Italia e il mondo

PROLOGO DOPO QUASI UN DECENNIO ALLA “DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE”_Giuseppe Germinario, Massimo Morigi

PROLOGO DOPO QUASI UN DECENNIO ALLA “DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE (STATO DI ECCEZIONE, TEORIA DELL’ALIENO E DEL TERRORISTA E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO)” E A FUTURE RIFLESSIONI SU DEMOCRAZIA, RELIGIONE, DEEP STATE E MOVIMENTI ERETICALI CRISTIANI DI RIVOLTA

Di Giuseppe Germinario

          Il 19 febbraio 2017  “L’Italia e il Mondo” pubblicava il contributo del nostro collaboratore Massimo Morigi La democrazia che sognò le fate. (Stato di eccezione, teoria dell’alieno e del terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico). L’articolo, nell’ambito della decostruzione del concetto di ‘democrazia’ e di formulazione del  paradigma del Repubblicanesimo Geopolitico tanto caro a Morigi, avanzava un’ipotesi rispetto al fenomeno  della credenza popolare, particolarmente rigogliosa negli Stati uniti, che le prove delle  visite sul nostro pianeta degli UFO, cioè dei dischi volanti per essere essere ancora più chiari, non fossero nascoste dagli apparati militari e/o dalle agenzie della sicurezza interna ed esterna dello Stato ma, al contrario, che questi apparati facessero di tutto  –  attraverso la negazione del fenomeno che però aveva come sottotesto per i più creduloni un «non possiamo parlare, perché il nostro primo dovere è non diffondere il panico nella popolazione e chi puo capire capisca!…» –  per instillare nel povero popolo bue questa credenza e tutto ciò allo scopo molto evidente di depistare sulla vera natura di tutti quegli esperimenti di tecnologia militare i cui effetti esteriori non era impossibile  celare. Questa tesi di Morigi  – basata sul disvelamente di una  strategia comunicativa e di depistaggio da parte di questi apparati che potremmo chiamare, in mancanza di meglio, ‘diffusione di falsa notizia attraverso la sua apparente negazione’ – sulla fenomenologia sociale della religione sostitutiva della credenza negli UFO era una assoluta novità nel campo del dibattito sociologico sul fenomeno nella credenza delle visite extraterrestri ma non era sorta da un particolare interesse del nostro collaboratore a farne uno sterile ‘fact checking’ come oggi si dice (e come oggi è tristemente evidente, dove il ‘fact checking’ è definitivamente mutato nelle mani del mainstream a strumento di nascondimento piuttosto che di svelamento della realtà) ma si inseriva  nell’ambito del più vasto discorso teorico sul Repubblicanesimo Geopolitico e sulla sua teleologica propulsione volta a decostruire tutte quelle ‘categorie del politico’ della liberaldemocrazia che sono lo strumento principe per tenere incatenate le masse nella illusione che l’odierno ‘stato delle cose’ del nostro c.d. occidente c.d. liberale e c.d. democratico sia l’ultimo stadio della sua “gloriosa” evoluzione culturale e politica e che quindi i rapporti di forza che sussistono in questo occidente non siano, in ultima istanza, da mettere in discussione e per instillare il timore che pensare un loro rivoluzionamento sia addirittura un crimine, da punire nel nome di quella fine della storia, che nonostante i vari spernacchiamenti che ha subito l’illustre favoletta fukuyamesca, costituisce ancora l’oscuro oggetto del desiderio di tutti i ferventi credenti nella liberaldemocrazia (ma questa storia, ahimé non finesci mai. La Russia attuale che aveva cominciato a combattere la sua guerra per procura contro la Nato con le pale e i picconi, ora si ritrova nelle mani il più moderno e terrificante apparato missilistico del mondo. Vatti a fidare della storia… ma, lo sappiamo, ha stato Putin!…). 

         6 giugno 2025. Il “Wall Street Journal” attraverso l’articolo di Joel Schectman The Pentagon Disinformation That Fueled America’s UFO Mythology. U.S. military fabricated evidence of alien technology and allowed rumors to fester to cover up real secret-weapons programs, sposa in pieno la tesi di Morigi, spingendosi addirittura ad affermare, come da titolo, che alcune delle “prove” della venuta sulla nostra Terra degli omini verdi furono sin dagli inizi degli anni ’50 costruite di sana pianta dagli apparati di sicurezza statunitensi, per poi, ovviamente in nome del «sappiamo ma non possiamo parlare!…», farle sparire facendo rimanere di esse magari solo qualche sgranata foto e/o la testimonianza di qualche picchiatello in buona fede che le aveva viste e ingenuamente interpretate (l’articolo in questione è all’URL del Wall Street Journal https://www.wsj.com/politics/national-security/ufo-us-disinformation-45376f7e ma è accessibile solo su abbonamento ma tramite l’URL di Reddit https://www.reddit.com/r/UFOs/comments/1l58uui/wsj_the_pentagon_disinformation_that_fueled/ , Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20250610225141/https://www.reddit.com/r/UFOs/comments/1l58uui/wsj_the_pentagon_disinformation_that_fueled/ esso può essere letto e scaricato nella sua integralità) . Ora, il “Wall Street Journal” nello sfatare il mito UFO non è certo animato dai propositi  di Morigi (e  anche dell’ “Italia e il Mondo”, ci permettiamo di soggiungere) di decostruire la narrazione liberaldemocratica ma molto più banalmente abbiamo il sospetto che lo faccia nell’ambito della sua politica mediatica di contrasto al background cultural-politico  del trumpismo, e infatti nell’articolo si fa esplicito riferimento al mondo MAGA e nella credenza da parte di questa sottocultura nell’esistenza degli UFO e, ancor più importante, nella credenza da parte di MAGA che queste visite aliene sul nostro pianeta siano state occultate dal mitico Deep State, in un curioso e paradossale tentativo, da parte del “Wall Stree Journal”, di ridicolizzare soprattutto la credenza MAGA nel Deep State che però fallisce miseramente, in quanto quello che alla fine oggettivamente emerge dall’articolo in questione è che un Deep State esiste effettivamente, solo che questo Deep State agisce con dinamiche molto più raffinate e sottili di quello che si suole pensare. A questo proposito, da noi interpellato Morigi molto singolarmente afferma – e sempre col suo tipico argomentare veramente poco euclideo – che il Deep State non esiste o, meglio, sempre afferma, che lo Stato non può esistere senza una sua  interiore ed intima profondità e che, per meglio dire, contrariamente a quello che credono i complottisti ingenui, il profondo Stato non sia una degenerazione dello Stato ma ne sia, al contrario, la sua fisiologica ed ineleminabile espressione (e più o meno soggiunge: «Trump che fa bombardare Fordo è stato manipolato dal Deep State o, al contrario,  ne è la sua massima espressione?, è, cioè la più smagliante espressione possibile dell’odierna fase dell’imperialismo statunitense che va definendosi come ‘imperialisme in forme’ che, comunque la si voglia mettere, implica una strettissima sinergia fra Stato e Stato profondo?». La nostra replica a Morigi è che questa domanda sarebbe ancor più interessante girarla alla sua base Maga…). E così obliquamente argomentando,  ci ha promesso, dopo la fine delle calure estive, altre sue “illuminanti” riflessioni su Stato, Stato profondo, mito della democrazia, Maga e su come da parte dei grandi agenti strategici il concetto di democrazia sia propolato e diffuso presso le masse indotte esaltandone una percezione di natura religiosa piuttosto che storico-critica (ulteriormente suggerendoci Morigi, ma su questo non va oltre, che i complottisti maghisti et similia, non hanno completamente torto, solo che, dovrebbero affrancarsi da una mentalità di natura mitico-religiosa modello  marcionisti, bogomilli od albigesi o catari che dir si voglia, i quali, a loro volta, nonostante le loro bizzarrie teologiche e concretamente comportamentali, non avevano proprio torto nella criticale radicale  dell’impianto teologico mainstream della chiesa cattolica ufficiale). All’ “Italia e il Mondo” non resta quindi che una, speriamo, breve attesa. Nel frattempo, “L’Italia e il Mondo” pensa però sia opportuno riproporre qui in calce La democrazia che sogno le fate (Stato di eccezione, teoria dell’alieno e del terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico). Morigi afferma che può essere un buon prologo a quanto ci proporrà fra breve  e già preannunciato dal titolo di questa nostra premessa (Morigi, sempre con fare poco euclideo: «Non trovate singolare che i movimenti ereticali cristiani avessero, nonostante le loro concrete follie, una visione molto più realistica del cristianesimo ufficiale intorno all’onnipotenza divina, come i credenti della religione degli UFO vedano tuttora un complotto intorno alla vicenda degli UFO e come Maga e Qanon sostengano l’esistenza di un complotto contro la rielezione di Trump? Certamente essi non considerano qualche elemento ma sta a noi farlo riemergere in tutta la sua valenza teorica…») e noi lo ripubblichiamo con piacere a dimostrazione che il nostro complottismo, perché evidentemente sostenuto da una Weltanschauung che cerca sine ira ac studio di far affiorare quello scontro strategico che forgia la società, è spesso molto avanti a tutti coloro, cioè a tutti i cantori liberaldemocratici, certamente molto acuti nel ridicolizzare chi talvolta, senza debita preparazione e con ingenuità, vede nei processi storici la mano malefica di ignobili innominati anziché il luminoso trionfare del brave new world liberista ma che, ahimè per costoro, ignorano o fanno finta di ignorare che esistono anche delle vecchie talpe che sanno anche molto bene che il ‘complotto’ non è  che il segnalatore di una realtà sì naturale, ma naturale non sotto le pseudo leggi  immutabili della società così come concepita nell’ideologia e pseudo religione  liberaldemocratica ma naturale all’insegna dell’umana dialettica storica.

LA DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE (STATO DI ECCEZIONE, TEORIA DELL’ALIENO E DEL TERRORISTA E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO)*, di Massimo Morigi

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*A pagina 8,  Miracolo della neve di Masolino da Panicale

Triste l’uomo che vide in sogno le fate!

Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.

Po-Chu-i, L’uomo che sognò le fate (da Liriche cinesi, Einuadi, p.170)

Scrive Walter Benjamin nella tesi n.8 di Tesi di filosofia della storia: “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di emergenza’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.”  (1)  Ancor più radicale di Carl Schmitt per il quale lo stato di eccezione (2) pur stando alla base dell’ordinamento giuridico non faceva parte, comunque, dello stesso, Walter Benjamin aveva compreso che lo stato di eccezione andava ben al di là  della visione schmittiana di katechon ultimo cui fare ricorso per impedire la dissoluzione dello stato ma costituiva, bensì, la natura stessa dello stato e della vita associata. Per essere ancora più chiari: per Carl Schmitt uno stato di eccezione che entra in scena solo nei momenti di massima crisi; per Walter Benjamin uno stato di eccezione continuamente ed incessantemente operante e in cui il suo mascheramento in forme giuridiche è funzionale al mantenimento dei rapporti di dominio. Se giustamente, ma con intento nemmeno tanto nascostamente denigratorio, il pensiero di Carl Schmitt è stato definito ‘decisionismo’, Walter Benjamin apre al pensiero politico la dimensione dell’iperdecisionismo. Questo iperdecisionismo  è un aspetto  del pensiero di Walter Benjamin che finora non ha ricevuto alcuna attenzione. Sì, è vero che molto è stato scritto sui rapporti fra Walter Benjamin e Carl Schmitt, molta acribia filologica è stata spesa sull’argomento ma quello che è totalmente mancato è un discorso sul significato in Benjamin di una visione iperdecisionista e sul significato per noi dell’iperdecisionismo benjaminiano. Quella che è mancata, insomma, è un’autentica visione filosofico-politica, un vuoto di pensiero che è segno, prima ancora di una incomprensione di Benjamin, della totale cecità dell’attuale pensiero politico, tutto, sui tempi che stiamo vivendo. “L’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi”, quello che per Benjamin era letteralmente spazzatura, una propaganda ancor peggio del fascismo, era il concetto che la storia fosse un processo immancabilmente tendente al progresso, un progresso che avrebbe immancabilmente sollevato l’uomo, in virtù di regole e leggi sempre più razionali, dalla fatica della decisione extra legem. Sconfitto il fascismo, le società del secondo dopoguerra, quelle capitalistiche e quelle socialiste indifferentemente, sono state  basate proprio su questo principio, il principio cioè che la norma ( che assumesse più o meno una forma giuridica, poco importa: le società socialiste avevano un rapporto più sciolto con la lettera della legge ma assolutamente ferreo sulla loro costituzione materiale, l’impossibilità cioè di mettere in discussione il ruolo del partito) non poteva essere messa in discussione se non soppiantandola con un’altra norma successiva generata secondo determinate regole elettorali del gioco democratico (o della democrazia socialista, nei paesi nella sfera d’influenza sovietica o politicamente organizzati sulla scia della tradizione politica della rivoluzione bolscevica). Su questo principio si sono edificate le liberaldemocrazie e i cosiddetti regimi del socialismo reale ma si tratta di un principio, come ben aveva visto Benjamin, che non sta letteralmente in piedi e svolge unicamente la funzione di mascheramento dei rapporti di dominio (rapporti di dominio che anche se disvelati si cerca di giustificare, da parte dell’intellighenzia e dai detentori del potere politico dediti alla riproduzione e mantenimento di questi rapporti, col dire che costituiscono un progresso rispetto al passato: un passo verso sempre maggiore democrazia o un passo verso il comunismo nei defunti paesi socialisti). Causa, principalmente, la loro inefficienza economica e rapporti di dominio all’interno di queste società non proprio così totalitari come la pubblicistica e la scienza politica democratiche hanno sempre voluto far credere, le società socialiste sono finite nel mitico bidone della storia e quindi oggigiorno, eredi della vittoria sul nazifascismo, rimangono su piazza le cosiddette società liberaldemocratiche. A chiunque sia onesto e non voglia ragliare le scemenze sulla libertà e la democrazia che queste società consentirebbero, risulta solarmente evidente che la democrazia in queste società è del tutto allucinatoria mentre la libertà è, per dirla brevemente e senza bisogno di far sfoggio di tanta dottrina, per molti strati della popolazione, la libertà di morire di fame e di essere emarginati da qualsiasi processo decisionale. (3) Se i ragli ideologici sono però utili per stabilizzare presso i ceti intellettuali, che è meglio definire per la loro intima somaraggine ceti semicolti, la teodicea della liberaldemocrazia, per gli strati con un livello di istruzione inferiore è necessario qualcosa di diverso e di un livello ancora più basso non tanto per celare la natura dei rapporti di dominio ma nel loro caso per celare la presenza stessa di questi rapporti. Tralasciando in questa sede i risaputi discorsi sul Panem et circenses (per la verità, man mano che le democrazie elettoralistiche tradiscono le loro promesse, sempre meno panem e sempre più circenses), è un su un particolare aspetto della società dello spettacolo che vogliamo focalizzare la nostra attenzione, un aspetto che come vedremo è intimamente legato, per quanto in maniera deviata e degradata, con la percezione benjaminiana che lo stato di eccezione in cui viviamo è la regola. In breve: riservata fino a non molto tempo fa ai racconti e ai film di fantascienza, è ora in corso attraverso documentari televisivi che trattano l’argomento con un taglio apparentemente scientifico, una imponente invasione di alieni. E se alcuni di questi prodotti televisivi riescono, nonostante tutto, a non sbragare completamente e a trattare la questione quasi unicamente dal punto di vista della esobiologia, la maggior parte di questi dà l’invasione come un fatto già avvenuto e ancora non universalmente riconosciuto come vero perché le autorità, quelle militari in primis, avrebbero compiuto una costante opera di insabbiamento della verità. E, in effetti, quello della manipolazione della verità da parte delle autorità è la pura e semplice verità, solo che, per somma ironia, in senso diametralmente opposto rispetto a quello che credono gli ingenui ufologi. In altre parole, oltre che dall’esame delle fonti in merito, è di tutta evidenza che le apparizioni ufologiche sono legate allo svolgimento di esperimenti nel campo delle nuove armi e che lo smentire, da parte delle autorità militari, l’esistenza degli UFO non è altro che una loro astuta mossa per far credere in un insabbiamento dell’esistenza dell’extraterrestre   mentre quello che in realtà si vuole celare è l’esperimento militare. E dal punto di vista dei detentori del potere (siano essi militari o civili) un altro non disprezzato frutto della credenza dell’invasione aliena è che, comunque, di un potere c’è un dannato bisogno per proteggere l’umanità da una tale terribile minaccia (quello che vogliono gli ufologi non è tanto mettere in discussione le autorità ma metterle di fronte alle loro responsabilità dichiarando che siamo in presenza di una minaccia aliena e chiedendo espressamente al popolo il suo aiuto per fronteggiarla). (4) Perché, al di là di questa funzione di soggiogamento delle masse indòtte, questi prodotti intratterrebbero allora un rapporto, per quanto malato, con lo stato di eccezione benjaminiano? Molto semplicemente perché se c’è una verità che essi ci consentono di cogliere, è che, a causa della invasione degli alieni,  noi viviamo in un stato di eccezione permanente. Ovviamente per gli ingenui tremebondi dell’omino verde che si diverte a compiere esperimenti su poveretti rapiti e portati allo scopo  sull’astronave aliena, lo stato di eccezione è scatenato da una forza esterna ma noi si sarebbe altrettanto ingenui se ci si limitasse a giudicare questa psicosi unicamente o come indotta da documentari spazzatura o, se si vuole andare più a fondo, come una sorta di despiritualizzazione delle forme della religione tradizionale dove il diavolo viene sostituito dall’omino verde. Al fondo c’è anche la percezione che i cosiddetti doni della liberaldemocrazia non sono per sempre e che il baratro è lì che ci aspetta ad un solo passo. Se almeno a livello di coscienza degli strati meno acculturati delle popolazioni appartenenti alle democrazie elettoralistiche occidentali esiste effettivamente la percezione di un disastro incombente ( i bassi livello di reddito se non generano una consapevolezza sui rapporti di forza che vigono nelle democrazie, sono comunque ben propedeutici a profondi stati d’ansia),  a livello di scienza e di filosofia politica questa percezione è stata definitivamente rimossa. Per farla breve. Il pensiero marxista, nonostante negli ultimi anni si dica che assistiamo ad una sua rinascita, non è riuscito nemmeno  a sviluppare una coerente analisi perché l’esperienza del socialismo realizzato sia miseramente franata. Alcune frange lunatiche che pretendono essere gli eredi del grande pensatore di Treviri continuano a farfugliare di imminenti e terrificanti crisi del sistema capitalistico, ignorando i poverini che, come insegna Schumpeter,  la crisi è il motore stesso del sistema capitalistico (distruzione creatrice et similia). Sul cosiddetto pensiero liberaldemocratico meglio stendere un velo pietoso, perché se storicamente dopo il secondo dopoguerra è servito nella sfera geopolitica di influenza statunitense a svolgere il ruolo di occultamento dei rapporti di dominio, oggi è totalmente incapace di svolgere addirittura questa funzione. È un fenomeno riservato al dibattito accademico, per promuovere più o meno qualche carrieruzza in quest’ambito o, tuttalpiù per essere preso di rimbalzo da qualche giornalista trombone che diffondendo questa menzogna si vuole cucire qualche spallina da intellettuale per vantarsi di fronte ai colleghi che trattano la cronaca nera, ma per tenere dominate le masse, molto meglio una informazione di livello cavernicolo e totalmente etero guidata , (5) qualche quiz, qualche film, pornografia internettiana a volontà e per i più ansiosi e percettivi dello stato di eccezione permanente con le sue potenzialità catastrofiche, molto meglio le invasioni aliene. Peccheremmo però di falso per omissione se considerassimo il pensiero politico di questo inizio di terzo millennio come un immenso campo di macerie. In primo luogo – primo solo perché la responsabilità di questo indirizzo è direttamente e unicamente a noi ascrivibile – il ‘repubblicanesimo geopolitico’ (6) pur riconoscendo al neorepubblicanesimo alla Philip Pettit o alla Quentin Skinner il merito storico di aver iniziato un’operazione di progressivo distacco dal mainstream liberaldemocratico, da questo si allontana nettamente per aver messo l’accento sul problema del potere, dei conseguenti rapporti di dominio e su come democrazia non significhi, come nel neorepubblicanesimo, una difesa dal potere ma la suddivisione molecolare – e felicemente conflittuale – del potere stesso. Nel campo del pensiero marxista, fondamentale, per mettere in evidenza lo stato di eccezione permanente che informa tutta la vita politica e sociale, è il lavoro teorico svolto da Gianfranco la Grassa e le sue illuminanti riflessioni sulla razionalità strategica versus razionalità strumentale, sugli agenti strategici e sugli strateghi del capitale . (7) Sia il repubblicanesimo geopolitico sia il lavoro teorico di La Grassa sono quindi basati sul tentativo di svolgere un’analisi puntuale del potere, sia che questo si manifesti nei rapporti sociali sia nelle sue espressioni istituzionali, e dalla consapevolezza che ogni pratica politica volta ad aumentare il tasso di libertà all’interno della società non sia un fatto di enunciazione di eterni principi (enunciazioni che invece sono dissimulazioni di pratiche di dominio) ma di continui e pratici tentativi per effettuare una effettiva diffusione e parcellizzazione di questo potere. Inoltre sia in  La Grassa che nel  ‘repubblicanesimo geopolitico’, è centrale la consapevolezza, tratta dall’evidenza storica, che il capitale è solo un strumento attraverso il quale si svolgono le lotte di potere (il ‘repubblicanesimo geopolitico’ sostiene che la libertà, sia individuale che dei gruppi sociali, per essere esercitata necessita di un suo spazio vitale di esercizio ed espansione conflittuale e quindi, il repubblicanesimo geopolitico, ispirandosi alla terminologia della geopolitica tedesca, può essere definito, ‘Lebensraum repubblicanesimo’; (8) mentre in La Grassa fondamentale è il ruolo svolto dagli agenti strategici che lottano continuamente per espandere la loro sfera di influenza servendosi anche, ma non solo, degli strumenti finanziari e della produzione capitalistica). Detto sinteticamente: se con La Grassa il marxismo esce definitivamente, per individuare gli strumenti di riproduzione del potere, dalla mitologia marxiana dei rapporti di produzione capitalistici, il ‘repubblicanesimo geopolitico’ fa piazza pulita della mitologia liberaldemocratica che la libertà sia una questione di norme e di regole del gioco. In entrambi centrale è la benjaminiana consapevolezza che la vera norma che regola il gioco sociale e politico è lo stato di eccezione. L’uomo che sognò le fate era stato condotto da uno svolazzare di fate davanti all’imperatore di giada  che gli aveva assicurato che dopo quindici anni di sacrifici sarebbe stato ammesso al regno degli immortali. Ma gli anni passarano e tutto quello che accadde fu che quest’uomo, come tutti, invecchiò e poi morì (non aveva capito, in altri termini, che ogni esistenza, sia sociale che individuale, è intessuta in uno stato di eccezione che non ammette utopiche attese). La poesia di Po-Chu-i si conclude con “Triste l’uomo che vide in sogno le fate!/Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.” Parafrasando possiamo concludere con “Triste l’uomo che vide in sogno la democrazia!/Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.” A meno che la consapevolezza dello stato di eccezione non sia lasciata solo agli agenti strategici continuamente lottanti per un loro lebensraum e la sua oscura percezione ai credenti della nuova demonologia aliena e/o terroristica, c’est tout.

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Note

1)  W. Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, introduzione a cura di Renato Solmi, con un saggio di Fabrizio Desideri, Torino, Einuadi, 1995, p. 79.

2) Nella precedente citazione dell’ottava tesi di Benjamin la locuzione impiegata è “stato di emergenza”. Tuttavia la traduzione più corretta è “stato di eccezione”, locuzione che da adesso in poi manterremo nel corso della presente comunicazione.

3) Su cosa sia realmente la democrazia nessuno meglio di Gianfranco La Grassa ha saputo cogliere nel segno: “In linea teorica, poiché la sedicente “democrazia” non è certo mai stata il “governo del popolo” (una bugia invereconda), si potrebbe sostenere che la tendenza migliore (o meno peggiore), riguardo alla (molto) futura evoluzione dei rapporti sociali, sarebbe quella  in cui apparisse infine alla luce del Sole – e senza condensazione e concentrazione di potere nei “macrocorpi” esistenti nelle sfere politica o economica o ideologico-culturale – la politica, quale rete di strategie conflittuali tra vari centri di elaborazione delle stesse, centri rappresentanti i diversi gruppi sociali. Non un “Repubblica dei Saggi” (ideologia in quanto “falsa coscienza”, che predica invano la possibilità di equilibrio sociale nel dialogo), ma una rete di scoperto, luminoso conflitto tra visibili strategie, apprestate da questi centri di elaborazione in difesa degli interessi di differenti gruppi sociali componenti una complessa formazione sociale.” (Gianfranco  La Grassa, Oltre l’orizzonte. Verso una nuova teoria dei capitalismi, Nardò, Besa Editrice, 2011, p.169).

4) Lo stile retorico e comunicativo  dei documentari televisivi sugli UFO segue, nella maggior parte dei casi, schemi pesantamente paratattici che più a trasmissioni vagamente informative li fa assomigliare a  comunicazioni di tipo religioso – preghiere e funzioni religiose –   con iterazioni ad nauseam degli stessi concetti, immagini e suggestioni senza che fra questi elementi vengano mai stabiliti legami logici significativi. Ma qui non ci vogliamo soffermare sul fenomeno UFO inteso come una sorta di religione sostitutiva (dove gli alieni, a seconda dei gusti, possono assumere il ruolo degli angeli o dei demoni) ma sul fatto che questo fenomeno è arrivato ad interessare, e fin qui nulla di strano, anche il massimo esponente vivente della teoria delle relazioni internazionali, il costruttivista  Alexander Wendt. In Sovereignty and the UFO,  agli URL http://ptx.sagepub.com/content/36/4/607.full.pdf (WebCite: http://www.webcitation.org/6dt6pJRsx e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fptx.sagepub.com%2Fcontent%2F36%2F4%2F607.full.pdf&date=2015-12-19), Alexander Wendt afferma che il fenomeno UFO, si creda o no nell’esistenza effettiva degli extraterrestri, ha l’effetto di provocare una diminutio di sovranità delle vecchie autorità terrestri a favore di quelle ipotetiche provenienti da altri mondi. In linea di principio potremmo anche concordare su questa fenomenologia dei rapporti di dominio di fronte al fenomeno UFO ma Wendt ignora completamente che, all’atto pratico, la gran massa degli ufologi e dei credenti negli omini verdi, sono dei patrioti fedeli alle autorità costituite che chiedono una sola cosa: che le autorità prendano il toro per le corna stabilendo un contatto con queste entità e all’occorrenza, dove queste dovessero risultare ostili, per combatterle più efficacemente denunciando pubblicamente il pericolo  e chiedendo l’aiuto e la collaborazione del popolo precedentemente tenuto avventatamente all’oscuro. In pratica, quindi, contrariamente a quanto sostiene Wendt, il fenomeno UFO consolida le autorità costituite e la translatio della sovranità verso gli extraterrestri rimane un fatto più virtuale che reale. Questo sul piano delle istituzioni diciamo secolari. Per non parlare poi del fenomeno UFO come una sorta di religione sostitutiva. In questo caso vale il caso di ripristinare la marxiana religione oppio dei popoli … e quando l’oppio viene percepito di scarsa qualità (crisi delle religioni tradizionali), ci si rivolge ad altri fornitori, con massima soddisfazione dei consumatori e degli agenti strategici che non chiedono nulla di meglio di dominati tranquilli (anche se un po’ troppo allucinati).

5) Vedi il caso di come viene trattato il fenomeno del cosiddetto terrorismo, prescindendo dal fondamentale aspetto geopolitico della questione. A questo proposito rimandiamo ai nostri interventi svolti sul blog “Il Corriere della Collera”, dove a titolo di esempio, trattando all’URL  http://corrieredellacollera.com/2015/01/19/antiterrorismo-e-nata-una-stella-di-sceriffo-oppure-e-la-solita-truffa-allitaliana-buona-la-seconda-di-antonio-de-martini/#comment-51015 (WebCite: http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2015%2F01%2F19%2Fantiterrorismo-e-nata-una-stella-di-sceriffo-oppure-e-la-solita-truffa-allitaliana-buona-la-seconda-di-antonio-de-martini%2F%23comment-51015&date=2015-04-19 e http://www.webcitation.org/6Xuok31dj) della recente isteria antiterroristica, il terrorista svolge il ruolo che in passato era affidato al diavolo (ed oggi, in gran parte, al suo valido compagno di merende, l’alieno: “Ad un livello immensamente più degradato di come l’intendeva Carl Schmitt, verrebbe voglia di citare, in relazione all’odierna isteria antiterroristica, la Politische Theologie, quando il giuspubblicista di Plettenberg affermava che “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”: tradotto, per comprendere il ruolo dell’odierna disinformatia, quando il terrorista prende, nell’immaginario secolarizzato, il ruolo del diavolo. [Concludiamo] con un ulteriore rinvio a Carl Schmitt e al suo Theorie des Partisanen, dove il ‘partigiano’ è portatore di un’inimicizia assoluta ma un’inimicizia assoluta, di tipo veramente demoniaco, che ha la sua origine nella moderna guerra totale che ha distrutto la vecchia concezione di justus hostis. E così torniamo ai tagliagole mediorientali, figli non solo di una caotica strategia del caos statunitense che ha foraggiato per i suoi interessi geostrategici i demoni più distruttori presenti nell’area ma anche della nostra modernità politica che non può ammettere, pena la perdita totale della sua legittimità, l’esistenza di un justus hostis, ma solo l’esistenza, appunto, del nemico totale dell’umanità, il terrorista.”

6) Sul repubblicanesimo geopolitico, oltre a quanto apparso sul blog “Il Corriere della Collera”, vista la sua consolidata presenza nel Web, si rimanda  genericamente all’aiuto dei benemeriti ed efficienti browser – Google in primisça va sans dire, con un’unica ulteriore precisazione: consigliamo caldamente di visitare il sito di file sharing Internet Archive (all’URL https://archive.org/index.php).

7) Sugli strateghi del capitale si rimanda alla  esaustiva trattazione fattane in G. La Grassa, Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, Roma, Manifestolibri, 2005. A dimostrazione di quanto, pur non nominandolo espressamente, il concetto di stato di eccezione svolga un ruolo fondamentale in La Grassa possiamo leggere: “Inoltre, la razionalità strumentale  del minimo mezzo è subordinata a quella strategica. La prima consente la generalizzazione di alcune “leggi” dell’efficienza e la minuta analisi delle condizioni che rendono possibile il conseguimento di quest’ultima. La seconda non ha leggi,  forse qualche principio, ma sempre da adattare poi alla situazione concreta, che è appunto quella che ho indicato quale singolarità. La ricchezza di mezzi è certo importante per l’attuazione delle categorie vincenti; e nel sistema capitalistico, in cui tutti i prodotti sono merci, i mezzi sono essenzialmente quelli monetari (nelle diverse forme). Tuttavia, la potenza non è solo questione di disponibilità  di mezzi, né bastano – per il loro impiego – le semplici regole dell’efficienza.” (G. La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, 2008,  p. 150).

8) Il concetto di Lebensraum fu coniato da  Friedrich Ratzel  e, soprattutto attraverso l’altro geopolitico tedesco Karl Haushofer entrò a far parte a pieno titolo dell’ideologia nazista (Karl Haushofer, tramite Rudolf Hess, si recò più volte nella prigione di Landsberg am Lech dove era detenuto Hitler in seguito al fallito putsch di Monaco per dare lezioni di geopolitica al futuro Führer). Quindi damnatio memoriae per tutta la geopolitica e per il termine Lebensraum centrale nella geopolitica stessa. È giunto il momento di rimuovere questa damnatio. Senza tanto dilungarci sull’ammissibilità di rispolverare concetti che il politically correct vorrebbe morti e sepolti, in queste sede diciamo una sola cosa. Al netto dell’uso scopertamente criminale ed ideologico che il nazismo ha fatto della geopolitica e dei suoi ammaestramenti, basti sapere che gli agenti strategici del capitale e i loro centri studi agiscono e programmano la loro azione alla luce del concetto di spazio vitale. E per essere fino in fondo politicamente scorretti, ricordiamo che l’economista austriaco Kurt W. Rothschild affermò che per capire  come funziona l’economia piuttosto che compulsare Adam Smith o i neoclassici, era meglio rivolgersi a Carl  von Clausewitz e studiare il suo Vom Kriege. Speriamo che per questo di non essere tacciati di guerrafondismo e/o criptico neonazismo.

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Oltre “Attraversare il fiume toccando le pietre”: la nascita della decisione di riforma del sistema economico cinese del 1984_a cura di Fred Gao

Oltre “Attraversare il fiume toccando le pietre”: la nascita della decisione di riforma del sistema economico cinese del 1984

Come i leader cinesi hanno preso la decisione sulla transizione del sistema economico

Fred Gao14 agosto
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Per la puntata di oggi, vorrei condividere un articolo sulla storia della Riforma e dell’Apertura della Cina, una svolta che ha rimodellato l’economia e la società del Paese. Nonostante i costi elevati, ho sempre creduto che studiare la storia cinese contemporanea dovesse essere un corso obbligatorio per gli amanti della Cina.

Mentre molti ricordano la storica “Decisione sulla Riforma del Sistema Economico”, adottata durante la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale nell’ottobre del 1984, meno persone conoscono il lungo e complesso percorso che ha portato a questo momento. La decisione sulla riforma del sistema economico è stata presa solo dopo un lungo periodo di esplorazione e discussione. Sebbene le richieste di riforma si siano poi raffreddate, la crescita dell’economia extra-pianificata ha spinto avanti la riforma del sistema pianificato. Dalle prime riforme rurali del 1980 alle feroci battaglie ideologiche sull’opportunità di abbracciare un'”economia pianificata basata sulle merci”, questo articolo svela i dettagli dietro la storia apparentemente tranquilla e rivela come volontà politica, necessità economica e cambiamento di base siano confluiti per spingere la Cina oltre i confini dell’economia pianificata.

L’autore di questo articolo è Wang Mingyuan王明远, ricercatore presso la Beijing Reform and Development Research Association (un’organizzazione sociale sotto la supervisione della Beijing Federation of Social Science Circles) e un esperto di storia della Riforma e dell’Apertura, con una solida reputazione. In precedenza, ha lavorato presso la rivista China Economic System Reform Magazine e la China Society for Economic System Reform . Gestisce inoltre il proprio account pubblico WeChat, Fuchengmen No. 6 Courtyard. (阜成门六号院), che credo valga la pena leggere. L’articolo originale 1984年经济体制改革决定出台过程再探è stato pubblicato per la prima volta su Caixin. Grazie alla sua gentile autorizzazione, ho potuto tradurre il pezzo in inglese:

Wang Mingyuan

Grazie per aver letto Inside China! Questo post è pubblico, quindi sentiti libero di condividerlo.

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Un riesame del processo alla base della decisione di riforma del sistema economico del 1984

Nell’ottobre 1984, la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese approvò la “Decisione sulla Riforma del Sistema Economico” (di seguito denominata “la Decisione”), che segnò una pietra miliare nella riforma economica. Guardando indietro oggi, i due passaggi chiave che portarono ai notevoli risultati della riforma economica degli anni ’80 furono la riforma rurale avviata nel 1980 e la riforma del sistema economico avviata nel 1984.

Per quanto riguarda il processo di formulazione della Decisione, le memorie dei partecipanti (come Gao Shangquan e Xie Minggan ) e le ricerche di studiosi come Xiao Donglian si sono concentrate principalmente sul processo di redazione del documento avvenuto nel 1984. In realtà, già intorno al 1980, il Comitato Centrale del PCC aveva avviato discussioni sull’opportunità di formulare un piano di riforma del sistema economico e sul tipo di modello economico da adottare, che comportarono un dibattito considerevole. Queste discussioni proseguirono fino alla Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale nel 1984 e persino fino al XIV Congresso del Partito nel 1992, dando oggettivamente luogo agli alti e bassi della prima riforma economica. Pertanto, l’autore ritiene che la Decisione sia stata elaborata dopo un lungo processo di esplorazione. Il semplice esame della redazione del documento del 1984 non può presentare appieno il processo di produzione di questo importante documento, né può evidenziarne appieno l’importanza. Questo articolo tenterà di fornire una discussione più completa di questo processo sulla base di alcuni materiali storici recentemente scoperti.

Il primo picco delle discussioni sulla riforma economica e i primi tentativi di formulare piani di riforma del sistema economico

Esaminando i discorsi di Deng Xiaoping e Hu Yaobang, possiamo scoprire che in realtà non fu nel 1984, ma nel 1980, che la leadership centrale aveva in programma di formulare un piano di riforma del sistema economico e di avviare importanti modifiche al sistema pianificato. Ad esempio, il 19 marzo 1980, Deng Xiaoping disse a Hu Yaobang e ad altri:

“Quest’anno dobbiamo portare a termine due compiti importanti: uno è redigere la risoluzione sulle questioni storiche e l’altro è completare la pianificazione economica a lungo termine. Ci impegniamo a completarli entrambi prima del XII Congresso del Partito, poiché si tratta di una questione di grande importanza.”

Tra agosto e settembre, quando Hu Yaobang ispezionò la Mongolia Interna e partecipò alla riunione dei primi segretari delle province, delle municipalità e delle regioni autonome, rivelò più dettagliatamente il piano della leadership centrale. Disse:

“La leadership centrale si sta preparando per una riforma economica completa, che toccherà ogni aspetto, dai prezzi ai salari, dalla finanza al commercio, dalla gestione ai sistemi di gestione pianificata, fino ai mercati.”

Per quanto riguarda i passaggi specifici, ha affermato:

“A novembre di quest’anno produrremo uno schema e delle spiegazioni, ne discuteremo al 12° Congresso del Partito e le faremo approvare definitivamente dall’Assemblea nazionale del popolo a novembre.”

Molte decisioni importanti durante il primo periodo di riforma furono discusse e formulate durante le riunioni dei primi segretari di province, municipalità e regioni autonome. Le dichiarazioni di Hu Yaobang avrebbero dovuto essere il risultato di un’attenta riflessione da parte dei vertici, piuttosto che una semplice idea preliminare.

Pertanto, contrariamente all’opinione della comunità di ricerca sulla storia delle riforme, secondo cui la Decisione fu il risultato di “attraversare il fiume toccando le pietre”, la leadership centrale aveva in realtà voluto formulare un documento programmatico di questo tipo quando la riforma era appena agli inizi. Allora perché la leadership centrale si sforzò così attivamente di cambiare il sistema pianificato? Ciò era ovviamente legato al movimento di liberazione ideologica tra il 1978 e il 1980 e alla profonda riflessione sul sistema pianificato all’interno e all’esterno del Partito.

Dopo la conferenza di lavoro teorica del Consiglio di Stato del 1978 e la ” grande discussione sul criterio della verità “, i leader centrali espressero le loro posizioni, chiedendo una riflessione sugli svantaggi dell’economia pianificata e l’esplorazione di percorsi di riforma. Li Xiannian propose la necessità di eliminare la mentalità conservatrice fatta di compiacimento, autocompiacimento e arroganza, di modificare i metodi di gestione burocratica feudale, di trasformare coraggiosamente tutti i rapporti di produzione incompatibili con lo sviluppo delle forze produttive e tutte le sovrastrutture non conformi ai requisiti della base economica, e di impegnarsi a utilizzare metodi di gestione moderni per gestire un’economia moderna. Il 18 settembre, quando Deng Xiaoping ascoltò i resoconti dei leader della Anshan Iron and Steel Company, affermò che il sistema cinese era sostanzialmente copiato dall’Unione Sovietica ed era arretrato. Molte questioni sistemiche necessitavano di essere riconsiderate.

“Abbiamo bisogno di una rivoluzione nella tecnologia e nella gestione”, “Nessun miglioramento o rattoppo”, “La nostra attuale sovrastruttura deve essere cambiata”.

Poco dopo la terza sessione plenaria dell’XI Comitato centrale , Chen Yun tenne anche un discorso su “Questioni di pianificazione e mercati”, criticando le carenze del sistema di pianificazione e proponendo che la regolamentazione del mercato dovesse svolgere un ruolo, non una regolamentazione minore ma una regolamentazione maggiore.

Tutte queste misure alimentarono l’entusiasmo per la ricerca sulle riforme negli ambienti teorici e intellettuali. Ad esempio, Hu Qiaomu pubblicò il libro ” Agire secondo le leggi economiche e accelerare la realizzazione delle quattro modernizzazioni”. Egli riteneva che, dopo quasi 30 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare, i problemi economici non potessero più essere spiegati con la “mancanza di esperienza” e che fossero necessarie riforme dolorose. Deng Liqun pubblicò successivamente articoli come ” Parlare di economia dopo il ritorno dal Giappone “,《访日归来谈经济》 “Leggi sull’economia delle merci e sulla pianificazione”,《商品经济的规律和计划》e “Sull’economia e il mercato pianificati” Regolamento,”《谈谈计划经济和市场调节》 sostenendo vigorosamente l’economia delle materie prime. Tra queste, le “Leggi sull’economia delle merci e sulla pianificazione” proponevano che, ad eccezione della produzione e dell’edilizia legate al benessere nazionale e al sostentamento delle persone, tutto il resto dovesse essere regolato attraverso i mercati. Dovrebbero farlo anche le parti che devono adottare la pianificazione statale

“fondata sul fondamento dell’economia mercantile e deve riflettere e adattarsi correttamente ai requisiti della legge del valore.”

Ciò era già molto vicino all’obiettivo di riforma dell'”economia pianificata delle merci” stabilito dalla Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale.

In base alle decisioni della Terza Sessione Plenaria, alla fine di marzo del 1979 il Comitato Centrale del PCC decise di istituire la Commissione Finanze ed Economia del Consiglio di Stato (国务院财政经济委员会) come organo decisionale per le attività finanziarie ed economiche, con Chen Yun come presidente, Li Xiannian come vicepresidente e Yao Yilin come segretario generale. La commissione istituì quattro gruppi di lavoro, il primo dei quali fu il Gruppo di Ricerca sulla Riforma del Sistema Economico (经济体制改革研究小组), guidato da Zhang Jingfu e Fang Weizhong , a dimostrazione della determinazione dei vertici aziendali a fare della riforma la massima priorità. Grazie allo stile inclusivo della leadership della Commissione Finanze ed Economia, molti giovani ricercatori interessati alla ricerca sulla riforma furono assorbiti in questo dipartimento. Nel 1980, il Comitato per le finanze e l’economia contava più di 600 membri dello staff, diventando la “Whampoa Military Academy” della riforma economica; molti di loro in seguito sarebbero diventati ideatori e attuatori della riforma economica o economisti di fama.

Il 18 maggio 1979, Chen Yun sottolineò che una riforma del sistema era imperativa.

La Commissione Finanze ed Economia del Consiglio di Stato ha iniziato a formulare piani di riforma del sistema economico. A dicembre è stata completata la prima bozza dei “Pareri Preliminari sui Concetti Generali per la Riforma del Sistema di Gestione Economica”, che ha costituito il primo concetto generale per la riforma del sistema economico dopo la riforma e l’apertura. I “Pareri Preliminari” ritenevano che, in conformità con i requisiti della produzione socializzata su larga scala, si dovessero eliminare i confini tra dipartimenti e regioni, si dovessero organizzare società professionali e società miste e si dovessero utilizzare principalmente mezzi economici per la gestione dell’economia; la regolamentazione unica della pianificazione dovesse essere modificata in una combinazione di regolamentazione della pianificazione e regolamentazione del mercato, con la regolamentazione della pianificazione come obiettivo principale; il metodo puramente amministrativo di gestione dell’economia dovesse essere modificato in metodi economici come approccio principale; le imprese dovessero essere trasformate da appendici delle istituzioni amministrative in produttori relativamente indipendenti.

Nel maggio 1980 fu istituito l’ Ufficio per la Riforma del Sistema del Consiglio di Stato (国务院体制改革办公室). Successivamente, Xue Muqiao , consigliere dell’ufficio per la riforma, fu incaricato di redigere un piano di riforma del sistema economico. Entro settembre di quell’anno, Xue Muqiao e Liao Jili completarono i “Pareri Preliminari sulla Riforma del Sistema Economico”. Questi “Pareri Preliminari” andarono oltre i “Pareri Preliminari” della Commissione Finanze ed Economia in termini di obiettivi di riforma del sistema economico. Superarono per la prima volta il quadro della “pianificazione come elemento primario” e proposero l’economia basata sulle materie prime come obiettivo di riforma; superarono il concetto di proprietà pubblica completa e proposero lo sviluppo di molteplici componenti economiche. Si trattava di un piano più vicino alle esigenze di una moderna economia di mercato e più fattibile dal punto di vista operativo.

Deng Xiaoping e Hu Yaobang furono attivi sostenitori di questi due piani di riforma. Alla riunione di pianificazione nazionale tenutasi alla fine del 1979, quando Deng Xiaoping venne a sapere che la Commissione Finanze ed Economia aveva un piano di riforma, affermò con entusiasmo:

“puoi inviare la bozza a tutti per sollecitare prima le loro opinioni”

可以披头散发和大家见面征求意见嘛

Hu Yaobang apprezzò ancora di più quest’ultimo piano e invitò Xue Muqiao a illustrarlo ai leader provinciali durante la riunione dei primi segretari di province, municipalità e regioni autonome. L’autore ritiene che il piano di riforma del sistema economico menzionato da Hu Yaobang sarebbe stato emanato dalla leadership centrale nel 1981 o nel 1982, potesse basarsi approssimativamente sulla versione di Xue-Liao dei “Pareri Preliminari”, con l’obiettivo di istituire un’economia basata sulle merci.

Allo stesso tempo, questa atmosfera rilassata ha promosso la creazione e il rapido sviluppo di istituzioni come il Centro di ricerca economica del Consiglio di Stato国务院经济研究中心, il Centro di ricerca tecnica ed economica del Consiglio di Stato国务院技术经济研究中心 e il Segretariato centrale per la ricerca sulla politica rurale Office non è un problema. A quel tempo, influenti economisti di tutto il mondo, come Armin Gutowski, Włodzimierz Brus, Ivan Maksimović, Okita Saburo e Milton Friedman, furono invitati in Cina per tenere conferenze e fornire suggerimenti per la riforma cinese. Anche la delegazione economica della Banca Mondiale ha condotto la sua prima ispezione della Cina nel 1980 e ha fornito alla leadership centrale un rapporto di ricerca dettagliato sull’economia cinese.

Pertanto, i primi progetti di riforma della Cina che possiamo trovare oggi sono concentrati per lo più nel 1980, ed erano tutti molto lungimiranti e aperti, apparentemente non superati in profondità fino a dopo il 1992. La comunità accademica riconosce generalmente che il periodo dal 1978 al 1980 è stato il momento in cui la società ha raggiunto il più alto grado di consenso sulla riforma e uno dei periodi intellettualmente più attivi nella storia della riforma e dell’apertura della Cina.

Chiede di riformare il sistema dell’economia pianificata una volta raffreddato

Tuttavia, la decisione di riformare il sistema economico, vigorosamente promossa da Deng Xiaoping, Hu Yaobang e altri, non fu inclusa nell’ordine del giorno della Sesta Sessione Plenaria dell’XI Comitato Centrale del 1981 né del XII Congresso del Partito del 1982, come previsto. Dopo l’inizio del 1981, le voci che chiedevano una riforma del sistema pianificato si raffreddarono significativamente, e al suo posto si accentuò l’importanza dell’economia pianificata come un obiettivo incrollabile.

L’autore ritiene che questa situazione sia dovuta a due fattori. In primo luogo, il cosiddetto “balzo in avanti estero” (si riferisce all’improvviso progresso nella costruzione economica durante il 1977-1978, caratterizzato da massicce importazioni di tecnologie e attrezzature straniere e da un ingente indebitamento estero) del 1977-1979 portò a ingenti deficit – oltre 17 miliardi di yuan nel 1979 e oltre 12 miliardi di yuan nel 1980 – mentre i prezzi delle materie prime aumentarono su larga scala per la prima volta. Molti temevano che, se la pianificazione obbligatoria avesse continuato a essere indebolita, si sarebbe ripetuto il caos economico del 1958. In secondo luogo, nella seconda metà del 1980, la Polonia visse il movimento “Solidarność” . La leadership centrale tenne continue riunioni per discutere di questo evento. Pur affermandone il significato positivo nell’opposizione all’egemonismo sovietico, un numero considerevole di persone temeva anche che una cattiva gestione delle riforme economiche potesse innescare disordini politici.

La conferenza centrale di lavoro di fine anno ha stabilito la politica economica del lavoro

“nel prossimo periodo, l’attenzione dovrebbe essere rivolta all’aggiustamento, e la riforma deve servire all’aggiustamento” e “l’unità centralizzata deve essere rafforzata”.

La riforma venne notevolmente rallentata.

Dopo la fine della “Rivoluzione Culturale”, il graduale ripristino delle funzioni del dipartimento di pianificazione e il graduale miglioramento delle condizioni economiche fecero sì che molti tornassero a credere che l’economia pianificata fosse il sistema più adatto alle condizioni nazionali della Cina. Il passato scarso sviluppo economico non era causato dal sistema di pianificazione, ma dalla sua inadeguata attuazione. Questo punto di vista fu espresso in un articolo intitolato “Un principio fondamentale incrollabile” pubblicato sulla rivista Red Flag da Fang Weizhong, allora vicepresidente della Commissione di Pianificazione Statale. Egli riteneva che

“Non possiamo dimenticare la superiorità dell’economia pianificata socialista e non possiamo attribuire le perdite causate da errori nella guida economica e dai disordini politici al sistema economico pianificato.”

Per quanto riguarda i problemi economici emersi nel corso di oltre 30 anni, ciò è dovuto al fatto che la pianificazione non è stata attuata correttamente.

“L’economia pianificata è una perla splendente, ma purtroppo è stata ricoperta di polvere. Togliete la polvere e l’economia pianificata tornerà sicuramente a splendere.”

Nel 1981, Chen Yun, responsabile delle finanze e dell’economia, propose nuovamente il principio di “economia pianificata come primaria, regolamentazione del mercato come ausiliaria”.计划经济为主、市场调节为辅 Il punto di vista di “economia pianificata come primaria” ricevette l’approvazione della stragrande maggioranza della leadership centrale.

Durante questo periodo, le esplorazioni di riforme orientate al mercato al di fuori del piano subirono una netta contrazione. La prima manifestazione importante fu che, all’inizio del 1982, la leadership centrale convocò dei simposi per le province di Fujian e Guangdong per condurre “critica e assistenza” per il lavoro nelle zone speciali delle due province. Il Documento Centrale n. 9 del 1982 che ne risultò propose

“tutte le attività economiche importanti devono essere integrate nella pianificazione statale”; “interrompere l’importazione di beni di consumo quotidiano dall’estero per la vendita nell’entroterra, smettere di acquistare prodotti agricoli e secondari a prezzi elevati da tutto il paese per l’esportazione e promuovere l’uso di beni nazionali”; “rafforzare la leadership unificata delle attività economiche estere. Ad eccezione delle unità approvate dallo Stato, a qualsiasi unità o individuo è severamente vietato impegnarsi in attività economiche estere”.

Poco dopo, il governo centrale lanciò una campagna contro i crimini economici. Oltre a combattere il contrabbando e la corruzione, colpì anche molte imprese individuali e private emergenti, il più famoso dei quali fu il ” Caso degli Otto Re ” di Wenzhou (l’arresto di otto imprenditori, accusati di speculazione e speculazione). Di conseguenza, molte economie locali registrarono una crescita negativa. Ad esempio, il tasso di crescita industriale di Wenzhou era del 31,5% nel 1980, ma scese al -1,7% nel 1982. Il PIL di Shantou diminuì da 12,49 miliardi di yuan nel 1982 a 11,52 miliardi di yuan nel 1983, con un tasso di crescita del -7,7%, l’unico anno di crescita negativa dal 1962.

In teoria, anche le discussioni sugli obiettivi di riforma del sistema economico erano politicizzate, equiparando meccanicamente l’economia pianificata al socialismo e l’economia mercantile al capitalismo. Nel 1983, la Red Flag Publishing House pubblicò “Una raccolta di articoli sull’economia pianificata e la regolamentazione del mercato”. La prefazione affermava che

“lo sviluppo pianificato dell’economia nazionale è una caratteristica economica fondamentale dell’economia socialista” e “l’abbandono dell’economia pianificata porterà inevitabilmente all’anarchia nella produzione sociale e alla distruzione della proprietà pubblica socialista”.

Il malato Sun Yefang ha anche pubblicato “Persistere nell’economia pianificata come primaria e nella regolamentazione del mercato come ausiliaria”,《坚持以计划经济为主市场调节为辅》, sostenendo che l’economia socialista deve persistere nell’economia pianificata come primaria.

“Se organizzassimo completamente gli indicatori di produzione in base alla domanda e all’offerta del mercato e alle fluttuazioni dei prezzi, allora la nostra economia non sarebbe diversa dal capitalismo.”

In quel periodo, i sostenitori dell’economia basata sulle merci come Xue Muqiao e Liu Guoguang furono tutti oggetto di gravi critiche.

In queste circostanze, la discussione sulla riforma economica contenuta nel rapporto del XII Congresso del Partito fu un prodotto di compromesso. Da un lato, enfatizzò lo sviluppo dell’autonomia delle imprese e la valorizzazione della regolamentazione del mercato; dall’altro, sottolineò costantemente che

“Il nostro Paese attua un’economia pianificata basata sulla proprietà pubblica. La produzione e la circolazione pianificate sono il fulcro della nostra economia nazionale”

e ha sottolineato che

“negli ultimi anni… sono aumentati fenomeni che indeboliscono e ostacolano la pianificazione statale unitaria, il che è sfavorevole al normale sviluppo dell’economia nazionale… non dobbiamo trascurare o allentare la leadership unificata della pianificazione statale.”

In sintesi, dal 1981 al 1983, l’esplorazione della riforma del sistema economico entrò in una fase conservatrice e di ricerca della stabilità.

Indubbiamente, il modello di “economia pianificata come primaria, regolamentazione del mercato come ausiliaria” ha rappresentato un enorme progresso rispetto al passato. Tuttavia, la cosiddetta regolamentazione del mercato non poteva essere equiparata all’economia di mercato. Nelle parole di An Zhiwen , allora Segretario del Partito della Commissione Statale per la Ristrutturazione del Sistema Economico, questo modello

“persistevano ancora nella premessa del sistema economico pianificato, trattando la gestione aziendale e la regolamentazione del mercato come mezzi ausiliari” e “le aziende costituite erano ancora aziende amministrative, non aziende orientate all’impresa… non potevano comunque sfuggire allo status di appendici amministrative”.

Pertanto, il modello di regolamentazione del mercato basato sulla “pianificazione come elemento primario”, simile ai modelli di riforma dell’Europa orientale, non è riuscito a far uscire la Cina dalla difficile situazione del modello sovietico. Pertanto, pur avendo avuto un’importanza progressiva durante il periodo di riassetto, con la normalizzazione dell’ordine economico e l’approfondimento delle riforme, ha gradualmente perso la capacità di soddisfare le esigenze reali.

La crescita delle forze extra-pianificate che guidano la riforma del sistema pianificato

Nonostante i numerosi ostacoli incontrati dalle riforme orientate al mercato, la riforma del sistema economico fu infine riavviata nel 1984, un vero e proprio caso di circostanze più forti delle persone. L’autore ritiene che la principale forza trainante di questa situazione sia stata la rapida crescita delle forze extra-pianificate, principalmente l’economia rurale, che ha reso impossibile il mantenimento di una situazione in cui la pianificazione controllava tutto.

Esaminando la riforma agraria rurale, inizialmente si sperava di mantenerla nel quadro di “economia collettiva come primaria, contratti individuali come ausiliari”. Il più rappresentativo fu il piano dei “tre tagli” proposto dai principali Yao Yilin e Du Runsheng all’inizio del 1981, in base al quale solo il 15% delle famiglie povere poteva attuare un sistema di responsabilità familiare. Tuttavia, il “Documento n. 1” del 1982 , redatto sotto la guida di Hu Yaobang e Wan Li, affermò il diritto degli agricoltori a scegliere autonomamente quale forma di sistema di responsabilità produttiva adottare. Entro la fine del 1982, la maggior parte dei team di produzione aveva implementato sistemi di responsabilità familiare o di contratti individuali, facendo così perdere le sue basi al sistema economico rurale pianificato.

Un ruolo decisivo nella crescita dell’economia rurale basata sulle materie prime fu svolto anche dal “Documento n. 3” del 1981 e dal “Documento n. 1” del 1983 e del 1984. Il “Documento n. 3” del 1981 decise di sostenere le attività rurali diversificate, invitando a mobilitare l’entusiasmo collettivo e individuale per organizzare varie forme di team professionali, gruppi professionali, famiglie specializzate e lavoratori specializzati per impegnarsi nei settori dei servizi, dell’artigianato, dell’allevamento e della commercializzazione. All’epoca, la riforma agraria rurale era appena iniziata e l’introduzione di questa decisione dimostrò che i redattori del documento avevano una grande visione e misure tempestive.

Tuttavia, lo sviluppo dell’economia rurale basata sulle materie prime ha dovuto affrontare tre ostacoli principali: ostacoli legali derivanti dal reato di “speculazione e speculazione”, ostacoli di politica economica derivanti dall’acquisto e dalla commercializzazione unificati e ostacoli ideologici riguardanti il fatto che l’assunzione di lavoratori costituisca sfruttamento. Di fronte al gran numero di agricoltori accusati penalmente di speculazione e speculazione per aver intrapreso attività di commercio a lunga distanza e trasporto commerciale, Hu Yaobang ha ripetutamente espresso indignazione durante le indagini locali, affermando:

“Che logica è quella secondo cui le cose che marciscono quando non possono essere vendute sono socialismo, mentre il commercio a lunga distanza è capitalismo!”

Elogiò gli “intermediari” come “Erlang Shen” che aiutavano gli agricoltori a risolvere i problemi di sostentamento. Grazie all’intervento di Hu Yaobang, il “Documento n. 1” del 1983 propose formalmente di consentire agli agricoltori di avviare attività commerciali e di condurre scambi a lunga distanza.

Il “Documento n. 1” del 1983 alleggerì anche il sistema unificato di acquisto e commercializzazione in vigore dal 1953. Il documento affermava:

“Per i prodotti agricoli e secondari importanti, implementare l’acquisto unificato e l’acquisto assegnato… le varietà non dovrebbero essere troppo numerose. Per i prodotti dopo che gli agricoltori hanno completato le attività di acquisto unificato e assegnato e per i prodotti non acquistati unificati, dovrebbero essere consentiti più canali di commercializzazione.”

Entro la fine del 1984, le varietà di prodotti agricoli unificate e assegnate dallo Stato furono ridotte di 38 unità rispetto alle 183 del 1980 (24 delle quali erano medicinali tradizionali cinesi). La vendita della stragrande maggioranza dei prodotti agricoli divenne gratuita e il sistema di monopolio statale di acquisto e vendita di prodotti agricoli, in vigore da trent’anni, iniziò a disintegrarsi.

Il Documento n. 1 ha dato il via libera anche alla questione dell’occupazione. Il documento sottolineava:

“Le singole famiglie rurali, industriali e commerciali, e gli agricoltori esperti nella semina e nell’allevamento possono assumere aiutanti e prendere apprendisti.”

Il “Documento n. 1” del 1984 eliminò ulteriormente le restrizioni sul numero di lavoratori assunti, sottolineando che finché le singole famiglie

“mantenere una certa quota di accumulazione degli utili al netto delle imposte come proprietà pubblica collettiva; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e al reddito dei titolari di imprese, e dare ai lavoratori una certa quota di rendimenti del lavoro derivanti dagli utili, ecc.”

non potevano essere considerate operazioni di lavoro dipendente capitaliste, consentendo l’impiego di più di 8 persone.

Secondo un’indagine del 1984 condotta dal Centro di Ricerca per lo Sviluppo Rurale del Consiglio di Stato su 37.422 famiglie in 272 villaggi di 28 province, municipalità e regioni autonome a livello nazionale, il 51% delle nuove cooperative economiche si avvaleva di manodopera salariata, con una media di 7,9 lavoratori salariati per cooperativa, superando così il cosiddetto limite “sette in alto, otto in basso”. Pertanto, dare il via libera all’occupazione era una misura chiave per promuovere lo sviluppo dell’economia individuale e privata urbana e rurale in quel periodo.

Nel 1984, le imprese municipali e di villaggio raggiunsero i 6,06 milioni, con 52,08 milioni di dipendenti e un valore totale della produzione di 170,6 miliardi di yuan, superando per la prima volta nella storia il valore della produzione dell’industria primaria. Inoltre, il numero totale di famiglie industriali e commerciali a livello nazionale nel 1984 era di 9,304 milioni, con oltre 13 milioni di dipendenti. Durante questo periodo, sebbene le imprese statali si espandessero considerevolmente (dal 1980 al 1985, il valore originario del patrimonio delle imprese statali aumentò del 60%), profitti e imposte rimasero sostanzialmente invariati: 90,7 miliardi nel 1980, 103,2 miliardi nel 1983 e 115,2 miliardi nel 1984, ben al di sotto del ritmo di espansione del capitale. Dopo soli cinque o sei anni di sviluppo, l’occupazione nel settore economico extra-urbano era già paragonabile al numero di dipendenti delle imprese statali. La riforma aveva raggiunto un punto critico e stava emergendo il modello dell’economia basata sulle merci.

La complessità dietro la stesura della decisione di riforma del sistema economico

La comunità di ricerca sulla storia delle riforme ritiene generalmente che la stesura della decisione sulla riforma del sistema economico durante la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale fosse un inevitabile accordo predeterminato e che l'”economia pianificata basata sulle merci” fosse frutto di un consenso tra i vertici. Pertanto, l’avvio di questa riforma del sistema economico fu un risultato naturale. Tuttavia, sulla base di materiali storici recentemente scoperti, l’autore ritiene che l’emergere della “Decisione” del 1984 e la proposta del modello di “economia pianificata basata sulle merci” abbiano comportato complesse e difficili lotte dietro le quinte e non siano stati affatto facili da realizzare.

La prima difficoltà era che, sebbene Hu Yaobang e altri stessero ancora attivamente promuovendo la ripresa della formulazione di una decisione di riforma del sistema economico, le loro forze non erano dominanti, e la sua inclusione nell’ordine del giorno della Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale presentava un certo elemento di imprevedibilità e imprevedibilità. L’idea di Hu Yaobang nacque approssimativamente alla fine del 1983, e lui si rivolse proattivamente all’allora Primo Ministro del Consiglio di Stato per discutere la questione. Il 16 gennaio 1984, quando la riunione della Segreteria Centrale stava discutendo il piano di lavoro centrale del 1984, Hu Yaobang propose che la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale, che si sarebbe tenuta in ottobre, approvasse un piano di riforma economica.

Tuttavia, diversi membri del Segretariato si opposero a questa soluzione, ritenendo che i tempi fossero troppo rapidi e che sarebbe stato difficile produrre risultati. Ciò era in realtà dovuto al fatto che alla fine del 1983, due leader avevano ribadito che

“l’economia pianificata è primaria, questo principio deve essere sostenuto, questo è il principio più basilare” (Chen Yun) e “senza economia pianificata non c’è socialismo”.

Quando la Segreteria Centrale del Partito Comunista Cinese discusse più volte di lavoro economico nel primo trimestre del 1984, inclusa la revisione dello schema del “Settimo Piano Quinquennale”, non affrontò più la questione della formulazione di un piano di riforma del sistema economico. Sembrava improbabile che si giungesse a una risoluzione sulla riforma del sistema economico durante la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale.

Tuttavia, le cose cambiarono rapidamente. Secondo i ricordi di Xie Minggan , che ricoprì l’incarico di Vicedirettore dell’Ufficio Economico Globale della Commissione Economica Statale e Direttore del Dipartimento di Ricerca Politica del Ministero dei Materiali, fu distaccato presso il Consiglio di Stato alla fine di febbraio per partecipare alla stesura del rapporto di lavoro del governo. Intorno al Primo Maggio, quando il rapporto di lavoro del governo fu completato e tutti si preparavano a rientrare nelle rispettive unità, furono improvvisamente invitati a rimanere e a redigere i documenti per la Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale, il cui tema principale erano le questioni relative alla riforma economica urbana.

Ciò significa che questo tema fu definito solo meno di sei mesi prima della Terza Sessione Plenaria. Ovviamente, si verificò un cambiamento fondamentale nell’atteggiamento del livello decisionale centrale a marzo e aprile. La possibilità più probabile è che il viaggio di ispezione di Deng Xiaoping nel sud durante il Festival di Primavera , dove assistette personalmente ai cambiamenti epocali nel Guangdong, nello Zhejiang e in altre località, rafforzò la sua fiducia nella promozione di riforme orientate al mercato . Poco dopo il suo ritorno a Pechino, approvò la formulazione di un piano di riforme economiche. Tuttavia, sfortunatamente, non sono stati trovati solidi materiali storici a supporto diretto di questa conclusione. Possiamo solo vedere i suoi incontri con Hu Yaobang e altri, in cui chiese di ampliare l’apertura nelle zone costiere.

La seconda difficoltà era che, durante la stesura del documento, erano ancora in corso dibattiti tra il modello pianificato e il modello di economia basata sulle merci. In qualità di responsabile della presidenza della stesura del documento, Hu Yaobang espresse espressamente la sua opinione a Yuan Mu , il responsabile, prima dell’inizio dei lavori: il documento avrebbe dovuto essere redatto a un livello “alto”, producendo un “documento storico”. L’obiettivo della riforma era quello di stabilire un nuovo sistema socialista vitale, che avrebbe dovuto includere, tra le altre cose, lo sviluppo di molteplici componenti economiche. Tuttavia, secondo i ricordi di Gao Shangquan, Xie Minggan e altri, quando il gruppo di redazione si recò appositamente a Beidaihe per riferire la prima bozza a Hu Yaobang alla fine di luglio, Hu Yaobang rimase molto insoddisfatto dopo averla letta. Il documento non si era liberato dal vecchio schema di “economia pianificata come primaria” ed era ancora in linea con la descrizione del sistema economico contenuta nel rapporto del XII Congresso del Partito.

Hu Yaobang decise risolutamente di rimandare la maggior parte del personale alle proprie unità di origine e reclutò separatamente Lin Jianqing , Zheng Bijian, Lin Zili e altri sostenitori dell’economia delle materie prime per unirsi al gruppo di redazione. Designò inoltre Lin Jianqing e Yuan Mu alla guida congiunta del gruppo di redazione, modificando così l’equilibrio di forze all’interno del gruppo tra coloro che sostenevano la pianificazione e coloro che sostenevano i mercati.

Il 5 e il 30 agosto, Hu Yaobang ebbe altre due conversazioni con il gruppo di redazione. Sottolineò che lo sviluppo dell’economia basata sulle merci non poteva essere definito come un’adesione al capitalismo. Cos’è il socialismo? Socialismo significa eliminare la povertà e permettere a tutti di vivere una vita dignitosa. La povertà non può essere equiparata al socialismo. Citò anche le parole di Lenin:

“Pianificazione completa, onnicomprensiva, genuina = ‘utopia burocratica’”

sottolineando che il risultato di un controllo eccessivo era un’economia priva di vitalità, con scarse risorse di mercato e difficili condizioni di vita per la popolazione. Queste conversazioni hanno avuto un ruolo fondamentale nel chiarire la questione se l’economia basata sulle merci fosse “socialista o capitalista” e nel spiegare con coraggio l’inadeguatezza del sistema di pianificazione tradizionale.

La terza difficoltà fu che, in seguito, sia gli ambienti economici che quelli storici ritennero che l’essenza della “Decisione” del 1984 risiedesse nell’abbandono della formulazione “economia pianificata come primaria” e nella proposta iniziale di “sviluppare un’economia socialista basata sulle merci”. Tuttavia, questo obiettivo fu raggiunto solo poco prima della convocazione della Terza Sessione Plenaria del XII Comitato Centrale. Sulla base dei ricordi di Gao Shangquan e delle proposte di revisione avanzate dalla Commissione Statale per la Ristrutturazione del Sistema Economico alla leadership centrale, possiamo constatare che ancora il 5 settembre, quando la quinta bozza fu completata e distribuita a vari dipartimenti per commenti, conteneva ancora la formulazione “economia pianificata come primaria, regolamentazione del mercato come ausiliaria” e non affermava chiaramente “sviluppare un’economia socialista basata sulle merci”. L’autore ritiene che, dopo che la leadership centrale ha emesso la bozza per i commenti, la lettera dell’allora leader principale del Consiglio di Stato ai quattro membri del Comitato permanente Hu (Yaobang), Deng (Xiaoping), Chen (Yun) e Li (Xiannian) del 9 settembre, nonché i suggerimenti di Ma Hong , Gao Shangquan e della Commissione statale per la ristrutturazione del sistema economico alla leadership centrale, abbiano svolto un ruolo importante nel far sì che “lo sviluppo dell’economia socialista basata sulle merci” fosse inserito nella decisione.

Tuttavia, gli ambienti di ricerca sulla storia delle riforme spesso sopravvalutano anche l’importanza della lettera del 9 settembre. Se leggiamo attentamente questa lettera e la conversazione dell’autore con il gruppo di redazione del 28 agosto, il suo concetto di “economia socialista pianificata basata sulle merci” era ancora incentrato su come spiegare più chiaramente il modello di “economia pianificata come primaria, regolamentazione del mercato come ausiliaria”, con il fondamento ancora da stabilire e perfezionare un'”economia pianificata in stile cinese”, piuttosto che rifiutare nettamente il modello di “pianificazione come primaria”. Il 2 ottobre, quando Hu Yaobang organizzò l’incontro finale del gruppo di redazione, prese la decisione decisiva di eliminare “economia pianificata come primaria” e di includere “sviluppo dell’economia socialista basata sulle merci”, facendone il titolo della quarta sezione. Anche questo passaggio fu cruciale.

Dopo la terza sessione plenaria del XII Comitato centrale, Deng Xiaoping disse una volta:

“In passato, non avremmo potuto redigere un documento del genere. Senza la prassi degli anni precedenti, non avremmo potuto redigere un documento del genere. Anche se lo avessimo redatto, sarebbe stato molto difficile da approvare: sarebbe stato considerato ‘eretico’. Abbiamo utilizzato la nostra prassi per rispondere ad alcune nuove domande emerse in nuove circostanze.”

Il termine “eretico” rifletteva appieno quanto fosse stata duramente conquistata la riforma del sistema economico e quanto fosse ardua la liberazione ideologica.

La risoluzione sulla riforma del sistema economico rafforzò notevolmente la fiducia del pubblico e la crescita economica conobbe un’impennata esplosiva. Dal 1984 al 1988, il numero di imprese municipali e di villaggio in Cina aumentò in media del 52,8% annuo, l’occupazione aumentò in media del 20,8% annuo e il reddito totale aumentò in media del 58,4% annuo. Nel 1988, le imprese municipali e di villaggio contavano 18,88 milioni di unità, con 95,46 milioni di dipendenti e un reddito totale di 423,2 miliardi di yuan. Durante questi quattro anni, anche l’economia individuale e privata mantenne una crescita media superiore al 20%. Nel 1988, le famiglie industriali e commerciali individuali contavano 14,53 milioni di unità con 23,05 milioni di dipendenti. La promulgazione della “Decisione” aumentò notevolmente la fiducia degli investitori stranieri in Cina.

Dal 1984 al 1988, il numero totale di progetti di investimento diretto estero ha raggiunto i 14.605, con investimenti pari a 20,43 miliardi di dollari. Il numero totale di progetti e l’ammontare degli investimenti sono stati rispettivamente 10 volte e quasi 3 volte quelli dei quattro anni precedenti. Grandi progetti di investimento, come Shanghai Volkswagen e Beijing Matsushita Color Picture Tube Co.

Spinto dalle vigorose forze di mercato, il prodotto nazionale lordo cinese è passato da 717,1 miliardi di yuan a 1.492,8 miliardi di yuan, raddoppiando in soli quattro anni. Anche il reddito dei residenti urbani e rurali è quasi raddoppiato, permettendo alle masse di godere degli enormi benefici della riforma. La risoluzione della riforma del sistema economico ha anche permesso alla Cina di varcare la porta dell’economia di mercato con un piede, e non potrà mai essere ritirata. Anche se in seguito le controversie sulla pianificazione e sui mercati continuarono ad essere molteplici, la riforma fu la migliore illuminazione ed educazione. L’opinione pubblica non può essere sfidata e anche il consenso tra i responsabili politici si è rafforzato sempre di più, gettando solide basi per il 14° Congresso del Partito che ha formalmente stabilito l’obiettivo di riforma dell’economia di mercato.

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Sentiamoci tutti bene, di Aurelien

Sentiamoci tutti bene

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Aurelien13 agosto
 
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Quando ero giovane, portavo sempre con me una chitarra. Da solo o con altri, cantavo per guadagnarmi da vivere, e a volte anche qualcosa in più, nelle sale parrocchiali e nei centri sociali, nelle scuole e nelle università, nei folk club e nei locali semiprofessionali.

A quei tempi – all’incirca dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’70 – c’era un corpus di canzoni acustiche che quasi tutti conoscevano più o meno. Se sapevi strimpellare tre accordi (ok, quattro al massimo) e riuscivi a tenere il tempo, probabilmente potevi cantarne la maggior parte, e il pubblico si univa al coro. Anche se a quei tempi ero già un purista, più interessato alla musica modale della tradizione inglese, erano canzoni che in qualche modo avevo assimilato e che probabilmente avrei potuto cantare se me lo avessero chiesto. Se avete mai avuto un LP in vinile di Joan Baez o Peter, Paul and Mary, o ne avete visto uno da allora, sapete di cosa sto parlando. E naturalmente c’era anche molto dei primi Dylan e dei suoi imitatori.

Gran parte di questa musica non era particolarmente sofisticata dal punto di vista musicale e dei testi, ma questo era parte del suo fascino, poiché si trattava per lo più di musica di protesta di vario genere, legata alle cause politiche popolari del momento e pensata per essere cantata con entusiasmo da grandi gruppi, nella speranza di cambiare il mondo. (Tom Lehrer, che ha memorabilmente squartato l’intero movimento in The Folk Song Army, ha osservato che “il bello delle canzoni di protesta è che ti fanno sentire così bene“.) Ma va bene, la gente vuole sempre sentirsi bene, e quella era un’epoca in cui sembrava quasi un diritto umano.

La maggior parte di queste canzoni trattavano in qualche modo di conflitti e guerre, e i testi in genere dicevano che la guerra, la violenza, la repressione, l’odio e la discriminazione erano cose negative, mentre la pace, la tolleranza e la giustizia erano positive. Difficile dargli torto, immagino, soprattutto quando hai diciotto o diciannove anni. Ma soprattutto, e questo è importante per questo saggio, incoraggiavano la convinzione che cambiamenti positivi nel mondo potessero essere ottenuti con la forza morale e i movimenti di massa della gente comune. Quindi, secondo le parole di Lehrer, cantando Where have all the flowers gone? ci si poteva sentire bene, ma si poteva anche sentire che, in un certo senso, si stava contribuendo personalmente a portare la pace nel mondo. E questo non era del tutto ingiusto: il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, che era stato fonte d’ispirazione per molte delle canzoni, era stato in gran parte un’azione politica di massa pacifica, e le canzoni sui sindacati e sui diritti dei lavoratori riflettevano autentiche lotte popolari. (Anche la musica rock entrò in scena: la recente scomparsa di Ozzy Osbourne mi ricorda i miei amici che sbattevano la testa contro il muro mentre ascoltavano a tutto volume War Pigs).

Ma il messaggio più ampio della cultura popolare dell’epoca, di cui qui sto discutendo solo una manifestazione, era idealista: il mondo poteva essere cambiato solo con la forza morale e, una volta vinta la battaglia delle idee, la guerra, i conflitti e la povertà sarebbero necessariamente scomparsi. Così, ad esempio, il guru New Age Werner Erhard fondò nel 1977 il Progetto Fame, con l’obiettivo di abolire la fame nel mondo in vent’anni. Ottenne il sostegno di molte celebrità, tra cui il cantante John Denver, per “un’idea il cui tempo era giunto” e un programma che si concentrava sulla sensibilizzazione e sul cambiamento delle mentalità, piuttosto che sull’alimentazione delle persone.

Sembrava quasi che la guerra e i conflitti potessero essere ridicolizzati e derisi fino a scomparire, e in certi ambienti l’interesse per la carriera militare era considerato una sorta di malattia mentale. Così, Monty Python’s Flying Circus prendeva in giro l’esercito senza pietà. La popolare serie televisiva della BBC Dr Who di quei tempi presentava una forza militare delle Nazioni Unite incaricata di proteggere il mondo dagli alieni, comandata da un brigadiere tipicamente stupido, i cui uomini dovevano sempre essere salvati dalle abilità superiori del Dottore. Era l’epoca di Joan Littlewood (e Richard Attenborough) con Oh What a Lovely War!, di Richard Lester con How I Won the War con John Lennon e, naturalmente, di Altman con M*A*S*H e molti altri film. Per molti giovani, indossare uniformi militari acquistate a Carnaby Street a Londra era un gesto di protesta contro qualcosa. A un livello intellettuale leggermente diverso, era l’epoca in cui la storiografia revisionista sulla Seconda guerra mondiale cominciava a prendere piede, portando infine alle affermazioni oggi di moda sull’equivalenza morale tra gli Alleati occidentali e la Germania nazista.

O forse la guerra era semplicemente qualcosa che sarebbe scomparsa con l’evoluzione dell’umanità. Arthur Koestler, in uno dei suoi ultimi libri, cercò di dare una copertura scientifica all’idea che le guerre fossero il risultato dell’aggressività individuale degli esseri umani e propose di aggiungere farmaci psichiatrici calmanti alle riserve idriche urbane. A un livello più popolare, il film del 1967 Quatermass and the Pit, basato su una serie televisiva della BBC, postulava che le guerre e l’aggressività fossero causate da marziani invisibili che avevano colonizzato il pianeta in un momento imprecisato del passato. Alla fine del film, con la sconfitta dei marziani, sembrava possibile una nuova era di pace mondiale. L’idea cospiratoria alla base del film era l’ultima incarnazione del meme dei manipolatori oscuri del mondo (Templari, Massoni, Ebrei, Banchieri, Comunisti) e naturalmente è viva e vegeta oggi nelle infinite accuse contro gruppi oscuri dietro le guerre e le rivoluzioni contemporanee. Masters of War di Dylan ha dato nuova vita al cliché secondo cui “i trafficanti d’armi causano le guerre”, che vedo avere ancora dei sostenitori. Ma il punto chiave era che qualsiasi teoria monocausale di questo tipo rendeva facili da comprendere le cause della guerra e dei conflitti e, di conseguenza, semplici le soluzioni. E, soprattutto, rendeva molto facile assumere pose di purezza morale e superiorità, senza bisogno di sapere effettivamente nulla di nulla.

Era l’estate indiana del dopoguerra, quando il periodo 1939-45 era ormai diventato storia e si diffondeva una cauta convinzione che, come diceva la generazione dei miei genitori, “almeno non dovrete combattere in una guerra come abbiamo fatto noi”. È sempre pericoloso romanticizzare il passato, ma credo sia indiscutibile che in gran parte del mondo occidentale la gente allora si sentisse davvero più sicura di adesso. Quando ero giovane, ad esempio, si poteva entrare liberamente negli edifici pubblici, assistere ai dibattiti in Parlamento mettendosi in fila e farsi fotografare davanti al numero 10 di Downing Street accanto al poliziotto che sorvegliava la porta. C’erano guerre, ma erano lontane e, come nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, sembravano avventure romantiche più che eventi seri. Gli esperti assicuravano a chiunque fosse interessato che, una volta che gli ultimi Stati coloniali avessero ottenuto l’indipendenza, le guerre avrebbero perso senso perché non ci sarebbe stato più nulla per cui combattere. Non ci rendevamo conto che l’autunno era ormai alle porte.

Ora, per certi versi questa compiacenza può sembrare strana. Dopo tutto, il mondo era diviso in blocchi antagonisti, armati fino ai denti con armi nucleari. In teoria, avremmo potuto svegliarci tutti radioattivi il mattino seguente, e ci sono stati momenti in cui sembrava che potesse davvero accadere. Ma era anche un’epoca di distensione. L’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nel 1968 non diede inizio a una guerra. Furono firmati i trattati SALT 1 e ABM, gli Stati Uniti riconobbero finalmente Pechino come capitale della Cina e, alla fine del periodo, furono firmati anche gli Atti finali di Helsinki. Sembrava davvero che le grandi potenze stessero finalmente prendendo il controllo del corso della storia mondiale.

Naturalmente, nello stesso periodo era in corso una guerra su vasta scala in Vietnam, ma in un certo senso questa era stata assimilata nello stesso quadro generale. C’era molta opposizione a quella guerra, ma almeno in Europa era di natura performativa. Si trattava di canzoni, marce, manifestazioni, petizioni, mozioni delle associazioni studentesche e editoriali indignati su giornali a tiratura limitata. L’Unione Internazionale degli Studenti, con sede a Praga, fornì generosamente a chiunque ne avesse bisogno un gran numero di manifesti che dichiaravano solidarietà alla lotta antimperialista del popolo vietnamita.

Ma questo comportamento era in linea con il pensiero generale dell’epoca. In quella che era evidentemente un’interpretazione edulcorata e banalizzata della teoria liberale delle relazioni internazionali, la guerra e il conflitto erano considerati fondamentalmente degli errori, che potevano essere corretti se i leader nazionali si fossero comportati in modo sensato e avessero ascoltato gli insegnamenti morali dei giovani con la chitarra. Secondo le parole di una canzone particolarmente semplicistica dell’epoca, le nazioni potevano semplicemente «accordarsi per porre fine alla guerra». Avrebbero potuto firmare trattati di pace e instaurare la pace universale da un giorno all’altro, se solo avessero messo d’accordo le loro parti. Ho un vago ricordo di aver visto un fumetto di Superman dell’epoca in cui l’eroe omonimo portava la pace nel mondo portando via e distruggendo le armi di tutte le nazioni. Questo era, grosso modo, il livello di analisi corrente all’epoca.

In sostanza, la guerra e i conflitti erano problemi che potevano essere risolti abolendoli, proprio come all’epoca venivano approvate leggi per abolire la discriminazione basata sulla razza e sul sesso. L’idea che le guerre potessero avere delle cause, che i trattati di pace potessero non portare la pace o che le persone potessero avere motivi validi per opporre resistenza violenta era troppo difficile da assimilare, tranne in un caso su cui tornerò più avanti.

In sostanza, era così che veniva visto il Vietnam. Per ragioni comprensibili, il conflitto veniva riportato sui giornali e nei telegiornali serali come una questione quasi esclusivamente americana, indipendentemente dalle simpatie dei giornalisti. I vietnamiti stessi apparivano raramente, se non come bersagli o vittime a seconda delle simpatie politiche. Per molti chitarristi e il loro pubblico, però, la questione era ancora più semplice: gli Stati Uniti stavano attaccando e occupando il Vietnam e, una volta ritirate le truppe, i combattimenti sarebbero finiti e sarebbe scoppiata la pace. Il cantante e cantautore Tom Paxton, allora molto popolare, il cui talento musicale e lirico non era pari al suo acume politico, diceva al suo pubblico che i Viet Cong erano in realtà solo il governo del Vietnam del Sud, che combatteva sotto mentite spoglie contro gli invasori americani. Quando la guerra continuò dopo il 1972, il Paese fu unificato con la forza nel 1975 e successivamente i “boat people” cominciarono a fuggire dal Paese, il risultato fu una sorta di silenzio assordante. Non aveva senso. Né avevano senso le rivelazioni sugli orrori perpetrati dai Khmer Rossi, che alcuni, soprattutto in Francia, avevano sostenuto perché combattevano gli “imperialisti americani”, né tantomeno il violento rovesciamento di quel regime da parte dei vietnamiti. Era difficile scrivere canzoni su tutto questo.

Ad essere onesti, le esagerate semplificazioni della comunità dei chitarristi non erano più estreme, e in un certo senso erano l’immagine speculare, di tutta la propaganda anticomunista dell’epoca. Per quella scuola di pensiero, ogni sviluppo discutibile nel mondo, dai Beatles e i capelli lunghi, alle guerre in Medio Oriente, fino alla guerra in Vietnam, era attribuito senza esitazione alle macchinazioni dell’Unione Sovietica e ai suoi tentativi di costruire e mantenere un impero globale. Sebbene questo discorso non fosse incontrastato, era popolare tra quel tipo di persone che si aggrappavano a spiegazioni monocausali perché la realtà era troppo complicata. Per avere un’idea della sua popolarità, se non c’eravate all’epoca, immaginate gli articoli del vostro sito Internet preferito oggi, ma con tutti i riferimenti all'”America” sostituiti con “Unione Sovietica” e “CIA” con “KGB”. In molti casi, alla fine della Guerra Freda, le stesse persone sono passate dal vedere la fonte di tutti i mali a Mosca al vederla a Washington, perché la complessità era semplicemente al di là della loro comprensione. Alcuni, come avrete notato, sono ora tornati indietro.

Le spiegazioni monocausali contrapposte della sinistra e della destra erano ovviamente superficiali, come del resto tutto il pensiero dell’epoca sul conflitto e sulla pace. Non c’era alcun interesse per spiegazioni complesse e cause storiche, piuttosto era importante identificare i singoli individui colpevoli che promuovevano la guerra e dovevano essere fermati. (Da qui, diverse generazioni dopo, l’ossessione per “Putin” come fonte di tutti i mali). Sia la sinistra che la destra, tuttavia, accettavano il dogma liberale secondo cui tutto, alla fine, poteva essere risolto con la negoziazione e che combattere era inutile perché, in ultima analisi, il conflitto non riguardava realmente nulla e in molti casi era causato solo dall’ingerenza dell’altra parte. In alcuni casi, la pressione dell’opinione pubblica, comprese le manifestazioni, poteva essere necessaria per costringere i governi a rendersene conto, ma l’avvio dei negoziati e la firma dei trattati erano considerati obiettivi intrinsecamente desiderabili e risultati di per sé.

In quella che allora era ragionevolmente definita «la sinistra», l’umore dominante può essere descritto come un antimilitarismo superficiale e in gran parte frivolo. (Va bene, la sinistra in Francia era diversa: lo era sempre stata.) Per essere più precisi, si trattava di un’antipatia e di una sfiducia nei confronti delle forze armate occidentali e delle loro attività, perché sembravano rappresentare l’odiato “establishment” occidentale nella sua forma più pura, spendevano molti soldi e alcune di esse erano state associate alle guerre coloniali. La sinistra nella maggior parte dell’Europa era comunque del tutto disinteressata alle questioni di difesa e considerava questa ignoranza un motivo di orgoglio: non sapeva molto, ma sapeva cosa non le piaceva. Tuttavia, questa avversione non si estendeva necessariamente ad altre forze armate, purché combattessero contro l’Occidente. Il caso classico era ovviamente il Vietnam, dove i Viet Cong e l’esercito regolare dell’NVA erano in qualche modo confusi in un’unica forza combattente gloriosa e invincibile. (L’incorreggibile Ewan McColl scrisse persino una canzone in loro lode, che non linko perché è troppo orribile). Almeno in alcune parti della sinistra c’era anche simpatia per l’esercito israeliano, oltre che tolleranza, se non ammirazione, per le qualità combattive dei combattenti “anticolonialisti” di tutto il mondo. Così, il film di Lindsay Anderson del 1969 film If, ambientato in una scuola pubblica inglese, deride ferocemente l’esercito britannico e si diceva che avesse un messaggio pacifista, anche se il protagonista interpretato da Malcolm McDowell si entusiasma davanti alla fotografia di un guerrigliero africano. E un decennio dopo, gli intellettuali occidentali di sinistra si sono innamorati dei mujaheddin afghani che combattevano contro i russi. Immagino che tutto dipenda da chi impugna il fucile.

Sebbene queste persone si definissero pacifiste, secondo la mia esperienza non lo erano affatto: semplicemente detestavano e disprezzavano le forze armate del proprio Paese e dei suoi alleati, e trasferivano il loro bisogno di ammirare il coraggio e la virilità ad altre organizzazioni più meritevoli, come ho spiegato in alcuni saggi precedenti. La fine della Guerra Fredda li ha quindi sconvolti tanto quanto la destra, anche se per ragioni diverse. Dopo lo shock iniziale, molti di questi movimenti si sono trovati ideologicamente alla deriva. La Guerra Fredda era finita, ma non nel modo in cui si aspettavano, e, nonostante fossero stati negoziati accordi di disarmo, c’erano ancora molte armi in circolazione. E con rapidità nauseante, è emerso che lo scongelamento della Guerra Fredda aveva semplicemente permesso ai conflitti del passato di riemergere. Tutti i sostenitori delle spiegazioni monocausali della destra e della sinistra sono rimasti sbalorditi nel vedere che i nuovi conflitti non obbedivano alle ipotesi sui conflitti con cui erano cresciuti.

Almeno alcuni furono salvati dai combattimenti nell’ex Jugoslavia, e in particolare in Bosnia. Non era scontato che il destino di un paese poco conosciuto in Occidente, se non come meta turistica, potesse suscitare passioni così estreme, e in effetti nemmeno i più accaniti sostenitori dell’«intervento» avevano mai visitato il paese, né si erano presi la briga di informarsi su di esso. (Coloro che conoscevano il Paese erano, secondo la mia esperienza, i più scettici sul valore di qualsiasi tipo di intervento). Ma proprio come con la guerra in Iraq per la destra, così per una parte della sinistra la Bosnia era un utile ricettacolo per l’energia morale in eccesso che si era accumulata dopo il 1989. La Bosnia è diventata una causa perché bisognava trovare una causa. Non sorprende che molti sostenitori della guerra in Iraq si siano opposti all’invio di truppe in Bosnia, così come molti entusiasti dell’invasione della Bosnia si sono opposti alla guerra in Iraq. Era lo stesso esercito occidentale: tutto dipendeva da chi era il nemico.

Poiché la Bosnia era una causa, non era soggetta alle consuete regole della logica e della realtà. Il “dovere” di intervenire, come veniva definito, era indipendente da considerazioni pratiche. I suoi sostenitori erano gli stessi gruppi che in precedenza avevano rifiutato con sdegno di informarsi su questioni militari e che nel 1992 non vedevano perché avrebbero dovuto conoscere questioni noiose come la costituzione di forze armate, la logistica o la pianificazione militare operativa. Alla domanda “cosa volete che facciamo allora?”, la risposta era “fermate la violenza!”. Alla domanda “come fermiamo la violenza?”, l’unica risposta coerente, a parte “è compito vostro”, era “con più violenza”. La forza morale avrebbe garantito la vittoria, dopotutto, anche se questa volta con le armi invece che con le chitarre.

Sfortunatamente, la crisi scoppiò proprio mentre le nazioni occidentali stavano iniziando ad abbandonare le strutture della Guerra Fredda. I paesi europei avevano eserciti di leva con un addestramento limitato e spesso erano legalmente impossibilitati a schierare i coscritti all’estero. Gli Stati Uniti non erano interessati a partecipare, mentre gli inglesi e i francesi, le uniche nazioni con forze armate professionali di dimensioni considerevoli, non erano propensi a schierare i propri soldati in una situazione di pericolo. All’epoca era opinione comune che anche solo per fermare temporaneamente i combattimenti sarebbe stato necessario schierare 100.000 soldati in tutto il Paese (chiunque abbia mai sorvolato il Paese in elicottero capirà perché), seguiti da altri 100.000 soldati sei mesi dopo, e così via fino al ritiro definitivo delle forze, quando i combattimenti sarebbero senza dubbio ripresi. Risorse del genere non esistevano nemmeno lontanamente in Europa (e non esistono nemmeno oggi), anche se fosse stato possibile mettere insieme un piano militare coerente con un obiettivo preciso.

Sebbene non fosse mia responsabilità professionale, per fortuna, occuparmi direttamente di questo tipo di questioni, ho fatto alcuni tentativi per educare le persone che incontravo su alcune di queste realtà. Ho presto rinunciato, perché la risposta era sempre di disprezzo e lezioni di moralità (“siete tutti codardi: potreste farlo se voleste”). I governi occidentali avevano un dovere morale e lo stavano venendo meno: alcune critiche femminili erano chiaramente le nipoti delle donne che nel 1914 avevano consegnato piume bianche agli uomini britannici riluttanti ad arruolarsi nella guerra. Un dovere morale schiacciante di andare a uccidere delle persone non poteva, per definizione, tollerare alcun dissenso o addirittura alcuna domanda, e i problemi pratici non potevano diventare un ostacolo.

Anche a quei tempi, quasi nessuno studiava filosofia in Gran Bretagna, ma non è difficile vedere in questo tipo di atteggiamenti accesi un pallido eco del concetto filosofico più distruttivo: l’imperativo categorico kantiano, ripreso da qualche conferenza. Il bello dell’imperativo categorico è proprio la sua universalità e automaticità: se posso imporlo a te, non hai altra scelta che agire come suggerisco, e nessuna controargomentazione è accettabile. Come lo descrive Alasdair MacIntyre (che, a onor del vero, non era un fan di Kant), per Kant le regole della moralità sono razionali, come l’aritmetica, e non derivano dalla religione o da altri sistemi di pensiero. Sono quindi vincolanti per tutti, proprio come le regole dell’aritmetica. L’esperienza è per definizione irrilevante se tali regole sono universalmente preventive. Quindi: “la capacità contingente … di attuarle deve essere irrilevante: ciò che è importante è (la) volontà di attuarle. Il progetto di scoprire una giustificazione razionale della moralità è quindi semplicemente il progetto di scoprire un test razionale che discrimini le massime che sono espressione autentica della legge morale da quelle che non lo sono …”

Kant era piuttosto sicuro di quali fossero queste regole morali (fortunatamente, erano proprio quelle che i suoi genitori gli avevano inculcato) e pensava che le persone comuni, dopo una breve riflessione razionale, sarebbero giunte alla stessa conclusione. Il problema, ovviamente, è che chiunque può usare questo tipo di ragionamento (siamo generosi) per arrivare a qualsiasi massima desideri. Senza dubbio Kant sarebbe rimasto turbato nello scoprire una massima come “uccidete tutti coloro che violano i diritti umani dei musulmani in Bosnia”, ma essa soddisfa il suo criterio di massima morale universalizzabile.

Le somiglianze tra la rozza moralità degli “interventisti”, dalla Bosnia al Ruanda, dal Kosovo al Darfur, dalla Libia alla Siria, e la logica speciosa di Kant sono troppo evidenti per essere una coincidenza. Ciò non significa che tutti gli interventisti abbiano letto e riflettuto su Kant (anche se alcuni potrebbero averlo fatto), ma piuttosto che, al contrario, la dottrina di Kant rappresenta una razionalizzazione sistematica e apparentemente intellettuale di qualcosa che tutti noi sentiamo istintivamente e vorremmo fosse vero. Non sarebbe bello, dopotutto, se potessimo identificare gli obblighi morali e costringere gli altri a rispettarli? Ci permetterebbe di sentirci moralmente superiori agli altri, moralmente intolleranti nei confronti dei loro fallimenti, eppure ci assolverebbe dalla necessità di argomentare in modo logico o persino di conoscere qualcosa sull’argomento. E se tutto va storto, non è colpa nostra.

Così, i sedicenti pacifisti degli anni ’70 e ’80 hanno messo via le chitarre e si sono convertiti nei militaristi fanatici degli anni ’90 grazie a un semplice adattamento delle leggi morali universali. Dopotutto, non c’è alcuna differenza tra “la violenza è sbagliata quando non la approvo” e “la violenza è giusta quando la approvo”. Lo sviluppo dell’interventismo umanitario (o, come preferisco chiamarlo, fascismo umanitario) fino ai giorni nostri può quindi essere visto come il logico sviluppo di una mentalità assolutista di lunga data che sa di avere ragione e, di conseguenza, cerca di imporre doveri agli altri, nei confronti dei quali si sente moralmente superiore. (Per decenni il governo britannico ha ricevuto lezioni di morale da gruppi antinucleari che non sapevano molto delle armi nucleari, ma sapevano cosa non gli piaceva). Ironia della sorte, l’Occidente è ora vittima di una mentalità assolutista molto simile, ma ne parleremo più avanti.

È questo, credo, che aiuta a spiegare l’incoerenza e la mancanza anche di una comprensione di base così evidenti nel “dibattito” sull’Ucraina. Ciò vale per i “diritti e torti” del conflitto, poiché il sostegno all’una o all’altra parte è un dovere morale, non una questione di interpretazione dei fatti e della storia. È abbastanza facile elaborare imperativi categorici contrapposti e universalizzabili: “sostenere tutti i paesi amici dell’Occidente quando sono in conflitto con altri” contro “sostenere tutti i paesi che l’Occidente non gradisce quando sono in conflitto con altri”. (Ironia della sorte, coloro che giustamente condannano il motto “il mio paese ha sempre ragione”, sono spesso pronti a sostenere il paese di qualcun altro, che abbia ragione o torto). Non c’è bisogno di sapere nulla di nulla, perché si evoca un principio morale universale (anche se in pratica alcuni di noi si sentono a disagio se non fanno almeno un tentativo di informarsi un po’ sulla situazione).

Lo stesso vale per le infinite pagine di commenti sulla situazione militare, sulle tecnologie belliche, sui piani e sulle operazioni militari e sulla strategia diplomatica e politica che infestano Internet. Di tanto in tanto si trovano persone che sanno di cosa parlano, ma la triste realtà è che la maggior parte delle persone non vuole leggere articoli o guardare video di persone che sanno di cosa parlano, per paura di sentire cose moralmente sbagliate. Su Internet e nelle sezioni dei commenti di numerosi siti è possibile trovare dichiarazioni sicure sulla strategia russa o sulle armi occidentali da parte di persone che hanno visto un film di guerra. Ciò diventa comprensibile quando ci si rende conto che i giudizi che esprimono non sono tecnici, né tantomeno politici, ma si basano esclusivamente su imperativi morali. “Dobbiamo credere a tutto ciò che dice Mosca” contro “non dobbiamo credere a nulla di ciò che dice Mosca”, per esempio.

Dalla fine della Guerra Fredda, con i suoi infiniti compromessi morali e la necessità di placare in qualche modo l’Unione Sovietica, l’Occidente è stato libero di praticare questo modo di pensare quanto voleva, e i suoi leader e i loro servitori sono riusciti a convincersi delle cose più straordinarie. Nonostante la cultura popolare ami cercare cattivi con baffi arricciati, secondo la mia esperienza la maggior parte delle persone che lavorano nel governo ama sentirsi a proprio agio con se stessa e ritiene di lavorare per quella che, almeno ai propri occhi, è una causa degna. Così, nel 1991, ho visto molti funzionari governativi occidentali intelligenti indossare distintivi con la scritta FREE KUWAIT (mi sono reso impopolare chiedendo se potevo averne alcuni). La guerra stessa è stata un’orgia di lusso morale, in cui i leader politici e i loro consiglieri potevano crogiolarsi nel senso di agire virtuosamente, perseguendo l’assioma morale secondo cui “i confini riconosciuti a livello internazionale devono essere inviolabili”. Nonostante tutte le argomentazioni persistenti, noiose e intelligenti sulle motivazioni finanziarie e di risorse che influenzano le azioni dei governi in situazioni di crisi, il fatto è che, almeno nella mia esperienza, i decisori politici amano considerarsi attori morali: il mondo sarebbe un posto molto più sicuro se non lo facessero. (Se la vostra esperienza personale è diversa, fatemelo sapere nei commenti).

Per molti versi tutto ciò non è sorprendente. La convinzione di Kant che gli imperativi morali possano essere dedotti razionalmente dal nulla si adatta perfettamente al modo di ragionare liberale che ho spesso criticato. Il liberalismo non ha origine, non ha fondamento se non il razionalismo astratto e i suoi precetti, tali e quali, devono essere accettati a priori. Per definizione, il liberalismo non può persuadere, può solo affermare e intimidire. È quindi naturale che il liberalismo incontrollato che abbiamo conosciuto nell’ultima generazione circa adotti argomenti kantiani di ricatto morale, anche se i suoi praticanti avessero solo una vaga idea di chi fosse Kant. L’unico argomento del liberalismo è “Perché lo dico io”, e questo include il tentativo di caricare i doveri morali sulle spalle degli altri.

L’esperienza di vita, come sottolineava Kant, non conta nulla, e la praticabilità è irrilevante. Quando si leggono storie sul “fallimento” delle politiche occidentali nei Balcani o in Ruanda negli anni ’90, è quindi importante capire che non si tratta di un fallimento nel senso comune del termine. Non significa che ci si sia provato e non abbia funzionato o che alla fine si sia rivelato impossibile, significa che l’Occidente ha fallito nel suo dovere morale, così come definito da coloro che si sono autoeletti arbitri dei doveri morali altrui. Allo stesso modo, oggi l’Occidente sta orgogliosamente “adempiendo” al suo dovere morale nei confronti dell’Ucraina, il che spiega in gran parte l’atteggiamento compiaciuto dei suoi leader e dei loro sostenitori nei media. Sta facendo la cosa giusta, indipendentemente dalla distruzione causata. In ogni caso, come diceva Kant, si è obbligati a fare le cose anche se non si è in grado di adempiere all’obbligo. Così tutti sono contenti.

Beh, non del tutto. Tutto segue dei cicli, e i fattori politici tradizionali quali il vantaggio nazionale, il beneficio economico e il semplice buon senso stanno ricominciando a farsi strada nel dibattito, dal quale non avrebbero mai dovuto essere esclusi. Dopo tutto, può esserci un imperativo categorico più importante per i leader politici che “tutelare gli interessi della propria nazione e del proprio popolo”? Cos’altro si potrebbe suggerire? Eppure i leader occidentali non esitano a dare lezioni al proprio popolo sul fatto che i suoi interessi devono essere subordinati alle avventure di politica estera e alla cura e al mantenimento degli immigrati vittime di traffici illegali. Ma sembra proprio che tra le vittime meno rimpianti dell’Ucraina ci sarà la popolarità dell’intervento umanitario, soprattutto perché nessuno è stato in grado di spiegare perché un simile obbligo morale di intervenire non valga a Gaza. (Le ragioni sono complesse, contraddittorie e controintuitive, e tornerò sull’argomento tra una o due settimane). Nel frattempo, ci sono segni che la morsa delle ipotesi della teoria liberale delle relazioni internazionali sta perdendo la sua presa e comincia a allentarsi.

E non prima del tempo. Dopo tutto, uno dei presupposti fondamentali dell’ultima generazione era che l’Occidente potesse e dovesse intervenire ovunque, e che ciò non avrebbe comportato alcun costo: i costi, se mai ce ne fossero stati, sarebbero stati sostenuti da altri. Come ho osservato la settimana scorsa, dopo l’Ucraina questo non è più vero. Ma una delle conseguenze è che il mondo sta venendo verso di noi, in modi che non possiamo controllare. Abbiamo già visto come l’ordine internazionale liberale abbia facilitato la criminalità organizzata transnazionale e abbia persino trasformato alcuni paesi europei (ad esempio il Belgio e i Paesi Bassi) in narco-Stati in erba, con l’affermarsi di gruppi criminali organizzati stranieri.

Ma a volte la minaccia è più diretta e letale, come nel caso dei gruppi islamici militanti. Ricordiamo che sia Kant che il liberalismo moderno hanno cercato di sostituire l’etica tradizionale basata sulla religione con nuove forme di etica basate sulla logica e sulla ragione. Purtroppo, nel tentativo di realizzare il primo obiettivo, hanno fallito nel secondo. Ma altre culture non hanno seguito il nostro esempio. L’Islam politico non è di per sé una novità: risale a un secolo fa, alla Fratellanza Musulmana egiziana, nata come reazione alle tendenze modernizzatrici e liberalizzatrici introdotte dalle potenze coloniali britannica e francese. Ma è rimasto un movimento politico fino agli anni ’80, quando sono state create le prime reti per l’invio di combattenti jihadisti in Afghanistan, con il finanziamento dei paesi del Golfo. La stessa cosa è accaduta poco dopo in Bosnia, con la formazione della 7ª Brigata Musulmana dell’Esercito di Sarajevo, sempre con finanziamenti del Golfo. Ma in entrambi i casi, i militanti coinvolti potevano affermare di difendere i loro fratelli musulmani dalla persecuzione. L’idea che la lotta dovesse essere portata contro i miscredenti e che questo fosse un obbligo morale era nuova e molto controversa. (Ma naturalmente gli imperativi categorici originali erano quelli emanati da Dio, quindi…)

Il sogno neoconservatore/neoliberista di creare un solido arco di Stati democratici, liberali e orientati all’Occidente in Medio Oriente è fallito in modo più completo e disastroso di qualsiasi altro progetto simile nella storia: persino il Terzo Reich era stato pianificato meglio. Ma la conseguenza della distruzione dell’Iraq e del successivo precipitare con gioia nella guerra civile in Siria è stata quella di far rivivere una tendenza che era quasi morta nel 2003, ma in una veste nuova, più populista e molto più violenta rispetto alla vecchia Al-Qaeda. Non entreremo nuovamente nella storia, ma basti dire che lo Stato Islamico opera secondo principi kantiani impeccabili. È vero, trae la sua ispirazione teorica dal Corano e dagli Hadith, ma in realtà la maggior parte dei jihadisti ha una comprensione molto limitata dell’Islam, e le sentenze degli imam moderni che giustificano le loro stragi sono spesso il risultato di una ricerca dell’imam che dia loro l’opinione che vogliono.

Proprio come con Kant, chiunque può giocare con gli imperativi categorici, e un Hadith che non solo permette, ma richiede l’uccisione di tutti gli sciiti può essere ottenuto su richiesta. Come nel concetto liberale di legge (e l’Islam è altamente legalistico), se si cerca abbastanza a fondo è possibile trovare una giustificazione per qualsiasi cosa. Così gli Stati occidentali si trovano a dover affrontare, non solo all’estero ma ora anche in patria, combattenti che vogliono morire, che preferiscono farsi saltare in aria piuttosto che arrendersi e per i quali le giovani coppie non sposate che amano la musica rock o le partite di calcio sono peccatori meritevoli di esecuzione immediata. Come per Kant, tutte le considerazioni esterne di contingenza, praticabilità o persino etica sono escluse. Ecco un imperativo categorico per voi.

Tipicamente, il liberalismo si trova completamente smarrito in questo contesto e, come al solito, affronta qualcosa che non capisce ignorandolo e sperando che scompaia. La principale preoccupazione del liberalismo in questo momento è garantire che le comunità musulmane in Occidente non vengano “stigmatizzate” per associazione con gruppi che vogliono effettivamente annientarle perché commettono il peccato di vivere in uno Stato non musulmano. No, nemmeno io lo capisco. E cominciamo a capire che non tutti gli imperativi categorici sono uguali. Forse ci sentiamo moralmente obbligati ad assumere persone per combattere in altri paesi e uccidere i loro abitanti fino a quando non fanno ciò che vogliamo, ma non c’è nulla nelle clausole scritte in piccolo che dice che loro non possono reagire e che noi dobbiamo essere pronti a combattere per ciò in cui crediamo, ammesso che sappiamo di cosa si tratta. Nessuno morirà per Ursula von den Leyen, per l’Eurovision Song Contest o per il diritto di usare questo o quel bagno. Ma molte persone sono disposte a morire per fare ciò che considerano la volontà di Allah, e al momento non abbiamo idea di come fermarle.

La politica estera occidentale è ormai ideologicamente esausta e fallimentare, e non è possibile alcuna politica estera basata su un’ideologia sottostante, per quanto rozza o materialistica essa sia. Dopo aver definitivamente abbandonato l’etica basata sulla religione, il liberalismo moderno ha attraversato una serie di cambiamenti, passando dall’anticomunismo all’eccezionalismo occidentale, al liberalismo morbido, alla distensione, al liberalismo aggressivo e al fascismo umanitario, fino al punto che ora non sa più cosa sta facendo, né perché, e i suoi rappresentanti politici si riducono a borbottare banalità senza senso. Give War a Chance si rivela un programma non più ponderato di Give Peace a Chance. È un bene che il contesto internazionale sia così stabile, altrimenti potremmo trovarci in guai seri.

Quando la Cina dice “ricordare la storia” della Seconda Guerra Mondiale, sta invocando vendetta?_di Fred Gao

Quando la Cina dice “ricordare la storia” della Seconda Guerra Mondiale, sta invocando vendetta?

Cosa mi hanno insegnato i musei in Giappone, Cina e America sulla psicologia della memoria di guerra

Fred Gao11 agosto
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Domenica scorsa ho visto “Dead To Rights”, un film sul massacro di Nanchino del 1937 che mi ha spinto a riconsiderare il ruolo della memoria storica nelle relazioni sino-giapponesi. Il film racconta il massacro sistematico di civili e l’esecuzione di prigionieri di guerra dopo la presa di Nanchino da parte dell’esercito giapponese nel 1937, nonché la storia di un fotografo cinese che ha rischiato la vita per preservare le prove fotografiche di queste atrocità.

Nel complesso, si tratta di un film di qualità, soprattutto considerando i risultati complessivi al botteghino. Il regista evita due insidie comuni: non trasformare un argomento serio in una predica vuota né sfruttare la brutalità giapponese come uno spettacolo sensazionalistico. Su Douban (l’equivalente cinese di IMDb), i recensori lo hanno definito ” lo Schindler’s List cinese” – una descrizione azzeccata, dato che entrambi i film presentano la tragedia storica attraverso occhi individuali e affrontano eventi cruciali nella memoria storica delle rispettive nazioni.

Sui media mainstream cinesi, l’espressione più ricorrente per descrivere questo film sui social media cinesi è “ricordare la storia” (铭记历史), un’espressione ampiamente condivisa nella società cinese. So che molti si chiederanno: “Per cosa?”. Ci sono alcuni messaggi di protesta su internet, ma i media mainstream e i funzionari non possono certo invocare la vendetta. Il Ministero della Difesa Nazionale ha parlato del film durante la conferenza stampa di oggi e ha affermato: “Le lezioni scritte col sangue non devono essere dimenticate; non si può permettere che le tragedie storiche si ripetano”.

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Alcuni critici liquidano la rinnovata attenzione al massacro di Nanchino come “sfruttamento della storia” o “educazione all’odio”. Avendo studiato in entrambi i sistemi educativi, trovo che questa etichetta sia infondata. All’epoca di Mao, la narrazione era più incentrata sull’imperialismo anti-giapponese che sul semplice nazionalismo. Come scrive, “Il popolo cinese e il popolo giapponese sono uniti; hanno un solo nemico, i militaristi giapponesi e la feccia nazionale cinese”. Durante l’era di Deng Xiaoping, le relazioni sino-giapponesi si riscaldarono e la cooperazione economica, oltre all’accoglienza degli investimenti giapponesi, divenne la narrazione dominante.

Credo che la recente rinascita del massacro di Nanchino come tema centrale derivi da due fattori principali, entrambi legati alla costruzione della memoria storica.

In primo luogo, la continua riluttanza del Giappone a riconoscere il proprio ruolo di “autore” della Seconda Guerra Mondiale nelle narrazioni ufficiali, unita a tendenze revisioniste storiche sempre più evidenti. Sebbene il Giappone non abbia più la capacità di condurre una guerra aggressiva, ciò non giustifica una dimenticanza selettiva della storia. Sebbene vi siano molte voci riflessive all’interno della società civile giapponese (anche nella famiglia reale), la posizione del governo rimane profondamente ambigua. L’inumazione di 14 criminali di guerra di Classe A al Santuario Yasukuni nel 1978, condotta segretamente dal sacerdote capo del santuario, aveva trasformato il sito da un monumento ai caduti in un simbolo di militarismo impenitente. Le successive visite di alti funzionari, tra cui primi ministri come Shinzo Abe, che vi si recò durante il suo mandato, hanno ripetutamente infiammato i rapporti sia con la Cina che con la Corea del Sud.

Questa tendenza revisionista si estende oltre lo Yasukuni, fino alle controversie sui libri di testo che minimizzano l’aggressione giapponese, agli eufemismi ufficiali come “avanzata in” anziché “invasione” della Cina, e alle periodiche dichiarazioni parlamentari che mettono in discussione la portata delle atrocità commesse in tempo di guerra. Questi episodi riflettono un più ampio schema di offuscamento storico che mina gli autentici sforzi di riconciliazione.

Da appassionato di storia, ho visitato ripetutamente musei e siti storici della Seconda Guerra Mondiale sia in Giappone che negli Stati Uniti. Durante il college, mi sono persino recato appositamente a San Diego per rendere omaggio al memoriale del Taffy 3, il terzo squadrone di cacciatorpediniere, in onore di coloro che dimostrarono uno straordinario coraggio nella battaglia di Samar.

Ho scattato quella foto nel 2016

Osservando attentamente, ho scoperto che i musei giapponesi, che si tratti del Cimitero della Marina di Sasebo o del famigerato Museo Yushukan di Tokyo, presentano la storia della Seconda guerra mondiale in modo estremamente evasivo (preferirei la parola 暧昧 in cinese).

Ho visitato il cimitero navale di Sasebo Higashiyama nel 2018

Questa ambiguità si manifesta in diversi modi: o sorvolando sulle origini della guerra o spostando l’attenzione sulle sofferenze dei civili giapponesi sotto i bombardamenti alleati, minimizzando deliberatamente il ruolo del Giappone come aggressore. La cosa più inquietante per me è il modo in cui queste mostre ufficiali utilizzano lettere e diari di piloti kamikaze per romanticizzare gli attacchi suicidi organizzati come una forma di sacrificio “tragico”. L’onnipresente esposizione di vecchie bandiere militari giapponesi, accompagnata da narrazioni del “Giappone che combatte per liberare l’Asia”, crea un disagio sempre maggiore.

Ancora più preoccupante è che, nella maggior parte dei quadri narrativi delle mostre, l’invasione su vasta scala della Cina da parte del Giappone sia relegata sullo sfondo della Guerra del Pacifico. La Cina non appare come una vera e propria “nazione nemica”, ma come uno sfondo incidentale. Questa deliberata negligenza ed emarginazione sono più inaccettabili dell’ostilità vera e propria, perché negano il ruolo storico del popolo cinese nella resistenza all’aggressione.

D’altro canto, la Guerra anti-giapponese occupa una posizione eccezionalmente speciale nella memoria storica cinese. La resistenza all’invasione giapponese fu l’evento catalizzatore che trasformò la Cina da uno stato premoderno privo di coscienza nazionale in un moderno stato-nazione, un’importanza storica paragonabile al ruolo della Guerra civile americana nel forgiare l’unità e l’identità nazionale americana.

Tuttavia, i ricordi cinesi e americani della Guerra del Pacifico presentano una differenza cruciale: la Cina non ha una memoria di vittoria sufficientemente decisiva da bilanciare la sua narrazione incentrata sulla sofferenza. Quando gli americani pensano alla Seconda Guerra Mondiale, sebbene ricordino “il giorno dell’infamia” del 1941, ricordano più facilmente la svolta di Midway del 1942, il trionfo del D-Day del 1944 e l’eroica resistenza di Bastogne. Questi ricordi di vittoria costituiscono il tema dominante della narrazione americana della Seconda Guerra Mondiale.

Al contrario, quando i cinesi pensano alla Guerra Anti-Giapponese, ciò che viene in mente è una sequenza di sconfitte e disperata resistenza piuttosto che vittorie decisive. La guerra iniziò con la perdita della Cina nord-orientale nel 1931, quando l’Armata del Nord-Est si ritirò senza opporre una resistenza significativa. Il massacro di Nanchino del 1937 seguì la caduta della capitale nazionale dopo una breve difesa. Anche i momenti di feroce resistenza sono ricordati più per il tragico eroismo che per il trionfo strategico: la lotta disperata di Changsha nel 1941 esemplifica questo schema. Ancora più doloroso, anche nel 1944, quando le forze giapponesi erano già sotto sforzo e rischiavano un’inevitabile sconfitta, gli eserciti nazionalisti subirono perdite devastanti nella campagna Henan-Hunan-Guangxi (Operazione Ichi-Go), perdendo vasti territori, inclusi aeroporti cruciali. Alla fine della guerra, il Giappone si arrese dopo i bombardamenti atomici e gli attacchi terrestri sovietici, non dopo una decisiva sconfitta terrestre da parte delle forze cinesi. L’inizio della Guerra Fredda rese poi vani i piani alleati per un’occupazione coordinata, lasciando la Cina senza nemmeno una partecipazione simbolica alla ricostruzione del Giappone. La Cina, pur essendo ufficialmente riconosciuta come potenza alleata vittoriosa, emerse con una memoria storica dominata dalle sofferenze subite.

Per la Cina, quella memoria ha alimentato una mentalità che mira a “non dimenticare mai la sofferenza”. Tang Shiping, un rinomato studioso cinese, lo ha spiegato come una sorta di “sinocentrismo” (中国中心主义) , una mentalità inconscia secondo cui la Cina dovrebbe essere intrinsecamente grande. Il divario tra questa aspettativa e la realtà storica crea una psicologia in cui la superiorità culturale coesiste con una profonda insicurezza riguardo allo status nazionale.

La mia osservazione è che è diverso dal modo in cui funzionano tipicamente le narrazioni nazionaliste occidentali. In Occidente, ricordare i torti storici spesso serve come giustificazione per azioni future, che si tratti di chiedere riparazioni, di cercare aggiustamenti territoriali o di mobilitare il sostegno pubblico per politiche di confronto. Ma l’approccio cinese alla memoria delle sofferenze storiche opera secondo una logica diversa. “Non dimenticare mai la sofferenza” non è un mezzo per raggiungere un fine, ma il fine stesso: una sorta di vigilanza collettiva piuttosto che di preparazione alla punizione. Manca un bersaglio chiaro a cui attribuire la colpa o a cui agire. Sebbene il prezzo del massacro per il popolo cinese non possa essere ignorato, il sentimento revanscista nei confronti del Giappone rimane notevolmente impopolare tra intellettuali e politici cinesi. Se chiedessi a un cinese istruito se sostiene la vendetta contro il Giappone, la sua prima reazione sarebbe probabilmente di sincero sconcerto: “Vendetta a quale scopo?” Nelle innumerevoli controversie su questioni storiche, la richiesta più frequente della Cina è stata quella di far sì che il Giappone “affrontasse la storia in modo diretto” (正视历史), chiedendo riconoscimento e riflessione piuttosto che risarcimenti materiali o concessioni politiche.

Questo aiuta a spiegare perché la retorica ufficiale cinese descriva ancora le relazioni sino-giapponesi come “一衣带水”, separate da acque strette come una cintura di vestiti. Piuttosto che enfatizzare le lamentele storiche, questa espressione inquadra la relazione in termini di naturale prossimità geografica e culturale. Il messaggio di fondo è che la cooperazione, non il confronto, rappresenta lo stato di default tra vicini. Le tensioni politiche sono descritte come deviazioni temporanee da una realtà più fondamentale di interdipendenza.

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Non stare zitto e non calcolare; leggi Campi ed Energia e capisci_di Tree of Woe

Non stare zitto e non calcolare; leggi Campi ed Energia e capisci

Intervista con l’autore e fisico Hans G. Schantz

8 agosto
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Il Dott. Hans G. Schantz, Principal Scientist presso la Society for Post-Quantum Physics , sta attualmente raccogliendo fondi per il libro Fields & Energy Book I: Fundamentals and Origins of Electromagnetism, la cui uscita è prevista per questo autunno. Il libro raccoglie il materiale da lui pubblicato sul suo Fields & Energy Substack .

Hans sostiene che il pensiero convenzionale sull’elettromagnetismo, così come attualmente insegnato e compreso, si basa su premesse errate e che un ritorno alle formulazioni originali, basate sulla fisica, del XIX secolo (in particolare quelle di Faraday, Maxwell, Heaviside e Hertz) può fornire una base più chiara e coerente per la fisica. Alla base di ciò vi è una critica più ampia alla cultura scientifica moderna: è diventata eccessivamente formalistica, sprezzante nei confronti di interpretazioni alternative e ostile alle domande fondamentali. L’obiettivo di Hans è rinvigorire la ricerca scientifica recuperando intuizioni perdute e ricentrando la teoria elettromagnetica sulla comprensione fisica piuttosto che sul calcolo astratto.

Hans è stato così gentile da permettermi di intervistarlo. Le mie domande sono tra virgolette in grassetto corsivo, mentre le risposte di Han sono in chiaro.


Hans, grazie per aver accettato di rilasciare un’intervista qui a The Tree of Woe. Iniziamo con una presentazione di chi sei, per i lettori che non ti conoscono ancora.

Sono un fisico teorico diventato ingegnere, inventore, imprenditore e scrittore di fantascienza.

Mi sono formato come fisico teorico solo per scoprire che il mio dottorato di ricerca, specializzato in elettromagnetismo teorico, non mi preparava davvero al lavoro pratico su antenne e sistemi wireless. Con un paio d’anni di studio aggiuntivi, ho fatto il grande passo nella progettazione di antenne a banda ultralarga (UWB), inclusi alcuni dei primi progetti commerciali di antenne UWB. Alla fine ho scritto un libro di testo sull’argomento, ” The Art and Science of Ultrawideband Antennas” , ora alla seconda edizione.

Mi resi conto che i segnali a microonde a lunghezza d’onda corta, come quelli utilizzati nei sistemi wireless UWB, avrebbero avuto grandi difficoltà a localizzare con precisione i tag wireless attraverso i muri. Ho co-inventato la telemetria elettromagnetica in campo vicino, un approccio alla localizzazione in interni a bassa frequenza e lunghezza d’onda lunga. Ho co-fondato Q-Track Corporation per commercializzare l’invenzione. I nostri prodotti erano in grado di localizzare i tag attraverso i muri con una precisione submetrica. Q-Track è stata acquisita nel 2019.

Sono anche uno scrittore di fantascienza. Tra i miei romanzi figurano un techno-thriller di cospirazione ambientato in una storia alternativa, ” The Hidden Truth” , e “The Wise of Heart” , un dramma giudiziario che mette a confronto scienza biologica e transgenderismo, aggiornando il processo Scopes per il XXI secolo.

Più di recente, ho lavorato a diversi progetti wireless per un appaltatore della difesa. Superando le sfide tecniche che ho dovuto affrontare nel corso della mia carriera, ho ottenuto oltre quaranta brevetti. Lungo il percorso, ho sviluppato nuovi modelli e intuizioni: modi semplici ed efficaci per visualizzare e spiegare come interagiscono campi ed energia.

Ho fondato la Society for Post Quantum Research (SPQR) per fungere da centro di raccolta per i miei sforzi volti a rivitalizzare la fisica moderna con idee classiche. Ho condiviso estratti dal mio prossimo libro, Fields & Energy , sul mio Fields & Energy Substack . Accetto supporto a pagamento, ma il materiale è disponibile gratuitamente.

Stai proponendo una nuova teoria dell’elettromagnetismo, una prospettiva sicuramente intrigante. Ma prima di addentrarci nella nuova teoria, forse vale la pena di spiegare qual è la teoria attuale dell’elettromagnetismo. (Hai capito cosa ho scritto?)

Il pensiero contemporaneo sull’elettromagnetismo è positivamente carico di confusione (lo so fare anch’io). Molti fisici adottano un rifiuto “zitto e calcola” di confrontarsi seriamente con i modelli. Il risultato è che, invece di scegliere esplicitamente il modello migliore per comprendere un particolare problema o una situazione di interesse, tendono a pensare all’elettromagnetismo come dovuto a una singola entità: un “fotone” che combina simultaneamente le proprietà reciprocamente contraddittorie di un’onda non localizzata e di una particella localizzata.

Un diagramma di Feynman in formato spazio-tempo che mostra una carica accelerata (e-) che emette un fotone (ϒ).

Pensano alla radiazione come al risultato di una carica che si muove e produce un fotone di radiazione che si propaga imperturbato finché non viene assorbito o ricevuto altrove. Una serie di esempi pratici dimostrano l’inadeguatezza di questo modello semplicistico, che a sua volta rafforza la falsa idea che i modelli siano inutili.

Hai detto che quando hai iniziato a studiare ingegneria, hai scoperto che la teoria dell’elettromagnetismo non forniva risposte applicabili ai quesiti che ti sei posto. Data la centralità dell’elettromagnetismo nella nostra società, non mi sarei aspettato un divario così ampio tra teoria e pratica. Puoi fare qualche esempio di casi in cui la teoria attuale è silenziosa o errata?

La teoria elettromagnetica convenzionale funziona molto bene su un’ampia gamma di problemi pratici. Ma poiché la saggezza convenzionale è ancorata alla falsa immagine di cariche che emettono fotoni, il pensiero convenzionale porta a paradossi e contraddizioni.

Un problema di particolare interesse è quello della reazione di radiazione. Se una carica emette un fotone, la forza di reazione di radiazione sulla carica provoca un’ulteriore accelerazione sulla carica. Il che significa più radiazione. Che causa un’ulteriore accelerazione. Il risultato è un’accelerazione e una radiazione esponenzialmente crescenti ogni volta che si accelera una carica. Questo non è un modello accurato di come funziona l’universo, ma è il risultato assurdo suggerito dalla teoria convenzionale.

Qual è il suono di una mano che batte le mani? La domanda è priva di senso, perché per battere le mani ci vogliono due mani. Eppure i fisici persistono nel porsi la domanda altrettanto priva di senso dell’accelerazione della radiazione di una singola carica.

Invece, qualsiasi modello di radiazione richiede almeno due cariche. Un dipolo è il modello più semplice di una sorgente di radiazione che preserva la fisica necessaria per comprendere cosa sta succedendo. Una singola carica può accelerare solo se ci sono cariche vicine, ad esempio sulle piastre di un condensatore, che creano un campo che causa l’accelerazione. Considerando quel campo, scoprirai che una carica in accelerazione assorbe energia, non emette energia. Pensa a una carica in accelerazione come a una piccola corrente. Più velocemente si muove la carica, più forte è la corrente e più intensi sono i campi magnetici intorno alla carica. Una carica in accelerazione acquisisce energia dal campo magnetico responsabile dell’accelerazione.

Considerando il problema dal punto di vista meccanico, si giungerà alla stessa conclusione. Una carica in accelerazione si muove sempre più velocemente. La sua energia cinetica aumenta a scapito dell’energia potenziale del campo applicato. In qualunque modo la si guardi, le cariche in accelerazione assorbono, non emettono, energia. I campi di radiazione della carica in accelerazione si propagano attraverso l’energia in ingresso assorbita dalla carica in accelerazione. L’energia di radiazione proviene in definitiva dalla regione marginale del campo applicato generato dal condensatore. Non reagisce direttamente contro la carica in accelerazione.

Il riduzionismo a carica singola dell’approccio convenzionale porta a una serie di problemi e malintesi. Ad esempio, vedrete fisici affermare con sicurezza che i campi magnetici non possono compiere lavoro, perché la legge di Lorentz agisce perpendicolarmente alla direzione dell’altra carica che genera il campo magnetico. Lascerò questo come esercizio al lettore.

Questa svolta sbagliata necessita di correzione.

Accenni spesso a questa “svolta sbagliata”. Puoi essere più specifico? Qual è stata la svolta sbagliata, chi l’ha fatta, dove ci ha portato?

Positivismo, Einstein e confusione, rispettivamente. Mi spiego meglio.

Il secondo libro della mia trilogia “Fields & Energy” esaminerà questo argomento in modo più approfondito. Troverete la maggior parte dei contenuti già pubblicati sul mio “Fields & Energy Substack” . Alla fine del XIX secolo, Ernst Mach (1838-1916) propose un modo di guardare alla scienza che – con qualche elaborazione – divenne una scuola di pensiero chiamata “positivismo”. Mach poneva al primo posto gli osservabili e respingeva le speculazioni sui processi sottostanti. “I nostri studi non potranno mai metterci in contatto con la realtà”, era l’atteggiamento disfattista di un fisico, “non potremo mai andare oltre le impressioni che la realtà impianta nelle nostre menti”.

Campi ed energia

5.1 Positivismo e fisica

Una nuova prospettiva filosofica stava iniziando a permeare la fisica. Deridendo le “preoccupazioni metafisiche” come se fossero al di là del regno della fisica, i sostenitori di questa filosofia, chiamata positivismo, sostenevano che le prove sperimentali, le nostre osservazioni della realtà, fossero di primaria importanza…

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9 mesi fa · 34 Mi piace · 14 commenti · Hans G. Schantz

Mach ebbe una profonda influenza su Albert Einstein (1879-1955). Einstein capì che le scoperte emergenti in elettrodinamica potevano essere spiegate da due principi: in primo luogo, che le leggi della fisica sono identiche in tutti i sistemi di riferimento non accelerati, e in secondo luogo, che la velocità della luce (nel vuoto) è la stessa per tutti gli osservatori, indipendentemente dal moto della sorgente luminosa o dell’osservatore. Da questi due principi, derivò le trasformate di Lorentz, per le quali Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928) aveva richiesto undici postulati. Nessun meccanismo, nessun processo, nessun etere necessario per spiegare cosa stesse accadendo. Bastava concentrarsi sulle osservazioni, insisteva Einstein.

Ironicamente, le opinioni di Einstein iniziarono a cambiare quando estese il suo pensiero ai corpi in accelerazione nella teoria della Relatività Generale. “Lo spaziotempo dice alla materia come muoversi”, spiegò John Archibald Wheeler (1911-2008). “La materia dice allo spaziotempo come curvarsi”. Che lo spazio libero potesse avere questa misteriosa proprietà di curvatura dello spaziotempo sapeva di etere, ed Einstein lo riconobbe in una lezione del 1920.

Werner Heisenberg (1901–1976) riferì che, qualche anno dopo, Einstein obiettò che la formulazione di Heisenberg della meccanica quantistica non lasciava spazio al concetto di “cammino dell’elettrone”. Heisenberg, esperto degli scritti di Einstein sulla relatività, rispose citando Einstein stesso, sostenendo che, poiché un tale cammino non può mai essere osservato direttamente, non vi era alcuna giustificazione per includerlo nella teoria. Dopotutto, Einstein aveva impiegato un ragionamento simile nello sviluppo della relatività ristretta. Con sorpresa di Heisenberg, Einstein rispose: “Forse ho usato una simile filosofia in precedenza, e l’ho anche scritta, ma è comunque una sciocchezza”.

Nathan Rosen (1909–1995) e Albert Einstein (1879–1955) posano accanto al titolo di un articolo del New York Times del 18 aprile 1935.

Einstein sosteneva che “Dio non ha giocato a dadi con l’universo” e sosteneva, insieme ai coautori Boris Podolsky (1896-1966) e Nathan Rosen (1909-1995) nell'”EPR Paper”, così chiamato dalle iniziali degli autori, che la meccanica quantistica era incompleta.

Purtroppo, il pensiero di Einstein fu messo da parte a favore dell’Interpretazione di Copenaghen, sostenuta da Niels Bohr (1885-1962) (e generosamente finanziata dalla Fondazione Rockefeller). Il fisico Murray Gell-Mann (1929-2019) dichiarò che “Niels Bohr ha fatto il lavaggio del cervello a un’intera generazione di teorici…”.

È ancora vero? Non essendo uno scienziato professionista, non posso affermare di avere il polso della comunità scientifica. Gli scienziati odierni sono ancora in gran parte influenzati dall’approccio positivista di Niels Bohr?

L’interpretazione di Copenaghen di Niels Bohr rimane la spiegazione più accreditata in uno studio recente , sebbene siano state prese in considerazione numerose alternative.

Noterete la distribuzione delle opinioni sulla meccanica quantistica, sopra. Tutti sanno che ci sono dei problemi. Si tratta di scegliere la risposta meno peggiore, e ce ne sono molte tra cui scegliere. Notate come circa la metà di coloro che aderiscono a una particolare interpretazione non ne siano convinti.

Forse è ironico che una filosofia chiamata “positivismo” abbia portato gli scienziati a essere così cauti riguardo a ciò che postulano. Ma questo è un argomento che affronteremo in un altro momento. Con queste basi gettate, parliamo di ciò che conta. Parlaci della tua nuova teoria!

Nella mia teoria, l’elettromagnetismo è dovuto a due fattori: campi non locali che si comportano come onde, ed energia locale che – nel limite quantistico – si comporta come particelle. I campi si propagano come onde. L’energia fluisce lungo percorsi specifici e si comporta come particelle nel limite quantistico.

La luce non è fatta solo di onde o campi. La luce non è fatta solo di particelle o energia, e la luce non è certo la strana e controintuitiva “particella” con proprietà ondulatorie contraddittorie e simultanee della meccanica quantistica convenzionale.

La luce non è una cosa sola. È composta da due fenomeni distinti ma complementari: campi distribuiti non locali che guidano il flusso locale di energia. La mia teoria nasce dall’elettrodinamica classica e fornisce una base classica per un approccio alla meccanica quantistica di tipo “onda pilota”.

Poiché una delle tue critiche alla teoria attuale è la sua inapplicabilità all’ingegneria, puoi parlarci un po’ delle implicazioni ingegneristiche della tua teoria? Ad esempio, la teoria convenzionale afferma che “X è possibile e Y è impossibile”, mentre la teoria dei campi e dell’energia afferma “no, X è impossibile, ma Y è assolutamente possibile”.

Ottima domanda. Ecco un esempio molto specifico di un’applicazione pratica dell’ingegneria, inconcepibile o paradossale secondo il pensiero convenzionale. Ecco un modo per realizzare un sistema di localizzazione e posizionamento elettromagnetico in campo vicino.

Supponiamo di disporre due piccoli anelli magnetici o dipoli ad angolo retto tra loro e di alimentarli in quadratura, ovvero con una differenza di fase di novanta gradi. Il risultato è un trasmettitore che comprende un dipolo virtuale che ruota alla stessa frequenza della radiazione. I campi si propagano radialmente verso l’esterno dai dipoli sovrapposti all’origine, tuttavia l’energia curva sotto l’influenza della fase a spirale progressiva dei campi che si propagano radialmente. Il risultato è che l’energia finisce per viaggiare sfalsata di circa un terzo di lunghezza d’onda (λ/π) rispetto alla propagazione effettiva dei campi.

Due antenne a loop ortogonali (sinistra). Il flusso di energia a spirale è compensato di (λ/π) da un percorso radiale diretto (destra).

Esatto. Se si utilizzano sistemi wireless di rilevamento della direzione o dell’angolo di arrivo, si scoprirà che l’energia proviene da una direzione sfalsata rispetto alla sorgente effettiva di circa un terzo della lunghezza d’onda. Questo è incoerente con il pensiero convenzionale in cui si presume che i fotoni irradino direttamente, radialmente verso l’esterno da una sorgente. Modificando la fase degli anelli, è possibile far ruotare i campi in senso orario o antiorario. L’energia rilevata nella regione del campo lontano sembra provenire da una traiettoria sfalsata da un lato o dall’altro rispetto alla vera origine. Questa può essere una distanza significativa a basse frequenze e lunghezze d’onda elevate.

Queste relazioni di fase sono alla base di un sistema di guida e orientamento sviluppato dallo scienziato dell’esercito Heinrich P. Kalmus (1906–1982) ¹ , ² , ³ . I miei colleghi e io abbiamo riscoperto questo effetto e lo abbiamo applicato con successo al problema di implementare un sistema di localizzazione indoor in campo vicino ad alta precisione e bassa frequenza. ⁴ Ho incluso i riferimenti alla fine per i lettori che desiderano approfondire l’argomento con il materiale originale.

I campi guidano l’energia. Anche in questo caso, i campi vanno in una direzione. Si propagano radialmente verso l’esterno. L’energia va in un’altra direzione. Curva durante la propagazione, spostata di λ/π rispetto a una traiettoria puramente radiale. Questo contraddice direttamente il pensiero convenzionale secondo cui, una volta irradiato, un fotone si propaga lungo una traiettoria radiale rettilinea senza perturbazioni.

Questo è un esempio molto concreto. Puoi farne uno più speculativo? Come scrittore di fantascienza e game designer, mi piacerebbe molto se potessi parlarmi delle implicazioni per la fantascienza speculativa. Se la tua teoria è corretta, cosa apre in termini di fantascienza hard? Cosa chiude?

Cosa blocca? Il multiverso. Una teoria simile all’onda pilota mette in dubbio il multiverso, soprattutto nel contesto dell’interpretazione a molti mondi (MWI) della meccanica quantistica, perché fornisce una spiegazione alternativa dei fenomeni quantistici che non richiede universi ramificati o realtà multiple per dare un senso alle probabilità quantistiche.

Se può consolarvi, ho comunque intenzione di continuare a usare il Multiverso nella mia narrazione. Il multiverso è una potente tecnica narrativa perché permette ai creatori di esplorare realtà alternative, scenari ipotetici e molteplici versioni di personaggi o eventi senza violare la logica interna di un mondo narrativo.

La premessa del mio racconto, Split Decision , proposto anche nella mia campagna di crowdfunding, è che l’eroe si ritrova catapultato in una situazione senza via d’uscita e deliberatamente distrugge la linea temporale. Si costringe a perseguire ogni possibile soluzione per trovare una soluzione.

Per quanto riguarda le nuove opportunità che la mia teoria sui Campi e l’Energia apre, ci sto ancora lavorando. Restate sintonizzati!

Beh, restare sintonizzati non è così facile come potrebbe sembrare, sai. Sei stato, per dirla con gentilezza, “bloccato”. Non sei riuscito a pubblicare i tuoi articoli su riviste peer-reviewed o persino su alcune riviste open access. Persino Kickstarter non approva le tue campagne. Eppure vediamo ogni giorno la pubblicazione di articoli “scientifici” assolutamente assurdi. Perché sei bloccato? Nella tua serie di fantascienza alludi a una cospirazione…

Ironicamente, dieci anni fa, quando scrissi il mio primo romanzo, ” La verità nascosta” , inserii un’oscura cospirazione che chiamai “Circolo civico”, che immaginavo muovesse i fili di tutte le altre cospirazioni di cui potreste aver sentito parlare. Ambientai la storia in una linea temporale alternativa, parallela alla nostra. Temevo che l’idea di una cabala malvagia che lavora dietro le quinte per assicurarsi potere e controllo a spese del benessere del resto dell’umanità potesse essere un po’ troppo inverosimile per la sospensione dell’incredulità di alcuni lettori.

Non ho più queste preoccupazioni.

Uno degli aspetti più interessanti delle continue rivelazioni sul caso Epstein è la misura in cui Epstein in particolare e le agenzie di intelligence in generale si sono infiltrate e hanno influenzato le indagini e le scoperte scientifiche. L’agenzia di intelligence israeliana, il Mossad, sembra essere stata particolarmente attiva in questo ambito. Il ricatto sessuale è solo la punta di un fetido iceberg che include anche l’influenza e il controllo della scienza. L’articolo della Dott.ssa Naomi Wood è un buon punto di partenza per approfondire la questione.

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22 giorni fa · 978 Mi piace · 537 commenti · Dott.ssa Naomi Wolf

Non credo che ci sia alcun tentativo deliberato o attivo di mettere a tacere il mio lavoro in particolare. È semplicemente molto difficile per un estraneo fare colpo di fronte a un establishment radicato. In Fields & Energy , racconto la storia di John Herapath (1790-1868) e John James Waterston (1811-1883). Decenni prima che James Clerk Maxwell (1831-1879) formulasse la teoria cinetica dei gas, Herapath (nel 1820) e Waterston (nel 1845) presentarono indipendentemente alla Royal Society articoli sulla teoria cinetica dei gas.

John Herapath (1790–1868), a sinistra, e John James Waterston (1811–1883), a destra.

In ogni caso, il loro approccio, per lo più corretto, è stato respinto in modo sommario. Wikipedia giustifica questa decisione affermando che gli articoli “non hanno superato la revisione paritaria”. Sarebbe più corretto affermare che la revisione paritaria ha bocciato quegli articoli e i loro autori.

Un tempo, non molto tempo fa, ero un membro senior dell’IEEE, l’Institute of Electrical and Electronics Engineers. Nel corso degli anni ho sottoposto a peer-review decine di articoli per altri ricercatori. L’ho fatto (senza alcun compenso) nella speranza di poter beneficiare del feedback dei miei colleghi quando desideravo inviare un articolo. Ma quando ho inviato il mio articolo originale all’IEEE Transactions on Antennas and Propagation, l’editore lo ha respinto senza alcuna revisione. Ho provato con altre riviste con risultati simili. Alla fine, il professor Raj Mittra (1932–) ha accettato il mio articolo per la pubblicazione su una rivista online purtroppo poco nota da lui curata su e-fermat.org . ArXiv mi ha permesso di condividere il mio primo articolo, ma quando sono tornato per pubblicarne uno successivo, ArXiv lo ha respinto. Inizialmente mi è stato detto che solo “veri” scienziati con un curriculum di pubblicazioni altrove potevano contribuire. Quando ho fatto notare che soddisfacevo quel criterio, mi è stato detto che il mio articolo “non era adatto” e che avrei dovuto provare a pubblicarlo altrove.

Alla fine ho presentato una versione aggiornata di quell’articolo, “Velocità dell’energia e campi reattivi”, che è stata accettata dalla Philosophical Transactions of the Royal Society A , una rivista peer-reviewed di tutto rispetto.

Ma che faticaccia riuscire a pubblicare un articolo! Ho passato più tempo a discutere con editor e revisori che a scriverlo, e ci sono voluti anni per pubblicare il mio lavoro. Anche se a volte ho ricevuto feedback utili dai revisori, il processo offre un ritorno estremamente basso per lo sforzo richiesto.

La “scienza sottoposta a revisione paritaria” è diventata un sacramento fondamentale del culto moderno dello scientismo. È importante fare un passo indietro e rendersi conto di quanto sia recente la revisione paritaria. Nel corso della sua intera carriera, ad esempio, Einstein fu sottoposto a revisione paritaria solo una volta, e fu così contrariato dal fatto che l’editore avesse inviato il suo articolo per una revisione esterna che Einstein ritirò l’articolo e non lo pubblicò mai più su quella rivista!

Robert Maxwell, padre di Ghislaine Maxwell, creò la Pergamon Press, una casa editrice di riviste scientifiche con lo scopo specifico di trasformare la conoscenza scientifica in profitto . Il modello di business era (e rimane) sbalorditivo nella sua arroganza. Gli autori pagano a Maxwell e ai suoi successori odierni, “quote di pagina”, per coprire i costi di pubblicazione. Poi, università e biblioteche pagano ingenti quote di abbonamento alle riviste. La Pergamon proliferò un’ampia gamma di nuove riviste a cui i ricercatori dovevano abbonarsi per rimanere aggiornati sui lavori nei loro settori. In passato, le riviste più prestigiose avevano redattori brillanti e colti in grado di rimanere aggiornati su un particolare campo, fornire feedback e prendere decisioni di pubblicazione consapevoli. Geni del genere sono rari e rari. Così, per alimentare il crescente catalogo di riviste, i redattori della Maxwell iniziarono a inviare gli articoli a una manciata di revisori che li esaminavano gratuitamente e consigliavano i redattori sui meriti degli articoli. Così la scienza peer-review divenne una pietra miliare della cultura moderna.

Oltre a consentire alle agenzie di intelligence di esercitare un controllo significativo sul progresso scientifico, la revisione paritaria ha l’ulteriore vantaggio, dal loro punto di vista, di imporre la conformità e di rallentare il ritmo di innovazioni potenzialmente dirompenti.

Erodoto elogiò la civiltà egizia per la sua antichità e il suo ordine, ma ne notò anche la rigidità e il conservatorismo. Al contrario, ammirò le città-stato greche per la loro diversità, competizione e innovazione, in particolare nella vita politica e intellettuale. L’Egitto favorì la stasi. La Grecia innescò un’ondata di innovazione senza precedenti, le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi.

Nel suo libro Lost World , Michael Crichton ha spiegato in modo vivido i pericoli del conformismo.

Penso che il cyberspazio significhi la fine della nostra specie… significhi la fine dell’innovazione… Quest’idea che il mondo intero sia collegato insieme è una morte di massa. Tutti sanno che piccoli gruppi isolati si evolvono più velocemente. Metti mille uccelli su un’isola oceanica e si evolveranno molto velocemente. Mettine diecimila su un grande continente e la loro evoluzione rallenta. Ora, per la nostra specie, l’evoluzione avviene principalmente attraverso il nostro comportamento. Innoviamo nuovi comportamenti per adattarci. E tutti sulla Terra sanno che l’innovazione avviene solo in piccoli gruppi. Metti tre persone in un comitato e potrebbero ottenere qualcosa. Dieci persone e diventa più difficile. Trenta persone e non succede nulla. Trenta milioni e diventa impossibile. Questo è l’effetto dei mass media: impediscono che accada qualcosa. I mass media sommergono la diversità. Rendono ogni luogo uguale. Bangkok o Tokyo o Londra: c’è un McDonald’s a un angolo, un Benneton a un altro, un Gap dall’altra parte della strada. Le differenze regionali svaniscono. Tutte le differenze svaniscono. In un mondo dominato dai mass media, c’è meno di tutto, tranne i primi dieci libri, dischi, film, idee. La gente si preoccupa della perdita di diversità delle specie nella foresta pluviale. Ma che dire della diversità intellettuale, la nostra risorsa più necessaria? Sta scomparendo più velocemente degli alberi. Ma non l’abbiamo ancora capito, quindi ora stiamo progettando di mettere insieme cinque miliardi di persone nel cyberspazio. E questo congelerà l’intera specie. Tutto si fermerà di colpo. Tutti penseranno la stessa cosa nello stesso momento. Uniformità globale.

Per ribadire, non credo che le sfide che ho dovuto affrontare siano il risultato di una deliberata campagna di controllo nei miei confronti, ma piuttosto di un’indifferenza sistemica verso l’innovazione, probabilmente deliberatamente progettata attraverso il controproducente sistema di revisione paritaria.

Ho visto tutto questo e ho deciso di condividere i miei risultati scrivendo il mio libro e riunendo il mio team di revisori in un canale privato su Telegram (le candidature sono ancora aperte. Contattatemi in privato se volete unirvi al team ). Ora ho quasi tremila iscritti che seguono i miei aggiornamenti su Substack, circa un terzo dei quali apre le email quando invio un aggiornamento. Ora interagisco e condivido le mie idee con un pubblico molto più ampio di quello che sono mai riuscito a ottenere seguendo il percorso tradizionale delle pubblicazioni “peer-reviewed” e delle conferenze professionali.

E così eccoci qui.

Sono lieto di vedere che fundmycomic.com ha approvato la tua campagna di crowdfunding. A chi si rivolge la tua campagna e cosa possono aspettarsi di ottenere sostenendoti? È qualcosa che può piacere a un profano autodidatta o è rivolto a ingegneri e scienziati professionisti? Un brillante studente delle superiori potrebbe capirlo o richiede conoscenze universitarie?

Vorrei iniziare con un omaggio a FundMyComic.com . Sono venuti in mio soccorso dopo che la mia campagna Kickstarter è stata cancellata. Due volte. Se avete un progetto controverso che vorreste finanziare, loro sono al vostro fianco.

Il pubblico a cui mi rivolgo nasce dall’episodio che mi ha ispirato a scrivere ” Campi ed Energia” . Una sera, circa sette anni fa, ho spiegato le mie frustrazioni nel vedere le mie idee prese sul serio ad alcuni amici, il grande maestro della fantascienza John C. Wright e sua moglie, altrettanto talentuosa, L. Jagi Lamplighter Wright. Mi hanno chiesto quale fosse la mia idea. Gliel’ho spiegata. L’hanno capita. E mi si è accesa la lampadina.

Il mio problema non era che avessi una nuova teoria troppo complicata da spiegare al tipico fisico o ingegnere. Se persone intelligenti e colte, senza una profonda formazione formale in scienza e ingegneria, la afferrano così facilmente, qualsiasi studente di scienze o ingegneria alle prime armi o un profano interessato non dovrebbe avere difficoltà. Il problema era che la saggezza convenzionale è troppo radicata nella mente della maggior parte dei fisici o degli ingegneri perché possano fare un passo indietro e considerare una nuova prospettiva. La saggezza convenzionale funziona così bene che diventa difficile per i professionisti immersi nel suo contesto fare un passo indietro e mettere in discussione le proprie premesse fondamentali. C’è una ragione per cui Planck disse che “Una grande verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori e facendo loro vedere la luce, ma piuttosto perché i suoi oppositori alla fine muoiono e cresce una nuova generazione che la conosce”.

I miei lettori target sono studenti curiosi e profani intelligenti che condividono la mia passione per la comprensione dell’elettromagnetismo e del suo funzionamento. Spero anche di raggiungere ingegneri e scienziati professionisti che non solo si rendono conto che c’è qualcosa che non va nello status quo, ma sono anche disposti a considerare un’alternativa con una mente aperta.

Grazie mille, Hans! Ora contempleremo i campi e l’energia dell’Albero del Dolore.

La sofferenza è una delle forze fondamentali dell’universo?

Assolutamente.

La Genesi racconta di come Giuseppe fu venduto come schiavo in Egitto dai suoi fratelli. È una storia dolorosa e toccante. Eppure, anni dopo, quando arrivò la carestia, Giuseppe aveva raggiunto una posizione elevata sotto il Faraone ed era in grado di sfamare i suoi fratelli e le loro famiglie. “Voi avevate pensato del male contro di me”, spiegò loro, “ma Dio ha pensato di convertirlo in bene”.

Ripensando ai numerosi insuccessi e alle delusioni della mia carriera professionale, mi rendo conto che nella maggior parte dei casi si è trattato di colpi di fortuna evitati. Quanto sarei stato infelice se mi fossi assicurato una cattedra nel mondo accademico odierno, sotto la costante pressione di pubblicare o morire e di attenermi al pensiero convenzionale per non essere licenziato.

Se avessi ottenuto quel comodo lavoro di insegnante in un community college, mi sarei accontentato di insegnare fisica di base per il resto della mia vita invece di dedicarmi all’ingegneria e a promuovere nuove innovazioni?

Avrei imparato e realizzato altrettanto professionalmente se avessi ottenuto un guadagno facile e veloce dalla mia esperienza imprenditoriale, invece di rimanere snello e affamato e creare quante più invenzioni intelligenti e idee innovative possibili per far funzionare l’azienda?

Penso di no. Lascio a te e ai tuoi lettori un’ultima riflessione:

L’esperienza è il crogiolo in cui la provvidenza trasforma il dolore in saggezza.

Questo è tutto per la puntata di questa settimana. Assicuratevi di iscrivervi al Substack di Aetherczar “Fields & Energy”, se non l’avete già fatto. Potete iscrivervi su https://aetherczar.substack.com/ . Ancora più importante, assicuratevi di sostenere “Fields & Energy” per ottenere una copia del libro di Hans.

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 Iscritto

1

Kalmus, Henry P., “Un nuovo sistema di guida e tracciamento”, TR-974, Diamond Ordnance Fuze Laboratories, Esercito degli Stati Uniti, marzo 1962, pp. 7-10.

2

Kalmus, HP, “Indicatore di direzione”, brevetto USA 3.121.228, 11 febbraio 1964.

3

Kalmus, Henry P., “Un nuovo sistema di guida e tracciamento”, IRE Transactions on Aerospace and Navigational Electronics, 20 settembre 1961, pp. 7-10.

4

Schantz, Hans G., Andrew Compston, Robert DePierre, James Matthew Barron, “Sistema e metodo elettromagnetico a campo vicino a stati di fase multipli per la comunicazione e la localizzazione”, brevetto USA 8.253.626, 28 agosto 2012.

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L’archetipo dell’esecutoreCome Elio Petri predisse David Puente

L’archetipo dell’esecutore
Come Elio Petri predisse David Puente

Il cinema di Elio Petri ha raccontato i“Direttori” al di sopra di tutto per mandato di pochi .

Qui serve un ragionamento stoico e spietato a tratti affettuoso verso il nostro compagno delle tante distopie recenti , immersi come siamo in una realtà priva delle scale mobili dei grigi .

Prima dell’exploit digitale del 2019/20, molti di noi, abitanti del fortino ribaltato di Alamo — indiani assediati dentro, i pochi fuori — hanno creduto di poter riflettere la medesima superiorità intellettuale semplificata dallo stile sessantotto .

Ritengo questo approccio negativo rispetto a un percorso consapevole delle dinamiche media-politiche.
Non per un vizio “platonico”, ma perché è urgente dare a David ciò che è di David . Donatello .

Per questo è piacevole rammentare come qualcuno cinquant’anni fa , molto lucidamente , non solo ne predisse l’avvento ,ma ne rappresentò anche l’anima .

Il cliché del lealista da sala da the alla corte del Re — il Ser Bis di Robin WokeWood, per capirci, un po’ serpe e un po’ Bruno Vespa— colui che , negando la regola aurea della tradizione elitaria marxista, non è identificabile nel solito luogo comune del mediocre ambizioso pronto a tutto.

Petri proprio in quegli anni “formidabili”, per fare film anarchici e meta-narrare il presente, scelse la via di evitare l’assimilazione censoria , esercitando un simbolismo interno-esterno raffinatissimo.

Nelle sue interviste incarnava il prototipo del “Comunista Così”, versione pravda edition, stratagemma essenziale per il riconoscimento borghese in essere mantenendo così la sopravvivenza culturale del suo cinema.

Alle Frattocchie (la scuola quadri del PCI), sopportavano l’artificio (solo i più svegli), basta che da contratto continuasse a separare le due anime: quella pubblica e quella più anarchica.

Per questo pensare che David Puente non sia in grado di comprendere le tesi complesse di chi lo attacca come osservava @alunni_70, è una sottovalutazione .
Le figure come il direttore di Open infatti sanno maneggiare con cura sia le critiche e le relative contromosse, e proprio per questo sono . Altrimenti non sarebbero.

Ruoli del genere sono frutto di selezione e non sono assimilabili ai comprimari “figli di “ superando così il grottesco mediatore riduttivo della commedia all’italiana e i cavalli di battaglia del “ Non siamo in un film di Alberto Sordi “.

Per capirci vanno oltre il filtro burocratico finale da “ tagliatori di teste “ tra la società del controllo e la “schiuma della terra” tanto cara a Wellington .(come chiamava i suoi soldati il generale che sconfisse Napoleone nello scontro finale).

Questi profili richiestissimi , invece assomigliano all’archetipo di quell’esecutore spietato e felicemente partecipe , esattamente la figura del prescelto dalla Macchina oppressiva che tutto vede che magistralmente raccontava Elio Petri.

Puente, da questo punto di vista, potrebbe essere benissimo “il Dottore” di “Indagine su un cittadino..”, o il Lou Castel (“il Niño” in “Quien Sabe”). Ma solo parzialmente .

È “il Direttore” di “ Sbatti il mostro in prima pagina “ il giornalista cinico e reazionario naturalmente partecipe la personificazione che davvero potrebbe rappresentarlo .

Non sono figure ignoranti né superficiali , tutt’altro : dobbiamo riconoscerne le “qualità”, infatti non è da tutti essere guardiani di soglia conto terzi .

Questi profili sono più attratti dalla logistica e alle sfaccettature del sotto e del sopra : quello che è bene oggi è male domani e viceversa .

Ovviamente anche il profitto non li attrae , quando domini un territorio anche la pecunia al massimo è consuetudine per assimilazione di classe .

Abbandoniamo dunque l’interpretazione riduttiva dell’esecutore ambizioso e di chi per indole, fa parte dei portatori di luce .
Figli prediletti delle zone d’ombra che rappresentano .

Filosofia politica, di Spenglarian Perspective

Filosofia politica

spenglarian.perspective4 agosto
 
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La storia dei regimi e delle forme di Stato non tiene conto delle forze sottostanti che motivano la politica. Per rimediare a questa lacuna, Spengler dedica il capitolo successivo al cesarismo al concetto di politica e al modo in cui il periodo della civiltà lo applica a se stesso.

Spengler apre questo nuovo capitolo con un’analisi di come viene percepita la politica rispetto a come è realmente.

In tutte le epoche [gli statisti] hanno saputo ciò che dovevano fare, e qualsiasi teoria su questa conoscenza è stata estranea sia alle loro capacità che ai loro gusti. Ma i pensatori professionisti che hanno rivolto la loro attenzione ai fatti compiuti dagli uomini sono stati così lontani, interiormente, da queste azioni che si sono limitati a tessere per sé una ragnatela di astrazioni — preferibilmente astrazioni-miti come la giustizia, la virtù, la libertà — e poi le hanno applicate come criteri agli eventi storici passati e, soprattutto, futuri.”

Fin dall’inizio, Spengler sottolinea un’apparente mancanza di coscienza negli statisti di successo (non solo nei politici), contrapposta all’eccesso di coscienza degli intellettuali che cercano di elaborare una scienza della politica. Questo non significa che un buon statista faccia ciò che vuole e ottenga per caso un risultato positivo, ma che un buon statista agisce secondo una logica contraria all’idealismo astratto, poiché si occupa solo dei fatti del momento. Può usare la giustizia, la virtù e la libertà come slogan, ma riporre vera fiducia in queste idee serve solo a indebolirlo. Lo stesso vale per qualsiasi ideale, non solo quelli liberali, perché gli ideali sono l’emblema della religione e dell’intelletto sterile che desidera verità eterne e immutabili piuttosto che la realtà di un mondo in costante cambiamento. Quindi, per risolvere il problema accademico, dove roviniamo la nostra comprensione del potere, della politica e dell’arte di governare trasformandoli in sistemi, Spengler propone «una fisionomia della politica così come è stata effettivamente praticata nel corso della storia generale, e non come avrebbe potuto o dovuto essere praticata».

La concezione della storia di Spengler è legata all’idea delle culture superiori e delle loro forme. La storia è il movimento degli oggetti e, in questo caso, è lo sviluppo nel tempo dei “flussi dell’essere”, la successione di sangue e forma da una generazione all’altra. Ne sono esempi la famiglia, i primogeniti, i popoli e le nazioni, e più forte è il senso di appartenenza dell’individuo a questo insieme più grande, e meglio i suoi figli sono in grado di imitarlo per preservarne la forma, più sicura è l’esistenza del flusso dell’essere. La politica è la coltivazione e il mantenimento di questa forma. La politica consiste nel convogliare quell’energia in mezzi utili per espandere e consolidare il potere. Rimanere fermi significa stagnare e alla fine declinare, quindi le uniche due vere vie della politica sono indebolirsi e scomparire o rafforzarsi e realizzarsi.

Nelle culture più elevate, la prima parvenza di un flusso di esseri che assumono una forma si manifesta attraverso la nobiltà, che coltiva questa energia con linee familiari di vario tipo di successione. Essere nobili significa avere l’obbligo di garantire la propria forma e trasmetterla ad altri. La stessa tendenza appare, in termini più deboli, nei migliori politici moderni. Un buon politico nelle democrazie odierne avrà una personalità attorno alla quale i suoi sostenitori potranno riunirsi e, idealmente, dei successori, così che quando il suo mandato giunge al termine, le sue politiche e i suoi ideali saranno sostenuti da un partito di fedeli seguaci.

Al contrario, il sacerdozio, il contro-stato, non canalizza questa energia o il suo sangue, ma la uccide attivamente. Ogni movimento scolastico primitivo ha gettato le basi per la filosofia, la scienza, l’etica e i sistemi politici futuri che operano su astrazioni che ignorano le brutte realtà del potere. L’atto di astinenza che si riscontra in molti ordini sacerdotali in tutto il mondo è un’espressione di questa tendenza all’uccisione. La linea di sangue si interrompe in una generazione perché essi rifiutano il mondo e le sue tentazioni, comprese la guerra e il potere.

Tutta la politica, alla base, è guerra. Concorrenza sarebbe un termine più preciso. Emerge in modo primitivo nelle piante che lottano con altre piante per il terreno su cui crescere. Più diventano grandi, più hanno bisogno di difendere il loro spazio, in modo da poter controllare le preziose risorse a cui possono accedere. Gli animali uccidono le prede o altri branchi della loro specie per lo stesso motivo. L’umanità si ritiene superiore a tutto questo, e così le sue guerre vengono costantemente velate da trattati, obblighi internazionali, commercio e dibattiti ideologici, ma la competizione è alla base di tutto, e la guerra è il suo risultato più evidente. La guerra richiede e osserva un’altra tendenza, che è l’intrinseca socialità di questo mestiere. Un popolo preserva la propria forma di nazione e di Stato contro altre nazioni e altri Stati. Più è organizzato, meglio può difendersi e avere certezza della propria identità, ma il fine ultimo è il progresso della propria unità di vita a scapito di tutte le altre.

Ecco perché l’idea di governare con l’idealismo è errata. La politica è sempre stata, e sempre sarà, una lotta tra vincitori e vinti. La politica pura è il potere contro il diritto. Ciò può essere oscurato da precedenti locali, che si tratti di onore, elezioni, dibattiti e procedure, che sono tutti il prodotto di una sistematizzazione della politica secondo ciò che dovrebbe essere. Ma attraverso queste regole si muovono gli eterni flussi e le forme in cui le persone si organizzano per realizzarsi. La Germania poteva rispettare il trattato di Versailles, oppure poteva semplicemente ignorarlo perché non era nel suo interesse nazionale rispettarlo. Credere nel potere delle parole scritte su un pezzo di carta piuttosto che nella realtà della politica è stato il primo errore che ha portato il mondo alla seconda guerra mondiale e quindi il primo errore che alla fine ha ucciso l’egemonia mondiale della Gran Bretagna.

La lotta non è tra principi, ma tra uomini; non tra ideali, ma tra qualità razziali; per il potere esecutivo è l’alfa e l’omega. Anche le rivoluzioni non fanno eccezione, poiché la “sovranità del popolo” esprime solo il fatto che il potere dominante ha assunto il titolo di leader del popolo invece di quello di re.”

La politica pura assume quindi un carattere chiaro di forme organizzate che competono per il dominio in modo tale che il vincitore prende tutto. Tutto ciò che conta tra il governo della Francia da parte di un re e quello da parte di un presidente è che l’autorità ha cambiato nome e struttura, ma la leadership esiste ancora e continua a governare lo stesso popolo all’interno dello Stato e della forma nazionale.

Anche in un contesto di pace mondiale assoluta, ciò implica comunque che il potere sia semplicemente concentrato nelle mani di un piccolo gruppo in grado di governare tutti con la forza senza che nessun altro possa usurparlo. La leadership di una maggioranza su una minoranza di forma e razza rigida, che la maggioranza può imitare seguendola, è universale e inevitabile in tutte le forme di politica, anche nelle rivoluzioni egualitarie come in Russia. La leadership è semplicemente passata dal re ai Napoleoni di Lenin, Trotsky e Stalin. Se la leadership di un gruppo sembra non esistere, è perché il potere è stato investito altrove, in un gruppo non associato ad esso.

Spengler usa l’inglese come esempio di questo fenomeno.

Non esistono popoli dotati politicamente. Quelli che si suppone tali sono semplicemente popoli saldamente nelle mani di una minoranza dominante e che, di conseguenza, si sentono in buona forma. Gli inglesi, come popolo, sono sconsiderati, limitati e poco pratici in materia politica quanto qualsiasi altra nazione, ma possiedono, nonostante il loro gusto per il dibattito pubblico, una tradizione di fiducia. La differenza sta semplicemente nel fatto che l’inglese è oggetto di un regime di abitudini molto antiche e consolidate, alle quali si conforma perché l’esperienza gli ha dimostrato i loro vantaggi.”

L’Inghilterra nel XIX e all’inizio del XX secolo era la nazione che meglio riusciva a preservare la propria forma sociale durante la transizione verso la civiltà, grazie al mantenimento di un’aristocrazia dalla forte volontà. Era fondata su famiglie secolari che gestivano ed espandevano il potere della Gran Bretagna nel mondo per necessità. I segni dei tempi, come il denaro, l’intelletto e l’industria, furono assimilati con cura nelle sue reti, con le università d’élite come Oxford e Cambridge che probabilmente giocarono un ruolo importante nell’assicurare che fosse la nobiltà a padroneggiare per prima queste idee. Ma anche prima della guerra, il XX secolo iniziò a portare con sé uno spirito di uguaglianza. Negli ultimi cento anni, in corrispondenza del declino dell’impero e della sottomissione della Gran Bretagna alle élite americane, la nobiltà perse il suo potere e divenne una classe sociale. Dopo la guerra, la Gran Bretagna non era più in grado di espandersi o garantire i propri interessi indipendenti e si ritirò, trasformando il suo impero da nazionale a finanziario. All’inizio del regno di Elisabetta II, la Gran Bretagna era la nazione più potente della Terra. Alla fine del suo regno, la Gran Bretagna non sta molto meglio dell’Europa orientale. L’élite che ha coltivato la nostra nazione è stata privata del suo potere e la popolazione inglese è stata privata della sua nazione.

Grazie per aver letto Spenglarian.Perspective!

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Il momento Warhammer dell’Occidente_di Tree of Woe

Il momento Warhammer dell’Occidente

Cosa succede quando il tecno-talitarismo è moralmente giustificabile?

02 agosto 2025

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Nella cupa oscurità di un futuro lontano, c’è solo la guerra.

È forse la tagline più famosa nella storia della speculative fiction, ed è diventata la base dell’intero genere del grimdark fantasy. È la tagline diWarhammer 40.000, l’ambientazione fantascientifica creata dall’azienda britannica Games Workshop.WH40K(come lo chiamano i fan) è nato nel 1987 come gioco di miniature da tavolo, ma nel corso dei decenni si è espanso in romanzi, videogiochi, fumetti e altri media. Negli ultimi anni è esploso nel mainstream della cultura pop, con meme che identificano il presidente Donald Trump conWH40KDio-Imperatore dell’uomo.

IlWH40KL’ambientazione si svolge nel 41° millennio, circa 38.000 anni nel futuro. L’umanità ha colonizzato gran parte della galassia e governa un enorme impero chiamato Imperium dell’Uomo. L’Imperium si estende su circa un milione di pianeti (circa la stessa dimensione della Repubblica Galattica di Star Wars), ma non è una società pacifica o progressista. L’Imperium dell’Uomo è, credo, l’esempio più estremo di stato teocratico fascista mai presentato nella narrativa. Nella forma, nell’ideologia, nel funzionamento, è il logico punto di arrivo della politica in un mondo in cui la sopravvivenza della specie è l’unico valore morale raggiungibile.

L’Imperium ha una portata totalitaria. Non c’è aspetto della vita che non sia di suo interesse, non c’è angolo dell’esistenza che non sia sotto il suo controllo. La sua burocrazia, l’Adeptus Administratum, si estende per tutte le stelle. I governatori dei pianeti sono nominalmente autonomi, ma sono vincolati dagli editti di Terra, applicati da infiniti strati di scribi, impiegati ed esattori. La conformità è, letteralmente, una condizione di sopravvivenza.

L’Imperium è di natura teocratica. L’Imperatore, tenuto in vita in un’agonia perpetua sul Trono d’Oro, è venerato non solo come un sovrano, ma come un dio. L’Ecclesiarchia fa rispettare il Credo Imperiale, assicurandosi che ogni uomo, donna e bambino su un milione di mondi pieghi il ginocchio alla sua autorità divina. L’adorazione non è una devozione privata, ma un dovere pubblico. L’apostasia non è un errore intellettuale, è un tradimento. La fede è obbligatoria perché la fede è un’armatura contro le potenze rovinose.

L’Imperium è militarista nella sua essenza. L’Astra Militarum, la Guardia Imperiale, composta da innumerevoli miliardi di soldati comuni, combatte guerre infinite contro alieni, eretici e demoni. Gli Adeptus Astartes, i famosi Space Marine, sono i guerrieri d’élite dell’Imperium, ognuno frutto di manomissioni genetiche e indottrinamento spirituale, armi viventi impiegate per schiacciare ribellioni, guidare invasioni o annientare minacce xeno. La Marina mantiene il controllo del vuoto. L’Adeptus Mechanicus si occupa delle macchine da guerra, i cui sacerdoti tecnologici preservano i motori di un’età dell’oro passata che non comprendono più.

Nell’Imperium dell’Uomo non esiste il concetto di libertà individuale. Non c’è libertà di parola, né di coscienza, né di proprietà privata, anzi non ci sono diritti al di là del bisogno dell’Imperatore. L’Imperium è una distopia brutale dove trilioni di persone vivono e muoiono nella miseria.

E le forze dell’Imperium sono lebravi ragazzinelWH40Kuniverso.

Siamo i cattivi? No, non lo siamo.

La domanda che assilla la maggior parte dei nuovi arrivati aWarhammer 40.000è semplice: Dato che l’Imperium dell’Uomo è un regime fascista, teocratico e totalitario, questo non lo rende… malvagio?

Dal punto di vista dei nostri quadri morali moderni, la risposta è chiara. Un liberale laico che eleva l’individuo sulla collettività, i diritti sui doveri e la ragione sulla fede sarà respinto dall’Imperium. Un progressista egualitario sarà inorridito dal razzismo, dalla xenofobia, dalla misoginia e dalla gerarchia dell’Imperium. Persino un neo-reazionario che preferisce il trono e l’altare difficilmente potrebbe sostenere il totalitarismo genocida dell’Imperium. Secondo il metro di misura di ogni ideologia contemporanea, l’Imperium è indiscutibilmente orribile.

Ma ilWarhammer 40Kl’universo non è il nostro universo.WH40Knon ci offre un universo umanistico come quello del liberalismo secolare, dove la ragione, la tolleranza e il progresso porteranno inevitabilmente a un domani più luminoso. Né ci concede l’universo freddo e morto dell’ateismo materialista, in cui il cosmo è indifferente alla vita umana ma in ultima analisi conquistabile attraverso la scienza. Né ci regala l’universo eucatastrofico del cristianesimo, in cui le tenebre del mondo decaduto sono trafitte dalla grazia divina di Cristo, la cui redenzione attende i fedeli.

No, la visione del mondo dell’Imperium parte da una serie di fatti metafisici così terribili che farebbero disperare persino H.P. Lovecraft. La galassia del 41° millennio è un luogo ostile, e non nel senso astratto di competizione geopolitica. È piena di civiltà aliene che vedono l’umanità come una preda: gli Orchi, una razza di guerrieri geneticamente modificati che vivono per la guerra; i Tiranidi, bestie alveari extragalattiche che divorano tutta la biomassa sul loro cammino; i Drukhari o Eldar Oscuri, sadici razziatori che si nutrono del dolore dei prigionieri. Con questi nemici non si può negoziare, ragionare o comprare. Possono solo essere uccisi.

Ancora peggiore è il Warp, la dimensione parallela attraverso la quale è possibile viaggiare più velocemente della luce. Il Warp non è un mezzo neutrale; è un mare di correnti psichiche abitate da entità demoniache, gli Dei del Caos, che cercano solo la corruzione, il tormento e la distruzione finale di ogni vita senziente. Ogni psichico umano è una potenziale porta d’ingresso per queste entità. Immaginate se ogni volta che la ragazzina del film di Stephen KingCarrieSe la donna avesse usato la sua psicocinesi, avrebbe potuto permettere a Satana di annientare ogni forma di vita sulla Terra. Questa è la posta in gioco nelWH40Kuniverso. Ogni errore di vigilanza rischia un’incursione demoniaca, e ogni incursione demoniaca rischia l’annientamento omnicida. InWH40K,L’eresia non minaccia solo l’ordine sociale. Minaccia la realtà stessa.

In un universo di questo tipo, l’Imperium fa ciò che fa perché l’alternativa è l’annientamento. Impone l’ortodossia religiosa non perché cerca di controllare il pensiero per il suo bene, ma perché l’incredulità nell’Imperatore apre la porta a culti pericolosi, eresie e culto del Caos. Giustizia gli psyker non per sadismo, ma perché gli psyker non addestrati sono una minaccia esistenziale. Esige una fedeltà assoluta perché la fedeltà divisa è fatale.

La crudeltà dell’Imperium non è né gratuita né inutile; è strumentale e inevitabile. Gli agenti dell’Imperium non operano con la convinzione che tutti gli uomini debbano essere schiacciati per la gloria dell’Imperatore, ma con la consapevolezza oggettiva che senza unità e obbedienza non ci sarà umanità da salvare.

Questo rende l’Imperium malvagio? No, se si accetta la premessa metafisica dell’ambientazione, questo rende l’Imperium buono. In un universo di minacce implacabili e metafisicamente ostili, ciò che noi chiamiamo “tirannia” l’Imperium lo chiama “governo saggio”.

I tempi duri richiedono uomini duri. IlWH40KL’universo ha vissuto i momenti più difficili che si possano immaginare per oltre 10.000 anni. I suoi eroi sono gli uomini più duri che si possano immaginare.

Il resto di questo articolo contiene un’eresia di tale portata che la sua proliferazione potrebbe provocare un decreto di Exterminatus da parte dell’Inquisizione contro la famiglia Woe. Di conseguenza, è stato riservato ai soli abbonati paganti.

Se non sei d’accordo, probabilmente sei di sinistra…

L’analisi che ho fornito sopra sembra ovvia per me, e per la maggior parte delle persone di destra.Warhammer 40Ktifosi. Ma non è ovvio per il pubblico di sinistra del gioco. Se passate abbastanza tempo su X, Discord o Reddit, vedrete molti dibattiti accesi tra destra e sinistra sul fatto che l’Imperium of Man sia “buono” o “cattivo”.

Perché questo accade? In poche parole: i critici di sinistra non sono disposti a giudicare l’universo di Warhammer alle sue condizioni. Giudicano invece l’ambientazione utilizzando i moderni valori liberaldemocratici senza confrontarsi con le sue realtà metafisiche. Preferiscono schierarsi con i Tiranidi piuttosto che ammettere che il Dio-Imperatore ha ragione.

Nella storia,presentismosi riferisce all’interpretazione di eventi passati solo attraverso il nostro attuale quadro morale, invece di comprenderli nel loro contesto. Gli storici avvertono che questo distorce la comprensione, sostituendo la logica interna di una cultura con presupposti moderni. All’estremo opposto,contestualismo(o storicismo) cerca di interpretare i mondi passati o fittizi interamente nei loro termini. Ma portato all’estremo, questo rischia il relativismo morale, che implica che non ci sono motivi per giudicare perché “le cose sono andate così”.

Normalmente gli storici cercano di bilanciare presentismo e contestualismo. Questo è un approccio ottimale, perché gli storici operano all’interno di un’unica realtà condivisa in cui le leggi della natura e la natura umana non sono cambiate radicalmente. MaWarhammer 40Kè diverso: è un universo fittizio con fatti metafisici diversi. Le minacce dei demoni del Warp, del contagio psichico e della predazione aliena non negoziabile sono reali, non costruzioni sociali. Si può perdonare l’applicazione del presentismo quando si studia Roma; è irrazionale applicare il presentismo a un universo che non è il nostro.

L’applicazione del presentismo aWH40Kderiva dall’incapacità di impegnarsi inmodellazione contingente. Impegnarsi nella modellazione contingente significa immaginare una visione del mondo o un quadro morale come funzionerebbe in un diverso insieme di fatti contingenti. È l’abilità di ragionare sul fatto che “se X fosse vero, allora Y ne seguirebbe – anche se nel mio mondo X non è vero”. Per esempio:

“Se non avessi fatto colazione oggi, allora avrei fame – anche se oggi ho fatto colazione e quindi non ho fame”.

“Se fosse vero che anche un solo praticante religioso non regolamentato potrebbe permettere alle entità del Warp di entrare nella nostra dimensione e distruggere ogni essere vivente su un pianeta, ne conseguirebbe che i praticanti religiosi devono essere totalmente regolamentati per evitare che ciò accada, anche se nel mio mondo ciò non è vero”.

Sebbene siano perfettamente in grado di fare modelli contingenti, ad esempio sulla colazione, gli uomini di sinistra sono sorprendentemente incapaci di fare modelli contingenti sulla moralità. Non è una mia opinione; la loro relativa debolezza nella modellazione contingente di altri punti di vista è un fenomeno ben documentato. Per esempio, gli studi del professor Jonathan Haidt inLa mente rettadimostrano costantemente che i conservatori sono in grado di prevedere più accuratamente le risposte liberali ai dilemmi morali di quanto i liberali siano in grado di prevedere le risposte dei conservatori. I conservatori possono ragionare “se avessi dei valori liberali…”, ma i liberali non sono in grado di fare altrettanto bene.

Gli studiosi non sono d’accordo sul perché la sinistra non sia brava in questo. È perché la sinistra ha dominato il discorso così a lungo che non ha dovuto imparare a capire come pensa l’altra parte? Quelli di destra hanno dovuto imparare a capire quelli di sinistra solo per evitare di essere cancellati, se non altro. È una differenza di struttura cerebrale? I cervelli di destra rispondono presumibilmente ai segnali di pericolo con maggiore intensità, e la modellazione contingente del comportamento altrui è una preziosa abilità strategica di sopravvivenza quando si affrontano le minacce. È perché le persone di destra hanno un quadro morale più ampio che rende più facile per loro vedere altre opzioni morali? Ne è convinto Jonathan Haidt (per saperne di più).

La mia teoria è che le persone di sinistra non sono tanto consapevolmenteincapacedi impegnarsi in una modellazione contingente della moralità comenon volendoper farlo. Thomas Sowell e Stephen Pinker mi hanno convinto che la differenza fondamentale tra destra e sinistra sta nella loro visione della natura umana. La sinistra crede che la natura umana sianon vincolatoe quindi sia manipolabile che perfezionabile. La marcia del progresso è in definitiva un progressivo miglioramento della natura umana. I giusti credono che la natura umana siavincolatoe non può essere migliorato senza limiti. I tentativi di realizzare l’utopia di sinistra falliscono perché gli esseri umani non riescono a diventare il Nuovo Uomo Sovietico e devono invece essere mandati nei gulag. La modellazione contingente della moralità richiede intrinsecamente di accettare che possano esistere vincoli sulla natura umana imposti dalla realtà esterna. Riconoscere tali vincoli è un anatema per il sinistrismo. Quando gli si chiede di impegnarsi in una modellazione contingente sui vincoli, la maggior parte si impegna in quello che Orwell chiamava crimestop, ovvero bloccare istintivamente i pensieri non ortodossi prima che possano formarsi.

Forse la vera spiegazione è “tutto questo”. In ogni caso, il problema è abbastanza reale da manifestarsi anche nel lavoro di brillanti creatori di sinistra, che costruiscono mondi di fantasia con una logica interna che propende per la destra, per poi sorprendersi quando i fan interpretano i personaggi di destra del mondo come eroi (o criticano l’intera opera come fascista). Lo abbiamo visto in Alan Moore, inWatchmen,Verhoeven’sStarship Troopers,e più recentemente in AmazonL’uomo nell’alto castello.Purtroppo, anche gli stessi creatori di Warhammer sono vittime di questa situazione.

In Warhammer, l’Imperium è una civiltà costruita per sopravvivere a minacce metafisiche. Data la logica interna dell’ambientazione, le sue azioni nascono da una brutale necessità. Non riuscendo a capire che nel suo universo laImperium è buonoè una prova di scarsa modellazione contingente, non un semplice disaccordo morale.

Ma potresti essere un libertario!

Una delle scoperte più interessanti del lavoro di Jonathan Haidt è che i libertari hanno un quadro morale completamente diverso da quello dei liberali e dei conservatori. Secondo Haidt, esistono sei fondamenti morali: cura, equità, lealtà, autorità, santità e libertà. I conservatori apprezzano tutti e sei i fondamenti. I liberali (moderni) apprezzano molto l’attenzione e l’equità, e in qualche modo la libertà, ma svalutano tutte le altre norme morali. I libertari danno valore alla libertà… e basta. I libertari devono, per forza di cose, condannare l’Imperium dell’uomo.

Ora, il libertarismo è un’elegante filosofia politica che ho sostenuto ardentemente per due decenni. Hoscritto ampiamente su questo blog sul perchéAlla fine, con rammarico, ho abbandonato il libertarismo a favore delfisiocraziama dire che rimango profondamente affezionato al libertarismo è un eufemismo. Se credessi in un’utopia, l’utopia in cui crederei sarebbe quella libertaria. La sua promessa di un mondo in cui l’associazione volontaria, la proprietà privata e il principio di non aggressione (NAP) costituiscono il fondamento della prosperità umana mi entusiasma.

Ma è una visione del mondo che presuppone l’assenza di minacce innate e implacabili: perché il libertarismo funzioni, la coercizione deve essere rara e l’aggressione deve essere eccezionale, non sistemica.

IlWarhammer 40.000L’universo annienta questo assunto fin dall’inizio. Il principio di non aggressione crolla in una galassia in cui l’aggressione non è un vizio occasionale, ma una legge fondamentale della realtà. Gli Orchi sono geneticamente predisposti alla guerra. I Tiranidi esistono per consumare. I Drukhari compiono razzie non per necessità strategica, ma per nutrire i loro sadici appetiti. I culti del Caos sorgeranno sempre dove la volontà umana è incustodita. Non c’è “vivi e lascia vivere” nel 41° millennio; c’è solo “uccidi o sarai annientato”.

L’enfasi libertaria sulla libertà individuale è altrettanto insostenibile. Le tentazioni del Caos sono troppo grandi e insidiose. Nell’Imperium, la “libertà” di una singola persona di esplorare la propria curiosità spirituale o intellettuale potrebbe portare a un’incursione demoniaca e all’annientamento di un pianeta. Il Warp non è neutrale: è attivamente ostile. Permettere la libertà di coscienza o di culto equivale al tradimento.

L’Imperium stesso dipende da ciò che i libertari chiamerebbero atrocità. La sua sopravvivenza dipende dal sacrificio quotidiano di migliaia di psyker per alimentare il faro psichico dell’Imperatore, l’Astronomican. Questi psyker non sono volontari. Alcuni possono andare volontariamente, la maggior parte no. Ma senza la loro morte, i navigatori dell’Imperium sarebbero ciechi, le sue flotte perse, i suoi mondi isolati e l’umanità condannata. Non esiste una struttura libertaria che possa far quadrare il cerchio senza alterare la realtà metafisica dell’ambientazione.

Immaginate, per un momento, che Murray Rothbard sia posto a capo dell’Imperium. Si potrebbero attuare i principi libertari senza cambiare le regole dell’universo? La risposta è ovvia. A meno che non si riscriva in modo disonesto la natura del Caos, degli psyker e delle minacce xeno, l’Imperium di Rothbard avrebbe poche settimane prima di crollare nell’anarchia, nell’eresia e nella morte di massa.

Al contrario, il libertarismo funziona in contesti comeLucciolaperché questi universi hanno verità metafisiche diverse. InLucciolaL’Alleanza può anche essere corrotta, ma non sta affrontando un’invasione demoniaca, né possiede esseri umani di distruzione di massa i cui poteri minacciano l’ordine civile.1Il libertarismo prospera solo in mondi in cui la base dell’esistenza permette la cooperazione volontaria, non in cosmi in cui la sopravvivenza richiede una costante mobilitazione totale.

IlWarhammer 40KL’universo è un brutale esperimento di pensiero su ciò che accade alla teoria politica e morale quando la sopravvivenza dell’intera specie è permanentemente in gioco. In questo crogiolo, il libertarismo brucia, non perché sia moralmente sbagliato nel nostro mondo, ma perché è moralmente sbagliato nel loro.

L’OccidenteWarhammerMomento

Nel 2010, lo stratega della difesa Fred Iklé ha pubblicatoAnnientamento dall’internoUn libro di cui parlo raramente, ma su cui rifletto spesso. Iklé avvertiva in modo preveggente che la più grande minaccia alla civiltà moderna non sarebbe venuta necessariamente da eserciti stranieri o da rivali statali, ma dal decadimento interno che la tecnologia consente. Mentre le capacità distruttive degli individui aumentano, la capacità morale delle società di controllare o limitare tale potere non tiene il passo.

La lettura sobria della storia di Iklé è sgradita a qualsiasi vero credente nel progresso umano. Tuttavia, è una lettura accurata. La scienza si è mossa a un ritmo sempre più veloce, ma non il progresso morale. La conoscenza per distruggere, interrompere o destabilizzare sta diventando più economica, più accessibile e più potente. La percentuale di individui sociopatici disposti a sfruttare il potere per cattiveria è costante (si stima che sia l’1% della popolazione), mentre il numero assoluto sta salendo alle stelle.

Quando si misura la capacità distruttiva di un singolo individuo, dobbiamo esaminare due diversi fattori. Il primo fattore è la quantità di distruzione che può essere ottenuta da un singolo individuo utilizzando la migliore arma disponibile. Questo fattore è aumentato in modo esponenziale nel corso del tempo. Per esempio, nel 1500 d.C. un singolo soldato con un moschetto a pietra focaia poteva uccidere con facilità un altro uomo. Nel 1884, un uomo solo con una mitragliatrice poteva ucciderne decine. Nel 1918, un singolo individuo con esplosivi e gas velenosi poteva ucciderne centinaia. Nel 1964, un lupo solitario con una Special Atomic Demolition Munition (meglio nota come valigia nucleare) poteva ucciderne decine di migliaia. Oggi, un terrorista solitario che scatena un’arma biologica può uccidere centinaia di migliaia o milioni di persone. In futuro, un pazzo con un’arma nanotecnologica potrebbe distruggere tutto e tutti.

Nel grafico qui sotto, l’asse delle ordinate è logaritmico, quindi ogni passo in avanti corrisponde all’incirca a un ordine di grandezza.

Il secondo fattore è il costo corretto per l’inflazione della costruzione dell’arma di distruzione di massa. Nel 1945,Bambinocosto 9,3 miliardi di dollarieucciso 140.000, con un costo per decesso di 66.000 dollari. Nel 1964, ilIl costo del SADM è di circa 0,61 milioni di dollari.epotrebbe uccidere 20.000per un costo per decesso di 30 dollari. Nel 1993, 100 kg di antrace aerosolizzato costavanomeno di 0,1 milioni di dollariche richiedono solo un team di cinque biologi e attrezzature di laboratorio prontamente disponibili, epotrebbe uccidere 130.000 persone a 1.400.000per un costo per decesso compreso tra 0,77 e 0,08 dollari. Nel 2025, un laboratorio fai-da-te in garage con CRISPRpuò essere acquistato per meno di 10.000 dollarie usato per creare una pandemia ingegnerizzata che potrebbe uccidere 10.000.000 o più di persone, per un costo per decesso di 0,001 dollari. Nel grafico log-log sottostante, il costo per morte precipita di oltre 4 ordini di grandezza in 80 anni.

Nel 2025, il PIL pro capite ha superato i 15.000 dollari a persona, il che significa che per la prima volta nella storia il reddito annuo di una persona media è sufficiente per costruire armi in grado di uccidere 10 milioni di persone.

Nel complesso, si tratta di grafici molto sgradevoli da contemplare. Anche se la sociopatia rimane biologicamente costante, laassolutoIl numero di persone potenzialmente catastrofiche aumenta di pari passo con la popolazione globale. Se a questo si aggiungono l’impennata delle uccisioni per persona, l’aumento della ricchezza per persona e il crollo delle curve del costo per uccisione che abbiamo tracciato in precedenza, il rischio di “annientamento dall’interno” cresce non solo in modo esponenziale, ma super-esponenziale.È un titolo di hockey su un diagramma logico.

Questo grafico ci dice in modo piuttosto brutale qualcosa che nessuno di noi vuole sentire.Se non stiamo già vivendo nel mondo diWarhammer 40K,ci siamo molto vicini. È solo che invece di essere messi in pericolo da psyker disonesti che creano demoni del Caos, siamo messi in pericolo da terroristi scientifici (o scienziati terrificanti) che creano armi di distruzione di massa.

Potrebbe anche essere peggio di così. Potremmo essere messi in pericolo da chiunque abbia accesso a un master. Il premio Nobel Geoff Hinton, il padrino dell’IA, sostiene che le conoscenze necessarie per progettare armi chimiche e biologiche diventano facilmente disponibili a chiunque abbia accesso a un modello di frontiera. A differenza di un testo di chimica o di una relazione di laboratorio di biologia, un LLM può guidare l’aspirante bioterrorista passo dopo passo. In questa intervista l’autore parla diffusamente di questo pericolo:

https://www.youtube-nocookie.com/embed/giT0ytynSqg?rel=0&autoplay=0&showinfo=0&enablejsapi=0

O almeno così affermano il Dr. Hinton e altri condannatori dell’IA. Non cercherò nemmeno di modellare questo aspetto visivamente, perché mostra solo una linea verticale in cui moriremo tutti entro i prossimi anni.2

Il Dio-Imperatore è pregato di recarsi alla corsia 2? .

Mi sembra indiscutibile che Fred Iklé abbia ragione. Possiamo cavillare sull’esatto costo per decesso, o sul numero esatto di persone in grado di scatenare il caos, e così via. Ma la linea di tendenza è chiara e il rischio è reale.

Sembra anche indiscutibile che l’élite al potere in Occidente sia consapevole della situazione. Hanno letto anche Fred Iklé; probabilmente hanno letto molti interessanti briefing riservati che fanno sembrare la visione del mondo di Fred Iklé nobile.

La risposta che hanno scelto è chiara: stabilireun panopticon tecno-totalitario di sorveglianza, controllo e restrizione.Dal rilevamento biometrico alla polizia predittiva, dalla censura digitale al controllo centralizzato dei dati, l’equivalente terrestre dell’Inquisizione dell’Imperium si sta costruendo a rotta di collo. L’élite occidentale intende costruire – e sta costruendo – un sistema in cui nulla sfugge allo sguardo vigile dello Stato. L’accelerazione è stata particolarmente visibile nell’ultima settimana. (Per coloro che non si sono tenuti aggiornati, ho fatto assemblare a Google Gemini questo white paper sull’argomento..)

Di fronte allo stesso problema dell’Imperium dell’Umanità, i nostri leader oligarchici stanno adottando la stessa soluzione. Abbiamo già visto cheWH40K’Imperium è una distopia sgradevolmente cupa. Un nostro Imperium sarebbe ancora peggiore, perché non abbiamo nemmeno un Dio-Imperatore immortale e benevolo che ci guidi. Il nostro candidato principale si è dimostrato fin troppo umano nei suoi fallimenti… e non ci sarà per 10.000 anni.

Recenti prove suggeriscono che il presidente Donald Trump non è in realtà una divinità immortale con poteri quasi onnipotenti e la saggezza necessaria per guidare l’umanità per 10 millenni.

Per quanto riguarda l’Altro Lato, la loro élite ha più in comune con gli Eldar Oscuri che con il Dio Imperatore. Uno stato tecno-totalitario governato dai tirapiedi del Caos addestrati da Soros sarà persino peggiore dell’Imperium dell’Uomo Arancione. Chiamerebbero “discorso d’odio” anche solo riferirsi ad esso come all’Imperium.dell’uomoperché ciò offenderebbe gli altri 42 generi in cui credono.

Cosa fare di fronte a questa realtà?

Non è sufficiente fingere che la minaccia non esista. Per quanto allettante possa essere, farlo significherebbe cadere in preda allo stesso fallimento della modellazione contingente che ho giustamente criticato in precedenza.

La tecnologia sta avanzando, che ci piaccia o no. Ho un amico che una volta ha acquistato attrezzature di laboratorio di seconda mano su eBay e le ha usate per impiombare i geni dei ragni nei bachi da seta, producendo bachi in grado di filare la seta di ragno (sì, ha brevettato il processo e ha lanciato un’azienda). Gli ho chiesto cosa gli avrebbe impedito di usare le stesse attrezzature per creare un agente patogeno mortale. La sua risposta è stata semplice: “Credo di non essere un sociopatico”.

Ma ci sono anche i sociopatici. E ci sono zeloti, nichilisti e opportunisti. Quando creare armi biologiche diventerà facile come creare virus informatici “per divertimento”, cosa succederà? La distruzione reciproca assicurata ha funzionato per fermare la guerra nucleare tra grandi potenze. Non funzionerà in questo caso, perché non si può dissuadere uno psicopatico suicida che è disposto a morire per ucciderti. Il possesso diffuso di armi da fuoco scoraggia la violenza delle armi da fuoco. Ma il possesso diffuso di mezzi terroristici non scoraggia il terrorismo, lo aumenta.

Warhammer 40Kè sì una finzione, ma è anche un avvertimento. Immagina una civiltà bloccata in un’emergenza permanente, dove lo Stato assume un potere assoluto perché la minaccia è assoluta.

Come sopravvive una società libera quando la capacità di distruzione diventa onnipresente? La migliore risposta dell’Imperium è il totalitarismo teocratico. La risposta dell’élite occidentale è il tecno-totalitarismo. Qual è la nostra risposta migliore?

Non lo so. So solo che ne abbiamo bisogno. In futuro potrei discutere alcune delle alternative possibili al panopticon globalista, valutandone i pro e i contro. Per ora, vi invito solo a contemplare l’annichilimento sull’Albero dei Guai.

A scanso di equivoci, non sto suggerendo che dovremmo accettare la sorveglianza globale dello Stato. Sto suggerendo che dobbiamo pensare bene a delle alternative praticabili, perché se non lo facciamo, otterremo uno Stato tecno-totalitario, che sarà accolto dalle masse come necessario per la loro sicurezza.

1

Spoiler: In realtà è così, e gran parte del comportamento fascista evidenziato dall’Alleanza è una reazione a questo.

2

Qualcuno però dovrebbe scriverci un libro. Forse Eliezer Yudkowsky…

Le sfere di influenza nel nuovo ordine mondiale: dinamiche, rischi e prospettive per l’Europa_di Alberto Cossu

Le sfere di influenza nel nuovo ordine mondiale: dinamiche, rischi e prospettive per l’Europa

Autore: Alberto Cossu 31/07/2025

Il concetto di sfera di influenza è tornato prepotentemente al centro del dibattito geopolitico internazionale, segnando un ritorno a dinamiche di potere che sembravano superate dopo la fine della Guerra Fredda. La competizione tra grandi potenze — Stati Uniti, Russia e Cina — si manifesta oggi attraverso la definizione e il controllo di aree geografiche e settori strategici in cui esercitare un predominio politico, economico e militare. Questo fenomeno, antico ma rinnovato, influenza profondamente la sicurezza globale, le alleanze internazionali e la stabilità economica, con effetti particolarmente rilevanti per l’Europa, che si trova al crocevia di queste tensioni.

1. Definizione e caratteristiche delle sfere di influenza

Una sfera di influenza è un’area geografica o un insieme di paesi in cui una potenza dominante esercita un controllo diretto o indiretto sulle decisioni politiche, militari ed economiche degli Stati coinvolti. A differenza di un impero, il controllo non si traduce necessariamente in annessione o governo diretto, ma in un diritto di veto sulle alleanze e sulle scelte strategiche, limitando la sovranità effettiva degli stati più piccoli.

Questa logica si è storicamente affermata come strumento per mantenere un equilibrio di potere e prevenire conflitti diretti tra grandi potenze, ma ha anche rappresentato una fonte di instabilità e di oppressione per i Paesi soggetti a tali influenze.

2. Il ritorno delle sfere di influenza nel contesto attuale

Dopo decenni in cui l’ordine internazionale sembrava orientato verso un sistema multilaterale basato su norme e principi di sovranità nazionale, la realtà geopolitica degli ultimi anni ha mostrato un’inversione di tendenza.

La guerra in Ucraina, l’espansione economica e politica della Cina, e la rinnovata assertività della Russia hanno riportato in auge la competizione per il controllo di aree strategiche. A queste bisogna aggiungere le numerose violazioni del diritto internazionale degli USA (Iraq, Balcani, Libia, Afghanistan) compiute in nome di una pretesa di intervento fondata sul principio del mantenimento dell’ordine mondiale e quindi di preservare una area di influenza su cui gli Usa avanzavano una priorità.

Secondo Sven Biscop, direttore del programma Europe in the World dell’Istituto Egmont, Russia, Cina e Stati Uniti stanno cercando di guadagnare terreno in aree di loro interesse, con modalità differenti: la Russia utilizza mezzi militari per stabilire una sfera di influenza esclusiva in Europa orientale, mentre la Cina punta su una strategia economica e politica per estendere la propria influenza in Asia e oltre. Gli Stati Uniti, dal canto loro, tentano di mantenere il proprio predominio nelle Americhe e di contenere l’espansione cinese nel Pacifico.

Tuttavia, la ricomparsa delle sfere di influenza non è globale in senso stretto, ma piuttosto concentrata in aree strategiche di competizione, con implicazioni che si estendono a livello globale per via delle interconnessioni economiche e tecnologiche.

3. Impatti economici e commerciali: la competizione tra blocchi

La competizione per le sfere di influenza si traduce anche in una crescente rivalità economica e commerciale, con barriere, dazi e restrizioni tecnologiche che influenzano i flussi globali di merci e investimenti. Cina, Stati Uniti ed Europa sono impegnati in una competizione geostrategica che utilizza la politica commerciale come strumento fondamentale per affermare la propria leadership.

Questa dinamica porta a una riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali, con paesi “connettori” come Messico, Vietnam e Brasile che assumono ruoli strategici nel mediare tra le diverse sfere di influenza. Tuttavia, questa posizione è precaria e potrebbe indebolirsi in caso di escalation delle tensioni o di conflitti commerciali più ampi.

4. Le sfide per l’Europa: sicurezza, autonomia e divisioni interne

L’Europa si trova in una posizione particolarmente delicata nel nuovo contesto geopolitico. Da un lato, deve fronteggiare la pressione russa che rivendica una sfera di influenza nell’Europa orientale, cercando di impedire l’allargamento della NATO e di mantenere un controllo politico su Paesi come Ucraina, Bielorussia e nei paesi del Caucaso.

Dall’altro lato, l’Europa deve gestire la propria dipendenza economica e tecnologica da potenze esterne, in particolare dalla Cina e Stati Uniti, senza compromettere la propria autonomia strategica. La crisi ucraina ha accelerato il dibattito interno sull’esigenza di una difesa comune europea e di una politica estera più coerente e autonoma, ma le divisioni tra Stati membri — tra chi privilegia il legame transatlantico e chi spinge per una maggiore indipendenza — complicano la costruzione di un fronte unitario.

Queste tensioni interne rischiano di indebolire la capacità dell’Europa di agire come attore globale e di difendere i propri interessi in un mondo sempre più diviso in blocchi contrapposti.

5. Valutazioni critiche: rischi e opportunità del ritorno delle sfere di influenza

Il ritorno delle sfere di influenza comporta rischi significativi. Innanzitutto, la creazione di blocchi esclusivi limita l’accesso a risorse, mercati e opportunità di cooperazione, aumentando le tensioni e il rischio di conflitti. Per l’Europa, economia fortemente aperta e dipendente dalle importazioni, questo rappresenta un problema strategico rilevante.

Inoltre, la logica delle sfere di influenza tende a ridurre la sovranità degli Stati più piccoli, esponendoli a pressioni e ricatti da parte delle grandi potenze. Questo può alimentare instabilità politica e sociale, oltre a minare i principi di autodeterminazione e diritto internazionale.

Tuttavia, riconoscere la realtà delle sfere di influenza può anche avere un effetto stabilizzante se accompagnato da accordi chiari e da un rispetto reciproco delle zone di influenza, come accadde in passato durante la crisi dei missili di Cuba. La sfida è trovare un equilibrio che eviti la guerra aperta ma non legittimi aggressioni o annessioni illegali5. Il caso dell’Ucraina dimostra come sottovalutare il problema delle aree di influenza può condurre a conflitti non solo diplomatici ma militari.

6. Prospettive future e scenari possibili

Per i prossimi anni si possono prospettare questi ipotetici scenari

  • Guerra commerciale prolungata: con tariffe e restrizioni che frenano la crescita globale, ma senza conflitti militari diretti tra grandi potenze.
  • Nuova era di nazionalismo: caratterizzata da un aumento delle tensioni economiche e militari, con il rischio concreto di scontri armati.
  • Ritorno alle sfere di influenza: con grandi potenze che dominano blocchi regionali, in un sistema simile alla Guerra Fredda.
  • Grandi accordi commerciali e diplomatici: scenario ottimista in cui la diplomazia prevale e si ristabiliscono alleanze ampie.

L’esito dipenderà dalla capacità delle potenze di negoziare e di accettare compromessi, oltre che dalla volontà degli attori regionali di mantenere la stabilità e rispettare i principi internazionali.

Conclusioni

Il ritorno delle sfere di influenza rappresenta uno dei punti su cui ragionamento geopolitico contemporaneo deve sviluppare ulteriori approffondimenti. Questo fenomeno riflette la realtà di un mondo multipolare in cui le grandi potenze cercano di assicurarsi zone di predominio strategico attraverso il controllo politico, economico e militare di aree geografiche e settori critici. Per l’Europa, questa dinamica pone sfide complesse: da una parte la necessità di difendere la propria sovranità e autonomia strategica, dall’altra il rischio di essere marginalizzata o divisa tra blocchi contrapposti.

La capacità dell’Europa di navigare questa complessità, rafforzando la coesione interna e sviluppando una politica estera e di sicurezza comune, sarà determinante per la stabilità del continente e per il futuro ordine mondiale. Solo attraverso un equilibrio tra realismo geopolitico e rispetto dei principi internazionali sarà possibile evitare che il ritorno delle sfere di influenza si traduca in un’epoca di conflitti prolungati e instabilità globale.

Sotto il mare: I sottomarini nella Grande Guerra, di Big Serge

Sotto il mare: I sottomarini nella Grande Guerra

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Storia della guerra navale, parte 12

Grande Serge29 luglio
L’affondamento della Linda Blanche

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale diede un colpo sorprendente alla psiche collettiva dei vertici politici e militari europei, poiché la carneficina dei primi mesi di guerra mandò in frantumi le illusioni sulla guerra industriale e tolse il proverbiale velo dagli occhi. Non si trattò solo del crollo dell’illusione della “guerra breve”, che era così notoriamente diffusa, ma anche dei livelli di perdite senza precedenti e inaspettati, che superarono rapidamente qualsiasi cosa gli eserciti del vecchio continente avessero mai sperimentato.

Questo era particolarmente vero perché, nonostante l’infame carneficina dei grandi assedi successivi – Verdun, Somme e così via – i mesi iniziali della guerra furono tra i più sanguinosi. Questo perché nei primi mesi la guerra fu combattuta ancora in modo piuttosto mobile e d’attacco, con forze che combattevano in gran parte allo scoperto. I francesi, ad esempio, persero poco più di 300.000 uomini uccisi in azione nel 1914 (nonostante la guerra fosse iniziata in agosto), con un tasso di perdita di circa 2.200 morti al giorno. Solo l’anno successivo, una volta che gli eserciti si erano adeguatamente trincerati, i tassi di perdita si stabilizzarono e nel 1915 le perdite francesi furono di “soli” 1.200 morti al giorno. Questi modelli di perdita rivelano, tra l’altro, che il ruolo della guerra di trincea è spesso frainteso. Le trincee e le cinture fortificate non hanno portato al fallimento delle operazioni di attacco; piuttosto, sono state scavate in risposta alle perdite sorprendentemente elevate subite nella fase mobile della guerra nel 1914. Le trincee e la guerra posizionale furono una reazione a una macelleria senza precedenti, piuttosto che la sua causa.

In ogni caso, l’infrangersi delle illusioni prebelliche sulla durata della guerra e sui suoi costi umani portò a ogni sorta di improvvisazione e di soluzione di problemi a tentoni. Ciò si verificò a molti livelli del processo bellico, con le parti belligeranti che cercavano modi per far entrare in guerra nuovi alleati, aprire nuovi fronti e trovare soluzioni tattiche innovative. In ambito tecnologico, i vertici militari cercavano il modo di sfruttare le tecnologie emergenti per ottenere un vantaggio sul campo di battaglia. Questo era particolarmente vero per i tedeschi, che erano fortemente incentivati a trovare un vantaggio ovunque potessero. Le riserve umane enormemente superiori dell’Intesa – che comprendeva non solo lo Stato più popoloso d’Europa, l’Impero russo, ma anche potenze come la Francia e la Gran Bretagna, in grado di mobilitare vasti serbatoi di manodopera nelle loro colonie – significava che la Germania era sempre in netto svantaggio in un gioco di logoramento basato sullo scambio di vite umane, e fu sempre Berlino a sentire la pressione più forte per cambiare il gioco.

Così, nella primavera del 1915, il mondo vide tre momenti cruciali sul campo di battaglia nell’arco di sole sei settimane, tutti iniziati dai tedeschi. Il 22 aprile, i soldati francesi e canadesi a Ypres divennero i primi uomini sul fronte occidentale a subire un attacco di gas sul campo di battaglia, dopo che i tedeschi accesero bombole di cloro controvento. Poche settimane dopo, il 7 maggio, 1.198 passeggeri del Lusitania perirono quando la nave fu silurata al largo della costa meridionale dell’Irlanda dal sottomarino tedesco U-20. Per concludere gli esperimenti tattico-tecnologici, il 31 maggio la città di Londra subì il prototipo di quello che potremmo definire un bombardamento strategico, quando lo zeppelin tedesco LZ-38 sganciò 3.000 libbre di bombe sulla città, uccidendo sette persone.

Una delle ironie malate di quelle disgraziate settimane è il fatto che dei tre nuovi metodi tecnologico-tattici, l’attacco con i gas a Ypres fu di gran lunga il più letale e terrificante, eppure col tempo si sarebbe rivelato di gran lunga il più inutile. Il gas velenoso produsse un potente effetto psicologico che fu sovradimensionato rispetto al suo uso tattico, semplicemente perché l’avvelenamento era un modo così crudele e spettacolare di morire. Gli uomini avevano giustamente paura del gas, che produceva morti contorte, rantolanti e agonizzanti, ma le contromisure furono rapidamente sviluppate, in particolare contro agenti inalati come il cloro e il fosgene (il gas mostarda, che poteva danneggiare semplicemente dal contatto con la pelle, era un po’ più difficile da affrontare). I registri britannici delle vittime indicano che tra i feriti da gas solo il 5% rimaneva ucciso o invalido in modo permanente, mentre il 70% era in grado di tornare in servizio entro sei settimane. Il risultato fu un’arma che presentava uno stridente scollamento tra la sua convenienza tattica e l’orrore e l’indignazione morale che ispirava; di conseguenza, il gas non ebbe mai un vero e proprio futuro in guerra e fu usato solo in una manciata di occasioni isolate nella Seconda Guerra Mondiale.

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Rispetto alla nube di gas di Ypres, le altre due scoperte tecniche tedesche del 1915 – l’attacco sottomarino e il bombardamento strategico dall’aria – ebbero pochi effetti tattici immediati e uccisero relativamente poche persone al loro debutto. Il primo attacco con i gas a Ypres uccise 5.000 truppe alleate (essendo il primo attacco con i gas contro uomini indifesi, fu il più devastante attacco con i gas della guerra) e ne ferì 15.000. Per contro, l’attacco al Lusitania e il bombardamento aereo di Londra uccisero complessivamente poco più di 1.200 civili. Come ben sappiamo, tuttavia, il sottomarino e il bombardiere strategico – a differenza del cannone a gas – erano armi emergenti che avrebbero avuto un ruolo importante nei conflitti futuri. Ma soprattutto, le azioni dell’U-20 e dell’LZ-38 in quella fatidica primavera portarono una nuova dimensione di terrore e portata alla guerra, in quanto sia il sottomarino che lo zeppelin uccisero esclusivamente civili.

Con i loro esperimenti del 1915, innovativi ed eticamente discutibili, i tedeschi avevano aperto l’asse verticale della guerra. Le forze combattenti di terra e di mare avevano manovrato e combattuto nello spazio bidimensionale da tempo immemorabile, ma ora i bombardamenti aerei infliggevano morte dall’alto, mentre i sottomarini davano la caccia sotto le onde. L’umanità era ormai una macchina da guerra tridimensionale.

L’età dell’immaturità

Il sottomarino è uno sviluppo tecnologico così evidentemente rivoluzionario che può essere facile sorvolare su ciò che lo rende un sistema d’arma potenzialmente così potente. All’inizio del XX secolo, era ovvio che l’emergere di un valido braccio sottomarino aveva tremendamente complicato la situazione tattica in mare, ma le grandi marine del mondo continuavano a basare la loro potenza di combattimento su navi capitali che sparava a lungo raggio, mentre le flotte sottomarine erano generalmente sottodimensionate, tecnologicamente complicate e tatticamente immature. Per cominciare, quindi, dovremmo stabilire che cosa sia esattamente un sommergibileè. Ovviamente, un sottomarino è un’imbarcazione in grado di operare autonomamente sott’acqua, ma in senso militare questo non è particolarmente interessante. È più importante chiedersi perché la capacità di immergere un’imbarcazione (i sottomarini, per una stranezza linguistica, sono sempre chiamatibarchepiuttosto chenaviindipendentemente dalle loro dimensioni) potrebbe essere vantaggioso.

Dal punto di vista di una marina da combattimento, un sottomarino è un’imbarcazione che, rispetto a una nave di superficie, offre un colossale compromesso tra occultamento e sopravvivenza. In altre parole, i sottomarini offrono il potenziale unico di lanciare attacchi essenzialmente inosservati, a scapito di un’estrema fragilità. La vulnerabilità dei sottomarini, altamente suscettibili non solo a qualsiasi impatto diretto sullo scafo, ma anche alle onde d’urto o alla forte pressione dell’acqua, è un fattore importante nelle loro applicazioni operative e nelle loro tattiche. Come a sottolineare il punto, il primo sottomarino della storia ad affondare una nave nemica, il battello sperimentale confederatoHunleyè stato distrutto dalle sue stesse munizioni: accendendo una polveriera all’estremità di un braccio del braccio, l’Hunleyaffondò con successo uno sloop della marina americana, ma l’onda d’urto causata dall’esplosione uccise all’istante l’intero equipaggio.

Ciò che manca ai sottomarini in termini di sopravvivenza, tuttavia, è più che compensato dall’occultamento. Questo era particolarmente vero all’inizio della Prima guerra mondiale, quando non esisteva un mezzo affidabile per individuare i sottomarini in immersione o per distruggerli una volta sommersi. Gli idrofoni primitivi offrivano un minimo di ricognizione subacquea, ma la maggior parte dell’individuazione dei sottomarini avveniva attraverso il rilevamento visivo del battello o del suo periscopio o, peggio ancora, seguendo la scia del siluro del sottomarino una volta lanciato.

Il profilo essenzialmente impercettibile dei sottomarini, soprattutto quando sono sommersi, fu di grande importanza allo scoppio della guerra mondiale per il rapporto esistente tra artiglieria navale e siluri. Il siluro semovente era, ovviamente, un sistema d’arma nuovo ed estremamente letale che inizialmente prometteva di ribaltare il calcolo convenzionale della potenza di combattimento in mare. La prospettiva di affondare navi da battaglia costose e pesantemente armate con torpediniere relativamente economiche, leggere e veloci era una prospettiva allettante che aveva un enorme valore, in particolare per i francesi, che vedevano nelle torpediniere un’opportunità per pareggiare i conti con la Royal Navy a costi relativamente minimi.

La promessa iniziale delle torpediniere veloci come micidiali corazzate a basso costo fu tuttavia vanificata da sviluppi di segno opposto guidati principalmente dagli inglesi. In particolare, tre importanti innovazioni all’inizio del secolo ridussero sostanzialmente le prospettive di attacco delle navi capitali da parte delle torpediniere di superficie. Nel 1887, la Armstrong & Company sviluppò un nuovo cannone a tiro rapido in grado di sparare 12 volte al minuto, mirando alle torpediniere oltre la portata dei siluri esistenti. In questo modo, le navi da guerra ottennero una capacità di fuoco organico in grado di colpire le piccole e veloci torpediniere prima che potessero attaccare. In secondo luogo, una nuova classe di navi, soprannominateTorpedinierein seguito abbreviato semplicemente inDistruttore– per schermare la massa della flotta da battaglia, intercettando e distruggendo le torpediniere prima che arrivassero a tiro. Infine, la transizione verso la nave da battagliaDreadnoughtLe corazzate, con le loro esorbitanti gittate di tiro superiori ai 10.000 metri, offrivano alle navi capitali la prospettiva di combattere a distanze estreme, ben oltre la portata dei siluri.

In breve, le flotte di corazzate avevano sviluppato una protezione a strati che sembrava offrire una protezione adeguata dalle minacce delle torpediniere. Le corazzate avrebbero combattuto da distanze estreme, costringendo le torpediniere attaccanti ad avvicinarsi a loro, e a quel punto avrebbero potuto essere neutralizzate dallo schermo dei cacciatorpediniere. Se qualche torpediniera riusciva a superare lo schermo, poteva essere attaccata dai cannoni a tiro rapido delle corazzate. Esisteva ancora una minaccia di siluri per le navi che si attardavano troppo vicino alla costa nemica, dove era possibile per le torpediniere sfrecciare rapidamente, scaricare i loro tubi e poi tornare al sicuro. La duplice minaccia rappresentata dai campi minati e dagli aerosiluranti a corto raggio che operavano nel litorale costituì un’importante motivazione per i britannici ad adottare un blocco a lungo raggio, con la Grand Fleet ormeggiata nella sicurezza di Scapa Flow, ma nel complesso non sembrava esistere una minaccia silurante esistenziale per una flotta che operava lontano dalle basi del nemico.

I sommergibili erano un sistema d’arma nuovo e potenzialmente in grado di rompere il gioco, perché avevano il potenziale per neutralizzare questo sistema stratificato di difesa dai siluri affiorando in superficie e attaccando senza essere scoperti a una distanza che equivaleva a un punto zero. La pianificazione prebellica prevedeva che forse sarebbe stato possibile impedire ai sottomarini di penetrare nel cuore della flotta da battaglia utilizzando lo schermo dei cacciatorpediniere, ma questa ipotesi si basava sull’individuazione visiva dei periscopi del nemico. Inutile dire che basare la sicurezza di navi capitali monumentalmente costose (con migliaia di membri dell’equipaggio) sull’individuazione di un sottile tubo metallico che spuntava dall’acqua era un’ipotesi poco credibile.

Il “problema” del sommergibile fu abilmente riassunto da uno dei primi tentativi di sperimentarlo in manovre organizzate. Il Primo Lord del Mare Jacky Fisher fu uno dei primi sostenitori dei sottomarini, ma li immaginava principalmente come mezzi di difesa costiera (una teoria basata sul raggio d’azione limitato dei primi sottomarini, che li costringeva a rimanere vicino alle loro basi). All’inizio del 1904, quindi, la Royal Navy condusse delle manovre di flotta volte a simulare l’uso dei sottomarini per intercettare e attaccare una flotta nemica in avvicinamento alle coste britanniche. L’esercitazione contrappose la relativamente esigua forza britannica di soli sei battelli di classe A alle corazzate della Grande Flotta, ma i sommergibili – comandati dal capitano Reginald Bacon – si dimostrarono così furtivi e tatticamente agili da riuscire a mettere a segno ripetuti colpi con siluri fittizi. Al termine delle manovre, gli arbitri furono costretti a cancellare due corazzate come “affondate”. Tuttavia, l’esercitazione servì anche a ricordare la fragilità dei battelli: il sommergibile A-1 fu affondato quando una nave mercantile, che si era aggirata nell’area di esercitazione, gli passò sopra mentre era sommersa a bassa profondità.

Reginald Bacon “affonda” due corazzate nelle prime esercitazioni sottomarine britanniche

Nonostante gli impressionanti risultati delle esercitazioni del 1904, la promessa e il ruolo complessivo del sommergibile rimasero oggetto di dibattito. L’ammiraglio Fisher era un sostenitore entusiasta e dichiarò: “Non credo che ci si renda conto nemmeno lontanamente dell’immensa rivoluzione imminente che il sottomarino comporterà come arma da guerra offensiva”. Era fissato con la capacità inedita ed evidentemente potente di distruggere navi asimmetriche e costose attraverso un attacco essenzialmente inosservato: “Morte vicina – momentanea – improvvisa – terribile – invisibile – inevitabile! Niente potrebbe essere più demoralizzante”.

Naturalmente, l’entusiasmo di Fisher, per quanto effusivo e magniloquente, non equivaleva a una politica di costruzione navale. In effetti, l’approvazione di Fisher per i sommergibili dovrebbe essere presa con un po’ di sale, perché solo un anno dopo le esercitazioni del 1904 il suo capolavoro, la mostruosa nave da guerraDreadnoughtA quel punto la costruzione di navi da battaglia con grandi cannoni divenne l’obiettivo principale della flotta britannica. Altri ammiragli, tuttavia, non condividevano nemmeno l’interesse teorico di Fisher per i sottomarini. L’ammiraglio Lord Charles Beresford li derideva come “giocattoli” – esperimenti interessanti senza alcuna applicazione pratica – mentre l’ammiraglio Sir Arthur Wilson si spinse oltre, decantando i sottomarini come armi vili che infangavano l’onore della Royal Navy abbassandosi a un “metodo subdolo di attacco”. Concludeva le sue osservazioni sostenendo che il servizio avrebbe dovuto “trattare tutti i sottomarini come pirati in tempo di guerra… e impiccare tutti gli equipaggi”. Ricordando questa osservazione, i sommergibilisti britannici avrebbero poi iniziato a sventolare il jolly roger mentre tornavano alla base dopo missioni di successo.

Queste obiezioni tradizionaliste sul sottomarino come arma poco signorile – “l’arma dei codardi che si rifiutavano di combattere come uomini in superficie”, come disse un ufficiale – risultano bizzarramente affascinanti, nella misura in cui sono notevolmente prive di fondamento nella realtà. Come ben sappiamo, il servizio su un sommergibile non era un compito per codardi o per persone mentalmente deboli, poiché comportava un lavoro estenuante in alloggi angusti e scomodi su un’imbarcazione fondamentalmente fragile da cui non c’era scampo in caso di attacco. I marinai dell’equipaggio di una nave di superficie potevano avere una ragionevole possibilità di abbandonare la nave, ma nei confini di un sottomarino sommerso le perdite erano invariabilmente totali. I sommergibilisti hanno tradizionalmente forti idiosincrasie e una cultura del servizio unica che li distingue dal resto della marina, ma non sono inequivocabilmente dei codardi.

Ciononostante, nel periodo prebellico il braccio sottomarino ebbe problemi reali, primo fra tutti il semplice fatto che si trattava di un sistema tecnologico immaturo. Le prime classi di sottomarini britannici – le logicamente chiamateABeC– erano fondamentalmente imbarcazioni costiere con scarsa resistenza in mare e velocità di crociera in immersione di soli 8 nodi. Solo nel 1907 i britannici presentarono la classeclasse Dche vantava motori diesel e un impressionante dislocamento di 500 tonnellate che lo rendeva veramente oceanico e, per estensione, in grado di effettuare operazioni proattive lontano dalle coste britanniche. La classe 1912classe Eera ancora migliore, con un dislocamento di 660 tonnellate, una velocità in superficie di 15 nodi (10 nodi in immersione) e un’autonomia di circa 3500 miglia.

Snocciolare le gittate e le velocità delle varie classi di sottomarini è forse leggermente interessante, ma non solleva il punto più importante: i sottomarini hanno mostrato una tendenza promettente, diventando sempre più grandi, più resistenti al mare, più veloci e con gittate molto più lunghe. Tutto questo era assolutamente necessario perché diventassero sistemi d’arma significativi in grado di operare a distanza. Tuttavia, man mano che il sommergibile diventava più grande, diventava anche molto più costoso, in un periodo in cui le marine militari – in particolare quella britannica e quella tedesca – erano alla ricerca di fondi per costruire costose flotte da battaglia di navi equivalenti alle Dreadnought. Molti ufficiali britannici sostennero che i modelli più recenti, come la classe D, erano molto più costosi.Classe Dche costano quanto un cacciatorpediniere, pur offrendo velocità e gittate molto inferiori.

Era difficile giustificare investimenti massicci in un sistema d’arma che stava ancora maturando, soprattutto perché l’applicazione tattica specifica dei sottomarini non era ancora stata risolta. È innegabile che i siluri offrissero un enorme potenziale distruttivo, ma portare i sottomarini in posizione di attacco era molto più difficile di quanto sembri. Ciò è dovuto in gran parte alla loro velocità relativamente bassa, soprattutto quando sono sommersi. Data la loro scarsa velocità sottomarina, i sottomarini dovevano posizionarsi prima dei loro bersagli in movimento. La “zona d’attacco” dei sommergibili si trovava quindi necessariamente sulla traiettoria del nemico in arrivo, il che a sua volta aiutava i cacciatorpediniere nemici a sapere dove esattamente dovevano schermare. La difficoltà dei sommergibili nel localizzare i bersagli e nel portarsi in posizione di attacco è uno dei motivi per cui sia i britannici che i tedeschi pensarono all’idea delle “trappole per sommergibili”, che implicavano la creazione di una rete di sommergibili in attesa di essere attaccati dalla flotta nemica. Se i sommergibili avevano difficoltà a raggiungere il nemico, tanto valeva condurre il nemico verso di loro. Altri suggerimenti includevano l’uso dei sommergibili per imporre un blocco stretto dei porti nemici, poiché un sommergibile era l’unico tipo di nave che poteva sostare in sicurezza vicino alle coste nemiche per un periodo di tempo prolungato. A tal fine, ovviamente, avrebbero avuto bisogno di un raggio d’azione e di una resistenza sempre maggiori.

Il nocciolo della questione, in altre parole, era che i sommergibili offrivano una capacità molto potentecapacitàche non era ancora stata convertita in una metodologiametodologia tattica definitiva.In altre parole, si trattava di un sistema d’arma nuovo, oggetto di immaginazione e sperimentazione, e le marine militari a corto di denaro – che già cercavano di racimolare ogni possibile sterlina o marco per costruire navi da guerra – non erano propense a spendere molto in immaginazione, e in ogni caso i cantieri navali non potevano facilmente scalare per produrre sottomarini in scala.

Dato il confuso schema tattico, era forse naturale che i servizi sottomarini schierassero un’ampia varietà di modelli con tirature limitate. Per i britannici, il vero cavallo di battaglia era la classeclasse Edi cui undici erano in servizio con la Royal Navy allo scoppio della guerra. L’inizio delle ostilità può chiarire le priorità e, nel caso della Royal Navy, indusse la decisione di serializzare la produzione del modello di maggior successo, l’E. Di conseguenza, alla fine della guerra sarebbero stati costruiti in totale 58 battelli E. Tuttavia, gli inglesi continuarono a cimentarsi con progetti sperimentali, tra cui il cosiddetto “Oceango”, che avrebbe dovuto essere dotato di un sistema di navigazione a vela.

Tuttavia, i britannici continuarono a sperimentare progetti sperimentali, tra cui il cosiddetto sottomarino “oceanico”, che avrebbe dovuto avere la velocità di superficie necessaria per navigare con la Grande Flotta. Questi modelli, che includevano il modello sperimentaleSwordfisheNautilus,alla fine si è trasformato nella malriuscita classe K del periodo bellicoClasse K. I K erano vere e proprie mostruosità; spinti dalle richieste dell’ammiraglio Jellicoe di un sommergibile che potesse tenere il passo con la flotta di superficie, i K si trasformarono in colossi molto più grandi di qualsiasi altro sommergibile esistente, capaci di raggiungere circa 24 nodi e di operare con la flotta. Il prezzo di questa velocità, tuttavia, era uno scafo allungato con una scarsa manovrabilità in immersione e soprattutto – la vera follia – un motore a vapore al posto del diesel che era diventato onnipresente sui sommergibili.

Il problema del vapore su un sottomarino è semplice: una centrale elettrica a vapore genera un enorme calore e richiede inoltre un complesso di camini, scarichi e prese d’aria che devono essere chiusi per consentire al sottomarino di immergersi. Per poter immergere effettivamente il battello, gli equipaggi hanno dovuto spegnere i fuochi delle caldaie e condurre una lunga procedura per chiudere tutte le varie porte e gli scarichi che alimentano la centrale elettrica. I K impiegavano quindi mezz’ora per prepararsi all’immersione, rendendo impossibile una rapida immersione all’avvistamento del nemico. Inoltre, il battello rischiava sempre di affondare se anche una sola di queste porte non veniva sigillata correttamente. Questo è stato il destino dellaK13che affondò nel 1917 con una perdita totale di vite umane dopo che una presa d’aria non si era chiusa correttamente e aveva allagato la sala macchine. Come se non bastasse, i K erano così lunghi e tendevano a immergersi così ripidamente che era possibile che la prua del battello fosse alla massima profondità di immersione mentre la poppa era ancora praticamente in superficie. In breve, si trattava di un sommergibile che non poteva immergersi molto bene, il che sembrerebbe essere una capacità importante per un’imbarcazione del genere. Un ufficiale si lamentò che, per essere un sommergibile, i K avevano semplicemente “troppi buchi”, mentre Ernest Leir, il capitano del K3, scherzò sul fatto che “l’unica cosa buona dei battelli K è che non hanno mai agganciato il nemico”. Dopo che sei dei diciotto K andarono persi a causa di incidenti, la serie fu soprannominata in modo piuttosto appropriato “classe Kalamity”.

Un sottomarino di classe K, con “troppi buchi”.

Nel complesso, lo stato delle forze sottomarine britanniche era piuttosto confuso, ma non necessariamente confusionario. I primi programmi di costruzione consistevano in gran parte nelle prime classi (A-C), relativamente economiche ma limitate, utili soprattutto per la difesa costiera. Tra i più convinti sostenitori dei sommergibili in questo periodo c’erano l’ammiraglio Fisher e Winston Churchill, che ricevette da Fisher raccomandazioni di routine per “costruire più sommergibili” dopo il pensionamento di quest’ultimo nel 1910. Nel 1912-14, i britannici riuscirono a trovare un progetto veramente adatto per il lavoro nella classeclasse EMa le richieste sbagliate degli ammiragli – ad esempio, la richiesta di Jellicoe di un sommergibile in grado di navigare con la flotta – portarono a una serie di progetti collaterali improduttivi, come i K a vapore, che si sarebbero rivelati sostanzialmente inutili come mezzi militari.

Sottomarini britannici della Prima Guerra Mondiale

Sull’altra sponda del Mare del Nord, l’atteggiamento tedesco nei confronti dei sommergibili era molto diverso e fece sì che la flotta di sommergibili della Marina imperiale fosse troppo piccola per i compiti che le sarebbero stati affidati durante la guerra. L’architetto della flotta tedesca, l’ammiraglio Tirpitz, era notoriamente poco interessato ai sommergibili, affermando di non potersi permettere di finanziare “esperimenti”. Questo commento viene spesso interpretato per dipingere Tirpitz come un uomo privo di immaginazione e iperfissato sulle navi da guerra, ma c’era un quadro coerente nel suo pensiero. Tirpitz era palesemente interessato a costruire una flotta “visibile” per creare deterrenza, e i sottomarini non contribuivano a questo obiettivo. Tirpitz era anche concentrato sulla costruzione di una flotta d’altura in grado di combattere in alto mare, il che naturalmente smorzò l’interesse per i primi sottomarini, il cui corto raggio li confinava a ruoli di difesa costiera. Così, mentre la Royal Navy aveva un certo interesse per i primi sottomarini a corto raggio (As, B e C) per le operazioni costiere, Tirpitz non ne aveva. Solo quando i miglioramenti dei motori diesel allungarono le gambe dei sottomarini, questi divennero sistemi di interesse per la Germania. Il risultato di tutto ciò è che, mentre i famosi U-Boot (per l’autoesplicativoUnterseeboot)sono considerati un sistema d’arma iconico tedesco, ma la Germania ne aveva troppo pochi all’inizio della guerra.

La costruzione di sottomarini tedeschi fu ostacolata anche dalla struttura della costruzione navale tedesca, basata su “leggi navali” approvate dal Reichstag che stabilivano calendari di costruzione navale nel corso di molti anni. La legge navale tedesca del 1912 prevedeva il completamento di una flotta di 70 U-Boot nel 1919, mentre un programma ampliato proposto nel 1915 prevedeva come data di completamento il 1924. Ovviamente, dati i tempi della Prima Guerra Mondiale, non si trattava di un calendario particolarmente realistico o utile, ma rifletteva sia la priorità impropriamente bassa data inizialmente alla forza degli U-Boot, sia ipotesi errate sulla durata della guerra in Europa. L’espansione della flotta di U-Boat proposta nel 1915, ad esempio, era stata progettata partendo dal presupposto che la guerra sarebbe finita presto e che i sottomarini sarebbero stati necessari per una successiva guerra non programmata con l’Inghilterra.

Gli U-Boot della Prima Guerra Mondiale erano in genere vascelli adeguati, in gran parte equivalenti alla classe E britannica.classe Esottomarini, con gittate strategiche di migliaia di chilometri. I battelli tedeschi ottennero vantaggi significativi grazie ai loro efficienti motori diesel, in particolare un 4 tempi fornito dalla MAN (Maschinenfabrik Augsburg-Nürnberg). Un’autonomia sufficiente era particolarmente importante per i tedeschi se volevano operare oltre il Mare del Nord e interferire seriamente con il traffico navale verso la Gran Bretagna. Grazie all’efficienza dei loro diesel, tuttavia, i tedeschi erano in grado di operare con gli U-Boot nel Mare d’Irlanda, nell’Atlantico settentrionale e nel Mediterraneo. Il problema era che, data l’incapacità della Germania di portare avanti un programma di costruzione di navi da guerra, non c’erano mai abbastanza U-Boot per tutti.

Il 1° aprile 1915, quando il comando navale tedesco iniziò ad esplorare la possibilità di utilizzare gli U-Boot per attuare il blocco del Regno Unito, disponeva di soli 27 battelli oceanici. Contando le navi ordinate e in costruzione (e tenendo conto delle perdite previste), i tedeschi potevano contare sull’aggiunta di altri 13 battelli entro l’estate del 1916. Allo stesso tempo, però, le stime di pianificazione navale indicavano che un blocco completo della Gran Bretagna avrebbe richiesto almeno 48 U-Boot, più altri 56 per altre operazioni della flotta e per reintegrare le perdite previste. Il bilancio complessivo era quindi di 104 battelli necessari contro i soli 40 disponibili.

Il fabbisogno stimato di 104 U-Boot, tuttavia, si rivelò una sottostima alquanto deliberata, volta a provocare un’accelerazione della costruzione. Nel febbraio 1916, l’Admiralstab tedesco preparò un piano molto più completo per la guerra sottomarina senza restrizioni contro gli inglesi, che richiedeva una flotta molto più grande. Il piano prevedeva non meno di 27 aree operative per gli U-Boot (analoghe a zone di caccia), occupate da 170 imbarcazioni oceaniche. A questi si aggiungevano i battelli necessari per il pattugliamento dell’ansa di Helgoland (con il compito di tenerla sgombra dalle imbarcazioni britanniche per consentire agli U-Boot di entrare e uscire dalle loro basi), una riserva di U-Boot da sbarco, con il compito di effettuare operazioni minerarie sia contro la Gran Bretagna che contro la Russia, e una forza di battelli in grado di operare con la flotta. Una volta sommato tutto, il piano della Marina per il 1916 prevedeva un numero impressionante di 366 U-Boat siluranti e 117 U-Boat minatori. La lettura di questa proposta deve essere stata disorientante. In effetti, a questo punto la Germania poteva contare su un totale di 119 U-Boat siluranti e 14 posamine.

Le esorbitanti stime del 1916 erano ovviamente talmente al di là della potenziale generazione di forze della Germania che, in tempo reale, non servivano quasi a nulla. Per noi, tuttavia, sono interessanti perché indicano ciò che gli ammiragli tedeschi ritenevano necessario per portare avanti con successo una campagna sottomarina vincente. Nonostante avessero una forza di gran lunga inferiore ai requisiti stimati, finirono comunque per tentare una campagna sottomarina senza restrizioni. La Prima guerra mondiale sconvolse la maggior parte delle ipotesi europee su come si sarebbero combattuti i conflitti futuri, ma alla luce delle proposte dell’Admiralstab tedesco del 1916, i sommergibili spiccano sicuramente come una delle principali mancanze. Dopo essere stati trattati come un sistema essenzialmente accessorio durante la costruzione navale prebellica, in particolare dai tedeschi, che erano guidati dall’enfasi di Tirpitz su una flotta visibile di navi capitali d’acqua blu, nel 1916 erano diventati un braccio critico su cui poggiavano sempre più le speranze della Germania.

Il problema multivariato

L’uso di gran lunga più famoso dei sottomarini, almeno nelle loro versioni antecedenti al nucleare, era quello di piattaforme per affondare navi commerciali. L’immagine degli U-Boot che si aggirano nell’Atlantico, predando navi mercantili indifese, ha fatto passare in secondo piano le altre applicazioni tattiche, più teoriche, che comprendevano la difesa delle coste, l’individuazione di mine, le trappole sottomarine in concerto con le operazioni della flotta, le linee di schermatura e così via. Tuttavia, all’inizio della Grande Guerra non era affatto ovvio che l’attacco alle navi mercantili fosse un ruolo appropriato per i sottomarini, e il concetto incontrava seri ostacoli che richiedevano una radicalizzazione rivoluzionaria della guerra in mare.

All’inizio del secolo, la guerra navale era regolata da varie convenzioni e trattati che apparentemente rendevano i sommergibili assolutamente inadatti alle operazioni contro le navi mercantili. Le più importanti erano le cosiddetteRegole del premioche regolava la “cattura” di navi civili in condizioni di guerra. Queste norme hanno avuto origine dai tentativi delle potenze europee di delineare una linea di demarcazione tra il blocco legale e la pirateria, in particolare mentre il mondo si muoveva per abolire l’antica pratica del corsaro (la concessione di una licenza che permetteva a navi da guerra private di abbordare e razziare legalmente le navi del nemico). Le norme esistenti che regolavano i blocchi stabilivano che esistevano vari tipi di contrabbando che erano legittimamente soggetti a sequestro, ma soprattutto stabilivano che le navi bloccanti erano obbligate a fermare i mercantili presi di mira e a condurre un inventario ordinato (per accertare se il carico fosse effettivamente di contrabbando), garantendo al contempo la sicurezza dell’equipaggio civile e dei passeggeri.

Le regole di interdizione dettate dalle regole del premio erano alla base delle teorie sulla guerra degli incrociatori a lungo raggio, che prevedevano che i veloci incrociatori corazzati potessero spingersi nelle rotte marine per intercettare e catturare le navi del nemico. Ciò aveva un’ovvia attrattiva in qualsiasi guerra contro la Gran Bretagna, che nel XX secolo era diventata fortemente dipendente dalle importazioni di fattori industriali e materie prime vitali. La Germania, tuttavia, aveva evitato una strategia di incursione basata sugli incrociatori, in quanto non disponeva delle basi all’estero e delle stazioni di rifornimento necessarie per sostenere queste navi, in particolare se fossero state tagliate fuori dai porti nazionali tedeschi dalla Grand Fleet della Royal Navy.

I sommergibili, a quanto pare, offrivano un sostituto alla guerra di crociera, in particolare con l’avvento dei nuovi modelli diesel, che avevano una maggiore autonomia. A differenza di un incrociatore, un U-Boat aveva buone probabilità di sgusciare fuori dal Mare del Nord e il suo potere di occultamento lo rendeva molto più difficile da abbattere. Il problema, tuttavia, a parte il fatto che la Germania aveva solo 28 U-Boot all’inizio della guerra, era che i sottomarini erano estremamente fragili, il che rendeva molto pericoloso per loro seguire le regole del premio. Ciò si verificò in particolare quando gli inglesi iniziarono ad aggiungere cannoni nascosti alle navi mercantili, creando le cosiddette “navi Q”. Un sottomarino in superficie e immobile era un bersaglio molto vulnerabile, anche contro i modesti cannoni delle navi Q. Non ci vuole molta immaginazione per immaginare un sommergibile tedesco che emerge in superficie, che segnala quello che si ritiene essere un mercantile indifeso e che poi spara a bruciapelo mentre si accosta per salire a bordo.

Le navi Q si dimostrarono più che capaci di affondare gli U-Boot che cercavano di applicare la regola del premio. Nel giugno del 1915, laInverlyonaffondò il sottomarinoUB-4con la perdita di tutti gli uomini nel Mare del Nord, dopo averla colpita con i colpi di un singolo cannone da 3 libbre. Pochi mesi dopo, laHMS BaralongaffondatoU-27in un incidente che è diventato piuttosto famoso dopo che ilBaralongIl capitano ordinò che i marinai tedeschi sopravvissuti fossero fucilati in acqua. Incidenti come questo dimostrarono quanto fosse pericoloso per gli U-Boot operare secondo le regole del premio e amareggiarono profondamente l’atteggiamento tedesco nei confronti dei mercantili britannici, soprattutto perché le navi Q nascondevano il loro armamento per sembrare normali navi da carico, il che veniva considerato essenzialmente equivalente alla perfidia. Il risultato di tutto ciò fu che, per gli U-Boot, era tatticamente insensato rinunciare al loro più grande vantaggio – l’occultamento – emergendo apertamente e tentando di abbordare e perquisire il nemico. La soluzione, ovviamente, era trattare le navi nemiche come obiettivi militari e affondarle, senza preavviso, con un attacco silurante nascosto.

Dal punto di vista tattico, quindi, i sommergibili avrebbero potuto sostituire gli incrociatori solo se avessero eliminato del tutto le regole sui premi e avessero affondato i vascelli in modo del tutto naturale. Si trattava di una palese violazione del diritto internazionale e di una tattica che, in ultima analisi, si basava su un elemento di terrore e casualità. La decisione di intraprendere una “guerra sottomarina senza restrizioni”, che funzionalmente significava l’affondamento senza preavviso di tutto il traffico navale che entrava nella “zona di guerra” dichiarata intorno alla Gran Bretagna, non era quindi una mera questione tattica, ma un problema strategico piuttosto nebuloso che doveva tenere conto del pericolo di irritare i neutrali, e in particolare gli Stati Uniti. Questi calcoli si svolgevano parallelamente a un problema matematico tattico più concreto, legato alla quantità effettiva di navi che potevano essere affondate dalla limitata forza tedesca di U-Boot.

In altre parole, la guerra sottomarina senza restrizioni presentava una serie di calcoli difficili. A livello puramente tattico, il problema era che i sottomarini non erano esattamente un sostituto diretto di un efficace blocco navale. I sottomarini non potevano impadronirsi di carichi di contrabbando, non potevano catturare navi e installare equipaggi premio e non potevano mantenere una presenza permanente e visibile al largo delle coste nemiche. Ciò che potevano fare era affondare le navi, e la questione rilevante era se potevano affondare abbastanza navi nemiche da *simulare* gli effetti di un blocco. Si trattava di un’ipotesi sempre incerta, data la relativa scarsità di U-Boot, il fatto che solo una piccola parte della forza poteva essere effettivamente in pattugliamento in qualsiasi momento (il resto era in porto o in transito tra le loro basi e le aree di pattugliamento) e la sorprendente difficoltà che i sommergibili avevano nel localizzare i bersagli in mare aperto. Questi calcoli tattici avvenivano nel contesto di un più ampio calcolo rischio-ricompensa che soppesava i costi diplomatici dell’attacco alle navi neutrali rispetto al potenziale danno economico imposto agli inglesi. Si trattava di domande senza risposte chiare, tanto che la guerra sottomarina senza restrizioni divenne un metodo che i tedeschi avrebbero alzato e abbassato a seconda del loro senso di frustrazione strategica e della forza degli U-Boot.

All’inizio della guerra, l’analisi dei costi e dei benefici della guerra sottomarina senza restrizioni non era particolarmente solida. Una delle idiosincrasie che caratterizzarono le prime operazioni belliche furono i presupposti molto diversi che animavano le flotte britanniche e tedesche. L’ammiraglio Jellicoe della Royal Navy presumeva che le mine e gli aerosiluranti avrebbero reso proibitivo per le navi capitali operare apertamente nel Mare del Nord, e basò la Grande Flotta a Scapa Flow, molto più a nord delle basi tedesche. I tedeschi, d’altra parte, prevedevano pienamente il tentativo dei britannici di organizzare una battaglia di flotta decisiva fin dall’inizio. Dati i limiti della forza degli U-Boat, la preoccupazione tedesca era quindi quella di come utilizzare i sommergibili nella prevista azione generale della flotta.

Lo schema iniziale di dispiegamento tedesco prevedeva una linea di schermatura di cacciatorpediniere posizionate a circa 30 miglia al largo dell’ansa di Helgoland, con una linea secondaria di sommergibili a 10 miglia all’interno di questa linea di schermatura esterna. Questi U-Boot erano distanziati a intervalli approssimativamente equidistanti, legati a boe di ormeggio in superficie. L’idea, a quanto pare, era che all’avvicinarsi della Grand Fleet britannica, la linea esterna di cacciatorpediniere si sarebbe immediatamente ritirata nell’ansa; la ritirata della linea di schermatura sarebbe stata il segnale per gli U-Boot di staccarsi dalle boe e immergersi, in preparazione a lanciare attacchi con siluri sulle navi britanniche in arrivo. Sulla carta, si sperava che lo schermo degli U-Boot fosse in grado di mettere a segno una serie di colpi e di pareggiare i conti prima che le flotte si impegnassero nell’ansa. In altre parole, gli U-Boot erano considerati una componente supplementare della difesa dell’Ansa, piuttosto che un braccio indipendente per condurre operazioni proattive.

Il primo impiego proattivo degli U-Boot fu come forza di ricognizione. Il comandante Hermann Bauer, che comandava la forza sottomarina, organizzò una flottiglia di dieci U-Boot con il compito di esplorare il Mare del Nord per individuare la Grande Flotta e, se possibile, identificare la disposizione delle linee di blocco britanniche. Essi attraversarono il mare verso nord su un fronte di 60 miglia, cercando di sondare fino alle Orcadi, a nord della Scozia. A partire dal 6 agosto 1914, nove U-Boot (uno aveva avuto problemi al motore poco dopo la partenza ed era dovuto tornare indietro) fecero un giro di 350 miglia attraverso il Mare del Nord. È sorprendente che, nonostante l’apparente perlustrazione di un’area di circa 21.000 miglia quadrate, i sette sottomarini che rientrarono alla base il 12 agosto riferirono di non aver incontrato alcuna nave da guerra britannica. Per quanto riguarda i due U-Boot scomparsi,U-15aveva incontrato l’incrociatore leggeroBirminghamnelle Orcadi ed è stato affondato dalla nave britannica eU-13era apparentemente scomparso. Sfortunatamente per i tedeschi,U-15aveva in realtà qualcosa di interessante da dire: aveva raggiunto le Orcadi e aveva accertato che la flotta britannica si trovava lì, al sicuro, fuori dalla portata della Marina tedesca. Ovviamente, però, il suo sfortunato incontro con ilBirminghamle impedì di riferire questa sua intuizione allo Stato Maggiore della Marina.

La missione di ricognizione del mese di agosto non aveva infuso molta fiducia negli U-Boot. Dieci battelli avevano condotto una perlustrazione relativamente ampia del Mare del Nord ed erano tornati senza danneggiare, e tanto meno affondare, una sola nave britannica, mentre avevano perso due sommergibili. Non solo, ma non erano tornati con informazioni utili di alcun tipo, se non la conferma che i britannici non stavano attuando un blocco a distanza ravvicinata. Le aspettative prebelliche nei confronti delle forze sottomarine non erano elevate e questa esperienza non servì a risollevarle. Come disse un ufficiale tedesco: “La nostra flotta di sommergibili era buona come nessun’altra al mondo, ma non molto buona”. Considerata la denigrazione che i tedeschi avevano inizialmente riservato alla propria forza di U-Boot, è davvero notevole che i sommergibili siano presto diventati un braccio critico su cui la Germania riponeva gran parte delle sue speranze di vittoria.

Il paradosso della guerra navale era il fatto che, nonostante le enormi risorse riversate nelle flotte tedesche e britanniche, il Mare del Nord era relativamente privo di navi. Jellicoe era convinto che i siluri avessero trasformato il Mare del Nord in una zona morta e la flotta d’altura tedesca – costruita espressamente per competere ai margini dell’ansa – non aveva il raggio d’azione per colpire in modo significativo. Non tutti però condividevano la cautela di Jellicoe e diverse forze ausiliarie britanniche continuarono a operare nella Manica e nell’estremità meridionale del Mare del Nord con una protezione relativamente blanda contro i sottomarini. Una di queste forze era uno squadrone diBaccanteincrociatori corazzati della classe “C” – navi logore e stanche costruite nel 1989, mobilitate in fretta e furia dalla Flotta di Riserva allo scoppio della guerra e incaricate di sorvegliare l’ingresso della Manica, apparentemente per proteggere i convogli che trasportavano la Forza di Spedizione Britannica e i suoi rifornimenti in Francia.

LeBaccantierano lente e vecchie, con un equipaggio composto da uomini richiamati dalle riserve della flotta e con i gradi di ufficiale completati da cadetti del Royal Navy College. Procedendo lungo una linea di pattugliamento al largo della costa olandese, è difficile immaginare bersagli più accomodanti. Il capitano Roger Keyes scrisse alla Divisione Operazioni dell’Ammiragliato: “Pensate a due o tre incrociatori tedeschi ben addestrati… Per l’amor del cielo, prendete quelleBaccantivia! I tedeschi devono sapere che ci sono e se mandano una forza adeguata, che Dio li aiuti….”. L’aspetto interessante dell’avvertimento di Keyes è che era preoccupato per ibaccantisotto attacco da parte delle navi di superficie tedesche. Si tratta di un fatto insolito, perché Keyes stesso era a capo del servizio sottomarino britannico, ma a quanto pare non considerava i sottomarini una minaccia pressante. IBacchantinon furono ritirati dai loro compiti di pattugliamento, anche se gli ufficiali della Grand Fleet (che era al sicuro nelle Orcadi) iniziarono a chiamarli “squadrone di esche vive”.

Alle 6:30 del 22 settembre, tre deiBaccanti– ilAboukir, Hogue,eCressy– stavano navigando lungo la loro linea di pattugliamento quando una forte esplosione ha squarciato l’Aboukir.Aboukirlato di dritta. Era stato silurato dal sommergibile tedesco U-9, non ancora individuato.U-9,che aveva avvistato gli incrociatori britannici all’orizzonte all’alba.

U-9era capitanato da Otto Weddigen, una specie di leggenda, almeno per quanto riguarda i primi sommergibilisti. Nel 1911 era sopravvissuto all’affondamento dell’U-3 durante un’esercitazione nel porto di Kiel (qualcuno aveva lasciato aperto un ventilatore) usando l’aria pressurizzata per far sfiatare i serbatoi di galleggiamento anteriori del battello, facendo galleggiare temporaneamente la prua del battello in superficie. Weddigen guidò quindi il suo equipaggio di 28 uomini in una precaria scalata verso la prua (la barca era ora sospesa in forte pendenza con la prua in superficie e la poppa in profondità), prima di fuggire dall’imbarcazione che stava affondando strisciando attraverso un tubo di siluro largo 18 pollici. Weddigen comprendeva quindi meglio di chiunque altro il rischio di essere un sommergibilista, ma prendeva la sua professione con estrema serietà ed era ben noto per il suo equipaggio selezionato che lo tormentava senza sosta.

Weddigen era, in altre parole, un personaggio adatto a mettere a segno uno dei primi grandi colpi tattici del sottomarino. Stava facendo colazione quella mattina quando arrivò la notizia che ilBaccantiera stato avvistato. Abbandonò immediatamente il pasto e ordinò un’immersione a profondità di periscopio. Diresse il sommergibile verso gli incrociatori, puntando al centro delle tre navi, alzando e abbassando alternativamente il periscopio per mantenere l’occultamento. Alle 6:20 tornò in superficie, lanciò un singolo siluro contro l’Aboukir.Aboukire si tuffò immediatamente. Il siluro colpì l’incrociatore a centro nave sotto la linea di galleggiamento e allagò immediatamente le sale macchine e l’Aboukir.Aboukirha iniziato ad affondare rapidamente. Nel giro di 25 minuti, la nave si capovolse completamente.

Una cartolina tedesca che celebra le imprese dell’U-9

Come ilAboukirIl capitano della nave Hogue, con le sue buone intenzioni, è andato in rovina.HogueWilmot Nicholson, si diresse a bassa velocità verso il relitto per prendere in consegna i numerosi sopravvissuti che ormai si stavano riversando in acqua. Ordinò ai suoi uomini di gettare in mare tavoli e sedie a cui gli uomini in acqua potessero aggrapparsi, mentre lui si preparava a calare le sue barche per recuperarli. Prima che potesse iniziare il salvataggio, però, l’Hoguefu squarciato da un paio di esplosioni di due siluri. Dopo aver colpito laAboukirWeddigen era sceso di nuovo alla profondità del periscopio e aveva ricaricato il suo tubo scarico. Pur avendo notato, con un certo rammarico, la situazione dei “coraggiosi marinai” che stavano lottando nell’acqua, Weddigen sparò entrambi i suoi tubi di prua contro l’Hogue.Hogue. Anche lei cominciò ad affondare e Weddigen e il suo equipaggio osservarono con disagio l’incrociatore rimanente, laCressy– La Weddigen si attardò e fece del suo meglio per recuperare la massa di uomini che si dimenavano nell’acqua. Avendo ormai solo tre siluri a bordo (due nei tubi di poppa e uno di riserva per la prua), Weddigen ruotòU-9e ha sparato con entrambi i tubi di poppa contro ilCressye ottenne un solo colpo. Poi tornò indietro e sparò l’ultimo siluro a prua, mettendo fine alla sua serie di tiri, prima di tornare di corsa alla base. IlCressyaffondò alle 7:55 del mattino.

Le imprese di Weddigen del 22 settembre parlavano da sole. IlBaccanteSi trattava di vecchie navi da guerra con un valore limitato nelle operazioni di flotta, ma questo non abdicò allo spettacolo di un singolo sottomarino che affondava tre incrociatori corazzati nello spazio di appena 90 minuti. Anche se alcune centinaia di marinai furono salvati, prima da imbarcazioni civili olandesi e poi dai cacciatorpedinieri britannici che risposero alla richiesta di soccorso, la stragrande maggioranza fu uccisa. In totale 837 uomini furono ripescati vivi dall’acqua, mentre 62 ufficiali e 1.397 marinai annegarono. Jacky Fisher disse con rabbia che l’U-9 aveva ucciso più uomini di quanti Nelson ne avesse persi in tutte le sue battaglie. La scena fu scioccante e fece una profonda impressione a Weddigen, che provò una profonda ammirazione per i marinai britannici e riferì: “Erano coraggiosi e fedeli alle tradizioni marinare del loro Paese”.

L’equipaggio dell’U-9 con la sua croce di ferro

Era rivoluzionario che un singolo sottomarino potesse raggiungere un risultato così impressionante. Weddigen divenne immediatamente un eroe in Germania e sia lui che il suo equipaggio furono decorati sontuosamente dal Kaiser. In un primo momento gli inglesi si rifiutarono di credere che l’attacco fosse stato opera di un sommergibile solitario.Il Timesriportava che i sommergibili tedeschi operavano sempre in gruppi di sei, e “se è vero che solo uno, l’U-9, è tornato in porto, possiamo tranquillamente supporre che gli altri siano perduti”. Tuttavia, il colpo di Weddigen fu un fulmine a ciel sereno per la guerra sottomarina, inducendo i britannici a varare nuovi regolamenti e contromisure (ad esempio, lo zig-zag per confondere il raggio dei siluri e il divieto per le grandi navi da guerra di fermarsi sul posto per accogliere i superstiti delle navi affondate) e produsse un nuovo interesse tedesco per gli U-Boot come arma potenzialmente decisiva.

La consapevolezza che i sottomarini erano armi serie, e non “esperimenti” come li aveva notoriamente definiti Tirpitz, si unì alla crescente frustrazione per il blocco britannico per spingere i tedeschi alla loro prima incursione nella guerra sottomarina senza restrizioni. Il fatto fondamentale da comprendere a questo proposito è la semplice realtà che il blocco britannico della Germania era “illegale”. Si tratta di un termine che è sempre difficile da introdurre nel contesto della guerra; a rischio di intraprendere una tangente lunga e potenzialmente improduttiva, non esistono davvero “leggi” di guerra. Ciò che conta, in ultima analisi, è vincere. Un breve sguardo agli individui e agli Stati chiamati a rispondere di violazione delle “leggi di guerra” rivela essenzialmente una lista di perdenti. Tuttavia, secondo i parametri delle convenzioni internazionali dell’epoca, il blocco navale britannico era chiaramente illegale, in quanto operava a grande distanza dalla costa tedesca e cercava di interdire tutto il traffico nel Mare del Nord. La dichiarazione dell’intero Mare del Nord come zona di guerra non era vietata dai trattati internazionali, così come l’interdizione britannica di prodotti come il cibo, che non erano considerati contrabbando di guerra.

La legalità del blocco britannico non ebbe molta importanza, perché la Gran Bretagna vinse la guerra e gestì con successo la sua diplomazia per evitare di alienarsi potenze neutrali come gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, per inciso, si lamentarono spesso delle pratiche di blocco della Gran Bretagna, ma come sappiamo l’America alla fine entrò in guerra come alleato della Gran Bretagna. Pertanto, sebbene l'”illegalità” del blocco sia essenzialmente indiscutibile, dovrebbe essere classificata come una violazione estremamente riuscita e calcolata, che è il tipo migliore.

Ciò che contava molto, tuttavia, è che il blocco britannico irritò e indignò molto i tedeschi, e l’indifferenza percepita dalla Gran Bretagna nei confronti delle “regole” del blocco incoraggiò i tedeschi a vendicarsi con la propria violazione del diritto internazionale scatenando gli U-Boot. Nel dicembre 1914, Tirpitz rilasciò un’intervista a un corrispondente americano in cui si lamentava del mancato intervento americano contro l’illecito blocco britannico e sosteneva che la Germania avrebbe potuto vendicarsi con una campagna di U-Boot. “Abbiamo le risorse”, sosteneva, “per silurare ogni nave inglese o alleata che si avvicina a un porto britannico”. Questo non era esattamente vero, ma sottolineava la convinzione tedesca che la guerra sottomarina senza restrizioni fosse una risposta appropriata al blocco britannico.

Il primo tentativo tedesco di blocco sottomarino, iniziato nel febbraio del 1915, può essere considerato una rappresaglia catartica contro il blocco britannico andato terribilmente male. Innanzitutto, sembra abbastanza ovvio che la guerra sottomarina abbia sempre rischiato di essere una violazione del diritto internazionale più incisiva del blocco, semplicemente perché affondare le navi senza preavviso è un atto molto più violento e scioccante rispetto al sequestro ordinato dei loro carichi. Inoltre, la decisione di ricorrere ai sommergibili annullò completamente la crescente frustrazione dei neutrali nei confronti degli inglesi. Le opinioni in America erano fortemente contrarie al blocco britannico e alle “aggressioni insolenti” di cui gli inglesi davano prova quando sequestravano le “pacifiche navi commerciali” americane. Il Segretario agli Interni, Franklin Knight Lane, si lamentò: “Gli inglesi non si stanno comportando molto bene. Stanno bloccando le nostre navi; hanno fatto una nuova legge internazionale… Ogni giorno… ci irritiamo un po’ di più per le azioni sciocche degli inglesi”.

I tedeschi non capirono, tuttavia, che il campo di battaglia più decisivo della guerra non era né il Mare del Nord, né le linee di trincea in Francia, né il fronte mobile nell’Europa orientale: era piuttosto la guerra per la simpatia degli americani. La crescente frustrazione per il blocco inglese, la perdita di U-Boot che cercavano di rispettare le regole del premio e il crescente senso di impotenza da parte della marina tedesca li costrinsero a lanciare i dadi con quella che era, apparentemente, l’arma migliore che avevano. In particolare, la decisione di tentare una guerra sottomarina senza restrizioni fu dettata da un paio di politiche britanniche che i tedeschi consideravano un subdolo tradimento: la pratica di nascondere armi sulle navi mercantili (le navi Q) e un ordine del gennaio 1915 dell’Ammiragliato britannico secondo cui le navi mercantili britanniche avrebbero dovuto battere le bandiere di Paesi neutrali per eludere i sottomarini tedeschi. Con gli inglesi che ora camuffavano navi da guerra armate come mercantili disarmati e che travestivano le proprie navi come navi neutrali, la frustrazione aveva raggiunto il punto di ebollizione. Il 4 febbraio 1915, l’ammiraglio Hugo von Pohl pubblicò un avvertimento:

Le acque intorno alla Gran Bretagna e all’Irlanda, compresa l’intera Manica, sono dichiarate Zona di Guerra. A partire dal 18 febbraio ogni nave mercantile nemica incontrata in questa zona sarà distrutta, né sarà sempre possibile scongiurare il pericolo minacciato per l’equipaggio e i passeggeri. Anche le navi neutrali correranno un rischio nella Zona di Guerra, perché, visti i rischi della guerra marittima e l’autorizzazione britannica del 31 gennaio all’uso improprio delle bandiere neutrali, potrebbe non essere sempre possibile evitare che gli attacchi delle navi nemiche danneggino le navi neutrali.

Avvertimenti simili furono pubblicati negli Stati Uniti dall’ambasciata tedesca. La politica fu altamente catartica e fu immaginata in Germania come una risposta proporzionata alle misure di blocco illegali della Gran Bretagna e al suo perfido uso di bandiere neutrali. La campagna, tuttavia, soffrì fin dall’inizio di un duplice difetto: semplicemente non c’erano abbastanza U-Boot per imporre un blocco efficace e lo spettacolo di affondare navi civili senza preavviso era considerato un atto di barbarie. Alle potenze neutrali, anche a quelle come gli Stati Uniti che si opponevano fermamente al blocco britannico, gli attacchi sottomarini senza restrizioni non sembravano affatto una risposta proporzionata.

In un solo colpo, gli U-Boot annullarono il crescente slancio che i tedeschi avevano guadagnato nell’opinione pubblica americana. Il 28 marzo, un sommergibile affondò la nave passeggeri britannicaFalabacon un cittadino americano a bordo. Il 1° maggio fu affondata una petroliera americana. Ma il colpo grosso arrivò il 7 maggio 1915: L’U-20 silurò il transatlanticoLusitaniaal largo della costa meridionale dell’Irlandacausando la morte di 1.198 passeggeri, tra cui 124 americani.

L’affondamento delLusitaniadivenne un momento iconico della guerra per tutte le ragioni sbagliate e scatenò una tempesta di indignazione in America. Anche se l’incidente non portò direttamente all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1915, inasprì fortemente l’opinione pubblica americana contro la Germania e creò una vera e propria crisi diplomatica per Berlino, amplificata dalle scarse comunicazioni tra i due Paesi (la Gran Bretagna aveva interrotto l’accesso della Germania ai cavi d’oltremare all’inizio della guerra). Nel frattempo, in Germania, l’entusiasmo per la campagna degli U-Boat non faceva che aumentare, poiché i sottomarini erano sempre più visti come un’arma di vendetta che aveva finalmente concesso la possibilità di infliggere dolore diretto agli odiati inglesi. A peggiorare le cose fu il sistematico offuscamento della Marina, che falsificava i numeri degli U-Boot disponibili e sovrastimava in modo onnipresente la loro capacità di affondare le navi nemiche.

In effetti, i vertici della Marina avevano creato un’aspettativa che era selvaggiamente sproporzionata rispetto alle forze sottomarine disponibili. Ciò ebbe l’effetto particolare di avvelenare la reputazione dell’ammiraglio Tirpitz, che presentò numeri manipolati o addirittura falsificati e incoraggiò una frenesia di sostegno alla guerra sottomarina senza restrizioni. Il ministro della Guerra prussiano, Wild von Hohenborn, disse di Tirpitz: “Se ha davvero falsificato le cifre per realizzare il suo sogno di una guerra sottomarina senza restrizioni, allora è giusto che sia chiamato a rispondere di un tale crimine contro la Patria”. Il Kaiser tentò di spiegare: “Non c’è neanche lontanamente un numero sufficiente di U-Boat disponibili per portare avanti la guerra radicale di U-Boat che Falkenhayn e l’opinione pubblica chiedono”.

Alla fine, la campagna U-Boot si trovò in una morsa politica. Da un lato, cresceva l’insoddisfazione dei vertici dell’esercito, che gradualmente si rendevano conto che la Marina aveva esagerato con le promesse e con la forza degli U-Boot; dall’altro, i vertici politici civili, tra cui il Cancelliere Bethmann Hollweg, sostenevano con veemenza che i sottomarini minacciavano la posizione diplomatica della Germania e compromettevano gli sforzi per garantire la neutralità americana. Nel settembre 1915, non si poteva più negare che i frutti della campagna non valessero gli enormi svantaggi diplomatici e la guerra sottomarina senza restrizioni fu interrotta. Gli U-Boat nel Canale della Manica, nel Mare d’Irlanda e nell’Atlantico settentrionale furono richiamati e le operazioni degli U-Boat furono limitate al Mare del Nord, dove operarono secondo le vecchie regole del premio.

Il quadro generale della guerra sottomarina senza restrizioni che emerge è quello di una valvola di sfogo per l’urgenza strategica e la frustrazione. All’inizio del 1915, la frustrazione per l’impotenza della marina e gli abusi del blocco britannico costrinsero i tedeschi a fare il loro primo tentativo di una campagna totalizzante con gli U-Boat, che allentò in parte la pressione e fu infine abbandonata quando divenne chiaro che i costi diplomatici non valevano i vantaggi, date le dimensioni della forza degli U-Boat. All’inizio del 1917, la pressione era nuovamente salita a livelli critici e si decise nuovamente di scatenare i sottomarini.

Nel 1917, il calcolo era molto diverso. Innanzitutto, la forza degli U-Boat era cresciuta in modo significativo grazie al completamento della guerra, anche se era ancora insufficiente per il compito da svolgere. Ma soprattutto, i tedeschi erano esasperati dopo che, alla fine del 1916, i loro tentativi di lanciare segnali di pace erano stati respinti dagli alleati. Ciò intensificò il risentimento tedesco e creò un certo senso di indifferenza nei confronti delle opinioni americane. A parere di Berlino, il presidente Wilson non era stato di grande aiuto nell’organizzare i colloqui di pace: parlava con grande entusiasmo di mediare la fine dell’accordo, mentre dietro le spacconate idealistiche gli Stati Uniti continuavano a finanziare e rifornire lo sforzo bellico alleato. I tedeschi erano sempre più convinti che gli Stati Uniti fossero un intermediario disonesto e gran parte della casta dirigente tedesca riteneva che gli americani si fossero guadagnati quello che gli spettava con i sottomarini.

Un manifesto di propaganda britannico, con lo sfondo dell’affondamento del Lusitania

Infine, la leadership tedesca ritenne che nei primi mesi del 1917 si fosse aperta una finestra di opportunità strategica unica. Il maltempo aveva provocato la perdita dei raccolti in gran parte dell’emisfero settentrionale, includendo non solo la Germania, ma anche la Scozia, parti dell’Inghilterra e ampie zone del Nord America. Ciò suggeriva che la Gran Bretagna – che già dipendeva in una certa misura dalle importazioni di cibo in circostanze normali – sarebbe dipesa dalle spedizioni di grano dall’Argentina e dall’Australia per sopravvivere.

Nel dicembre 1916, i tedeschi raccolsero il parere di diversi specialisti in economia e navigazione, nonché di uomini d’affari specializzati in cereali. Le conclusioni furono essenzialmente le seguenti: La capacità marittima britannica era di circa 20,75 milioni di tonnellate, di cui circa 10 milioni erano permanentemente vincolati dalla domanda militare. Rimanevano quindi poco meno di 11 milioni di tonnellate per trasportare le scorte alimentari della Gran Bretagna. Sulla base delle precedenti prestazioni degli U-Boat, si stimava che la forza sottomarina, ora più numerosa, avrebbe potuto, se fosse stata autorizzata a condurre una guerra senza restrizioni, affondare 600.000 tonnellate di navi britanniche al mese. Nell’arco di cinque mesi, la Gran Bretagna avrebbe avuto a disposizione solo 6,5 milioni di tonnellate di merci per il trasporto di generi alimentari, che secondo le stime non sarebbero state sufficienti a sfamare le isole britanniche. Sulla base di questi calcoli, la guerra sottomarina senza restrizioni prometteva di portare i britannici sull’orlo della fame entro l’estate del 1917 e di costringerli a porre fine alla guerra.

Questi calcoli erano molto importanti, in quanto comportavano un paio di importanti implicazioni. In primo luogo, la finestra di opportunità per i sommergibili era legata al fallimento del raccolto del 1916, il che significava che una campagna senza restrizioni contro le navi doveva iniziare al più tardi nel febbraio 1917, in modo che potesse avere effetto prima che il sistema agricolo potesse riprendersi. In secondo luogo, l’insinuazione che i sottomarini potessero vincere la guerra in cinque mesi mise un paletto alla questione americana: non aveva molta importanza, in altre parole, se gli americani avessero dichiarato guerra alla Germania, perché gli inglesi sarebbero stati messi in ginocchio prima che gli americani potessero mettere un dito sulla bilancia. Tutto questo, ovviamente, si basava su ipotesi ottimistiche, ma il tema inespresso alla base di tutto questo era un crescente senso di frustrazione strategica e di scacco.

Il 1° febbraio 1917, il generale Moriz von Lyncker, capo del gabinetto militare del Kaiser, scrisse la seguente nota:

La situazione sta diventando sempre più grave e quindi oggi è stata concessa l’autorizzazione a scatenare la campagna contro gli U-Boot a pieno regime. Si spera molto in questo: la marina ritiene che possiamo abbattere un milione di tonnellate al mese. A quanto pare agli inglesi restano solo sei milioni per scopi commerciali, e tre mesi ne porterebbero via la metà. Naturalmente, tutto ciò è molto vago e si basa su calcoli e condizioni favorevoli, poiché nessuno sa come andranno realmente le cose. Ma le speranze sono alte. L’America? Un’altra incognita. Gli ottimisti credono che non si arriverà alla guerra e che, se ciò accadrà, avremo finito con gli inglesi prima che gli americani abbiano avuto la possibilità di interferire. Vedremo! È tutto ciò che possiamo dire.

Caccia ai cacciatori: La guerra antisommergibile

Il grande gioco degli U-Boat tedeschi del 1917 presenta un notevole paradosso. Da un lato, i risultati parlarono da soli quasi subito. La guerra sottomarina senza restrizioni iniziò nel febbraio 1917: in quel mese gli U-Boot affondarono 291 navi per un tonnellaggio totale di 499.430 tonnellate. A maggio, il totale mensile era salito a 357 navi per un totale di 590.729 tonnellate e a giugno gli U-Boat affondarono 352 navi con 669.218 tonnellate di carico. Questi totali superavano l’obiettivo della Marina, che era stato fissato a mezzo milione di tonnellate al mese. A questi livelli di perdite, gli inglesi si trovarono rapidamente di fronte a una vera e propria crisi strategica. In aprile, l’ammiraglio Jellicoe fu costretto ad ammettere che “i tedeschi vinceranno se non riusciremo a fermare queste perdite”.

Il paradosso di tutto ciò è che la guerra senza restrizioni non fu particolarmente responsabile dei successi iniziali della Germania. Si è parlato molto della decisione di allentare le regole d’ingaggio e di rinnovare gli attacchi alle navi neutrali, ma la realtà è che la maggior parte dei guadagni della Germania avvenne semplicemente perché aveva più sottomarini che operavano intorno alle isole britanniche. Gli U-Boot in forza erano ora 136 e la decisione del 1° febbraio li gettò tutti in battaglia, accorciando i tempi di permanenza in porto, riducendo le ferie degli equipaggi e mantenendo in mare la maggior parte possibile della forza. Gli U-Boot cominciarono ad affondare più navi britanniche perché erano più numerosi e passavano più tempo in mare. Ironia della sorte, però, il numero di affondamenti per ogni viaggio degli U-Boat cambiò pochissimo: non era tanto che le regole di ingaggio senza restrizioni rendevano i sommergibili più efficaci, quanto piuttosto che ce n’erano semplicemente di più.

Tuttavia, nonostante il grande successo degli U-Boot nell’affondare un numero sempre maggiore di tonnellate, gli inglesi non furono messi in ginocchio dalla fame. Una ragione importante di ciò fu l’enorme successo degli inglesi nell’aumentare il loro tonnellaggio disponibile. Per compensare le perdite, i britannici trovarono diverse fonti, tra cui il sequestro delle navi tedesche dai porti neutrali e il controllo da parte di Londra delle stazioni di raffreddamento in tutto il mondo per costringere le navi neutrali a continuare a servire i porti britannici, sconfiggendo così la speranza della Germania che i sottomarini potessero dissuadere i neutrali dal rifornirsi in Gran Bretagna. Ancora più importante, tuttavia, è che i britannici beneficiarono dell’entrata in guerra dell’America nel 1917. Le deliberazioni tedesche sulla guerra sottomarina e sul coinvolgimento americano nella guerra non tennero generalmente conto del grado di compensazione del tonnellaggio affondato dagli U-Boot da parte della cantieristica americana, e questa si rivelò una grave svista. Nel 1918, l’occupazione nei cantieri navali americani era passata da 50.000 a circa 530.000 unità e gli Stati Uniti avevano consegnato 5,7 milioni di tonnellate di nuove navi prima dell’armistizio.

Allo stesso tempo, gli anglo-americani elaborarono metodi di difesa contro gli U-Boat notevolmente migliorati e furono i pionieri dei metodi di guerra antisommergibile che sarebbero stati perfezionati nella Seconda Guerra Mondiale. Di conseguenza, la perdita di U-Boot nella seconda metà del 1917 fu doppia rispetto a quella dei primi sei mesi, ma soprattutto la perdita di navi mercantili iniziò a stabilizzarsi e poi a diminuire.

Esistono cinque modi diversi per condurre la guerra antisommergibile (ASW). Uno era quello di dotare le navi mercantili di capacità di autodifesa, come nel caso delle Q-ships. Questa soluzione era ragionevolmente efficace finché i sottomarini rispettavano le regole del premio, ma le prospettive di autodifesa contro un attacco sottomarino non dichiarato erano sempre molto scarse. Una seconda opzione era quella di attaccare gli U-Boot alla fonte, colpendo le loro basi. La terza via consisteva nell’attaccare gli U-Boat che viaggiavano tra le loro basi e le loro aree di pattugliamento: occasionalmente ciò avveniva intercettandoli e tendendo loro un’imboscata, ma di solito si trattava di posare campi minati nelle aree in cui gli U-Boat erano noti per transitare. Una quarta opzione era la “contro-caccia”, che significava pattugliare le aree sensibili per tenere lontani i sottomarini. Questo metodo poteva ragionevolmente mantenere libera l’imboccatura di un porto, ma aveva un’utilità limitata in aree di pattugliamento più aperte. La quinta e ultima opzione era quella di fornire una protezione esogena agli obiettivi: un metodo che chiamiamo “convogli”.

L’idea del convoglio – cioè il raggruppamento di navi mercantili in flotte consolidate con scorte armate – ci sembra banalmente ovvia, ma in realtà nella Prima guerra mondiale c’erano ragionevoli obiezioni al convoglio. Per cominciare, ad alcuni i convogli sembravano semplicemente un accomodamento ai tedeschi, raggruppando decine di bersagli, come se stessero preparando un tiro a segno oceanico. Inoltre, i convogli potevano viaggiare solo alla velocità della nave più lenta, il che riduceva la capacità complessiva di trasporto della marina mercantile, allungando i viaggi. Infine, i convogli tendevano a creare congestione quando arrivavano nei porti, perché un gran numero di navi doveva essere scaricato simultaneamente, invece di arrivare in un flusso costante. Per gli oppositori della teoria dei convogli, il sistema prometteva solo di congestionare ulteriormente il sistema marittimo senza offrire alcun comprovato beneficio in termini di protezione.

Una volta messa in pratica la teoria, si scoprì che i convogli in realtà *aumentavano* l’occultamento delle navi e rendevano molto più difficile per gli U-Boot trovare i bersagli. Il motivo è abbastanza semplice: da una lunga distanza, in mare aperto, un convoglio non è particolarmente facile da vedere rispetto a una singola nave. Il convoglio, tuttavia, concentrava gli obiettivi e quindi privava di navi gran parte del mare, rendendo esponenzialmente più difficile per gli U-Boot individuare i bersagli. C’erano anche altri vantaggi: un convoglio protetto da una scorta militare, anche un solo cacciatorpediniere, poteva ricevere indicazioni dall’Ammiragliato. Quando i servizi segreti britannici erano in grado di individuare gli U-Boot e di accertarne approssimativamente la posizione, potevano semplicemente far deviare i convogli intorno alle minacce previste, trasmettendo gli ordini alle navi di scorta. In questo modo il comando navale aveva un grado di controllo della navigazione sui convogli che non avrebbe mai potuto essere replicato con una nuvola di navi che viaggiavano indipendentemente. Inoltre, i convogli offrivano una grande spinta al morale, perché quando le navi venivano affondate c’erano buone prospettive che l’equipaggio venisse salvato dal resto del convoglio.

Convogli come occultamento

Per quanto riguarda il timore che i convogli si limitassero a raggruppare gli obiettivi da distruggere, si scoprì presto che, anche quando gli U-Boat avvistavano e attaccavano i convogli, non riuscivano ad affondare la maggior parte delle navi. Ciò era dovuto alla presenza di scorte, che rendevano pericoloso per i sommergibili soffermarsi nell’area. Nella prima guerra mondiale gli U-Boot non potevano sparare salve e trasportavano un numero limitato di siluri e tubi. Ciò significava che per attaccare obiettivi secondari era necessario un laborioso processo di ricarica e i capitani degli U-Boot erano restii a rischiare un incontro con la scorta rimanendo nei paraggi per gli attacchi successivi. Di conseguenza, gli attacchi degli U-Boot ai convogli tendevano a colpire e fuggire, il che significava che le perdite subite dai convogli (quando venivano attaccati) non erano generalmente peggiori di quelle subite da una nave sola.

In breve, i convogli offrivano enormi vantaggi in termini di occultamento, concentrando le navi e privando il mare di obiettivi, ma non comportavano praticamente alcun svantaggio quando venivano attaccati. Questo era particolarmente vero perché gli U-Boot della Prima Guerra Mondiale operavano da soli, senza il comando e il controllo necessari per coordinare gli attacchi di gruppo. La cosiddetta “caccia al branco” si è rivelata un modo efficace per attaccare i convogli nella Seconda Guerra Mondiale, ma nel 1917 questo non era realmente possibile per i tedeschi, e un U-Boot solitario non avrebbe mai potuto arrecare danni enormi a un convoglio protetto.

I convogli sono comunemente considerati un sistema per dare la caccia agli U-Boat, abbinando i cacciatori-distruttori ASW ai bersagli – in sostanza, trasformando le navi mercantili in qualcosa di simile a un’esca, in modo che il sottomarino possa essere distrutto quando attacca. Il film del 2020 “Greyhound”, ad esempio, descrive (anche se non molto bene) un duello culminante tra un cacciatorpediniere americano e un branco di U-Boot che tentano di predare un convoglio. Si tratta, è bene sottolinearlo, di una nozione che riguarda esclusivamente la Seconda Guerra Mondiale. Nella prima guerra, le navi di scorta non avevano le basi tecniche per mantenere il contatto con i sottomarini nemici o per distruggerli in modo affidabile. Gli idrofoni (essenzialmente dispositivi di ascolto subacqueo) venivano occasionalmente utilizzati per rilevare i sottomarini, ma erano in gran parte inutili in un convoglio, perché il rumore delle navi del convoglio annegava quello del sottomarino. In genere, le scorte potevano avvistare gli U-Boat solo attraverso i periscopi e i siluri, e perdevano il contatto quando il sommergibile si immergeva e si ritirava. Mentre gli U-Boot venivano occasionalmente affondati attaccando i convogli, le scorte non avevano prospettive affidabili di distruggerli. Il ruolo principale della scorta era piuttosto quello di deterrente (per incoraggiare l’U-Boot a ritirarsi dopo aver sferrato l’attacco iniziale) e di consentire all’ammiragliato di controllare e guidare il convoglio verso la sicurezza.

Un convoglio in avvicinamento a Brest

Nella Seconda Guerra Mondiale, gli U-Boat e le scorte dei convogli ingaggiarono davvero un duello mortale, ma ciò fu possibile solo dopo l’avvento del sonar e di bombe di profondità affidabili per le scorte e di tattiche di imballaggio per i sommergibili. Nella Prima guerra mondiale, i convogli non erano un sistema per distruggere i sottomarini, ma solo un metodo per nascondere le navi dagli U-Boot e consegnarle in sicurezza. Da questo punto di vista, funzionarono alla grande. Nell’aprile del 1917, gli inglesi stavano facendo i conti con la perdita di una nave su quattro che lasciava il Regno Unito e stimavano che entro ottobre il tonnellaggio disponibile sarebbe stato insufficiente a soddisfare le richieste di base. I convogli sconvolsero completamente questi calcoli. Alla fine di ottobre, 99 convogli avevano consegnato in sicurezza 1.502 navi al Regno Unito con solo dieci perdite.

La protezione derivante dall’occultamento e dal coordinamento del convoglio si rivelò di gran lunga il mezzo più efficace per contrastare gli U-Boat. Le navi Q armate erano in grado di affondare i sottomarini solo se l’U-Boot rispettava le regole del premio e offriva un bersaglio accomodante: il loro effetto principale, quindi, era semplicemente quello di incoraggiare i tedeschi ad attaccare senza preavviso. Le navi dedicate alla caccia ai sottomarini non se la passarono meglio, a causa della difficoltà di mantenere il contatto con un sottomarino sommerso e dell’inaffidabilità delle prime bombe di profondità. Nel marzo 1917, la Royal Navy aveva registrato 142 scontri tra cacciatorpediniere e U-Boot, che avevano prodotto solo 6 uccisioni.

L’entrata in guerra degli Stati Uniti non significò affatto la fine della guerra degli U-Boat, anzi le operazioni dei sommergibili tedeschi si allargarono fino a includere la costa orientale americana, con U-Boat più recenti e a lungo raggio che riuscirono ad affondare bersagli vicino a Bosto e New York. Tuttavia, le perdite degli U-Boot si stabilizzarono alla fine del 1917 e sembravano aver raggiunto il fondo l’anno successivo. Nell’estate del 1918, il tonnellaggio totale perso (includendo non solo le navi britanniche ma anche quelle americane) era in media di circa 265.000 tonnellate al mese, circa la metà del tasso registrato durante i mesi di paura del 1917. Ancora più preoccupante è il fatto che il 1918 fu il primo anno della guerra in cui i tedeschi persero più U-Boot di quanti ne completarono, poiché il miglioramento delle bombe di profondità e delle mine navali aiutò i cacciatori ASW a ucciderli in modo più affidabile. Anche se i tedeschi riuscirono a mantenere una forza attiva di U-Boat di almeno 120 unità fino alla fine della guerra, gli sviluppi dell’ASW del 1917-18 avevano chiaramente prevalso. La campagna sottomarina, vincitrice della guerra, era fallita, come tutti gli altri sogni e ambizioni della Germania.

Conclusione: Promesse e pericoli

Se si considera l’insieme delle operazioni sottomarine della Grande Guerra, si rimane profondamente colpiti dall’impatto che gli U-Boot ebbero sulla guerra, nonostante il loro status iniziale di sistema d’arma secondario e non prioritario. Sia i sommergibili che le contromisure antisommergibile soffrivano di immaturità e mancanza di attenzione, e sia la promessa che mostravano che la minaccia che rappresentavano furono trascurate. Il risultato paradossale fu che i britannici diedero ai tedeschi una reale opportunità di cambiare la traiettoria della guerra nel 1917, ma i tedeschi furono altrettanto mal disposti a sfruttare l’apertura.

I sommergibili poterono ottenere grandi risultati grazie all’immaturità della guerra antisommergibile, sia in senso tecnico che metodologico. È possibile trovare una dispersione dell’entusiasmo per i sommergibili nella documentazione prebellica, in particolare da parte di Jacky Fisher e Churchill (che si lasciò intimorire dal vecchio ammiraglio e in genere ne seguì l’esempio), ma questo non portò mai a uno studio sistematico dei sistemi antisommergibile. L’interesse per l’acustica era generalmente carente, cosicché gli inglesi non disponevano di metodi affidabili per individuare gli U-Boot, e le mine e le bombe di profondità britanniche non furono mai buone o numerose come avrebbero dovuto essere. In effetti, il miglior killer di sommergibili della Gran Bretagna in tempo di guerra – un tipo di mina navale – è stato prodotto dragando una mina tedesca e modificandola. Allo stesso modo, la Gran Bretagna fu lenta ad accettare la logica dei convogli, e fu questo fallimento che rese possibile alla Germania di tentare la campagna sottomarina senza restrizioni del 1917.

I tedeschi, da parte loro, non fecero mai gli investimenti necessari per far funzionare davvero la campagna degli U-Boot. La forza sottomarina era stata leggendariamente trascurata nel programma di costruzione di Tirpitz prima della guerra, ma i tedeschi raddoppiarono il fallimento non impegnandosi sistematicamente nei sottomarini. I primi successi portarono a un’ondata di ordinazioni nel 1914 e nel 1915, ma la costruzione avvenne in un ciclo di arresti e di inizi. Alla fine del 1916, i tedeschi disponevano di 133 U-Boot operativi, un numero di gran lunga inferiore agli esorbitanti requisiti calcolati dall’Admiralstab. Gli enormi successi ottenuti nei mesi primaverili del 1917 sollevano un allettante scenario alternativo:cosa sarebbe successo sei tedeschi si fossero impegnati sistematicamente nella guerra sottomarina? Cosa sarebbe successo alla Gran Bretagna se i tedeschi fossero stati in grado di schierare, ad esempio, 250 U-Boot operativi nel 1917? La risposta non è chiara, ma allo stesso modo dovremmo chiederci: cosa sarebbe successo se i britannici si fossero impegnati prima nel sistema dei convogli? Alla fine, sia l’opportunità offerta alla Germania che la sua incapacità di capitalizzarla furono il risultato di un sistema di armi immaturo e di contromisure immature, entrambi in evoluzione in tempo reale.

La Germania si trovava ad infilare un ago strategico. Possedeva chiaramente un potente sistema di armi che richiedeva di essere utilizzato, ma doveva bilanciare un delicato problema di allocazione delle risorse interne e soppesare i vantaggi di una guerra sottomarina senza restrizioni rispetto agli svantaggi diplomatici. Si trattava di domande senza una risposta chiara e la capacità di calcolarle era ulteriormente offuscata dall’ansia strategica, da un’intelligence incompleta o imprecisa e dal risentimento per il blocco britannico.

L’ammiraglio von Muller, capo del gabinetto navale imperiale, sostenne: “Preferisco la proposta di una campagna limitata di U-Boat che mira a distruggere 400.000 tonnellate di naviglio al mese, piuttosto che una campagna illimitata che potrebbe colpire 600.000 tonnellate ma che ci metterebbe in guerra con l’America”. Con il senno di poi, sembra che avesse certamente ragione, ma data la più ampia crisi strategica della Germania, è forse comprensibile che abbia deciso di giocare le sue carte rimanenti con la massima aggressività.

Se gli U-Boot, se fossero stati disponibili prima e in numero maggiore, avrebbero potuto far vincere la guerra alla Germania è, in ultima analisi, un’ipotesi non verificabile, così come non potremo mai sapere se esisteva un modo per infilare quell’ago e paralizzare la navigazione britannica senza innescare l’entrata in guerra degli americani. Una cosa chiara, tuttavia, è che i sottomarini erano una piattaforma tattica enormemente potente ed economica, in grado di affondare le navi nemiche su larga scala, e che sarebbero stati un braccio assolutamente critico nelle guerre future. Insieme all’aereo, inauguravano l’epoca dell’umanità come organismo omicida tridimensionale, in grado di dispensare morte non solo sul piano orizzontale, ma anche di farla piovere dall’alto e di distribuirla silenziosamente dagli abissi.

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La lista di letture di Big Serge

  • Sul filo del rasoio: come la Germania perse la prima guerra mondialedi Holger Afflerbach
  • Sconfiggere gli U-Boot: Inventare la guerra antisommergibiledi Jan S. Breemer
  • Combattere la Grande Guerra in mare: Strategia, tattica e tecnologiadi Norman Friedman
  • Castelli d’acciaiodi Robert Massie
  • L’anatomia del potere marittimo britannicodi Arthur J. Marder
  • Storia navale della Prima guerra mondialedi Paul G Halpern
  • La fine della neutralità: Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i diritti marittimi, 1899-1915di John W. Coogan
  • Cacciatori di squali d’acciaio: I cacciatori di sottomarini della prima guerra mondialedi Todd A. Woofenden
  • La guerra degli U-Boat, 1914-1918di Edwyn A. Gray
  • Gli U-Boot della Marina del Kaiserdi Gordon Williamson
  • Sottomarini britannici in guerra, 1914-1918di Edwyn A. Gray
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