14 MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE E A POCHI SECONDI DALL’APOCALISSE, LA STORIA DI UN EROE DIMENTICATO, di Gianfranco Campa

14 MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE E A POCHI SECONDI DALL’APOCALISSE, LA STORIA DI UN EROE DIMENTICATO.

Purtroppo gli eventi attuali ci portano a rivisitare un periodo buio della storia moderna recente che si pensava di aver messo per sempre da parte.

Molti credono che il momento più pericoloso nella prima guerra fredda, del secolo passato, sia stata la crisi dei missili sovietici a Cuba. In realtà, il momento più critico, che portò il mondo vicinissimo ad una apocalisse nucleare è avvenuto nel settembre del 1983.

La crisi del 1983, a differenza del 1962, si è svolta a porte chiuse, in una connubio tra spie e segreti.

Che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, nel 1962, fossero sull’orlo di una guerra mondiale, quando John Kennedy e Nikita Khrushchev si “confrontarono” sui missili a Cuba, è risaputo. Gli eventi del 1962 si svolsero, per la maggior parte, alla luce del sole. La crisi del 1983 si è svolta invece in un contesto, nel suo senso letterale, sotterraneo. Nel 1983, il mondo andava avanti con le sue solite routine ed affari per lo più ignaro dei mortali ed apocalittici pericoli cui andava incontro.

Molti della mia generazione, nel 1983 erano ventenni, probabilmente ricorderanno quell’anno più per motivi mondani-sociali e meno per le tensioni e i pericoli insiti nei giochi geopolitici. D’altronde il 1983 è stato un anno particolare: parte la rivoluzione High Tech; vengono messi in vendita i primi orologi Swatch ed entra in commercio il primo cellulare. Con ARPANET nasce di fatto l’era di Internet. Nintendo lancia la console NES. Il primo personal computer viene annunciato da Apple Computer. Microsoft rilascia la prima versione di Word. Si scopre il primo virus informatico.

Il 1983 verrà anche ricordato per altri eventi; come la vendita della prima FIAT Uno, e mentre nelle sale cinematografiche esce il leggendario Scarface, al cinema statuto di Torino, un incendio uccide 64 persone.

Sarà anche l’anno della scomparsa di Emanuela Orlandi e dell’arresto del povero Enzo Tortora. Mentre nell’ombra il mostro di Firenze commette il sesto duplice omicidio, in Brasile viene arrestato Tommaso Buscetta.

In termini di politica interna, Bettino Craxi forma il nuovo governo, legislatura che entrerà nella storia della politica italiana come la più longeva della prima repubblica.

Quell’anno, Margaret Thatcher aveva conseguito un secondo mandato come Primo Ministro inglese, ma il suo erede, Cecil Parkinson, aveva dovuto dimettersi dopo aver ammesso di essere il padre del frutto di una relazione con la sua segretaria. Due giovani socialisti, Tony Blair e Gordon Brown, erano stati eletti, per la prima volta, parlamentari. Lo stesso Tony Blair che ha servito da spalla alle avventure belliche di molte amministrazioni americane, quel Tony Blair che qualche giorno fa ha dichiarato possibile uno scenario da guerra nucleare come risultato del conflitto in Ucraina.

Detto ciò, fu nell’ambito geopolitico che in quel ormai lontano 1983 si verificheranno eventi che avrebbero portato il mondo sull’orlo della catastrofe nucleare e dell’abisso dell’estinzione. I sovietici avevano testato i missili SS-20 su piattaforme di lancio mobili, facili da nascondere e quasi impossibili da rilevare. Nello stesso tempo, gli americani nell’Europa occidentale, avevano dispiegato i missili balistici Pershing II, come contromisura a una “possibile” invasione dell’Europa Occidentale da parte degli eserciti del Patto di Varsavia.

Nel marzo di quell’anno il presidente americano Ronald Reagan annuncia, definendo l’Unione Sovietica “l’Impero del Male”, l’iniziativa di difesa strategica, meglio conosciuta con il nome di Scudo Spaziale, alzando, alla massima esponenza, la tensione fra le due superpotenze; una tensione palpabile che sarebbe sfociata in una serie di “incidenti” che porteranno l’umanità al limite del precipizio.

Il 1º settembre 1983, l’aviazione sovietica abbatté un aereo passeggeri sudcoreano, il volo Korean Air Lines 007, che aveva sconfinato nello spazio aereo sovietico; sono 269 le vittime a bordo dell’aereo, tra i quali Larry McDonald, membro del Congresso degli Stati Uniti. La pressione è alle stelle, il mondo una polveriera pronta ad esplodere.

Gli eventi del 1983 arrivano sulla coda degli anni ’70 che avevano visto un periodo di distensione tra le due superpotenze, simboleggiato dalla firma degli accordi di Helsinki del 1975, suggellati poi dall’incontro nello spazio delle navicelle Apollo e Soyuz. Dopo decenni di reciproco sospetto, sembrava che le due superpotenze potessero, dopotutto, godere di una pacifica convivenza. L’iniziativa dello Scudo Spaziale annunciato da Reagan viene visto a Mosca come un gesto altamente aggressivo, poiché minava il principio della “distruzione reciprocamente assicurata”, il concetto essenziale, non scritto, che teneva sotto scacco, da ambedue le parti, la tentazione di usare le armi nucleari.

 

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L’orologio segna 14 minuti dopo la mezzanotte, ora di Mosca, del 26 Settembre 1983; in America, a causa delle differenze di fuso orario, e` ancora il 25 settembre di una qualsiasi domenica pomeriggio. Stanislav Petrov, un tenente colonnello nella sezione dell’intelligence militare dei servizi segreti dell’Unione Sovietica, si è accomodato, senza troppo entusiasmo, nella sedia di comandante nel bunker sotterraneo di pre-allerta, il cosiddetto Oko System, bunker collocato a sud della capitale sovietica, Mosca. Avrebbe dovuto essere la sua serata libera, ma un altro ufficiale si era ammalato e Petrov era stato convocato all’ultimo minuto per rimpiazzarlo.

La notte, nonostante sia ancora il 26 di Settembre, è già molto fredda; davanti a Petrov e i suoi uomini, ci sono gli schermi che mostrano la locazione di silos missilistici sotterranei nelle praterie del Midwest americano, foto frutto dei satelliti spia. Era dovere del tenente colonnello Stanislav Petrov, usando computer e satelliti, avvertire l’Unione Sovietica se ci fosse stato un attacco missilistico nucleare da parte degli Stati Uniti. In caso di un attacco simile, la strategia dell’Unione Sovietica prevedeva di lanciare un immediato contrattacco con tutte le armi nucleari a disposizione contro gli Stati Uniti stessi e i suoi alleati.

Petrov e i suoi uomini, presenti nel bunker, osservano e ascoltano in cuffia qualsiasi segno di movimento, qualsiasi cosa di insolito che potesse suggerire un attacco nucleare. Il tempo di volo di un missile balistico intercontinentale, dagli USA all’URSS e viceversa, era all’epoca di circa 12 minuti. Se la Guerra Fredda dovesse diventare “calda”, i secondi potrebbero fare la differenza.

 

 

Tutto fa credere che questa notte sarà una notte come tante altre, noiosa, di routine, in cui non succede mai niente. Improvvisamente però si accendono le spie e suonano gli allarmi del computer, avvertendo la presenza di un missile americano che si starebbe dirigendo verso l’Unione Sovietica. Una spia si illumina, a caratteri cubitali digitali, con lettere rosse su sfondo bianco, annunciano la decisione da prendere: “LANCIARE”. Il suono delle sirene avvolgono il bunker, gli allarmi, le luci, le scritte e il computer fanno credere che gli Stati Uniti hanno appena lanciato i loro missili, dando via alla terza e ultima guerra mondiale, la guerra nucleare, “the war to end all wars…” A Petrov spetta la decisione finale: alzare la cornetta del telefono rosso, per lanciare i missili, oppure no.

Petrov, mantiene la calma, quella calma che avvolge gli esseri umani veri quando vengono confrontati da situazioni difficili e mortali. Petrov, ragionando con freddezza, crede che si sia verificato un errore del computer anche perché,  pensando tra sé e sé, ritiene che gli Stati Uniti non avrebbero lanciato un solo missile se avessero davvero deciso di attaccare l’Unione Sovietica; ne avrebbero invece lanciato un numero molto più alto, per colpire più obiettivi, neutralizzando una possibile risposta di Mosca. Sa, inoltre, che in passato si erano presentati dubbi sull’affidabilità del sistema satellitare utilizzato. Petrov deduce, con logica lucidità, in un momento di forte stress, che si tratta quindi di un falso allarme, concludendo che nessun missile era stato realmente lanciato dagli Stati Uniti.

Giusto il tempo per ponderare la sua scelta che la situazione precipita ulteriormente, diventando drammatica. Il sistema informatico indica che un secondo missile è stato lanciato dagli Stati Uniti  in direzione dell’Unione Sovietica. L’allarme continua a suonare mostrando ora un terzo missile, seguito da un quarto e poi un quinto missile. Il suono degli allarmi si fa assordante. Mentre gli occhi degli uomini presenti nel bunker si concentrano su Petrov, lui continua a fissare la scritta lampeggiante “lanciare”, il segnale che indica a Petrov di iniziare la procedura per il lancio dei missili nucleari.

Nonostante ciò, Petrov, sotto tremenda pressione, continua a credere che si tratti di un falso allarme. La sua scelta si basa solo sul suo intuito; intuito che gli fa credere che il sistema informatico sia in qualche modo compromesso. In altre parole Petrov crede che sia un problema tecnico, ma non aveva comunque modo di saperlo con certezza. Non c’erano altri parametri sui quali basarsi. In caso di errore i missili avrebbero presto iniziato a piovere sull’Unione Sovietica.

Passano prima i secondi poi i minuti, ma tutto rimane tranquillo: non ci sono missili e non c’è nessuna distruzione. Il Tenente Colonnello Stanislav Petrov aveva preso la decisione giusta, scongiurando di fatto una guerra nucleare. Il resto dei colleghi, nel Bunker, tirano con Petrov un sospiro di sollievo, qualcuno si congratula con il suo superiore per aver preso, d’istinto, la decisione giusta, salvando il mondo dalla catastrofe. Se l’attacco fosse stato reale, anche un solo missile avrebbe causato una esplosione 50 volte maggiore a quella di Hiroshima; le sirene invece  smettono di suonare e le spie si spengono.

Il dramma intorno agli eventi di quel 26 settembre 1983 era reale, ma gli allarmi fasulli. Successivamente, si scoprì che ciò che i sensori del satellite avevano captato e interpretato come missili in volo non erano altro che nuvole d’alta quota. Un glitch nel sistema che sarebbe potuto costare molto caro.

 

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La coraggiosa decisione di Petrov violava però  la procedura militare che fino a quel momento obbligava l’ufficiale di turno al comando di Oko, di assecondare gli avvertimenti del computer, lasciando di fatto la decisione del lancio ai terminali stessi, marginalizzando il fattore umano. Petrov, dopo l’incidente, fu posto sotto interrogatorio dai vertici militari, per mettere in chiaro le sue decisioni e azioni. Petrov aveva scongiurato una guerra nucleare, ma così facendo aveva anche smascherato le inadeguatezze del tanto decantato sistema di allerta impiegato da Mosca.

La scelta del comando militare sovietico si orientò verso l’atteggiamento pilatesco: da un lato Petrov fu criticato per aver violato le procedure e venne di conseguenza ritenuto un ufficiale non più affidabile. Non fu quindi né premiato né onorato per le sue decisioni, ma non fu neanche punito. La sua carriera militare, un tempo promettente, era giunta al termine. Fu riassegnato in una posizione meno importante. Nel 1984 Petrov lasciò l’esercito e ottenne un lavoro presso l’istituto di ricerca che aveva sviluppato il sistema di allerta dell’Unione Sovietica, quello stesso sistema che in quella notte settembrina, nel bunker, aveva tradito Petrov e i suoi uomini. In seguito Petrov si ritirò per poter prendersi cura di sua moglie dopo che le fu diagnosticato un cancro che la portò via nel 1997 . Ha continuato a vivere la sua vita, in Russia, da pensionato, soffrendo di depressione e morendo di polmonite, il 17 Maggio del 2017.

 

 

Stanislav Petrov, quel giorno del 1983, salvò la Terra dal disastro, salvando l’umanità da una tragedia immane. Petrov ha sempre sostenuto che non si considerava un eroe per quello che aveva fatto quel giorno. Ma in termini di numero incalcolabile di vite salvate e di danni risparmiati al pianeta Terra, Petrov è innegabilmente uno dei più grandi eroi di tutti i tempi. Certamente se c’era un personaggio che meritava il premio nobel per la pace, questo era Petrov; ma si sa i finti scienziati climatici e i finti pacifisti hanno la precedenza…

C’è ancora qualcos’altro di inquietante in questo incidente. Stanislav Petrov non era originariamente l’ufficiale in servizio quella notte. Se non fosse stato presente nel bunker, è possibile che un altro comandante più solerte non avrebbe dubitato degli allarmi dei computer, ponendo di fatto tragicamente fine all’umanità. Il debito dovuto a Petrov da parte del mondo è incommensurabile; non saremo mai in grado di ripagarlo.

Quarant’anni dopo gli eventi racchiusi in quel bunker, siamo di nuovo qui a confrontarci con la prospettiva di una guerra nucleare. Ormai si parla apertamente e disinvoltamente di rischio nucleare, “armi tattiche nucleari“, “missili nucleari“, come se fossero noccioline, con i meschini mass media più che entusiasti di rilanciare la propaganda alzando il livello della tensione e alimentando così il pericolo nucleare. Neppure una pausa nel ponderare la pazzia di una tale dialettica. Poche sono le voci che si alzano di condanna o di critica costruttiva a questa situazione. Pubblichiamo il titolo di un articolo pubblicato nel 2011 dell’Huffpost sulle tematiche ambientali, che ci serva da avvertimento a non sottovalutare il delirio di questa gente cui abbiamo affidato il nostro destino :

“POTREBBE UNA PICCOLA GUERRA NUCLEARE CAPOVOLGERE IL SURRISCALDAMENTO DELLA TERRA?”

Durante un viaggio negli Stati Uniti, per un discorso all’ONU, Petrov disse: ‘Non sono un eroe, ero solo nel posto giusto al momento giusto” Alla domanda posta da Kevin Costner se un giorno si sarebbero usate le armi nucleari Petrov rispose che “era una certezza”.

Oggi purtroppo siamo in mano a maniaci; si confida nell’avvento di uno, dieci, cento, mille Stanislav Petrov, l’eroe oscuro e umile che salvò il mondo.

 

P.S. Consiglio la visione del documentario: The Man Who Saved the World

 

Mikhail Gorbachev e la perestrojka, di Jean-Robert Raviot

Mikhail Gorbachev è nato il 2 marzo 1931 in una famiglia di contadini nel territorio di Stavropol (Russia meridionale). Nel 1950 ha superato l’esame di ammissione alla facoltà di giurisprudenza della prestigiosa Università statale di Mosca. Membro della Gioventù Comunista (Komsomol), fu ammesso nel 1952 nelle fila del Partito Comunista.

Mikhail Gorbachev

Nel 1953 sposò una studentessa della Facoltà di Filosofia, Raïssa Titarenko (1932-1999), che trent’anni dopo divenne una delle mogli dei più famosi leader politici del pianeta. Nel 1955, dopo la laurea, il giovane Gorbaciov entrò nella Prokuratura (ufficio del procuratore generale) dell’URSS. Fu quasi immediatamente rimosso da esso in virtù di un decreto segreto adottato da Krusciov che vietava ai giovani avvocati appena usciti dalla facoltà di esercitare le funzioni di pubblico ministero, sulla base del fatto che la massiccia promozione di giovani pubblici ministeri aveva facilitato, negli anni ’30, il organizzazione di epurazioni massicce che professionisti più esperti avrebbero senza dubbio rifiutato di approvare.

Gorbaciov torna quindi a Stavropole scalò i ranghi della gerarchia regionale del Komsomol, poi del partito. Nel 1971 è stato nominato primo segretario del comitato del partito di Stavropol e membro del comitato centrale. 40 anni, è il membro più giovane di questo corpo, dove rappresenta una regione agricola e, come tale, è stato promosso a segretario del comitato centrale responsabile dell’agricoltura nel 1978. Protetto dal capo del KGB, Yuri Andropov (generale segretario del PCUS dal novembre 1982 al febbraio 1984), nel 1981 è entrato nell’ufficio politico, “sancta sanctorum” del potere sovietico, di cui è diventato il più giovane. La sua rapida promozione deve molto alla posizione geografica della regione di Stavropol, ai piedi del Caucaso. Lì si trovano tutte le terme dove riposano per una parte dell’estate la suprema élite.

Così, dal 1971, Gorbaciov si è preso cura personalmente delle ferie di tutti i membri dell’ufficio politico e di molti ministri, ambasciatori, alti funzionari dell’esercito e dei servizi di sicurezza, capi di ministeri economici o grandi aziende. Alla morte di Konstantin Tchernenko nel 1985, è stato eletto segretario generale del PCUS , con un voto. Lancia la perestrojka e presiede al processo di disarmo e distensione con l’Occidente che porta al disimpegno unilaterale e totale dell’URSS nell’Europa orientale, alla caduta del muro di Berlino e alla riunificazione della Germania. (1990).

The Malta Sоmmet, dicembre 1989

Quando ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace (1990), una campagna pubblicitaria internazionale a suo favore, senza precedenti nella storia della creazione di immagini dei capi di stato: la gorbymania – è orchestrata nei paesi occidentali. L’eleganza e il gusto per la vita sociale della coppia Gorbaciov fanno il resto: Gorbaciov diventa il beniamino dei media occidentali che lo rendono il simbolo di una “nuova URSS”. Questa popolarità contrasta nettamente con la sua forte impopolarità in Russia e, più in generale, nei paesi derivanti dall’URSS dove è visto come il becchino del potere sovietico umiliato e perduto. Le sue riforme economiche, che fin dall’inizio si sono scontrate con la riluttanza dell’apparato partitico ad applicarle, si sono concluse con un evidente fallimento e sono rimaste iscritte nella coscienza collettiva, associate alle enormi carenze e all’inflazione galoppante che hanno causato. Per quanto riguarda le sue riforme politiche, favorevolmente percepite come liberali nei paesi occidentali,

Da leggere anche:  Libro – Il vero romanzo di Gorbaciov, Vladimir Fédorovski

Dopo le sue dimissioni nel dicembre 1991 dal suo ultimo mandato ufficiale come presidente dell’URSS che ha cessato di esistere, ha intrapreso la carriera di un ex presidente, tenendo conferenze in tutto il mondo. Ha creato la “Fondazione Gorbachev”, un istituto di ricerca in scienze politiche e scienze sociali con sede a Mosca. Inoltre, presiede l ‘“International Green Cross”, una ONG internazionale per la difesa dell’ambiente. Cinque anni dopo la sua cacciata dal vertice dello stato, la sua impopolarità era ancora al culmine in Russia. Candidato alla presidenza della Russia nel 1996, ha ottenuto a malapena più dell’1,1% dei voti. La traiettoria politica di Mikhail Gorbachev fornisce una perfetta illustrazione della famosa massima “nessuno è un profeta nel suo paese” …

I Gorbaciov a Norilsk, 1988

Perestrojka, glasnost ‘, democratizzazione e caduta dell’URSS

Quando lanciò la perestrojka (letteralmente: “ristrutturazione”), Mikhaïl Gorbachev a quarantasette anni incarnava la speranza di tutti coloro che, all’interno dell’apparato di potere sovietico, avevano acquisito la convinzione che l’URSS stesse affrontando una crisi strutturale in tutte le aree. Questo slogan designa le riforme che il nuovo Segretario generale ha deciso di intraprendere per riformare il sistema sovietico. Fin dal suo inizio, la perestrojka è stata un’operazione di comunicazione politica su larga scala intesa a restituire l’immagine dell’URSS all’opinione pubblica occidentale al fine di ripristinare il suo credito presso le élite occidentali e i responsabili delle decisioni. Nel 1986 Gorbaciov ha pubblicato un libro, Perestrojka, tradotto in 32 lingue e distribuito in tutto il mondo. A riprova dell’efficacia di questa strategia di seduzione, il termine entrerà presto nel lessico politico delle lingue occidentali.

Prima fase della perestrojka, la cosiddetta politica di accelerazione ( ouskorenie) mira a reintrodurre gradualmente i meccanismi di mercato nell’URSS e ad ampliare il margine di autonomia delle imprese. Comprende riforme che danno il posto d’onore alla tecnocrazia industriale e incontrano l’opposizione dei primi segretari regionali del partito, che la vedono come una minaccia al potere di controllo che esercitano a livello locale sull’economia. Gorbaciov opera dunque nelle file dell’apparato di partito la più importante epurazione dagli anni Trenta: quasi la metà dei membri del Comitato centrale del PCUS si rinnova in diciotto mesi (1986-1988). Rendendosi conto subito che i nuovi segretari regionali sono riluttanti a riformare quanto i vecchi, il segretario generale del PCUS decide di utilizzare l’arma della glasnost per stimolarli.‘. Questo termine, entrato anche nel vocabolario politico occidentale, è stato tradotto come “trasparenza”. Il glasnost ‘ indica la seconda fase della perestrojka. Questo termine dovrebbe essere tradotto più precisamente come “pubblicità”, nel senso giuridico di “pubblicità dei procedimenti”.

Leggi anche:  Libro – Guerra Fredda. Minaccia, paranoia e manipolazione della cortina di ferro alla caduta del comunismo

Per costringere l’apparato del partito a seguirlo nella sua impresa di riforma, Gorbaciov impose un’apertura dello spazio pubblico fino ad allora senza precedenti. Nella più pura tradizione leninista, glasnost ‘ è un’arma di potere contro coloro che sono recalcitranti alle riforme, denunciati come tanti elementi “conservatori” di cui si cerca di erodere posizioni e dogmi. Uno dopo l’altro, i tabù della storia vengono infranti e le disfunzioni del sistema sovietico vengono denunciate con crescente vigore. Lo spazio pubblico è aperto a nuovi attori che finora non hanno avuto voce in capitolo e, abbastanza rapidamente, l’impresa di liberalizzazione scivola dal potere. La legittimità del partito è gravemente scossa.

La strategia di Gorbaciov consiste in una vasta operazione di disinformazione che consiste nel far credere al mondo intero l’esistenza di un’opposizione irriducibile tra i “riformatori” e i “conservatori”, mentre questa presentazione non corrisponde alle vere divisioni che separano le alte sfere dei il partito in più clan e gruppi di interesse. Gorbaciov suggerisce che i “riformatori” sono in costante pericolo, che i “conservatori” sono ancora in maggioranza all’interno dell’apparato del partito e che si oppongono sistematicamente alla sua politica di disarmo e disimpegno militare … In effetti, i “conservatori”, che non lo sono contava solo nelle file dell’apparato di partito, ma anche nelle file della tecnocrazia dei direttori di fabbrica, esprimono soprattutto il timore di vedere crollare l’intero sistema sovietico sotto l’effetto di riforme spesso attuate in modo vago e spericolato. La strategia diglasnost ‘ apparve in modo emblematico nel gennaio 1987, quando fu presa la decisione di trasmettere in diretta televisiva la sessione plenaria del Comitato centrale del PCUS. Gorbaciov sembra dover giustificare ciascuna delle sue riforme di fronte a un apparato aggressivo, fossilizzato e incompetente.

È nell’estensione della glasnost ‘che viene lanciata la democratizzazione, la terza fase della perestrojka. Il XIX ° congresso del PCUS (giugno-luglio 1988) è stato il culmine della glasnost ‘ . Tutti i dibattiti vengono trasmessi in televisione. Ma la glasnost ‘ , tattica di emarginazione della partitocrazia, finisce per rivoltarsi contro i suoi promotori. ”  La marea è cambiata  “, dichiarava Boris Eltsin nel 1989, proseguendo: ”  il processo di democratizzazione è irreversibile e deve essere portato a termine. “. Nel 1988 il segretario generale del PCUS aveva imposto a tutti i primi segretari regionali del partito – per sbarazzarsi dell’ultimo refrattario alla perestrojka – di essere eletti a capo dei comitati esecutivi dei Soviet per restare a capo dei comitati di partito. Gorbaciov giustifica questa misura con la necessità di rafforzare le istituzioni democratizzandole. Gorbaciov provoca così il trasferimento del potere reale dalle autorità del partito allo Stato. L’elezione del nuovo Congresso dei deputati del popolo nel marzo 1989 completa il discredito di un partito diviso, indebolito e profondamente destabilizzato. Il nuovo parlamento sovietico, dove per la prima volta nella storia dell’URSS, alcuni deputati sono stati eletti a scrutinio pluralista, diventa l’epicentro della vita politica.

Per Mikhail Gorbachev, il Congresso dei deputati del popolo diventa la principale fonte di legittimità politica. Nel febbraio 1990, questa istituzione ha votato per creare un posto di presidente dell’URSS per consentire a Mikhail Gorbachev di occupare l’ufficio supremo. Il segretario generale del partito fu eletto presidente nel marzo 1990, lo stesso giorno in cui il partito, con un voto della stessa istituzione, fu privato del suo ruolo guida … Nell’agosto 1991, il golpe dei “conservatori”, che dichiararono che volevano escludere temporaneamente Gorbaciov dal potere per salvare l’URSS dalla disintegrazione stabilendo lo stato di emergenza, arriva al momento giusto per confermare la griglia di lettura del presidente dell’URSS, secondo cui è l’unico garante della continuazione delle riforme … La sconfitta dei golpisti da parte del presidente della Russia, Boris Eltsin, suonò la campana a morto per la lotta tra “riformatori” e “conservatori”, pose fine alla perestrojka e, così facendo, diede all’URSS il colpo di grazia. La storia della perestrojka contiene molte zone d’ombra, ma non è certo discutibile che questa impresa di riforme abbia portato alla caduta del sistema sovietico che intendeva modernizzare.

https://www.revueconflits.com/jean-robert-raviot-mikhail-gorbatchev-et-la-perestroika/

Il 1989 Visto da Mosca: declino o rinascita?, traduzione di Giuseppe Germinario

L’Europa tre decenni dopo l’apertura della cortina di ferro

Il 1989 Visto da Mosca: declino o rinascita?

Di  Cyrille BRET , 22 settembre 2019  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Cyrille Bret è un alto funzionario e geopolitico. Ispettore dell’amministrazione, ha lavorato nelle industrie aeronautiche, digitali e ora è di stanza in un gruppo di difesa pubblica. Dopo la formazione all’Ecole Normale Supérieure, alla Sciences Po e all’Ecole Nationale d’Administration, è stato revisore contabile presso l’Istituto di studi di difesa nazionale superiore (IHEDN).

C. Bret ci offre una magistrale dimostrazione delle rotture e inversioni degli ultimi tre decenni in Russia. Diamo un’occhiata a Mosca per capire meglio l’Europa geografica – cioè la Russia inclusa, almeno fino agli Urali – da non confondere con l’Unione Europea, che è comunque vicina ad essa.

1989, un evento per la Russia?

Visto da Mosca l’anno 1989 è molto diverso da quello celebrato a Berlino e Parigi. Considerato dalla capitale dell’URSS e poi dalla Russia, il 1989 è una delle tappe che guidano lo stato sovietico dall’apice del suo potere alla sua dissoluzione, nell’arco di un decennio. Dal 1979, anno dell’intervento sovietico in Afghanistan nel 1991, che consacrò lo scioglimento dell’Unione, fino al 1985, data dell’adesione di Mikhail Gorbachev alla carica di segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche si stava avviando da potenza mondiale a perdente geostrategico e al disastro economico. Tuttavia, visto da Mosca, l’anno 1989 segna anche un nuovo inizio: è l’anno delle prime elezioni libere dalla rivoluzione del 1917.

È da molto tempo che dobbiamo cogliere la giusta posizione di quest’anno nel passato della Russia– e nel suo immediato futuro. A livello regionale, il 1989 segna il fallimento della strategia europea che l’URSS ha messo in atto dopo la seconda guerra mondiale: il 1989 è la replica inversa della vittoria del 1945 (I) anno in cui l’URSS è presente ovunque nell’Europa orientale e in Germania. Sul fronte interno, questo è il punto in cui le riforme di Mikhail Gorbachev segnano il tempo e annunciano la fine del regime comunista: il 1989 sta preparando il 1991 (II). Infine, nelle rappresentazioni collettive, è l’anno che inaugura l’indebolimento degli anni ’90 e prepara la rinascita del potere russo: il 1989 annuncia il 1999, data di ascesa al potere di Vladimir Putin. Se il 1989 è un momento chiave nella storia dell’Europa, è anche una data importante per la Russia (III).

Vista di Mosca del 1989: declino o rinascita?
Cyrille Bret
Cyrille Bret è un alto funzionario e geopolitico

I. Dal 1945 al 1989: la fine dell’egemonia sovietica nell’Europa orientale

Il 1989 è un evento europeo prima di essere un evento intrinsecamente russo. È a Berlino, Bucarest, Budapest, Vienna o Vilnius che si svolgono i principali eventi dell’anno. Per la Russia , questo è il momento in cui l’Europa centrale e orientale esce dalla sua alleanza militare, politica, economica e culturale. Inizia quindi un movimento di “de-radicalizzazione del fianco orientale dell’Europa” che porterà all’estensione della NATO e all’ampliamento dell’UE in questa zona di influenza russa.

La rapida democratizzazione dell’Europa orientale

Numerosi eventi nel 1989 segnano la fine del potere mondiale per l’Unione Sovietica. Prima in Asia centrale: il 15 febbraio 1989, le autorità sovietiche annunciarono il ritiro definitivo delle loro truppe dall’Afghanistan. È la fine di un’operazione militare lunga un decennio e un’ammissione di fallimento. Questa campagna sovietica in Afghanistan (1979-1989) è soprannominata “Vietnam dell’URSS”. In effetti, una superpotenza militare e nucleare non è riuscita a sostenere un regime comunista in questo paese al confine con l’URSS. Questa confessione di impotenza geopolitica porta a una serie di eventi che portano alla disintegrazione, in un anno, dell’egemonia sovietica su quello che fu chiamato il blocco orientale. La caduta – o apertura – del muro di Berlino , 9 novembre 1989, è il punto più alto di questo vasto riflusso. Già in primavera, il 2 maggio 1989, l’Ungheria comunista ha aperto i suoi confini all’Austria, avamposto dell’Occidente, ha riabilitato Imre Nagy, una figura di resistenza all’URSS nel 1956, e ha posto fine al regime comunista il 23 Ottobre 1989 proclamando la Repubblica. Nell’agosto 1989 la Polonia non ha più un primo ministro comunista: Tadeusz Mazowiecki, membro di Solidarnosc, accede alla premierato. E l’effetto “palla di neve” è impressionante: i cittadini della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) stanno fuggendo dal regime comunista da Ungheria e Austria. In questo contesto di rapido ritiro sovietico, Mikhail Gorbachev, che è venuto a Berlino Est per celebrare il 40 ° anniversario della DDR, annuncia che nessun intervento armato frenerà il movimento al di fuori del comunismo. Ciò ha provocato la caduta del muro di Berlino, la fine della DDR e, successivamente, la riunificazione tedesca. Di fronte a questa passività esplicita e volontaria, le domande sono molte: è un trucco per riprendere in seguito il controllo dell’area? O un’ammissione di debolezza? o una strategia per superare la temporanea debolezza dell’URSS?

La guerra fredda è stata esplicitamente chiusa dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbachev il 2 dicembre 1989 al vertice di Malta. Con la “rivoluzione rumena”, si conclude – tra il 16 e il 25 dicembre – l’anno 1989 smantellando un regime comunista alleato dell’URSS sul versante sud-orientale dell’Europa. Il suo sviluppo è sintomatico della fuga storica del 1989: di fronte ai movimenti di protesta a Timisoara nell’ovest del paese, la dittatura Ceausescu cerca di resistere organizzando, il 21 dicembre 1989, una manifestazione a sostegno del regime. Si ribella ai suoi organizzatori, costringendo il dittatore a fuggire, per essere perseguito e poi giustiziato, con sua moglie, Elena Petrescu, il 25 dicembre 1989.

Per l’URSS, il 1989 è un anno di inversione: quando inizia l’anno, il blocco orientale viene sfidato ma rimane al suo posto. Alla fine dell’anno, questo blocco è in declino.

Il fallimento della strategia stalinista della protezione occidentale

Per Mosca, gli eventi del 1989 hanno posto fine alla strategia europea ideata e messa in atto da J. Stalin sulla scia della seconda guerra mondiale. Il suo scopo era in effetti quello di costituire una fortezza comunista avanzata nell’Europa centrale e orientale. Con la presenza delle sue truppe sul suolo di questi stati, l’URSS aveva organizzato l’istituzione di “democrazie popolari”, ovvero regimi comunisti non democratici in Polonia (1944-1947), Romania (1947) Cecoslovacchia (Coup de Praga nel febbraio 1948), Ungheria (1949), ecc. La “liberazione” di questi paesi da parte delle truppe sovietiche contro la Germania nazista aveva permesso all’URSS di esercitare una vera amministrazione fiduciaria su quegli stati ridotti al ruolo di satelliti. Questa è la strategia della “cortina europea” per l’URSS,

Sul fronte economico, l’URSS aveva imposto la creazione del Comecon o Council for Mutual Economic Assistance (CMEA) per contrastare il Piano Marshall del 1947. Questa organizzazione internazionale stabilì una divisione del lavoro e una divisione dei ruoli tra i diversi Stati comunisti della regione. La sua missione era soprattutto quella di diffondere gli strumenti dell’economia pianificata sovietica, di organizzare il commercio tra questi Stati e l’URSS. A causa del ruolo centrale della valuta sovietica, del rublo e della dipendenza tecnologica dall’URSS, il Comecon permise all’URSS di assumere il ruolo di leader economico nell’Europa orientale. Se il CMEA non scompare ufficialmente fino al 1991, il 1989 segna la sua vera fine a causa della scomparsa dei regimi comunisti nelle principali economie della regione.

Sul versante militare, il Patto di Varsavia era lo strumento dell’egemonia sovietica nell’Europa centrale e orientale. Basato su un trattato multilaterale di amicizia e assistenza tra gli alleati dell’URSS, il Patto riunì, sotto la guida dell’Armata Rossa, le varie forze armate delle democrazie popolari. Nel 1989, è ancora in vigore ed è stato rinnovato per vent’anni nel 1985. Sebbene il Patto sia stato ufficialmente sciolto il 1 ° luglio 1991, è gradualmente scomparso nel 1989. In effetti, queste trasformazioni politiche hanno segnato il fine della cosiddetta dottrina della “sovranità limitata”, la cui paternità spetta a L. Breznev. L’evoluzione di un regime comunista verso un regime liberale è considerata a Mosca come una questione di interesse comune per tutti i regimi comunisti.

In breve, nel 1989 la rapida democratizzazione dell’Europa centrale e orientale segnò la fine di un progetto geopolitico di istituzione di un blocco e una zona cuscinetto tra la Russia e il resto dell’Europa. Si apre la strada a una “occidentalizzazione” di questa parte del continente. Si svolgerà già negli anni ’90.

II. Dal 1985 al 1991 fino al 1989: tentativi di riforme interne allo scioglimento dell’URSS

Per la politica interna sovietica e russa, il 1989 si avvicina secondo una sequenza più ampia che inizia con l’avvento di Mikhail Gorbachev al potere l’11 marzo 1985 e termina alla fine di dicembre 1991 con lo scioglimento ufficiale da parte di quest’ultima dell’URSS . Il 1989 replica quindi alla Rivoluzione del 1917.

Il regime comunista può riformarsi?

Consapevole delle debolezze economiche dell’URSS e della sua incapacità finanziaria di sostenere il costo della corsa agli armamenti con gli Stati Uniti, Mikhail Gorbachev è diventato Segretario Generale del Partito Comunista nel 1985. Ha lanciato un’ondata di riforme interne in URSS con l’obiettivo di consolidare il regime comunista e promuoverlo in Occidente. Sulla scena internazionale, dà priorità al disarmo simmetrico con gli Stati Uniti al fine di alleviare la pressione di bilancio che i programmi di armamento esercitano sulle finanze pubbliche sovietiche. Ma a livello nazionale, il 1986 segna l’inizio dei programmi di liberalizzazione politica ed economica. Il programma di “Trasparenza” (”  glasnost”)porta a misure ad alto contenuto simbolico: revoca dei divieti su molte produzioni culturali tra cui ”  Doctor Jivago  ” di Boris Pasternak; fine dell’esilio interno del fisico dissidente Andrei Sakharov a Gorkij.

Nel campo strettamente politico, la composizione del Partito Comunista viene rinnovata per portare i “riformatori” nei ruoli principali. In termini economici, la “ristrutturazione” o “ricostruzione” (”  perestrojka  “) impegna un nuovo NEP: i prezzi sono parzialmente liberalizzati, le società private sono autorizzate e emerge un intero settore informale. Questo movimento accelera nel 1989: per eleggere i due terzi dei deputati al Congresso dei deputati dell’Unione Sovietica, i cittadini dell’URSS possono scegliere tra diverse liste e vedere garantita la segretezza del voto. Questo è uno sviluppo decisivo per il Paese.

Il primo periodo delle riforme di Gorbachev assume un tono euforico … soprattutto all’estero: la ”  Gorbymania  ” in effetti ammalia gli Stati Uniti e in particolare l’Europa occidentale nel 1987. Tuttavia, la popolarità interna del leader sovietico è ben minore, a causa dei limiti delle sue riforme  [ 1 ] .

I limiti delle riforme e la fine dell’impero sovietico

Tuttavia, a partire dal 1989, iniziano a comparire i limiti delle riforme avviate. Sul fronte economico, le disuguaglianze si stanno allargando e l’inflazione sta aumentando, mettendo in discussione il patto sociale sovietico con i quali sono stati garantiti l’occupazione per tutta la vita, l’accesso a servizi pubblici a basso costo e l’uguaglianza sociale (relativa) in cambio di obbedienza politica. A livello rigorosamente politico i movimenti di scissione e secessione si moltiplicano. Sebbene Mikhail Gorbachev sia stato eletto presidente dell’URSS nel 1990, in parlamento i suoi sostenitori sono stati sopraffatti dai nazionalisti e dai liberali che preferivano la terapia d’urto. Così, già nel 1990, la Repubblica socialista federale russa della Russia è guidata da Boris Eltsin, la cui autorità è in aperta competizione con quella del leader sovietico. La tensione tra i riformatori liberali guidati da Eltsin e i conservatori sovietici sostenuti dall’esercito viene gradualmente esacerbata sulla scena politica. Culmina a terra e con le armi in mano nel tentativo di colpo di stato militare del 20 agosto 1991. Sostenuto dal presidente degli Stati Uniti, il presidente russo Eltsin si impone, eclissando il riformatore comunista e sospendendo il Partito comunista nel novembre 1991. La scacchiera politica russa, il movimento di decomunistizzazione iniziato timidamente nel 1989 termina, pochi mesi dopo, alla fine dell’URSS.

Nelle Repubbliche Federate, il 1989 vede le forze centrifughe risvegliate dal  glasnost  . Le aspirazioni all’indipendenza si manifestano in una forma che segna l’Europa. Negli Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), le manifestazioni iniziate nel 1987 hanno avviato il processo di decomunistizzazione e di indipendenza nazionale. Questi movimenti pacifisti culminarono il 23 agosto 1989 formando una vasta catena umana, la Via Baltica, che univa le tre capitali (Tallin, Riga, Vilnius)oltre 500 chilometri. Questo è l’atto fondante di un processo di indipendenza per la Lituania (11 marzo 1990), l’Estonia (30 marzo 1990) e la Lettonia (4 maggio 1990). Durante il periodo dal 1989 al 1991, in questa parte dell’URSS, gli scontri armati sono strettamente evitati, ma le tensioni economiche e politiche sono più alte, specialmente in Lituania dove il blocco economico sovietico è rigoroso.

Il movimento di secessione degli Stati baltici lancia una spirale centrifuga che culmina con lo scioglimento dell’Unione Sovietica l’8 dicembre 1991. Nel Caucaso, l’Armenia diventa indipendente (23 agosto 1990), come la Georgia (9 aprile 1991) e Azerbaigian (18 ottobre 1991). L’Ucraina e le repubbliche dell’Asia centrale lasciano l’Unione tra il 1990 e il 1991. Che si tratti della strategia risoluta della Russia contro i costi dell’eccessiva estensione imperiale o dell’abbandono forzato, la Russia si sta liberando da queste periferie imperiali e sta permettendo a questi stati di allontanarsi dalla sua sovranità secolare. La fine dell’URSS, avviata dai movimenti del Baltico nel 1989, fu consacrata dalle dimissioni di Mikhail Gorbachev dalla sua posizione di Presidente dell’Unione Sovietica il 25 dicembre 1991 … che non esiste da due settimane (8 Dicembre 1991). È il Commonwealth of Independent States (CIS) che sostituisce l’Unione con una confederazione con legami istituzionali piuttosto ampi. La Repubblica, poi Federazione Russa, perde il posto centrale che occupava nel sistema istituzionale dell’URSS.

In sintesi, come visto da Mosca, in termini di politica interna, il 1989 è l’anno cardine di una rivoluzione al tempo stesso politica, territoriale ed economica. Lungi dal salvare il regime comunista adattandolo, il ”  glasnost” e l’introduzione di una dose di democrazia nelle istituzioni sovietiche hanno accelerato la caduta del PCUS. Allo stesso modo, la rinuncia alla violenza armata contro i movimenti centrifughi nel 1989 ha accelerato il processo di decomposizione.

III. Dal 1989 al 1999: dal declino al revanchismo russo

Se si considera l’immediato futuro della Russia, il 1989 apre un doloroso decennio che termina nel 1999 con l’ascesa di Vladimir Putin alla carica di presidente ad interim, eletto poi l’anno successivo.

Sul fronte economico, il fallimento delle “riforme” del periodo 1987-1989 porta a un’era di brutale liberalizzazione chiamata “terapia d’urto” in cui l’inflazione arriva fino al 1000% all’anno, dove esplode la disoccupazione e dove molte industrie statali scompaiono. Le disuguaglianze esplodono e lo stato sociale viene smantellato privando gran parte della popolazione russa dell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle pensioni o all’energia. D’altra parte, alcune considerevoli fortune private sono costituite in pochi mesi dagli oligarchi che acquistano a prezzi economici i fiori all’occhiello dell’economia diretta nella metallurgia, negli idrocarburi e persino negli armamenti. Il crollo economico e il saccheggio delle risorse culminarono nel 1998 quando la Russia fu colpita da una violenta crisi economica.

Nella sfera domestica, la contrazione del PIL e il crollo delle finanze pubbliche russe stanno danneggiando le forze armate: le basi militari sono chiuse a decine e gli ordini industriali cessano. Unito all’ondata di indipendenza nazionale, l’indebolimento delle forze armate apre la strada a movimenti separatisti all’interno della stessa Federazione Russa. Pertanto, la prima guerra cecena, dal 1993 al 1996, ha visto la Nuova Russia reprimere in un bagno di sangue i movimenti di indipendenza spesso supportati da reti islamiste. Ciò che è in gioco allora è, per la Russia, la capacità di fermare il suo decadimento territoriale. La Russia degli anni ’90, nata dagli shock del 1998, coltiva la scomparsa politica.

In termini di geopolitica regionale, il 1989 si sta preparando per la perdita del vicino straniero. L’estensione della NATO alle porte della Federazione Russa è possibile solo perché la rete di alleanze sovietiche è stata rovinata nel 1989. In effetti, per la più giovane Federazione Russa nata nel 1991, il decennio 1989-1999 è il declino. Il 1999 ha segnato un grave rovesciamento militare nel continente: la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria hanno aderito all’Alleanza atlantica, seguite nel 2004 da molti altri stati precedentemente parte del Patto di Varsavia, tra cui tre ex Repubbliche socialiste sovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania). Visto da Mosca, questo movimento è una battuta d’arresto strategica di significato storico. In effetti, l’Occidente è ai confini dello spazio russo. È in questo decennio e grazie alle rivoluzioni colorate in Georgia (rivoluzione delle rose nel 2003) in Ucraina (rivoluzione arancione nel 2004), che la Russia riattiva la diffidenza verso i propri interlocutori.

Ma il 1989 finì davvero nel 1999, quando Vladimir Putin mise gradualmente in atto sia il suo regime che gli elementi di un relativo rinascimento per la Russia. Il decennio 1989-1999 è il periodo fondativo per comprendere la Russia di oggi. Per concedere agibilità agli oligarchi, li subordina come clienti o li fa condannare, come nel caso di Khodorkovsky. Per porre rimedio all’espansione della NATO, sta lottando contro l’adesione di Ucraina e Georgia e contro lo spiegamento di batterie antimissile sul suolo europeo. Ultimo ma non meno importante, per alleviare la debolezza militare della Russia, nel 2009 ha lanciato un vasto piano di modernizzazione, crescita e riforma delle forze armate. La forza politica e geopolitica della Russia nel 2019 è direttamente radicata nel lungo trauma del decennio 1989-1999. In breve, Vladimir Putin si pone come uno che rimedia agli anni fatali 1989-1991.

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1989, anno fondamentale per la Russia (anche)

Per la comunità europea, il 1989 è un anno altamente simbolico con una connotazione positiva. Questa data è sinonimo di margini di rilascio a Budapest, Varsavia o Bucarest . Le sovranità nazionali, indebolite dal XIX e XX secolo, sono state recuperate. A Parigi e Bonn, poi a Berlino, nel 1989 inizia l’incontro dell’Europa attorno al progetto portato avanti dalla Comunità e poi dall’Unione Europea . Dopo i conflitti dell’inizio del secolo e la divisione della guerra fredda, il 1989 annuncia la speranza di un periodo di convergenza e pace.

Vista di Mosca, 1989 ha uno status più ambiguo. L’anno ha una chiara carica negativa, soprattutto nelle attuali rappresentazioni collettive: all’esterno, segna il fallimento della strategia sovietica di barriere difensive in ​​Europa; all’interno, fa precipitare la fine del regime comunista e prepara il caos politico ed economico degli anni 1990. Ecco perché il 1989, associato al 1991, è, nel discorso del presidente Putin, un annus horibilis per la Russia. Tuttavia, il 1989 apre un decennio decisivo per la Russia contemporanea. Fu dal 1989 che la Russia di Putin iniziò a mettere radici: la creazione di un’oligarchia mafiosa, i fallimenti contro gli Stati Uniti, ecc. tutti questi fattori contribuiscono all’avvento di un regime centralizzato, forte e seduto su una potenza militare. Così, la Russia di oggi ha le sue origini nel 1989 e nel 1991 quanto nel 1999, l’anno del l’ascesa al potere dell’attuale presidente russo .

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Anniversari. Hitler a Stalingrado,l’Italia di oggi dove?, di Antonio de Martini

75 ANNI DALLA RESA DI STALINGRADDO

75 anni fa, il due febbraio, la sesta armata tedesca, dopo sei mesi di massacro diuturno, si arrendeva alle truppe sovietiche, decidendo le sorti della guerra sul fronte est.

Il generale Paulus veniva promosso feldmaresciallo, inaugurando così la tradizione di promuovere sul campo i generali sconfitti di cui approfitterà anche il nostro generale Messe che comandò l’ARMIR ( armata italiana in Russia, 60.000 uomini mandati allo sbaraglio per compiacere l’alleato)..

Anche in questo caso il disastro fu dovuto a sclerosi mentale, vanità, visione ideologica delle cose e servilismo carrierista.

Hitler invece di puntare con tutte le sue forze al Caucaso petrolifero abitato da numerosi nuclei di origine tedesca, volle concentrarsi sulla città che portava il nome del suo nemico ideologico prima, e si rifiutò di abbandonarla mentre era ancora a tempo, poi.

Goering, vanitoso, ambizioso e avido di attenzione, alla domanda se l’aeronautica sarebbe stata in grado di rifornire per via aerea trecentomila uomini con l’inverno alle porte, rispose positivamente senza nemmeno interpellare il suo Stato Maggiore. Non ci riuscì.

Paulus, che finirà come candidato dei sovietici a primo ministro di una Germania in condominio che non si realizzò perché la divisero, obbedì alle minute istruzioni quotidiane di Hitler come un caporale di giornata, fregandosene degli uomini di cui era responsabile e del proprio onore.

Sono gli stessi difetti, individuali e di gruppo, che stanno portando questo regime alla tomba.
Con due differenze: non si spara e dura da troppi, troppi anni.

Renzi ci ha spiegato , senza contraddittorio, che il lavoro precario deve essere più costoso di quello a tempo indeterminato.

Logica bacata da ideologia sdrucita. Se una impresa deve, mettiamo, fare un lavoro che non dura dovrà pagarlo più di un lavoro durevole indispensabile e permanente, generatore di lavori a tempo.
Ecco la mentalità di Hitler: rigida, irrealistica e priva di confronti.

Il pallido Padoan è Paulus, zelante esecutore incapace di autonomia intellettuale, sempre devotamente in linea con il pensiero altrui.

Le numerose caratteristiche di Goering possiamo ripartirle tra Alfano e il ministro dello sviluppo economico di cui al momento mi sfugge il nome.

Nessuno, invece, che possa rappresentare il maresciallo Von Manstein, fautore inascoltato della Difesa flessibile che propose insistentemente di far ritirare l’Armata prima che venisse accerchiata e destinarla a impossessarsi delle zone petrolifere, approfittando della maggiore mobilità ed esperienza delle truppe tedesche,accorciando il fronte ed evitando di perdere trecentomila uomini e con essi l’intera campagna.

Hitler, esasperato dalle puntuali critiche militari e dal rifiuto a infierire sui civili di Manstein, nel 1944 lo esonerò mandandolo a casa.
Si salvò così da altre epurazioni sanguinose, a Norimberga gli diedero quattro anni di prigione che non gli fecero nemmeno scontare e, più tardi, scrisse le sue memorie che titolò ” Vittorie Perdute”.

La Stalingrado di questo regime sarà l’economia.