Dieci anni di morti inutili prima di ricominciare_di Antonio de Martini e Giuseppe Germinario

Con l’evidenza di nuovi particolari che stanno emergendo nella dinamica della ”ripresa” di Kabul, cioè del loro paese, da parte dei talebani si può cominciare a mettere insieme alcune considerazioni.

La ritirata a tappe forzate delle forze americane e della NATO e l’implosione dell’esercito locale da esse addestrato e armato ha assunto la dinamica apparentemente paradossale di un passaggio di consegne (copyright di Fabrizio Mottironi). Quantomeno di tratta di un tira e molla da definire in campo afghano.

Una impressione ormai suffragata da numerosi indizi:

  • il liquefarsi sistematico e il passaggio di numerose unità, con armi e bagagli, al nemico;
  • la consegna diretta ai talebani da parte delle forze regolari di alcuni importanti capi-clan e signori della guerra dell’ovest del paese e la conseguente fuga all’estero di altri delle regioni settentrionali, fondamentali nel dover garantire il presidio territoriale delle forze governative e nel futuro una possibile resistenza all’insediamento talebano;
  • l’accorta preparazione diplomatica dell’offensiva militare con una serie di incontri al più alto livello dei capi talebani con esponenti di Cina, Russia, Turchia, uno dei prossimi principali attori in quell’area già insediato per altro nei pressi dell’aeroporto di Kabul e Iran;
  • le trattative a Doha, nel Qatar, con gli americani il cui contenuto reso più o meno pubblico riguardava le modalità di ritiro delle forze militari occidentali; nulla si sa delle altre condizioni e prospettive discusse. Si presume che ne esistano, anche di inconfessabili;
  • a fronte di una liquefazione delle forze governative, il salvacondotto di fatto concesso agli esponenti meno presentabili del governo decaduto e il riemergere nel paese di personaggi come Karzai, ex presidente afgano in quota americana il quale ha scelto ostentatamente di rimanere nel paese;
  • la conferma che una parte cospicua dei finanziamenti necessari a sostenere la resistenza talebana agli americani proviene in primo luogo dal traffico di droga, accomunati in questo dagli avversari, in second’ordine dalle fondazioni islamiche della penisola saudita. Ci sarebbero i presupposti, quindi, con la pace raggiunta, di una normalizzazione più coerente dei rapporti tra Stati Uniti, sauditi ed emirati del Golfo e in prospettiva con gli stessi talebani.

Gli Stati Uniti escono certamente drammaticamente male in termini di credibilità e di immagine; gli europei ancora peggio. A dispetto del suo presidente e dei suoi consiglieri per così dire al merito, hanno però, presumibilmente, ancora carte da giocare e uno spirito di rivalsa che deve trovare obbiettivi praticabili per essere soddisfatto. Potrebbero rispolverare antichi amori, anzi il primo amore, anche se la corte ormai è occupata da nuovi cicisbei agguerriti. Devono prendere atto di avere a che fare con una nuova classe dirigente afgana gelosa della propria indipendenza, molto più accorta politicamente e nelle mediazioni esterne oltre che tra tribù, la quale dovrà barcamenarsi essenzialmente con i propri numerosi vicini di casa; tra di essi chi ne esce peggio appare l’India.

Qui sotto un interessante e nell’essenziale profetico articolo di Antonio de Martini scritto nel lontano maggio 2011. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Gli USA vinceranno in Pakistan e i Talebani in Afganistan. di Antonio de Martini 24 maggio 2011

La morte  di Ben Laden dovrebbe in teoria mettere mettere la parola fine alla campagna afgana.  Ovviamente non sarà cosi perché l’Afganistan è il crocevia più strategico dell’Asia  ed è il punto di passaggio necessario a chi vuole “scendere” in India  e di chi vuole risalire verso le Repubbliche mussulmane  ex sovietiche  di ceppo turco che sono il ventre molle della Russia.( Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan) .

Chi controlla  l’Afganistan punta il fucile al ventre della Russia e alla testa dell’India. Inoltre L’Afganistan e il Pakistan sono considerati un tutt’uno dalla strategia di Barak Obama  formulata il 27 marzo 2009 (  vedi the white house : remarks by the President on a new strategy for Afganistan and Pakistan 27 marzo 2009 ), al punto che si creò la sigla AfPak tanto si cominciò a considerare i due paesi come un unico problema. Finito  Osama Ben Laden , il problema è risolto solo per metà e non nella metà in cui sono schierate le truppe.

Assieme a un piano di sviluppo quadriennale di 7,5 miliardi di dollari interamente dedicato al Pakistan ,  le dichiarazioni fatte per bocca del Presidente  furono chiarissime:

Dopo anni di risultati incerti, non possiamo più dare assegni in bianco e non ne daremo.  Il Pakistan deve dare prova  della sua risolutezza a sradicare Al Kaida  e gli estremisti violenti dal suo territorio. E insisteremo per passare all’azione  in un modo o nell’altro, quando avremo informazioni sulla ubicazione di terroristi di alto livello”. Per chi vuole saperne di più, informarsi presso gli indiani che seguono da vicino  il pericoloso vicino  e che non hanno dimenticato che  i Pakistani si sono rifiutati di arrestare il mandante degli attacchi di Mumbai  Hafiz Mohammed Saeed   capo della Jumaat al Dawa  ispiratrice dei Laskar al Taib   http://www.satp.org/satporg/countries/pakistan  gli indiani si sono vendicati spiando i rapporti tra  Talebani e il servizio informazioni pakistano  e fornendo poi agli inglesi il materiale per il rapporto/ricerca   Waldman ( 2010) che ha innescato la bomba.

La carta di “uomo nero”  per poter continuare la partita, tocca adesso   forzatamente al Mullah Omar, ma esiste una tenue speranza di accomodamento  a causa delle affinità psico-religiose dei contendenti. Se si parlano , finiranno per capirsi, specie ora che l’ostacolo Ben Laden non c’è più.

Il  reggitore dell’Emirato Islamico d’Afganistan , Omar,    se fosse nato in America,  sarebbe stato di certo uno dei fondatori dei TEA PARTY.  Non  se ne è mai reso conto  perché non ha mai messo un piede fuori dal suo paese.

In comune con gli americani  Omar  ha una buona dose di puritanesimo, è un legalitario spinto e paga un prezzo altissimo per  una questione di principio : l’ aver portato rispetto alla legge eterna dell’ospitalità nei confronti di un ex partigiano antisovietico che aveva anche fatto molta beneficenza nel paese.

Dopo l’attacco alle due torri, Omar Mullah  chiese invano agli USA di incardinare un normale processo di estradizione nei confronti di Ben Laden. Gli Usa rifiuutarono.  Vollero la consegna immediata  e senza condizioni.  Fino a ieri,  l’FBI non gli  ha mai imputato  l’attacco delle due torri.

Andiamo con ordine:  ci furono numerosi contatti tra Talebani e USA. I Talebani erano i combattenti Mujahiedin  alleati contro  i sovietici .

A fine guerra, dopo la parentesi comunista del governo di Najibullah, i Talebani presero il potere  ed ebbero ottimi rapporti iniziali con gli USA.  Poi il trasferimento di Ben Laden  in Afganistan creò il primo ostacolo a questa bella amicizia.

La CIA vantando grandi rapporti a causa delle forniture d’armi del tempo di guerra, ne approfittò per chiedere al rappresentante del Mullah Omar venuto appositamente a Washington a trattare, di uccidere Ben Laden .

Il Ministro degli esteri  Muttawaklik accettò, chiese le armi necessarie ( siamo nel 1998 a casa Clinton comandava ancora lui)  e ci fu accordo. I dissapori iniziarono  quando gli Afgani – sempre questa benedetta legge dell’ospitalità –  chiesero agli USA di addossarsi poi ufficialmente la responsabilità dell’omicidio.  Gli USA si rifiutarono: erano disposti ad uccidere , ma non ad ammetterre il gesto pubblicamente.  L’intesa non proseguì.

Interessante il fatto che anche il Sudan aveva proposto di arrestare e consegnare  Osama Ben Laden  agli USA e senza nemmeno  una pratica  di estradizione, ma anche in quel caso l’amministrazione Clinton  rispose negativamente:  la famiglia Ben Laden era straricca, aveva società in comune con l’ex Presidente Bush padre  e non solo con lui e non era proprio il caso di trascinare il rampollo di famiglia davanti a un tribunale.

Se volete saperne di più leggete ”  Il Mullah Omar” di Massimo Fini . Editore Marsilio., “i nodi”

I Talebani operano da sempre senza l’aiuto arabo. Cinquecento prigionieri sono evassi la scorsa settimana dalla prigione di Kandahar  scavndo un tunnel di trecento metri. Roba che gli americani  fanno solo nei film.  Omar non riescono a trovarlo .

Una previsione?  Tra un mese o tra dieci anni  – non importa –  i Talebani  resteranno padroni del campo  perché sono motivati da un capo integerrimo e da  un fervore religioso primitivo e senza compromessi. Karzai tornerà  così a fare il ristoratore a Washington, come Kao Ky  ( altro “statista” scoperto dalla CIA in Vietnam) gestisce il suo supermercato in California.  Il supermercato costò agli USA oltre cinquemila vite umane.  Il ristorante a Washington, costerà più caro. Meglio trattare un onesto pareggio  offrendo – oggi che è il momento –   quella che De Gaulle   nel caso dell’Algeria chiamò “la  pace dei valorosi”.

https://corrieredellacollera.com/2011/05/04/gli-usa-vinceranno-in-pakistan-e-i-talebani-in-afganistan-di-antonio-de-martini/

KABUL: TRANSIZIONE O TRANSAZIONE?, di Antonio de Martini
Ecco la foto dell’ex ministro dell’interno Ali Ahmed Jalali che secondo l’Agenzia Reuter dovrebbe curare l’amministrazione transitoria in Afganistan. Lui ha smentito con fermezza con un Tweet.
Il messaggio è seguito da numerosei commenti di cittadini che invocano il Salvatore e gli chiedono di ripensarci.
Questa pagliacciata sui social, che si accoppia alle dimissioni del presidente Ashraf Ghani su facebook, e il video della invasione dell’aeroporto da parte di una folla senza bagagli che cerca di arrampicarsi su un aereo in movimento ( vedi mio post “ obbiettivo raggiunto” di ieri ) in un aerodromo presidiato da battaglioni di marines, mi ricorda la gestione della teppaglia operata da Kim Roosevelt della Cia nel colpo di stato in Iran contro Mossadeq. (1953).
A me, Alì Ahmed Jalali , sembra la versione Disneyland del feroce Saladino del concorso a figurine Buitoni(1936): assomiglia al primo Ministro dell’interno Giuseppe Romita che gestì in Italia il referendum Monarchia-Repubblica suscitando, in molti, dubbi sulla correttezza del loro svolgimento.
È cittadino USA dal 1987 . Ex Colonnello afgano di formazione britannica, ha gestito ( 40 anni fa),dal Pakistan, la resistenza anti russa.
Poi, ha collaborato alla VOICE OF AMERICA ( CIA friendly) e ha l’immancabile cattedra alla National Defense University di Washington, finanziata ufficialmente, dal Pentagono in una qualche materia evanescente.
Nel 2003 fu rimpatriato per fare il ministro dell’interno e gestire le prime “elezioni libere” del 2004.
Sembra il curriculum americano del generale Haftar che ora mira a governare la Libia.
Vedremo se i talebani se la bevono e se la malevola ipotesi di Fabrizio Mottironi circa una segreta intesa a Doha per il passaggio delle consegne troverà un qualche fondamento.
Di certo, la comune base “ psicologico-religiosa” di intolleranza di cui parlaGiorgio Passardi ieri ed il sottoscritto ( ripubblicata ieri, ma scritta nel 2011) si concretizzerà.
La notizia REUTER, attribuita a imprecisate “fonti diplomatiche”, mi sembra lanciata in risposta alla esclusione operata dai Talebani del nome del negoziatore talebano di Doha
– Barader- dalla posizione, sempre ventilata dai soliti ignoti, di capo del governo ad interim.
CHIARIMENTI AD UN GENERALE AMERICANO, di Antonio de Martini
Il gen Allen presidente della Brookings Institution vuole tornare in Afganistan senza spiegare il perché.
Intanto un altro battaglione della 82 div aerotrasportata torna a Kabul a difesa dell’aeroporto, portando il totale “ ritornati “ a seimila.
Si chiede solo che fine abbiano fatto gli 83 miliardi di dollari spesi per addestrare ed equipaggiare l’esercito afgano.
Glielo spiego io: anche in Irak, all’improvviso comparve un esercito fantasma che sconfisse i 50.000 iracheni che presidiavano l’area di Mossul.
Incomprensibile.
Poi si scoprì che alcuni colonnelli irakeni ( parecchi) avevano dichiarato e firmato per arruolare regimenti interi al solo scopo di incassare gli stipendi e le indennità delle truppe inesistenti.
Cinquantamila uomini esistevano solo sulla carta e gli attaccanti avevano materiale USA.
Se lo stesso fenomeno si è ripetuto in Afganistan, è ovvio che ci sono complicità anche e sopratutto nell’esercito USA e nella sua logistica trita-miliardi.
L’esempio italiano 1945 della pineta del tombolo e della vicina Camp Darby coi sui ricordi post guerra, puo rendere l’idea della permeabilità della macchina da guerra americana e della malavita organizzata che si ingrassa a spese del contribuente.
83 miliardi di dollari sono piu del doppio del bilancio italiano della Difesa. E sono comparsi reparti speciali talebani perfettamente equipaggiati con abiti e armi americane, compresi i visori a infrarossi.
Li chiamano “ Sara khitta” ( reparti Rossi o del pericolo) e sono stati ampiamente propagandati come fossero truppe scelte.
Per ora solo in video.
Se fossi l’ispettore generale, indagherei tra i trasferiti dall’Irak …
CONSTATAZIONI, di Antonio de Martini
Trasmetto a riprova il servizio del Washington post di oggi a conferma che:
Il costo dell’impresa è stato di un trilione di dollari. Immaginate cosa ci si sarebbe potuto fare invece di ingrassare mercenari, Lockheed e compari.
I morti 3500 circa più gli alleati (800 inglesi, 50 italiani ecc)
Lo Stato Maggiore USA aveva previsto 90 giorni di resistenza dell’esercito regolare. Hanno resistito dieci.
Il Dipartimento di stato prevedeva una durata da sei a 12 mesi…
Ghani è partito “ per evitare spargimento di sangue”( il suo).
Baradar, il negoziatore talebano di Doha è stato tagliato fuori e resta a fare comunicati stampa ignorati dai generali vincitori.
I “ negoziati li fa chi ha combattuto e vinto “ sul campo”.
Questo spiega la fretta ad occupare la Capitale e ricorda analoghe corse di De Gaulle e di Tito ad occupare la Capitale anche un attimo prima del grande alleato, o l’attesa dei russi che finisse la rivolta di Varsavia prima di entrare per non spartire il potere.
L’ultima speranza degli Americani di avere una interlocuzione dal profilo conosciuto, crolla.
Mazziati e cornuti.
L’ex presidente Karzai ha deciso di restare in Patria con la famiglia e ha detto che i Talebani garantiranno vita e proprietà a tutti.
Anche Heikmatar ha aderito al nuovo regime assieme ai governatori di alcune provincie.
Il governo provvisorio ha comunicato un NUMERO VERDE ( di periferia) cui i cittadini vittime di soprusi o necessitanti aiuto possono ricorrere e ha comunicato che presìdi di 15 uomini ciascuno sono stati assegnati a tutte le ambasciate a protezione di persone e beni.
Russi e Turchi hanno gia annunziato che non se ne andranno, gli inglesi hanno detto che l’ambasciatore partirà stasera e tedeschi,danesi e Finlandesi alleggeriranno l’organico sospendendo la cooperazione.
Emergency resta.
Dalla ambasciata italiana nessuna nuova, buona nuova: la Difesa chiede di consentire l’ingresso in Italia a quattromila collaboratori.
In pratica chiunque abbia scopato con un italiano otterrà il visto d’ingresso.
Precauzioni anticovid, nessuna….