OLTRE IL GIARDINO, di Andrea Zhok

Ieri il responsabile della politica estera dell’Unione Europea Joesp Borrell ha spiegato in un’intervista come in Europa vi sia “la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire: tutte e tre le cose insieme”, e prosegue paragonando l’Europa a “un giardino” e il resto del mondo ad una “giungla che potrebbe invadere il giardino”. È per questa ragione che gli europei devono “andare nella giungla”, devono “essere molto più coinvolti nel resto del mondo. Altrimenti, il resto del mondo ci invaderà”.
Questo discorso nella sua schiettezza ideologica rivela molte più cose delle circostanze in cui ci troviamo di qualunque sottile analisi geopolitica. Certo, vi saranno strateghi che operano dietro le quinte ed esaminano la realtà con freddo realismo in termini di mero potere, economico e militare, ma ogni epoca, ogni civiltà poggia sempre su una qualche visione fondamentale, cui aderiscono i più, che operano al di fuori della “stanza dei bottoni”. Le parole di Borrell ci rammentano gli estremi di questa visione portante, che sta al fondo dell’attuale conflitto mondiale ibrido (noi siamo già nella Terza Guerra Mondiale, ma in una forma per ora ibrida, in cui le componenti economica e di manipolazione cognitiva sono almeno altrettanto importanti di quella militare).
Borrell ci ricorda, involontariamente, come l’Occidente abbia costruito la propria autocoscienza negli ultimi due secoli in una forma “progressista” (condivisa, beninteso, anche da quelli che si dicono “conservatori” in politica), una forma in cui il mondo “va avanti”, e individui e popoli si distinguono in “avanzati” e “arretrati”.
Noi occidentali, in quanto avanzati e progrediti, possiamo legittimare ai nostri occhi fondamentalmente ogni abuso ed ogni prevaricazione nei confronti degli arretrati, giacché il progresso funziona come un dispositivo di giustificazione morale. Il progressismo occidentale è in effetti una forma di razzismo culturale, straordinariamente arrogante ed aggressivo, che riveste la primitiva “legge del più forte” con decorazioni ideologiche di altissima parvenza morale (i diritti umani, i diritti civili, ecc.).
L’intero apparato intellettuale e propagandistico organico a questa visione produce a getto continuo giustificazioni ad hoc per qualunque violenza e abuso, adottando con sistematicità doppiopesismi mirabolanti e sofismi iperbolici (dal Congo belga a Wounded Knee, dalla Shoah a Hiroshima, dal Vietnam all’Iraq, ecc. è un libro degli orrori punteggiato di appelli al progresso). Al fondo di tutto ciò c’è un assunto roccioso, l’unica cosa davvero stabile e inconcussa: il senso della nostra superiorità. Ciascuna delle infinite prove del carattere aggressivo, predatorio, disumanizzante della civiltà occidentale contemporanea vengono automaticamente lette dall’apparato come errori di percorso, incidenti inessenziali, danni collaterali nel processo verso l’avanti, il di più, il meglio, il progresso.
Noi, gli Eloi, viviamo nel giardino, gli altri, i Morlock, nella giungla.
È interessante ricordare come l’intera fondazione storica di questo senso di superiorità è esclusivamente fondata sulla superiorità tecnologica, militare e poi industriale, maturata compiutamente negli ultimi due secoli. È con la rivoluzione industriale e la capacità di produrre in serie grandi quantità di armi micidiali che il senso di superiorità e avanzamento diviene pienamente convincente.
Non è certo sul piano spirituale, né su quello dell’armonia delle forme di vita, né su quello della felicità, né su quello della raffinatezza artistica, né su nient’altro che l’Occidente ha maturato la propria autocoscienza di superiorità, nient’altro salvo la forza tecnologicamente supportata. Per dire, non abbiamo elaborato niente di comparabile alle tecniche del corpo e della mente che possiamo trovare nella cultura indiana, cinese, giapponese, ecc. ma noi avevamo le mitragliatrici, loro no.
In effetti l’unica cosa che nutre e permette di definire uno standard di “progresso” è l’accumulo di potenza tecnologica. Se sia migliore, “più progredita” la poesia giapponese o quella tedesca è questione che nessuna persona sana di mente si metterebbe seriamente a discutere, ma che la tecnologia tedesca fosse superiore a fine ‘800 era dimostrabile sul campo, e ciò, ad esempio, spinse il Giappone (nonostante grandi resistenze) ad adeguarsi agli standard europei.
L’Occidente è dunque la forza storica che ha spinto il mondo nella direzione di una competizione infinita, illimitata, giacché ha creato un campo di gioco dove non c’era pietà per chi restava “indietro”. L’Occidente ha indotto il pianeta ad una sistematica “corsa agli armamenti”, in senso bellico o economico, sulla scorta della propria visione progressista di un avanzamento assoggettante.
Al contempo, sin dall’inizio e con sempre maggiore intensità, l’Occidente (che non coincide con la cultura, o meglio le culture, europee) ha dato mostra di entrare in ricorrenti crisi di autofagia, di destabilizzazione ed autodistruzione. Gli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale sono anni culturalmente affascinanti per lo studioso perché sono una straordinaria, insistente elaborazione sul tema della disperazione, della decadenza e del nichilismo (esattamente in parallelo con il simultaneo levarsi delle lodi positivistiche al progresso, all’illuminazione elettrica, ai nuovi “comfort”). Le due guerre mondiali – gli eventi ad oggi più distruttivi che la storia dell’umanità registri – hanno semplicemente portato le lancette dell’orologio della storia di nuovo indietro di mezzo quadrante: e dagli anni ’80 del XX secolo le stesse dinamiche di un secolo prima iniziano a profilarsi.
Oggi e da tempo nel “giardino” occidentale la percezione di precarietà e di mancanza di futuro è generalizzata; siamo alla seconda generazione che nasce e cresce in una condizione di perenne crisi, di totale disorientamento, di sradicamento, di liquefazione dei rapporti, degli affetti, delle identità, di incapacità di identificarsi con un qualunque processo sovraindividuale, che sia storico o trascendente.
Questa condizione di degrado sociale e antropologico viene camuffato ideologicamente facendo di ogni ferita un vanto, di ogni cicatrice una decorazione: l’instabilità è “dinamicità”, la sradicatezza è “libertà”, lo sfaldamento identitario è gioiosa “fluidità”, ecc. Il male di vivere nelle generazioni più giovani, quelle tradizionalmente più disposte alla contestazione e alla protesta, è tenuto sotto controllo con la disponibilità di un sempre crescente mercato di intrattenimento standardizzato, funzionale a distogliere la mente da qualunque durevole forma di autocoscienza o generale consapevolezza. Quello che un tempo era il gin delle distillerie clandestine per l’operaio della rivoluzione industriale è ora fornito in forma di intrattenimento a domicilio da variegati schermi. Anche questo è progresso: in questo modo la forza lavoro dura di più.
Collocandoci in una posizione superiore e avanzata, questa visione consente di delegittimare in partenza ogni lamento, giacché per definizione, quand’anche noi in prima classe avessimo problemi, figuratevi tutti gli altri miserabili, in altri luoghi o tempi. Dunque smettete di lamentarvi e tornate al lavoro.
Questa concezione onnicomprensiva, in cui siamo immersi ad una profondità quasi insondabile, rappresenta una bolla al di là della quale non siamo in grado di immaginare che possa esistere alcun mondo degno di essere abitato (c’è solo l’oscurità della “giungla”). È per questo motivo che nel momento in cui, per la prima volta da due secoli, compare all’orizzonte l’ombra di competitori non facilmente assoggettabili, la sfida, per chi è imbevuto di questa visione, diventa qualcosa di assoluto, di esistenziale. Non si può cedere perché cedere significherebbe aprire la strada ad una relativizzazione del nostro sguardo, e questo solo fatto aprirebbe le cateratte dello scontento represso, del disagio covante sotto le ceneri, della disperazione dietro a mille insegne luminose.
È per questo che si tratta di un momento di particolare pericolosità: l’Occidente, traendo tutta la propria resistenza psicologica residua dalla propria immagine di superiorità non è nelle condizioni culturali di immaginare per sé una forma di vita differente. Perciò le oligarchie, che della forma di vita occidentale percepiscono solo i benefici, sono disposte a sacrificare fino all’ultimo plebeo pur di non cedere terreno, pur di non lasciar crescere alcuna vegetazione spontanea dentro il “giardino”.

da https://www.facebook.com/andrea.zhok.5

Fermare la guerra! A quali condizioni?_di Giuseppe Germinario

Siamo al nono mese di guerra in Ucraina. Al progressivo e sempre più evidente coinvolgimento degli Stati Uniti e al trascinamento dei paesi della Alleanza Atlantica in Europa, corrisponde un affievolimento dell’entusiasmo, che in Italia per la verità non ha raggiunto mai vette eccelse, nel sostegno al regime ucraino. Non è ancora una opposizione aperta, anche perché in Italia manca totalmente una leadership politica in grado di alimentarla, sostenerla e dirigerla con discernimento. Il senso di inquietudine e di malessere, però, è palpabile e crescente.

Sarà il rischio sempre più evidente di uno scontro militare aperto che vedrebbe per la terza volta l’Europa come il campo di battaglia di un confronto che vede questa volta, a differenza delle altre due, negli Stati Uniti, un paese separato da un oceano e nella Russia, un paese immerso in due continenti con un piede ben saldo nel 40% del territorio europeo; sarà per le drammatiche conseguenze delle sanzioni, nominalmente volte a punire la Russia, di fatto a stroncare l’Europa, in primis Germania, Francia e Italia. Persino il nostro ceto politico, così entusiasticamente ed acriticamente schierato nel sostenere l’avventurismo statunitense, comincia a intravedere l’arrivo di fosche nubi all’orizzonte e a percepire la difficoltà nel dover gestire una situazione potenzialmente esplosiva.

Flebili voci iniziano ad alzarsi per “fermare la guerra” e “raggiungere la pace”. Un coro al quale partecipano anche i partigiani più oltranzisti nel sostegno al regime ucraino, alimentando con questo la confusione e gli equivoci nei quali rischierà di affogare ogni iniziativa seria e realistica. Una situazione non nuova nel panorama politico italiano così magmatico e paludoso.

Su questo tocca dare ragione a Calenda e alla sua chiarezza inequivocabile di schieramento. Ci è toccato vedere addirittura il PD manifestare per la pace di fronte alla ambasciata russa, dimenticandosi degli altri attori geopolitici coinvolti a pieno titolo. L’unico segno di cautela, dubito di ritegno, la fine di ogni velleità di assunzione di un ruolo di mediatore, resa provocatoria dall’atteggiamento del Governo Draghi.

Ogni presa di posizione credibile ed ogni iniziativa realistica non può prescindere dalle risposte da dare a tutta una serie di interrogativi rimossi dai facitori di opinione pubblica e dai costruttori di consenso:

  • Come mai gli Stati Uniti non hanno sottoscritto gli accordi di Minsk?

  • Come mai gli Stati Uniti hanno pesantemente armato, organizzato ed integrato, nella fase di latenza degli accordi, l’esercito ucraino con caratteristiche sempre più offensive e si sono spinti sino a sottoscrivere con il regime ucraino, nell’ottobre 2021, un accordo di mutuo soccorso che prevedeva addirittura l’insediamento di un consolato in Crimea?

  • Con quali finalità gli Stati Uniti hanno finanziato ed insediato, con la partecipazione del Pentagono e dei Servizi, decine di laboratori bio-chimici a ridosso dei confini con la Russia?

  • Come mai Francia e Germania hanno dimenticato di esercitare il proprio ruolo di garanti, previsto dagli accordi di Minsk?

  • Quale il motivo della rimozione riguardo alla natura del regime ucraino, nato dal peccato originale di un colpo di stato nel 2014, mosso da una strage ad opera di provocatori ormai in gran parte noti a piazza Maidan, proseguita con altre stragi ed esecuzioni ad Odessa, Melitopol e in tutta l’area russofona e russofila del paese, andata avanti con la progressiva messa al bando di partiti dell’opposizione, siano essi russofili, neutralisti o solo critici del crescente interventismo del regime ucraino?

  • Quale il motivo del silenzio sulle aperte discriminazioni nei confronti della componente russa e russofona, pari a ben oltre il 40% della popolazione originaria dell’Ucraina al 2014, culminata col la legge di tutela delle sole minoranze prive di statualità o con statualità interne alla Unione Europea?

  • Perché il sistema mediatico e politico, nella quasi totalità, continua ad omettere la esistenza e la dimensione reale delle stragi di propri civili, perpetrate coscientemente dall’esercito ucraino a fronte della continua segnalazione di stragi da parte russa, per altro in gran parte smentite dalla documentazione disponibile?

Tutti interrogativi posti non solo in nome di una esigenza astratta di verità o nel caso peggiore da una inconscia e acritica partigianeria e tifoseria a favore di uno dei contendenti, quanto dalla risposta dalla quale dipende una corretta e realistica azione tesa ad una tregua e ad un accordo possibile tra le parti.

Una tregua e un accordo che dipendono sostanzialmente da una premessa e da quattro determinanti necessarie a definire l’ambiente ecologico del teatro ucraino.

La premessa è che nel diritto e nelle convenzioni internazionali viene riconosciuta la facoltà di intervento bellico preventivo in caso di minaccia diretta, così come argutamente stigmatizzato dal professor Sinagra. Una situazione che andrebbe quantomeno approfondita, ma che i politici e l’informazione occidentale si sono ben guardati dall’analizzare sul campo. A questa segue il fatto che il principio di integrità territoriale di uno stato è contemperato dal diritto di autodeterminazione dei popoli, meglio se regolato secondo dinamiche concordate e vigilate nella loro osservanza dagli organismi internazionali. Nel contesto post-sovietico vi è comunque una fase di transizione che dovrebbe essere regolata secondo accordi politici che considerino i contenziosi inevitabili e le implicazioni per le nuove minoranze venutesi a determinare. Quello della discriminazione delle minoranze russe nei paesi seceduti dalla Unione Sovietica, poi denominata CSI, in particolare. L’azione statunitense, della NATO e della Unione Europea ha alimentato queste contrapposizioni piuttosto che risolverle o contenerle in funzione delle sue politiche espansive e russofobiche.

Quanto alle determinanti da tenere conto quanto segue:

  • non si può prescindere dal carattere di guerra civile, col tempo sempre più virulento, assunto dal conflitto militare in Ucraina;

  • né si deve sottovalutare la capacità operativa e di supporto delle forze militari e del complesso militare-industriale russo; sopravvalutare, sino a ritenerlo illimitato, quelli degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica;

  • riuscire ad individuare i limiti e la soglia sulla quale è disposta a fermarsi la leadership statunitense. Limiti e soglia non predeterminati dalla amministrazione americana, ma dipendenti dall’andamento del feroce scontro politico in corso all’interno della stessa e tra questa e l’opposizione sempre più strutturata del movimento trumpiano;

  • dalla volontà di una qualche parte delle élites politiche europee di inserirsi in quello scontro per far uscire il continente o almeno parte di esso dalla morsa mortale e suicida in cui si è progressivamente cacciato in un contesto paradossale nel quale la Russia sembra subire i maggiori problemi nel proprio vicinato prossimo, ma, assieme a Cina e India, sembra acquisire crescenti consensi nel resto del mondo a discapito del mondo occidentale.

Tutti fattori che rendono improponibile un mero ritorno agli accordi di Minsk, ma la cui azione protratta nel tempo renderà sempre più costoso il prezzo da pagare in caso di cedimento e più rischiosa l’eventualità di un azzardo.

Una cornice realistica che potrebbe definire un “manifesto alla nazione”, una piattaforma in grado di fermare la corsa alla guerra e al disastro socioeconomico cui stiamo andando incontro e che superi le due tare che inibiscono lo sviluppo di un movimento politico maturo ed efficace: la partigianeria e la tifoseria che, ad armi impari, comunque pervade gli schieramenti in campo; il massimalismo di una opposizione strisciante ma irrilevante che, sull’onda di slogan facili quali l’uscita dalla NATO, senza comprendere le pesanti, probabilmente drammatiche, implicazioni nel tempo e nel merito che una tale decisione comporterebbe, è destinata a rinchiudersi nel ruolo di testimonianza, di contestazione di comodo o di azioni avventate; la strumentalizzazione a fini di gestione partitica interna di iniziative per altri versi significative.

La leadership turca, ungherese, probabilmente quella futura bulgara e moldava, il passato gaullista della Francia mostrano la possibilità di azione entro i comunque angusti spazi offerti dal sistema di Alleanza Atlantica: offrono spazi, per di più, anche a quei settori sempre più presenti, che pur intendendo rimanere fedeli all’alleanza, intendono garantire un ruolo più autonomo al proprio paese. E qualche pallidissima traccia di questo atteggiamento lo si può rilevare persino nei programmi elettorali di alcuni partiti, quali la Lega. Che poi nel tempo, questa sia una posizione realistica, sarà tutta da dimostrare.

L’importante è sapere che più va avanti il processo di integrazione della alleanza, più sarà difficile e doloroso districarsi dai suoi tentacoli; in tutti gli ambiti, non solo quello militare. Ne parleremo quando approfondiremo il contenuto del NSS, appena prodotto dalla amministrazione statunitense

Stati Uniti! Fratelli coltelli_con Gianfranco Campa

Novanta minuti lunghi, ma ben spesi. Le due principali anime oltranziste che sorreggono la figura di un presidente traballante e vacuo, superata, almeno per ora, in qualche maniera e con parecchio affanno la sfida di Trump, per oltre un anno hanno trovato nel conflitto in Ucraina il punto di accordo sul quale procedere nel tentativo di eliminare uno dei fautori di un mondo multipolare e, particolare non secondario, avvolgere in catene sempre meno dorate gli alleati europei da spremere ormai senza tanti infingimenti. Stiamo conoscendo sempre più il lato oscuro del “american way of life” e l’aspetto costrittivo della gabbia atlantica. Al crescere della tensione in un conflitto da tempo coscientemente atteso e provocato, ne parliamo con cognizione di causa, si pone il problema di quale sia la soglia da non oltrepassare per evitare l’innesco di un conflitto aperto e totale dagli esiti disastrosi per tutti i contendenti. Su questo le due anime presenti nella amministrazione Biden hanno innescato uno scontro politico sempre più difficile da mimetizzare. Un conflitto all’interno del quale non esiste una accettazione e un riconoscimento a condurre il gioco alla componente al momento prevalente. Piuttosto, l’utilizzo delle leve disponibili di ogni fazione per forzare il corso degli eventi. Leve che, purtroppo, si estendono e ramificano, soprattutto in Europa, anche in gruppi e centri decisori esterni al paese. In primo luogo tra i comandi della NATO, nei centri più ottusamente nazionalisti dei paesi dell’Europa Orientale in maniera esplicita e in maniera più silente nei centri decisori, si fa per dire, dei paesi chiave, almeno una volta, della Unione Europea.

ancore parigine di democratici statunitensi

Una dinamica che finisce per ridurre, tranne rare eccezioni, i centri europei a veicolo e strumenti di provocazione e forzature delle provocazioni della componente più avventurista dell’amministrazione statunitense. I nomi, i portatori espliciti, di tale condotta li abbiamo conosciuti nel corso di questi anni. Altri emergeranno con l’intensificarsi della crisi e con la resa dei conti ad essa connessa. Sino a quando in Europa non si farà, almeno in qualche misura, pulizia negli apparati, non sarà possibile un mutamento di linea e l’assunzione di un ruolo quantomeno moderatore nella vicenda di casa nostra. Paradossalmente, proprio negli Stati Uniti si annunciano crescenti scricchiolii; da lì potrebbe pervenire finalmente un rivolgimento che investirà direttamente anche l’Europa, senza che le nostre classi dirigenti desiderino e abbiano le capacità di affrontarlo adeguatamente. Comunque si risolverà la crisi Ucraina, peggio nel caso di successo dell’amministrazione Biden, per l’Europa si annuncia un declivio sempre più ripido e caotico. Negli Stati Uniti, quantomeno, i termini del conflitto sono sempre più trasparenti e definiti. Mala tempora currunt. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 Ocasio Cortez

https://rumble.com/v1nxdx4-stati-uniti-fratelli-coltelli-con-gianfranco-campa.html

Più realisti del re, di Giuseppe Germinario

Il 6 ottobre il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sulla “Escalation della aggressione russa all’Ucraina” della quale si riporta il testo in calce.

Lascia allibiti per la forma e per il contenuto.

Di una protervia ed una sfrontatezza tipica delle mosche cocchiere; di una assise, parte di una istituzione ormai nella sua fase crepuscolare, comunque da sempre, ora più di prima, illuminata di luce riflessa.

Non ha valore risolutivo, vista la funzione poco più che decorativa di questa istituzione. A maggior ragione, però, i rappresentanti avrebbero potuto adottare maggiore accortezza nella forma e una postura più equilibrata nel merito.

Al contrario la solerzia più realista del re tipica di chi sa di non avere responsabilità dirette e di poter profluire buone intenzioni a buon mercato.

Nella forma il tono è di un bollettino di guerra propagandistico persino più rozzo e abborracciato dei comunicati e dei resoconti di regime ucraini.

Nel contenuto riporta in maniera stupidamente partigiana come atti di accusa verso la Russia le versioni offerte dai propagandisti ucraini con tutte le omissioni, i travisamenti e le contraffazioni alle quali ci hanno abituato nove mesi di propaganda bellica. Non un cenno ai documentati crimini dei quali amano bearsi pubblicamente gli stessi autori ucraini; nessuna considerazione del carattere civile di una guerra alimentata per anni dai disegni geopolitici anglosassoni e ai quali si prestano ottusamente in particolare le dirigenze dei paesi dell’Europa Orientale, almeno sino a quando si ritroveranno esse stesse vittime di questo gioco. Nessuna richiesta, conseguentemente,  di accertamento imparziale dei fatti. Un déjà vu non per questo sufficiente ad essere esorcizzato. Nessuna minima riflessione sulle conseguenze in casa propria di una estensione draconiana di sanzioni e di una possibile, sempre più probabile, estensione del conflitto. Una pedissequa riproposizione, senza per altro averne potere e competenza, del continuo tentativo statunitense di imporre gli strumenti della propria giurisdizione nella regolazione delle relazioni tra paesi terzi. Una faciloneria ed una radicalità propria di figure che sembrano non rendersi conto delle implicazioni potenziali di tali suggerimenti, né del calderone sul quale sembrano serenamente adagiati e imbolsiti.

La risoluzione, per la sua unilateralità, rappresenta la rinuncia ad ogni ambizione di svolgere un qualsiasi ruolo autonomo; sarebbe troppo parlare di mediazione. È una delega in bianco alla attuale leadership statunitense e agli assatanati che siedono al governo in Ucraina. È l’evidenza di un ceto politico che ha ragione e possibilità di esistere solo all’ombra, sempre più ridotta, propria di un mezzogiorno di fuoco, americana. Con l’aggravante di rivelarsi dei “rappresentanti per caso” poco consapevoli di quello che stanno facendo e occupati per lo più nel loro sostanzioso “particulare”; uno strumento di una fazione ben precisa della leadership statunitense; una cordata, quest’ultima, che partendo dalla segreteria di stato arriva ai centri di comando della NATO.

Già visti all’opera ai danni della Presidenza Trump, ora vedono balenare come un incubo un suo possibile ritorno, ma ben più accorto e avveduto. La loro speranza è alzare sempre più il tiro, specie se a pagarne il prezzo principale saranno i propri più solerti alleati in terra europea.

È probabile che il Consiglio Europeo, reale sede decisionale del consesso europeo, sarà più cauto nella forma e nella sostanza della propria condotta. Il bersaglio però è lo stesso.

La stampa ci ha rappresentato a gran cassa nel tetto al prezzo del petrolio e del gas l’argomento focale dell’ultimo Consiglio Europeo.

Niente di più falso. La decisione cogente ha riguardato l’estensione delle sanzioni alla Russia e soprattutto a se stessi e la facoltà di agire arbitrariamente verso gli eventuali trasgressori.

Sempre più, quindi, parte in causa, ma con modalità e finalità decise da altri.

Dio ci scampi più che dai cattivi, dagli stolti. Sempre che qualche manina non sapesse già del precipitare della crisi di oggi ed avesse precorso i tempi.

Buona lettura.

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sulla Russia e l’Ucraina, in particolare quelle del 16 dicembre 2021 sulla situazione al confine ucraino e nei territori dell’Ucraina occupati dalla Russia[1] e del 1º marzo 2022 sull’aggressione russa contro l’Ucraina[2],

– viste le dichiarazioni sull’Ucraina rilasciate dai leader del Parlamento europeo il 16 e il 24 febbraio 2022,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sull’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione russa,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dal Presidente del Consiglio europeo e dalla Presidente della Commissione sull’aggressione militare senza precedenti e non provocata della Russia contro l’Ucraina,

– vista la dichiarazione di Versailles dell’11 marzo 2022,

– viste le conclusioni del Consiglio europeo del 25 marzo 2022,

– vista la dichiarazione resa il 4 aprile 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sulle atrocità russe commesse a Bucha e in altre città ucraine,

– viste le decisioni adottate dal Consiglio in merito alle sanzioni e alle misure restrittive nei confronti della Russia, che comprendono misure diplomatiche, misure restrittive individuali, quali il congelamento dei beni e le restrizioni di viaggio, restrizioni alle relazioni economiche con la Crimea, Sebastopoli e le zone non controllate dal governo di Donetsk e Luhansk, sanzioni economiche, restrizioni ai media e restrizioni alla cooperazione economica,

– visti i principi di Norimberga elaborati dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, che determinano ciò che costituisce un crimine di guerra,

– visto lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI),

– vista la Carta delle Nazioni Unite,

– visti le convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visti l’Atto finale di Helsinki e i successivi documenti,

– viste le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2 marzo 2022 sull’aggressione contro l’Ucraina e del 24 marzo 2022 sulle conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina,

– vista la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio,

– vista la sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 16 marzo 2022,

– visti la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, il memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza e il Documento di Vienna e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visto l’articolo 132, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

  1. considerando che, in conformità della Carta delle Nazioni Unite e dei principi del diritto internazionale, tutti gli Stati godono di pari sovranità e devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato; che la Federazione russa conduce dal 24 febbraio 2022 una guerra di aggressione illegale, non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina e che il 16 marzo 2022 la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Federazione russa di “sospendere immediatamente le sue operazioni militari nel territorio dell’Ucraina”;
  2. considerando che dal 24 febbraio 2022 migliaia di civili ucraini hanno perso la vita o sono rimasti feriti durante l’aggressione e l’invasione russe, mentre quasi 6,5 milioni di cittadini ucraini sono stati sfollati all’interno del paese e oltre 4 milioni sono fuggiti nei paesi vicini, a cui si aggiungono le oltre 14 000 persone, sia militari che civili, che hanno perso la vita negli ultimi otto anni a causa dell’occupazione della Crimea da parte della Federazione russa e del conflitto da essa generato nell’Ucraina orientale;
  3. considerando che, a un mese dall’inizio dell’aggressione russa, la guerra in Ucraina continua a mietere vittime innocenti; che le atrocità commesse dalle truppe russe hanno raggiunto un nuovo livello di efferatezza, come dimostra la scoperta, avvenuta domenica 3 aprile 2022, dei corpi di donne e uomini civili abbandonati nelle strade di Bucha, una città rimasta inaccessibile all’esercito ucraino per almeno un mese; che tali fatti giustificano chiaramente l’istituzione di una commissione internazionale incaricata di indagare su tutti i crimini commessi dall’esercito russo dall’inizio della guerra;
  4. considerando che l’esercito russo prosegue i bombardamenti indiscriminati e gli attacchi aerei contro zone residenziali e infrastrutture civili, come ospedali, scuole e asili, il che ha causato la distruzione totale o quasi totale di Mariupol, Volnovakha e di altre città e paesi;
  5. considerando che l’Ucraina ha finora mostrato livelli senza precedenti di resistenza e resilienza, impedendo alla Russia di raggiungere il suo obiettivo bellico iniziale, ossia l’occupazione dell’intero paese;
  6. considerando che il 5 aprile 2022 la Commissione ha proposto e annunciato nuove sanzioni e sta lavorando a ulteriori pacchetti di sanzioni; che le prime sanzioni dell’UE nei confronti della Federazione russa sono state applicate nel marzo 2014 a seguito dell’annessione illegale della Crimea, avvenuta nel 2014, e che il più recente pacchetto è stato adottato il 15 marzo 2022 a seguito dell’invasione non provocata e ingiustificata dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 febbraio 2022; che l’UE ha altresì adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo coinvolgimento nell’aggressione e nell’invasione russe;
  7. considerando che le sanzioni stanno avendo effetto, ma che gli acquisti da parte dell’UE di combustibili fossili dalla Russia continuano a fornire al regime mezzi che contribuiscono a finanziare la guerra;
  8. considerando che l’UE versa fino a 800 milioni di EUR al giorno alla Russia per la fornitura di combustibili fossili, il che ammonta a quasi 300 miliardi di EUR all’anno;
  9. considerando che studi accademici[3]dimostrano che il divieto delle importazioni di combustibili fossili dalla Russia avrebbe un impatto sulla crescita economica dell’UE che corrisponderebbe a perdite stimate a meno del 3 % del PIL, mentre le potenziali perdite per l’economia russa nello stesso periodo ammonterebbero al 30 % del PIL e sarebbero determinanti per fermare l’aggressione russa;
  10. considerando che la Presidente Metsola si è rivolta alla Verkhovna Rada il 1º aprile 2022 e ha incontrato il presidente e il primo ministro dell’Ucraina e i leader delle fazioni politiche a nome del Parlamento europeo;
  11. condanna con la massima fermezza la guerra di aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina, nonché il coinvolgimento della Bielorussia in tale guerra, e chiede che la Russia cessi immediatamente tutte le attività militari in Ucraina e ritiri incondizionatamente tutte le forze e attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale; si unisce al dolore del popolo ucraino per le perdite e le sofferenze strazianti subite;
  12. sottolinea che l’aggressione militare e l’invasione costituiscono una grave violazione del diritto internazionale, in particolare della Convenzione di Ginevra e dei relativi protocolli aggiuntivi e della Carta delle Nazioni Unite, e invita la Federazione russa a tornare ad adempiere alle sue responsabilità, in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, di mantenimento della pace e della sicurezza nonché a rispettare gli impegni assunti nel quadro dell’Atto finale di Helsinki, della Carta di Parigi per una nuova Europa e del memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza; ritiene che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia costituisca un attacco non solo contro un paese sovrano ma anche contro i principi e il meccanismo di cooperazione e di sicurezza in Europa e contro l’ordine internazionale fondato su regole, quale definito dalla Carta delle Nazioni Unite;
  13. esprime la più grande rabbia e indignazione e indignazione per le atrocità segnalate, tra cui lo stupro e l’esecuzione di civili, gli sfollamenti forzati, i saccheggi e gli attacchi contro infrastrutture civili, come ospedali, strutture mediche, scuole, rifugi e ambulanze, e le sparatorie contro i civili in fuga dalle zone di conflitto attraverso corridoi umanitari prestabiliti, secondo l’impegno assunto dalle forze armate russe in una serie di città ucraine occupate, come Bucha; insiste sul fatto che gli autori dei crimini di guerra e di altre gravi violazioni dei diritti, nonché i funzionari governativi e i leader militari responsabili, devono essere chiamati a risponderne; sostiene pienamente l’indagine avviata dal procuratore della Corte penale internazionale sui crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, nonché il lavoro della commissione d’inchiesta dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani; invita le istituzioni dell’UE ad adottare tutte le misure necessarie presso le istituzioni e le istanze internazionali, così come presso la Corte penale internazionale o altri tribunali ovvero organi giurisdizionali internazionali appropriati, per perseguire le azioni di Vladimir Putin e Aliaksandr Lukashenko quali crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e a partecipare attivamente alle relative indagini; chiede l’istituzione di un tribunale speciale delle Nazioni Unite per i crimini in Ucraina; ritiene che sarebbe opportuno avvalersi del meccanismo internazionale, imparziale e indipendente per fornire assistenza in tutte le indagini internazionali sui crimini di guerra commessi in Ucraina; invita gli Stati membri e l’UE a rafforzare la loro capacità di combattere efficacemente l’impunità di coloro che hanno commesso o partecipato a crimini di guerra;
  14. ribadisce la necessità di mantenere e rafforzare la fornitura di armi per consentire all’Ucraina di difendersi efficacemente; ribadisce il proprio sostegno a tutti gli aiuti di tipo difensivo alle forze armate ucraine offerti individualmente dagli Stati membri e collettivamente attraverso lo strumento europeo per la pace; accoglie con favore la decisione di aumentare di altri 500 milioni di EURl’assistenza all’Ucraina attraverso lo strumento europeo per la pace e chiede di aumentare ulteriormente i contributi concreti per rafforzare urgentemente le capacità di difesa dell’Ucraina, sia a livello bilaterale che nell’ambito dello strumento europeo per la pace;
  15. sollecita la creazione di corridoi umanitari sicuri per evacuare i civili in fuga dai bombardamenti e il potenziamento delle reti di aiuti umanitari dell’UE in Ucraina (compresi carburante, cibo, medicinali, fornitura di acqua potabile, generatori di energia e campus mobili); suggerisce alla Commissione di introdurre regimi di aiuti inter pares per l’Ucraina al fine di aumentare l’efficacia dell’assistenza;
  16. sottolinea che la risposta e l’impegno politico dell’UE devono essere in grado di far fronte all’ostilità ed essere commisurati allo sforzo compiuto dai nostri partner ucraini, che condividono gli stessi principi e che lottano e si sacrificano per i valori e i principi europei, la cui portata si estende oltre l’UE nella sua attuale composizione;
  17. esprime la propria unanime solidarietà al popolo ucraino e alle sue forti aspirazioni a trasformare il proprio paese in uno Stato europeo democratico e prospero; riconosce la volontà dell’Ucraina di partecipare al progetto europeo, come espresso nella sua domanda di adesione all’UE presentata il 28 febbraio 2022; reitera la sua richiesta alle istituzioni dell’Unione di adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’UE, come chiaro segnale politico del loro impegno, a norma dell’articolo 49 del trattato sull’Unione europea e sulla base del merito e, nel frattempo, a continuare ad adoperarsi per la sua integrazione nel mercato unico dell’Unione conformemente all’accordo di associazione; accoglie con favore la dichiarazione di Versailles del Consiglio europeo, in cui si afferma che l’Ucraina è un membro della nostra famiglia europea;
  18. condanna fermamente la retorica russa che evoca un possibile ricorso all’uso di armi di distruzione di massa da parte della Federazione russa e sottolinea che tale spiegamento sarebbe inaccettabile e darà luogo a gravissime conseguenze; condanna inoltre la presa di possesso da parte delle forze russe di impianti e siti nucleari attivi o disattivati nel territorio dell’Ucraina, sottolineando che la corretta gestione di tali impianti è una questione sanitaria di importanza cruciale per l’intera regione; sottolinea il ruolo essenziale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nel garantire la sicurezza degli impianti nucleari in Ucraina; sostiene la richiesta delle autorità ucraine al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di adottare immediatamente misure per smilitarizzare la zona di esclusione della centrale nucleare di Chernobyl e di consentire all’AIEA di assumere immediatamente il pieno controllo del sito della centrale nucleare;
  19. valuta positivamente la rapida adozione di sanzioni da parte del Consiglio e plaude all’unità delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina, nonché all’elevato livello di coordinamento tra i paesi del G7; invita tutti i partner, in particolare i paesi candidati all’adesione all’UE e i potenziali paesi candidati, ad allinearsi ai pacchetti di sanzioni; accoglie con favore la recente istituzione della task force “Russian Elites, Proxies, and Oligarchs” (élite, mandatari e oligarchi russi), volta a coordinare i lavori dell’UE, del G7 e dell’Australia in merito alle sanzioni nei confronti degli oligarchi russi e bielorussi; invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a intensificare le loro attività di sensibilizzazione nei confronti dei paesi che non hanno ancora aderito all’UE affinché adottino sanzioni contro la Federazione russa, utilizzando a tal fine l’influenza dell’UE e l’intera gamma di strumenti disponibili a tal fine, nonché fornendo assistenza se necessario; deplora che taluni paesi candidati all’adesione all’Unione europea non si siano allineati alle sanzioni dell’UE; chiede l’elaborazione di un chiaro piano d’azione nei confronti dei paesi terzi che agevolano l’evasione delle sanzioni da parte della Federazione russa; esorta il Consiglio ad adottare ulteriori severe sanzioni che riflettano la continua escalation dell’aggressione russa e le sconcertanti atrocità commesse dalle forze militari russe che innegabilmente si configurano come crimini di guerra;
  20. invita i leader dell’UE e i leader di altri Stati a escludere la Russia dal G20 e da altre organizzazioni multilaterali di cooperazione, quali il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, Interpol, l’Organizzazione mondiale del commercio, l’UNESCO e altri, il che costituirebbe un segnale importante del fatto che la comunità internazionale non tornerà a lavorare come di consueto con lo Stato aggressore;
  21. sottolinea che la piena ed efficace attuazione delle sanzioni esistenti in tutta l’UE e da parte degli alleati internazionali dell’UE deve costituire adesso una priorità; chiede che gli Stati membri individuino e, ove necessario, creino rapidamente una base giuridica per garantire senza indugio il pieno ed effettivo rispetto delle sanzioni all’interno delle giurisdizioni nazionali; invita la Commissione e le autorità di vigilanza dell’UE a monitorare attentamente l’attuazione efficace e completa di tutte le sanzioni dell’UE da parte degli Stati membri e a far fronte alle eventuali pratiche di elusione;
  22. esorta gli Stati membri a garantire che le penali nazionali in caso di violazione delle sanzioni dell’UE siano efficaci, proporzionate e dissuasive; accoglie con favore l’annuncio di un archivio di informazioni sulle sanzioni e di una tabella di marcia (compresi criteri e un calendario) per passare dall’individuazione di un’inosservanza sistematica delle sanzioni dell’UE alle procedure di infrazione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea;
  23. invita il Consiglio a imporre ulteriori sanzioni nei confronti di personalità pubbliche che stanno diffondendo propaganda aggressiva in Russia a sostegno dell’aggressione russa contro l’Ucraina;
  24. chiede di aumentare l’efficacia delle sanzioni esistenti, tra l’altro escludendo, in coordinamento con i partner internazionali dell’UE che condividono gli stessi principi, tutte le banche della Federazione russa dal sistema SWIFT e vietando l’ingresso nelle acque territoriali dell’UE e l’attracco nei porti dell’UE di qualsiasi nave battente bandiera russa, registrata, posseduta, noleggiata, gestita dalla Russia, di qualsiasi nave proveniente da, o diretta verso, un porto russo, o di qualsiasi nave altrimenti collegata alla Russia, compresa la Sovcomflot; chiede il divieto di trasporto merci su strada da e verso il territorio della Russia e della Bielorussia e suggerisce di estendere il divieto di esportazione alle consegne oggetto di contratti stipulati prima dell’entrata in vigore delle sanzioni, ma che non sono ancora state completamente eseguite; chiede l’introduzione di sanzioni secondarie nei confronti di tutte le entità registrate nell’UE e nei paesi terzi che stanno aiutando i regimi russo e bielorusso ad aggirare le sanzioni;
  25. chiede un embargo totale e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone e combustibile nucleare e uno per il gas il prima possibile, e sollecita ad abbandonare completamente i progetti Nordstream 1 e 2 e a presentare un piano volto a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE nel breve termine; invita la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna e gli Stati membri a definire un piano d’azione globale per l’UE riguardo a ulteriori sanzioni e a comunicare con chiarezza i punti fermi e le tappe dettagliate da seguire per revocare le sanzioni nel caso in cui la Russia adotti provvedimenti intesi a ripristinare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ritiri completamente le proprie truppe dal territorio ucraino;
  26. sottolinea ancora una volta l’importanza della diversificazione delle risorse, delle tecnologie e delle vie di approvvigionamento in campo energetico, in aggiunta a maggiori investimenti nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nelle soluzioni di stoccaggio del gas e dell’elettricità e agli investimenti sostenibili a lungo termine in linea con il Green Deal europeo; pone l’accento sull’importanza di garantire l’approvvigionamento energetico dai partner commerciali dell’UE attraverso gli accordi di libero scambio esistenti e futuri, al fine di ridurre ulteriormente la dipendenza dell’UE dalla Russia, in particolare per quanto riguarda le materie prime; chiede inoltre la creazione di riserve energetiche strategiche comuni e di meccanismi di acquisto di energia a livello dell’UE nell’ottica di rafforzare la sicurezza energetica, riducendo nel contempo la dipendenza energetica esterna e la volatilità dei prezzi; chiede che si inizi a lavorare alla creazione di un’unione del gas, basata sull’acquisto congiunto di gas da parte degli Stati membri;
  27. esorta gli Stati membri a porre fine alla collaborazione con le imprese russe sui progetti nucleari nuovi ed esistenti, anche in Finlandia, Ungheria e Bulgaria, in cui gli esperti russi possono essere sostituiti da quelli occidentali, e ad abbandonare gradualmente il ricorso ai servizi della Rosatom; chiede di porre fine alla cooperazione scientifica con le imprese energetiche russe, come la Rosatom, e con altre pertinenti entità scientifiche russe; chiede che le sanzioni nei confronti della Bielorussia rispecchino quelle imposte alla Russia al fine di colmare eventuali lacune che consentano a Putin di utilizzare gli aiuti di Lukashenko per eludere le sanzioni;
  28. incoraggia le organizzazioni internazionali dell’energia a riconsiderare il ruolo della Russia nelle loro attività, compresa la potenziale sospensione dei progetti di cooperazione tra la Russia e l’AIEA, nonché la sospensione della partecipazione russa a progetti multilaterali;
  29. sottolinea che occorre sequestrare tutti i beni appartenenti ai funzionari russi o agli oligarchi associati al regime di Putin, ai loro rappresentanti e prestanome, nonché alle figure legate al regime di Lukashenko in Bielorussia, e che occorre revocare i visti dell’UE nell’ambito di un divieto totale e immediato dei programmi che offrono passaporti, visti e permessi di soggiorno agli investitori; sottolinea che le sanzioni dovrebbero colpire un più ampio gruppo di funzionari, governatori, sindaci e membri russi dell’élite economica che osservano l’attuale politica del regime di Putin e ne traggono vantaggi;
  30. chiede di avviare i lavori su un fondo simile al piano Marshall (il fondo fiduciario di solidarietà per l’Ucraina) per ricostruire l’Ucraina dopo la guerra, avviare un massiccio programma di investimenti e sprigionare il potenziale di crescita del paese; ritiene che il fondo dovrebbe essere generoso e finanziato, tra l’altro, dall’UE, dai suoi Stati membri, dai contributi dei donatori e dal risarcimento dei danni di guerra da parte della Russia, anche attraverso i beni russi che sono stati precedentemente congelati in conseguenza delle sanzioni e che dovrebbero essere legalmente confiscati conformemente al diritto internazionale;
  31. chiede un meccanismo di solidarietà dell’UE per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della guerra della Russia contro l’Ucraina e delle sanzioni imposte;
  32. sottolinea l’importanza di garantire quanto prima la ripresa del corretto funzionamento del settore agricolo ucraino, compiendo tutti gli sforzi possibili per salvaguardare la prossima stagione di semina e produzione e assicurando corridoi sicuri per trasporti, carburante e alimenti da e verso il paese; chiede l’apertura di corridoi verdi onde portare in Ucraina tutto il necessario per mantenere la produzione agricola (ad esempio pesticidi e fertilizzanti) e per far uscire dall’Ucraina tutti i prodotti agricoli che possono ancora essere esportati;
  33. esprime il suo massimo sostegno alla decisione del procuratore della CPI di avviare un’indagine sui presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina, e sottolinea l’importanza di agire e progredire con rapidità al fine di ottenere le prove necessarie; chiede pertanto un sostegno finanziario e pratico per l’importante lavoro della CPI, ad esempio consentendo alla Missione consultiva dell’UE in Ucraina di coadiuvare la documentazione delle prove;
  34. chiede che l’UE e i suoi Stati membri istituiscano un meccanismo globale di sanzioni anticorruzione e adottino rapidamente sanzioni mirate nei confronti dei responsabili della corruzione ad alto livello in Russia e Bielorussia;
  35. ribadisce che la disinformazione russa fa parte dello sforzo bellico della Russia in Ucraina e che le sanzioni dell’UE nei confronti di emittenti di Stato russe possono essere facilmente eluse tramite reti private virtuali, televisione satellitare e funzioni Smart TV; invita la Commissione e gli Stati membri ad applicare pienamente il divieto imposto ai canali di propaganda di proprietà dello Stato russo;
  36. chiede di estendere gli obblighi di informativa delle istituzioni finanziarie europee al fine di informare le autorità competenti in merito a tutti i beni detenuti da determinati cittadini russi e bielorussi, e non solo ai loro depositi; ricorda che i cittadini dell’UE possono utilizzare lo strumento di informazione della Commissione per denunciare in modo anonimo le violazioni di sanzioni passate, attuali e previste nei confronti di persone ed entità russe e bielorusse; ritiene che l’ambito di applicazione degli elenchi di sanzioni individuali debba essere esteso a chi ha tratto o trae vantaggio da stretti legami con i governi russo e bielorusso; invita la Commissione a sfruttare appieno il quadro antiriciclaggio e a includere la Russia e la Bielorussia nell’elenco delle giurisdizioni ad alto rischio di cui all’articolo 9 della quarta direttiva antiriciclaggio[4]; invita la Commissione a proporre la creazione di un organismo dedicato per monitorare l’applicazione delle sanzioni finanziarie e di altre misure restrittive dell’UE; invita la Commissione a mappare e pubblicare i beni congelati e sequestrati da ciascuno Stato membro; accoglie con favore gli sforzi della società civile e dei giornalisti investigativi volti a rendere noti i beni di proprietà degli oligarchi russi;
  37. accoglie con favore le decisioni di alcune organizzazioni internazionali, in particolare nel settore della cultura e dello sport, di sospendere la partecipazione della Russia; invita gli Stati membri a ridurre il livello di rappresentanza della Federazione russa e a diminuire il numero di membri del corpo diplomatico e consolare russo nell’UE, in particolare laddove le loro azioni riguardino questioni di spionaggio, di disinformazione o militari; chiede un coordinamento continuo con gli alleati transatlantici e i partner che condividono gli stessi principi, come quelli della NATO, del G7 e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, nonché con i membri dell’Associazione europea di libero scambio, gli Stati associati e i paesi candidati; sottolinea che l’UE dovrebbe reagire con decisione laddove presunti partner non sostengano le sue posizioni;
  38. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alle Nazioni Unite, alla NATO, al G7, al Consiglio d’Europa, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, al Presidente, al governo e al parlamento dell’Ucraina, al Presidente, al governo e al parlamento della Federazione russa, nonché al Presidente, al governo e al parlamento della Bielorussia.
  • [1]  Testi approvati, P9_TA(2021)0515.
  • [2]  GU C 125 del 18.3.2022, pag. 2.
  • [3] Tra questi Bachmann et al., Banca centrale europea, Deutsche Bank Research, Oxford Economics, Goldman Sachs, ecc. come riassunto dal Sachverständigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung (Consiglio tedesco degli esperti economici) nella sua relazione del marzo 2022 dal titolo “Auswirkungen eines möglichen Wegfalls russischer Rohstofflieferungen auf Energiesicherheit und Wirtschaftsleistung: Auszug aus der aktualisierten Konjunkturprognose 2022 und 2023” (Impatto di una possibile perdita di forniture di materie prime russe sulla sicurezza energetica e sulla performance economica: estratto delle prospettive economiche aggiornate 2022 e 2023).

PUNTO CRITICO?_di Pierluigi Fagan

Siamo ad un punto critico della guerra in Ucraina? Proverò a sviluppare una tesi ipotetica, troppe cose non sappiamo per aver certezze e sebbene esplorerò una tesi, si potrebbe interpretare le stesse cose in altro modo. Il punto è: si inizia a pensare a come uscirne?
I fatti, almeno quelli pubblicamente noti. Biden, ad un fundraising a casa del figlio di Murdoch, ha detto: 1) siamo nella più grave crisi di rischio atomico dai tempi dei missili a Cuba; 2) conosco personalmente Putin, non scherza; 3) se in virtù di una sostanziale non vittoria sul campo sente minacciato il suo potere e si mette ad usare l’atomico tattico, da lì in poi è escalation senza via di uscita; 4) sto allora pensando quale potrebbe essere una via d’uscita.
Blinken ha rilanciato “noi siamo pronti a trovare una soluzione diplomatica, ma i russi vanno in direzione opposta”. I russi, nei giorni scorsi, hanno detto più o meno lo stesso, dal loro punto di vista. Alcuni sostengono che da tempo i due si parlano dietro le quinte e quindi quello che noi vediamo è schiuma quantistica sopra fatti ignoti. Se veramente di tratta, le dichiarazioni pubbliche vanno interpretate, sono spiragli, tentativo di delimitare il campo, trattativa su come fare una trattativa, porre linee rosse che poi diventano rosa e svaniscono quando effettivamente si finisce al tavolo? Cos’è irrinunciabile per l’uno e per l’altro?
Alcuni hanno voluto leggere una nuova volontà di abbassare i toni da parte americana nel far uscire dichiarazioni CIA su NYT a proposito dell’attentato alla figlia di Dugin per colpa di una parte dell’establishment ucraino (c’è una parte trattativista ed una oltranzista com’è ovvio ci sia in questi frangenti?).
Altri hanno evidenziato il crescente fastidio americano per le continue richieste ucraine sempre molto pretendenti, oltretutto con una situazione sul campo che mostra una certa autonomia operativa ucraina, pare, non sempre gradita a Washington.
C’è anche chi ha osservato che l’uscita di Elon Musk, che ha fatto imbestialire Kiev, potrebbe esser pilotata.
Ieri abbiamo scritto un post sul fatto che sta montando una forte insofferenza per l’annunciato Armageddon economico-finanziario planetario. Per ora si sono espressi a mezza voce cinesi, indiani, i 24 dell’Opec. Sempre ieri alla Commissione diritti umani delle UN è stata negata la proposta americana di istruire una indagine ufficiale per il maltrattamento degli uiguri da parte dei cinesi nel Xinjiang. Voti contrari su asse musulmano-africano ma con aggiunte asiatiche. La questione del missile di Kim ha portato i coreani del sud a spararsi un missile vero (armato) addosso, brutta performance.
Giorni fa, funzionari ucraini si sono lamentati con una certa disperazione per il fatto che l’Europa non fa arrivare i fondi promessi (notoriamente a Bruxelles non sono così disponibili quando si tratta di cacciare i soldi) e non promette bene anche per i mesi a venire. La macchina statale e bellica ucraina mangia miliardi al mese, poi c’è la ricostruzione e così sarà molto a lungo. Di contro, sappiamo l’Europa a cosa va incontro nei prossimi mesi e pensare di destinare congrui fondi alla guerra mentre qui imperversa freddo e disoccupazione, va oltre il realistico.
Sempre qualche giorno fa è uscito su Rep un interessante articolo di Franceschini, portavoce degli ambienti strategici americani. L’articolo riferiva delle preoccupazioni che circolerebbe nei pensatoi strategici americani, Atlantic Council e Carnegie Endowment, a proposito della possibile frammentazione della Russia sconfitta nella guerra con crollo del potere centrale e scomparsa di Putin. Nuovi stati e staterelli, alcuni “canaglia” (vedi Kadyrov, non a caso promosso da Putin l’altro giorno, della serie “se non vi piaccio io potreste sempre trovarvi un Kadyrov in futuro”), ma con l’atomica, un incubo.
In più, un enorme spazio di possibile allargamento dell’egemonia cinese ad est, nessun alleato nell’area su cui far perno per pilotare gli eventi. In verità, queste cose erano note da tempo ed erano solo metà della questione che invece prometteva anche molti vantaggi geostrategici per gli americani. Sintomatico però oggi si faccia uscire solo il lato preoccupante.
In più, va notata la montante paranoia nucleare qui in Europa ed in parte negli stessi US. Quanto è reale il rischio? Se è reale ma non così probabile, perché monta la paranoia? È un effetto amplificazione mediatica tipo paranoia da Covid su legge delle audience o c’è un interesse ad avanzare questa “causa di forza maggiore” per aprire ad un ripensamento del “credere, ubbidire e combattere” in auge fino ad oggi?
Che calcoli reali di sostenibilità economico, sociale e politica si stanno facendo a proposito dell’Europa ma a questo punto anche degli USA che vanno ad elezioni a novembre? Dopo la Svezia e l’Italia, si teme che ci saranno elezioni anticipate anche in Danimarca ed anche lì pare che la destra abbia significative ed inedite chance di vittoria. Ci sono state elezioni in Bulgaria domenica scorsa ed ha perso la parte europeista-liberale, si è affermato il centro-destra, ma si è formato anche un partito contro le sanzioni, stile Orban. Pare non riusciranno comunque a fare un governo, dovranno andare – credo la quarta volta- ad elezioni in breve tempo, ma la tenuta del fronte scricchiola in tutta evidenza. E quando Orban farà il tenuto referendum per chiedere “democraticamente” al popolo se supporta o meno le sanzioni e relativo peso, che succederà? E siamo solo ai primi di ottobre.
Ripeto, questa è una selezione di fatti, ce ne sono anche altri e di senso diverso. Questi stessi potrebbero esser diversamente interpretati. Però rimane il fatto delle dichiarazioni aperturiste di ieri di Biden e questo è una “prima volta”, di cui pender nota. Vedremo.
Putin si è arroccato con il suo piccolo bottino del suo 15-20% di territorio ucraino mettendoci sopra l’ombrello nucleare e dicendo “io mi accontento così, parliamo?”. Zelensky ha risposto portando a legge una sorta di impossibilità a trattare. Biden dice: attenzione perché quello mena se perde di brutto. Così i think tank paventano Balcani nucleari pieni di coatti islamici o siberiani assai pazzerelli. Pe ora è tutto, vediamo come si svolge.
L’America ha ottenuto molto, rilancio NATO in grande stile, Finlandia e Svezia, cattura egemonica dell’Europa totale ed irreversibile almeno per qualche anno, comunque una bella botta per i russi e con prospettive di sanzioni lunghe un bel tarlo che agirà nel tempo. In più sanno tutti che la vera partita strategica è in Asia. Quanto le costerebbe provare ad ottenere di più?
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. I 24 Paesi OPEC+, hanno l’altro giorno deciso di dare un sostanzioso taglio alla produzione petrolifera, pare lo abbiano deciso in una riunione di mezzora; quindi, la decisione era comune e preparata in anticipo. La decisione è stata motivata come sostegno al prezzo dal momento che la recessione globale diminuisce la domanda. Ma si tratta di una preventiva poiché, all’altro giorno, il prezzo era sceso a livelli di gennaio stante che allora era in tendenza ascensionale dall’inverno del 2020. Cioè, campavano due anni fa senza tagli alla produzione col prezzo sotto i 25 dollari, sembra strano ora si fascino la testa perché è “solo” a 91 US$.
C’è l’interpretazione politica o meglio geopolitica. L’ha data Biden il quale ha strepitato dicendo che è una manovra ispirata dalla Russia. Colpiscono due cose di questa dichiarazione, la prima è che l’ha data quando avrebbe fatto meglio a tacere, la seconda è la ragione data che è stupida. L’ha data e con quella ragione, probabilmente per il pubblico interno, gli americani vanno ad elezioni a novembre ed il prezzo della benzina che notoriamente è il primo drive dell’inflazione è già un problema e viepiù lo sarà quando si voterà. Ma quando il presidente degli US parla, non ascolta solo il pubblico interno. I sauditi hanno risposto che è ora di dismettere questa “arroganza della ricchezza” (!).
Vediamo allora meglio cosa può esserci sotto. I paesi OPEC+ sono 24, centro e sudamericani, africani, asiatici ed ovviamente mediorientali, più la Russia. I “+” sono 13, aggiunti al nucleo storico degli 11 mediorientali originari che rimangono quelli che trainano l’associazione. Alcuni hanno cattivi rapporti con gli US (Iran, Venezuela, Russia), molti non hanno simpatia, molti altri hanno invece normali o anche cordiali rapporti. L’Arabia Saudita, nonostante il viaggio di Biden ad inizio guerra per cercare di strappare un aumento di produzione a compensazione del ban alla Russia, è in posizione piuttosto critica. Ma UAE, Qatar, Kuwait no. Assolutamente fantasioso pensare che la Russia possa decidere cosa gli OPEC+ fanno o non fanno. Tuttavia, rimane il fatto che la decisione è tecnicamente un po’ strana se guardiamo al prezzo a meno di non considerare la manovra preventiva e che la tempistica dice appunto che s’è voluto mandare un segnale.
Veniamo allora al titolo del post. Noi qui vediamo usare il concetto di “comunità internazionale” a sproposito per dar l’impressione alle nostre opinioni pubbliche che tutto il mondo o per lo meno il mondo che conta tranne Stati delinquenziali, approva quello che l’Occidente collettivo sta facendo nella guerra Ucraina. Non è affatto così, lo abbiamo sezionato a proposito del secondo voto alle UN a marzo e via via, analizzando le varie posizioni degli attori internazionali non occidentali. I giornali occidentali fanno sforzi di sottolineare come le astensioni ai voti di condanna al Consiglio di sicurezza da parte di India e Cina, dicano dell’isolamento della Russia. Ma questa è propaganda. Nelle dinamiche diplomatiche, stante che certo nessuno può credibilmente votare a favore di quello che i russi fanno se non schierandosi come alleati organici, tra l’altro in favore di palesi infrazioni che teoricamente nessuno può approvare davvero, astenersi significa “non posso votare contro, ma scordati il mio voto a favore”. Cosa pensa allora la vera “comunità internazionale” fuori di quel 16% di popolazione (o poco più: Europa + Anglosfera) terrestre embedded nel sistema a guida americana?
La reale comunità internazionale era bella felice e contenta dentro una tendenza mossa dalla globalizzazione. Giravano i soldi, si facevano progetti, le economie-Paese crescevano, così i popoli se non del tutto felici avrebbero potuto almeno coltivare speranze. Popoli se non felici speranzosi, governi stabili. Tutta la comunità internazionale, che è da considerare in macro “non allineata”, sa perfettamente che la guerra è scoppiata per colpa operativa di Putin ma in reazione a insostenibili pressioni americane via NATO-Ucraina. L’altro giorno l’economista americano J. Sachs diceva che tutta la comunità internazionale sa e dice apertamente che i due condotti Nord Stream sono stati sabotati dagli americani, ma qui non si può dire, si insulta la logica di base nel sostenere “non sappiamo chi è stato”. Ieri leggevo un articolo di Rampini che ormai è diventato un impazzito propagatore di assurdità lampanti e senza ritegno, sostenere tre valide ragioni per pensare siano stati in realtà i russi. Stiamo vivendo tempi surreali e ciò è allarmante anche più che non il vivere tempi conflittuali ad altissima tensione. La qualità delle narrazioni stese su i fatti è talmente assurda anche per chi sa che il conflitto interpretativo ovviamente manipola le idee ed i giudizi, che lancia un doppio allarme. È normale raccontarsela così e cosà, lo fanno i russi, lo fanno gli americani, lo fanno le nostre élite e va bene. Ma c’è modo e modo di confezionare le favole, quelle che girano sono scombinate in maniera troppo assurda, di una assurdità esasperata.
Ma torniamo alla comunità internazionale. La comunità internazionale, pur sapendo come stanno le cose in Ucraina, non sarebbe poi più di tanto interessata e tantomeno mossa a prender le parti di tizio o di caio. Vede però arrivare uno tsunami di ritorno che la inquieta e terrorizza. Niente più mercati globali, “tu si e tu no” nei circuiti SWIFT dove circolano i bonifici di pagamento, dollaro alle stelle che per Paesi quasi sempre indebitati è un gran bel problema, rottura delle catene logistiche, rottura del sistema detto “catena del valore” basato su delocalizzazioni di segmenti di produzione (non intere produzioni, pezzi di…), tempeste inflattive, esportazione del conflitto in Asia (US, Jap, CdS hanno fatto manovre navali davanti alla CdN una settimana prima che Kim gli lanciasse un missile vuoto sulla testa, forse la cosa è poco nota qui. Per non parlare di Taiwan etc.).
Su stampa asiatica, ho letto più di un analista segnalare la profonda preoccupazione per quello che qui da noi sembra non preoccupare sul serio nessuno ovvero l’entrata dell’Europa in un profondo buco nero recessivo. L’Europa è semplicemente la più grande economia aggregata del mondo, è il cuore che succhia e pompa sangue finanziario e commerciale a tutto il sistema-mondo. È ovvio che il sistema-mondo che è indifferente alle narrazioni americane e guarda ai fatti duri, si preoccupi come ognuno di noi si preoccuperebbe se il dottore gli dicesse “guardi che lei avrà sicuramente un infarto”. Il nostro infarto sarà il loro ictus.
La lettura solo geopolitica della decisione OPEC+ è sbagliata, è una questione che ha origine in geoeconomia. E tale questione, è dall’inizio, il vero tallone d’Achille della strategia americana, gli americani non hanno tenuto in debito conto lo scenario mondo. Lo si è capito e l’abbiamo scritto i primi giorni, con i voti alle UN e gli improvvisi e poco concludenti viaggia di Blinken in M.O. e poi di Biden in Arabia Saudita, nonché le profferte di “nuova amicizia” con Maduro, se non l’iniziale boutade di nuovi accordi per ul nucleare iraniano ed il fallimento imbarazzante del forum degli “americans” a cui non è andato quasi nessuno. Lo si è visto con la comparsa di articoli arrabbiati contro l’India che fa Ponzio Pilato, lo si è visto col disastro diplomatico dell’improvvisata della Pelosi a Taiwan, cose che non si fanno se devi fare diplomazia con asiatici a forte matrice confuciana.
Sospetto che il nucleo neocon promotore di questa strategia “o la va o la spacca” che è iniziata con la lunga penetrazione in Ucraina prima del 24 febbraio, sia caduto nella trappola del confondere “quello che voglio il mondo sia” con il più concreto “quello che il mondo può realisticamente essere”. S’è messo contro troppa gente, ha fatto male i calcoli, non ha dato il giusto peso ad alcune variabili. La cattura egemonica totale dell’Europa che pare ormai irreversibile, è un bel bottino, ma quanto varrà lo sapremo solo dopo aver dedotto il prezzo il cui conto si farà alla fine.
Intanto, prepariamoci al secondo shock petrolifero (gasifero, carbonifero, elettrico, energetico, produttivo etc.), cinquanta anni dopo il primo.
[Alcune info riportate sono tratte da articoli BBC e Reuters di ieri, più tardi vediamo gli aggiornamenti]

Ucraina, il conflitto 17a puntata. L’attesa_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Una situazione di stallo apparente con l’esercito ucraino che riesce a rosicchiare parte dei territori perduti. L’iniziativa sul campo sembra essere passata in maniera più duratura al regime ucraino. Un paradosso a confronto della enorme perdita di materiale bellico e della sua capacità di produzione in loco e soprattutto della strage di uomini attinti da un serbatoio certamente limitato. Una diretta conseguenza invece del crescente coinvolgimento della NATO e degli Stati Uniti nel conflitto sino ad assumerne direttamente la gestione, la direzione e la supervisione sino a sopperire alle gravi carenze di militi con mercenari e militari stranieri appena dismessi. L’esercito russo sembra in posizione di attesa, pronto a conservare ed accumulare forze in vista di uno scontro ben più ampio e dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche per tutti i condendenti dichiarati o dietro le quinte. Deve risolvere in breve tempo problemi cruciali di assetti politici interni e di riorganizzazione dopo di che non sarà più facile per i contendenti occulti operare dietro le quinte e con la carne di cannone dei terzi ucraini e di chi vorrà aggiungersi ad essi. Il rifiuto di una trattativa seria e il sostegno ad un regime guerrafondaio all’esterno ed aguzzino e razzista, spietato al proprio interno, quale quello ucraino, stanno rendendo sempre più doloroso e costoso il necessario passo indietro. In gioco c’è la tenuta dell’attuale leadership statunitense all’interno e all’esterno degli Stati Uniti. Al momento e in apparenza la sua partita prosegue con il punto perso in Afghanistan e due punti guadagnati a Taiwan e in Europa. E’, però, un continuo azzardo al rialzo al quale basta perdere l’ultimo punto per compromettere l’intero gioco.
Intanto il conto più salato, in termini di sottomissione, passività e stupidità, a diverso titolo, lo stanno pagando gli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IL TERZO, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL TERZO

Julien Freund sosteneva che il conflitto è una relazione sociale bipolare, la quale comporta l’assenza (la dissoluzione, l’estraneità) del terzo dal rapporto. Utilizzando l’espressione del noto principio di logica, è caratterizzato dal terzo escluso.

Il terzo, scriveva il pensatore alsaziano riguardo alla polarità, la elimina in partenza, e poi la ritrova alla conclusione, senza contare che può infrangere la dualità conflittuale. Il terzo si manifesta così come la nozione correlativa, per contrasto, al conflitto.

Il terzo, scriveva Freund, aderendo alla tesi di Simmel, è di tre tipi. Il primo è il terzo imparziale, che non ha interessi nel conflitto, onde è il decisore/intermediario ideale per conciliare i contendenti a far cessare il conflitto. Deve avere autorità e in genere un certo potere per orientare la decisione delle parti in conflitto.

Il secondo tipo è “il terzo ladrone” (larron). Non è implicato nella guerra, ma ne trae benefici per se stesso. Tra i tanti sotto-tipi in cui può suddividersi tale tipo-genere, i più frequenti sono: poter perseguire il proprio tornaconto, contando sulla distrazione dei contendenti o, in altri casi, fare affari con i contendenti (o con uno di essi).

Il terzo tipo è quello del terzo che divide et impera. In questa sotto-classe il terzo non è né il decisore né il profittatore del conflitto: ne è talvolta colui che lo suscita, ma per lo più chi lo mantiene ed alimenta. Del quale tipo è ricolma la storia. Tanto per fare un esempio la politica di Richelieu nella guerra dei trent’anni, prima dell’intervento francese, in soccorso dei protestanti. O, per la politica interna, quella degli Asburgo verso i popoli nell’impero austro-ungherese.

Nella guerra russo-ucraina chi – e di che tipo – può essere il terzo? Il decisore, il profittatore, il suscitatore?

Quanto al profittatore, ce n’è tanti e, per lo più privati, che è superfluo parlarne.

Anche perché la posizione del terzo larron, è conseguenza – prevalentemente – di decisioni altrui e non proprie. Pertanto ha poche possibilità sia di suscitare che di far cessare la lotta.

Neppure si vede un terzo che abbia i connotati del primo tipo: non c’è nessuno che sommi in se neutralità (nel senso prima specificato), autorità e potere. Gli USA sono i protettori dell’Ucraina, come Richelieu lo era dei principi protestanti, e hanno ampiamente aiutato una delle parti e preso misure contro l’altra; l’U.E. non ha l’autorità, né il potere, e neppure è neutrale, anche se ha tutto l’interesse a far cessare il conflitto.

La Cina ha tenuto un comportamento relativamente equidistante tra i contendenti ed  è sotto questo aspetto, idonea; ma è dubbio se abbia il potere e ancor più il tasso minimo di autorità presso i contendenti. Il Vaticano si è saggiamente mantenuto in equilibrio tra le parti; ma anche se – credo – ha una certa autorità, ha pochissimo – o nessun – potere. Intendendo qui come “potere” l’impiego di incentivi alla pace o disincentivi alla guerra.

Di converso appare più chiaramente percepibile la presenza di terzi “suscitatori”. Forniture di armi e sanzioni possono disincentivare l’aggressore, ma sicuramente prolungano la guerra e probabilmente la intensificano.
Sempre tornando a Richelieu, la guerra dei trent’anni ebbe tale durata proprio grazie al denaro che il cardinale dava in abbondanza alla parte più debole, ossia ai protestanti. Per farla cessare fu necessario, tuttavia, l’intervento militare della Francia, con relativo abbandono del ruolo di terzo.

Nel conflitto russo-ucraino i “terzi” abbondano, ma dei tipi “polemogeni”; mancano, allo stato, quelli del primo tipo.

A meno che uno dei belligeranti non si riconosca sconfitto o ambedue trovino un’intesa pacifica (ipotesi che appare ancor più difficile), la durata appare rimessa alla volontà delle stesse. E la durata anche.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Fermiamo gli Stranamore di casa nostra, di Francesco Dall’Aglio

La costruzione di un clima adatto alle provocazioni sotto mentite spoglie. Forse, al meglio, una base eccessiva per trattare sulla posta in palio. Di manovalanza disponibile ce ne è sin troppa_Giuseppe Germinario
Quindi ora l’ultima, secondo i nostri media (tipo il Times), è che Putin ordinerà dei test nucleari al confine dell’Ucraina, probabilmente nel Mar Nero, per dimostrare che “fa sul serio”, dopo che già due giorni fa Repubblica (e chi se no) ci aveva deliziato con la storia della fuga del Belgorod e dei suoi Poseidon.
Lo dico adesso e non lo ripeterò, perché questa storia da surreale sta diventando chiaramente preoccupante, e non per i motivi che uno può immaginare:
1) la Russia NON sta perdendo la guerra né l’ha già persa. L’esercito russo NON è in rotta. Lo so, è strano da credere, ma fidatevi.
2) la Russia non ha ALCUNA volontà, e meno ancora necessità (finora, almeno), di utilizzare armi atomiche, chimiche o batteriologiche in Ucraina. Il motivo è al punto 1.
3) la dottrina nucleare della Russia NON prevede il primo impiego di armi nucleari perché si sono ritirati da Lyman. Prevede l’impiego di armi nucleari in risposta a un attacco sul suolo russo con armi nucleari, o in risposta a una minaccia che mette a rischio la SOPRAVVIVENZA della Federazione Russa. Di nuovo, la ritirata da Lyman (che ricordo a tutti si trova in Ucraina, non in Russia) non ricade in queste ipotesi. Un attacco missilistico sulla Crimea non ricade in queste ipotesi. Un bombardamento di artiglieria su suolo russo non ricade in queste ipotesi. Uno sconfinamento ucraino su suolo russo non ricade in queste ipotesi. E via di seguito.
4) c’è una potenza nucleare che non ha mai ben chiarito la sua posizione sul primo impiego delle armi nucleari. FUN FACT: questa potenza nucleare NON è la Russia, e nemmeno la Cina.
5) ci vuole molto poco a far detonare un’atomica tattica nel bel mezzo del Mar Nero e dire che sono stati i russi, e regolarsi di conseguenza. Abbiamo creduto, senza prove in entrambi i casi, che bombardino le loro centrali nucleari e facciano esplodere i loro gasdotti. Perché non dovremmo credere anche a questo, dopo che da settimane ci stanno dicendo che siccome la Russia ha perso la guerra e Putin è pazzo e cattivo non ha altra opzione che usare le atomiche?
6) no, non sono un complottaro. Ma se per settimane ti ripetono una cosa che è palesemente falsa, due domande te le devi fare (e se fai il mestiere mio, la paranoia è una qualità di base). E far detonare un’atomica tattica nel Mar Nero risolverebbe all’istante gli sbandamenti, chiamiamoli così, presenti e soprattutto futuri di un bel po’ di alleati europei. No, non significherebbe un attacco nucleare alla Russia, ovviamente, né l’ingresso della NATO nel conflitto, ma altrettanto ovviamente costringerebbe tutti a serrare le fila in un momento molto, molto complicato.
7) ovviamente non succederà nulla di tutto questo. Giusto?
PS – il Belgorod potrebbe davvero essere diretto nell’Artico, per testare i Poseidon in un’esercitazione. Farlo nel Mar Nero davanti a mezzo mondo sarebbe, diciamolo, una scemenza.

Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge

“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.

Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.

La questione tedesca

Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.

L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.

Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)

La questione della sovranità

Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.

Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.

Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.

Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.

Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .

La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile

Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.

L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.

Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,

È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.

https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/

Stati Uniti, strategie di logoramento_Con Gianfranco Campa

Puntata particolarmente importante. I nemici dichiarati dalla attuale leadership statunitense sono la Russia nell’immediato, la Cina dal punto di vista strategico. L’obbiettivo di fondo è scompaginare la prima, trattare da posizione di forza con la seconda. Arrivare a regolare il contenzioso con la Cina, comporta riequilibrare preliminarmente la propria economia attualmente fondata sul debito e sul drenaggio di risorse dall’area del dollaro e su un processo di decentramento industriale che espone gli Stati Uniti alla fragilità di un circuito troppo vulnerabile. I paesi europei, in primo luogo la Germania, sono destinati ad essere la vittima sacrificale di questa dinamica a beneficio esclusivo del loro alleato egemone. Su questo il gruppo dirigente statunitense può far leva sugli utili idioti dei paesi scandinavi e dell’Europa Orientale, nella fattispecie i paesi baltici, la Polonia. Costoro, in nome di brame di rivalsa sopite da troppo tempo nei confronti di Russia e Germania, non esitano a legarsi mani e piedi con chi a tempo debito non esiterà a scaricarli. Un già visto nelle precedenti due guerre mondiali, ma di nessuna lezione per il presente. Gli Stati Uniti, intanto, riescono a lucrare a man bassa sul mercato energetico, grazie alle dinamiche politiche innescate; compresi gli atti di sabotaggio. L’ennesima conferma di come le fortune economiche dipendono soprattutto dalle scelte politiche, piuttosto che da dinamiche economiche intrinseche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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