Il problema di matematica di base che annulla l’isteria del riscaldamento globale_ Di Maker S. Mark

Se qualcuno propone una soluzione a un “problema esistenziale” che non ha possibilità di successo, dovremmo essere costretti a prendere sul serio il problema?

Se gli allarmisti climatici credono davvero che ci sia un’emergenza climatica, allora dovrebbero essere in grado di rispondere alla prima domanda fondamentale sul “piano”. I numeri del piano sono raggiungibili anche a distanza? Ricorda: in base al loro stridio, abbiamo solo dodici anni prima di morire tutti a causa del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”.

Per rispondere a questa domanda, scomponiamo parte del piano nel problema matematico più elementare: possiamo sostituire il 25%, il 50% o il 75% delle auto in circolazione in dieci anni? Per comprendere la possibilità teorica, semplificheremo questo in quanti anni ci vorranno per sostituire tutti i veicoli su strada negli Stati Uniti

Inizierò con quanti veicoli sono in circolazione oggi negli Stati Uniti. Secondo questo link , nel 2020 erano 286 milioni. Lo arrotonderò a 300 milioni per semplificare i calcoli.

Quanti veicoli totali vengono venduti ogni anno negli Stati Uniti?  Questo collegamento risponde che ogni anno negli Stati Uniti viene venduta una media di poco meno di 15 milioni di veicoli (supponendo che i veicoli venduti e la capacità di produzione siano correlati).

Quanti veicoli elettrici vengono prodotti negli Stati Uniti? Da questo link ne produciamo meno di 1 milione. Arrotonderò a un milione per il mio calcolo.

Il semplice problema di matematica è: quanti anni ci vorranno per sostituire tutte le auto negli Stati Uniti con veicoli elettrici (totale negli Stati Uniti arrotondato per eccesso / volume di produzione medio all’anno)?

È 300M / 15M/anno = 20 anni. Ciò presuppone due cose importanti: in primo luogo, non ci sono nuove aggiunte nell’economia di conducenti e veicoli. In secondo luogo, che possiamo convertire tutta la produzione in veicoli elettrici durante la notte.

Se credi che moriremo tutti tra 12 anni, siamo in ritardo di otto anni per passare a tutti i veicoli elettrici, anche se le ipotesi di fondo fossero possibili.

Questo semplice problema di matematica mostra che le persone che urlano di più non hanno una soluzione seria al problema esistenziale del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. La situazione automobilistica negli Stati Uniti da sola non può essere risolta in vent’anni, per non parlare di dieci anni.

Ecco dove la matematica diventa un po’ più divertente:

Se attualmente produciamo 1 milione di veicoli elettrici all’anno e stiamo lottando per ottenere i materiali per raggiungere quel numero, qual è il numero massimo di veicoli elettrici che possiamo produrre senza una “bacchetta magica”?

Sarò generoso e dirò che al massimo possiamo aspettarci di triplicare la produzione a 3 milioni all’anno. Se abbiamo bisogno di 300 milioni da produrre (300 milioni / 3 milioni/anno = 100 anni), ciò significa che ci vorranno 100 anni solo per sostituire tutti i veicoli su strada. Le aziende stanno già lottando per ottenere i minerali necessari per le batterie. Quando proviamo a passare da 1M a 2M, peggiorerà e sarà più costoso. Non riesco nemmeno a immaginare i costi e l’impatto ambientale del tentativo di passare da 2 a 3 milioni. La mia previsione è che in dieci anni, il meglio che possiamo sperare di ottenere negli Stati Uniti sia sostituire dal 10% al 15% dei veicoli su strada con veicoli elettrici.

Le persone poco serie, che non sanno fare questa matematica di base, non possono assolutamente comprendere la complessa scienza coinvolta nello studio del clima. I numeri non mentono. La loro soluzione non risolverà il “problema climatico creato dall’uomo” senza una bacchetta magica per sostituire ogni veicolo negli Stati Uniti in una o anche due generazioni.

I membri dell’amministrazione Biden hanno iniziato a dire che abbiamo bisogno del dolore per ottenere il guadagno. Vi dimostro ora che non è possibile produrre abbastanza veicoli in 12 anni o in 25 anni. Pertanto, questo è sicuramente tutto dolore e nessun guadagno. Distruggendo l’industria dei combustibili fossili degli Stati Uniti, sembra che siano determinati a distruggere l’economia statunitense dall’interno.

Pertanto, perché stanno spingendo questo programma e questa soluzione ridicola? Se credi che la “catastrofe climatica provocata dall’uomo” sia dietro l’angolo, in che modo la distruzione degli Stati Uniti e dell’economia mondiale aiuterà? La risposta semplice è “non lo farà”. Gli Stati Uniti sono la nazione più innovativa nella storia del mondo. Se ci togli dall’equazione, i problemi seri non possono essere risolti.

Per coloro che dicono che i globalisti hanno un piano, posso assicurarvi sulla base di questa matematica di alto livello che non hanno un piano serio per affrontare il “cambiamento climatico causato dall’uomo” (se ci credono davvero). Probabilmente ci vorranno trilioni di dollari iniettati nell’economia mondiale e dai trenta ai quarant’anni per sostituire tutti i veicoli a gas con quelli elettrici (supponendo che possiamo trovare i minerali e i componenti per produrre le batterie).

Senza la bacchetta magica a cui fanno riferimento ripetutamente i globalisti, non c’è modo di produrre abbastanza veicoli elettrici per fare la differenza. La vera domanda allora diventa: perché spingono a convertirsi ai veicoli elettrici (non servirà in tempo) per risolvere un “problema esistenziale”? Penso che dobbiamo “seguire i soldi” per scoprirlo.

Personalmente, continuerò il lavoro sui problemi di matematica e sulla scienza reale per sfatare il mito del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. Raccomando di non ascoltare le persone che non vogliono o non sono in grado di completare i problemi di matematica di base quando risolvono questa cosiddetta crisi. Le soluzioni poco serie non faranno nulla per aiutare un problema poco serio.

Maker S. Mark (uno pseudonimo) è un patriota che può capire e spiegare matematica e scienze avanzate ed è preoccupato per lo stato della nazione e come risolvere i problemi che dobbiamo affrontare. Uniti vinciamo divisi perdiamo.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/08/the_basic_math_problem_that_undoes_global_warming_hysteria.html

IL TESORO NASCOSTO. NECESSITA’ E NON-NECESSITA’ DI UN ESOTERISMO CRISTIANO, di Flavio Piero Cuniberto

IL TESORO NASCOSTO. NECESSITA’ E NON-NECESSITA’ DI UN ESOTERISMO CRISTIANO.
Il termine «esoterismo» (e derivati) non è simpatico, e non gode di buona stampa. Viene spontaneo associarlo alle librerie new age, con i cristalli e le piramidi in vetrina e le bacchette d’incenso, o come nel caso dei cattolici «tradizionalisti», farlo rimare con occultismo e quindi satanismo: chincagliera spirituale la prima, sclerotico attaccamento alla lettera del dogma, il secondo. Succede però che articoli fondamentali della dottrina cristiana (cristiano-cattolica, cristiano-ortodossa) siano, alla lettera, incomprensibili. Non nel senso del «mistero», che è per definizione soprarazionale, ma privi di senso (sono cose diverse). E come condannare generazioni di «cercatori spirituali» attratti dai vari Orienti, quando i tesori metafisici del cristianesimo vengono relegati in soffitta, per poi buttare la chiave della soffitta e lamentarsi delle chiese vuote ?
Un esempio: la dottrina trinitaria. La formulazione classica del dogma recita che il Figlio è «generato» dal Padre, rimandando a una semantica biologica (la relazione padre-figlio è biologica), e non c’è paternità o generazione «pensabile» senza un elemento femminile che riceva l’azione paterna, fungendo poi da «matrice» attiva della prole. Di questo elemento per così dire femminile, indispensabile alla semantica del Padre e del Figlio, nella teologia trinitaria non c’è traccia (non è certo lo Spirito a svolgere questa funzione). A meno di non ridurre i termini «Padre» e «Figlio» – già evangelici peraltro – a una vaga metafora, o addirittura a un mito di stampo classico (Atena nasce non si sa come dalla testa o da una coscia di Zeus; e qui però l’elemento femminile compare nella figura di Metis). Due millenni di iconografia cristiana non hanno fatto altro che ribadire – con poche meravigliose eccezioni (vedi l’immagine) – questa strana comunità tutta maschile, in cui la Colomba dello Spirito non modica le cose nella sostanza.
Non si tratta di uscire dal dogma : si tratta di ammettere che il dogma ha un significato nascosto e tuttavia presente in qualche modo nelle sua stesse formulazioni. Il quarto elemento, che per analogia e con molta cautela potrebbe essere definito «femminile», è infatti presente sia nel signum crucis («nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»), sia in quella breve e concentratissima formula di preghiera che è il Gloria: «Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo». Il quarto termine compare nel primo caso come Nome e nel secondo caso appunto come Gloria (che è lo splendore luminoso e al tempo stessso consistente, quasi-corporeo, del divino). E il Nome e la Gloria si trovano associati (ma anche «sepolti») nella mirabile liturgia del 1 gennaio, Solennità della Gran Madre di Dio, non a caso. Certo è che la «gloria» latina (straordinaria intuizione di San Girolamo, molto più ispirata della doxa greca) tende a identificarsi, Scrittura alla mano, con quella «sapientia», o «sophia» (Chokhmah o Shekinah) che «era presente» al momento della creazione («ab aeterno ordita sum et ex antiquis antequam terra fieret» [Prv 8,23]); quella sapientia che è lo «specchio» di Dio («speculum sine macula Dei majestatis» [Sap 7, 26]), che una venerabile tradizione carmelitana definisce «amica Spiritus», e a cui il libro dei Proverbi dedica una memorabile celebrazione nel segno della viriditas, del «verdeggiare» naturale (e così: «quam admirabile [’addir] est nomen tuum in universa terra» [Ps 8,3]).
Di qui l’importanza straordinaria del culto mariano. Maria, «gratia plena», è Colei che «fa spazio» in se stessa, ritirandosi, all’azione dello Spirito sulla «sostanza verginale», la «puritas», e diventa così il Luogo dell’Incarnazione. I due dogmi dell’Immacolata Concezione (1856) e dell’Assunzione di Maria Vergine (1950), arrivano, tardivi e provvidenziali, a completare una dottrina che era realmente lacunosa nella sua formulazione esterna. Non fosse stata lacunosa non sarebbe stata integrata, è ovvio. Il linguaggio rimane quello proprio dei dogmi – un linguaggio vincolato all’immaginazione religiosa plasmata nei secoli -, ma il tesoro nascosto viene almeno parzialmente alla luce. Ed è un futile «sport» laicista – per non parlare del tradimento protestante – bollare come superstizione le grandi Apparizioni mariane, – non quelle fasulle, ovviamente – che insistono, nell’era secolare, a manifestare empiricamente la Presenza (quello che l’A.T. chiama il Volto di Dio [la radice ebraica * FN è la stessa del greco PhaiNomai, la radice dell’Apparire]).
E’ solo un esempio di come il guscio del dogma contenga un midollo nascosto e sostanzioso. Ed è in ogni caso la liturgia (romana, greca, siriaca) a contenere nelle sue formule di orazione e nelle sue letture rituali, mirabilmente distribuite nella ruota dell’Anno, questo «midollo» sostanzioso, latente e tuttavia presente.
Parlare di un «esoterismo» cristiano diventerebbe, alla fine, una vacua ridondanza, attestando ancora una volta più l’oscurità del guscio che la fragranza del midollo. Nel momento in cui lo si realizza, meditandolo, il Tesoro non è più né esoterico né essoterico: semplicemente «è».
P.S. L’immagine – un avorio dell’Annunciazione di scuola probabilmente renana e databile alll’XI-XII secolo – illustra a meraviglia il movimento ritmico dello Spirito che agisce sulla «conca lunare», e l’Uomo ne affiora come Figlio («cor Iesu, in sinu Virginis Mariae per Spiritum Sanctum formatum»: formula barnabita di mirabile profondità; Perugia, chiesa del Nome di Gesù).

Giocare con il fuoco in Ucraina, di John J. Mearsheimer (a cura di Roberto Buffagni)

Questo articolo di John Mearsheimer, apparso il 17 agosto su “Foreign Affairs”, ha grande importanza, e va letto e valutato con la massima attenzione, sia per il suo contenuto, sia per il significato politico che assume. Le ragioni sono le seguenti:

  1.   è, probabilmente, il maggiore studioso al mondo della logica di potenza. Si è diplomato a West Point, ha fatto parte dell’Esercito e dell’Aviazione degli Stati Uniti. Ha insegnato per quarant’anni all’Università di Chicago. I suoi testi sono letture obbligatorie in tutti i corsi di International Relations almeno occidentali, e nelle Accademie militari di tutto il mondo. Non ha mai cercato o accettato impegni nell’amministrazione politica degli Stati Uniti per conservare la sua indipendenza di pensiero e la sua obiettività di studioso.
  2. “Foreign Affairs” è il più importante periodico specializzato statunitense in materia di politica internazionale, e viene letto da tutta l’ufficialità politica ed economica americana ed europea. Esso non solo pubblica l’articolo di Mearsheimer, ma lo pubblica in forma gratuita, accessibile a tutti, in modo da garantirgli la massima diffusione possibile; ciò che probabilmente implica una forma di convalida ufficiosa della posizione di Mearsheimer, o quanto meno la volontà del board di “Foreign Affairs” che l’articolo di Mearsheimer – un severo monito sui rischi della guerra in Ucraina, e implicitamente un preoccupato appello per un cambio di strategia – venga letto e preso in considerazione dai policymakers americani ed europei, e dall’opinione pubblica occidentale tutta.
  3. L’articolo di Mearsheimer dunque si inserisce nel tentativo di forze statunitensi, tutt’altro che trascurabili, di favorire un mutamento nella strategia americana contro la Russia; come il recente intervento di Henry Kissinger sul “Wall Street Journal”[1], o la videointervista di George Beebe, Director for Grand Strategy del Quincy Institute for Responsible Statecraft[2], ex consigliere per la sicurezza del Vicepresidente Dick Cheney.
  4. Il contenuto dell’articolo non ha bisogno di chiarimenti. Come gli è solito, Mearsheimer espone con limpidezza e semplicità argomenti strettamente concatenati. Mi limito a sottolineare alcuni punti.
  5. La guerra è imprevedibile, e chi ritenga di poterla prevedere e controllare con certezza è in errore. L’imprevedibilità della guerra è una premessa teorica, esposta con la massima perspicuità da Clausewitz; e un fatto empirico illustrato da mille esempi. Ad esempio, nella IIGM i tedeschi attaccarono l’Unione Sovietica perché certi di poterla sconfiggere. Concordavano con questa previsione tutti, ripeto TUTTI gli Stati Maggiori del mondo: salvo miracoli, l’Unione Sovietica sarebbe stata sconfitta. Poi l’Unione Sovietica, dopo sei mesi di sconfitte tremende, ha fatto il miracolo e ha inflitto alla Germania una sconfitta devastante.
  6. L’interpretazione della volontà del nemico, e l’interpretazione dei fatti militari sul campo, sono sempre dubbie, soggette all’errore, e provocano reazioni, sviluppi, conseguenze imprevedibili e molto difficili da controllare. Esempio: nell’articolo, Mearsheimer correttamente individua l’origine del cambio di strategia statunitense nell’interpretazione americana degli eventi bellici: “Inizialmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno appoggiato l’Ucraina per impedire una vittoria russa e negoziare da posizione favorevole la fine dei combattimenti. Ma non appena l’esercito ucraino ha iniziato a martellare le forze russe, specialmente intorno a Kiev, l’amministrazione Biden ha cambiato rotta e si è impegnata ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia.” Se è corretta l’interpretazione dell’operazione militare speciale russa proposta da “Marinus” (probabilmente il gen. Paul Van Riper, Corpo dei Marines) su “Maneuverist Papers n.22”[3], l’Amministrazione presidenziale e i suoi consulenti militari hanno sbagliato l’interpretazione della fase iniziale dell’invasione russa: hanno creduto che le sconfitte tattiche subite dai russi intorno a Kiev segnalassero le scarse capacità delle FFAA russe, mentre si trattava di una complessa manovra diversiva volta a fissare le truppe ucraine nel Nordovest, mentre il grosso delle forze russe si posizionava nel Sudest; una diversione ben riuscita che ha condotto all’attuale situazione sul campo, nettamente favorevole alla Russia. Personalmente, credo esatta la lettura di “Marinus”, che peraltro coincide con la lettura del nostro gen. Fabio Mini. Da questa errata lettura della situazione sul campo, l’Amministrazione americana ha concluso che fosse possibile e vantaggioso perseguire obiettivi strategici estremamente ambiziosi, sui quali ha formalmente impegnato la reputazione e il prestigio degli Stati Uniti.
  7. Quanto più a lungo dura una guerra, tanto più imprevedibili sono il suo decorso e le sue conseguenze. Questo è un semplice corollario dei due punti precedenti: con il passare del tempo, incertezza si aggiunge a incertezza, imprevedibilità a imprevedibilità, possibilità di errore e incidente a possibilità di errore e incidente.
  8. A che cosa è dovuto il presente stallo della guerra in Ucraina? A mio avviso, consegue a una scelta politica russa. Da quanto si può intendere della situazione militare sul campo, già ora la Russia potrebbe sferrare un’offensiva per ottenere una vittoria decisiva sull’Ucraina, annientandone le FFAA. La Russia sta impegnando nei combattimenti soltanto le milizie delle Repubbliche del Donbass, e i mercenari dell’Orchestra Wagner. Le truppe russe si occupano del martellamento d’artiglieria delle posizioni fortificate ucraine, e non entrano in combattimento se non occasionalmente, in formazioni ridotte. Esse hanno avuto tutto il tempo di riposarsi, ricostituirsi, riorganizzarsi, e sono insomma più che pronte all’impiego. Le migliori truppe ucraine hanno subito perdite incapacitanti, nessun territorio ucraino preso dai russi è mai stato riconquistato stabilmente. La controffensiva annunciata dagli ucraini resta un annuncio, probabilmente perché di fatto impossibile: le migliori truppe ucraine hanno subito perdite incapacitanti, le nuove formazioni sono raccogliticce, mal addestrate, e scontano un incolmabile divario sia nella direzione operativa, sia nelle capacità combattive, sia nell’armamento a disposizione, nonostante gli aiuti occidentali. Se la Russia non sferra già ora un attacco decisivo per annientare le FFAA ucraine, probabilmente è per due ragioni: a) non far perdere la faccia agli Stati Uniti, provocandone una reazione estrema con l’escalation di ritorsioni a cui condurrebbe b) attendere sia le elezioni statunitensi di midterm, sia le reazioni dei governi europei alla crisi energetica che si annuncia per l’inverno, con le gravi conseguenze politiche e sociali che innescherà.
  9. In conclusione: per prevenire i gravi rischi di una escalation illustrati dall’articolo di Mearsheimer, una escalation che può sfuggire al controllo dei contendenti e condurre sino alla guerra nucleare, è assolutamente necessario che i Paesi europei più direttamente minacciati dall’escalation, e già ora più gravemente danneggiati dalla strategia americana, se ne differenzino e appoggino le forze che negli Stati Uniti tentano di correggere la rotta strategica, e di creare le condizioni minime per una trattativa tra USA e Russia. È una svolta politica difficile, ma necessaria e urgente: dopo, potrebbe essere troppo tardi.

 

Giocare con il fuoco in Ucraina

I rischi sottovalutati di una escalation catastrofica[4]

di John J. Mearsheimer

17 agosto 2022

 

I decisori occidentali paiono aver raggiunto un consenso sulla guerra in Ucraina: il conflitto si risolverà in una situazione di stallo prolungata, e alla fine una Russia indebolita accetterà un accordo di pace favorevole sia agli Stati Uniti e i suoi alleati NATO, sia all’Ucraina. Sebbene i dirigenti istituzionali riconoscano che sia Washington sia Mosca potrebbero dare inizio a una escalation per ottenere un vantaggio o prevenire la sconfitta, danno per scontato che sia possibile evitare un’escalation catastrofica. Pochi immaginano che le forze statunitensi finiscano per essere direttamente coinvolte nei combattimenti, o che la Russia oserà impiegare le armi nucleari.

Washington e i suoi alleati sono troppo faciloni e arroganti. Sebbene sia possibile evitare un’escalation disastrosa, la capacità dei contendenti di gestire questo pericolo è tutt’altro che certa. Il rischio è sostanzialmente maggiore di quanto non ritenga il senso comune. E dato che le conseguenze di una escalation potrebbero includere una guerra di grandi proporzioni in Europa, e forse anche l’annientamento nucleare, ci sono buone ragioni per preoccuparsi seriamente.

Per comprendere le dinamiche dell’escalation in Ucraina, iniziamo con gli obiettivi di ciascuno dei contendenti. Dall’inizio della guerra, sia Mosca sia Washington hanno ampliato le loro ambizioni in modo significativo, ed entrambi sono ora fortemente impegnati a vincere la guerra e raggiungere obiettivi politici formidabili. Di conseguenza, ciascuna parte ha potenti incentivi per trovare il modo di prevalere e, ancor più importante, per evitare di perdere. In pratica, ciò significa che gli Stati Uniti potrebbero entrare in combattimento se desiderano disperatamente vincere o impedire all’Ucraina di perdere, mentre la Russia potrebbe utilizzare armi nucleari se desidera disperatamente vincere, o se teme un’imminente sconfitta, uno scenario probabile se le forze armate statunitensi entrassero in guerra.

Inoltre, data la determinazione di ciascuna parte a raggiungere i propri obiettivi, ci sono poche possibilità di un compromesso sensato. Il pensiero massimalista che ora prevale sia a Washington sia a Mosca dà a ciascuna parte ulteriori ragioni per vincere sul campo di battaglia, per poter dettare i termini dell’eventuale pace. In effetti, l’assenza di una possibile soluzione diplomatica fornisce a entrambe le parti un ulteriore incentivo ad arrampicarsi in una escalation. Ciò che si trova sui gradini più alti della scala potrebbe essere qualcosa di veramente catastrofico: un livello di morte e distruzione superiore a quello della seconda guerra mondiale.

PUNTARE IN ALTO

Inizialmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno appoggiato l’Ucraina per impedire una vittoria russa e negoziare da posizione favorevole la fine dei combattimenti. Ma non appena l’esercito ucraino ha iniziato a martellare le forze russe, specialmente intorno a Kiev, l’amministrazione Biden ha cambiato rotta e si è impegnata ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia. Ha anche cercato di danneggiare gravemente l’economia russa imponendo sanzioni senza precedenti. In aprile, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha spiegato gli obiettivi degli Stati Uniti: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto che non le sia più possibile fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina“. In buona sostanza, gli Stati Uniti hanno annunciato la loro intenzione di eliminare la Russia dal novero delle grandi potenze.

Ciò che più conta, gli Stati Uniti hanno impegnato la loro reputazione sull’esito del conflitto. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha etichettato la guerra russa in Ucraina come un “genocidio” e ha accusato il presidente russo Vladimir Putin di essere un “criminale di guerra” che dovrebbe affrontare un “processo per crimini di guerra“. Proclami presidenziali del genere rendono difficile immaginare che Washington faccia marcia indietro; se la Russia prevalesse in Ucraina, la posizione degli Stati Uniti nel mondo subirebbe un duro colpo.

Anche le ambizioni russe si sono ampliate. Contrariamente a quanto si pensa in Occidente, Mosca non ha invaso l’Ucraina per conquistarla e integrarla in una Grande Russia. Si trattava principalmente di impedire all’Ucraina di trasformarsi in un baluardo occidentale al confine con la Russia. Putin e i suoi consiglieri erano particolarmente preoccupati per l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha chiarito sinteticamente il punto a metà gennaio, dicendo in una conferenza stampa: “la chiave di tutto è la garanzia che la NATO non si espanda verso est“. Per i leader russi, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO è, come ha affermato lo stesso Putin prima dell’invasione, “una minaccia diretta alla sicurezza russa“, una minaccia che potrebbe essere eliminata solo entrando in guerra e trasformando l’Ucraina in uno stato neutrale o fallito.

È a questo fine che, a quanto pare, gli obiettivi territoriali della Russia si sono notevolmente ampliati dall’inizio della guerra. Fino alla vigilia dell’invasione, la Russia si era impegnata ad attuare l’accordo di Minsk II, che avrebbe mantenuto il Donbass come parte dell’Ucraina. Nel corso della guerra, tuttavia, la Russia ha conquistato vaste aree di territorio nell’Ucraina orientale e meridionale, e ci sono prove crescenti che Putin ora intenda annettere tutta o la maggior parte di quelle terre, il che trasformerebbe effettivamente ciò che resta dell’Ucraina in uno stato disfunzionale, monco.

Per la Russia, la minaccia oggi è ancor maggiore di quanto non fosse prima della guerra, soprattutto perché l’amministrazione Biden è ora determinata a recuperare le conquiste territoriali russe, e a menomare in modo permanente la potenza russa. A peggiorare ulteriormente le cose per Mosca, Finlandia e Svezia stanno entrando a far parte della NATO, e l’Ucraina è meglio armata e più strettamente alleata con l’Occidente. Mosca non può permettersi di perdere in Ucraina e utilizzerà ogni mezzo disponibile per evitare la sconfitta. Putin sembra fiducioso che la Russia alla fine prevarrà sull’Ucraina e sui suoi sostenitori occidentali. “Oggi sentiamo che vogliono sconfiggerci sul campo di battaglia“, ha detto all’inizio di luglio. “Che dire? Che ci provino. Gli obiettivi dell’operazione militare speciale saranno raggiunti. Non ci sono dubbi su questo”.

L’Ucraina, dal canto suo, ha gli stessi obiettivi dell’amministrazione Biden. Gli ucraini sono decisi a riconquistare il territorio perso a vantaggio della Russia, inclusa la Crimea, e una Russia più debole è sicuramente meno minacciosa per l’Ucraina. Inoltre, sono fiduciosi di poter vincere, come ha chiarito a metà luglio il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, quando ha affermato: “La Russia può sicuramente essere sconfitta e l’Ucraina ha già mostrato come“. Il suo omologo americano a quanto pare è d’accordo. “La nostra assistenza sta facendo davvero la differenza sul campo“, ha detto Austin in un discorso di fine luglio. “La Russia pensa di poter tenere duro più a lungo dell’Ucraina e di noi. Ma questo è solo l’ultimo della serie di errori di calcolo della Russia“.

In buona sostanza, Kiev, Washington e Mosca sono tutti totalmente impegnati a vincere a spese del loro avversario, il che lascia poco spazio ai compromessi. Probabilmente, né l’Ucraina né gli Stati Uniti accetterebbero un’Ucraina neutrale; in realtà, l’Ucraina sta diventando ogni giorno che passa più strettamente legata all’Occidente. Né è probabile che la Russia restituisca tutto, o anche la maggior parte del territorio che ha sottratto all’Ucraina, in specie perché le animosità che hanno alimentato il conflitto nel Donbass tra separatisti filorussi e governo ucraino negli ultimi otto anni sono oggi più intense che mai.

Questi interessi contrastanti spiegano perché tanti osservatori ritengano che un accordo negoziato non avverrà a breve, e quindi prevedono una sanguinosa situazione di stallo. In questo hanno ragione. Ma gli osservatori stanno sottovalutando il potenziale di un’escalation catastrofica implicita in una lunga guerra in Ucraina.

Ci sono tre vie fondamentali verso l’escalation intrinseche alla condotta della guerra: una o entrambe le parti escalano deliberatamente per vincere, una o entrambe le parti escalano deliberatamente per prevenire la sconfitta, oppure i combattimenti escalano non per scelta deliberata ma involontariamente. Ciascuno dei tre percorsi potenzialmente può spingere gli Stati Uniti a entrare direttamente in guerra, o spingere la Russia a usare armi nucleari, o forse condurre a entrambe le cose.

 

ENTRA IN SCENA L’AMERICA

Appena l’amministrazione Biden ha concluso che la Russia poteva essere battuta in Ucraina, ha inviato più armi, e armi più potenti, a Kiev. L’Occidente ha iniziato ad aumentare la capacità offensiva dell’Ucraina inviando armi come il sistema di missili a lancio multiplo HIMARS, oltre a quelle “difensive” come il missile anticarro Javelin. Nel corso del tempo, sia la letalità sia la quantità delle armi sono aumentate. Si tenga presente che a marzo Washington aveva posto il veto a un piano per trasferire i caccia MiG-29 polacchi in Ucraina, sulla base del fatto che ciò avrebbe potuto condurre a una escalation, ma a luglio non ha sollevato obiezioni quando la Slovacchia ha annunciato che stava valutando l’invio degli stessi aerei a Kiev. Gli Stati Uniti stanno anche pensando di dare i propri F-15 e F-16 all’Ucraina.

Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno anche addestrando l’esercito ucraino e fornendogli informazioni vitali che esso impiega per distruggere i principali obiettivi russi. Inoltre, come riportato dal “New York Times”, l’Occidente ha “una rete clandestina di commando e spie” sul terreno, all’interno dell’Ucraina. Magari Washington non è direttamente coinvolta nei combattimenti, ma è profondamente coinvolta nella guerra. E oggi manca solo un breve passo per avere soldati americani che premono il grilletto e piloti americani che schiacciano il pulsante di sparo.

Le forze armate statunitensi potrebbero essere coinvolte nei combattimenti in vari modi. Si consideri una situazione in cui la guerra si trascina per un anno o più e non c’è né una soluzione diplomatica in vista né un percorso plausibile per una vittoria ucraina. Allo stesso tempo, Washington desidera disperatamente porre fine alla guerra, forse perché deve concentrarsi sul contenimento della Cina o perché i costi economici del sostegno all’Ucraina stanno causando problemi politici in patria e in Europa. In simili circostanze, i politici statunitensi avrebbero tutte le ragioni per prendere in considerazione l’adozione di misure più rischiose, come l’imposizione di una no-fly zone sull’Ucraina o l’inserimento di piccoli contingenti di forze di terra statunitensi, per aiutare l’Ucraina a sconfiggere la Russia.

Uno scenario più probabile per l’intervento degli Stati Uniti si verificherebbe se l’esercito ucraino iniziasse a crollare, e la Russia sembrasse destinata a ottenere una vittoria decisiva. In tal caso, dato il profondo impegno dell’amministrazione Biden a prevenire questo esito, gli Stati Uniti potrebbero tentar di invertire la tendenza coinvolgendosi direttamente nei combattimenti. È facile immaginare i funzionari statunitensi convinti che sia in gioco la credibilità del loro paese, e persuasi che un uso limitato della forza possa salvare l’Ucraina senza indurre Putin a usare le armi nucleari. Oppure, un’Ucraina disperata potrebbe lanciare attacchi su larga scala contro paesi e città russe, nella speranza che una simile escalation provochi una massiccia risposta russa che finisca per costringere gli Stati Uniti a unirsi ai combattimenti.

L’ultimo scenario per il coinvolgimento americano ipotizza un’escalation involontaria: senza volerlo, Washington viene coinvolta nella guerra da un evento imprevisto che sfugge di mano. Forse i caccia statunitensi e russi, che sono già entrati in stretto contatto sul Mar Baltico, si scontrano accidentalmente. Un simile incidente potrebbe facilmente degenerare, dati gli alti livelli di paura da entrambe le parti, la mancanza di comunicazione e la demonizzazione reciproca.

O magari la Lituania blocca il passaggio delle merci sanzionate che viaggiano attraverso il suo territorio mentre si dirigono dalla Russia a Kaliningrad, l’enclave russa separata dal resto del paese. La Lituania ha fatto proprio questo a metà giugno, ma ha fatto marcia indietro a metà luglio, dopo che Mosca ha chiarito che stava contemplando “misure severe” per porre fine a quello che considerava un blocco illegale. Il ministero degli Esteri lituano, tuttavia, ha resistito alla revoca del blocco. Dal momento che la Lituania è un membro della NATO, gli Stati Uniti quasi certamente verrebbero in sua difesa se la Russia attaccasse il paese.

O forse la Russia distrugge un edificio a Kiev, o un sito di addestramento da qualche parte in Ucraina, e uccide involontariamente un numero considerevole di americani, per esempio operatori umanitari, agenti dell’intelligence o consiglieri militari. L’amministrazione Biden, di fronte a una sollevazione della sua opinione pubblica, decide che deve vendicarsi e colpisce obiettivi russi, il che conduce a una serie di ritorsioni tra le due parti.

Infine, c’è la possibilità che i combattimenti nell’Ucraina meridionale danneggino la centrale nucleare di Zaporizhzhya controllata dalla Russia, la più grande d’Europa, al punto da emettere radiazioni nella regione, portando la Russia a rispondere in modo proporzionale. Dmitry Medvedev, l’ex presidente e primo ministro russo, ha dato una risposta inquietante a questa possibilità, dicendo ad agosto: “Non si dimentichi che ci sono siti nucleari anche nell’Unione europea. E anche lì sono possibili incidenti“. Se la Russia dovesse colpire un reattore nucleare europeo, gli Stati Uniti entrerebbero quasi sicuramente in guerra.

Naturalmente, anche Mosca potrebbe istigare l’escalation. Non si può escludere la possibilità che la Russia, nel disperato tentativo di fermare il flusso di aiuti militari occidentali in Ucraina, colpisca i paesi attraverso i quali passa la maggior parte di essa: Polonia o Romania, entrambi membri della NATO. C’è anche la possibilità che la Russia possa lanciare un massiccio attacco informatico contro uno o più paesi europei che aiutano l’Ucraina, causando gravi danni alla sua infrastruttura critica. Un simile attacco potrebbe spingere gli Stati Uniti a lanciare un attacco informatico di rappresaglia contro la Russia. Se l’attacco informatico riuscisse, Mosca potrebbe rispondere militarmente; se fallisse, Washington potrebbe decidere che l’unico modo per punire la Russia è colpirla direttamente. Questi scenari sembrano inverosimili, ma non sono impossibili. E sono solo alcuni dei tanti percorsi attraverso i quali quella che ora è una guerra locale potrebbe trasformarsi in qualcosa di molto più grande e più pericoloso.

 

PASSAGGIO AL CONFLITTO NUCLEARE

Sebbene l’esercito russo abbia causato enormi danni all’Ucraina, Mosca, finora, è stata riluttante a intensificare il suo impegno per vincere la guerra. Putin non ha ampliato le dimensioni delle sue forze attraverso la coscrizione su larga scala. Né ha preso di mira la rete elettrica dell’Ucraina, ciò che sarebbe relativamente facile da fare e infliggerebbe ingenti danni a quel paese. In effetti, molti russi lo hanno accusato di non aver condotto la guerra in modo più vigoroso. Putin ha preso atto di questa critica, ma ha fatto sapere che se necessario, avrebbe dato inizio a una escalation dell’impegno russo. “Non abbiamo ancora cominciato a fare sul serio“, ha detto a luglio, suggerendo che la Russia potrebbe fare di più, se la situazione militare deteriorasse: e lo farebbe.

E a proposito della forma terminale di escalation? Ci sono tre circostanze in cui Putin potrebbe usare le armi nucleari. Il primo, se gli Stati Uniti ei loro alleati della NATO entrassero in guerra. Questo sviluppo non solo sposterebbe notevolmente l’equilibrio di forze militari a svantaggio della Russia, aumentando notevolmente le probabilità di una sua sconfitta, ma per la Russia significherebbe anche combattere alle porte di casa contro una grande potenza, in una guerra che potrebbe facilmente dilagare nel territorio russo. I leader russi penserebbero certamente che la loro sopravvivenza è a rischio, ciò che gli darebbe un potente incentivo a usare armi nucleari per salvare la situazione. Come minimo, prenderebbero in considerazione lanci nucleari dimostrativi, per convincere l’Occidente a fare marcia indietro. È impossibile sapere in anticipo se una mossa simile porrebbe termine alla guerra, o la condurrebbe in una escalation di cui si perderebbe il controllo.

Nel suo discorso del 24 febbraio, in cui annunciava l’invasione, Putin ha chiaramente sottinteso che avrebbe impiegato le armi nucleari se gli Stati Uniti e i loro alleati fossero entrati in guerra. Rivolgendosi a “coloro che potrebbero essere tentati di interferire“, ha detto, “devono sapere che la Russia risponderà immediatamente e ci saranno conseguenze che non avete mai visto in tutta la vostra storia“. Il suo avvertimento non è sfuggito a Avril Haines, il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, che a maggio aveva predetto che Putin avrebbe potuto usare armi nucleari se la NATO “interviene o sta per intervenire“, in buona parte perché ciò “contribuirebbe ovviamente a una percezione che sta per perdere la guerra in Ucraina”.

Nel secondo scenario nucleare, l’Ucraina inverte da sola le sorti sul campo di battaglia, senza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Se le forze ucraine fossero sul punto di sconfiggere l’esercito russo e riprendersi il territorio perduto del loro paese, non c’è dubbio che Mosca potrebbe facilmente vedere questo esito come una minaccia esistenziale che esige una risposta nucleare. Dopotutto, Putin e i suoi consiglieri erano sufficientemente allarmati dal crescente allineamento di Kiev con l’Occidente da decidere deliberatamente di attaccare l’Ucraina, nonostante i chiari avvertimenti degli Stati Uniti e dei loro alleati sulle gravi conseguenze che la Russia avrebbe dovuto affrontare. A differenza del primo scenario, Mosca impiegherebbe armi nucleari non nel contesto di una guerra con gli Stati Uniti, ma contro l’Ucraina. Lo farebbe con poco timore di ritorsioni nucleari, dal momento che Kiev non ha armi nucleari, e perché Washington non avrebbe alcun interesse a iniziare una guerra nucleare. L’assenza di una chiara minaccia di ritorsione renderebbe più facile per Putin contemplare l’uso del nucleare.

Nel terzo scenario, la guerra si risolve in una lunga situazione di stallo che non ha soluzione diplomatica e diventa estremamente costosa per Mosca. Nel disperato tentativo di porre fine al conflitto a condizioni favorevoli, Putin potrebbe perseguire l’escalation nucleare per vincere. Come nello scenario precedente, in cui si escala per evitare la sconfitta, una rappresaglia nucleare degli Stati Uniti sarebbe altamente improbabile. In entrambi gli scenari, è probabile che la Russia utilizzi armi nucleari tattiche contro una piccola serie di obiettivi militari, almeno inizialmente. Potrebbe colpire paesi e città in attacchi successivi, se necessario. Ottenere un vantaggio militare sarebbe uno degli obiettivi della strategia, ma il più importante sarebbe infliggere un colpo capace di rovesciare la situazione: incutere una tale paura all’ Occidente che gli Stati Uniti e i loro alleati si muovano rapidamente per porre fine al conflitto a condizioni favorevoli a Mosca. Non c’è da stupirsi che William Burns, il direttore della CIA, abbia osservato ad aprile: “Nessuno di noi può prendere alla leggera la minaccia rappresentata da un potenziale ricorso ad armi nucleari tattiche o armi nucleari a basso rendimento“.

CORTEGGIARE LA CATASTROFE

Si può ammettere che, sebbene uno di questi scenari catastrofici possa teoricamente verificarsi, le possibilità che si realizzino effettivamente sono minime, e quindi ci sarebbe poco da preoccuparsi. Dopotutto, i leader di entrambe le parti hanno potenti incentivi a tenere gli americani fuori dalla guerra, e a evitare un uso del nucleare, anche limitato; per tacere di una vera e propria guerra nucleare.

Magari si potesse essere così ottimisti. In realtà, la visione convenzionale sottovaluta abbondantemente i pericoli di una escalation in Ucraina. Anzitutto, le guerre tendono ad avere una logica propria, che rende difficile prevederne il corso. Chi dice di sapere con certezza quale strada prenderà la guerra in Ucraina si sbaglia. Le dinamiche dell’escalation in tempo di guerra sono tanto difficili da prevedere quanto difficili da controllare, il che dovrebbe esser di monito a coloro che sono fiduciosi che gli eventi, in Ucraina, si possano gestire. Inoltre, come ha riconosciuto il teorico militare prussiano Carl von Clausewitz, il nazionalismo incoraggia le guerre moderne a degenerare nella loro forma più estrema, specialmente quando la posta in gioco è alta per entrambe le parti. Questo non vuol dire che le guerre non possano essere limitate, ma che limitarle non è facile. Infine, dati i costi sbalorditivi di una guerra nucleare tra grandi potenze, anche una piccola possibilità che essa si verifichi dovrebbe far riflettere tutti, a lungo, sulla direzione che potrebbe prendere questo conflitto.

Questa pericolosa situazione crea un potente incentivo a trovare una soluzione diplomatica alla guerra. Purtroppo, tuttavia, non è in vista una soluzione politica, poiché entrambe le parti si sono fermamente impegnate a raggiungere obiettivi bellici che rendono quasi impossibile il compromesso. L’amministrazione Biden avrebbe dovuto collaborare con la Russia per risolvere la crisi ucraina prima dello scoppio della guerra a febbraio. Ormai è troppo tardi per concludere un accordo. Russia, Ucraina e Occidente sono bloccati in una situazione terribile, senza una via d’uscita ovvia. Si può solo sperare che i leader di entrambe le parti gestiscano la guerra in modi che evitino un’escalation catastrofica. Per le decine di milioni di persone le cui vite sono in gioco, tuttavia, questa è una magra consolazione.

[1] https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251?no_redirect=true

[2] https://youtu.be/YDuNilTd1fo

[3] http://italiaeilmondo.com/2022/08/14/il-modo-rivoluzionario-in-cui-la-russia-ha-combattuto-la-sua-guerra-in-ucraina-di-leon-tressell/

[4] “Foreign Affairs”, 17 agosto 2022 https://www.foreignaffairs.com/ukraine/playing-fire-ukraine?fbclid=IwAR3DoBHzjXNJc6zJ39SxS-TOAN4tT6gLDf50QRcF7r3R0RBDe_tAFJfcLHo

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Il problema strategico della Cina e della Russia_ di: George Friedman

Un saggio che adombra molto bene i margini e gli azzardi dei quali dispone, o presume di disporre, l’attuale amministrazione statunitense nella gestione contemporanea di due parti a confronto. Entro questi margini si gioca l’eventualità di un sodalizio sempre più solido di Russia e Cina, con la Russia più determinata e la Cina che spera di trarre ancora ulteriori vantaggi da un approccio multilaterale senza alleanze predefinite e dal mantenimento della precedente dinamica di globalizzazione. Mancano per la verità altri attori, in particolare l’India, in grado di rovesciare definitivamente il tavolo, una volta eventualmente schierati con gli emergenti. Una partita ancora tutta da giocare. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La guerra in Ucraina, ormai vecchia di circa 6 mesi, è strategicamente importante per una serie di ragioni. Se la Russia sconfiggerà l’Ucraina e prenderà il controllo del paese, le sue forze saranno al confine dell’Europa orientale. Una presenza russa al confine europeo trasformerebbe gli equilibri di potere nell’Atlantico, costringendo così inevitabilmente gli Stati Uniti a schierare forze a difesa dell’Europa.

Quali fossero le intenzioni della Russia all’inizio dell’invasione importa poco. Le intenzioni cambiano e la strategia non deve essere ottimista. Quindi la posta in gioco nella guerra ucraina è la possibile resurrezione della Guerra Fredda, con tutti i rischi che ne derivano. Dal punto di vista americano, ingaggiare la Russia attraverso le truppe ucraine in Ucraina è molto meno rischioso di un’altra Guerra Fredda.

La Guerra Fredda non ha portato a una guerra su vasta scala, solo la paura della guerra. I timori occidentali delle intenzioni sovietiche superarono le capacità sovietiche. La loro paura, a sua volta, ha tenuto unita la NATO, con grande dispiacere dei leader a Mosca. Nessuna delle loro peggiori paure si è avverata, e quindi il crollo dell’Unione Sovietica ha avuto più a che fare con il marciume interno che con la minaccia esterna. Non è chiaro se una futura Guerra Fredda si svolgerà come l’ultima, ma una cosa è probabile: data l’esistenza delle armi nucleari, la prima linea di una nuova Guerra Fredda rimarrebbe statica e lo status quo da entrambe le parti rimarrebbe rimangono intatti fintanto che nessuno dei due lati si è frammentato. Sarebbe un risultato costoso e pericoloso, poiché la storia non ha bisogno di ripetersi. Ma il crollo dell’Ucraina porrebbe minacce che potrebbero essere contenute, per quanto costose e pericolose.

Le vulnerabilità della Cina ei suoi tentativi di superarle sono potenzialmente più pericolose. Come per la Russia, la questione centrale è la geografia. Per la Russia, il problema è che il confine ucraino è a meno di 300 miglia da Mosca, e la Russia è sopravvissuta a molteplici invasioni solo in virtù della distanza di Mosca dagli invasori, una distanza che il crollo dell’Unione Sovietica ha chiuso. L’ossessione della Russia per l’Ucraina ha lo scopo di correggere questo problema. Il problema geografico della Cina è che è diventata una potenza di esportazione e come tale dipende dal suo accesso all’Oceano Pacifico e alle acque adiacenti. Gli Stati Uniti vedono il libero accesso cinese al Pacifico come una potenziale minaccia alla propria profondità strategica, qualcosa di fondamentale per gli Stati Uniti dalla fine della seconda guerra mondiale. L’accesso cinese al Pacifico è bloccato da una serie di stati insulari: Giappone, Taiwan, Filippine e Indonesia, indirettamente sostenute da potenze vicine come Australia, India e Vietnam. Non tutti sono alleati americani, ma tutti hanno interessi comuni contro l’espansione navale cinese. La Cina vuole difendere la sua profondità strategica conquistandola e controllandola. Gli Stati Uniti vogliono difendere la propria profondità strategica difendendola.

Alla dimensione geografica si aggiunge una dimensione economica. L’economia cinese dipende dalle esportazioni e gli Stati Uniti sono il suo maggiore cliente. Pechino ha anche bisogno di continui investimenti statunitensi, poiché il suo sistema finanziario è sottoposto a forti pressioni.

La Russia sta tentando di rivendicare la profondità strategica, ed è entrata in essa ben sapendo le conseguenze finanziarie che avrebbe creato. In altre parole, ha sopportato danni finanziari in cambio di sicurezza strategica. Finora, non ha acquisito sicurezza strategica e ha assorbito notevoli danni finanziari distribuendo alcuni dei suoi all’Europa.

La Cina sta cercando una soluzione strategica evitando il danno economico che un’ulteriore espansione probabilmente porterebbe. Il suo principale avversario su entrambi i fronti sarebbero gli Stati Uniti. Quindi la Cina sta sondando gli Stati Uniti, cercando di capire le sue potenziali risposte. La risposta alla visita del presidente della Camera Nancy Pelosi ha spinto i limiti di un’invasione di Taiwan. Ciò che la Cina ha appreso sull’esercito americano non è chiaro, ma ha appreso che l’innesco delle azioni economiche americane risiede al di là della manifestazione cinese.

L’obiettivo dell’America in Ucraina, quindi, è negare alla Russia la profondità strategica che desidera per limitare la minaccia russa all’Europa. Con la Cina, il suo obiettivo è mantenere la profondità strategica americana per evitare che la Cina minacci gli Stati Uniti o ottenga una portata globale.

Le questioni sono simili in linea di principio, ma la posta in gioco per gli Stati Uniti non lo è. Per Washington, la questione Cina è molto più importante della questione Russia. Una vittoria russa in Ucraina ridisegnerebbe i confini non ufficiali e aumenterebbe i rischi. Un successo cinese creerebbe una potenza più globale che sfida gli Stati Uniti e i suoi alleati in tutto il mondo.

Le conseguenze della guerra sono sempre significative. Il coinvolgimento degli Stati Uniti aggiunge costi economici all’equazione. Finora, la Russia ha assorbito i costi. La Cina potrebbe non essere in grado di farlo, considerando che la sua economia è attualmente vulnerabile. Ma le nazioni vivono di economia e sopravvivono di sicurezza. In questo senso, sembrerebbe che la Russia sia meno interessata ai negoziati rispetto alla Cina.

Il presidente cinese Xi Jinping e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si incontreranno a metà novembre, in una conferenza in Indonesia o in Thailandia. Se l’incontro avrà luogo, sarà il primo dalla loro teleconferenza di maggio. Tra gli Stati Uniti e la Russia stanno avvenendo solo colloqui informali e di back-channel. La Cina ha bisogno di un’economia stabile ora più di quanto abbia bisogno del comando dei mari. La Russia sembra in grado di sopravvivere a ciò che è stato affrontato economicamente, ma non ha spezzato la schiena alle forze ucraine. La Cina è più vicina alla crisi economica della Russia e quindi non è disposta a rischiare la guerra con gli Stati Uniti. Parlerà, se non si accontenterà. La situazione economica e militare della Russia è oscura nel lungo periodo. Gli Stati Uniti hanno a che fare con Cina e Russia a un prezzo abbastanza basso e possono gestire entrambe in questo momento. Russia e Cina devono cercare di aumentare i costi per gli Stati Uniti

È un’equazione vertiginosa ma non insolita. La Cina ha bisogno di raggiungere un’intesa con gli Stati Uniti. La Russia non ha questo bisogno. Gli Stati Uniti sono flessibili.

https://geopoliticalfutures.com/china-and-russias-strategic-problem/?tpa=NTk0ZWM2MDNhN2ViMWFmZmQ4NTE3YzE2NjE0NDE3ODlhNWE5MTg&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/china-and-russias-strategic-problem/?tpa=NTk0ZWM2MDNhN2ViMWFmZmQ4NTE3YzE2NjE0NDE3ODlhNWE5MTg&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Teoria del Domino e dominio, di Roberto Buffagni

Uno degli argomenti della propaganda occidentale sulla guerra in Ucraina è questo: indispensabile combattere la Russia in Ucraina perché l’invasione dell’Ucraina è il primo passo di un progetto imperialistico russo, volto a ricostituire i confini dell’URSS o dell’Impero zarista, e a diffondere “l’autoritarismo” dove oggi c’è “la democrazia”.
In sintesi, la Russia autocratica va combattuta in Ucraina per non doverla poi combattere nelle democratiche Polonia, Finlandia, Ungheria, Germania, etc.
Questo argomento di giustificazione della strategia americana e NATO verrà probabilmente in primo piano, nei prossimi mesi, perché sarà sempre più chiaro che
a) è impossibile infliggere una sconfitta decisiva ai russi, in Ucraina
b) anzi i russi, nonostante i massicci aiuti occidentali, stanno infliggendo una sconfitta decisiva all’Ucraina, e i limiti di questa sconfitta (dove i russi si fermeranno, quali territori ucraini conquisteranno e terranno, quali danni infliggeranno all’Ucraina) saranno decisi unilateralmente dai russi in conformità ai loro obiettivi
c) ogni prolungamento delle ostilità in Ucraina, ogni rifiuto pregiudiziale di aprire una trattativa con la Russia, ha un costo umano ed economico inaccettabile, perché immotivato, anzitutto per l’Ucraina, e non ha contropartita alcuna: costo spaventoso, guadagno zero
d) ogni prolungamento delle ostilità in Ucraina, ogni rifiuto pregiudiziale di aprire una trattativa con la Russia, ha un costo economico e politico inaccettabile, perché immotivato e privo di contropartite, anche per i paesi europei, in particolare per i paesi dell’Europa occidentale e mediterranea (paesi come la Polonia possono almeno sperare in acquisizioni territoriali in Ucraina)
Dunque, verrà in primo piano la giustificazione “combattere la Russia in Ucraina per non doverla combattere in casa propria”.
Questa è, alla lettera, la giustificazione dell’intervento americano in Vietnam che diedero “the best and the brightest”, il gruppo di consiglieri che circondavano il presidente Kennedy, e che erano davvero personalità di spicco, molto più capaci dell’attuale classe dirigente americana. La previsione strategica che li informava era la “Domino theory”, la teoria del domino: il comunismo ha ambizioni di espansione mondiale, se cade il Vietnam cadranno via via in mani comuniste, come tessere del domino, la Cambogia, la Tailandia, la Corea, il Laos, il Giappone, l’India, etc., finché il comunismo non contagerà il continente americano fino a giungere alle porte degli Stati Uniti, e forse a varcarle.
La “Domino theory” non aveva alcun fondamento, ed era radicalmente sbagliata. La radice dell’errore stava nella grave sottovalutazione americana dell’importanza decisiva del nazionalismo. Conquistare nazioni è difficile, molto difficile, perché le nazioni vogliono sopravvivere e conservare la loro indipendenza e la loro sovranità, e conquistarle, occuparle, tenerle, integrarle stabilmente in un impero è estremamente difficile. Le ideologie politiche hanno certamente un ruolo, nella politica internazionale, ma quando gli imperativi strategici confliggono con gli imperativi ideologici sono gli imperativi strategici ad avere la meglio: come illustrò rapidamente, dopo la sconfitta americana in Vietnam, la guerra sino-vietnamita (17 febbraio – 16 marzo 1979) in cui il Vietnam sconfisse uno dei due paesi che, con l’URSS, più lo avevano appoggiato nel corso della sua lotta per l’indipendenza dalla Francia prima, dagli USA poi.
Una riedizione della “Domino theory”, stavolta in chiave offensiva anziché difensiva, si ritrova nella seconda guerra statunitense contro l’Irak (2003). Gli israeliani, avuto sentore dell’intenzione americana di attaccare l’Irak, dissero agli americani: “Ma perché attaccare l’Irak? Il vero nemico, nella regione, è l’Iran!” e gli americani risposero: “State tranquilli, l’Irak è soltanto il primo passo. Caduta l’Irak, cadranno anche l’Iran, la Siria, etc.” Come sia andata, ognuno vede.
La riedizione aggiornata all’Ucraina della “Domino theory” si fonda su una premessa errata, e su una inferenza quantomeno dubbia. La premessa errata è che la Russia abbia la capacità di riconquistare i confini dell’URSS o dell’Impero zarista. La Federazione russa non ha la potenza latente (demografia, economia) e la potenza manifesta (militare) sufficiente per tentare, con ragionevoli probabilità di successo, una simile impresa colossale.
L’inferenza quantomeno dubbia è che la dirigenza della Federazione russa abbia l’intenzione di tentarla. Non mi risulta che ci siano prove, nei discorsi e nelle dichiarazioni ufficiali russe, di una simile intenzione; ma è sempre molto difficile penetrare le intenzioni altrui. È certo possibile che la dirigenza russa desideri, in cuor suo, riconquistare i confini dell’ex URSS o dell’Impero zarista. Che intenda provarci è estremamente improbabile, visto che sinora, la dirigenza russa dà prova di condurre una politica razionale e cauta, affatto incompatibile con il terribile azzardo che l’impresa imperialistica comporterebbe.
La teoria del domino è una teoria geopolitica prominente negli Stati Uniti dagli anni ’50 agli anni ’80 che postulava che se un paese in una regione fosse caduto sotto l’influenza del comunismo , i paesi circostanti avrebbero seguito un effetto domino . [1] La teoria del domino è stata utilizzata dalle successive amministrazioni degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda per giustificare la necessità dell’intervento americano nel mondo.

Un’illustrazione della teoria del domino come era stata prevista

L’ex presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower descrisse la teoria durante una conferenza stampa il 7 aprile 1954, riferendosi al comunismo in Indocina come segue:

Infine, hai considerazioni più ampie che potrebbero seguire quello che chiamereste il principio della “caduta del domino”. Hai impostato una fila di tessere, fai cadere il primo e quello che accadrà all’ultimo è la certezza che passerà molto velocemente. Quindi potresti avere un inizio di disintegrazione che avrebbe le influenze più profonde. [2]

Inoltre, la profonda convinzione di Eisenhower nella teoria del domino in Asia aumentò i “costi percepiti per gli Stati Uniti nel perseguire il multilateralismo” [3] a causa di eventi multiformi tra cui la ” vittoria del 1949 del Partito Comunista Cinese , l’ invasione della Corea del Nord del giugno 1950 , il 1954 La crisi dell’isola offshore di Quemoy e il conflitto in Indocina hanno costituito una sfida ad ampio raggio non solo per uno o due paesi, ma per l’intero continente asiatico e il Pacifico”. [3] Questo connota una forte forza magnetica per cedere al controllo comunista e si allinea con il commento del generale Douglas MacArthur secondo cui “la vittoria è una forte calamita in Oriente”. [4]

Durante il 1945, l’ Unione Sovietica portò la maggior parte dei paesi dell’Europa orientale e centrale nella sua influenza come parte del nuovo insediamento del secondo dopoguerra, [5] spingendo Winston Churchill a dichiarare in un discorso nel 1946 al Westminster College di Fulton , Missouri che:

Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico è scesa una ” cortina di ferro ” attraverso il Continente. Dietro quella linea si trovano tutte le capitali degli antichi stati dell’Europa centrale e orientale. Varsavia , Praga , Budapest , Belgrado , Bucarest e Sofia ; tutte queste famose città e le popolazioni che le circondano si trovano in quella che devo chiamare la sfera sovietica, e tutte sono soggette, in una forma o nell’altra, non solo all’influenza sovietica, ma anche a un livello molto alto e in alcuni casi crescente di controllo da parte di Mosca . [6]

Dopo la crisi iraniana del 1946 , Harry S. Truman dichiarò quella che divenne nota come la Dottrina Truman nel 1947, [7] promettendo di contribuire con aiuti finanziari al governo greco durante la sua guerra civile e alla Turchia dopo la seconda guerra mondiale, nella speranza che ciò ostacolerebbe l’avanzamento del comunismo nell’Europa occidentale. [8] Nello stesso anno, il diplomatico George Kennan scrisse un articolo sulla rivista Foreign Affairs che divenne noto come ” X Article “, che per primo articolava la politica di contenimento , [9]sostenendo che l’ulteriore diffusione del comunismo in paesi al di fuori di una ” zona cuscinetto ” attorno all’URSS, anche se avvenuta tramite elezioni democratiche, era inaccettabile e una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. [10] Kennan fu anche coinvolto, insieme ad altri nell’amministrazione Truman , nella creazione del Piano Marshall , [11] anch’esso iniziato nel 1947, per dare aiuti ai paesi dell’Europa occidentale (insieme a Grecia e Turchia), [12 ] in gran parte con la speranza di impedire loro di cadere sotto la dominazione sovietica. [13]

Nel 1949 fu istituito in Cina un governo appoggiato dai comunisti, guidato da Mao Zedong (diventando ufficialmente la Repubblica popolare cinese ). [14] L’insediamento del nuovo governo è stato stabilito dopo che l’ Esercito popolare di liberazione ha sconfitto il governo nazionalista repubblicano cinese all’indomani della guerra civile cinese (1927-1949). [15] Si formarono due Cine : la “Cina comunista” continentale (Repubblica popolare cinese) e la “Cina nazionalista” Taiwan ( Repubblica cinese). L’acquisizione da parte dei comunisti della nazione più popolosa del mondo è stata vista in Occidente come una grande perdita strategica, che ha suscitato la domanda popolare dell’epoca: “Chi ha perso la Cina?” [16] Gli Stati Uniti hanno successivamente interrotto le relazioni diplomatiche con la neonata Repubblica popolare cinese in risposta alla presa di potere comunista nel 1949. [15]

Anche la Corea era parzialmente caduta sotto la dominazione sovietica alla fine della seconda guerra mondiale, divisa dal sud del 38° parallelo in cui successivamente si trasferirono le forze statunitensi. Nel 1948, a seguito della Guerra Fredda tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, la Corea fu divisa in due regioni, con governi separati, ciascuno dei quali affermava di essere il governo legittimo della Corea e nessuna delle due parti accettava il confine come permanente. Nel 1950 scoppiarono combattimenti tra comunisti e repubblicani che presto coinvolsero truppe provenienti dalla Cina (dalla parte dei comunisti), dagli Stati Uniti e da 15 paesi alleati (dalla parte dei repubblicani). Sebbene il conflitto coreano non sia ufficialmente terminato, la guerra di Corea si è conclusa nel 1953 con un armistizioche ha lasciato la Corea divisa in due nazioni, la Corea del Nord e la Corea del Sud . La decisione di Mao Zedong di affrontare gli Stati Uniti nella guerra di Corea fu un tentativo diretto di affrontare quella che il blocco comunista considerava la più forte potenza anticomunista del mondo, intrapresa in un momento in cui il regime comunista cinese stava ancora consolidando il proprio potere dopo vincere la guerra civile cinese.

La prima figura a proporre la teoria del domino fu il presidente Harry S. Truman negli anni ’40, dove introdusse la teoria per “giustificare l’invio di aiuti militari in Grecia e Turchia”. [17] Tuttavia, la teoria del domino è stata resa popolare dal presidente Dwight D. Eisenhower quando l’ha applicata al sud-est asiatico, in particolare al Vietnam del sud. Inoltre, la teoria del domino è stata utilizzata come uno degli argomenti chiave nelle “amministrazioni Kennedy e Johnson negli anni ’60 per giustificare il crescente coinvolgimento militare americano nella guerra del Vietnam”. [17]

Nel maggio 1954, il Viet Minh , un esercito comunista e nazionalista, sconfisse le truppe francesi nella battaglia di Dien Bien Phu e prese il controllo di quello che divenne il Vietnam del Nord . [18] Ciò fece sì che i francesi si ritirassero completamente dalla regione allora conosciuta come Indocina francese , un processo che avevano iniziato in precedenza. [19] Le regioni furono quindi divise in quattro paesi indipendenti (Vietnam del Nord, Vietnam del Sud , Cambogia e Laos ) dopo che alla Conferenza di Ginevra del 1954 fu negoziato un accordo per porre fine alla prima guerra in Indocina . [20]

Ciò darebbe loro un vantaggio strategico geografico ed economico e renderebbe Giappone, Taiwan, Filippine, Australia e Nuova Zelanda gli stati difensivi in ​​prima linea. La perdita di regioni tradizionalmente all’interno della vitale area commerciale regionale di paesi come il Giappone incoraggerebbe i paesi in prima linea a scendere a compromessi politicamente con il comunismo.

La teoria del domino di Eisenhower del 1954 era una descrizione specifica della situazione e delle condizioni all’interno del sud-est asiatico all’epoca e non suggeriva una teoria del domino generalizzata come altri fecero in seguito.

Durante l’estate del 1963, i buddisti protestarono per il duro trattamento che stavano ricevendo sotto il governo Diem del Vietnam del Sud. Tali azioni del governo sudvietnamita hanno reso difficile il forte sostegno dell’amministrazione Kennedy al presidente Diem. Il presidente Kennedy era in una posizione debole, cercando di contenere il comunismo nel sud-est asiatico, ma d’altra parte, sostenendo un governo anticomunista che non era popolare tra i suoi cittadini ed era colpevole di atti discutibili per il pubblico americano. [21] L’amministrazione Kennedy è intervenuta in Vietnam all’inizio degli anni ’60 per, tra le altre ragioni, impedire la caduta del “domino” sudvietnamita. Quando Kennedy salì al potere c’era la preoccupazione che il Pathet Lao guidato dai comunistiin Laos avrebbe fornito basi ai Viet Cong e che alla fine avrebbero potuto conquistare il Laos. [22]

Argomenti a favore della teoria del domino

La prova principale della teoria del domino è la diffusione del dominio comunista in tre paesi del sud-est asiatico nel 1975, in seguito alla conquista comunista del Vietnam : Vietnam del Sud (da parte dei Viet Cong), Laos (da parte del Pathet Lao) e Cambogia (da parte del Khmer Rossi ). Si può inoltre sostenere che prima che finissero di prendere il Vietnam prima degli anni ’50, le campagne comuniste non ebbero successo nel sud-est asiatico. Si noti l’ emergenza malese , la ribellione di Hukbalahap nelle Filippine e il crescente coinvolgimento di Sukarno con i comunistidell’Indonesia dalla fine degli anni ’50 fino alla sua deposizione nel 1967. Tutti questi erano tentativi comunisti falliti di conquistare i paesi del sud-est asiatico che si bloccarono quando le forze comuniste erano ancora concentrate in Vietnam.

Walt Whitman Rostow e l’allora Primo Ministro di Singapore Lee Kuan Yew hanno sostenuto che l’intervento statunitense in Indocina, dando alle nazioni dell’ASEAN il tempo di consolidarsi e impegnarsi nella crescita economica, ha impedito un più ampio effetto domino. [23] In un incontro con il presidente Gerald Ford e Henry Kissinger nel 1975, Lee Kuan Yew ha affermato che “c’è una tendenza nel Congresso degli Stati Uniti a non voler esportare posti di lavoro. Ma dobbiamo avere i posti di lavoro se vogliamo fermare il comunismo. Noi lo hanno fatto, passando dal lavoro qualificato più semplice a quello più complesso. Se fermiamo questo processo, farà più danni di quanto tu possa riparare ogni [sic] riparazione con l’aiuto. Non tagliare le importazioni dal sud-est asiatico”. [24]

McGeorge Bundy ha sostenuto che le prospettive di un effetto domino, sebbene elevate negli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60, furono indebolite nel 1965 quando il Partito Comunista Indonesiano fu distrutto dagli squadroni della morte nel genocidio indonesiano. Tuttavia, i sostenitori ritengono che gli sforzi durante il periodo di contenimento (cioè, la Teoria di Domino) alla fine abbiano portato alla fine dell’Unione Sovietica e alla fine della Guerra Fredda.

Alcuni sostenitori della teoria del domino annotano la storia dei governi comunisti che forniscono aiuti ai rivoluzionari comunisti nei paesi vicini. Ad esempio, la Cina ha fornito truppe e rifornimenti al Viet Minh e successivamente all’esercito del Vietnam del Nord e l’Unione Sovietica ha fornito loro carri armati e armi pesanti. Il fatto che il Pathet Lao e i Khmer Rossi fossero entrambi originariamente parte del Vietminh, per non parlare del sostegno di Hanoi per entrambi insieme ai Viet Cong, danno credito alla teoria. L’Unione Sovietica ha anche fornito pesantemente Sukarno con forniture militari e consiglieri dal tempo della Democrazia Guidata in Indonesia , specialmente durante e dopo la guerra civile del 1958 a Sumatra.

Argomenti che criticano la teoria del domino

  • Elementi dell’ideologia della guerra fredda come la teoria del domino sono diventati strumenti di propaganda per il governo degli Stati Uniti per creare paura tra il popolo americano, al fine di ottenere il sostegno pubblico per la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam. [25]
  • Nella primavera del 1995, l’ex segretario alla Difesa americano Robert McNamara disse di ritenere che la teoria del domino fosse un errore. [26] Il professor Tran Chung Ngoc, un vietnamita d’oltremare che vive negli Stati Uniti, ha affermato: “Gli Stati Uniti non hanno alcuna ragione plausibile per intervenire in Vietnam, un paese piccolo, povero e sottosviluppato che non ha alcuna capacità di fare nulla che potrebbe danneggiare l’America Pertanto, l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam, indipendentemente dall’opinione pubblica e dal diritto internazionale, sta “usando il potere sulla giustizia”, ​​dando a se stessa il diritto di intervenire ovunque voglia l’America”. [27]

Significato della teoria del domino

La teoria del domino è significativa perché sottolinea l’importanza delle alleanze, che possono variare da alleanze canaglia ad alleanze bilaterali. Ciò implica che la teoria del domino è utile per valutare l’intento e lo scopo di un paese di stringere un’alleanza con altri, incluso un gruppo di altri paesi all’interno di una particolare regione. Sebbene l’intento e lo scopo possano differire per ogni paese, Victor Chadescrive l’alleanza bilaterale asimmetrica tra gli Stati Uniti ei paesi dell’Asia orientale come un approccio strategico, in cui gli Stati Uniti hanno il controllo e il potere di mobilitare o stabilizzare i propri alleati. Ciò è supportato dal modo in cui gli Stati Uniti hanno creato alleanze bilaterali asimmetriche con la Repubblica di Corea, la Repubblica di Cina e il Giappone “non solo per contenere, ma anche per limitare potenziali ‘alleanze canaglia’ dall’impegnarsi in comportamenti avventuristi che potrebbero entrare in contingenze militari più grandi nel regione o che potrebbe innescare un effetto domino, con i paesi asiatici che cadono nel comunismo”. [3] Dal momento che gli Stati Uniti hanno lottato con la sfida di “alleanze canaglia e la minaccia di cadute del domino combinate per produrre un temuto scenario di intrappolamento per gli Stati Uniti”, [3]la teoria del domino sottolinea ulteriormente l’importanza delle alleanze bilaterali nelle relazioni internazionali. Ciò è evidente nel modo in cui la teoria del domino ha fornito agli Stati Uniti un approccio di coalizione, in cui “ha modellato una serie di alleanze bilaterali profonde e strette” [3] con paesi asiatici tra cui Taiwan, Corea del Sud e Giappone per “controllare la loro capacità di usare la forza e promuovere la dipendenza materiale e politica dagli Stati Uniti”. [3]Quindi, questo indica che la teoria del domino aiuta a osservare l’effetto delle alleanze forgiate come un trampolino di lancio o un ostacolo all’interno delle relazioni internazionali. Ciò sottolinea la correlazione tra teoria del domino e dipendenza dal percorso, in cui un crollo retrospettivo di un paese che cade nel comunismo può non solo avere effetti negativi per altri paesi ma, cosa più importante, sulla propria portata decisionale e competenza nel superare le sfide presenti e future. Pertanto, la teoria del domino è indubbiamente una teoria significativa che si occupa della stretta relazione tra micro-causa e macro-conseguenza, dove suggerisce che tali macro-conseguenze possono avere ripercussioni a lungo termine.

Applicazioni al comunismo al di fuori del sud-est asiatico

Michael Lind ha affermato che sebbene la teoria del domino abbia fallito a livello regionale, c’è stata un’ondata globale, quando i regimi comunisti o socialisti sono saliti al potere in Benin , Etiopia , Guinea-Bissau , Madagascar , Capo Verde , Mozambico , Angola , Afghanistan , Grenada e Nicaraguadurante gli anni ’70. L’interpretazione globale dell’effetto domino si basa fortemente sull’interpretazione “di prestigio” della teoria, il che significa che il successo delle rivoluzioni comuniste in alcuni paesi, sebbene non abbia fornito supporto materiale alle forze rivoluzionarie in altri paesi, ha contribuito al sostegno morale e retorico .In questo senso, il rivoluzionario argentino Che Guevara ha scritto un saggio, il “Messaggio al Tricontinentale”, nel 1967, chiedendo “due, tre … molti Vietnam” in tutto il mondo. [28] Lo storico Max Boot scrisse: “Alla fine degli anni ’70, i nemici dell’America presero il potere in paesi dal Mozambico all’Iran al Nicaragua. Gli ostaggi americani furono sequestrati a bordo della SS Mayaguez (al largo della Cambogia) ea Teheran. L’ esercito sovietico invase l’Afghanistan . Lì non è un collegamento ovvio con la guerra del Vietnam, ma non c’è dubbio che la sconfitta di una superpotenza abbia incoraggiato i nostri nemici a intraprendere atti di aggressione da cui altrimenti avrebbero potuto evitare”. [29]Inoltre, questa teoria può essere ulteriormente rafforzata dall’aumento degli incidenti terroristici da parte di gruppi terroristici di sinistra nell’Europa occidentale, finanziati in parte dai governi comunisti, tra gli anni ’60 e ’80. [30] [31] [32] In Italia, questo include il rapimento e l’assassinio dell’ex primo ministro italiano Aldo Moro , e il rapimento dell’ex generale di brigata statunitense James L. Dozier , da parte delle Brigate Rosse .Nella Germania occidentale, questo include le azioni terroristiche della fazione dell’Armata Rossa . Nell’estremo oriente l’ Armata Rossa giapponese compì atti simili. Tutti e quattro, così come altri, hanno lavorato con vari terroristi arabi e palestinesi, che come le brigate rosse erano appoggiati dal blocco sovietico.

Nelle interviste a Frost/Nixon del 1977 , Richard Nixon difese la destabilizzazione del regime di Salvador Allende da parte degli Stati Uniti in Cile sulla base della teoria del domino. Prendendo in prestito una metafora che aveva sentito, ha affermato che un Cile comunista e Cuba avrebbero creato un “panino rosso” che potrebbe intrappolare l’America Latina tra di loro. [33] Negli anni ’80, la teoria del domino fu nuovamente utilizzata per giustificare gli interventi dell’amministrazione Reagan in Centro America e nella regione dei Caraibi .

Nelle sue memorie, l’ex primo ministro rhodesiano Ian Smith ha descritto la successiva ascesa di governi autoritari di sinistra nell’Africa subsahariana durante la decolonizzazione come “la tattica del domino dei comunisti”. [34] L’istituzione di governi filo-comunisti in Tanzania (1961-1964) e Zambia (1964) e governi esplicitamente marxisti-leninisti in Angola (1975), Mozambico (1975) e infine la stessa Rhodesia (nel 1980) [35] sono citati da Smith come prova dell ‘”insidiosa invasione dell’imperialismo sovietico nel continente”. [36]

Altre applicazioni

La vignetta raffigura il presidente egiziano Hosni Mubarak come il prossimo a cadere dopo che la rivoluzione tunisina ha costretto il presidente Zine El Abidine Ben Ali a fuggire dal paese.

Vignetta politica di Carlos Latuff che applica la teoria del domino alla Primavera araba .

Alcuni analisti di politica estera negli Stati Uniti hanno indicato la potenziale diffusione sia della teocrazia islamica che della democrazia liberale in Medio Oriente come due diverse possibilità per una teoria del domino. Durante la guerra Iran-Iraq, gli Stati Uniti e altre nazioni occidentali hanno sostenuto l’ Iraq baathista , temendo la diffusione della teocrazia radicale iraniana in tutta la regione. Nell’invasione dell’Iraq del 2003 , alcuni neoconservatori hanno sostenuto che l’attuazione di un governo democratico aiuterebbe a diffondere la democrazia e il liberalismo in tutto il Medio Oriente. Questa è stata definita una “teoria del domino inverso” [37] o una “teoria del domino democratico” [38]così chiamato perché i suoi effetti sono considerati positivi, non negativi, dagli stati democratici occidentali.

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 7a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la settima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua settima parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

SETTIMA PUNTATA STATO DELLE COS

 

Capitalismo è potere, capitalisti tra i poteri_con Gianfranco La Grassa

Si muove brevemente dalla scadenza elettorale che occuperà il dibattito politico da qui al 25 settembre ed oltre; si passa progressivamente a considerare le logiche che muovono il conflitto politico e le dinamiche di composizione delle formazioni sociali. Il punto di partenza espresso da Gianfranco La Grassa non può prescindere dalla sua formazione teorica iniziale e quindi dalla definizione di Marx delle due caratteristiche essenziali che conformano il capitalismo. Presupposti allo stato, pur nella loro genialità, rivelatesi in parte errati, in parte insufficienti a spiegare la complessità delle dinamiche politiche conflittuali e dei comportamenti dei soggetti politici e dei centri decisori. La Grassa da un ventennio ha avviato con relativo successo un primo tentativo di definire chiavi interpretative più adeguate e cercato di inserire alcuni presupposti ancora validi della teoria marxiana nelle categorie determinanti e prevalenti del ruolo del politico nei vari ambiti delle sfere di attività sociale dell’uomo e nel conflitto determinante dei centri decisori. L’auspicio espresso è che questo sforzo teorico sia finalmente colto in Italia e proseguito da forze nuove e fresche meno vincolate dagli schemi maturati negli ultimi grandiosi e tragici due secoli. Schemi potenti, ma in buona parte fuorvianti rispetto all’effettivo corso degli eventi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1fne8l-capitalismo-potere-capitalisti-tra-i-poteri-con-gianfranco-la-grassa.html

 

 

Una guida alla teoria delle relazioni internazionali alla luce della guerra in Ucraina, di Stephen M. Walt

Una “originale” interpretazione della reazione “equilibrata” del mondo occidentale all’intervento russo in Ucraina, densa comunque di spunti sui quali riflettere. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Una guida alla teoria delle relazioni internazionali alla luce della guerra in Ucraina

Una considerazione su quali teorie sono state confermate e quali sono fallite.

Di  , editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer, professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

Fare clic su + per ricevere avvisi via e-mail per le nuove storie scritte da  Stephen M. Walt

Il mondo è infinitamente complesso e, per necessità, ci affidiamo tutti a varie credenze o teorie su “come funziona il mondo” per cercare di dare un senso a tutto ciò. Poiché tutte le teorie sono semplificazioni, nessun approccio unico alla politica internazionale può tenere conto di tutto ciò che sta accadendo in un dato momento, prevedere esattamente cosa accadrà nelle settimane e nei mesi a venire o offrire un piano d’azione preciso di cui è garantito il successo. Anche così, il nostro bagaglio di teorie può ancora aiutarci a capire come è avvenuta la tragedia in Ucraina, spiegare alcuni di ciò che sta accadendo ora, segnalarci opportunità e potenziali insidie ​​e suggerire alcune ampie linee d’azione per il futuro. Poiché anche le migliori teorie delle scienze sociali sono rozze e ci sono sempre eccezioni anche a regolarità consolidate, gli analisti saggi guarderanno a più di uno per intuizioni e manterranno un certo scetticismo su ciò che ognuno di loro può dirci.

Alla luce di quanto sopra, cosa hanno da dire alcune note teorie sulle relazioni internazionali sui tragici eventi in Ucraina? Quali teorie sono state rivendicate (almeno in parte), che sono state ritenute carenti e quali potrebbero evidenziare questioni chiave mentre la crisi continua a svilupparsi? Ecco un’indagine provvisoria e tutt’altro che completa di ciò che gli studiosi hanno da dire su questo pasticcio.

Realismo e liberalismo

Non sono certo un osservatore obiettivo qui, ma è ovvio per me che questi eventi preoccupanti hanno riaffermato la rilevanza duratura della prospettiva realista sulla politica internazionale. A livello più generale, tutte le teorie realistiche descrivono un mondo in cui non esiste alcuna agenzia o istituzione in grado di proteggere gli stati gli uni dagli altri e in cui gli stati devono preoccuparsi se un pericoloso aggressore potrebbe minacciarli in futuro. Questa situazione costringe gli stati, in particolare le grandi potenze, a preoccuparsi molto della loro sicurezza e a competere per il potere. Sfortunatamente, queste paure a volte portano gli stati a fare cose orribili. Per i realisti, l’invasione russa dell’Ucraina (per non parlare dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003) ci ricorda che le grandi potenze a volte agiscono in modi terribili e sciocchi quando credono che i loro interessi di sicurezza fondamentali siano in gioco. Quella lezione non giustifica tale comportamento, ma i realisti riconoscono che la condanna morale da sola non lo impedirà. È difficile immaginare una dimostrazione più convincente dell’importanza dell’hard power, in particolare del potere militare.Anche la Germania postmoderna sembra aver recepito il messaggio .

Purtroppo, la guerra illustra anche un altro concetto realista classico: l’idea di un “dilemma di sicurezza”. Il dilemma sorge perché i passi che uno stato compie per rendersi più sicuro spesso rende gli altri meno sicuri. Lo stato A si sente insicuro e cerca un alleato o acquista altre armi; Lo Stato B si allarma per questo passaggio e risponde a tono, i sospetti si approfondiscono ed entrambi i paesi finiscono per essere più poveri e meno sicuri di prima. Aveva perfettamente senso che gli stati dell’Europa orientale volessero entrare nella NATO (o il più vicino possibile ad essa), date le loro preoccupazioni a lungo termine sulla Russia. Ma dovrebbe anche essere facile capire perché i leader russi, e non solo Putin, hanno considerato questo sviluppo allarmante. Ora è tragicamente chiaro che la scommessa non ha dato i suoi frutti, almeno non per quanto riguarda l’Ucraina e probabilmente la Georgia.

Vedere questi eventi attraverso la lente del realismo non significa sostenere le azioni brutali e illegali della Russia; è semplicemente riconoscere tale comportamento come un aspetto deplorevole ma ricorrente delle vicende umane. I realisti da Tucidide in giù attraverso EH Carr, Hans J. Morgenthau, Reinhold Niebuhr, Kenneth Waltz, Robert Gilpin e John Mearsheimer hanno tutti condannato la natura tragica della politica mondiale, avvertendo allo stesso tempo che non possiamo perdere di vista i pericoli che il realismo mette in evidenza, compresi i rischi che sorgono quando si minaccia ciò che un altro stato considera un interesse vitale. Non è un caso che i realisti abbiano da tempo sottolineato i pericoli dell’arroganza e i pericoli di una politica estera eccessivamente idealistica, sia nel contesto della guerra del Vietnam, dell’invasione dell’Iraq nel 2003, sia del perseguimento ingenuo dell’allargamento aperto della NATO . Purtroppo, in ogni caso i loro avvertimenti sono stati ignorati, solo per essere vendicati da eventi successivi.

La risposta straordinariamente rapida all’invasione della Russia è anche coerente con una comprensione realistica della politica delle alleanze. I valori condivisi possono rendere le alleanze più coese e durature, ma i seri impegni per la difesa collettiva derivano principalmente dalla percezione di una minaccia comune . Il livello di minaccia, a sua volta, è una funzione del potere, della vicinanza e del nemico con capacità offensive e intenzioni aggressive. Questi elementi spiegano molto il motivo per cui l’Unione Sovietica ha dovuto affrontare forti coalizioni di bilanciamento in Europa e in Asia durante la Guerra Fredda: aveva una grande economia industriale, il suo impero confinava con molti altri paesi, le sue forze militari erano grandi e progettate principalmente per operazioni offensive e sembrava avere un carattere altamente revisionista ambizioni (cioè la diffusione del comunismo). Oggi, le azioni della Russia hanno aumentato notevolmente la percezione della minaccia in Occidente e il risultato è stato un’esibizione di un comportamento equilibrato che pochi si sarebbero aspettati solo poche settimane fa.

Al contrario, le principali teorie liberali che hanno informato gli aspetti chiave della politica estera occidentale negli ultimi decenni non sono andate bene. Come filosofia politica, il liberalismo è una base ammirevole per organizzare la società, e io per primo sono profondamente grato di vivere in una società in cui quei valori continuano a dominare. È anche incoraggiante vedere le società occidentali riscoprire le virtù del liberalismo, dopo aver flirtato con i propri impulsi autoritari. Ma come approccio alla politica mondiale e guida alla politica estera, le carenze del liberalismo sono state nuovamente smascherate.

Come in passato, il diritto internazionale e le istituzioni internazionali si sono rivelate una debole barriera al comportamento rapace delle grandi potenze. L’interdipendenza economica non ha impedito a Mosca di lanciare la sua invasione, nonostante i notevoli costi che di conseguenza dovrà affrontare. Il soft power non è riuscito a fermare i carri armati russi e il voto sbilenco 141-5 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (con 35 astenuti) che condanna l’invasione non avrà molto impatto.

Come ho notato in precedenza , la guerra ha demolito la convinzione che la guerra non fosse più “pensabile” in Europa e la relativa affermazione che l’allargamento della NATO verso est creerebbe una “zona di pace” in continua espansione. Non fraintendetemi: sarebbe stato meraviglioso se quel sogno si fosse avverato, ma non è mai stata una possibilità probabile e tanto più dato il modo arrogante in cui è stato perseguito. Non sorprende che coloro che hanno creduto e venduto la storia liberale ora vogliono attribuire tutta la colpa al presidente russo Vladimir Putin e affermare che la sua invasione illegale “dimostra” che l’allargamento della NATOnon aveva nulla a che fare con la sua decisione. Altri ora si scagliano scioccamente contro quegli esperti che hanno correttamente previsto dove potrebbe portare la politica occidentale. Questi tentativi di riscrivere la storia sono tipici di un’élite di politica estera che è riluttante ad ammettere errori oa ritenersi responsabile.

Che Putin abbia la responsabilità diretta dell’invasione è fuori discussione, e le sue azioni meritano tutta la condanna che possiamo raccogliere. Ma gli ideologi liberali che hanno respinto le ripetute proteste e avvertimenti della Russia e hanno continuato a promuovere un programma revisionista in Europa con scarsa considerazione per le conseguenze sono tutt’altro che irreprensibili. Le loro motivazioni possono essere state del tutto benevole, ma è evidente che le politiche che hanno adottato hanno prodotto l’opposto di ciò che intendevano, si aspettavano e avevano promesso. E difficilmente possono dire oggi di non essere stati avvertiti in numerose occasioni in passato.

Le teorie liberali che enfatizzano il ruolo delle istituzioni se la cavano un po’ meglio, aiutandoci a comprendere la rapida e straordinariamente unitaria risposta occidentale. La reazione è stata rapida in parte perché gli Stati Uniti ei loro alleati della NATO condividono una serie di valori politici che ora vengono sfidati in modo particolarmente vivido e crudele. Ancora più importante, se istituzioni come la NATO non esistessero e una risposta doveva essere organizzata da zero, è difficile immaginare che sia altrettanto rapida o efficace. Le istituzioni internazionali non possono risolvere conflitti di interesse fondamentali o impedire alle grandi potenze di agire come desiderano, ma possono facilitare risposte collettive più efficaci quando gli interessi statali sono per lo più allineati.

Il realismo può essere la migliore guida generale alla triste situazione che ora dobbiamo affrontare, ma difficilmente ci racconta l’intera storia. Ad esempio, i realisti sottovalutano giustamente il ruolo delle norme come forti vincoli al comportamento delle grandi potenze, ma le norme hanno svolto un ruolo nello spiegare la risposta globale all’invasione della Russia. Putin sta calpestando la maggior parte se non tutte le norme relative all’uso della forza (come quelle contenute nella Carta delle Nazioni Unite), e questo è uno dei motivi per cui i paesi, le società, e individui in gran parte del mondo hanno giudicato le azioni della Russia in modo così duro e hanno risposto in modo così vigoroso. Niente può impedire a un paese di violare le norme globali, ma trasgressioni chiare e palesi influenzeranno invariabilmente il modo in cui le sue intenzioni vengono giudicate dagli altri. Se le forze russe agiranno con ancora maggiore brutalità nelle settimane e nei mesi a venire, gli attuali sforzi per isolarla e ostracizzarla sono destinati ad intensificarsi.

Errata percezione e calcolo errato

È anche impossibile comprendere questi eventi senza considerare il ruolo della percezione errata e dell’errore di calcolo. Le teorie realistiche sono meno utili qui, poiché tendono a ritrarre gli stati come attori più o meno razionali che calcolano freddamente i loro interessi e cercano opportunità invitanti per migliorare la loro posizione relativa. Anche se tale presupposto è per lo più corretto, i governi e i singoli leader operano ancora con informazioni imperfette e possono facilmente giudicare male le proprie capacità e le capacità e le reazioni degli altri. Anche quando le informazioni sono abbondanti, le percezioni e le decisioni possono ancora essere distorte per ragioni psicologiche, culturali o burocratiche. In un mondo incerto pieno di esseri umani imperfetti, ci sono molti modi per sbagliare.

In particolare, la vasta letteratura sull’errata percezione, in particolare il lavoro seminale del defunto Robert Jervis , ha molto da dirci su questa guerra. Ora sembra ovvio che Putin abbia sbagliato i calcoli su diverse dimensioni: ha esagerato l’ostilità occidentale nei confronti della Russia, ha sottovalutato gravemente la determinazione ucraina, ha sopravvalutato la capacità del suo esercito di ottenere una vittoria rapida e senza costi e ha interpretato male la risposta dell’Occidente. La combinazione di paura e sicurezza eccessiva che sembra essere stata all’opera qui è tipica; è quasi scontato dire che gli stati non iniziano le guerre a meno che non si siano convinti di poter raggiungere i loro obiettivi rapidamente e a costi relativamente bassi. Nessuno inizia una guerra che credono sarà lunga, sanguinosa, costosa e che probabilmente finirà con la loro sconfitta. Inoltre, poiché gli esseri umani sono a disagio nell’affrontare i compromessi, c’è una forte tendenza a vedere l’andare in guerra come fattibile una volta che hai deciso che è necessario. Come scrisse una volta Jervis , “quando il decisore arriva a considerare la sua politica come necessaria, è probabile che creda che la politica possa avere successo, anche se una tale conclusione richiede la distorsione delle informazioni su ciò che faranno gli altri”. Questa tendenza può essere aggravata se le voci dissenzienti vengono escluse dal processo decisionale, o perché tutti nel circuito condividono la stessa visione del mondo imperfetta o perché i subordinati non sono disposti a dire ai superiori che potrebbero sbagliarsi.

Teoria del prospetto, che sostiene che gli esseri umani sono più disposti a correre rischi per evitare perdite che per ottenere guadagni, potrebbe aver lavorato anche qui. Se Putin credeva che l’Ucraina si stesse gradualmente allineando con gli Stati Uniti e la NATO – e c’erano ampie ragioni per farlo pensare così – allora prevenire quella che considera una perdita irrecuperabile potrebbe valere un enorme tiro di dadi. Allo stesso modo, anche il pregiudizio di attribuzione – la tendenza a vedere il nostro comportamento come una risposta alle circostanze ma ad attribuire il comportamento degli altri alla loro natura di base – è probabilmente rilevante: molti in Occidente ora interpretano il comportamento russo come un riflesso del carattere sgradevole di Putin e in nessun modo una risposta alle azioni precedenti dell’Occidente. Da parte sua, Putin sembra pensare che le azioni degli Stati Uniti e della NATO derivino da un’arroganza innata e da un desiderio profondamente radicato di mantenere la Russia debole e vulnerabile e che gli ucraini stiano resistendo perché o vengono fuorviati o sono sotto l’influenza di elementi “fascisti”

La fine della guerra e il problema dell’impegno

La moderna teoria IR sottolinea anche il ruolo pervasivo dei problemi di impegno . In un mondo di anarchia, gli stati possono farsi promesse a vicenda ma non possono essere certi che verranno mantenute. Ad esempio, la NATO avrebbe potuto offrire di togliere per sempre l’adesione dell’Ucraina dal tavolo (sebbene non l’abbia mai fatto nelle settimane prima della guerra), ma Putin avrebbe potuto non credere alla NATO anche se Washington e Bruxelles avessero messo quell’impegno per iscritto. I trattati contano, ma alla fine sono solo pezzi di carta.

Inoltre, la letteratura scientifica sulla fine della guerra suggerisce che i problemi di impegno incomberanno ampi anche quando le parti in guerra avranno rivisto le loro aspettative e cercheranno di porre fine ai combattimenti. Se Putin si fosse offerto di ritirarsi dall’Ucraina domani e avesse giurato su una pila di Bibbie ortodosse russe che l’avrebbe lasciato in pace per sempre, poche persone in Ucraina, in Europa o negli Stati Uniti avrebbero preso le sue assicurazioni per valore nominale. E a differenza di alcune guerre civili, dove a volte gli accordi di pace possono essere garantiti da estranei interessati, in questo caso non esiste un potere esterno che possa minacciare in modo credibile di punire i futuri trasgressori di qualsiasi accordo che potrebbe essere raggiunto. A parte la resa incondizionata, qualsiasi accordo per porre fine alla guerra deve lasciare tutte le parti sufficientemente soddisfatte da non sperare segretamente di modificarla o abbandonarla non appena le circostanze saranno più favorevoli. E anche se una parte capitola completamente, imporre una “pace del vincitore” può gettare i semi di un futuro revanscismo. Purtroppo, oggi sembra che siamo molto lontani da qualsiasi tipo di accordo negoziato.

Inoltre, altri studi su questo problema, come il classico di Fred Iklé Every War Must End e Peace at What Price?: Leader Culpability and the Domestic Politics of War Termination di Sarah Croco—evidenziano gli ostacoli interni che rendono difficile porre fine a una guerra. Patriottismo, propaganda, costi irrecuperabili e un odio sempre crescente per il nemico si combinano per inasprire gli atteggiamenti e far andare avanti le guerre molto tempo dopo che uno stato razionale potrebbe fermarsi. Un elemento chiave in questo problema è ciò che Iklé ha chiamato il “tradimento dei falchi”: coloro che sono favorevoli alla fine della guerra sono spesso liquidati come antipatriottici o peggio, ma gli intransigenti che prolungano inutilmente una guerra possono alla fine fare più danni alla nazione che pretendono di difendere. Mi chiedo se c’è una traduzione russa disponibile a Mosca. Applicato all’Ucraina, un’implicazione preoccupante è che un leader che inizia una guerra senza successo potrebbe essere riluttante o incapace di ammettere di aver sbagliato e portarla a termine. Se è così, poi la fine dei combattimenti arriva solo quando emergono nuovi leader che non sono legati alla decisione iniziale per la guerra.

Ma c’è un altro problema: gli autocrati che affrontano la sconfitta e il cambio di regime possono essere tentati di ” giocare per la risurrezione “. I leader democratici che presiedono alle debacle della politica estera possono essere costretti a lasciare l’incarico alle prossime elezioni, ma raramente, se non mai, rischiano la reclusione o peggio per i loro errori o crimini. Gli autocrati, al contrario, non hanno una via d’uscita facile, soprattutto in un mondo in cui hanno motivo di temere il perseguimento penale del dopoguerra per crimini di guerra. Se stanno perdendo, quindi, hanno un incentivo a combattere o intensificare anche di fronte a probabilità schiaccianti, nella speranza di un miracolo che invertirà le loro fortune e risparmierà loro la cacciata, la prigionia o la morte. A volte questo tipo di scommessa dà i suoi frutti (es. Bashar al-Assad), a volte no (es. Adolf Hitler, Muammar al-Gheddafi), ma l’incentivo a continuare a raddoppiare nella speranza di un miracolo può mettere fine a una guerra ancora più difficile di quanto potrebbe essere.

Queste intuizioni ci richiamano ad essere molto, molto attenti a ciò che desideriamo. Il desiderio di punire e persino umiliare Putin è comprensibile, ed è allettante vedere la sua cacciata come una soluzione facile e veloce per l’intero terribile disastro. Ma mettere in un angolo il leader autocratico di uno stato dotato di armi nucleari sarebbe estremamente pericoloso, non importa quanto atroci possano essere state le sue azioni precedenti. Solo per questo motivo, coloro che in Occidente chiedono l’assassinio di Putin o che hanno affermato pubblicamente che i russi comuni dovrebbero essere ritenuti responsabili se non si sollevano e rovesciano Putin sono pericolosamente irresponsabili. Vale la pena ricordare il consiglio di Talleyrand: “Soprattutto, non troppo zelo”.

Sanzioni economiche

Chiunque cerchi di capire come andrà a finire, dovrebbe studiare anche la letteratura sulle sanzioni economiche . Da un lato, le sanzioni finanziarie imposte la scorsa settimana ricordano la straordinaria capacità dell’America di “ armare l’interdipendenza ”, soprattutto quando il Paese agisce di concerto con altre importanti potenze economiche. D’altra parte, una notevole quantità di studi seri mostra che le sanzioni economiche raramente costringono gli stati a cambiare rapidamente rotta. Il fallimento della campagna di “massima pressione” dell’amministrazione Trump contro l’Iran è un altro esempio lampante. Le élite al potere sono in genere isolate dalle conseguenze immediate delle sanzioni e Putin sapeva che le sanzioni sarebbero state imposte e credeva chiaramente che gli interessi geopolitici in gioco valessero il costo previsto. Potrebbe essere stato sorpreso e sconcertato dalla velocità e dalla portata della pressione economica, ma nessuno dovrebbe aspettarsi che Mosca inverta presto la rotta.

Questi esempi non fanno altro che graffiare la superficie di ciò che la borsa di studio IR contemporanea potrebbe contribuire alla nostra comprensione di questi eventi. Non ho menzionato l’enorme letteratura sulla deterrenza e la coercizione, un numero qualsiasi di opere importanti sulle dinamiche dell’escalation orizzontale e verticale , o le intuizioni che si potrebbero ricavare considerando gli elementi culturali (comprese le nozioni di mascolinità e in particolare il culto della personalità maschilista di Putin ”).

La conclusione è che la letteratura scientifica sulle relazioni internazionali ha molto da dire sulla situazione che stiamo affrontando. Sfortunatamente, è probabile che nessuno in una posizione di potere presti molta attenzione ad esso, anche quando accademici esperti offrono i loro pensieri nella sfera pubblica. Il tempo è la merce più scarsa in politica, specialmente durante una crisi, e Jake Sullivan, Antony Blinken e i loro numerosi subordinati non inizieranno a sfogliare i numeri arretrati della Sicurezza internazionale o del Journal of Conflict Resolution per trovare la roba buona.

Anche la guerra ha una sua logica e scatena forze politiche che tendono a soffocare voci alternative, anche in società in cui la libertà di parola e il dibattito aperto rimangono intatti. Poiché la posta in gioco è alta, in tempo di guerra i funzionari pubblici, i media e la cittadinanza dovrebbero impegnarsi al massimo per resistere agli stereotipi, pensare con freddezza e attenzione, evitare iperboli e cliché semplicistici e soprattutto rimanere aperti alla possibilità che possano sbagliarsi e che è necessaria una diversa linea di condotta. Una volta che i proiettili iniziano a volare, tuttavia, ciò che di solito si verifica è un restringimento della vista, una rapida discesa nei modi di pensiero manichei, l’emarginazione o la soppressione delle voci dissenzienti, l’abbandono delle sfumature e un’ostinata attenzione alla vittoria a tutti i costi. Questo processo sembra essere ben avviato all’interno della Russia di Putin, ma una forma più mite è evidente anche in Occidente . Tutto sommato, questa è una ricetta per peggiorare una situazione terribile.

https://foreignpolicy.com/2022/03/08/an-international-relations-theory-guide-to-ukraines-war/

Li Lixing: lo sviluppo dell’economia della piattaforma pone sfide al sistema di servizio pubblico basato su unità

 

Dinamiche simili ma in contesti diversi ed spesso opposti, da una parte emergenti, dall’altra declinanti. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La vita quotidiana delle persone è inseparabile dall’economia della piattaforma: addetti alle consegne di cibo, autisti che salutano le auto online… Varie forme di lavoro a contratto derivate dall’economia della piattaforma vengono sempre più rispettate e riconosciute. Compresi posti di lavoro e imprenditorialità, l’economia della piattaforma sta rimodellando le nostre vite.

Negli ultimi anni, argomenti come “fornitori intrappolati negli algoritmi” hanno suscitato accese discussioni, l’economia della piattaforma ha attirato ancora una volta l’attenzione e le persone sono più preoccupate per la situazione dei gig worker. Pochi giorni fa, “Platform Economy: Innovation, Governance and Prosperity” è stato pubblicato dal Platform Economy Innovation and Governance Research Group dell’Università di Pechino e pubblicato da CITIC Press. Studiosi in diversi campi hanno discusso una serie di questioni importanti nell’economia delle piattaforme e hanno fornito soluzioni mirate e raccomandazioni politiche.

Che ruolo gioca l’economia della piattaforma nell’attuale contesto occupazionale? Quali sono le principali difficoltà che devono affrontare i gig worker?

Concentrandosi su questi temi, la mattina del 27 luglio, Li Lixing, membro del gruppo di ricerca sull’innovazione e la governance economica della piattaforma dell’Università di Pechino, professore presso il National Development Institute dell’Università di Pechino e caporedattore esecutivo della Cina Economic Quarterly International, l’edizione internazionale di “Economics” (trimestrale), è andata all’Observer Network e ha condiviso le sue opinioni.

Rete di osservatori: Buongiorno Professor Li, prima di tutto vorrei chiederle di parlarci dell’attuale contesto occupazionale. E quale ruolo gioca l’economia della piattaforma nel contesto attuale?

Lixing: OK. Penso che si possa dire sotto due aspetti: il primo aspetto è che l’attuale situazione macroeconomica non è molto positiva e la pressione occupazionale è molto alta. Più di 10 milioni di studenti universitari si sono laureati quest’anno e il tasso di disoccupazione tra i giovani è molto alto, un fenomeno che preoccupa molto l’intera società.

Il secondo contesto è il progresso della tecnologia digitale, che ha cambiato la natura di molti lavori. Ora molti lavori sono passati da offline a online; dal servizio di un’impresa o di un’azienda al servizio di più aziende e più aziende contemporaneamente; da lavori fissi a lavoro flessibile. Pertanto, c’è una tendenza ai lavori saltuari e alla flessibilità.

In questo processo, l’economia della piattaforma gioca un ruolo molto importante.

Una “piattaforma” è un’organizzazione tra un’impresa e un mercato. Un tempo era “mercato-impresa”, ma ora è “mercato-piattaforma-impresa”, con la piattaforma che sostituisce parzialmente i ruoli dell’impresa e del mercato . Collega consumatori, imprese, lavoratori e fornitori di servizi ausiliari e collega anche il mercato delle materie prime con il mercato del lavoro. Alcune piattaforme forniscono direttamente occupazione, come piattaforme online di car-hailing e da asporto; alcune piattaforme possono stimolare indirettamente l’occupazione, come piattaforme di e-commerce, piattaforme di trasmissione in diretta e piattaforme di crowdsourcing.

Per riassumere, l’economia della piattaforma è ora un punto di partenza importante per promuovere e stabilizzare l’occupazione.

Observer.com: Quale impatto avrà la forma occupazionale dei “gig worker” sulla struttura del nostro mercato del lavoro?

Li Lixing: Possiamo esaminare diverse statistiche.

Secondo il National Bureau of Statistics, entro la fine del 2021 ci sono 200 milioni di persone con un’occupazione flessibile in Cina; le statistiche dello State Information Center mostrano che ci sono circa 84 milioni di fornitori di servizi e circa 6,31 milioni di dipendenti di piattaforme nell’economia collaborativa cinese. Secondo il “Rapporto sullo sviluppo dell’occupazione flessibile” pubblicato dall’università, il 61% delle imprese cinesi utilizza un’occupazione flessibile e la scala dell’occupazione flessibile è di circa 100 milioni.

Nel 2020, ci sono circa 84 milioni di fornitori di servizi di sharing economy nel mio paese e circa 6,31 milioni di dipendenti nelle imprese con piattaforma

 Fonte: Rapporto sullo sviluppo dell’economia condivisa in Cina (2021)

Le statistiche sono leggermente diverse perché non esiste ancora una misura chiara. Ma in breve, possiamo vedere che 100-200 milioni di persone ora utilizzano metodi di lavoro flessibili, il che è un grande cambiamento.

Ora il concetto di “lavoro flessibile” è relativamente ampio, include una varietà di situazioni e include anche alcuni “disoccupati” in senso tradizionale. Con così tante persone che lavorano in modo flessibile, è probabile che la percentuale continui ad aumentare e l’impatto sul mercato del lavoro è enorme.

Observer.com: avrà un impatto maggiore sul mercato del lavoro cinese rispetto ad altri paesi?

Li Lixing: Penso che questo sia generalmente il caso. Da un lato, la tecnologia digitale cinese sta progredendo molto rapidamente; dall’altro, la Cina ha una popolazione numerosa e le sue industrie sono principalmente ad alta intensità di manodopera, quindi l’occupazione sarà fortemente influenzata dall’economia delle piattaforme.

Una caratteristica importante dei paesi in via di sviluppo è che c’è molto del cosiddetto “lavoro informale”. In precedenza è stato affermato che l’occupazione informale verrà formalizzata con lo sviluppo dell’economia. Ma ora potrebbe non sembrare probabile. Dopo che l’economia di un paese è stata fortemente sviluppata, molti posti di lavoro continueranno ad adottare un approccio flessibile. In senso tradizionale, è probabile che in futuro il “lavoro informale” diventi la norma.

Se la Cina viene confrontata con altri paesi a basso reddito, il loro mercato del lavoro potrebbe essere maggiormente influenzato dal “lavoro a contratto”. Ma se viene confrontato con i paesi sviluppati, l’impatto su di noi è ovviamente più forte in profondità e in ampiezza.

Observer.com: Ci sono opinioni secondo cui la perdita dei posti di lavoro tradizionali, il calo della quota del reddito da lavoro, compreso l’allargamento del divario di reddito tra aree e regioni urbane e rurali… Questi problemi sono legati all’ascesa dell’economia delle piattaforme. Cosa ne pensi?

Li Lixing: Questi sono fenomeni molto importanti, non esclusivi della Cina, stanno accadendo in tutto il mondo. Penso che la relazione tra loro e l’ascesa dell’economia della piattaforma sia più una correlazione, non necessariamente una relazione causale. Potrebbero esserci ragioni più profonde dietro questo, che necessitano di ulteriori discussioni.

Non esiste un unico modo in cui funziona l’economia della piattaforma. Può anche ridurre le barriere all’occupazione, responsabilizzare i gruppi svantaggiati, aumentare i redditi di coloro che hanno redditi più bassi e promuovere ulteriormente la diversificazione dei consumatori. Tutto ciò è possibile per promuovere la giustizia sociale e la prosperità comune.

A mio avviso, la scomparsa dei lavori tradizionali è un tipico modo in cui il progresso tecnologico porta a “occupazioni ad alta efficienza in sostituzione di quelle a bassa efficienza”, così come l’auto sostituisce la carrozza, così l’automobilista sostituisce il cocchiere. Grazie alla tecnologia digitale, i posti di lavoro creati dall’economia della piattaforma sono generalmente più efficienti dei vecchi lavori che sostituiscono.

In senso economico, non c’è differenza tra “la riqualificazione industriale richiede nuovi posti di lavoro” e “le piattaforme coltivano abitudini di consumo e creano nuovi posti di lavoro”. A volte può sembrare “l’offerta crea domanda”, ma in sostanza l’innovazione soddisfa la domanda latente.

Le ragioni alla base del calo della quota del reddito da lavoro sono complesse: un motivo importante è considerato l’uso diffuso dei robot, causato anche dal progresso tecnologico, come l’allargamento del divario retributivo urbano-rurale e l’allargamento divari di reddito regionali, sono tutti fattori di agglomerato industriale e di sviluppo economico urbano, risultato inevitabile.

Observer.com: Alcuni giovani “preferirebbero consegnare il cibo piuttosto che andare a lavorare in fabbrica”. Che messaggio trasmette questo?

Li Lixing: Uno è il cambiamento nelle preferenze dei giovani. Preferiscono un modo di lavorare libero e flessibile, piuttosto che ripetere lo stesso lavoro su una catena di montaggio, anche se è più difficile. In secondo luogo, la lenta crescita dei salari di fabbrica li rende poco attraenti. Ciò riflette anche che la struttura industriale sta affrontando un miglioramento, così come la pressione dell’aumento dei costi di produzione nel mio paese, nonché la possibilità di trasferimento all’estero.

Observer.com: L’economia delle piattaforme è in piena espansione, quali cambiamenti ha apportato alle piccole, medie e micro imprese?

Li Lixing: l’economia della piattaforma può portare a importanti cambiamenti nella struttura organizzativa delle imprese.

Ad esempio, un’azienda può esternalizzare per assumere dipendenti, condurre attività di ricerca e sviluppo e gestire la catena di approvvigionamento, quindi invece di mantenere una forza lavoro fissa molto ampia, può assumere il reclutamento di gig, come nel caso del settore della ristorazione. molto tipico, e ora le aziende di catering fondamentalmente non hanno bisogno di creare i propri piatti da asporto.

Molte attività di ricerca e sviluppo e di gestione della catena di approvvigionamento sono ora sul cloud. I servizi cloud alla moda come “Software-as-a-Service” (Saas, Software-as-a-Service) possono coprire più piccole e medie imprese, rendendole piatte, e le “grandi imprese” possono anche diventare “piccole imprese” “.impresa”.

Questo è ciò che di solito chiamiamo la trasformazione digitale delle imprese. Sfide e opportunità coesistono.

L’economia della piattaforma: innovazione, governance e prosperità

Scritto dal Platform Economy Innovation and Governance Research Group dell’Università di Pechino; a cura di Huang Yiping

Editoria CITIC

Nel mondo del lavoro, una sfida importante è il cambiamento del rapporto di lavoro.

Si è rivelato essere un lavoro fisso, le imprese pagano la previdenza sociale per i dipendenti, i dipendenti servono solo questa impresa e c’è uno stato di lealtà e fiducia reciproche in essa. Ora ci sono vari metodi di lavoro come l’outsourcing e i lavori saltuari.Come mantenere la lealtà e la fiducia reciproca dei dipendenti, come fornire ai dipendenti sicurezza e vantaggi e come affrontare i problemi di formazione dei dipendenti potrebbero essere nuove sfide.

Observer Network: quale impatto avrà la serie di cambiamenti apportati dall’economia della piattaforma sulla nostra attuale imprenditorialità? Ridefinirà il panorama imprenditoriale cinese?

Li Lixing: il lavoro viene assunto da altri e avviare un’impresa è un lavoro autonomo. Si è scoperto che sembravano essere due estremi, ma ora molte piattaforme di lavoro si trovano tra i due e non sono più “né assunte da altri né assunte da te”.

Da un lato l’imprenditore non è più completamente alle dipendenze di altri, può servire una certa piattaforma, ma ha una forte autonomia, dall’altro molte cose si realizzano attraverso la piattaforma e la natura dell’imprenditorialità cambia a sua volta. .

Al giorno d’oggi, molte persone avviano un’attività in proprio. Non partono da zero per formare aziende, reclutare talenti, acquistare attrezzature e quindi avviare la produzione e l’attività. È più probabile che gli imprenditori si registrino sulla piattaforma per prendere ordini, utilizzino la piattaforma per reclutare lavoratori dispari e esternalizzare alcuni servizi attraverso la piattaforma… Molti sono un’imprenditorialità basata su piattaforma, che potrebbe richiedere un cambiamento nella definizione tradizionale di imprenditorialità.

Combinando imprenditorialità e occupazione, le forme occupazionali dei lavoratori formano una mappa molto ricca. Sotto l’azione dell’economia della piattaforma, questa mappa diventerà sempre più abbondante. Le persone possono scegliere un’occupazione a unità fissa, possono scegliere di avviare un’impresa in modo completo e indipendente, possono anche fare affidamento su piattaforme per avviare attività e possono anche fare affidamento su piattaforme per svolgere lavori saltuari… In breve, le scelte diventeranno più diversificate .

Observer.com: Su questa base, l’economia della piattaforma può svolgere un ruolo nella riduzione dei rischi imprenditoriali?

Li Lixing: Ci sono due importanti meccanismi coinvolti.

Nel primo aspetto, il rischio di avviare un’impresa in passato era molto alto: scegliere di avviare un’impresa significa rinunciare a ogni tipo di opportunità, e può andare in bancarotta dopo il fallimento. Ora, dopo il fallimento dell’avvio di un’impresa, gli imprenditori possono facilmente trovare un lavoro part-time e ottenere la sicurezza del reddito di base. Ad esempio, negli ultimi due anni dell’epidemia, molti ex imprenditori ora guidano auto-grandine online. La forma di gig work derivata dall’economia della piattaforma fornisce agli imprenditori una rete di sicurezza del reddito di base.

Da questo aspetto, l’economia della piattaforma può alleviare le preoccupazioni degli imprenditori e promuovere l’imprenditorialità. Certo, abbiamo anche parlato poco fa che molte persone potrebbero decidere di non avviare un’attività in proprio, ma affidarsi alla piattaforma per trovare un lavoro meno autonomo. Pertanto, l’impatto dell’economia della piattaforma sull’imprenditorialità richiede un’analisi specifica di questioni specifiche, che variano da settore a regione.

Observer.com: La forma di lavoro del “lavoro da concerto”, che è ciò che chiamiamo “lavoro su richiesta basato su applicazioni”, come autisti online, autisti da asporto e autisti. Questi lavoratori sono tra piattaforme e consumatori, tra algoritmi e natura umana, quali pensi siano le loro maggiori difficoltà?

Li Lixing: i lavoratori e i datori di lavoro avevano un rapporto contrattuale. I diritti, gli obblighi e i meccanismi di incentivazione di entrambe le parti sono generalmente relativamente chiari. Ma gli algoritmi sono spesso nascosti e alla fine sono apparse nella società frasi come “rider intrappolati dagli algoritmi” – i gig worker non capiscono gli algoritmi, ma per guadagnare di più devono seguire la progettazione degli algoritmi che entrano in funzione.

Gli algoritmi non hanno “natura umana” – possono essere stati progettati con una visione per migliorare l’efficienza, ma non sono sufficientemente flessibili. Gli algoritmi delle piattaforme di grandi dimensioni sono generalmente le risorse principali dell’azienda e di solito non apportano modifiche sostanziali. I gig worker intrappolati negli algoritmi, sono ignari del fatto che potrebbero essere oberati di lavoro o eccessivamente motivati : questo è un problema complesso e coinvolge anche questioni come l’etica degli algoritmi.

Da un punto di vista pratico, la più grande difficoltà per i lavoratori occasionali come i conducenti, i fattorini e gli autisti online è nell’ottenere vantaggi e garanzie. Ci sono ora più segnalazioni, come la difficoltà di chiedere un risarcimento dopo un incidente stradale di un pilota, la ragione essenziale alla base di ciò è il “cambiamento del rapporto di lavoro” di cui abbiamo parlato poco fa.

Per i lavoratori, il nostro paese utilizzava originariamente la “dicotomia del lavoro”, che corrisponde a una domanda del genere: sei un dipendente a tempo pieno o un fornitore di servizi indipendente? Il “lavoratore a tempo pieno” è un modello di occupazione basato su unità, che paga cinque assicurazioni sociali e un fondo per l’edilizia abitativa e fornisce servizi pubblici, compresa la formazione professionale attraverso il datore di lavoro.

Con lo sviluppo dell’economia della piattaforma, l’occupazione è diventata più flessibile e part-time e molte persone non hanno un’unità di lavoro fissa, il che significa che le tradizionali cinque assicurazioni e un fondo per la casa e i servizi pubblici statali, compresa la formazione, non sono disponibili ai lavoratori da goderne in modo equo. Lo riassumo così: il sistema di servizio pubblico unitario originario ha incontrato sfide fondamentali poste dalla nuova forma di impiego che non è unitaria.

Questa sfida può essere paragonata alla sfida al sistema dei servizi pubblici provocata dalla migrazione di centinaia di milioni di lavoratori migranti verso le città. I lavoratori migranti che entrano in città fanno fluttuare la popolazione. La registrazione del nucleo familiare e la residenza permanente della popolazione fluttuante sono separate. Con il sistema di servizio pubblico originale, puoi usufruire di servizi pubblici nell’area di registrazione del nucleo familiare, come il rimborso dell’assicurazione medica e la pensione nel tuo paese di origine… Ma potresti non essere in grado di goderne nella tua residenza permanente.

Forse questo può essere paragonato alla situazione attuale: nel contesto dell’economia delle piattaforme, il lavoro flessibile continua a svilupparsi, ma il sistema dei servizi pubblici è ancora per il momento basato sul lavoro fisso.

Quando il processo lavorativo diventa frammentato, le persone diventano multiruolo e il rapporto di lavoro non è più fisso, anche la modalità di gestione dovrebbe essere modificata di conseguenza per adattarsi a questa tendenza di flessibilità, frammentazione e frammentazione. A mio avviso, il sistema di servizio pubblico, come cinque assicurazioni sociali e un fondo per la casa e l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, dovrebbe subire alcune modifiche di conseguenza.

Rete di osservatori: puoi parlare delle tue proposte politiche?

Li Lixing: Stiamo parlando più di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro era originariamente inclusa nelle cinque assicurazioni sociali e in un fondo per gli alloggi, che non possono essere pagati separatamente. Il pagamento complessivo di cinque assicurazioni e un fondo per l’edilizia abitativa è molto alto, che può rappresentare il 30%-40% del costo del lavoro di un lavoratore.

Per i lavoratori dei concerti come i rider da asporto, ciò di cui hanno più urgente bisogno è un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ora c’è una politica pilota e la cosa più urgente viene risolta prima: consentire ai lavoratori di pagare l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro separatamente nel Guangdong e in altri luoghi, in modo che i lavoratori della gig possano ottenere la protezione dagli infortuni sul lavoro in modo più economico. Questo è un buon progresso.

La provincia del Guangdong ha emesso un documento nel 2021 per chiarire che i dipendenti specifici che non hanno rapporti di lavoro non sono tenuti a partecipare a cinque assicurazioni sociali contemporaneamente. Possono partecipare all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro individualmente dai loro datori di lavoro in base al principio ” volontario”, e il loro personale assicurato ha diritto alle prestazioni assicurative contro gli infortuni sul lavoro secondo la normativa.

Allo stato attuale, le politiche esistenti hanno citato e incoraggiato le azioni pilota tra cui: attuazione del sistema del salario minimo e del sistema di garanzia di pagamento, miglioramento del sistema del riposo, attuazione del sistema di responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro, rafforzamento della protezione contro gli infortuni sul lavoro, revisione del cottimo e tasso di commissione, ecc. Inoltre, la città di Nanchang ha anche stabilito la prima unione economica del paese. Anche le associazioni del settore della piattaforma e i sindacati dei gig possono svolgere un ruolo attivo nella promozione dell’autodisciplina del settore e della negoziazione dei diritti del lavoro.

Suggerisco inoltre che possano essere stabiliti diversi livelli di protezione assicurativa e che i lavoratori possano scegliere di partecipare volontariamente. Allo stesso tempo, è possibile creare un conto di sicurezza personale completo, i lavori occasionali vengono pagati secondo l’ordine e i fondi del conto vengono utilizzati per pagare varie garanzie assicurative per fornire una migliore protezione ai gig-lavoratori.

A lungo termine, ciò potrebbe eventualmente comportare anche la questione dell’assicurazione pensionistica. L’assicurazione della dotazione riguarda le pensioni e i datori di lavoro e i dipendenti pagano le pensioni separatamente, che insieme rappresentano oltre il 20% del costo del lavoro. Con la tendenza al lavoro flessibile si pone la questione di “chi paga la pensione”, che potrebbe richiedere l’apertura di nuove strade.

Poiché ora stiamo parlando di conti personali, dobbiamo renderlo reale e rendere portatili e portabili i conti pensionistici personali delle persone. L’occupazione dei lavoratori è mobile e flessibile, non è solo per un’impresa specifica e potrebbe anche non essere nella stessa città. A tal fine, potrebbe essere necessario progettare alcuni sistemi contributivi assicurativi pensionistici più adatti a un’occupazione flessibile e mobile. Ad esempio, se puoi fare un’impresa, accettare un lavoro e la retribuzione corrispondente può riflettere quale parte viene utilizzata per pagare la pensione? Questa potrebbe essere una direzione per le future riforme.

(Breve introduzione dell’intervistato: Li Lixing, professoressa di economia alla National School of Development dell’Università di Pechino, direttrice del China Public Finance Research Center dell’Università di Pechino, ed executive editor di China Economic Quarterly International, l’edizione internazionale di “Economia ” (trimestrale). Gli interessi di ricerca comprendono l’economia dello sviluppo, il capitale umano, la finanza pubblica, l’economia politica, l’economia urbana, ecc.)

https://m.guancha.cn/lilixing/2022_08_04_652241.shtml

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 6a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la sesta di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, nella sua terza parte è disponibile a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

SESTA PUNTATA STATO DELLE COSE

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