri (a parte le inidoneità oggettive degli uffici e dei procedimenti giudiziari, aggravate dal non essere legittimati dal suffragio popolare), ciò costituisce una grave vulnus al principio democratico, perché la volontà e la scelta del sovrano sarebbero soggette al consenso di chi da quello non dipende.

In termini politici la soluzione è semplice: vuol dire rispondere alle domande conseguenti all’alternativa di Marx: chi comanda? Il popolo o i Tribunali? La risposta suggerita (anche se talvolta timidamente, e soprattutto indirettamente) è quella che si può ascoltare da (alcuni) esponenti del centrosinistra: se condannato si deve dimettere. Il che significa, in senso proprio ed esplicito, che a decidere chi deve governare non è il corpo elettorale, ma i Tribunali. I quali così vedono riconoscersi un potere di veto  sulle scelte popolari. La seconda alternativa – meno frequentata, e il perché lo si capisce bene – è sostenere che i processi facciano il loro corso, e il condannato, legittimato dai suffragi, rimanga al suo posto. Era la soluzione formulata che un noto giurista come Léon Duguit e sulla quale il nostro Orlando ironizzava: perché la conseguenza sarebbe che il Presidente del Consiglio dovrebbe ricevere gli ambasciatori e i premiers stranieri invece che a Palazzo Chigi, a Rebibbia. Dove presiederebbe anche il Consiglio dei Ministri. La comicità delle conseguenze evidenzia quella della tesi che le presuppone.

La quale, malgrado il protestar contrario, e proprio nella sua formulazione “il condannato dovrebbe dimettersi” manifesta il suo carattere politico, nel senso specifico di “politica di partito” o “politicante”. Perché risponde da un lato alla questione nel senso più comodo per chi si trova in sintonia con certi (e non pochi) uffici  giudiziari; dall’altro, e più importante, ne costituisce la risposta inversa, che a decidere non debba essere il popolo, ma il potere giudiziario. Stravolgendo così sia il principio democratico in modo radicale, sia la governabilità, per il conflitto che genera tra poteri, uno dei quali legittimato dal suffragio e l’altro no.

  1. Insistendo nel considerare la tesi criticata come non strumentale, essa può essere ricondotta al tentativo, tante volte ripetuto, di giuridificare la politica (quindi la sovranità). Anzi di questa tesi, ne costituisce una parte, un paragrafo piccolo perché profondamente incoerente: quello consistente nel giudiziarizzare la politica, diametralmente opposto al carattere peculiare della sovranità: di essere al di là del diritto. Ovvero, in altri termini, di potervi rientrare ma come assoluto. Già tale connotato era stato individuato da Bodin: la sovranità è “il potere assoluto e perpetuo di uno Stato”, rafforzato dal ricordato paragone tra Dio e Sovrano. Kant ne da poi la definizione (giuridicamente) più corretta: colui che “Nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)” (anche questa analoga alla definizione che da di Dio)[14] e specifica che “non può essere contenuto nella costituzione nessun articolo che renda possibile… a un potere di opporsi a colui che possiede il comando supremo … che renda possibile limitarne il potere” perché “allora non è quello, ma questo il supremo detentore del comando: il che è contraddittorio”[15]. Ora il diritto ha una dimensione relativa: ai soggetti, anche se diversi in diritti, facoltà, obblighi, competono sia situazioni giuridiche attive che passive. A ogni potere corrisponde un obbligo, un dovere o una responsabilità. Il sovrano, in questo senso è l’eccezione che tuttavia rende possibile (anche) la vigenza di un sistema di norme e rapporti formali, attraverso (l’instaurazione e) il mantenimento dell’ordine. L’assolutezza del comando sovrano (e del concetto) ha indotto il costituzionalismo (liberale) a ricercare i sistemi per bilanciarlo con il diritto: tentativo in gran parte riuscito, ma non totalmente, perché è impossibile giuridificare tutto[16]. In fondo proprio a Locke, uno dei “padri” del costituzionalismo moderno, dobbiamo l’affermazione che in certi casi non v’è giudice sulla terra, ma si ha il diritto di appellarsi al cielo: cioè di ribellarsi e risolvere la controversia con la forza. La contraria tesi si fonda sull’illusione che il diritto sia co-estensivo alla politica: che possa regolare tutto, inquadrandola in un sistema di norme applicabili e “calcolabili”. Ma come per la sovranità (e i suoi atti) così non è in tutti i casi più importanti e politicamente decisivi: per esempio la guerra e la pace. Si può prevedere nella Costituzione chi ha il diritto di dichiarare la guerra, e il procedimento relativo, ma non ciò che più conta: l’identificazione del nemico e l’obiettivo politico. Del pari per la pace: la decisione se concluderla – e a quali condizioni – è necessariamente rimessa all’arbitrio del competente potere costituito (che in democrazia risponde verso il corpo elettorale); ma non è certo concepibile prevedere per legge come, quando e con chi concluderla.

Di questa utopia, la giudiziarizzazione è il capitolo più incoerente: perché se non può esistere una legge per i “casi alti” della politica, tantomeno può esistere un Tribunale che giudichi in base a norme  “misurabili” (cioè come ci si aspetta che giudichi). Se, d’altra parte, il Tribunale decidesse (rettamente) applicando norme di diritto comune non è detto che gli effetti del giudizio siano politicamente opportuni; se invece tenendo d’occhio la convenienza politica e non i “sillogismi” giudiziari, tale attività costituirebbe giustizia politica (e non un giudizio “ordinario”), in cui l’aggettivo, com’è noto, prevale sempre sul sostantivo. E non sarebbe così il rimedio auspicato ma – al contrario – inutile e quasi sicuramente dannoso[17]. Che il tutto sia comunque sostenuto ed auspicato non deve meravigliare, perché rientra in quella tendenza prevalente nella sinistra (ma non soltanto di questa) d’immaginare dei modelli di società e/o di Stato ideali e di misurare la realtà in base ai medesimi. Già un simile modo d’agire era stigmatizzato da Machiavelli “E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti e conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara piu tosto la ruina che la preservazione sua”.

Perché così si prende a misura della realtà il proprio arbitrio soggettivo e non la ragione oggettiva.

Molto meglio seguire Hegel, il quale, com’è noto oltre a ritenere quello (l’arbitrio) capace solo di gonfiare le teste[18], scriveva che la scienza dello Stato non sia altro “se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in se…..deve restar molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere” perché “intendere ciò che è, è il compito della filosofia, perché ciò che è, è la ragione”[19]. A prescindere da come (e in che misura) si voglia considerare la “coincidenza” di razionale e reale, è un fatto che nessun ordinamento democratico-liberale prevede che un Tribunale ordinario condanni un Capo dello Stato o di Governo, o anche un parlamentare, come se si trattasse di un caso ordinario, secondo il diritto comune. E compito dell’interprete è di comprenderne le ragioni. Piuttosto che erigere il proprio arbitrio (e i propri interessi) a massima dell’agire universale, è più (umile e)  utile  chiedersi perché l’agire universale è del tutto opposto alle proprie valutazioni soggettive .

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Verfassungslehre, trad. it., Milano 1984, p. 357 ss. 360 ss.

[2] Anche se in tal caso c’è da chiedersi se sia da considerare “popolo” nel senso della democrazia politica, il collegio elettorale che sceglie il giudice o il deputato. Ma il problema ci porterebbe lontano ed               esula dei limiti del presente scritto.

[3] Discorsi I, 7.

[4] Ricordiamo alcune disposizioni costituzionali europee sull’immunità dei parlamentari: art. 26 Cost. francese; art. 46 Cost. tedesca; art. 71 Cost. spagnola; art. 45 Cost. belga.

[5] V. Benjamin Constant, ora in Principi di Politica, Roma 1970, p. 121, secondo il quale la “discrezionalità” e l’istituzione di Tribunali speciali avevano (anche) la funzione di preservarli da tutte le pressioni popolari.

[6] Machiavelli (op. cit.) sostiene che senza quei rimedi straordinari, la conclusione dei conflitti  può essere la chiamata di “forze estranee” cioè degli stranieri. Machiavelli non conosceva il concetto di rappresentanza politica (in nuce nella Riforma, sviluppato poi nei secoli XVII e XVIII), ma quanto prefigura potrebbe ripetersi in un conflitto che veda poteri “commis” contrapposti a quelli rappresentativi, impossibilitati dai primi a funzionare, con un terzo “esterno” che se ne giova.

[7] Già è cennato in S. Tommaso Summa Th., II, II, p. 40, art. 1; è sviluppato nella Tarda Scolastica v. tra gli altri F. Suarez De charitate disp. 13 De bello Sectio II, S. Roberto Bellarmino ora in Scritti politici, Bologna 1950, p. 260.

[8] V. Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Roma 1983, p. 40.

[9] V. Kant, Die Methaphysik der Sitten, trad. it., Bari 1973, p. 149.

[10] V. E. Orlando Immunità parlamentari ed organi sovrani, Rivista di diritto pubblico,  XXV Roma 1933, ora in Diritto pubblico generale, Milano 1954, p. 487. E prosegue: “circa gli attributi ed i caratteri dell’organo sovrano come furono definiti di sopra, non vi sono gravi difficoltà, quando l’ordinamento ne riconosce ed ammette uno solo: e non importa se questo unico organo sovrano sia, in relazione alle varie forme di governo, una persona fisica (monarchia), o un collegio, e questo sia costituito da componenti di una classe privilegiata o dalla universalità dei cittadini (aristocrazie o democrazie assolute)” e specifica: “Si giustifica pertanto la nostra teoria la quale può riassumersi così: non si può dare organo sovrano senza che esso sia coperto della garanzia della inviolabilità, la quale importa: essere sottratto ad ogni giurisdizione capace di esercitare una coazione fisica sulla persona. Naturalmente, come avviene sempre nel mondo del diritto, questo principio generale deve, nell’applicazione, adattarsi alle manifestazioni concrete della realtà costituzionale, assumendo forme diverse senza però venir mai meno in se stesso”.

Se si tratta di organo collegiale “come sono le assemblee parlamentari, l’inviolabilità fisica non può normalmente porsi se non in via indiretta, attraverso l’inviolabilità dei membri; ma, d’altra parte, non è necessario e sarebbe anzi sconveniente, che questa forma di inviolabilità del collegio nelle persone dei suoi membri fosse così assoluta e così rigida come deve essere in rapporto a una persona fisica”. Per cui “Attraverso tutte queste differenze, per quanto importanti possano essere, è però sempre lo stesso principio che si applica, riaffermando l’inviolabilità  come qualità inseparabile dell’organo sovrano: diritto comune e non diritto di eccezione, poiché deriva per virtù di semplice logica giuridica dalla stessa maniera di essere dell’ordinamento” perché ad essere “rigorosamente esatti” non è tanto che il Parlamento (e gli altri organi sovrani) si sottraggono ad ogni giurisdizione “ ma bensì, che compete ad esso (comprendendo il Re) la giurisdizione suprema e che tale sua qualità sia sufficiente perché possa risolvere senza concorso di un’altra autorità, le questioni della sua prerogativa”, op. cit. p. 495 ss..

[11] De Cive, trad it., Roma 1981, p. 135.

[12] Six livres de la Republique, I, X, trad. it., Torino 1988, pp. 482 e 483 e prosegue “come il gran Dio sovrano non può fare un altro Dio simile a lui, poiché egli è infinito e non vi possono essere due infiniti, come si dimostra secondo ragioni naturali e necessarie, così possiamo dire che quel principe che abbiamo detto essere l’immagine di Dio non può rendere un suddito uguale a se stesso senza con ciò annullare il suo stesso potere”.

[13] Corso di diritto costituzionale, Padova 1928, p. 222.

[14] Op. cit. p. 49.

[15] Op. cit. p. 149-150.

[16] Come scrive De Maistre sul diritto di resistenza “quando si è deciso … che si ha diritto di resistere al potere sovrano … non si è concluso ancora nulla, perché resta da sapere quando può esercitarsi tale diritto, e chi ha il diritto di esercitarlo…” e prosegue “Quale potere nello Stato ha diritto di decidere che è giunto il momento di resistere? Se tale Tribunale preesiste è già parte della sovranità, e contestandone l’altra parte l’annienta. Se non esiste prima, da quale Tribunale questo Tribunale sarà costituito?” Du Pape, lib. II, cap. 2.

[17] Ciò era stato visto distintamente da De Maistre, quando scriveva che in una Costituzione “ Que ce qu’il y a de plus essentiel, de plus intrinsèquement constitutionnel et de véritablement fondamental, n’est j’amais écrit, et même ne saurait l’être” v. Des constitutions politiques Paris 1814 p. 26.

[18] V. Die Phänomenologie des Geistes V, B, C.

[19] Prefazione a Grundlienien der Philosophie des Rechts.

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Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti, di MICHAEL VLAHOS

26 FEBBRAIO 2022

 

Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti

MICHAEL VLAHOS

 

Noi americani abbiamo a lungo creduto che le nostre relazioni con il mondo fossero guidate da una polarità illuministica tra “realismo” e “idealismo”. In realtà, però, siamo mossi da correnti più profonde dell’ethos nazionale. L‘America è una religione, come ha detto Robert Bellah. Una “religione civile”, secondo le sue parole, ma comunque una religione vera e reale.

Le religioni hanno ovviamente una teologia e una chiesa che sono di competenza del clero. Tuttavia, le religioni (nazionalizzate) raccontano anche storie che spingono il popolo a lottare e persino a sacrificarsi, come fratelli cittadini, per l’idea stessa della nazione. Chiamiamo queste storie la narrazione sacra della nazione: narrativa, come in una sceneggiatura; sacra come in una scrittura. Le grandi nazioni hanno narrazioni piene di potere e, in tempi di crisi, sono spesso tentate di seguire la guida inossidabile della loro scrittura nazionale.

Ma queste narrazioni possono rivelarsi pericolose per chi le racconta, e la storia sacra dell’America – così sacra e imperiosa da farle pensare al suo ruolo missionario nel mondo – può rivelarsi alla fine la sua più grande debolezza. Gli americani vedono il mondo attraverso la lente di ferro del testamento messianico della “nazione redentrice“. Raramente abbiamo rinnegato questo sacro impulso, che ci ha condotto in tutte le guerre americane, portandoci sia gloria che disgrazia, vittoria e disastro.

Figura 1: American Progress (1872) con la Columbia, una personificazione.

degli Stati Uniti (John Gast).

 

Due secoli di cieca osservanza di questa prima direttiva hanno portato gli Stati Uniti all’unico trionfo trascendente: la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Altrove, invece, la scrittura americana ha sempre portato al fallimento strategico: La ricostruzione, Cuba (due volte!), la Società delle Nazioni, l’Iran, l’America centrale (molte volte!), il Vietnam, le guerre in Medio Oriente e l’Afghanistan.

Che sia sacra o profana, la letteratura è sempre letteratura. Di conseguenza, gli elementi della trama scritturale devono, come in televisione, lavorare insieme e raccontare all’unisono una storia. Nelle scritture americane, questi tropi sono strettamente intrecciati e intimamente familiari come i classici della letteratura mondiale.

Ora sembra che la “crisi” in Ucraina sia l’ennesimo arco narrativo della nostra lunga serie televisiva nazionale, non un sequel ma semplicemente l’ultima stagione di una serie in streaming: la sacra narrazione americana è infatti organizzata attorno a quattro motivi universali e immutabili, ognuno dei quali è presente nell’ultima stagione di apertura che sta andando in onda:

1.                 Dr. Evil

Il nemico che affrontiamo è il male, e il male deve essere per- sonalizzato. Quando i ribelli abbatterono la statua di piombo dorato di Giorgio III il 9 luglio 1776, stavano celebrando l’antico rito romano della Damnatio Memoriae: giustiziare simbolicamente l’imperatore rovesciato distruggendo la sua sacra imago legionaria (un ritratto dorato in 3D). Al contrario, durante la lunga Guerra Civile, il nemico era più simile al “Lato Oscuro della Forza” – “Il Potere Schiavista“.

– o lo specchio malvagio di “God’s Amer- ican Israel” di Ezra Stiles. Questo tropo fu esteso al dominio spagnolo a Cuba, che abolì la schiavitù solo nel 1880. La metafora del Lato Oscuro continuò fino alla Prima Guerra Mondiale, con la damnatio del predicatore Wilson sul “militarismo prussiano”. (L’epifenomeno ufficiale popolare – “Halt the Hun!” – si tingeva in realtà di razzismo).

Dopo il brutale Trattato di Versailles, gli atteggiamenti americani verso la Germania si ammorbidirono. Nel 1941 – con il 25% degli americani di origine nemica – non era più realistico creare una Germania e un’Italia malvagie. Il male doveva essere ancora una volta incarnato dal “Dottor Male”, questa volta personificato da Hitler e Mussolini.

Come pilastro della sacra narrazione americana, il motivo della “personificazione del male” si è accentuato nel secondo dopoguerra. Stalin, naturalmente, si adattava al profilo alla perfezione, così come Mao. E il dominio del Partito Comunista ha permesso di estendere questa designazione, sempre più ampia, fino a includere tutti i loro scagnozzi e i loro interi regimi. Soprattutto, però, tale tassonomia ha permesso agli ecclesiastici della politica estera statunitense di esonerare la stragrande maggioranza del popolo nemico come servo della gleba, oppresso dalla tirannia e desideroso di liberazione. Come ci dice Frank Baum ne Il meraviglioso mago di Oz:

[La strega cattiva ha tenuto in schiavitù tutti i Mastichini per molti anni, rendendoli schiavi per lei notte e giorno. Ora sono tutti liberi e vi sono grati per il favore.

Anche i soldati desiderano la liberazione e possono essere redenti. Dopo aver ucciso la strega cattiva (nel film del 1939), il capo della guardia Winkie (pseudo-cosacco) dichiara: Ave a Dorothy! La strega cattiva è morta! Vediamo come la narrazione sacra sia profondamente codificata e permei anche le opere letterarie e cinematografiche più popolari d’America.

Nel corso dei decenni, i nostri Dottor Malvagi scelti sono cresciuti fino a diventare un cast corale, che comprende Fi- del Castro, Muhammar Gheddafi, Saddam Hussein e Osama Bin Laden – una legione del Darkside! – solo per citarne alcuni. Ma questi si sono rivelati solo un gioco da ragazzi, perché l’America desidera soprattutto un nemico esistenziale manicheo. Dopo tutto, sono le minacce più gravi che portano la vittoria più dolce.

Per questo motivo, il dottor Putin si è recentemente calato in suole ben vestite. In effetti, come la strega cattiva o Jo- seph Stalin, il personaggio pubblico di Putin – da lui accuratamente curato per ottenere il massimo impatto mitico – è del tutto congruente con il meme del Dottor Male incorporato in America, soddisfacendo e superando le aspettative in ogni occasione.

Pertanto, non c’è dubbio – nell’occhio monolitico dei credenziosi esperti di Washington – che il nostro nuovo Grande Dittatore sia semplicemente un prepotente, motivato solo da avarizia e cupidigia. Una volta che questo giudizio viene canonizzato collettivamente, prevalgono le camere dell’eco e l’analisi dell’establishment viene congelata in un dogma. Smettiamo di indagare sul reale pensiero della nostra (autoproclamata) nemesi: tutto ciò che serve è un giudizio moralistico.

2.                    America il Redentore

La perfetta incapsulazione del dovere divino che l’America si è autoproclamata di salvare e liberare l’umanità (e punire i malvagi) è contenuta nel sofomorico discorso inaugurale di John F. Kennedy, che è diventato il fulcro della dottrina Kennedy:

Che ogni nazione sappia, che ci voglia bene o male, che pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualsiasi peso, affronteremo qualsiasi difficoltà, sosterremo qualsiasi amico, ci opporremo a qualsiasi nemico, per assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà.

Da Julia Ward Howe – “viviamo per rendere gli uomini liberi” – a Samantha Power – “Responsabilità di proteggere” (R2P) – la narrazione dei “nostri sacri obblighi di liberare l’umanità” rimane la catena ininterrotta dell’America. La nostra ultima Musa della Libertà, Anne Applebaum, ci ordina ora di essere risoluti e di fermare il sangue della storia alleviando il dolore di chi ha perso la vita.

 

Ucraina: “Potremmo iniziare con questo”, dichiara compiaciuta e disinvolta, “aiutando a fare dell’Ucraina la democrazia di successo, prospera e rivolta verso l’Occidente che Putin teme così chiaramente”.

Per molti aspetti, questa dottrina della nazione redentrice è radicata nella trasformazione dell’America durante la Guerra Civile. Prima della crociata abolizionista, gli Stati Uniti erano una politi- ca dominata dagli Stati confederati proprietari di schiavi, il che avrebbe reso assurda qualsiasi rivendicazione da parte degli Stati Uniti circa il loro accesso privilegiato alla giustizia divina. Le nascenti ambizioni americane assunsero quindi la forma di un’espansione territoriale imposta a livello nazionale attraverso il “Destino manifesto”, in cui l’America avrebbe domato la selvaggia natura occidentale e portato una civiltà protestante superiore nelle corrotte terre spagnole della Florida, del Messico e dei Caraibi.

In quanto tale, la Guerra Civile rappresentò una metamorfosi americana. D’ora in poi, la missione americana si sarebbe basata sulla redenzione piuttosto che sulla sottomissione: liberare gli oppressi, civilizzare i pagani e farne degli americani veri e propri (almeno nello spirito). La linea edificante della Ricostruzione, sebbene attuata solo di sfuggita nell’ex Confederazione, sarebbe stata presto estesa a Cuba e alle Filippine, e poi (almeno nelle intenzioni missionarie) alla Cina.

Figura 2. Vignetta politica statunitense del 1899 che raffigura lo Zio Sam che “istruisce” le nazioni occupate dopo la guerra ispano-americana (Louis Dalrymple).

Il pugnale del colonialismo e dell’im- perialismo americano è sempre stato ammantato sotto l’illusoria veste della tutela e della scolarizzazione: professando di salvare e poi risollevare quei milioni di persone che per tanti secoli erano state condannate all’ig- noranza e alla servitù con la promessa dell’istruzione, ma consegnando invece l’indottrinamento liberale e l’ingegneria sociale occidentale.

3.                    Democratismo

Se la libertà è l’insegnamento centrale della religione civile americana, la democrazia è la sua preghiera sacra o talismano. È allo stesso tempo grido di battaglia e vessillo. Come la اَل َهٰلِإ اَّلِإ هلا ٌدَّمَحُم ُلوُسَر هللا sulla bandiera saudita, questa singola parola sacra cattura e trasmette l’essenza della missione divina dell’America.

In effetti, come parola in codice per la mente americana, la democrazia è una nozione utilizzata per sposare più significati contemporaneamente: 1) che la democrazia è il segno sicuro del progresso, il segno della volontà di Dio per il futuro umano e di “ampie e soleggiate pianure“, o più semplicemente, il Millennio; 2) che la ricerca della democrazia unisce i democratici di tutto il mondo contro gli autocrati e crea tra loro e gli americani legami di fratellanza, rendendoli parenti dell’America; 3) che il mondo è nettamente diviso in democrazie e dittature: una minaccia contro una è una minaccia contro tutte; e 4) la prima direttiva dell’America è la difesa e la promozione della democrazia in tutto il mondo.

Un osservatore astuto potrebbe forse notare che “democrazia” non è semplicemente una parola sacra. È anche una parola d’ordine culturale ricca di contenuti sacri. Sempre compresa dai veri credenti, non è mai formalmente esplicita – la pronuncia è sempre sufficiente – purché si possa mostrare il distintivo di appartenenza.

La narrazione sacra esercita il suo potere come una singola parola. Se ciò che ogni americano dovrebbe sapere a memoria – come nel caso della R2P americana nei confronti di

 

L’Ucraina ha ancora bisogno di essere spiegata, allora basta recitare (a memoria) solo alcuni versi chiave, come fa Mike Turner (R-Ohio-futuro presidente del Comitato Intel) in questa intervista televisiva:

L’Ucraina è una democrazia… La Russia è un regime autoritario che cerca di imporre la sua volontà su una democrazia validamente eletta… Noi siamo per la democrazia. Siamo per la libertà. Non siamo per i regimi autoritari che entrano e cambiano i confini con i carri armati… Dobbiamo assicurarci di essere dalla parte della democrazia.

4.                    Lo spettro del peccato

Infine, l’arco scritturale della narrazione sacra dell’America raggiunge il suo culmine attraverso una formula di riconoscimento, rimorso e pentimento. L’impegno dell’America può vacillare e persino, inizialmente, fallire; tuttavia la nazione alla fine si risveglia, torna in sé e vede la luce. È un passaggio dalle tenebre alla luce.

Il più famoso di questi passaggi potrebbe essere chiamato il Testamento di Neville: Il cammino verso Damas- cus-in-Munich, una strada selvaggia lungo la quale Neville Chamberlain, alla fine degli anni Trenta, giunse finalmente a vedere e a pentirsi del suo peccato di Appease- ment. Ogni volta che gli Stati Uniti inciampano e si abbassano al male, cedendo alla facile via d’uscita, volendo assecondare il lato oscuro della Forza, si levano sempre voci giuste che chiedono una riconsacrazione della virtù nazionale, gridando come accuse: Appeasement!

Tuttavia, la bilancia deve prima o poi cadere dai nostri occhi se vogliamo che la profezia della missione americana si realizzi e che la “democrazia” trionfi. In questo senso, la chiamata dell’Ucraina (cioè l’intervento americano) è resa più urgente dalla litania dei fallimenti in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Afghanistan. Washington oggi sta seguendo una dinamica molto simile a quella che si è verificata dopo l’intervento in Iraq, in Siria, in Yemen, in Libia e in Afghanistan.

La narrazione sacra è fallita rovinosamente in Vietnam, Laos e Cambogia. Le sconfitte dell’Eurasia periferica portarono a una compensazione narrativa nel teatro centrale della NATO: La guerra fredda si è rinnovata alla grande nel 1980. Allo stesso modo, tra gli ecclesiastici statunitensi si sta diffondendo la convinzione che l’impero della virtù americano, che sta fallendo, debba riscattarsi difendendo aggressivamente Taiwan e l’Ucraina.

La nostra narrazione sacra non è semplicemente una serie di capitoli o stagioni scollegate tra loro, ma piuttosto una storia molto lunga e molto collegata. Quindi, gli Stati Uniti sono spinti, forse anche sferzati, dai loro testamenti di ferro. Questo significa che le narrazioni sacre sono dannose?

Ma come potrebbero essere cattivi? Certamente, tutti i grandi Stati sono, in larga misura, guidati dal mito e dalla leggenda. E la forza di questo potere può essere stupefacente, come l’America stessa ha potuto constatare durante la Seconda Guerra Mondiale, sentendosi come i grandi vincitori della lotteria della Storia.

Tuttavia, una storia nazionale globale può essere allo stesso tempo gloriosa e pericolosa. La domanda è: in che modo la narrazione distintiva dell’America (il nostro appello) – nei suoi soli termini – può mettere in pericolo gli americani? La risposta deve iniziare dalla comprensione di come le nazioni agiscono in modalità di crisi:

  1. Nel periodo iniziale di una crisi, o nella reazione a un insulto o a un’aggressione (come l’11 settembre), la narrazione prende il sopravvento e trascina una nazione in una risposta automatica senza tempo o spazio per la riflessione: gli angeli si precipitano dove i saggi hanno paura di camminare.
  2. Se la crisi in questione è preceduta da una serie di risposte scritturali incerte o fallite nel recente passato, la vergogna e l’orgoglio ferito e la vanità potrebbero bloccare i leader in una linea d’azione pre-scritta.
  3. Per questo, di fronte alle crisi geopolitiche,

la reazione immediata è spesso non solo riflessiva, ma inculcata proprio dai troppi trascendenti incorporati nella narrazione sacra – cioè l’appeasement (Monaco), i dittatori (alla Hitler), la democrazia della damigella che sta per essere violentata (alla Belgio, 1914).

Nel caso dell’America, le nostre passioni a forma di meme rischiano di essere al tempo stesso bellicose e compiacenti nei confronti dei risultati: Si ritirerà solo se noi resisteremo! Solo la forza dissuaderà l’aggressore! La pace attraverso la forza! Così, in caso di crisi, la narrazione sacra americana 1) ci fa entrare in modalità storia, 2) chiude lo spazio per la riflessione, 3) spinge a comportamenti bellicosi e troppo sicuri di sé, che 4) possono trasformare un avversario in un nemico, la cui prossima mossa potrebbe davvero sorprenderci (si pensi a Pearl Harbor). 

Una nazione troppo legata alla sua sacra narrazione, come la Francia nel 1870 o la Germania nel 1914, non può distinguere tra il suo ideale stellato e la strategia reale. Ad esempio, una nota dopo l’altra ha dimostrato come lo spettro degli anni Trenta abbia ostacolato pesantemente il processo decisionale della Casa Bianca di Johnson nel periodo precedente al Vietnam. Decenni dopo, quello stesso Studio Ovale ha visto un’isteria maniacale, da sogno della Seconda Guerra Mondiale, dopo l’11 settembre.

Il punto cruciale è che oggi i nostri futuri amici ci conoscono fin troppo bene. Noi, invece, ci conosciamo emotivamente ma non oggettivamente. Non siamo disposti a – o semplicemente non possiamo – tirarci indietro e ha giocato la volontà di coglierla.

Vecchi versetti e parole sacre non sono assolutamente in sintonia con la realtà degli Stati Uniti di oggi, eppure hanno ancora il potere di minare ulteriormente la posizione dell’America. Invocarli ci spinge a insistere su cose che semplicemente non possiamo fare, mentre ironicamente, fatalmente, spinge i nostri avversari a fare le cose che possono.

Nella mitologia norrena, Loki l’Ingannatore incarna la metafora secondo cui una presenza celeste può trasformarsi da guida salvifica a mutaforma (e Loki era un mutaforma!) per emergere improvvisamente come orchestratore di depistaggi divini, per un capriccio. In fondo, la figura di Loki rappresenta la saggezza radicata (presente in molti antichi pan- teoni) che non sempre ci si può fidare degli dei quando si tratta del tragico mondo dell’uomo – che possono persino rivoltarsi contro gli esseri umani, o perlomeno, provocare guai strategici.

Questo mito poteva essere un modo efficace per ricordare ai fedeli (in qualsiasi società) che anche l’ordine impartito dagli dei manca di certezza e permanenza, dato il flusso della vita. In pratica guardare dentro. Siamo cablati su un unico percorso…

quello dell’azione e dell’attivismo come fine a se stesso.

L’istinto di controllo non è necessariamente rovinoso se gli Stati Uniti sono carichi e possono sfruttare tutta la loro potenza, come nel dicembre 1941. In quel caso, la nostra avventatezza strategica, spingendo il nemico troppo

è salutare e salutare per una cultura e un sistema di credenze rendere conto del caos immanente (e di tutto ciò che è al di fuori del mondo).

Loki inganna Hodr per uccidere

Baldr, il dio norreno associato alla luce e alla saggezza. La morte di Baldr annuncia l’arrivo del Ragnarök (Jakob Sigurðsson).

 

lontano, in realtà si è trasformata in serendipità divina. Oggi, in una nazione divisa e in guerra con se stessa, l’America deve evitare come la peste l’eccesso di strategia. Inoltre, questa volta i rivali dell’America possiedono la vera iniziativa strategica e hanno dis-

del proprio controllo) – e per ricordarci almeno che noi non dobbiamo mai permetterci di credere di essere invincibili, per quanto divina sia la nostra dispensazione o grandioso il nostro utopismo.

L’America è diventata così convinta del proprio diritto…

 

missione reificata di un impero liberale globale, incaricato da Dio stesso, che nella sua arroganza dimentica che non si può sempre contare sulla certezza del Divino o di un destino manifesto per salvarsi dalla rovina!

 

Ringraziamenti

 

Michael Vlahos è uno scrittore e autore del libro Fighting Identity. Ha insegnato guerra e strategia alla Johns Hopkins University e al Naval War College. Attualmente è Senior Fellow presso l’Institute of Peace & Diplomacy. Collabora settimanalmente al John Batchelor Show. Seguitelo sul suo blog: anewcivilwar.com.

Copertina: Emil Doepler (via Wikimedia)

© 2022 Istituto per la Pace e la Diplomazia

 

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Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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PINOCCHIO VA ALLA GUERRA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PINOCCHIO VA ALLA GUERRA

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina abbiamo letto notizie ed opinioni talvolta inverosimili in partenza, ma per lo più smentite dai fatti successivi; e il tutto accompagnato dall’omissione di circostanze contrarie, regolarmente taciute o minimizzate.

Quale esempio delle prime: Putin è matto, molto malato, ecc. ecc. Ma Putin non ha fatto nulla di diverso da quanto operato da secoli dai governanti russi: cercare uno “sbocco” a sud verso i mari caldi, con decine di guerre soprattutto contro gli ottomani. Per cui se farlo significa essere matti, vuol dire che la Russia è diretta, almeno da tre secoli, da dementi; ma ciò non le ha impedito di divenire una grande potenza. Ovvero che Putin sarebbe stato detronizzato dai “suoi”. Può darsi, ma finora, a quasi un anno dall’inizio delle ostilità, sembra saldo al potere. O anche che le sanzioni alla Russia l’avrebbero messa in ginocchio: ad oggi pare solo che ha perso qualche 2-3% del PIL (ossia un terzo di quello perso dall’Italia col governo Monti) e sarebbe in via di recupero. Quel che è taciuto è che il rublo si sia rivalutato nei confronti del dollaro e ancor più dell’euro: segno che i “mercati” – la pizia della stampa mainstream – ritengono la moneta (e l’economia) russa tutt’altro che inaffidabili, né in via di collasso.

O che i russi avrebbero presto finito le munizioni: da un anno continuano a sparare, il che testimonia che ce l’hanno. E potremmo continuare per pagine. Anche dall’altra parte se ne raccontano, ma la tempesta mediatica da occidente è di gran lunga superiore sia per varietà (e contraddittorietà) degli argomenti, sia soprattutto per quantità dei ripetitori. Nelle prime fasi del conflitto mi è capitato di scrivere che la “nebbia della guerra” di Clausewitz, applicata nel caso alla comunicazione, era imponente; oggi è ancora tale. L’ultimo caso è quello dei carri armati: è stata da poco diffusa la notizia che stavano per arrivare agli ucraini (nei prossimi tre mesi) circa 100 carri armati occidentali, destinati a far polpette di quelli russi. Nessuno spiegava né nei tre mesi suddetti, cosa avrebbero fatto i russi per evitarlo (magari accelerare le operazioni militari per vanificare tanto aiuto agli ucraini) ma soprattutto che la asserita qualità dei corazzati occidentali non avrebbe compensato la superiorità quantitativa di quelli di Putin. Un po’ come, per tenersi da quelle parti, successe nel ’43 a Kursk, dove qualche centinaio di eccellenti Tiger e Panther tedeschi fu sconfitto, malgrado le perdite inflitte ai sovietici alle assai più numerose formazioni di T-34 e KV russi. E ciò malgrado i nazisti fossero comandati dal miglior generale della II guerra mondiale: Erich von Manstein. Il quale infatti, e a dispetto dell’inferiorità numerica (da 1 a 3 a 1 a 5), riuscì a tenere l’Ucraina per circa un anno. Ma era von Manstein e non Zelensky a comandarle.

Agli albori dello Stato moderno, un noto giurista, Alberico Gentili, si poneva il problema se fosse lecito, in guerra, “ingannare” il nemico con menzogne di vario genere. E ne tratta per molte pagine del suo capolavoro il “De jure belli, libri 3”. Il problema sussisteva perché, per un giurista, è normale qualificare un comportamento come lecito o illecito.

E nel mentre riteneva illecito – in taluni casi – l’uso della menzogna per ingannare i nemici, tuttavia concludeva “Se infatti si ammette che a fin di bene anche gli amici possono essere ingannati con la menzogna, si può ammettere che i nemici possano essere indotti in errori per la loro rovina. Naturalmente, come agli amici è fatto per il loro bene, così ai nemici è reso il fatto loro e giustamente è recato loro danno”.

Ma in tutta la sua esposizione non si pone mai il problema del capo che mente (sistematicamente) al seguito; cioè il problema riconducibile alla propaganda di guerra – che tanta parte ha nei conflitti, soprattutto moderni.

Certo è che tutte – o quasi – le menzogne propagate non sembrano poter avere alcun effetto nell’ingannare Putin, o, al più, un’efficacia minima.

Quindi il loro unico – o assolutamente prevalente – risultato, è di suscitare un qualche consenso nell’opinione pubblica a sopportare il costo delle sanzioni e degli aiuti all’Ucraina. Ossia sono false o errate rappresentazioni ad usum delphini. Le quali hanno l’inconveniente, in politica e ancor più  nel di essa mezzo, la guerra, di indirizzare (e far regolare) le proprie azioni su presupposti e fini immaginari e immaginati, con ciò rischiando, a parafrasare Machiavelli “d’imparare più presto la ruina che la preservazione sua”. Nella specie quella della comunità nazionale, che i governanti hanno il dovere di proteggere e dei cui risultati devono rispondere.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Lu Feng: In risposta al disaccoppiamento della tecnologia americana, la Cina deve decidersi a farlo

Lu Feng: In risposta al disaccoppiamento della tecnologia americana, la Cina deve decidersi a farlo

Fonte: rete di osservatori

2023-01-17 07:27

Lu Feng autore

Professore, Dipartimento di Economia Politica, School of Government, Università di Pechino

Entrando nel 2023, gli Stati Uniti non hanno mollato la loro guerra tecnologica contro la Cina e le loro azioni di “de-sinicizzazione”. Di fronte all’assedio tecnologico degli Stati Uniti ad ogni passo, cosa dovrebbe fare la Cina?

Lu Feng, professore presso la School of Government Administration dell’Università di Pechino, che ha sostenuto l’innovazione indipendente della scienza e della tecnologia in Cina, si concentra sulla ricerca dello sviluppo industriale cinese e ha partecipato alla dimostrazione esperta del riavvio del progetto di aeromobili di grandi dimensioni nazionali all’inizio di questo secolo; Sull’asse verticale, da più livelli come la macro strategia di innovazione indipendente nazionale e l’innovazione tecnologica micro aziendale, studia come l’innovazione industriale indipendente della Cina forma una scintilla che accende un incendio nella prateria. I suoi libri e saggi hanno un enorme influenza sui lettori che hanno a cuore lo sviluppo industriale della Cina. Observer.com ha recentemente intervistato Lu Feng sulla guerra tecnologica degli Stati Uniti contro la Cina e le contromisure della Cina.

Lu Feng ha sottolineato che di fronte all’aggressivo disaccoppiamento della tecnologia da parte degli Stati Uniti e alla conseguente “de-sinicizzazione” degli Stati Uniti e dei suoi alleati, la Cina deve sfruttare appieno i suoi vantaggi come il più grande mercato della domanda mondiale, contrattaccare e cercare la cooperazione nella lotta; Allo stesso tempo, la Cina deve decidere di concentrare le risorse il prima possibile per promuovere la formazione della catena industriale cinese dei circuiti integrati; sfruttare il “sistema nazionale” per costruire un sistema completamente indipendente base di produzione e cambiare la situazione in cui le principali aziende tecnologiche sono state ripetutamente bloccate.

[Intervista/Osservatore Net Gao Yanping]

Vantaggi del mercato dei chip numero 1 al mondo

Observer.com: Il blocco statunitense della tecnologia cinese e la desinizzazione hanno spesso riportato nuove azioni e sono stati emessi frequentemente blocchi e divieti.Come analizza questa situazione?

Lu Feng : Sono passati quasi cinque anni da quando Trump ha lanciato una guerra commerciale contro la Cina nel 2018, seguita da una guerra tecnologica contro la Cina. Alcune persone inizialmente pensavano che dopo l’ascesa al potere di Biden, lo slancio degli Stati Uniti per contenere la Cina sarebbe stato più rilassato, ma ora sembra che non ci sia alcun rilassamento. Mettere 36 produttori di chip cinesi nell’elenco dell’embargo e incoraggiare TSMC a trasferirsi negli Stati Uniti fanno tutti parte della guerra tecnologica degli Stati Uniti contro la Cina.

Il 7 dicembre 2022, TSMC ha tenuto la sua prima cerimonia di ingresso delle apparecchiature in Arizona, USA, e ha annunciato l’espansione dello stabilimento, con un investimento di 40 miliardi di dollari. Nel suo discorso, Biden ha dichiarato che la manifattura americana è tornata.

Non c’è dubbio che il divieto degli Stati Uniti avrà sicuramente un impatto sullo sviluppo tecnologico ed economico della Cina. Ma c’è una via d’uscita per la Cina? Per chiarire questa questione, dobbiamo analizzare la tendenza generale.

La tecnologia dei semiconduttori è nata negli Stati Uniti, ovviamente, gli Stati Uniti hanno un forte vantaggio tecnologico. Dal punto di vista dell’offerta del mercato globale, le società di semiconduttori statunitensi rappresentano il 46,3% dell’intera quota di mercato dei semiconduttori (2021 Global Semiconductor Industry Association SIA). Tuttavia, d’altra parte, non dovremmo guardare solo al lato dell’offerta, ma anche al lato della domanda.Secondo i dati SIA, le vendite globali di semiconduttori nel 2021 saranno di 555,9 miliardi di dollari USA, un record; a 192,5 miliardi di dollari USA , è ancora il più grande mercato di semiconduttori al mondo, con un aumento anno su anno del 27,1%. La Cina è il più grande mercato di consumo per i prodotti a semiconduttore e non dimenticare che anche questo è un enorme vantaggio per la Cina.

Il management utilizza spesso il modello della teoria delle cinque forze di Michael Porter per analizzare i cinque fattori decisivi all’interno e all’esterno dell’impresa. Questa teoria è un po’ vecchia, era molto famosa in Cina e gli studenti di materie manageriali la usavano quando scrivevano documenti. L ‘”unica forza” nelle “cinque forze” è il potere degli acquirenti, il che significa che il mercato ha potere contrattuale, che può influire sulla redditività delle imprese.

Infatti, per quanto riguarda i prodotti a semiconduttori, la struttura industriale in cui gli Stati Uniti dominano l’upstream (offerta) e la Cina domina il downstream (domanda) riflette il rapporto di lungo periodo tra le industrie cinesi e americane: molte industrie a valle nel Gli Stati Uniti hanno iniziato a diminuire, compresa la produzione di semiconduttori.Mentre l’industria a valle della Cina si sta gradualmente sviluppando, l’industria a monte è ancora debole, il che ha formato uno stato unico di “terrore nucleare” nell’industria dei semiconduttori. Cina e Stati Uniti hanno ciascuno le proprie “armi nucleari”: una volta che i due paesi le utilizzeranno appieno, il risultato a breve termine sarà una perdita per entrambe le parti, mentre il risultato a lungo termine è incerto.

La Cina è il più grande mercato di chip e se la Cina non importa affatto chip americani, anche l’industria dei semiconduttori statunitense sarà colpita duramente. Negli ultimi cinque anni, gli Stati Uniti hanno sempre soppresso le società tecnologiche cinesi, perché sanno che una volta bloccata completamente la Cina, bloccheranno completamente anche le proprie società.

Ad esempio, per aziende come Qualcomm e Nvidia negli Stati Uniti, il mercato cinese ha contribuito per oltre il 70% alle loro entrate. Se il mercato cinese scompare improvvisamente, queste società ridurranno gli investimenti, licenzieranno i dipendenti e i prezzi delle azioni crolleranno, il che porterà a reazioni a catena come il panico a Wall Street.

In tali circostanze, da un lato, gli Stati Uniti sono bloccati al collo della Cina in alcuni campi tecnologici chiave, concentrandosi sull’uccisione delle aziende più potenti della Cina che rappresentano una sfida all’egemonia tecnologica americana, come Huawei; Prodotti di vendita. Ora la politica di blocco degli Stati Uniti si sta ancora gradualmente intensificando, mostrando l’intenzione dei conservatori americani di separarsi dalla Cina, quindi il rapporto tra essere bloccati in Cina e vendere alla Cina sta diventando sempre più teso.

Allo stesso tempo, con il declino dell’intera industria manifatturiera negli Stati Uniti, compresa la produzione di circuiti integrati, gli Stati Uniti hanno introdotto anche le fabbriche TSMC.In primo luogo, vogliono rilanciare l’industria manifatturiera americana.In secondo luogo, si dice che le persone nei circoli strategici statunitensi sono preoccupate che la Cina riconquisti Taiwan, dopodiché l’intera catena industriale dei circuiti integrati degli Stati Uniti verrà spezzata, quindi questa è una mossa importante per la reindustrializzazione degli Stati Uniti per trattare con la Cina.

Il punto cruciale: la Cina non ha formato una catena industriale locale per i circuiti integrati

Observer.com: Hai svolto molte ricerche sulla storia industriale della Cina. Contando dal 2006, sono passati 15 anni da quando la Cina ha proposto la strategia di sviluppo dell’innovazione indipendente. Tuttavia, le carenze della catena industriale nel campo dei chip sono diventate sempre più prominente in questi anni.Creare una situazione in cui ogni azienda tecnologica che emerge sarà bloccata. Ma in realtà, hai detto che ci sono aziende cinesi in ogni anello del campo dei semiconduttori in Cina, e alcuni campi sono particolarmente forti, come il campo della progettazione di chip.Il vero problema è che il ciclo di domanda e offerta della nostra catena industriale interna ha non formato Come lo capisci?

Lu Feng: Il punto di partenza per discutere dell’industria dei circuiti integrati in Cina è il fatto che il motivo per cui la Cina è bloccata in quest’area non è perché la Cina non l’ha fatto, ma perché si è arresa a metà strada diverse volte e gli è sempre mancata la determinazione per attenersi alla fine.

Sebbene l’industria cinese dei circuiti integrati sia ancora in una posizione arretrata rispetto agli Stati Uniti, forse perché la Cina ha una lunga storia di sviluppo dell’industria dei circuiti integrati, ha una caratteristica piuttosto rara al mondo. Cioè, ci sono aziende cinesi in quasi ogni anello della catena dell’industria dei semiconduttori. Questo fenomeno non esiste in Corea del Sud o Taiwan, e anche gli Stati Uniti non possono farlo oggi.

La seconda particolarità è che finora le società cinesi in vari anelli della catena dell’industria dei semiconduttori non hanno formato tra loro un rapporto domanda-offerta relativamente forte e circolano tutte con la catena industriale internazionale. Il problema fondamentale dell’industria cinese dei circuiti integrati sta qui.

Ad esempio, 10 anni fa, la maggior parte degli ordini ricevuti da SMIC provenivano dall’estero (ora è migliorata), perché le società di progettazione di chip nazionali ritengono che non sia abbastanza avanzata. I chip progettati da Huawei HiSilicon vengono ordinati presso TSMC. Sebbene SMIC se ne lamenterà, fino a poco tempo fa le sue apparecchiature venivano importate e per ragioni simili non utilizzava apparecchiature domestiche.

Il primo lotto di macchine per l’incisione di chip in Cina prodotto da China Micro Semiconductor Equipment a Shanghai non è stato acquistato da nessuno nel continente e successivamente è stato venduto a società taiwanesi per realizzare l’industrializzazione. Naturalmente, quando le società cinesi sono state sanzionate dagli Stati Uniti, hanno iniziato a effettuare ordini interni e ad acquistare attrezzature e materiali domestici. Tuttavia, ora SMIC ha paura di accettare ordini da Huawei HiSilicon, perché teme di essere sanzionato dagli Stati Uniti; le apparecchiature e i materiali domestici non sono abbastanza avanzati e sono ancora in uno stato di sostituzione marginale.

Perché l’industria cinese dei semiconduttori non ha formato una catena industriale locale? Le sue radici si trovano nel modello follower.

La Cina ha iniziato a sviluppare l’industria dei semiconduttori negli anni ’50 e ha prodotto circuiti integrati negli anni ’60. Per quanto riguarda la tecnologia stessa, la Cina non solo ha insistito su ricerca e sviluppo indipendenti, ma il livello è piuttosto avanzato. Tuttavia, con il sistema di pianificazione dell’epoca, il problema principale dell’industria cinese dei semiconduttori era che non era integrata con applicazioni commerciali, i suoi prodotti erano utilizzati principalmente nell’industria militare e nella ricerca scientifica, il che ne limitava notevolmente lo sviluppo. All’inizio degli anni ’80, quando la Cina ha aperto il suo mercato e ha introdotto la tecnologia straniera, l’industria locale dei circuiti integrati è stata rapidamente sopraffatta dai prodotti importati e le aziende di semiconduttori che sostenevano l’industria militare sono quasi scomparse.

Il secondo ciclo di sviluppo dell’industria cinese dei semiconduttori è stato condotto in condizioni in cui la base industriale locale è stata spazzata via e la politica ha enfatizzato l’introduzione. In effetti, lo sviluppo dei circuiti integrati era ormai abbandonato a livello nazionale, ma il governo si è poi reso conto dell’importanza dei semiconduttori (stimolato ad esempio dalla prima Guerra del Golfo). La via di questo ciclo di sviluppo è introdurre l’intera linea di produzione attraverso joint venture, come i progetti 908, 909 e gli sforzi di Shougang per realizzare semiconduttori. Naturalmente, anche questo round non ha avuto successo, perché l’introduzione di linee di produzione non può consentire alle imprese cinesi di sviluppare le proprie capacità e non può tenere il passo con i rapidi cambiamenti della tecnologia e del mercato. Il progetto 909 si è anche rivolto allo sviluppo indipendente in seguito per diventare l’odierna Hua Hong.

Il terzo round di sviluppo dell’industria dei semiconduttori in Cina è iniziato all’incirca nel 2000, con l’istituzione di SMIC a Shanghai come evento di riferimento. Le caratteristiche di questo round si possono riassumere nell’adozione di un metodo di sviluppo internazionale e nella partecipazione al ciclo della filiera industriale internazionale. Il terzo round di sviluppo coincide con l’entrata dell’economia cinese in una fase di forte crescita e la domanda di mercato in continua espansione e le capacità di investimento hanno consentito all’industria cinese dei semiconduttori di svilupparsi notevolmente.

È proprio perché la Cina ha una lunga storia di sviluppo dell’industria dei semiconduttori che oggi troviamo che quasi ogni anello della catena dell’industria dei semiconduttori ha aziende cinesi. Ma allo stesso tempo, queste imprese cinesi distribuite nell’upstream, downstream e midstream non hanno formato una connessione relativamente forte tra domanda e offerta. Ciò ha anche creato una situazione in cui le principali società cinesi di chip possono essere facilmente sanzionate dagli Stati Uniti.

Observer.com: Quindi, per affrontare il blocco tecnologico statunitense, pensi che la chiave sia costruire una catena industriale di circolazione interna?

Lu Feng: “Circolazione interna” non è un’espressione corretta, perché i semiconduttori sono prodotti che devono essere venduti in tutto il mondo per ridurre i costi. Ma è necessario formare una filiera industriale locale, perché sotto la repressione degli Stati Uniti ci troviamo di fronte a un fatto “sanguinoso”: il progresso tecnologico di ogni azienda di circuiti integrati in Cina deve fare affidamento sull’intera filiera cinese dei circuiti integrati abilità migliorata.

Se non esiste una catena industriale con forti legami tra domanda e offerta tra le aziende cinesi in tutti i collegamenti, il progresso tecnologico di ogni singola azienda sarà soggetto alla soppressione degli Stati Uniti. Pertanto, chiamo questa catena industriale la base industriale dei circuiti integrati cinesi. Una volta formata una catena industriale locale, non avremo paura del blocco tecnologico degli Stati Uniti, perché il mercato cinese è abbastanza grande.

La formazione di questa base industriale dovrebbe essere l’obiettivo e il compito principale dello sviluppo cinese dell’industria dei circuiti integrati. Dal rilascio del “Documento n. 18” nel 2000 per incoraggiare lo sviluppo dell’industria del software e dell’industria dei circuiti integrati, ogni pochi anni il Consiglio di Stato emetterà un documento a sostegno dello sviluppo dei circuiti integrati, ma il suo contenuto è quello di sostenere lo sviluppo di singole tecnologie, da Non ci sono obiettivi e contenuti per lo sviluppo di una base industriale indipendente.

Ad esempio, dal 2006, il “Piano nazionale di sviluppo scientifico e tecnologico a medio e lungo termine (2006-2020)” ha individuato 16 grandi progetti. Tra questi, il progetto 01 si concentra su dispositivi elettronici di base, chip generici di fascia alta e prodotti software di base, indicati come basi nucleari di alto livello.L’obiettivo richiede l’acquisizione di una serie di tecnologie chiave e lo sviluppo di un numero di prodotti core strategici. Il progetto 02 pone l’accento su apparecchiature di produzione di circuiti integrati su larga scala e serie complete di processi, e i suoi obiettivi includono la ricerca e lo sviluppo di prototipi di apparecchiature di produzione a 65 nanometri; scoperte in diverse tecnologie chiave al di sotto di 45 nanometri, ecc.

I grandi progetti speciali sono sostenuti e finanziati dallo stato, esaminati da esperti e gli indicatori tecnici sono utilizzati come standard per l’approvazione del progetto. Ad esempio, se questa azienda ha la capacità di produrre chip con il processo più avanzato al mondo. Tuttavia, questo indicatore tecnico si basa sulla tecnologia avanzata internazionale come sistema di riferimento, sembra alto, ma segue essenzialmente il ritmo degli altri. Pertanto, chiamo questo sistema di supporto “sistema seguente”.

I progetti nell’ambito del sistema di follow-up supportano un’unica tecnologia e si rivolgono a tecnologie straniere esistenti. Tali progetti stanno solo seguendo l’avanguardia del progresso tecnologico internazionale e la maggior parte di essi sono intrapresi da università o istituti di ricerca, quindi non è certo se saranno utili o meno. Sono stati implementati tre piani quinquennali per grandi progetti e ora sono impotenti di fronte alle sanzioni statunitensi, il motivo non è casuale.

Oggi vediamo tutti i risultati dei nuovi veicoli energetici cinesi. Questo risultato ha avuto origine dal movimento di innovazione indipendente emerso nell’industria automobilistica cinese circa due decenni fa. A quel tempo, lo stato (come il Ministero della Scienza e della Tecnologia) aveva già l’idea di utilizzare la nuova tecnologia energetica per ottenere il sorpasso in curva, che coincise con l’ascesa delle auto auto-sviluppate della Cina, che diedero al piano nazionale un base. Solo le aziende che sviluppano prodotti in modo indipendente proveranno nuove tecnologie, penseranno al sorpasso in un angolo e indurranno più aziende a entrare nella nuova catena industriale. Quando molte imprese auto-sviluppate hanno formato la catena industriale o la fondazione di veicoli a nuova energia, oggi possiamo vedere i risultati della produzione e delle vendite globali della Cina di veicoli a nuova energia.

Al contrario, l’industria dei circuiti integrati ha ricevuto un sostegno statale non inferiore a quello dell’industria automobilistica della nuova energia, ma è ancora in uno stato di disunione e le lezioni devono essere riassunte.

Risposta: fattibilità di un’autoproduzione completa

Observer.com: In una situazione di disunione, per far fronte alle sanzioni tecniche degli Stati Uniti, pensi che la Cina dovrebbe costruire una base industriale per i circuiti integrati, quindi cosa si dovrebbe fare a livello politico?

Lu Feng : L’obiettivo della politica cinese dovrebbe essere quello di concentrare le risorse per promuovere la formazione della catena industriale locale della Cina, piuttosto che il perseguimento frammentato di singoli progetti o singoli indicatori tecnologici.

Di fronte alla guerra tecnologica degli Stati Uniti nel campo dei semiconduttori, il governo cinese deve essere spietato e cogliere gli anelli chiave che promuovono la formazione della catena industriale. Al momento, il collegamento chiave include la ricerca e lo sviluppo indipendenti della tecnologia sottostante, ma ciò che sottolineo in particolare qui è concentrarsi sulla produzione indipendente, in modo da aprire le catene industriali a monte ea valle.

Cos’è l’autoproduzione completa? Si può fare in due passaggi:

Il primo passo è abbellire la linea di produzione. Attualmente, le aziende cinesi hanno implementato il non abbellimento, ovvero non utilizzano apparecchiature americane su una linea di produzione, ma utilizzano apparecchiature e materiali nazionali, giapponesi, coreani, europei e altri non americani.

Il secondo passo è sostituire tutte le attrezzature e i materiali stranieri con attrezzature e materiali domestici. Ovviamente, lo sviluppo di una produzione completamente indipendente eliminerà attrezzature e materiali domestici e rafforzerà l’interazione tra aziende manifatturiere e di design. Se è localizzato al 100% dipende dalla situazione specifica.Il principio è che non ci dovrebbe essere alcun rischio di rimanere bloccati. Lo sviluppo di una produzione completamente indipendente deve fare affidamento sulla cooperazione delle imprese cinesi in tutti gli anelli della catena industriale, perché la tecnologia di ciascun anello interagisce con gli altri anelli. Finché afferri l’anello di produzione, afferrerai i pennini che formano l’intera catena industriale.

Naturalmente, il nostro attuale sviluppo di una produzione completamente indipendente non ha ancora raggiunto il livello avanzato del mondo, ma possiamo fare un passo indietro e iniziare con una produzione completamente indipendente a 28 nanometri, credo che sia fattibile. Qualcuno ha chiesto, i chip di Huawei usano 7nm, non è arretrato fare un’autoproduzione completa a 28nm? In effetti, questo comporta un punto di vista fondamentale per il progresso tecnologico. Ecco due questioni strategiche fondamentali.

In primo luogo, ho sottolineato 20 anni fa che per l’innovazione, la base di capacità è più importante dell’attuale livello tecnico, perché solo con l’abilità possiamo cogliere il progresso tecnologico e innovare. Allo stato attuale, l’industria cinese dei circuiti integrati non ha formato una base industriale indipendente, cioè una base di capacità, il che in realtà nasconde il fatto che la maggior parte delle singole aziende non si occupa di tecnologia profonda, perché tutte pensano di poter fare affidamento su tecnologia straniera.

Ma come accennato in precedenza, oggi più che mai il progresso tecnologico di una singola impresa dipende dal progresso tecnologico dell’intera filiera industriale, cioè dal progresso della base industriale. La mancanza di questa base è il nostro difetto nella guerra tecnologica sino-americana, quindi dobbiamo rimediare alla parte più breve.

La Cina deve prendere una decisione. Secondo l’attuale situazione industriale, possiamo partire da 28 nanometri e costruire una linea di produzione completamente indipendente, in modo da aprire la catena industriale e costituire la base industriale dei circuiti integrati cinesi. Quando la linea di produzione completamente autonoma a 28 nm dimostrerà di funzionare senza intoppi, saremo in grado di costruire una linea di produzione completamente autonoma a 14 nm e così via.

In effetti, nessuna azienda al mondo può saltare la produzione di chip a 14 nm prima di realizzare chip a 28 nm, o realizzare chip a 7 nm invece di 14 nm, perché le capacità vengono sviluppate cumulativamente attraverso le piattaforme di prodotto. Pertanto, lo sviluppo dell’industria cinese dei circuiti integrati deve prendere come obiettivo strategico lo sviluppo delle capacità piuttosto che gli indicatori tecnici.

Secondo il rapporto semestrale di TSMC per il secondo trimestre del 2022, le vendite di chip con processo a 14-90 nm hanno rappresentato il 39%

In secondo luogo, nell’odierno mercato globale dei circuiti integrati, i chip con processi maturi sono i più richiesti e utilizzati. I chip con processi avanzati occupano solo una quota di mercato molto bassa. Nel 2021, TSMC amplierà anche in modo significativo la produzione di chip con un processo maturo a 28 nm per far fronte alla carenza nel mercato. I chip automobilistici sono fondamentalmente dominati da processi maturi a 28 nm, 45 nm e 65 nm e solo pochi chip automobilistici come i chip per la guida autonoma devono utilizzare processi avanzati. I chip in campi ingegneristici come quello aerospaziale utilizzano persino chip su scala micron, sebbene in quantità limitate.

Se la Cina può davvero formare una catena industriale libera da interferenze esterne a livello tecnologico a 28-60 nm, non solo avrà una base industriale per il continuo progresso tecnologico, ma formerà presto un altro vantaggio competitivo. L’industria cinese ha una capacità senza pari: fintanto che sa come realizzare un certo prodotto, può rapidamente rendere il costo di questo prodotto il più basso al mondo, occupando così una grande fetta di mercato.

Se la Cina occupa una quota importante nel mercato mondiale dei chip di processo maturi, guadagnerà anche una posizione di “contrattazione”: se gli Stati Uniti bloccano il 20% dei prodotti di processo avanzati, noi bloccheremo ugualmente l’80% dei prodotti di processo maturi. Auto americane La fabbrica non utilizzerà chip di processo avanzati (il prezzo aumenterà se l’auto viene utilizzata). Inoltre, dal momento che tutte le aziende (compresa TSMC) che monopolizzano i prodotti di processo avanzati fanno molto affidamento su prodotti di processo maturi per mantenere la redditività, la perdita di questo mercato scuoterà seriamente la loro fiducia nel bloccare la Cina.

Dare pieno gioco ai vantaggi del “sistema nazionale” per far fronte al blocco dei chip

Observer.com: Hai analizzato il ruolo del “sistema nazionale” nell’innovazione indipendente cinese, quindi nel risolvere i problemi dei chip e dei colli di bottiglia tecnologici chiave, come la produzione completamente indipendente che hai citato, il “nuovo sistema nazionale” cinese Come si gioca un ruolo efficace?

Lu Feng: Consentitemi di ribadire che la cosiddetta produzione completamente indipendente, utilizzando tutte le apparecchiature e i materiali domestici, richiede un processo e non sarà raggiunto dall’oggi al domani. Ma dobbiamo seguire questo obiettivo, cioè stabilire la nostra fondazione per l’industria dei circuiti integrati. Dopo il completamento, le nostre società di apparecchiature a monte e le società di materiali possono unirsi alla catena del progresso tecnologico; la progettazione di chip a valle non sarà limitata dagli Stati Uniti nel modo in cui desidera svilupparsi. Questo è un punto chiave e afferrare questo punto chiave può aprire l’intera catena industriale.

Nel successo di “due bombe e una barca” (riferito a bombe atomiche, missili e sottomarini nucleari), il “Comitato speciale centrale” ha svolto un ruolo importante. La ragione diretta dell’istituzione del Comitato speciale centrale era che coincideva con il triennio di difficoltà economiche e molti ministri del governo chiedevano lo smantellamento della bomba atomica. L’opposizione ha risvegliato i vertici e si è invece decisa a implementare completamente la leadership centralizzata, anche per superare i vincoli del sistema dipartimentale sui principali compiti strategici del Paese.

La prima caratteristica del Comitato Centrale Speciale è che è direttamente responsabile di fronte al Comitato Centrale del Partito; la seconda è che afferra direttamente il progetto, come disegnare il piano e come portare a termine il compito senza alcuna gestione intermedia. I membri del comitato speciale del Comitato centrale sono composti da diversi vicepremier e capi di ministeri e commissioni, ma Zhou Enlai, che all’epoca era il direttore del comitato speciale, ha chiarito durante la riunione che personalmente non hanno potenza. Pertanto, i ministeri e le commissioni hanno solo potere esecutivo e nessun potere decisionale sui progetti di competenza di apposite commissioni, aggirando così gli inconvenienti della gestione multidipartimentale.

Discutendo oggi del nuovo sistema nazionale, la nostra ricerca ha rilevato che la caratteristica fondamentale del sistema nazionale storico è che è necessario istituire un’apposita organizzazione decisionale ed esecutiva direttamente responsabile nei confronti dei vertici per svolgere e completare le principali attività strategiche del Paese compiti, altrimenti sarà difficile mobilitare il potere dell ‘”intero paese”.

Per il sistema industriale cinese di oggi, dopo che il nostro grande progetto di aeromobili è stato completato, rimane solo il difetto a livello industriale dei circuiti integrati, quindi questo è un compito importante che la Cina deve risolvere. Il progetto “due bombe, una barca e una stella” ha dato il buon esempio per la costruzione delle fondamenta dell’odierna industria dei circuiti integrati.

La mia idea personale è che il Comitato Centrale del Partito possa creare un’organizzazione simile al Comitato Centrale Speciale, che è direttamente responsabile nei confronti del Comitato Centrale del Partito in alto e afferra direttamente questo progetto in basso, perché nessun singolo dipartimento può gestire questo importante compito da solo.

Di fronte al blocco degli Stati Uniti, la Cina deve raggiungere l’indipendenza nei principali collegamenti come progettazione di chip, produzione, attrezzature e materiali, quindi il compito principale deve essere quello di coltivare una catena industriale che formi un rapporto domanda-offerta tra vari collegamenti e il proprio ciclo.l’abilità è l’obiettivo generale.

Ovviamente, la realizzazione di questo obiettivo deve basarsi sul meccanismo di mercato, ma non può affidarsi completamente al meccanismo di mercato. In altre parole, poiché lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati in Cina deve basarsi sulla capacità delle imprese di crescere attraverso la concorrenza di mercato, lo sviluppo di questo settore non deve solo avvalersi dei meccanismi di mercato, ma anche coordinare varie forze tra cui i meccanismi di mercato, altrimenti sarà una svolta impossibile. Pertanto, lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati richiede una nuova era di “Comitato centrale” per guidare direttamente i principali compiti dei circuiti integrati.

Lo sviluppo di capacità di produzione indipendenti è un anello chiave per l’apertura della catena industriale cinese dei circuiti integrati. Se la prima fase non può essere prodotta interamente a livello nazionale, la seconda fase può essere realizzata. In breve, dobbiamo decidere di muoverci in questa direzione.

Il successo o il fallimento del progetto segue completamente il principio della commercializzazione. Aderendo al principio della commercializzazione ha due significati: primo, il progetto dipende completamente dall’impresa. Che si tratti di un’impresa esistente o di una nuova impresa, il numero di chip le imprese manifatturiere possono anche essere più di una. Questo perché la garanzia ultima del successo del progetto è che l’impresa sviluppi capacità sufficienti. In secondo luogo, il criterio per il successo di un progetto è se può produrre prodotti che soddisfino la domanda del mercato in termini di prezzo e prestazioni e siano competitivi sul mercato. Per le aziende di attrezzature e materiali, è se la linea di produzione può essere utilizzata e tutti i prodotti in uscita devono essere su scala industriale. I campioni e le linee di test sono inutili, deve essere un prodotto che può essere prodotto in serie.

Come per la dimostrazione del piano di realizzazione del grande aereo, il consenso del comitato di dimostrazione è che l’ente responsabile per l’attuazione dei progetti nazionali deve essere un’impresa costituita secondo il moderno sistema di impresa, in modo da garantire che il progetto del grande aereo possa essere direttamente trasferito all’operazione commerciale dopo il completamento. I fatti hanno dimostrato che COMAC, nata secondo questo principio, non solo ha organizzato la ricerca e lo sviluppo, ma ha anche coordinato la catena industriale nell’intero processo dallo sviluppo e test di volo di grandi velivoli alla vendita e all’esercizio, e sta ora passando in esercizio commerciale senza ostacoli. Per la costruzione della fondazione della catena industriale cinese dei circuiti integrati, il grande progetto di aeromobili è un’ottima dimostrazione.

L’attuazione di progetti di produzione completamente autonomi deve basarsi anche su un coordinamento al di fuori dei meccanismi di mercato. L’obiettivo del progetto di produzione indipendente include l’utilizzo della linea di produzione per guidare lo sviluppo indipendente di attrezzature e materiali e fornire servizi di produzione per chip autoprogettati. Pertanto, l’implementazione del progetto deve essere accompagnata dalla collaborazione di molte aziende nel catena industriale. Nelle condizioni strutturali esistenti, questo tipo di cooperazione non può essere formato rapidamente solo attraverso la consultazione tra le imprese (almeno ci saranno rischi finanziari al di là della capacità delle imprese), e deve essere coordinato direttamente dalle agenzie statali che svolgono compiti importanti.

Il principio fondamentale di questo tipo di coordinamento è che la linea di produzione deve utilizzare attrezzature e materiali domestici, i prodotti delle imprese di attrezzature e materiali devono soddisfare i requisiti della linea di produzione e l’impresa di progettazione di chip deve supportare la produzione e il collaudo della produzione linea, e utilizzare questo come unico motivo per finanziare le imprese. Naturalmente, un certo lavoro di coordinamento può essere svolto in parte attraverso il meccanismo del mercato, ad esempio il soggetto responsabile del progetto di produzione decide se le attrezzature e i materiali sviluppati per esso soddisfano i requisiti della linea di produzione, ecc., ma la realizzazione del progetto completo la produzione indipendente è la natura fondamentale di questo importante compito.

Impadronendosi della piena autoproduzione, il potere nazionale si è impossessato della leva per invertire la struttura del mercato. Approfittando dell’opportunità del blocco degli Stati Uniti per trasformare condizioni sfavorevoli in condizioni favorevoli, lo stato sostiene le vendite di chip completamente autoprodotti da una politica che apre opportunità di vendita e progresso tecnologico per le aziende di attrezzature e materiali. Quando tutte le aziende cinesi della catena industriale potranno stabilire collegamenti tra domanda e offerta e quando tutte le tecnologie nazionali potranno essere applicate, si formerà la base industriale dei circuiti integrati cinesi. A quel tempo, l’industria cinese dei circuiti integrati poteva resistere alla repressione del governo degli Stati Uniti e fare affidamento principalmente sul potere della concorrenza di mercato per promuovere lo sviluppo del settore.

La caratteristica killer: domanda bloccata, che offre opportunità di sviluppo alle società cinesi di chip locali

Observer.com: Pertanto, nella guerra tecnologica sino-americana, la Cina non sembra reagire, non è che la Cina non abbia modo.

Lu Feng: Sento che la Cina non è ancora in grado di prendere una decisione sulla politica. La ragione dell’incapacità di prendere una decisione potrebbe essere che non ha pensato a una strategia globale e potrebbe anche essere correlata alla mancanza di effettiva capacità di attuazione.

Prima di tutto, dobbiamo avere fiducia. Quando ho partecipato alla dimostrazione del piano di attuazione del grande progetto aeronautico quasi 20 anni fa, abbiamo riavviato il grande progetto aeronautico dopo 28 anni di stagnazione e quasi tutti i talenti e le tecnologie sono stati tagliati. Ma guardandolo ora, ce l’abbiamo ancora fatta. Quindi in questo mondo ci sono solo tecnologie che i cinesi non osano fare a causa delle barriere psicologiche, e non c’è tecnologia che i cinesi non possano fare.

Il 25 luglio 2022, il velivolo C919 è stato sottoposto a un volo di prova funzionale e di affidabilità e le guide a terra hanno guidato il velivolo nella piazzola. Tao Ran/foto

In risposta al blocco tecnologico degli Stati Uniti, l’intero pensiero strategico della Cina deve essere cambiato. Mentre gli Stati Uniti hanno vantaggi tecnologici, la Cina non è tutta svantaggiata. Poiché gli Stati Uniti hanno utilizzato “armi nucleari” contro la Cina, anche la Cina dovrebbe utilizzare le proprie “armi nucleari” per contrattaccare. Più specificamente, il mezzo utilizzato dagli Stati Uniti per sopprimere la Cina è controllare l’offerta di semiconduttori, quindi la Cina dovrebbe e può controllare la domanda di semiconduttori.

Per diversi anni, gli Stati Uniti hanno voluto soffocare il collo della Cina e fare soldi nel mercato cinese, quindi la risposta della Cina è che dal momento che vuoi soffocarmi, non ti permetterò di fare soldi. Se gli Stati Uniti implementano con la forza il “disaccoppiamento” nella tecnologia e nell’industria, la Cina deve imporre sanzioni a tutte le società straniere che implementano l’ordine di disaccoppiamento nel mercato cinese.

L ‘”arma nucleare” degli Stati Uniti è la tecnologia e l ‘”arma nucleare” della Cina è il mercato “Arma nucleare” contro “arma nucleare”, chi ha paura di chi? ——Se c’è un mercato ma non la tecnologia, la tecnologia può essere sviluppata; se c’è la tecnologia ma non il mercato, la tecnologia alla fine porterà a un vicolo cieco. In breve, la Cina deve sviluppare la propria industria dei circuiti integrati e non permetterà mai agli Stati Uniti di avere entrambi.

Le entrate del gigante della litografia olandese ASML provengono principalmente da macchine litografiche DUV mature, non da quelle più avanzate. Ora gli Stati Uniti richiedono alle proprie società di interrompere la fornitura di apparecchiature per la produzione di chip di fascia alta alla Cina e richiedono anche ai propri alleati di partecipare al contenimento delle industrie cinesi. Ma al momento Asmer non è d’accordo. Se le aziende negli Stati Uniti e altri alleati degli Stati Uniti lo fanno, equivale agli Stati Uniti che bloccano l’offerta di aziende nella catena dell’industria cinese dei chip, quindi perché non rimaniamo bloccati nella domanda di quelle aziende?

Non dovremmo aver paura di tornare alla situazione della “pace del terrore” Possiamo richiedere a qualsiasi azienda che attui le sanzioni statunitensi contro la Cina di accettare la revisione del governo cinese per le sue vendite nel mercato cinese. In questo modo, devono pesare quando sono complici degli Stati Uniti. È stata l’altra parte a sanzionare per prima la Cina, non la violazione del libero scambio da parte della Cina.

Il rapporto finanziario di ASML per il terzo trimestre del 2022 mostra che DUV con processi maturi, inclusi Arf e KrF, ha il volume di vendite maggiore e il volume delle vendite delle macchine litografiche EUV più avanzate è piccolo, ma il volume delle vendite non deve essere sottovalutato.

Se ASML vuole seguire la politica degli Stati Uniti e smettere di esportare le macchine litografiche più avanzate in Cina, dopo aver implementato sanzioni reciproche, possiamo bloccare le vendite delle sue macchine litografiche ordinarie sul mercato (infatti, il volume delle vendite di macchine litografiche ordinarie macchine litografiche e quantità maggiori). Ciò potrebbe rendere più facile per le aziende cinesi come Shanghai Microelectronics aprire il mercato interno per le loro macchine litografiche.

Se Nvidia segue il divieto del governo degli Stati Uniti e smette di vendere i chip più avanzati in Cina, allora possiamo vietare la vendita dei chip di fascia media e bassa di Nvidia in Cina. Allo stesso modo, le aziende nel campo dei chip di fascia bassa in Cina potrebbero avere maggiori opportunità di sviluppo. Alla fine, nessuno può impedire alle aziende che possono realizzare prodotti di fascia bassa di continuare ad avanzare verso la fascia alta.

Per trattare con la Cina, il governo degli Stati Uniti ha adottato una strategia globale per bloccare la tecnologia cinese a tutti i livelli, ma possono solo bloccare l’offerta; pertanto, la Cina può anche adottare una strategia globale per gestire i propri bisogni, vale a dire la grande Cina mercato, come Tutte le società straniere che sanzionano la Cina nel campo della tecnologia imporranno controlli sui loro ordini. Allo stesso tempo, dobbiamo sviluppare fermamente la catena industriale locale dei circuiti integrati cinesi.

Se la Cina lo farà davvero, le nostre aree deboli come le apparecchiature per la produzione di chip e i materiali per chip si svilupperanno. Spetta ora al governo cinese prendere una decisione e fare una scelta. Se costruiamo le fondamenta industriali, chi avrà più paura in quel momento? Non sono i cinesi ad aver paura, ma gli americani.

L’analisi di cui sopra può spiegare perché è necessaria un’istituzione speciale in grado di coordinare centralmente le politiche a livello nazionale. Se lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati è definito come un compito importante, allora questo compito è molto più complicato di “due bombe, una barca e una stella”, perché comporterà una maggiore crescita aziendale, concorrenza di mercato e coordinamento politico indiretto.

Questa complessità pone requisiti più elevati per le istituzioni speciali per svolgere compiti importanti: deve avere una comprensione più profonda delle leggi sull’industria, sulla tecnologia e sulla concorrenza di mercato, essere più capace di comunicare con le imprese e utilizzare i meccanismi di mercato, e formulare e coordinare la portata delle politiche più ampie . Per questa istituzione, l’autorizzazione del governo centrale e l’esercizio indipendente del potere sono ovviamente le condizioni necessarie per il suo effettivo funzionamento, ma oltre a ciò, deve anche disporre di capacità sufficienti ed è probabile che richieda innovazioni organizzative, come l’aumento del contatto diretto con le imprese, l'”interfaccia” per interagire con il mercato (lo storico “Comitato Centrale” non aveva questa funzione).

Di fronte al blocco tecnologico, dobbiamo cercare la cooperazione nella lotta

Observer.com: Alcune persone potrebbero pensare che se la Cina inizia a impegnarsi in una produzione completamente indipendente, cioè se la Cina chiarisce la sua intenzione di separarsi, il rapporto tra Cina e Stati Uniti e i suoi alleati potrebbe diventare sempre più rigido, e anche gli Stati Uniti e l’Occidente saranno più severi a breve termine, imponendo il divieto di esportazione di tecnologia in Cina. In questo modo ci sarà la “pace terroristica o l’equilibrio del terrore” che lei ha detto, sarà per questo che finora non ci siamo decisi a contrastarla?

Lu Feng: Gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa in questa faccenda. Finora, può darsi che solo poche persone stiano pensando a come contrastare il blocco tecnologico statunitense.

A mio parere, il ruolo delle sovvenzioni non è così grande come immaginato: il “big chip fund” e i precedenti grandi progetti speciali lo hanno dimostrato. Perché questo non coglie il punto strategico.

In realtà il mondo non si può disaccoppiare e disaccoppiare non fa bene a nessuno, questo è il nostro punto di partenza e lo penso anch’io. Ma se l’altra parte vuole spezzarci e separarci con la forza, dobbiamo contrattaccare. Il mio principio è occhio per occhio e occhio per occhio, non si può dire che mentre gli Stati Uniti e le sue aziende stanno implementando il divieto tecnologico alla Cina, le aziende americane stanno guadagnando dalla Cina e ne stanno approfittando sia all’interno che all’esterno, il che influenzerà lo sviluppo della Cina.

La Cina non può ritirarsi, perché se ti ritiri, guadagneranno un centimetro. Non è necessario che la Cina abbia paura: gli Stati Uniti hanno i loro vantaggi, ma dobbiamo vedere i nostri vantaggi.

Dobbiamo vedere che il sistema industriale molto completo della Cina è la risorsa strategica della Cina, la fonte della forza della Cina e il vantaggio della Cina. Questo sistema industriale comprende industrie sia di fascia bassa che di fascia alta, sia i servizi di ricerca e sviluppo tecnologico che le industrie ad alta intensità di manodopera sono importanti e non possono essere sostituite l’una con l’altra. Negli ultimi anni, al fine di ridurre la capacità produttiva e trasformare e aggiornare, un gran numero di capacità produttive di fascia bassa è stato costretto a chiudere e girare, il che ha effettivamente causato un grande impatto sul sistema industriale cinese. Poiché le industrie tradizionali sono i maggiori clienti delle industrie high-tech, se le industrie tradizionali vengono compresse, anche le industrie high-tech ne risentiranno.

Per quanto riguarda l’industria dei circuiti integrati, le tecnologie di fascia alta di Huawei e di altre società sono state bloccate e hanno causato discussioni pubbliche, ma dobbiamo vedere che ci sono un gran numero di aziende di fascia bassa dietro queste tecnologie di fascia alta, che offre ottime condizioni per scoperte tecnologiche in questo settore. Il motivo per cui la Cina ha una domanda così ampia di circuiti integrati è perché le industrie cinesi a valle si stanno sviluppando bene, il che evidenzia invece le carenze delle industrie a monte. Questa situazione non è altro che un requisito più urgente per l’industria cinese per fare progressi nell’upstream. Se qualcuno pensa che l’industria a monte dovrebbe essere sviluppata a costo di eliminare l’industria a valle, questa è la pratica di “cercare il pesce da un albero”.

Immagina che nel 2020 l’industria cinese passerà alla produzione di mascherine, che dopo lo scoppio dell’epidemia diventeranno presto un bene pubblico globale e daranno un grande contributo alla lotta globale contro l’epidemia. Oltre ai materiali high-tech come il tessuto soffiato a fusione, il processo di produzione delle maschere è una produzione ad alta intensità di manodopera di fascia bassa, ma è indispensabile. Pertanto, dobbiamo aderire allo sviluppo generale dell’industria e fare scoperte chiave su questa premessa.

Observer.com: Dal momento che non sosteni il disaccoppiamento, come può la Cina non disaccoppiare, ma anche stabilire la nostra produzione locale completamente indipendente nel campo dei circuiti integrati?

Lu Feng : L’innovazione indipendente non riguarda lo sviluppo della tecnologia a porte chiuse, ma l’insistere nel fare la tecnologia da soli, ma anche nell’imparare dagli altri. Quindi, come possiamo ottenere un’innovazione indipendente cooperando con gli Stati Uniti e altri alleati occidentali su un piano di parità? La nostra strategia dovrebbe essere quella di cercare la cooperazione nella lotta e insistere sullo sviluppo della tecnologia e dell’industria da soli in condizioni aperte. Se rinunciamo alla lotta, saremo bloccati unilateralmente dagli Stati Uniti. Abbiamo anche i nostri vantaggi e dovremmo sfruttare appieno i nostri vantaggi e fare ciò che dovremmo fare.

Non ci aspettiamo che le aziende cinesi siano le più forti in tutte le aree dell’industria dei semiconduttori. Perché è difficile per noi farlo. Quello che speriamo è stabilire un rapporto commerciale paritario, e coesistere con il mondo; ognuno ha i suoi vantaggi, ma non accettiamo un rapporto diseguale, poiché gli Stati Uniti possono bloccare senza scrupoli gli altri.

C’è un detto in dialetto di Pechino per descrivere la natura umana: vedere una persona amata non può sopprimere la propria rabbia. Se ci pensi bene, questa frase esprime effettivamente la natura umana. Quanto più la Cina arretra, tanto più numerosi e pesanti saranno i colpi che subirà. Pertanto, in questo momento, i pugni della Cina devono essere induriti e deve sviluppare la capacità di strangolare la “gola” dell’avversario. Solo allora l’altra parte ammetterà che apparteniamo tutti a una “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.

Questo articolo è un manoscritto esclusivo di Observer.com.Il contenuto dell’articolo è puramente l’opinione personale dell’autore e non rappresenta l’opinione della piattaforma.Senza autorizzazione, non è consentito ristampare, altrimenti sarà perseguita la responsabilità legale. Segui Observer.com WeChat guanchacn e leggi articoli interessanti ogni giorno.

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