DAL POSSESSO DEI MEZZI DI PRODUZIONE AL CONTROLLO DEI MEZZI DELL’INTENZIONE, di Pierluigi Fagan

DAL POSSESSO DEI MEZZI DI PRODUZIONE AL CONTROLLO DEI MEZZI DELL’INTENZIONE. Una delle parzialità che coglie gli studiosi dei processi storici, è data dal concetto e dal campo categoriale che applicano a premessa della loro ricerca. Il concetto di “capitalismo”, un concetto di un sociologo tedesco dei primi del Novecento, W. Sombart e non di Marx come invece molti credono, è un concetto che taglia la realtà con una categoria socioeconomica. Ma i fatti socioeconomici accadono negli Stati e nelle relative nazioni. Come nella neurologia visiva ci sono sistemi neurali che colgono solo le forme orizzontali o solo le verticali o solo le fisse o solo il movimento etc. ma poi tutti assieme danno la visione umana, così la nostra conoscenza del mondo dovrebbe forse scalare queste gabbie categoriali e produrre sintesi di più alto livello. Quanto al “capitalismo”, ad esempio, non è un caso che quello veneziano o genovese fossero diversi tra loro e da quello olandese che poi risulterà diverso da quello anglo-britannico, che poi risulterà diverso da quello americano e questo poi nella sua versione primo o secondo Novecento. Forme, demografia, localizzazione e morfologia, dotazioni di materie prime o energia o ricchezza finanziaria, livelli di conoscenza, mentalità, tradizioni, obiettivi geostrategici dei vari attori stato-nazionali, modificano la semplice categoria socioeconomica che non declinata e contestualizzata rischia di diventare molto astratta. Così l’analisi critica continua a leggere la realtà passando dal generico capitalismo all’altrettanto generico neoliberismo come se la struttura del mondo nascesse dalle teorie economiche.
Quanto il termine medio dello stato e relativa nazione pesi nell’argomento, lo si nota oggi in diretta. Economisti e sociologi derivati da conoscenze molto settoriali, stanno scoprendo che la logica del principale operatore capitalistico coordinato ed intenzionato ovvero gli Stati Uniti d’America, oggi si preoccupa di difendere il proprio status geopolitico più che solo quello economico, ciò dato che è a loro noto che è da questo che deriva lo status economico e finanziario e non certo il contrario. Per ogni attore della prima citata sequenza storica del “capitalismo” quale indagata da Braudel ed Arrighi più e meglio di altri, si può rinvenire come gli interessi geopolitici della potenza hanno incanalato il processo di sviluppo della propria versione di capitalismo.
Passiamo così a segnalare un movimento di intenzioni della nostra principale potenza planetaria, gli Stati Uniti d’America. Conosciamo la svolta neolib-global-politico culturale imposta al mondo occidentale dai primi anni ’80. Reagan e Thatcher erano anglosassoni, il globalismo veniva dall’interesse americano espresso nel Washington consensus, la partizione conservatori (destra) progressismo (secondo questa cultura: “sinistra”) è tradizione fondante il sistema politico inglese-britannico-americano, quindi anglosassone (tory-whig/rep-dem). Dato il collasso sovietico, la “sinistra” euro-occidentale ovvero quella che ha genetica culturale in Marx, è entrata in una crisi ontologica poiché ancorché l’albero di sinistra aveva molte fronde lontane dalle radici, in senso di immagine di mondo un ramo è pur sempre un di cui del sistema “albero-radici”.
Piano-piano, ed oggi in maniera conclamata, s’è politicamente imposta la partizione conservatori – progressisti anche all’Europa occidentale. L’estensione egemonica culturale è stata pervasiva, dall’accademia alla cultura pop. La cattura egemonica anglosassone dell’Europa occidentale, anche usando l’Europa orientale a cui gli euro-occidentali sono sensibili per semplici ragioni di ovvia geografia ancorché le due parti abbiamo storie radicalmente diverse, è giunta al suo pieno compimento con la guerra in Ucraina. Attivato il trappolone ed invitato la Russia a farsi odioso nemico conclamato (ma i russi non avevano strategicamente altra opzione), gli USA possono oggi contare su un quasi perfetto allineamento strategico. Qualcosa di simile stanno cercando di replicare nel Pacifico usando il pericolo del c.d. “espansionismo cinese”.
Alla fine, gli Stati Uniti presiederanno un sistema che avrà un secondo livello basato sulla fratellanza anglosassone (Canada, Australia, Nuova Zelanda). A questo nucleo sarà collegato il sottosistema europeo occidentale sempre disarticolato dal “divide et impera” e messo anche sottopressione in vari modi, tra cui utilizzando la problematica parte orientale (balto-polacca-slava-danubiana). Negata come inesistente la minaccia di voler far entrare l’Ucraina della NATO all’inizio del conflitto, sia Stoltenberg che Draghi al MIT hanno iniziato il processo di abituazione sull’inevitabilità della cosa. Parallelamente, sospese tutte le procedure di selezione in passato strette e rigide, Ucraina, Georgia, Moldavia entreranno di gran carriera nell’UE. Non è possibile rinvenire alcuna logica economica in questo allargamento, infatti, la logica non è economica, ma geopolitica e non certo per interesse europeo. La nuova postura americana prevede di replicare un sistema simile, a base di alleanza soprattutto militare, ma anche cultural-tecnologica, in area asiatico-pacifica.
Con ciò, gli strateghi americani hanno pensato di risolvere il problema dell’annunciata transizione al mondo multipolare, destino ineluttabile per semplici ragioni di dinamica demografico-storica. Poiché qui da noi si fa spesso più analisi e critica info-culturale che fattuale, a molti sembra che “multipolare” sia una sorta di ideologia a piacere (o dispiacere, dipende dai punti di vista). Ma prima di esser vestita di ideologia, la cosa è un semplice fatto. Semplicemente, non è in altro modo possibile immaginare il funzionamento di una umanità a 8, prossimi 10 miliardi di individui segmentati in “n” civiltà e 200 stati, di cui molti accedono di recente e per la prima volta alle funzioni ordinatrici e di sviluppo dell’economia moderna che molti chiamano capitalismo, (illuminandone un aspetto che però non è l’unico ovvero l’accumulazione di capitale). Gli strateghi americani sono assai meno sprovveduti di quanto gli sprovveduti tendano a ritenere proiettando la propria sprovvedutezza a standard universale. Che il mondo andasse irreversibilmente verso un destino multipolare è noto da almeno venti anni, se non trenta. Se questo è il gioco, gli Stati Uniti hanno implementato una complessa strategia di costruzione sistemica, per presentarsi al tavolo di gioco con la maggior potenza, diretta ed indiretta, sotto il dominio di una unica intenzione coordinata.
Ma poiché questo nuovo sistema occidentale-orientale a base di democrazie ordinate dal mercato ed un mercato dominato dalle intenzioni e convenienze americane, ha pur sempre le proprie fragilità e contraddizioni interne e poiché l’economia e la finanza rimangono negli intenti l’ordinatore di questo tipo di società, c’è da scrutare che idee hanno oltreatlantico in merito a questo specifico campo.
L’idea principale sembra originare dai tempi della IIWW, quando gli americani cominciano a pensare a nuove tecnologie più complesse ed al destino del mondo con loro a capo. La Cibernetica (1948) deriva da uno scienziato, che era stato chiamato a risolvere il problema delle retroazioni nei sistemi di puntamento e lancio (sistemi missili-radar britannici alle prese coi V2 tedeschi). Lo stesso anno, altri due scienziati formalizzavano la Teoria dell’informazione (1948) le cui radici risalivano a sviluppi anche precedenti. Messe a sistema queste conoscenze sotto l’egida del governo e delle forze armate americane (tra cui la Marina finanziatrice del progetto di von Neumann di realizzare il primo computer su logica di Turing e poi promotrice anche della prima rete da cui origina Internet), sono l’unica invenzione significativa della seconda metà del ‘900, il campo detto dell’Information Communication Technology.
Oggi si parla e discute molto di A.I.. Ma l’operazione strategica più rilevante è più ampia ed è sussunta nell’acronimo NBIC, il cui intento strategico venne pubblicizzato venti anni dalla prima istituzione scientifica americana la National Science Foundation assieme al Dipartimento al Commercio USA. Anche a dire quanta poca informazione derivi dall’inquadrare il capitalismo come impresa di individui bramosi di profitto, non notando quanta istituzione si mobiliti per curarne le necessarie condizioni di possibilità. Tra l’altro, con certe chiavi di analisi sfugge il livello strategico che si muove sempre con ampio anticipo facendo piani e progetti poi promossi con la potenza di vario livello, cose che porta poi alcuni ingenui risvegliati dell’ultima ora a scambiare per “complotti”. Il “pianificare nel tempo” si chiama strategia, non complotto. Davos risponde a Washington non il contrario.
Ad ogni modo, il NBIC è un progetto di sviluppo parallelo e poi convergente lungo gli assi delle nanotecnologie, delle biotecnologie, di tutto ciò che funzione a base di informazione (secondo la teoria matematica non secondo il mondo dei media comunque arruolato per la sua funzione di propaganda) ed il grande mondo della cognizione umana, cervello-mente-corpo. Le nanotecnologie ( N) sono necessarie a nuove biotecnologie (B) funzionanti secondo i principi della teoria dell’informazione (I) ed hanno come fine il corpo e soprattutto la mente umana, la cognizione (C).
Da qui il perno del conflitto tra USA e Cina che parte da Taiwan oggi leader e di gran lunga nello sviluppo e produzione dell’unità base dell’impero informativo ovvero i semiconduttori, le leggi di Biden per proteggere e promuovere il “reshoring” di tutte le imprese che trattano questi campi (mentre in Europa ci sono ancora gli ingenui credenti della mano invisibile), la cattura egemonica euro-pacifica per formare il primo giocatore di multipla potenza del gioco multipolare, l’obiettivo di integrare il problema dei mezzi di produzione e financo di quelli monetari-finanziari per assicurarsi il controllo diretto dell’intenzionalità dell’unità fondamentale degli ordini sociali, politici, geopolitici, culturali, economici e finanziari: il corpo e la mente umana.
Che tutto ciò basterà magari con accanto un po’ di pittura verde e briciole di keynesismo di guerra a tenere in piedi l’ordine sociale economico è improbabile, per questo si rende necessario lo sforzo per il controllo delle intenzioni e delle mentalità umane, per adattarle alla inevitabile contrazione.
Così, gli Stati Uniti pensano di poter affrontare il XXI secolo, essere il principale soggetto geopolitico intenzionale in grado, all’interno della sua più ampia forma sistemica, di controllare il motore dell’intenzione umana: il singolo corpo-mente. Basterà?

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 Il demone nella sacra narrazione dell’America, di MICHAEL VLAHOS A cura di Roberto Buffagni

Il bellissimo saggio di Michael Vlahos, studioso di storia militare, strategia, antropologia, che qui traduciamo e pubblichiamo, rischiara uno degli aspetti più enigmatici della presente svolta storica. In questo scritto, con il suo ricchissimo corredo di note, Vlahos indaga le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi trent’anni dalla potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America; e le cerca dove è meno facile scorgerle: nel mito fondativo americano, nella religione civile d’America, nei moventi più profondi e meno consapevoli della psiche americana.

Ne raccomando l’attenta e paziente lettura, e suggerisco al lettore di dedicare tempo anche ai numerosi rinvii ai testi citati in nota, spesso illuminanti. È tempo ben speso. Buona lettura.

Roberto Buffagni

 

 

 Il demone nella sacra narrazione dell’America

L’America è una religione infiammata da un’apocalisse eternamente ricorrente, e la guerra è il suo rituale di purificazione.[1]

 

di MICHAEL VLAHOS[2], 3 giugno 2023

 

 

L’America è una religione. Il 4 luglio 1776, gli Stati Uniti furono battezzati con queste parole: “Ci impegniamo reciprocamente con le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore“. Con questo giuramento[3], una nazione è nata e ha inaugurato il mito del suo ingresso nel divenire storico. Però, i Fondatori – i nostri “creatori” – hanno immaginato più di una nazione. Hanno anche abbozzato l’arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, e designato gli Stati Uniti come il culmine (futuro) della Storia.

Questa è la sacra narrazione dell’America. Sin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno perseguito, con ardente fervore religioso, una superiore vocazione a redimere l’umanità, punire i malvagi e battezzare l’Età dell’Oro sulla terra. Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste[4], l’America si è costantemente attenuta alla sua originale visione della propria missione divina quale “Nuovo Israele di Dio”[5]. Mentre le narrazioni mitiche delle altre grandi potenze erano crudelmente egocentriche, la Scrittura americana era – e rimane tuttora – “Servire l’Uomo”[6].

Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla Modernità, gli Stati Uniti si dichiarano, nella loro stessa Scrittura, il precursore e l’apripista dell’Umanità. L’America è la nazione eccezionale, l’unica, la pura di cuore, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli umiliati e oppressi: L'”ultima, la migliore speranza della Terra”[7].

Questo è il catechismo della Religione Civile Americana[8]. Agli occhi del mondo, tutto questo può sembrare un vano rituale di autoglorificazione, eppure la Religione Civile è l’articolo di fede nazionale degli americani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso ciò che gli americani considerano la Storia. Eppure questa visione della storia è meglio compresa se la si intende come un corpus di letteratura sacra, per molti versi paragonabile all’Islam.

Al posto del Corano, l’America ha la sua Dichiarazione di Indipendenza e la sua Costituzione. Al posto della Sira (السيرة النبوية), degli Hadith (حديث) e dei Tafsir (تفسير), l’America ha i Federalist Papers, le omelie presidenziali a partire dal Discorso di addio di Washington[9], e le tradizioni, le storie e i detti dei Fondatori, fino alle interpretazioni moderne offerte dai “grandi americani” che si sono succeduti. Invece del Fiqh (فقه) e del suo sistema di Madhhab (مذهب), l’America ha le sue scuole di giurisprudenza che interpretano e traducono – in una sorta di Ijtihad (اجتهاد) – le sue scritture nel corretto “modo di agire” (cfr. Madhhab).

Oggi possiamo davvero comprendere il pensiero e l’azione americani solo attraverso la lente della religione. L’America è infatti una religione intransigente come l’Islam[10]. Per esempio, si può pensare che agli americani manchi la Shahada (ٱلشَّهَادَةُ), o “la testimonianza” della fede, ma non è passato molto tempo da quando gli studenti di tutte le scuole pubbliche americane recitavano quotidianamente il Pledge of Allegiance (“il giuramento”). Non solo l’inno nazionale americano è un puro inno sacro, ma le sue parole sacre – Libertà e Democrazia – sono cantate ritualmente dal suo popolo proprio come ʾIn shāʾ Allāh dai musulmani.

La nostra letteratura sacra definisce chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, e, come per la Ummah islamica (أُمّة), costituisce l’alveo del nostro Io nazionale. Inoltre, come l’Islam, anche la missione dell’America è “giustamente” guidata, e sarà compiuta solo quando tutta l’umanità sarà riunita nel suo abbraccio “democratico”. Proprio come il Dar-al-Islam, nel suo periodo di massimo splendore, spingeva incessantemente per una comunità globale “con il fuoco e la spada”, gli Stati Uniti hanno perseguito un universalismo non meno incessante nel loro secolo di apogeo.

 

La nostra letteratura sacra definisce l’identità americana come un grande arco narrativo, donato da Dio, che si realizza attraverso una serie ricorrente di storie che illustrano epifanie del sacro continuamente ascendenti: un ciclo storico di lotte estatiche che danno forma al mitico passaggio verso l’inverarsi storico dell’America, e che culminano in un’apocalisse – “rivelazione” o “svelamento” (in greco antico apokálupsis). All’interno di questi cicli apocalittici, il significato nascosto dell’arco narrativo sacro americano si rivela solo attraverso la realizzazione della democrazia universale. Come l’Islam, anche la religione americana culmina in un’apocalisse[11].

Come tale, l’arco narrativo americano può realizzarsi solo attraverso la battaglia. Ogni “momento culminante” nella narrazione sacra americana è stato realizzato attraverso il sacrificio reciproco e il potere trascendentale della vittoria in battaglia. Dal momento della sua fondazione a oggi, la guerra è stata l’incudine dell’America, e nel sangue essa è stata divinamente temprata[12].

Non solo ogni grande guerra americana è considerata un punto di riferimento per il progresso verso un Graal millenaristico, ma ogni generazione americana è stata incoraggiata a spostare in avanti il metro di misura dell’avanzamento. Anche se non tutte le lotte sono state coronate da successo, ogni spinta ha costituito un trampolino di lancio per il prossimo grande passo. La narrazione sacra americana è così onnipresente e onnipotente che, in oltre 250 anni, non c’è stata alcuna pausa storica significativa nell’inflessibile spinta americana verso la Jihad.

La narrazione sacra governa gli americani: governa ciò che pensano, dicono e fanno. La domanda è: chi controlla questa narrazione sacra? Naturalmente, il Vangelo americano è una creazione del popolo americano. Per quanto crediamo – anche se spesso in senso figurato – alla sua ispirazione divina, la “buona novella” dell’America è una nostra creazione. E proprio come per la Costituzione, in teoria abbiamo il potere di emendarla. Tuttavia, dato che l’imperativo dell’esegesi è scolpito nelle tavolette di Ur della religione civile americana, il settarismo diventa inevitabile.

La religione civile americana è inestricabilmente legata alla Riforma, al cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del protestantesimo, con la narrazione sacra dell’America plasmata e battezzata attraverso il primo e il secondo Grande Risveglio del Paese. Sebbene la sua lettura scritturale sia divenuta laica nell’era del Progresso, la religione americana è rimasta legata alle sue radici formative. Infatti, anche la nostra contemporanea “Chiesa di Woke”[13] non può sfuggire alle sue origini cristiane calviniste.

Più volte nella storia americana, sette autoctone hanno cercato di “revisionare” la narrazione sacra, forse addirittura trasfigurandola. Per di più – dato il messianismo jihadista che fa da cornice alle Scritture nazionali americane – questo percorso revisionista deve passare attraverso la valle di lacrime dell’effusione di sangue fraterno e delle guerre civili.

L’apocalisse che porta il Millennio promesso all’umanità deve necessariamente riflettere l’anelito apocalittico del Vangelo americano: se siamo caduti nella corruzione, dobbiamo essere purificati e resi di nuovo degni di agire come Redentore del Mondo. Per i suoi peccati, una narrazione sacra corrotta non può trovare espiazione. Semmai, un Nuovo Testamento inossidabile deve sostituire il Vecchio Testamento arrugginito. La rinascita esige quindi il passaggio attraverso il fuoco purificatore della guerra. In effetti, l’ossessione per il potenziale purificatore e consacrante delle prove e dei terrori insiti nella guerra è il demone che si nasconde nei meandri della nostra letteratura sacra.

Questo invasamento demoniaco della guerra si radica nella nascita stessa dell’America come nazione. La Rivoluzione americana costrinse la nuova nazione a cacciare i propri fratelli e ad abbandonare l’antica parentela con la Gran Bretagna. Persino il codice sorgente della narrazione sacra dell’America – la Dichiarazione – è stato predeterminato in conformità alla trasfigurazione dei nostri (ex) parenti in (d’ora in poi) estranei e alieni, se non nemici. L’indipendenza richiedeva una metamorfosi. Il passaggio alla “rivelazione” passava attraverso il fuoco della guerra esistenziale intestina.

La Dichiarazione prefigurava anche la seconda possessione demoniaca dell’America. La guerra civile americana si sviluppò da una vistosa spaccatura settaria[14] che andò sempre più fuori controllo dopo il 1815. Due sette neocristiane evangelizzatrici ferocemente diverse, eppure inquietantemente simili, portarono a uno scisma nella religione civile[15] che assunse l’intensità appassionata delle guerre di religione europee (1545-1648)[16].

Il terzo invasamento dell’America ad opera della guerra santa si trasformò in un’apocalisse nientemeno che globale. Qui gli Stati Uniti non dovettero affrontare sette rivali all’interno della Religione Civile Americana, ma piuttosto il Demiurgo (gnostico) stesso, in una serie di sue manifestazioni tenebrose – fascismo, nazismo, comunismo – che potevano essere sconfitte solo dalla Luce.

Dal 1945, gli Stati Uniti hanno spesso confuso le battaglie neo-settarie affrontate in patria con la loro jihad universale per elevare e redimere l’umanità all’estero. Il nucleo della narrazione sacra dell’America – la sua autocomprensione come nazione divinamente ordinata, universalista e apocalittica – è, nella sua intensa religiosità, preoccupante. Il fatto che gli americani siano del tutto ignari di questo zelo religioso è inquietante. Ciononostante, questa narrazione sacra ha guidato gli americani di ogni generazione, spingendoli a ricreare e rivivere il loro arco narrativo originale – un eterno ricorso che oggi ha ramificazioni globali.

Questo ci porta alla nostra situazione attuale. Dal 2014, una nuova setta in rapida crescita – la “Chiesa di Woke” – ha cercato di trasformare e possedere pienamente la religione civile americana, per regnare come confessione religiosa sua erede. Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo è stato codificato nel Novus Ordo Seclorum[17] (Nuovo Ordine dei Secoli).

Come ha preso forma la religione civile americana? Qual è l’origine del momento critico in cui ci troviamo oggi?

 

I quattro pilastri della rettitudine americana

La religione civile americana è guidata da quattro convinzioni e atteggiamenti di fondo: 1) missionarismo, 2) messianismo, 3) manicheismo e 4) millenarismo. In primo luogo, si ritiene che gli Stati Uniti siano in missione per conto di Dio, come ci ricorda Elwood Blues[18]. L’America è stata incaricata da Dio (o dalla Provvidenza[19]) e quindi porta con sé la Sua autorità, con il popolo americano che funge da agente divino. Con la fondazione dell’America, questa voce divina – che si leva al di sopra e dall’esterno, ma che sorge anche dall’interno – diviene immanente nei Fondatori dell’America e nei suoi “eletti”.

Il secondo motore della teologia americana è il suo idealismo messianico, radicato in una visione escatologica dell’esistenza. Si ritiene che l’America sia stata scelta – in quanto “nazione eccezionale” – per sollevare gli umiliati e soccorrere gli oppressi. L’America è la Nazione Redentrice[20] per eccellenza. La “salvezza” del mondo è affidata all’America, che deve assumersi il compito di rovesciare e punire i malvagi, di inseguire e abbattere il Male stesso. Questa certezza della propria unzione sacra, del proprio ruolo nel “giudizio finale” rende gli americani particolarmente inclini ad adottare una mentalità “bianco o nero”. L’America rappresenta la Luce, che lotta contro l’eterno “Lato Oscuro”[21] – questo è il terzo pilastro e il fondamento del manicheismo americano.

Infine, come città splendente su una collina[22], l’America rappresenta la nazione scelta da Dio, il cui popolo ha il sacro compito di mantenere la promessa postmillenaria del Regno dei Cieli sulla Terra. L’America guiderà quindi l’Umanità attraverso un mitico passaggio verso i benedetti “ampi e soleggiati altipiani”[23]. Questi quattro quadri mentali sono inestricabili dal nostro stesso essere americani e costituiscono il fulcro della nostra visione del mondo ancora oggi.

Prima di esaminare in modo più dettagliato questi pilastri della religione civile americana, una parola di cautela. Tutte le nazioni hanno dei miti fondativi e – in modo pesante o più leggero – sono tutte governate da essi. L’America non è unica tra le nazioni. Tuttavia, la sua narrazione sacra è davvero diversa, e rappresenta una forza potente nella psiche nazionale. Questa narrazione sacra non può catturare pienamente la ricchezza e la diversità di un ethos originale, un tempo radicato in antiche tradizioni. La cultura americana rimane un terreno di intrecci di tradizioni popolari e di visioni del mondo che ricordano ancora i suoi antecedenti storici. Alcuni li hanno definiti “il seme di Albione”[24].

Eppure, più volte, élite troppo zelanti, spinte da programmi estremi e utopistici, sono riuscite ad appropriarsi della Religione Civile e l’hanno piegata alla loro fede e alla loro visione del mondo universalistica, sebbene fosse in contrasto con le tradizioni normative contrastanti dell’American way of life.

Tuttavia, ogni generazione americana, dalla fondazione in poi, è stata governata da una religione civile che ne formava il contesto culturale. Se la narrazione sacra dell’America è stata vista e interpretata attraverso il prisma di una corrente di pensiero dominante – che fa capo più a Thomas Jefferson che a George Washington – ha comunque catturato l’identità americana, anima e corpo. Come ha fatto un caravanserraglio di tradizioni popolari, abitudini e retaggi coloniali a trasformarsi nella religione civile americana, intransigente e assolutista, che conosciamo oggi?

Il tempo di passione della nascita d’America – lo sconvolgimento rivoluzionario avvertito da ogni cittadino – ha offerto a una minoranza fanatica[25] lo scenario perfetto per catturare l’immaginazione americana con la promessa di un “progetto” eterno, il crogiolo perfetto per realizzare una metamorfosi nazionale.

Quindi, dalla caotica selva di possibilità di questo ambiente, una nuova religione e la sua narrazione sacra furono in grado di cristallizzarsi, creando al contempo le condizioni per fare proselitismo in una società coloniale più passiva e politicamente agnostica. Una minoranza di zeloti, che nelle generazioni a venire verrà ricordata come “I Figli della Libertà”, divenne il cocchiere in incognito della Rivoluzione.

Dall’America tardo-coloniale ai giorni nostri, i veri credenti hanno “guidato” ogni arco narrativo apocalittico americano. Come nella maggior parte delle rivoluzioni della storia, i pochi ardenti sono gli evangelisti che danno forma al caos del cambiamento, iniettando la loro rettitudine nelle arterie spirituali dei molti.

 

  1. L’America missionaria

La missione americana sgorga da una sorgente divina. Nel corso del tempo, l’alleanza originaria della comunità puritana con Dio[26] si è trasformata nella direttiva principale dell’America. L’America è diventata così “una città su una collina, alla quale gli occhi di tutti i popoli” – non solo in America ma in tutto il mondo – guardano con meraviglia. Lo Stato Missionario che ne deriva ha una sola brama: bagnare tutti i popoli nell’acqua battesimale della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

Questa missione americana è stata risvegliata e ribattezzata quattro volte. Il primo e il secondo “Grande Risveglio” furono eventi nazionali drammatici, galvanizzati dal fuoco spirituale del revivalismo cristiano. Precedendo la Rivoluzione americana, il Primo Grande Risveglio[27] elettrizzò il grido di “Libertà” con un taglio evangelico[28], che riecheggiava la squillante profezia di Jonathan Edwards.

 

Il Secondo Grande Risveglio diede vita a nuove sette americane, come la Christian Science[29], gli Shakers[30] e la Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni[31], e guidò i movimenti sia pro sia contro la schiavitù verso l’evangelizzazione settaria, con la piena aspettativa di una lotta apocalittica. Il periodo della Ricostruzione che seguì era finalizzato al compimento di una narrazione salvifica che non avrebbe semplicemente riscattato gli schiavi, ma anche lavato i peccati dell’America stessa – un secondo battesimo nazionale[32].

Le epifanie nazionali cristiane furono poi seguite da un altro tipo di terzo grande risveglio, anche se non fu mai formalmente chiamato così. Tuttavia, dalla corruzione della Gilded Age e dal purgatorio della società industriale, sorse un movimento chiamato Vangelo sociale,[33] per aiutare gli americani a scoprire una nuova promessa di salvezza in questa vita. Questo movimento, a sua volta, animò una causa Progressista emergente: divenire levatrici del nuovo, in modo che il vecchio cristianesimo potesse dare vita a una nuova visione secolare che rimanesse comunque fedele a se stessa[34]. I progressisti, affatto laici, accettarono volentieri la benedizione cristiana su un’impresa per nulla interessata alle vecchie radici cristiane[35].

Nonostante l’apparente rifiuto di ogni ascendenza cristiana, tuttavia, il rituale e la dottrina di questa nuova incarnazione della religione civile si sarebbero attenuti alla forma originale e sacra del calvinismo. Solo che da allora in poi, tutte le apocalissi americane avrebbero potuto comandarci e ipnotizzarci con una voce laica.

La Missione Americana mescola, così, la redenzione con la conversione. I proclami sulla volontà di rendere il mondo “sicuro” – come sostenuto da Woodrow Wilson[36] nel suo discorso sulla Dichiarazione di Guerra, o, nel nostro tempo, sulla Responsabilità di Proteggere (R2P) di Samantha Power[37] – sono fuorvianti. In realtà, l’invocazione retorica di un “mondo sicuro e protetto” rappresenta una investitura divina americana, e il suo vero obiettivo è: convertire tutte le nazioni e i popoli alla religione americana.

Questo arco narrativo è iniziato con il Secondo Grande Risveglio, quando i missionari cristiani “procedettero dagli Stati Uniti verso i quattro angoli della terra”[38]. Negli anni Novanta del XIX secolo, quando lo Stato-nazione si proiettò sul mondo, lo Stato aveva srotolato nuovi stendardi missionari e nuovi catechismi, ma parlando con voce laica: per esempio, “conversione attraverso l’istruzione”, “educazione alla democrazia” e “civiltà americana”.

 

In effetti, la Commissione Taft, fissando la bussola culturale del dominio americano sulle Filippine, fece dell’educazione alla democrazia e alla civiltà americana il progetto di nation-building[39]  dell’epoca. Furono inviati centinaia di insegnanti americani (i “Thomasites”) e l’esercito americano costruì migliaia di scuole. Così, la costruzione di scuole divenne il tropo eroico della costruzione della democrazia, una “parola fatta carne” ufficiale pronta ad ispirare le successive missioni di “nation-building” in Iraq e Afghanistan.

Così, l’appello della Missione americana si è evoluto dalla redenzione di se stessi alla redenzione del mondo. Inizialmente guidato dal revivalismo cristiano, lo zelo missionario dell’America si è presto orientato verso un’alleanza secolare, ma ancora sacra (i 14 Punti di Wilson fanno uso esplicito di questa parola) con il mondo in quanto tale. L’autorità di questa alleanza implicita è ancora oggi in pieno vigore. Nessun’altra religione mondiale ha fatto un proselitismo più aggressivo con le sue dottrine.

 

  1. L’America messianica

Il messianismo americano incanala il potere delle eredità teologiche intrise della visione di Calvino sulla predestinazione. Riflette un abbraccio collettivo della predestinazione, che avvolge sia la nazione che i cittadini. Nel 1765, John Adams dichiarò che il popolo americano era guidato da una “provvidenza benigna” e che la sua missione aveva dimensioni messianiche[40]:

 

Ho sempre considerato l’insediamento dell’America con riverenza e meraviglia, come l’apertura di una grande scena e di un disegno della provvidenza, per l’illuminazione degli ignoranti e l’emancipazione della parte schiava dell’umanità su tutta la terra.

 

Quindi, l’America non solo ha un carattere “messianico” – in quanto “posseduta da passione e zelo” – ma manifesta una visione implicitamente biblica che proclama la sua fede nella natura predestinata del suo passaggio. Una “nazione eletta” divinamente scelta per agire nel nome della Provvidenza come Redentore del Mondo: il grande arco della narrazione sacra americana marcia sempre in avanti – con l’America come braccio di Dio – verso il millennio “benedetto”. Rivelando l’estasi di questo Zeitgeist messianico, Walt Whitman[41] poteva così esclamare nel 1860:

 

Io sono il cantore – canto ad alta voce sopra il corteo; …

 

Canto il nuovo impero, più grande di tutti i precedenti – Come in una visione mi viene incontro;

 

Canto l’America, la padrona – Canto una supremazia più grande; …

 

E tu, Libertad del mondo!

 

O come cantava Herman Melville[42] nel 1850:

 

Noi siamo i pionieri del mondo; l’avanguardia, inviata attraverso il deserto delle cose non sperimentate, per aprire un nuovo sentiero nel Nuovo Mondo che è nostro. La nostra forza è nella nostra giovinezza… la nostra voce profonda è udita lontano. Siamo stati a lungo scettici nei confronti di noi stessi e abbiamo dubitato che il Messia politico fosse venuto. Ma è venuto in noi.

 

A metà del XIX secolo, l’etere della Missione americana era pienamente infuso di messianismo della “Giovane Libertad”, in una fusione dimorfica di Antico e Nuovo Testamento. In effetti, l’eredità di Edwards è riuscita a creare un’autentica voce cristiano-americana, per quanto questa possa sembrare lontana dalle realtà della vita politica americana della metà del XIX secolo.

 

III. L’America manichea

L’idea di un’eterna lotta del bene contro il male risale all’antica Persia e alla religione gnostica e dualistica del profeta Mani (آینِ مانی). Si tratta di un tema duraturo, la cui corrente profonda si riversa nel cristianesimo e nelle sue numerose eresie (ad esempio, Albigesi, Bogomili e Pauliciani). Il manicheismo americano presuppone un Demiurgo e, dopo averlo evocato, lo proclama come proprio. Una volta che l’America rivendica l’intero potere del Bene e lo rende del tutto intrinseco alla sua concezione del Sé, lo Straniero, l’Estraneo e ciò che viene designato come l’Altro possono essere transustanziati di colpo – attraverso la celebrazione della liturgia nazionale – in puro Male.

In questo atto riflessivo, l’alterità precede il vilipendio definitivo e ufficiale. La fede religiosa crea un contesto che permette di trasformare l’altro in un male che distrugge il mondo. È con questa sacra ingiunzione che i guardiani dell’opinione pubblica americana accusano ed ostracizzano regolarmente le voci americane dissenzienti.

L’icona originale del male americano è emersa con la Rivoluzione Americana, con la quale rimane per sempre sincronizzata. Durante questa primordiale apocalisse americana, i rivoluzionari scacciarono gli ex fratelli come presunti agenti del tiranno primordiale, Giorgio III. Il fascino freudiano della trasformazione del fratello in Altro ha raggiunto il suo apice nella seconda apocalisse americana. Durante la Guerra Civile, “fratello contro fratello” divenne il motto quotidiano della guerra. Rispetto alla Guerra di Rivoluzione, l’apostasia americana era maturata. Durante la guerra civile, l’espiazione e la riparazione – il ricongiungimento con il corpo della Chiesa (americana) – divennero il compito più urgente dell’Unione.

Passando al XX secolo, era necessaria una riconciliazione operativa attraverso la quale l’ex nemico potesse trovare l’espiazione ed essere accolto, in ginocchio, nella vera fede garantita dalla profezia americana. Ciò è del tutto in linea con la formula originale osservata dall’America per trattare con il Prototipo dell’Altro. In conformità ad essa i Tories[43], responsabili mai perdonati del (nostro) peccato originale, sono stati scacciati ed esiliati dalla Città sulla Collina per tutta l’eternità[44]: banditi nelle gelide distese al di là del firmamento americano, oggi note come Canada. In questo modo, le prime due apocalissi dell’America hanno creato una patologia dualistica nella narrazione sacra americana: ostracismo o redenzione.

La soluzione novecentesca dell’America è stata quella di trasformare il nemico distillando tutto il male e il peccato in un individuo “satanico” che fosse la nuova personificazione del Male. Quindi, il nemico primordiale dell’America non erano i tedeschi, ma Hitler; non i sovietici, ma Stalin; non i russi, ma Putin. Il male personificato come Anticristo è stato il santo dei santi nella formula di redenzione dell’America per quasi un secolo.

 

  1. L’America millenaristica

Anche se oggi non è il senso corrente della parola, “apocalisse”, come detto in precedenza, significa rivelazione – togliere il velo sulla Parola di Dio e sul suo Piano. “Apocalisse”, quindi, non significa la fine del mondo, ma piuttosto il suo culmine: “Tutta la storia è, infine, apocalittica”.

Un particolare esito apocalittico – il postmillenarismo – è incorporato nella narrazione sacra americana. Può essere ricondotto, ancora una volta, a Jonathan Edwards. Gli storici hanno accusato Edwards di aver “catalizzato questo particolare filone di escatologia”[45], indirizzando così l’America verso il “destino manifesto”[46].

Oggi, nessun americano “giustamente guidato[47]” può prendere in considerazione, e tanto meno accettare, un eschaton minore. Per esempio, dati i dogmi della religione civile americana, un “realismo” che osi mettere in discussione il potere divino della democrazia diventa immediatamente anatema. Una visione dell'”interesse nazionale” slegata dal nostro piano sacro[48] equivale all’apostasia. Consultiamo le nostre Scritture americane. Innanzitutto, Apocalisse 14:19:

 

And the angel thrust in his sickle into the earth, and gathered the vine of the earth, and cast it into the great winepress of the wrath of God[49].

Confrontatelo con questo versetto della liturgia della guerra civile – L’inno di battaglia della Repubblica:

 

He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored; He hath loosed the fateful lightning of His terrible swift sword.[50]

Così, sulla scia della sua seconda guerra apocalittica, nel 1865, con la politica purificata e il male abbattuto[51], poté nascere una nuova America.

Gli americani ritenevano che ciascuna delle crisi nazionali americane avrebbe potuto inaugurare nell’immediato un’era millenaria, un “Novus Ordo Seclorum[52], come prefigurato e profetizzato nelle parole di Washington. L’apocalisse e il suo potere rivelatore indicano quindi sempre la fine predestinata del nostro arco narrativo, una mimesi celeste in cui il mondo divino si rispecchia in terra.

Per questo, nel 1945, circa ottant’anni dopo la guerra civile, la terza apocalisse americana fu considerata un’altra opportunità provvidenziale per realizzare la profezia destinale dell’America. Anche se la promessa di un giudizio finale fu congelata dalla Guerra Fredda e rinviata ai posteri, l’establishment statunitense iniziò a sbandierare un Millennio in attesa: che c’era di nuovo un imminente “Mondo libero” da realizzare, un giorno, in un sacro ordine internazionale liberale.

L’improvvisa caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 inaugurò una falsa aurora. Semplicemente, la classe dirigente americana non era preparata a una sincronicità junghiana[53] dell’apocalissi così perfetta. Hanno freneticamente dichiarato un “Nuovo Ordine Mondiale” e celebrato la “fine della storia”[54], come se tutta l’umanità fosse semplicemente destinata a inchinarsi al Grande Sigillo dell’America.

Naturalmente, il Millennio promesso rimane ancora sfuggente. Ma questo non ha impedito all’establishment della politica estera degli Stati Uniti di attribuire una posta in gioco esistenziale a ogni nuova guerra che intraprende, appiccicando su di essa i sogni, divinamente sanciti, inclusi nella ricerca mitica – sempre affascinante – del compimento spirituale dell’America. La profondità e l’ampiezza della religione civile americana rivaleggiano con qualsiasi fede mondiale, non solo per l’enormità della teologia, la forza dei dogmi e la presa della sua letteratura sacra, ma anche per il suo impatto maniacalmente benefico e tuttavia brutale sull’umanità e sulla storia.

Per comprendere meglio la narrazione sacra americana, può essere utile valutare l’arco narrativo nazionale dell’America come si farebbe con una serie televisiva. In quanto tale, la serie americana di successo è già stata rinnovata per un certo numero di stagioni, anche se la nostra è una storia sacra organizzata intorno alle apocalissi.

Come religione universalista radicata fin dalla nascita nell’apocalisse, il ciclo di vita di 250 anni dell’America è interamente catturato dal suo sacro arco apocalittico, punteggiato da tre sorprendenti “rivelazioni”: la nascita con la Rivoluzione Americana, un battesimo o purificazione nella Guerra Civile, e una redenzione mondiale durante le due Guerre Mondiali – quasi compiuta, ma anticipata.

Cosa ci aspetta dunque nella nuova, e forse ultima, stagione? Dove siamo diretti, in questa melodrammatica prova?

 

La quarta apocalisse americana?

Gli americani continuano a negare che la loro ideologia nazionale equivalga a una religione civile. E’ vero che la grande intuizione in merito di Robert Bellah ha trovato ascolto sin dal 1973, ed è citata, a intermittenza, nei media mainstream[55] americani. Tuttavia, è un riconoscimento criptico e raro, e la consapevolezza popolare di esso è quasi inesistente. Gli americani rimuovono risolutamente la loro religione civile per tre motivi.

In primo luogo, gli Stati Uniti sono nati nello sfolgorio del pensiero illuminista, dove religione – soprattutto la Chiesa romana – equivaleva a superstizione. Edward Gibbon, che nel 1775 ebbe la sua epifania nel Foro Romano, attribuì il “declino e la caduta” di Roma alle forze della “barbarie e della religione”[56].

Tuttavia, i Fondatori abitavano un ambiente plasmato da uno Zeitgeist protestante, che dominava le loro vite. Se gli americani dovevano essere campioni della Ragione – dove “la Scienza è reale” e (in quasi tutte le dispute) “fornisce la soluzione” – quel Tempio della Ragione doveva avere radici affondate nella Predestinazione calvinista. Naturalmente, ogni americano “giustamente guidato” sa che il suo Paese è sinonimo di Progresso: l’America non può mai essere medievale. Quindi, in un atteggiamento del tutto privo di autoconsapevolezza, qualsiasi religione di Stato regnante – con le sue dure leggi religiose – apparirebbe arretrata, primitiva o, come spesso si dice del fondamentalismo islamico, equivale a “tornare al XIV secolo”[57].

Inoltre, gli americani – quasi senza eccezione – non riescono a concepire la religione in assenza di una “Chiesa” formale e confessionale. Così, anche all’apice della Guerra Fredda, i mali del comunismo non erano identificati come i peccati di una Chiesa alternativa. Il canone marxista-leninista non poteva essere teologia: doveva invece essere “ideologia”. Dopo tutto, come potrebbero essere religiosi i “comunisti senza Dio”? A ciò si aggiunga il fatto che molti esponenti della sinistra americana simpatizzavano con l'”idea” del socialismo e lo trovavano attraente per gli Stati Uniti, sempre che fosse stato “fatto bene”. In altre parole, credevano che una bella dose di democrazia e libertà americana avrebbe sicuramente ripulito il marxismo dai suoi mali e distillato i suoi altrimenti nobili ideali. Il socialismo è fallito in Russia perché non è stato unto dalla “buona novella” americana: una sua versione americana, invece, avrebbe prosperato.

Infine, una confessione di fede americana – l’aperta enunciazione dell’esistenza di una religione civile nazionale – sembrerebbe annullare la clausola di separazione tra Chiese e Stato della Costituzione. Tuttavia, la religione civile americana originale, così come concepita dai Fondatori, può essere definita una chiesa di Stato? Quasi certamente, essi direbbero di no. Dopo tutto, una religione civile non è una chiesa, almeno non nel modo in cui l’Illuminismo intendeva la religione. Nel XVIII secolo, per “religione” si intendeva una chiesa di Stato. Il diritto canonico e la common law rientravano quindi entrambi nelle prerogative dello Stato, che i Fondatori intendevano come Parlamento e Re. Possedere la Chiesa d’Inghilterra significava che lo Stato britannico poteva dire alla gente come vivere e pensare[58]– e lo fece -, come dimostrano l’Atto di uniformità[59], i Test Acts e le leggi penali.

Queste sono alcune delle ragioni per cui alcuni potrebbero esser contrari a inquadrare l’ultimo movimento di fede che emerge dall’attuale quarto Grande Risveglio come un’altra sfida settaria, familiare, persino classica, alla religione civile. In realtà, il “Risveglio”[60] è paragonabile alle sette evangeliche aggressivamente confliggenti, incardinate nel Nord e nel Sud, che spinsero l’America in una lotta (intestina) negli anni Cinquanta dell’Ottocento, dopo il Secondo Grande Risveglio. La sua origine può anche essere ricondotta direttamente ai temi laico-socialisti dell’era progressista, che si riflettevano nel Vangelo sociale.

Tuttavia, la crescita di questa nuova e virulenta setta americana va ben oltre, segnalando l’emergere di una futura nuova chiesa americana, una chiesa vera e propria. In questo caso, la “Chiesa di Woke”[61] implica un futuro edificio giuridico, inteso a revisionare e trasformare radicalmente il patto costituzionale americano attraverso dottrine semisacre e sponsorizzate dallo Stato, tra cui la “Critical Race Theory” (CRT), la “Diversity, Equity, and Inclusion” (DEI), la “Environmental, Social, and Corporate Governance” (ESG).

Nel XXI secolo, la protezione e il privilegio dello Stato hanno creato un proscenio politico su cui agisce una coalizione di tre distinti gruppi identitari laico-spirituali: Femministe, Persone di Colore e LGBT. Ognuna di queste sette ha al suo interno un gruppo di fazioni e denominazioni in crisi. Questa alleanza di sette si è fusa in una coalizione politica “intersezionale” che può essere sostenuta finché il suo programma comune rimane condivisibile.

Sotto la nuova religione wokeista, i confini tra il globale e il locale, l’interno e l’estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Tuttavia, se il loro programma comune venisse attuato costituzionalmente, la Chiesa di Woke sarebbe in grado di trasformare la vita americana: non solo stabilirebbe un apparato di controllo sul modo in cui i cittadini comuni pensano e si comportano, ma conferirebbe anche l’ordinazione auna nuova élite dirigente, i nuovi chierici della Chiesa Woke.

Gli sforzi della Chiesa di Woke per consacrare la classe dirigente americana – attraverso un corpo consacrato di veri credenti – non mirano tanto ad allevare una nuova aristocrazia, quanto piuttosto a preservare il controllo dell’élite sulla ricchezza e sul potere nella vita americana. In questo senso, la Chiesa non cerca semplicemente di reinterpretare (ijtihād) la dottrina, la legge e le scritture della religione civile originale, come altre sette della storia americana. Rappresenta anche un percorso seguito dalla classe dirigente per consolidare il suo potere e mantenere lo status quo. Il “radicalismo radicale” forse non è poi così radicale, ma il suo estremismo fa presagire autodafé settari e guerre esistenziali all’interno della religione civile[62] come quelle che caratterizzarono l’America tardo-antica.

In un altro senso, la nascente e fluttuante Chiesa di Woke assomiglia di più, formalmente – per il suo successo nella sovversione dello Stato e delle élite al potere – al cristianesimo insurrezionale della fine del III secolo d.C. Ciò che può allarmare è che questo movimento di fede è riuscito a conquistare le “altezze di comando”[63] della vita americana in poco più di un decennio. Tuttavia, anche questo indica una relazione simbiotica tra Chiesa e Stato che è più che mai senza tempo. Come la Chiesa primitiva catturò l’aristocrazia romana, così quei nobili romani si impossessarono della Chiesa per confermare il loro potere[64]. La religione civile è uno strumento di potere tanto venale quanto sacro.

La Chiesa di Woke ha, per il momento, conquistato lo Stato federale degli Stati Uniti e le istituzioni dominanti[65] della vita americana. Molti antecedenti storici dell’odierno movimento di fede Woke, ossia le sette evangeliche[66] calviniste americane precedenti la Guerra Civile, come Slave Power e Abolizionisti, hanno anch’essi cercato di appropriarsi della religione civile americana fondamentale, e di trasfigurarla in una chiesa di Stato a propria immagine e somiglianza. Nessuna di queste sette fanatiche ebbe successo. Tuttavia, equiparando la teologia e il dogma del suo movimento a quella che dovrebbe essere la legge (statunitense), la dottrina Woke sta effettivamente scatenando una Sharia americana e reclamando l’istituzione di una vera e propria nuova religione di Stato americana – così come la intendevano i nostri Fondatori del XVIII secolo – con più forza di qualsiasi altro movimento settario nella storia americana.

In che modo tutto questo è rilevante per l’impegno dell’America nel mondo e, più direttamente, per la politica estera egemonica americana, come dimostra la guerra in Ucraina? Nella nuova religione wokeista, i confini tra globale e locale, tra interno ed estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Come surrogato della vecchia religione civile americana, la Chiesa di Woke esercita l’universalismo in forma estremista, perseguendo la sua ideologia in patria e all’estero in egual misura. Innalzando il vessillo del globalismo Woke, la “buona novella” originaria dell’America viene così sostituita, senza soluzione di continuità, da una visione più virtuosa che se ne fa erede. Il “nazionalismo” e l’amor di patria saranno d’ora in poi giudicati forze arretrate e primitive. Il “populismo” e la sovranità del popolo, a lungo celebrati come l’anima della nazione americana, diventano equivalenti all’autocrazia, un male medievale da eliminare dagli Stati Uniti.

La “corruzione” (interna) dell’America ad opera di tali forze “reazionarie” viene collegata all’influenza nefasta di Stati stranieri e attori internazionali detestati, come l’Ungheria o la Russia, che infettano il corpo americano[67]. Questa isteria Woke ricorda da vicino il bacillo mortale del comunismo della Red Scare [68]all’inizio della Guerra Fredda, con la Russia che fungeva da “Grande Satana”[69] nelle guerre culturali globali[70] dell’establishment liberale americano[71].

Al male di una Russia reazionaria, barbara e arcobalenofobica – e alla più grande minaccia incombente sull’ordine internazionale liberale da parte di un asse autocratico globale – dobbiamo aggiungere anche il terrore apocalittico che la Chiesa di Woke prova per il cambiamento climatico. L’apocalisse climatica[72] è forse il più grande contesto tous azimuts mai ideata dall’universalismo americano per giustificare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Nella causa della salvezza del pianeta, ogni intervento americano può apparire giusto. Si noti come gli autocrati del Lato Oscuro della Forza[73] siano anche inquinatori climatici che utilizzano combustibili fossili, in combutta con gli assassini divoratori di benzina[74] (cioè le compagnie petrolifere) al nostro interno. In quest’ottica, le minacce estere sembrano essere soltanto lo specchio di una minaccia più profonda a casa nostra.

In definitiva, la strategia della Chiesa di Woke e della sua classe clericale è quella di sfruttare una crociata intersezionale[75] contro l’arretratezza pagana, l’anti-genderismo[76] malvagio e l’apostasia climatica all’estero – Russia, Ungheria, Arabia Saudita, Iran, Cina, ecc – per giustificare una jihad interna. Inoltre, mentre propaganda il brand del  Girl Boss Militarism[77], il suo gruppo di parrocchiani “propende di più verso il femminile”. Col tempo, il nuovo “Woke Imperium”[78] americano porterà con la forza tutti gli americani – e il mondo intero – all’ovile della nuova Chiesa; o almeno così sperano i credenti.

È questa comoda simbiosi o identità tra nemici stranieri e interni che è la cosa più preoccupante. Nella sua ricerca fondamentalmente globale di una quarta apocalisse – in cui convertire tutta l’umanità significa assicurare anche la totale conversione degli americani – la Chiesa di Woke rifiuta la vecchia, originale religione civile americana e la sua preoccupazione centrale: l’America. Sebbene il suo essere incentrata sugli Stati Uniti riveli un certo grado di continuità storica, la sua aspirazione a globalizzare l’americanismo per creare uno Stato mondiale omogeneo basato sulla sua ideologia e sui suoi valori universali tradisce e sovverte la vecchia religione civile.

Il dispiegarsi della quarta apocalisse provocata dal “risveglio” è sempre stata diversa dalle precedenti rappresentazioni (o stagioni) dell’apocalisse americana nella nostra serie nazionale. L’Apocalisse differita (1945-1950) – un sequel della Terza Apocalisse – ha spinto gli Stati Uniti a 60 anni (1963-2023) di ripetute e non necessarie débâcles sul campo di battaglia. Ogni episodio è culminato in una guerra sacra (Vietnam, guerra per procura in Afghanistan, Desert Storm, la ventennale Guerra globale al terrorismo, e ora la guerra per procura in Ucraina) condotta per realizzare la profezia di un millennio democratico globale – e ogni volta il sogno è svanito. A sua volta, il quarto ciclo del nostro arco narrativo è stato segnato da una disperazione apocalittica.

Di conseguenza, il messianismo americano è diventato una caricatura manichea di se stesso, in cui le “buone novelle” americane sono state sostituite dallo spettro sempre presente del Male e dalla minaccia della forza. Le parole sacre, Libertà e Democrazia, pur essendo ancora cantate, sono diventate un mantra vuoto. Il “vangelo” americano non predica più la redenzione e l’espiazione: ora opera con la coercizione e la punizione. Il voltafaccia è avvenuto in un istante, con l’11 settembre e con Guantanamo. L’etica propria alla Terza Apocalisse, con i processi di Norimberga e la loro maestosa esibizione pubblica di controllo giudiziario democratico, è stata scartata, e sostituita dalla giustizia sommaria. Quasi da un giorno all’altro, l’America ha abbandonato le “regole internazionali” e le “norme civili” – e ha invece costruito un arcipelago di torture e incarcerazioni arbitrarie, senza supervisione e senza appello.

Non cerchiamo più la guida in un’autorità superiore e indulgente, ma nella voce iraconda del Vecchio Testamento che è in noi. Nell’iterazione Woke del manicheismo americano, il Male ha la precedenza sul Bene ed è fervidamente personalizzato. Con Milošević, Gheddafi, Osama Bin Ladin, Saddam e ora Putin, il Male può ora essere individuato artigianalmente, anche se non sempre eticamente. Per questo, la lotta contro il male in veste di anticristo diviene il tropo retorico pulsante di questa quarta stagione della sacra narrazione americana. Senza ironia, il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq da parte dell’America ha, sorprendentemente, resuscitato il suo meme più famigerato – “l’Asse del Male”[79] – senza arrossire o vergognarsi. La guerra per procura della NATO contro la Russia lo vede, ora, come un sinonimo della sua capacità di indossare il manto retorico[80] di quella che di recente fu giudicata la più grande débâcle strategica americana.

Se noi, come americani, siamo ritualmente coinvolti in una grande narrazione che va oltre la nostra capacità di comprenderla, per tacere della capacità di controllarla, che cosa ci aspetta? Possiamo dare una sterzata a questo arco narrativo finale in modo da evitare la catastrofe totale? Abbiamo voce in capitolo o potere sul nostro destino declinante?

 

Giudizio (Giudizi) finale(i)?

Gli Stati Uniti sono governati dalla loro religione civile, non dall’ideologia. Gli americani sono guidati da una narrazione sacra. Tuttavia, a guidarla è sempre un piccolo gruppo di élite fanatiche, che guidano una storia che può realizzarsi solo in guerra.

In altre parole, l’America è una serie di successo con un arco narrativo marziale punteggiato da bagliori e fuochi d’artificio. Dal lancio al perigeo all’apogeo, la “storia americana” è giunta alla sua quarta stagione. Le prime tre sono state illuminate dal fuoco di battaglie apocalittiche. Quei momenti estatici di vittoria e sacrificio sono stati resi sacri e sono stati considerati il “culmine vitale” dell’America. Ma ora, mentre l’arco narrativo scende, sembra che siamo entrati in un’altra grande battaglia. Sarà una nuova Rivelazione – la nostra quarta apocalisse – o diventerà il finale della nostra serie?

American Story: The Hit Series [Attenzione: contenuti religiosi violenti] ha un pubblico universale, e ogni stagione è ancorata a un climax apocalittico. Inoltre, ogni singolo episodio è caratterizzato da una battaglia, che si svolge sempre in modo predefinito rispetto alla trama standard, come programmato dal nostro produttore hollywoodiano divinamente nominato. Ogni episodio di “Next Generation” ha la sua guerra sacra e trascendentale, anche se spesso distruttiva. L’arco di ogni stagione spinge i confini della Rivelazione verso un finale di serie predestinato. Le prime tre stagioni sono state esaltanti, persino estatiche quando hanno raggiunto quelle sacre vette di vittoria e sacrificio.

Ma poi, durante l’apertura della quarta stagione, intorno al 1962, il grande arco narrativo declinò di uno o più gradi rispetto al suo apogeo, e nel 1968 la discesa fu evidente. È vero, in un episodio – 1981-88 – i retrorazzi hanno rallentato la discesa. Tuttavia, il percorso discendente è ripreso. L’arco narrativo non riguarda la ricchezza americana o la ricerca della felicità. Riguarda la Rivelazione e la Predestinazione e il compimento della Missione dell’America. I primi episodi della quarta stagione mostrano come l’opportunità dell’apocalisse sia stata usata male (Vietnam), abortita (caduta dell’Unione Sovietica), tradita (Iraq) e sprecata (Afghanistan).

Tuttavia, queste occasioni perdute impallidiscono di fronte alla battaglia che ci viene ora imposta. Cosa sono le semplici operazioni speciali, le guerricciole, le controinsurrezioni e i colpi di Stato di fronte alla realtà che gli Stati Uniti stanno ora sfidando aggressivamente le due maggiori e più pericolose grandi potenze, la Russia e la Cina? Inoltre, dalle loro “altezze di comando”, i governanti americani ne hanno fatto un confronto esistenziale: o la democrazia e il suo “rule-based order” domineranno il mondo, o le “autocrazie” vinceranno[81]. Si sente la campana a martello dell’apocalisse. Questo episodio sarà il finale della stagione, o forse della serie? Le domande abbondano.

 

La guerra globale può condurre l’America alla guerra civile?

Oggi l’America sta combattendo due guerre contemporaneamente, una in patria e l’altra all’estero. Collegando gli obiettivi della guerra interna (convertire la nazione alla Chiesa di Woke) con quelli della guerra esterna (trionfare nella guerra per procura contro la Russia come prova di rettitudine), l’establishment dipende ora dalla vittoria in una guerra straniera per rafforzare la sua leva politica, promuovere la sua agenda interna e mantenere il suo potere. Questo è il loro pensiero.

Eppure, gli Stati Uniti non hanno mai cercato di intensificare uno scontro globale[82] quando erano consumati da una lotta esistenziale interna. Al contrario, durante la guerra civile americana, Washington ha agito con estrema cautela[83], anche se la Gran Bretagna e la Francia si sono impegnate in una guerra per procura contro di essi[84].

Il pubblico occidentale si pavoneggia e strilla per i sorprendenti trionfi ucraini della Volontà, mentre si prende narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero sue.

La dualità tra guerra interna ed esterna crea una dinamica reciprocamente distruttiva. Secondo questa logica, se l’Impero Woke prevale in Ucraina, sarà vittorioso anche in patria. Tuttavia, potrebbe verificarsi anche una dinamica negativa. Una sconfitta nella guerra in Ucraina significherebbe un fallimento politico in patria. Quindi, la NATO deve vincere e non si può permettere che l’Ucraina perda[85].

Se perdere è impensabile, di fronte alla sconfitta la NATO ha una sola opzione: l’escalation. Ma l’escalation, per una nazione divisa, comporta anche l’intensificazione del conflitto interno.

 

È possibile che un’apocalisse vicaria porti a un vero e proprio Armageddon?

C’è una sospensione dell’incredulità non ancora esplicitata, nella quarta apocalisse americana.

Per oltre un anno, la NATO ha fatto guerra alla Russia, e ha esultato per questa guerra, reclamando la caduta della Russia[86]. In effetti, molti nel partito della guerra si spingono fino a esclamare: “In nome di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”[87], e chiedono l’umiliazione e persino la distruzione della Federazione Russa[88]. Ma allo stesso tempo, e spesso con lo stesso respiro, il partito della guerra insiste sul fatto che l’Occidente non è in guerra con la Russia, poiché non ci sono forze statunitensi o della NATO dispiegate in Ucraina: semmai, stiamo solo fornendo armi a Kiyv. Molti continuano a negare strenuamente che si tratti di una guerra per procura[89].

Allo stesso tempo, però, i veri tifosi sfegatati della guerra in Ucraina hanno proclamato a gran voce che si tratta di un ottimo affare. La Russia va abbattuta senza una sola vittima della NATO. Dissangueremo il nostro malvagio nemico con il sangue dei volenterosi ucraini. Un affarone! Praticamente un furto![90] Inoltre, migliaia di americani si sono coraggiosamente arruolati – come partecipanti puramente vicari – per combattere a fianco dell’Ucraina nelle trincee dei social media. Questi eroi della 195esima brigata da tastiera – la North Atlantic Fellas Organization (NAFO – date un’occhiata anche al loro merchandising![91]) – combattono quotidianamente[92] contro la Quinta Colonna americana[93] di Burattini di Putin e degli Amichetti della Russia.

Nel frattempo, gli spettatori occidentali si pavoneggiano e strillano di gioia per i sorprendenti trionfi ucraini della volontà, prendendosi narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero le proprie. Se questa è davvero la quarta apocalisse americana, allora è davvero un risultato notevole. Questa è la nostra espiazione per tutta la frustrazione e l’infinito sacrificio di sangue dei fallimentari episodi di guerra sporca che abbiamo visto all’inizio della quarta stagione (“Apocalisse differita”). Dopo i terrori di Tet, Khe Sahn, Desert One, Contras, Mogadiscio e Falluja, la serie offre ora un’epifania senza sangue. Quindi, il nostro auspicato finale di stagione è semplicemente stupefacente: non viene versata una sola goccia di sangue dei GI, dei nostri ragazzi!

Gli Stati Uniti possono ora combattere il loro “più grande nemico geopolitico”[94], ma non moriranno americani, bensì ucraini volenterosi e sacrificali. Nel frattempo, il grande pubblico virtuale americano, insaziabilmente preso dai giochi  CGI[95] e assuefatto dagli “hot take” sui social media, si immerge nella gloria della vittoria imminente: esulta per ogni video di propaganda ucraina e per ogni rappresentazione degli ucraini come una Compagnia dell’Anello[96] che combatte le tenebre di Mordor, gli Orchi russi.[97]

Quando i venti della guerra hanno iniziato a cambiare, verso la fine del 2022, le prime opzioni strategiche di “guerra facile” della NATO per aumentare gli aiuti – armi potenti, comando e controllo alleati, C4ISR della NATO, addestramento di alto livello – avevano portato Kyiv a “vittorie” misteriose e piuttosto magiche nell’autunno del 2022. Tuttavia, nella primavera del 2023, i depositi di armi sono vuoti, e l’esercito ucraino si sta dissanguando, mentre gli opliti ucraini in carne ed ossa vengono fatti a pezzi in un esercizio di dissanguamento che ricorda le tragiche trincee della battaglia di Verdun[98] della Prima Guerra Mondiale. Le opzioni di escalation si sono ridotte.

Davanti a noi si profila soltanto un sempre maggior numero di linee rosse fosforescenti che la NATO potrebbe incautamente oltrepassare, anche a costo di rischiare un’altra guerra mondiale. Questo è il lato negativo del combattere una guerra con l’adrenalina dei media, definita dall’estasi infinita della “vicarietà”[99]. Ma questo non è un videogioco. Quando si viene uccisi nella vita reale, non c’è la resurrezione automatica.

 

Finale di serie: cratere d’impatto?

Alla fine della terza stagione (1961), gli Stati Uniti si ergevano a cavallo del mondo come un Colosso. “Ike” Eisenhower, Generale degli Eserciti della nostra terza Apocalisse americana, presiedeva l’impero del “Mondo Libero” su tutto ciò che contava.

Eppure, quando è uscito di scena, i suoi più giovani successori si sono imbarcati in una serie di guerre corrosive e senza fine. Gettando via tutti gli antichi precetti contro l’intervento militare e i legami con l’estero dei loro antenati, gli uomini nuovi si allontanarono dalla sacra tradizione americana. Dopo decenni di questo genere, invece di cortigiani di palazzo che giocavano alla controinsurrezione – ignorando le comunità i cui figli morivano sul serio nei loro giochi – le guerre degli episodi finali della quarta stagione sono ora realizzate da un esecutivo che crede di avere carta bianca, a patto di essere parsimonioso con le vite delle sue Forze Armate volontarie.

Gli Stati Uniti hanno iniziato e completato il loro fatidico passaggio come incarnazione di Ordini (divini): da un “Nuovo Ordine per i Tempi” alle “Nazioni Unite”, a un “Nuovo Ordine Mondiale”, e infine a un liberale “Ordine basato sulle Regole”. Ma questi cosiddetti Ordini sono un simulacro del demone che si nasconde nel profondo della narrazione sacra americana e di tutti noi: la fissazione per il fuoco purificatore della guerra, che ci ha spinti all’eccesso, e sull’orlo della rovina.

La nostra è davvero una metamorfosi straordinaria: dall’eccezionalismo americano che annunciava la sua “buona novella”- la Redenzione dell’Umanità – al disvelamento della tirannia globale.

[1] https://www.agonmag.com/p/the-demon-in-americas-sacred-narrative

[2] Michael Vlahos, Ph.D., ha insegnato nel programma di studi sulla sicurezza globale presso la School of Arts and Sciences della Johns Hopkins University ed è stato professore presso il dipartimento di strategia e politica dello US Naval War College. Il dottor Vlahos è stato a lungo commentatore di affari esteri e sicurezza nazionale con la CNN. I suoi articoli sono apparsi su “Foreign Affairs”, “The Times Literary Supplement”, “Foreign Policy” e “Rolling Stone”. Dal 2001 è ospite regolare del programma nazionale John Batchelor Show sulla WABC. “italiaeilmondo.com” ha tradotto e pubblicato due suoi articoli su tema analogo: http://italiaeilmondo.com/2023/03/29/lamerica-e-una-religione-di-michael-vlahos/ ; e http://italiaeilmondo.com/2023/02/04/dal-salvatore-al-trickster-divino-la-spinta-teologica-nella-politica-estera-degli-stati-uniti/ . Di grande interesse anche il dialogo in tre parti di M. Vlahos con il colonnello Douglas MacGregor sulla guerra in Ucraina, qui sottotitolato in italiano: http://italiaeilmondo.com/2022/12/31/lo-stato-della-guerra-in-ucraina_-con-il-colonnello-douglas-mcgregor/

 

[3] https://books.google.it/books/about/1789_the_Emblems_of_Reason.html?id=k13XAAAAMAAJ&redir_esc=y#:~:text=In%20this%20classic%20text%20on,in%20the%20contemporary%20visual%20arts.%22

[4] L’Autore qui allude implicitamente alla Lettera di Pietro, 5:8: “sobrii estote vigilate quia adversarius vester diabolus tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret”, “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare.” Cfr. http://bibleglot.com/pair/Vulgate/ItaRive/1Pet.5/ [N.d.C.]

[5] https://www.cambridge.org/core/journals/church-history/article/abs/gods-new-israel-religious-interpretations-of-american-destiny-edited-by-conrad-cherry-rev-and-updated-ed-chapel-hilluniversity-of-north-carolina-press-1998-xii-410-pp-4995-cloth-1895-paper/A8C9435D4A0F6864A36AD1A96F2EFFD7#access-block

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/To_Serve_Man_(The_Twilight_Zone)

[7] https://www.ox.ac.uk/news/2020-05-22-last-best-hope-american-views-oxford

[8]  Robert N. Bellah, Civil Religion in America, Daedalus, Vol. 96, No. 1, Religion in America (Winter, 1967), pp. 1-21 (21 pages) https://www.jstor.org/stable/20027022

[9] FELIX GILBERT

To the Farewell Address: Ideas of Early American Foreign Policy

Copyright Date: 1961

Published by: Princeton University Press  http://www.jstor.org/stable/j.ctt7sjmr.

[10] S. Mike Pavelec – Michael Vlahos 2009 Fighting Identity: Sacred War and World Change, Naval War College Review, vol. 62, n. 4 Autumn, 2009 chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1804&context=nwc-review

[11] David Cook, Studies in Muslim Apocalyptic

Copyright Date: 2021

Published by: Gerlach Press https://www.jstor.org/stable/j.ctv1b9f5v8

[12] Carolyn Marvin, David W. Ingle, Blood Sacrifice and the Nation: Totem Rituals and the American Flag, Cambridge U.P. 1999 https://books.google.it/books?id=sdRlbklRhycC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

 

[13] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[14] George William Van Cleve, A Slaveholders’ Union: Slavery, Politics, and the Constitution in the Early American Republic, University of Chicago Press, 15 ott 2010 https://books.google.it/books?id=Dgp26Y2KzxUC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[15] Mark A. Noll.  The Civil War as a Theological Crisis. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 2006. https://jsr.fsu.edu/Volume9/Dollar.htm

[16] https://en.wikipedia.org/wiki/European_wars_of_religion

[17] È il motto che si legge sul rovescio dello Stemma degli Stati Uniti d’America [N.d.C.]  https://it.wikipedia.org/wiki/Novus_Ordo_Seclorum

[18] https://www.youtube.com/watch?v=2HCR4c1zPyk

[19] https://thefounding.net/americas-founding-with-a-firm-reliance-on-the-protection-of-divine-providence/

[20] William A. Clebsch, America’s “Mythique” as Redeemer Nation

Published online by Cambridge University Press:  30 July 2009 https://www.cambridge.org/core/journals/prospects/article/abs/americas-mythique-as-redeemer-nation/B1CBD5264061139C2FC894344A3C23D9

 

[21] https://youtu.be/MZK98LVFRH8

[22] È la celeberrima formula contenuta in un sermone del 1630 di John Winthrop, puritano, governatore della Massachusetts Bay Colony, e uno dei Padri Pellegrini, Dreams of a City on a Hill: “We shall find that the God of Israel is among us, when ten of us shall be able to resist a thousand of our enemies; when He shall make us a praise and glory that men shall say of succeeding plantations, ‘may the Lord make it like that of New England.’ For we must consider that we shall be as a city upon a hill. The eyes of all people are upon us. So that if we shall deal falsely with our God in this work we have undertaken, and so cause Him to withdraw His present help from us, we shall be made a story and a by-word through the world.”   https://www.americanyawp.com/reader/colliding-cultures/john-winthrop-dreams-of-a-city-on-a-hill-1630/ [N.d.C.]

 

[23] Da un celeberrimo discorso del 1940 di Winston Churchill, mentre si combatteva la Battaglia d’Inghilterra: ““I expect that the Battle of Britain is about to begin. Upon this battle depends the survival of Christian civilisation. Upon it depends our own British life and the long continuity of our institutions and our Empire. The whole fury and might of the enemy must very soon be turned on us. Hitler knows that he will have to break us in this island or lose the war. If we can stand up to him, all Europe may be free, and the life of the world may move forward into broad, sunlit uplands; but if we fail, then the whole world, including the United States, and all that we have known and cared for, will sink into the abyss of a new dark age made more sinister, and perhaps more protracted, by the lights of a perverted science. Let us there brace ourselves to our duty and so bear ourselves that if the British Empire and its Commonwealth last for a thousand years men will still say ‘This was their finest hour’.” https://www.martingilbert.com/blog/6106/ [N.d.C.]

[24] https://www.nytimes.com/2021/10/04/books/review/joe-klein-explains-how-the-history-of-four-centuries-ago-still-shapes-american-culture-and-politics.html

[25] https://www.nytimes.com/1992/03/01/books/it-was-never-the-same-after-them.html

[26] AA.VV. God’s New Israel: Religious Interpretations of American Destiny EDITED BY CONRAD CHERRY, 1998, University of North Carolina Press https://uncpress.org/book/9780807847541/gods-new-israel/

[27] https://www.agonmag.com/p/the-failure-of-conservatism-and-the

[28] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/american-postmillennialism-seeing-the-glory

[29] https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Christian_Science_movement

[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Shakers

[31] Reviewed Work: Joseph Smith Jr.: Reappraisals after Two Centuries by Reid L. Neilson and Terryl L. Givens

Review by: Jordan Watkins https://doi.org/10.1525/nr.2012.15.4.113

 

[32] William A. Clebsch, Christian Interpretations of the Civil War https://www.jstor.org/stable/3161973

 

[33] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.wrs.edu/assets/docs/Courses/Classic_Fundamentalism/Battle–Brief_History_Social_Gospel.pdf

[34] https://www.researchgate.net/publication/230756502_In_search_of_the_Kingdom_The_social_Gospel_settlement_sociology_and_the_science_of_reform_in_America’s_progressive_era

[35] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://as.nyu.edu/content/dam/nyu-as/philosophy/documents/faculty-documents/boghossian/Boghossian_The-Gospel-of-Relaxation-Louis-Menand-Review.pdf

[36] https://www.loc.gov/exhibitions/world-war-i-american-experiences/about-this-exhibition/arguing-over-war/for-or-against-war/wilson-before-congress/#:~:text=He%20also%20argued%20that%20autocratic,Transcript

[37] https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/16/the-moral-logic-of-humanitarian-intervention

[38] http://brothersjudd.com/index.cfm/fuseaction/reviews.detail/book_id/928/Special%20Prov.htm

[39] https://www.nytimes.com/2009/11/19/books/19book.html

[40] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[41] https://whitmanarchive.org/published/LG/1881/poems/105

[42] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[43] I Tories sono i lealisti, fedeli a Re Giorgio III; nella Rivoluzione americana. https://en.wikipedia.org/wiki/Loyalist_(American_Revolution) [N.d.C.]

[44] https://www.theguardian.com/books/2011/feb/19/libertys-exiles-maya-jasanoff-review

[45] C. C. Goen, Jonathan Edwards: A New Departure in Eschatology, https://www.jstor.org/stable/3161685

 

[46] https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto

[47] https://en.wikipedia.org/wiki/Rashidun_Caliphate

[48] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[49] “L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio.” Ap. 14:19 Trad. CEI

[50] “Egli sta calpestando la vendemmia in cui è riposta l’uva dell’ira; ha sguainato il lampo fatale della sua terribile rapida spada”.

[51] Eric Foner, The Second Founding: How the Civil War and Reconstruction Remade the Constitution, W.W. Norton & Company , 2019 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Second_Founding#:~:text=The%20Second%20Founding%3A%20How%20the,W.W.%20Norton%20%26%20Company%20in%202019.

https://books.google.it/books/about/The_Second_Founding_How_the_Civil_War_an.html?id=W_yKDwAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&hl=en&newbks=1&newbks_redir=0&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[52] http://www.greatseal.com/mottoes/seclorum.html

[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Sincronicit%C3%A0

[54] https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_della_storia#:~:text=La%20fine%20della%20storia%20%C3%A8,dal%20quale%20si%20starebbe%20aprendo

[55] https://www.liberalpatriot.com/p/the-democrats-patriotism-problem

[56] Helena Rosenblatt, On Context and Meaning in Pocock’s “Barbarism and Religion”, and on Gibbon’s “Protestantism” in His Chapters on Religion https://www.jstor.org/stable/43948778

 

[57] https://merip.org/2004/12/maxime-rodinson-on-islamic-fundamentalism/

[58] Anti-Catholicism in Eighteenth-Century England: A Political and Social Study by Colin Haydon (review)

Marie B. Rowlands https://muse.jhu.edu/article/442449/pdf

 

[59] https://www.parliament.uk/about/living-heritage/transformingsociety/private-lives/religion/collections/common-prayer/act-of-uniformity-1662/

[60] https://unherd.com/thepost/where-did-the-great-awokening-come-from/

[61] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[62] https://lawliberty.org/uncivil-wars-of-civil-religion/

[63] https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1922/nov/13b.htm

[64] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[65] https://www.racket.news/p/report-on-the-censorship-industrial-74b

[66] Ivy on Daly, ‘When Slavery Was Called Freedom: Evangelicalism, Proslavery, and the Causes of the Civil War’

Author: John Patrick Daly Reviewer: James Ivy https://networks.h-net.org/node/512/reviews/694/ivy-daly-when-slavery-was-called-freedom-evangelicalism-proslavery-and

[67] https://www.libraryofsocialscience.com/essays/vlahos-counterterrorism/

[68] https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Scare

[69] https://www.richardhanania.com/p/russia-as-the-great-satan-in-the

[70] https://compactmag.com/article/pride-and-american-imperialism

[71] https://compactmag.com/article/america-the-last-ideological-empire

[72] https://www.spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/

[73] https://www.aei.org/research-products/report/from-environmentalism-to-climate-catastrophism-a-democratic-story/?mkt_tok=NDc1LVBCUS05NzEAAAGLqTnaMA0mJzdHLVT2jCR5i9F9aK-DVrr3l4OXAdKs9WOmKCp8hDOZmqfrUhsRYa9DdsrifKhrbXxHVbDdJZWnXYCaSKh0B7qNhLf1Wg7awurcWA

[74] https://www.latimes.com/opinion/story/2021-03-01/editorial-to-save-the-planet-from-climate-change-gas-guzzlers-have-to-die

[75] https://theupheaval.substack.com/p/intersectional-imperialism-and-the?s=r

[76] https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-gender_movement

[77] https://chroniclesmagazine.org/web/the-rise-of-girlboss-militarism/

[78] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://peacediplomacy.org/wp-content/uploads/2022/06/Woke-Imperium.pdf

[79] https://caitlinjohnstone.substack.com/p/theyre-rebooting-axis-of-evil-on

[80] https://www.moonofalabama.org/2023/03/axis.html

[81] https://nationalinterest.org/blog/buzz/increased-chinese-support-russia-will-imperil-world-206339

[82] https://easc.scholasticahq.com/article/5715-1862-the-superpower-the-united-states-and-the-war-that-didn-t-happen-why-america-and-china-are-not-destined-to-fight-unless-they-forget-everythi

[83] https://nationalinterest.org/feature/historys-warning-us-china-war-terrifyingly-possible-10754

[84] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[85] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[86] https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3304356/biden-ukraine-will-never-be-a-victory-for-russia-never/

[87] https://youtu.be/VLN_P5u1ALI?t=4

[88] https://niccolo.substack.com/p/delusion

[89] https://www.noahsnewsletter.com/p/is-ukraine-a-proxy-war

[90] https://cepa.org/article/its-costing-peanuts-for-the-us-to-defeat-russia/

[91] https://nafo-ofan.org/

[92] https://thegrayzone.com/2022/10/28/spooks-mercs-hawks-nafo-troll/

[93] https://www.realclearpolicy.com/articles/2023/03/28/russias_fifth_column_in_america_889897.html

[94] https://www.politico.com/news/2022/02/27/mitt-romney-russia-remains-geopolitical-foe-00012124

[95] https://store.steampowered.com/app/2251930/CGI_The_Game/

[96] https://twitter.com/uamemesforces/status/1536074185369329666

[97] https://www.lemonde.fr/en/pixels/article/2022/04/23/ukrainian-and-russian-tolkien-fans-battle-over-the-legacy-of-the-lord-of-the-rings_5981383_13.html

[98] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Verdun

[99] https://www.urbandictionary.com/define.php?term=vicarity

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SISTEMI PENSANTI, di Pierluigi Fagan

SISTEMI PENSANTI. Come testimonia la foto del settore cervello-mente (in senso letterale, psicologia o psicoanalisi o logica o altro attinente le funzioni mentali stanno altrove) della mia biblioteca, sono anni che studio l’argomento. Pare ovvio che l’interesse per i prodotti della mente come, ad esempio, le immagini di mondo, chiami curiosità sugli organi che li producono. Vengo dalla lettura del saggio di uno tra i più noti neuroscienziati, S. Dehaene, francese, sulla coscienza [Coscienza e cervello, Cortina, 2014]. Il testo mi sollecita delle riflessioni.
Dovete sapere che sebbene tutte le cose importanti dell’essere propriamente umani provengano dal nostro cervello-mente, la scienza ha approcciato il tremendo argomento solo di molto recente. C’era un motivo tecnico ovvero che il cervello produce mente quando è vivo al pari del corpo di cui è parte. Ma un organo così complesso era impossibile da studiare in vivo, di solito la scienza biologica parte da dissezioni di cose morte. Solo negli ultimi decenni si sono prodotte tecnologie che riescono a farci sapere qualcosa del ciò che accade lì mentre funziona.
Ma c’era forse anche un motivo culturale aggiunto. Abbiamo prodotto talmente tanto pensato, a base di credenze di ogni tipo, tra cui alcune metafisiche rilevanti come la credenza dell’anima e della sua possibile eternità (l’eternità presuppone l’immaterialità, ovvio), che sembra noi si sia ritrosi ad andare a scoprire come funzionano le cose lì dove tutto questo origina.
Per dirne una, non c’è libro sul cervello-mente che non citi una o più volte Cartesio e la sua idea dualistica della cosa estesa (materia) e la cosa pensante (mente o anima), incluso il celebre “L’errore di Cartesio” influente best seller di A. Damasio. Studiai a suo tempo il problema studiando Cartesio in filosofia. A riguardo ho sempre avuto una idea eccentrica. Partendo da elementi biografici ovvero gli scambi epistolari col fidato amico Marsenne (teologo) o il fatto che il Discorso sul metodo ospiti in poco più di una scarsa paginetta questa idea pur rilevante (ricordo che questa fu la prima opera colta prodotta in francese volgare, a dire quanto Cartesio evitasse e temesse l’accademia del tempo che parlava solo latino) o la sua precipitosa fuga verso la Svezia per sentirsi più libero, pare che il nostro fosse letteralmente terrorizzato da quello che era successo a Galilei.
Poiché non era certo un cuor di leone, è forse ipotizzabile che Cartesio non fosse poi così convintamente certo di questa impostazione dualista, semplicemente voleva lasciar intatto il mondo mentale che poi era sede dell’anima, per non urtare le credenze fondamentali per sbizzarrirsi poi col suo meccanicismo materiale sui corpi. Del resto, il dualismo non è nato con Cartesio, le fonti più antiche sono orfico-misterico-pitagoriche, platoniche ed ovviamente cristiane. Stiamo parlando di qualcosa come duemila anni prima che il francese presentasse la sua versione ed è anche strano che in queste ricostruzioni del sistema delle idee, gli studiosi stessi si sveglino a notare Cartesio e non la lunghezza ed importanza della tradizione precedente. Piacevolezze degli studi disciplinari non comunicanti.
A ciò si è aggiunta una peculiarità specifica del nucleo centrale della cultura occidentale degli ultimi decenni, il nucleo americano. Derogo qui dall’utilizzo della categoria “anglosassone” poiché tra americani e britannici ci sono molte similarità, ma anche alcune differenze, la geostoria conta. Gli americani si sono convinti che l’unico discorso pubblico ammesso, l’ancoraggio di verità, debba essere scientifico (filosofia analitica, logica formale, matematizzazione di tutto ed il suo contrario come in “economics”).
Poiché hanno lungamente ritenuto che con metodo scientifico non si potesse dire niente di argomenti come la coscienza, arrivando pure a dubitare esista tal cosa, hanno ficcato il tutto in una cosa che hanno chiamato “scatola nera” ovvero qualcosa che non si può conoscere dentro ma solo per ciò che emana fuori, il comportamento, ad esempio. Ovviamente, dalle tesi di laurea alla richiesta di fondi per ricerche, alle pubblicazioni e relative carriere, a nessuno veniva in mente di andar a ficcar il naso lì dove era, implicitamente, vietato. La gran parte dell’A.I. risente di questa impostazione. Lo stesso assioma che la consistenza materiale di ciò che fa il cervello (neuroni, assoni, dendriti, spine, neurotrasmettitori, architettonica, elettricità, cellule gliali, sistema nervoso-corporeo di un animale sociale etc.) è ininfluente perché tanto ciò che ci interessa è il suo risultato che è “informazione” e come tale si possono creare sistemi di informazione al silicio, da cui l’espressione programmatica che è la promessa di creare intelligenza non biologica (artificiale), regge tutta l’impresa.
Ma non è dimostrato, forse dimostrabile anche perché sappiano così poco del cervello-mente (ed anche di “intelligenza”) che pare un po’ assurdo noi si pensi di poter replicare qualcosa che neanche sappiamo bene cosa sia e come funzioni. Tant’è che dei tanti studiosi messi a sistema nell’impresa A.I., mancano sistematicamente i neuro-biologi (che potrebbero dire come funzionano le cose nei cervelli veri) ed abbondano gli ingegneri che sono persone degnissime ma non si capisce cosa sappiano di quei neuroni la cui funzione vorrebbero replicare. Così, come alcuni stanno spiegando (ad esempio il N. Cristianini, La scorciatoia, il Mulino 2023), in effetti l’A.I. è una impresa dedita a manipolare il comportamento umano, non a replicare l’intelligenza umana.
Ad ogni modo, negli ultimi soli tre decenni, alcuni hanno invece cominciato ad “aprire” la scatola (in realtà a rilevarne da fuori il funzionamento) per vedere lì come funzionano le cose. Ed è sintomatico che Dehaene, allievo di J.P. Changeux, non usi il termine “informazione” più delle virgole come accade nei tanti testi sull’argomento americani, sebbene debba spendere più di duecento pagine del suo libro, prima di giungere al dunque. Ed è altresì sintomatico che giunga al dunque, partendo da una osservazione di R. Cajal, premio Nobel del 1906 in condominio col nostro Golgi, gente che sezionava fette di cervello per capire com’era fatto. Sintomatico perché questi studiosi facevano la cosa più ovvia ovvero guardare la cosa per capire com’era fatta nella speranza di capire come funzionava. A molti studiosi del campo, oggi, sembra che interessi dire come funziona senza occuparsi più di tanto com’è fatto l’organo.
Ricordo una deliziosa intervista sul FT di un “Sir-qualcosa” di cui non ricordo il nome, che è ritenuto il più o uno dei più importanti neurochirurghi del mondo; quindi, uno che nella cosa ci mette le mani. Interrogato su cosa pensasse dell’A.I. confessava di non riuscire speso a capire di cosa si occupassero questi studiosi, a lui risultava un altro mondo quanto a cervello da cui una mente. Nel mio piccolo, dopo venticinque anni di professione a certi livelli, è lo stesso smarrimento che ho lungamente provato quando sono diventato uno studioso, riguardo i testi di economia. Per dirvene una anche qui, l’economia comportamentale che negli ultimi anni ha mietuto premi Nobel come grande scoperta recente sul comportamento economico umano assai meno razionale del lungamente presupposto (assioma necessario a rendere l’economia una materia “scientifica”), è da decenni e decenni base del plesso di conoscenze del marketing commerciale. Forse gli economisti non lo sapevano ed hanno reinventato cose stranote ma non assunte in accademia. La conoscenza è una impresa sociale, politica, economica oltreché propria dei suoi paradigmi ed è poco conosciuto quanto venga distorta dalle immagini di mondo.
Era la scusa per fare riflessioni sparse più ampie. In sé, quello che sostiene il francese, semmai vi interessa l’argomento specifico, è più o meno lo stesso di ciò che hanno sostenuto e sostengono altri, come i concetti di “informazione integrata” di G. Tononi, gli “assemblaggi di cellule di D. Hebb, il “pandemonio” di J. Selfridge, i “rientri” di G. Edelmann, la “coalizione neurale” di F. Crick e C. Koch, le “zone di convergenza” di Damasio. Il nostro lo chiama “spazio di lavoro globale” e sarebbero regioni della corteccia prefrontale e non solo, collegate poi anche al talamo (che è evolutivamente molto antico), in cui ci sono alte densità di cellule particolarmente grandi, con assoni particolarmente spessi ed a lunga gittata (che arrivano anche a due metri), con dendriti particolarmente spessi con un grandissimo numero di spine, che creano un sistema iperconnesso a due vie (emettono e ricevono). Questa sarebbe la coscienza (o “stato di coscienza”), aree di neuroni densamente interconnessi tra loro e con tutte le altre principali parti del cervello, che scaricano assieme sincronicamente e si eccitano l’un l’altro allungando il tempo di eccitazione, che poi sarebbe quello di attenzione cosciente. Altri, si danno da fare ad inibire il funzionamento di altre cellule e regioni, da cui la spiegazione del fatto che il nostro stato cosciente può trattare solo una cosa per volta. Il resto è tutto inconscio, preconscio, subliminale, memorie, sfuggevolezze, nuclei dell’emozione, sistemi disconnessi (come quello che regola il respiro) etc.
Naturalmente il tizio non s’è svegliato una mattina con l’idea come fanno i più a proposito dei tanti temi che ci spingono a dire la qualunque sul qualsivoglia. Ci sono firme della coscienza rilevate, controprove, deduzioni, decine di esperimenti inclusa l’analisi degli stati di non coscienza dal coma al vegetativo, al locked-in, al sonno. Di base però, mi sembrava interessante segnalare come l’andare presso le cose che vogliamo conoscere, prima di esprimere idee e giudizi, sia meglio del contrario. Spesso, evitazione della materia come della realtà, sono presupposti necessari per liberarci nell’empireo che ci piace tanto, quello puramente mentale, ideale, spirituale. Poi, se questa tesi è valida, quanto ed euristica per ulteriori approfondimenti si vedrà. A me pare intuitivamente consistente, la più consistente tra quella di cui ho letto nei volumi di cui alla foto, per quel che vale…
Poi tutto ciò ha a che fare con le immagini di mondo solo in parte. Il dominio proprio delle idm sarebbe l’auto-coscienza o coscienza riflessiva o metacognizione. Ma questo è argomento da “…non aprite quella porta” (cioè categoria film horror).

Gabriele Germani

Ottimo post, pensare che l’ha scritto di getto, non osiamo pensare cosa fa quando si concentra 😃
Sul tema: per capirci qualcosa di più, nel 2014 iniziai un secondo percorso di laurea in Psicologia, cercando di approfondire ToM, filosofia della mente, neuroscienze, filosofia del linguaggio e archeologia della mente. Notai da subito come, nonostante in Italia avessimo delle eccellenze (due tra tutti: Rizzolatti e Gallese), la formazione universitaria fosse per lo più concentrata su marketing-lavoro, in ultima istanza clinica, dove la psicoanalisi ha un ruolo marginale.
Un vero peccato, perché la questione “mente” è a monte di un altro mare di problemi che ci riguardano tutti da vicino.

Claudio Raveli

Gabriele Germani concordo sull’ottimo e anche di più, per quanto ho potuto comprendere, attribuito al post.
Voglio qui dire che Pierluigi Fagan ha colto in pieno come le qualità attribuite alla AI siano mistificatorie e di fatto fonte di manipolazione che inizia proprio dalla sua definizione di Intelligenza artificiale.
E ha colto anche in pieno il neopositivismo meccanicistico di stampo statunitense degno di una situazione simile a quella descritta in “Noi” romanzo distopico risalente a un secolo fa di E. Zamiatin ,dove ogni attività umana è ridotta a formula matematica e sulla matematica, oggi, non a caso viene privilegiata quella applicata a scapito di quella generale e di base che non ha applicazioni pratiche immediate, come si può inferire da chi ha ottenuto le ultime medaglie Fields.

Claudio Bramby

Ho partecipato proprio questo fine settimana ad un incontro molto intenso ed estremamente interessante di 3 giorni a Prato sul tema “Scienza e Spiritualità” dove uno degli argomenti era proprio incentrato sulla coscienza e l’I.A. Erano presenti, tra gli altri, Federico Faggin (consiglio la lettura del suo recente libro “Irriducibile”) e alcuni teologi (Padre Paolo Gamberini e Paolo Squizzato) che hanno proposto la nuova visione del “Post-teismo” e di coscienza legata ad una nuova interpretazione del divino, molto legata ai recenti sviluppi della fisica quantistica. Relativamente all’I.A. Faggin ha espresso molto chiaramente la diffeeenza e i limiti della stessa rispetto alla coscienza umana e le ricerche e studi che la sua fondazione sta portando avanti. Grazie Pierluigi Fagan del suo contributo che aiuta il pensiero collettivo in questa critica fase del cammino umano.

Pierluigi Fagan

Claudio Bramby Vorrei precisare una cosa su “spiritualità” accennata nel testo in un contesto che poteva dare l’impressione una mia postura critica. Non credo esista nulla del mentale che non si possa riportare al cerebrale (o corporeo in senso lato), di questo mentale fa parte la spiritualità che è una indagine o un plesso di esperienze degnissime e umanissime, quindi interessantissime. Io sono convintamente evo-adattativo quindi ogni cosa dell’umano, mi porta sempre a domandarmi se ha avuto una funzione adattativa, non solo verso l’esterno anche verso l’interno. Ad esempio l’intera nostra complessione, come ogni forma vivente, tende a farci esistere al più a lungo possibile. Di contro, per altre vie, abbiamo sviluppato coscienza ed autocoscienza della nostra certa morte. Questa contraddizione insanabile, potrebbe aver favorito certe nostre idee che non vanno affatto svalutate, ma indagate, comprese, allacciate con altre. Sta il fatto che è provato che chi ha tali convinzioni e soprattutto le pratica e meglio se non da solo, ha meno disturbi mentali ed altri accidenti. Il cervello è una farmacia ambulante, premia le cose “buone da pensare”, poi magari bisogna vedere buone per cosa, ma questo è un altro discorso.

Cristiano Iera

Ok, mi piace molto la dissertazione filosofica e cognitiva, e per questo leggo assiduamente tutti i post di Germani e di Fagan, ma forse prima di parlare della possibilità di neuromimesi (ossia creare strutture simili a quelle cerebrali per emularle) dovreste conoscere il lavoro che IBM sta portando avanti da diversi anni (siamo alla release 4) con il TrueNorth Neurosynaptic System, che è un processore neuromorfico per il quale sono stati usati componenti “nuovi”, ossia non le solite porte logiche o gate array con cui sono fatti i processori tradizionali, ma dei dispositivi a semiconduttori dotati della capacità di interconnettere nodi di calcolo/memoria (non c’è distinzione come nei chip “tradizionali”) mediante vere e proprie “sinapsi”, esattamente come un cervello. La release 4 del sistema supera il milione di nodi, e ora la scalabilità è solo un problema tecnologico. Avere questi dispositivi pone anche il problema di programmarli, o meglio, metterli in condizioni di apprendere, trattandosi di reti neurali. Ciò richiede stratificazioni logiche, più o meno come quelle dei linguaggi di programmazione, solo che i microprogrammi in questo caso non sono sequenze di istruzioni deterministiche, ma descrizioni dei modi di funzionamento della rete neurale. Anche Intel sta lavorando, da qualche anno, a un chip neuromorfico basato su una nuova categoria di semiconduttori (Loihi versione 2, anche questo ha circa un milione di nodi per chip, ed è stata già annunciata la v3). Tutto ciò significa esattamente “andar dentro” al funzionamento logico di un “cervello emulato”, anche se – per ora – in modo primitivo. Comincerà a essere un po’ meno primitivo fra poco tempo, visti gli sviluppi che sta avendo neuralink e altri progetti simili. Per interfacciarsi con i percorsi neurali biologici bisognerà anche decodificarne la logica di funzionamento, cosa che si sta già progettando di fare non più secondo la logica della “scatola nera” di una volta, ma secondo la “scatola trasparente”: l’immissione nel tessuto cerebrale di alcuni milioni / miliardi di nanomacchine, indirizzabili tramite una codifica trasmessa a mezzo risonanza magnetica codificata, ognuna delle quali si lega elettrochimicamente ad un assone e ne comunica all’esterno lo stato. E’ come se facesse una misurazione dei potenziali elettrochimici cellula per cellula, sinapsi per sinapsi. E’ come un MDS (sistema di sviluppo utilizzato per fare il debug del microcodice dei microprocessori) collegato direttamente al cervello che consentirà di capire il significato puntuale di ogni segnale elettrochimico con cui il cervello funziona. L’obiettivo finale è anche di creare nanomacchine indirizzabili in grado di alterare lo stato degli assoni.
Una ulteriore direzione di sviluppo è quella della realizzazione di porte logiche in biomateriali su nanoscala, ossia porte logiche elettrochimiche che possano essere inserite direttamente “in vivo” e collegate alle fibre nervose, mantenendo però l’architettura “tradizionale” delle macchine sequenziali programmabili.

Pierluigi Fagan

Cristiano Iera Grazie per le informazioni. Citavo appunto questa linea di ricerca su computer organici e molecolari in una discussione più sotto. Credo, tra l’altro, sia la strada più rilevante per il futuro, un futuro cibernetico di umanità (non tutta, ovvio) potenziata. Che poi era l’intento strategico originario espresso nel Rapporto Converging Technologies for Improving Human Performance NANOTECHNOLOGY, BIOTECHNOLOGY, INFORMATION TECHNOLOGY AND COGNITIVE SCIENCE del 2002, promosso da National Science Foundation e Dipartimento al commercio USA.

Vincenzo Guida

Tra i tanti metodi matematici che si utilizzano nel campo dell’inteligenza arteficiale, le reti neurali artificiali sono senz’altro quello la cui ispirazione deriva dalla neurobiologia. Una rete neurale artificiale e’ costituita da un network topologico in cui different input vengono trasformati in un set di ouput tramite una funzione di trasferimento non lineare. Essa e’ stata concepita come emulazione del sistema neuronale biologico. I ricercatori di AI si domandano quotidianamente come addestrare questa rete in maniera efficiente e prendono a prestito idee che derivano dalla neurobiologia o almeno da quello che capiamo della neurobiologia. Dire che i matematici che lavorano sulla AI non si ispirano alla biologia e’ ingeneroso. Esiste pero’ una piu’ sottile considerazione da fare. Le reti neurali sono solo una branca della AI ed una branca che funziona molto bene per i problemi di apprendimento supervisionato. L’apprendimento supervisionato si occupa di problemi come distinguere l’immagine di un cane da quella di un gatto, ad esempio. Esistono pero’ problemi in cui il compito di apprendimento non e’ predefinito, ma si chiede all’AI di ricercare pattern nei dati, di formulare raccomdazioni su un problem anon predefinito, di catalogare, di distinguere… sono i cosiddetti problemi di apprendimento non supervisionato. Gli esperti di AI hanno svilupato algortmi per questo tipo di problemi, ma non sono ispirati alla biologia, la grande frattura tra neurobiologia e AI comicia li’ secondo me.

Pierluigi Fagan

Vincenzo Guida Giusto distinguo, concordo. Leggendo anche qualcosa di A.I., da tempo, mi pare si sottovalutino cose come la plasticità della materia cerebrale, la creatività del connettoma, gli influssi chimici corporei, la stessa ambientazione corporea, la sensibilità. Ma è un discorso complicato e poi la mia, ammetto, è una posizione un po’ prevenuta verso la riduzione del tutto mentale ad informazione. Tuttavia, anche si concentrassero solo su certi funzionamenti del cerebro-mentale, sono e sempre più saranno senz’altro in grado di sviluppare cose mirabolanti. Le reti neurali artificiali, come per altro tutto questo discorso anche versante bio, sono centrali nell’esplorazione del concetto di complessità.

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan

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La “grande battaglia, di Philippe Grasset

La “grande battaglia
10 giugno 2023 (18:00) – Devo confidarvi che difficilmente riuscirei a fornirvi un’analisi della battaglia in corso, o addirittura del suo esito, nonostante i segnali che si stanno accumulando in questa direzione. Capite a quale battaglia mi riferisco? Allora capirete anche la mia moderazione e cautela.

Nota di PhG-Bis: “Altri stanno facendo il duro lavoro, almeno di analisi della battaglia. PhG è particolarmente colpito dal lavoro di “Simplicius-The Thinker”, l’ultimo riferimento di cui parla l’intera AMC (“Alternative Media Community”, come Korybko chiama la stampa indipendente, che PhG chiama “Our Samizdat”). Date un’occhiata a Simplicius e capirete quanto sia difficile dare un quadro coerente della battaglia”.

Ma oltre a questa difficoltà di giudizio e di analisi che mi impedisce di dare un’opinione chiara e inequivocabile, mi ha colpito un’altra cosa, non priva di importanza. Se ne ha un’idea quando si sente fare riferimento, qua e là, alla grande battaglia di Kursk dell’estate del 1943, che, insieme a Stalingrado, fu il punto di svolta della Seconda guerra mondiale. Anch’io uso l’analogia con Kursk senza tener conto degli incomparabili fattori quantitativi (il numero di forze, essenzialmente), ma con un obiettivo diverso, anche se capisco perfettamente la ragione generale dell’analogia.

Quello che sappiamo e vediamo, in innumerevoli frammenti, notizie da tutte le parti, video, esplosioni, la confusione e la nebbia furiosa della guerra, l’accensione improvvisa di una manovra, le grida di guerra e i lamenti di morte, questa sensazione di immensa trepidazione dello scontro, è che questa è, come Kursk, una “grande battaglia”; e quindi sentiamo che, come in ogni “grande battaglia”, c’è la svolta di una guerra… E questo non vuol dire, contrariamente a quanto ho detto prima, che io sia convinto della vittoria di una parte e della sconfitta dell’altra! Sto dicendo che si tratta di una “grande battaglia”, nello stesso modo in cui parliamo di un fatto storico che nasconde l’ascesa alla dimensione metastorica, – qualcosa in cui gli dei hanno voce in capitolo.

È anche un momento terribile, in cui tutte le domande che si agitano nella testa delle persone e da una testa all’altra si uniscono in un’unica domanda. Questo è ciò che sta accadendo negli ultimi giorni, quando è diventato chiaro che la battaglia non seguirà la strategia dei cartoni animati che costituisce la spina dorsale del pensiero dei cervelli che non hanno le palle e i bulloni necessari, i cervelli che sorvegliano il futuro del mondo dal punto di vista strategico mantenuto da “D.C.-il pazzo”. Tutto questo porta a quel momento fatale in cui tutte le voci che contano in Occidente – tossicodipendenti e purganti – devono riunirsi per regolare i conti… Come ha detto ieri l’eccellente Mercouris:

“Alcuni dei leader, i Blinken, i Nuland, i Rasmussen, erano tra quelli che pensavano davvero che non appena fosse stata lanciata l’offensiva, i leader russi sarebbero andati nel panico, le truppe avrebbero perso tutto il morale e si sarebbero sciolte, e così via. Da qui l’aspetto molto strano della decisione di lanciare l’offensiva. Ma ora che sappiamo che non è così, ora [che l’offensiva non ha prodotto, tutt’altro, se non il risultato opposto, l’auspicato crollo della Russia], sorge la domanda: cosa dobbiamo fare? E tutti gli aspetti di questa domanda stanno convergendo verso il vertice della NATO [a Vilnius l’11 luglio]…”.

Il punto principale, dunque, è questo: visto che non c’è stato un crollo completo e immediato e non siamo a Mosca, dove il vertice di Vilnius potrebbe essere stato trasferito all’ultimo minuto per celebrare la vittoria di Blinken-Nuland-Rasmussen, cosa si può fare? Pochi osano saperlo, e pochissimi, se non nessuno, osano dirlo, – proprio questo: al ritmo con cui vanno le cose, si scopre che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia, tutt’altro, e certamente il contrario, mentre l’Ucraina, con tutto quello che le è stato concesso, è già quasi la NATO. Riuscite a immaginare l’esito di questa logica, cosa significa? La finzione sta per crollare, improvvisamente così vicina ad essere abbracciata dalla gelida, insopportabile realtà – e la NATO trema dalla testa ai piedi.

Si può ben immaginare che in questo momento l’uno o l’altro stia brandendo un articolo di giornale, forse anche Rasmussen, in qualità di consigliere di Mister Z., si sarà infilato nella sala conferenze, e il testo del suo discorso – di cui si è parlato molto negli ultimi giorni – sarà brandito. Mercouris, aggirandosi tra la falange neocon, ha detto due giorni fa che i neocon hanno sempre un piano pronto da proporre, mentre nessuno nel resto della folla sconcertata ha un argomento da proporre… Permettetemi di ricordarvi la filosofia dei neocon, vista da Mercouris:

“I neocon non si tirano mai indietro. Se l’operazione che hanno lanciato ha successo, scelgono di intensificarla. Se l’operazione che hanno lanciato incontra grandi difficoltà, scelgono l’escalation”.

I neocon schiamazzano di piacere con il loro megafono Rasmussen, sicuri che il loro momento sia arrivato, mentre i polacchi esitano tra la loro famosa ubriachezza e una certa malinconia che deriva dai resoconti della battaglia in Ucraina: “È comunque un bel pezzo”. Il resto del pollame non osa dire ad alta voce ciò che non osa nemmeno pensare. Sul versante americano, Biden sta contando e ricontando le 32 o 34 accuse che i “federali” hanno mosso all’ex presidente Trump e le sta moltiplicando per 3,14116 (esattamente “3,14159265358979323846264338327950288419716939937510582” – e la lista continua – secondo i documenti riservati sequestrati dall’FBI con il codice “Pi”). Il suo obiettivo è ottenere proprio quella che ritiene essere la percentuale di voti favorevoli che i sondaggi gli assegneranno grazie a questo evento favorevole, e la facile vittoria che seguirà esattamente all’inizio del novembre 2024. A quel punto, giura, gli ucraini saranno seriamente aiutati – e lo dice come se pensasse che gli ucraini siano stati battuti nell’attuale controffensiva.

In generale, e nello stesso modo in cui vengono descritte nei dettagli le forze militari a nostra disposizione, ci viene detto quante persone manifesterebbero nelle strade e nelle urne se la NATO, con un unico gesto collettivo e compulsivo, decidesse di venire in aiuto dei coraggiosi polacchi, se questi ultimi, entrati in Ucraina, si trovassero a essere trattati male dalle orde russe – tanti “se”, ma come si muovono velocemente le cose! Come si vede e si osserva in anticipo, quasi con occhio divinatorio, “le sommet s’amuse”, come si diceva, ai tempi di Talleyrand, “Le Congrès s’amuse”.

Ma a differenza di Talleyrand, che era piuttosto pignolo, non si divertono per far andare meglio gli accordi e i compromessi, ma per dimenticare il loro sogno infranto. Vilnius potrebbe essere la loro strada per Damasco e, lo confessiamo, non sappiamo quali cose terribilmente terribili ci aspettano dopo. In ogni caso, ce lo siamo meritato e possiamo tutti unirci al coro del terribilmente sardonico Howard Kunstler, che si fa beffe degli sfortunati che hanno creduto in ciò che “le marionette fanno, fanno, fanno”:

“Quella che sembrava una grande idea per una certa cricca di cosiddetti neoconservatori nel nostro Paese – usare l’Ucraina come una trappola per orsi – ha invece improvvisamente rivelato i molteplici fallimenti dell’Europa e dell’America e ha indignato tutto il resto del mondo al di fuori della civiltà occidentale”. Oh, la meraviglia e la nausea!”.

Mi piace molto questa associazione, se non di idee, almeno di riflessi salvavita: “Oh, la meraviglia e la nausea!”.

https://www.dedefensa.org/article/la-grande-bataille

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La perdita della funzione esecutiva in Occidente, di Yves Smith

La perdita della funzione esecutiva in Occidente

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È una forzatura usare dati aneddotici per costruire una teoria… tranne quando le prove sono schiaccianti, come in questo caso, della diffusa erosione delle capacità esecutive. Non è controverso sottolineare che il calibro di ciò che passa per leadership in Occidente è ormai scadente, e c’è una carenza di promettenti nuovi arrivati ​​per sfidare la vecchia guardia. Quando Jamie Dimon è bravo come si arriva, sai che è brutto.

Il funzionamento di molte importanti istituzioni pubbliche e private è notevolmente peggiorato negli ultimi decenni. Probabilmente, la maggior parte di questi pesci è marcita dalla testa. E se è così, perché la funzione esecutiva, che in termini molto semplici sta valutando le situazioni, decidendo se e come agire, e portandole a termine, è decaduta così rapidamente che le scarse prestazioni di alto livello sono ampiamente visibili?

Questo è un fenomeno così vasto che spero che i lettori intervengano con esempi tratti dalle loro vite lavorative e personali. Per aiutare a stimolare la discussione, esporrò anche alcune possibili cause. Ma una patologia multisintomo che ha infestato organizzazioni già complesse può senza dubbio essere attribuita a molti driver. 1 E i driver possono differire a causa di condizioni preesistenti (strutture e norme sociali, focus istituzionale).

Alcuni dei tanti tanti esempi:

L’incapacità di chiunque nel governo federale con potere di presentarsi sulla scena dell’attentato al treno nella Palestina orientale . I funzionari federali dovrebbero apparire preoccupati, vedere in prima persona quali sono i bisogni più urgenti, promettere di aiutare e farlo.

Questo si distingue perché ci è voluto pochissimo sforzo per fingere che gli importasse, ma il Team Biden non poteva essere disturbato. È un lampante esempio di abbandono da parte del governo e dell’élite del marciume nel corpo pubblico: abuso di oppioidi, violenza armata (i suicidi sono ancora in cima agli omicidi), calo dell’aspettativa di vita. Quelli al vertice continuano come se questi problemi non fossero un loro problema, quando sono esposti a ripetuti danni causati dal Covid quanto gli ordini inferiori. 3

Il notevole declino del servizio civile britannico. I lettori ci dicono che è quasi del tutto svuotato, con (almeno fino a qualche anno fa) qualche vecchissimo scoreggia come Custodi della Conoscenza, e giovani non di grande caratura e non performanti a livelli storici. Questo decadimento è diventato evidente durante la Brexit, quando il Regno Unito ha spesso prodotto dichiarazioni di posizione sconclusionate e grandiose, in netto contrasto con le controparti europee scarne e accuratamente redatte. 2

Infrastrutture in decomposizione . La Volcker Alliance ha stimato che l’importo totale della manutenzione differita negli Stati Uniti fosse di oltre 1 trilione di dollari nel 2019 . Costruire strade e riparare ponti mette denaro nelle tasche locali e, grossolanamente, può comprare voti alle società nella catena di riparazione. È anche un vantaggio per gli affari, poiché strade più grandi e migliori significano un movimento più efficiente di merci e lavoratori. Nient’altro che il neoliberista hard core Larry Summers ha pompato proprio per questo tipo di spesa, dicendo che si ripagava da sola, che ogni dollaro di recupero delle infrastrutture poteva generare fino a 3 dollari di crescita aggiuntiva del PIL.

Promozione e allevamento di cattivi modelli di business . Solo di recente la stampa economica ha scoperto che la superstar aziendale Jack Welch era l’unico responsabile della distruzione di una società americana un tempo grande, la General Electric. 4 GE ha utilizzato il suo ramo finanziario per gestire i profitti a un livello che sapeva di frode. Gli analisti avrebbero dovuto sospettare, e non lo erano, della capacità simile a Madoff di GE di soddisfare i suoi numeri.

Intendiamoci, non è che Welch sia stato lodato. I media hanno una brutta tendenza a esagerare e poi attaccare. È che Welch è diventato l’archetipo di un nuovo cattivo prodotto americano, l’amministratore delegato come celebrità, e le sue nuove pratiche sono state adottate con tanto controllo quanto le diete di Hollywood, come licenziare il 10% del personale ogni anno.

E non era solo Welch, ma era un caso estremamente resistente. Considera gli S&L go-go. Enron. AI.G. Super. E per aggiungere la beffa al danno, molte società con performance solide come Toys’R’Us sono state stroncate dall’eccessivo indebitamento del private equity e dal sottoinvestimento.

Autocensura tra gli influentiUn contatto conservatore sostiene che gli Stati Uniti e l’Europa hanno leader inimmaginabilmente scadenti perché è quello che vogliono i ricchi e i potenti. Ma per quanto riguarda la Brexit? La comunità imprenditoriale non è riuscita a difendere i propri interessi, in particolare per quanto riguarda la necessità di una preparazione molto maggiore per un confine fisico. Mi è stato ripetutamente detto che erano stati costretti a tacere sulle imminenti interruzioni e sui costi per paura di rappresaglie del governo. Quindi chi è il responsabile, esattamente? Allo stesso modo, durante l’incessante gassma delle sanzioni dell’UE, i produttori tedeschi erano a bocca aperta su quanto l’energia più costosa avrebbe portato a tagli permanenti della produzione e persino alla chiusura degli impianti. Sicuramente ci sarebbe stato un modo accettabile per affrontare l’argomento, come il costo per le comunità che perderebbero il lavoro e come tale onere potrebbe essere condiviso.

Programmi inadeguati per il cambiamento climatico . Sì, è comprensibile, anche se disastroso, che l’azione per combattere il cambiamento climatico sia stata tristemente inadeguata. Troppe persone dovranno rinunciare alle comode abitudini e molte ciotole di riso saranno rotte. Ma la prova del funzionamento esecutivo danneggiato è la mancanza di piani arcobaleni e unicorni a piena noia, non a energia verde.

Il mondo sa che il cambiamento climatico si sta abbattendo su di noi almeno dai rapporti IPCC del 2007. Allora dov’è il mostruoso documento accademico/ONG che delinea una visione sistematica di come deve cambiare l’approvvigionamento per la società, in tutto il mondo? Potrebbero essere necessari a un team molto grande, diciamo 30 mesi, per produrre un rapporto con due scenari ben sviluppati. Sottolineare che l’esercito è una parte importante del problema sarebbe un motivo da solo per ingigantire questo tipo di documento. Un approccio sistematico, anche se i critici potessero bucarlo, eleverebbe il livello del pensiero e fisserebbe un livello più alto per altri piani.

Questi problemi sono così vasti e profondi che è molto improbabile che si prestino a spiegazioni riduzioniste. Ma lasciatemi suggerire alcuni possibili colpevoli:

L’erosione delle comunità locali e con esse la responsabilità. Quando ero bambino, negli Stati Uniti c’erano molte aziende con sede in città di medie dimensioni come Dayton, Ohio. Ciò, oltre al fatto che le città più piccole allora avevano regolarmente un giornale mattutino e serale, significava che c’era un gruppo di notabili locali che si preoccupavano della loro immagine e statura ed erano (rispetto a adesso) soggetti a essere imbarazzati nella loro città se colti in fallo. condotta di servizio. Al contrario, era anche relativamente economico guadagnare capitale culturale, ad esempio donando a un’importante organizzazione di beneficenza locale o sponsorizzando programmi di studio-lavoro presso l’università locale.

Certo, dati i costi di approvazione regolamentare, i farmaci non sono prodotti locali. Ma pensi che i Sackler avrebbero potuto farla franca creando quasi da soli la crisi degli oppioidi se fossero stati in prossimità delle comunità che stavano distruggendo? Erano usciti direttamente dalla sceneggiatura del Terzo Uomo:

Il relativo problema della complessità . Mentre le industrie americane ed europee si sono prima consolidate, spostando l’azione aziendale verso un numero minore e più grande di città e poi l’outsourcing e l’offshoring hanno preso piede, i dirigenti stanno gestendo operazioni molto più tentacolari, complesse ed esposte al rischio.

Gli esseri umani hanno una cattiva tendenza a voler fare affidamento su semplici regole decisionali e sul falso conforto delle metriche (vedi qui per una discussione di lunga durata… nel 2006!). Da un post di quest’anno :

Poiché le aziende e gli ambienti competitivi sono diventati più difficili da affrontare, molti capi aziendali sono ricaduti su semplici linee guida come “Massimizza il valore per gli azionisti”. Ma il principio di obliquità rileva che in sistemi altamente complessi non possiamo avere una comprensione sufficiente del loro comportamento per tracciare un semplice corso. Una breve introduzione di questa idea, dall’ex editorialista del Financial Times John Kay, che ha sottolineato che quando le aziende cercano di “massimizzare il valore per gli azionisti”, non ci riescono :

Gli approcci obliqui sono più efficaci su terreni difficili o dove i risultati dipendono dalle interazioni con altre persone. L’obliquità è l’idea che gli obiettivi spesso si raggiungono meglio se perseguiti indirettamente.

L’obliquità è caratteristica dei sistemi che sono complessi, imperfettamente compresi e cambiano la loro natura mentre ci impegniamo con loro…

L’obliquità dà origine al paradosso della ricerca del profitto: le aziende più redditizie non sono le più orientate al profitto. ICI e Boeing illustrano come una maggiore attenzione ai rendimenti per gli azionisti sia stata controproducente nei suoi termini ristretti. I confronti delle stesse aziende nel tempo si rispecchiano nei contrasti tra diverse aziende degli stessi settori. Nel loro libro del 2002, Built to Last: Successful Habits of Visionary Companies, Jim Collins e Jerry Porras hanno confrontato aziende eccezionali con aziende adeguate ma meno straordinarie con operazioni simili… in ogni caso: l’azienda che ha posto maggiore enfasi sul profitto nella sua dichiarazione di obiettivi era il meno redditizio nei suoi bilanci.

Ritorno al tribalismo e al clientelismo . Nelle società complesse, i partecipanti affrontano obblighi concorrenti e spesso contrastanti. Amo la saggezza del grande teorico sociale Jamie Lannister:

Tanti giuramenti… ti fanno giurare e giurare. Difendi il re. Obbedisci al re. Mantieni i suoi segreti. Fai i suoi ordini. La tua vita per la sua. Ma obbedisci a tuo padre. Ama tua sorella. Proteggi gli innocenti. Difendi i deboli. Rispetta gli dei. Rispetta le leggi. È troppo. Non importa quello che fai, stai abbandonando un voto o l’altro.

Quindi cosa succede quando quasi nessuno, anche in cima alla catena alimentare, aveva un trespolo sicuro? Pensa al destino di un dirigente che il CEO vede come una minaccia perché il suddetto dirigente sta mettendo in discussione alcuni tagli normativi? Gli alti ufficiali che vengono improvvisamente espulsi in genere hanno difficoltà ad atterrare bene. Addio non solo vacanze sulla neve e casa estiva, ma potenzialmente la cooperativa dell’Upper East Side e le lezioni alla Dalton.

Questa maggiore necessità percepita di concentrarsi sull’autoconservazione della carriera combacia con la tendenza negli Stati Uniti per l’istruzione superiore a diventare un esercizio di credenziali, non di apprendimento. 5 Il motivo per cui le ragazze ottengono risultati migliori in matematica in Iran e in altre parti del Medio Oriente rispetto ai ragazzi è, per la maggior parte, il livello di istruzione che non aiuta con le prospettive di carriera. Dipendono quasi interamente dalla connessione familiare/tribale. Per le ragazze, tuttavia, andare bene a scuola dà loro un vantaggio in un mercato del lavoro generalmente ostile alle donne.

Poiché il ruolo dell'”educazione d’élite come preservazione della classe” è diventato ovvio, 6 i suoi effetti corrosivi vengono persi. Significa che le prestazioni al college non contano poi così tanto. Ciò è coerente con l’abbattimento segnalato anche di programmi universitari apparentemente di alto livello.

Se gli studenti imparano a pattinare al college, non è difficile pensare che porteranno queste abitudini nella vita. Da qui l’eccessivo affidamento sulla disinvoltura e l’elusione delle controversie.

Mi fermo qui. Potrei facilmente scrivere un post quattro volte più lungo e graffiare a malapena la superficie. Quindi forse è meglio lasciare questo pezzo come un espediente di forzatura e cercare input e commenti dal nostro commentatore saggio.

_____

1 Sebbene molti siti Web medici contengano sezioni sulla compromissione delle funzioni esecutive, Medical News Today sottolinea :

Le abilità della funzione esecutiva aiutano le persone a completare le attività e interagire con gli altri. Includono una serie di abilità, come:

  • pianificazione e organizzazione
  • concentrare e gestire la concentrazione mentale
  • analizzare ed elaborare le informazioni
  • gestione delle emozioni e del comportamento
  • ricordare i dettagli
  • gestire il tempo
  • multitasking
  • risolvere problemi

Un disturbo della funzione esecutiva compromette alcune di queste abilità, che possono influire sulla capacità di una persona di gestire e organizzarsi per raggiungere gli obiettivi.

Tuttavia, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 5a edizione ( DSM-5 ) non riconosce il disturbo della funzione esecutiva come una specifica condizione di salute mentale. Invece, i problemi della funzione esecutiva sono sintomatici di altri disturbi neurologici, di salute mentale e comportamentali.

2 Alcuni potrebbero denigrare l’importanza di preparare solidi documenti di posizione: “Oh, l’UE è un disastro. Che importa se possono produrre bei documenti? Questo punto di vista rivela un grave malinteso su come funzionano le organizzazioni grandi e, in particolare, altamente politiche. Il processo di stesura delle dichiarazioni è un mezzo per (si spera) raggiungere un consenso. Una stesura migliore e più attenta generalmente significa che i partecipanti hanno riflettuto a lungo su ogni parola. Inoltre, essere in grado di produrre risultati di livello professionale è uno standard minimo per poter fornire il lavoro del personale completato. Ciò non significa che l’UE possa svolgere bene compiti di ordine superiore, ma almeno conserva alcune competenze di base che il Foreign Office del Regno Unito, in passato una delle sue operazioni più prestigiose, ha perso.

3 Le élite che pensano che Covid li lascerà andare facilmente è un’altra forma di autoillusione (prima di discutere, ricordi tutte le foto di presunti aiutanti sporchi che indossano maschere alle feste, servono ospiti senza maschera?) Forse perché la magrezza è un indicatore di status, credono che non essere grassi o diabetici significhi che Covid sarà gentile con loro. Ma i sopravvissuti al cancro sono ad alto rischio. E IM Doc e altri hanno osservato che il super fit è stato spesso duramente colpito da Covid. Il fanatismo del fitness ha un forte seguito tra i benestanti.

4 Un’amica ha iniziato la sua carriera lavorativa in una posizione di impiegato presso GE e si è fatta strada nella gestione delle operazioni. Ha imparato così tanto che in seguito è stata in grado di voltarsi e gestire un produttore di nicchia di successo che ora ha clienti come Mercedes e NASA. Molto prima che l’aureola di Welch fosse rimossa, stava raccontando capitolo, libro e versi di come Welch aveva ereditato un’azienda superbamente funzionante da Reg Jones e aveva rapidamente iniziato a farla crollare.

5 Per favore, non provare a dire che le educazioni della Ivy League sono inutili. Ho imparato molto ad Harvard, incluso l’equivalente della coordinazione occhio-mano nella scrittura (come fare in modo che una frase dica quello che intendevo dire, e non più o meno), sintetizzando grandi quantità di informazioni e scrivendo lunghi documenti (come nell’essere in grado di strutturare un argomento complesso con prove a sostegno).

6 Quando ero bambino, le ammissioni ereditarie non erano poi così importanti per Harvard o Yale. Ogni scuola avrebbe potuto accettare il quadruplo dei candidati da artisti del calibro di Andover, Exeter, Groton e St. Paul’s rispetto a quelli che hanno fatto, e molti dei respinti provenivano da famiglie ereditarie. Allo stesso modo, solo uno studente che ho incontrato da una vecchia famiglia non è riuscito nell’area dei risultati intellettuali / accademici. Gli altri, a parte qualche volta ostentare i loro modi particolarmente simpatici e ammettere di essere esperti sciatori e/o velisti, per il resto erano praticamente alla pari con gli altri studenti.

https://www.nakedcapitalism.com/2023/06/the-loss-of-executive-function-in-the-west.html

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In un modo o nell’altro …. Ti prenderemo. _ AURELIEN

In un modo o nell’altro ….
Ti prenderemo.

AURELIEN
7 GIU 2023
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La maggior parte di noi ha visto prima o poi l’Amleto di Shakespeare e ne ricorda gli ultimi minuti: corpi che si accumulano ovunque, mentre l’ambasciatore norvegese si guarda intorno sconsolato alla ricerca di qualcuno ancora vivo a cui presentare le proprie credenziali.

Shakespeare era consapevole che qui, come nei Roman Plays, in Macbeth o anche in Romeo e Giulietta, stava descrivendo una società in cui il potere era tutto, e in cui le figure politiche erano essenzialmente indistinguibili dai gangster, con conflitti incessanti tra individui, famiglie e clan, rancori nutriti per generazioni, e nulla mai perdonato o dimenticato.

All’epoca di Shakespeare, l’unificazione e la centralizzazione dell’Inghilterra fecero sì che questo tipo di comportamento appartenesse per lo più al passato. Le leggi e le procedure avevano sostituito l’etica dei gangster: Enrico VIII fece giustiziare Thomas Cromwell perché si era stancato di lui, ma almeno dopo una sorta di processo. Eppure le storie di vendetta erano ancora popolari quando Shakespeare scriveva, e di fatto non hanno mai perso il loro fascino primitivo, atavico. La vendetta o la riparazione di torti reali o percepiti suscita qualcosa di profondo e primitivo in tutti noi, ed è ancora oggi presente ovunque nella cultura popolare e persino in quella d’élite.

Questo saggio tratta delle conseguenze politiche della sopravvivenza atavica del pensiero della vendetta nell’era moderna e della sua collisione con la crescente imposizione di norme giuridiche dello Stato liberale. Il desiderio di vendetta, di solito vicario, convive a disagio con l’attaccamento teorico a procedure legali oggettive; ma quando queste procedure non riescono a produrre un risultato che riteniamo moralmente soddisfacente, le abbandoniamo per qualcosa di molto più primitivo.

Esaminerò tre contraddizioni. In primo luogo, confondiamo abitualmente il diritto con la giustizia, senza essere veramente certi del significato di ciascun concetto. Quando il diritto non ci dà ciò che consideriamo giustizia, ci lamentiamo. In secondo luogo, mentre chiediamo la massima protezione procedurale e legale per noi stessi, siamo riluttanti a estendere questa protezione alle persone che non ci piacciono. Queste persone meritano giustizia, anche se in modo approssimativo. Infine, la maggior parte di noi è impegnata in un doppio pensiero per la maggior parte del tempo, volendo pensare a noi stessi come moderni, razionali e umani, ma cadendo con una velocità sconcertante nel mondo mentale del pubblico di Shakespeare: Amleto, la vendetta!, e spendiamo qualche sforzo per persuadere noi stessi e gli altri che queste due cose sono in realtà la stessa cosa.

Cominciamo, però, con una passeggiata attraverso alcune semplici definizioni e qualificazioni. Che dire, ad esempio, di “giustizia”? A volte chiedo agli studenti cosa pensano che significhi questo termine, e per lo più le risposte riguardano i sistemi di giustizia: tribunali, polizia, leggi, ecc. Ma in realtà la giustizia all’origine non significa affatto questo: nella felice espressione di Michael Sandel, si tratta della “cosa giusta da fare”, e in effetti sono stati scritti interi libri sul concetto di giustizia senza alcun riferimento al crimine e alla punizione. La giustizia riguarda quindi il nostro concetto di come dovrebbero essere gestiti gli affari pubblici e come dovrebbero essere trattate le persone. Un sistema di giustizia è un sistema che cerca di garantire che ciò che le persone ritengono “giusto” avvenga effettivamente nella pratica, e che ciò che è “ingiusto” venga sanzionato.

Ciò che pensiamo sia “giusto” cambia molto con il tempo e il contesto, e idealmente, almeno, le leggi dovrebbero cambiare lentamente, per riflettere i cambiamenti di atteggiamento che influenzano le nostre idee su ciò che è giusto e ciò che non lo è. Buoni esempi sono la depenalizzazione dell’omosessualità e dell’aborto nella maggior parte dei Paesi negli anni ’60 e ’70, che sono stati il risultato di cambiamenti graduali negli atteggiamenti sociali dopo la Seconda Guerra Mondiale. I cattivi esempi sono tutti i tentativi di usare la legge per forzare l’accettazione di cambiamenti sociali per i quali l’opinione pubblica non è ancora pronta: ciò scredita il sistema giuridico nel suo complesso.

Quando pensiamo alle “leggi” pensiamo subito a una densa prosa tecnica in grandi libri che solo gli specialisti possono capire: ma in realtà le origini del diritto sono proprio nel senso popolare di ciò che è giusto. Naturalmente, per la maggior parte della storia dell’umanità, le società sono state per lo più analfabete e l’idea di discutere sulle sfumature delle clausole dei documenti sarebbe sembrata ridicola. La legge era fondamentalmente tradizione: il greco Nomos o l’egiziano Ma’at vengono spesso tradotti oggi con “legge”, ma in realtà significano fondamentalmente “usanza” o “ciò che facciamo”. In una società largamente analfabeta, si trattava di un insieme di precedenti tramandati dal passato, che tutti conoscevano. In effetti, la legge scritta è stata considerata con un certo sospetto fino a tempi relativamente recenti: la maggior parte delle civiltà prima della nostra ha voluto evitare di essere legata troppo strettamente alle parole nel prendere decisioni. I grandi casi giuridici dell’antichità (il processo a Socrate, per esempio) erano molto lontani da ciò che oggi intendiamo come processo giuridico.

Negli ultimi secoli si è assistito a una costante invasione pratica della lettera sullo spirito della legge, mentre allo stesso tempo le concezioni popolari (e per questo elitarie) di ciò che la giustizia è, o dovrebbe essere, non sono cambiate molto. Ciò ha creato una notevole tensione, perché non sempre ciò che la Legge dice effettivamente è ciò che pensiamo dovrebbe dire, o ciò che ci fa comodo. Negli ultimi tempi, inoltre, le élite politiche e intellettuali sono state disposte a usare la legge come arma politica, fingendo di rispettare procedure oggettive. Il risultato è stata tutta una serie di trattati, leggi, accordi, convenzioni e altro, che hanno cercato di portare chiarezza e coerenza nella confusione delle relazioni umane e istituzionali, non sempre con successo. Vediamo alcuni esempi del perché.

Il diritto è, almeno in linea di principio, un costrutto coerente e logico, con procedure e risultati che dovrebbero essere ripetibili. Pertanto, sebbene i giudici e le giurie non siano macchine che producono meccanicamente verdetti, in un sistema che funziona correttamente lo stesso insieme di prove, presentate con competenza dalle diverse parti, dovrebbe produrre risultati simili. Quando i giudici differiscono, ad esempio, dovrebbero comunque soppesare gli stessi fattori secondo gli stessi criteri. Nei processi penali di routine, o nei casi giuridici tecnici in cui esiste una grande quantità di legislazione e di precedenti, questo avviene generalmente. La difficoltà sorge quando la “legge” viene invocata come arma in situazioni cariche di emozioni e spesso oggetto di campagne politiche, e dove qualsiasi risultato deluderà qualcuno, per ragioni politiche. E c’è il segno che questa situazione sta peggiorando, dato che gruppi di interesse di ogni tipo immaginabile cercano di usare la legge come strumento spuntato per raggiungere obiettivi politici, e credono che essa possa e debba piegarsi alla loro volontà.

Il diritto penale è particolarmente esposto a questo tipo di manipolazione, perché in realtà prevede una serie di criteri rigorosi per quanto riguarda le prove ammissibili, lo standard di prova richiesto e la protezione concessa all’imputato. Questi criteri sono spesso incompatibili con l’impulso atavico alla vendetta o addirittura alla “giustizia”, che può essere all’origine dei processi penali e che influisce sul modo in cui il risultato viene percepito. I pubblici ministeri esperti sanno che le prove sono talvolta incomplete o carenti, che le testimonianze oculari sono tra il dubbio e l’inutile, che i testimoni possono sbagliare o dimenticare, che le autorità possono trascurare i punti deboli dei loro casi e che le persone possono confessare cose che non hanno fatto e non potrebbero fare. Di conseguenza, e a seconda della soglia di perseguibilità, fino a un terzo dei procedimenti giudiziari si concluderà con un nulla di fatto. Ma questa non è una debolezza del sistema, è il sistema che funziona come dovrebbe. Sono tutt’altro che un ammiratore acritico di John Rawls, ma credo che il suo argomento del Velo d’Ignoranza abbia un posto qui. Allontanatevi dalla furia delle lotte politiche condotte nel discorso del diritto e chiedetevi: che tipo di sistema giuridico vorreste se non sapeste in anticipo quale ruolo dovrete svolgere: vittima, testimone, accusato? Ma la maggior parte di noi non è in grado di mantenere questo grado di distacco: chiediamo per noi stessi tutele legali che poi non siamo disposti a estendere a coloro con cui non siamo d’accordo o che non ci piacciono. Per esempio, ho avuto conversazioni con donne intelligenti e istruite che vogliono l’inversione dell’onere della prova nei casi di stupro, in modo che l’accusato debba dimostrare la propria innocenza. Sono abbastanza aperte sul fatto che questo serve a garantire che più uomini vengano mandati in prigione e che, mentre ci saranno sicuramente molti errori giudiziari, questo è “giustificato” dall’affermazione che in altri casi i veri criminali possono averla “fatta franca”. In altre parole, si tratta di una punizione collettiva di gruppo, che è una delle più antiche concezioni di “giustizia” al mondo.

In effetti, uno dei maggiori problemi che il diritto penale incontra nell’attuale ambiente politicizzato e armato è proprio il fatto che la sua attenzione si concentra necessariamente sugli individui e sulle loro circostanze specifiche, mentre l’attenzione politica è spesso rivolta ai gruppi, o ai loro membri, e il criminale è visto soprattutto come un membro del gruppo e i presunti reati come parte di un modello.

Su questo si potrebbe dire molto di più, ma in pratica è impossibile che l’atavico impulso alla “giustizia” e alla vendetta collettiva, e il trattamento burocratico degli individui basato sulle regole, producano mai risultati che soddisfino tutti. Ma almeno, si può sostenere, se si vuole un sistema di diritto oggettivo e non l’ultimo atto di Amleto, bisogna essere pronti ad accettare che a volte le cose non andranno come vorremmo. Tra poco parlerò di alcuni importanti effetti politici internazionali di questa riluttanza, ma prima voglio discutere brevemente di altri due settori in cui il diritto (almeno secondo un’interpretazione) e la politica sono entrati in collisione in modo multiplo.

Il primo è il diritto internazionale, dove si discute persino su dove esista oggettivamente il soggetto, o almeno se esso conti come “diritto”. Non c’è dubbio che indossi un pesante travestimento giuridico e utilizzi procedure e terminologia che assomigliano ad altri tipi di diritto, ma il dibattito tra coloro che pensano che sia un tipo di diritto (essenzialmente i giuristi internazionali) e coloro che pensano che non lo sia (essenzialmente tutti gli altri) non potrà mai essere risolto. Il punto fondamentale è l’applicabilità: il diritto internazionale non è stato e non può essere applicato, se non contro le piccole e deboli potenze, e molti sostengono che questo non sia sufficiente. Piuttosto, il diritto internazionale è meglio inteso come un discorso; un corpo di discorsi e azioni che serve a strutturare e far rispettare la comprensione di una data situazione internazionale e a prevenire le sfide a coloro che hanno il potere di stabilire questo discorso. E come tutti i discorsi, anche quello del diritto internazionale può cambiare rapidamente: Ho già commentato più volte la rapidità con cui, all’epoca del conflitto in Kosovo nel 1999, si è improvvisamente ricordato che la presunzione post-1945 di non intervenire militarmente in altri Paesi era “sempre” stata subordinata al “rispetto dei diritti umani” o a una formula simile. Il risultato, in parte attraverso dottrine come l’intervento umanitario, la responsabilità di proteggere e la rappresaglia preventiva, che non hanno alcuno status nel diritto internazionale, è stato un concetto che essenzialmente si adatta a ciò che i potenti desiderano fare, condannando il comportamento degli altri. E anche se storicamente questa era la prassi, sta diventando sempre più la teoria dominante.

Ciò che è cambiato, tuttavia, è la crescente convinzione che il diritto (in questo caso il diritto internazionale) debba conformarsi alla nostra visione contemporanea, normativa e basata sull’ego del mondo: un sistema che non solo serva ai nostri scopi, ma che incarni anche le nostre norme, anche se cambiano. Soprattutto, la legge non dovrebbe impedirci di fare ciò che vogliamo o che è “giusto”. Poco prima dell’invasione dell’Iraq, ricordo una conversazione con un funzionario del governo americano che menzionava una riunione a cui aveva appena partecipato, in cui una Grande Persona si era lamentata che “se il diritto internazionale ci impedisce di rovesciare Saddam Hussein, ci deve essere qualcosa di sbagliato nel diritto internazionale”. Inquietantemente, molti avvocati dell’epoca sembravano essere d’accordo. Ma questo approccio guidato dall’ego, che richiede che la legge ci dica che abbiamo ragione, sembra in realtà piuttosto comune. Durante la crisi in Bosnia ho partecipato a un seminario di accademici arrabbiati, molti dei quali chiedevano di “fermare le uccisioni” uccidendo le persone che disapprovavano. Ho fatto notare che molte delle idee più bizzarre che venivano avanzate andavano contro il diritto internazionale, ma “questa è una cosa troppo seria per preoccuparsi del diritto internazionale”, ha detto un professore di diritto internazionale seduto accanto a me, in modo schiacciante, mentre dall’altra parte del tavolo un altro partecipante ha azzardato l’opinione che gli Stati che opprimono i propri popoli non dovrebbero comunque aspettarsi di beneficiare delle protezioni del diritto internazionale. Come dimostrano questi due esempi (e ce ne sono stati molti in seguito), il diritto internazionale non è solo un discorso di potere, ma anche un discorso di persone che vogliono il potere, o che vogliono provare il brivido di vedere morte e distruzione inflitte a persone che non amano, ma sotto un sicuro camuffamento legale. È compito degli avvocati, in queste circostanze, trovare giustificazioni razionali per l’inaccettabile, ma in fondo è a questo che servono gli avvocati, suppongo. Ma agli occhi della maggior parte del mondo questo uso improprio della legge è di per sé inaccettabile, ed è per questo che i cinesi, gli indiani e i russi parlano del ritorno a un sistema basato sulla legge, in contrapposizione all’attuale ossessione per un sistema “basato sulle regole” in cui le regole sono stabilite da una cricca autoproclamata. (Un modo semplice per concettualizzare la differenza è considerare la Chicago degli anni Venti, dove esisteva un sistema basato sulla legge, anche se ampiamente corrotto e ignorato, ma almeno ufficiale, e un sistema basato sulle regole originato e applicato dai vari gruppi di gangster della città).

Un caso correlato è quello della legge sui “diritti umani”, che è essenzialmente una serie di trattati, leggi e dichiarazioni che possono essere analizzate, anche se con un certo sforzo, come se fossero leggi vere e proprie. La differenza è che alcune sono effettivamente applicabili, anche se spesso con difficoltà, nei confronti della gente comune. Il problema è concettuale: la maggior parte delle leggi sulle risorse umane è così vaga e internamente incoerente che è molto difficile estrarne un senso coerente. Molti documenti chiave sono stati redatti così tanto tempo fa che non riflettono più il mondo attuale o, in alternativa, sono talmente contorti nel loro linguaggio nel tentativo di accontentare tutti che possono supportare quasi ogni interpretazione. Il risultato è che i giudici, spesso specialisti eruditi con poca esperienza della realtà dei soggetti che stanno valutando, assaliti da argomentazioni complesse e spesso reciprocamente incomprensibili da parte delle lobby politiche, finiscono per esprimere giudizi essenzialmente politici, a seconda di come si sentono o della loro lettura dei venti politici del momento. Questo toglie non solo la legittimità ai governi e ai parlamenti eletti, ma anche qualsiasi possibilità ai cittadini comuni di far sentire la propria voce contro il potere delle lobby e dei media. Si potrebbe dire molto di più, ma per il momento limitiamoci a notare che questo tipo di “legge” è in pratica solo un altro modo per la casta professionale e manageriale occidentale di imporre le proprie norme e i propri desideri al resto di noi; tanto più facilmente perché gli avvocati che discutono i casi, i media che li riportano e i giudici che li decidono sono tutti membri della stessa casta. Questo è un altro caso in cui la legge è chiaramente solo un riflesso del potere, e di conseguenza viene screditata.

Il più grande esempio di abuso del concetto di diritto, tuttavia, è probabilmente l’applicazione del diritto penale ai conflitti armati, o più precisamente il modo in cui si è sviluppato negli ultimi trent’anni, e la sua politicizzazione in un’arma PMC per la soppressione di leader e governi irritanti. Si tratta del concetto di Diritto Internazionale Umanitario, nato con ideali abbastanza nobili, ma che da allora è stato completamente catturato dal sistema di potere internazionale.

Tradizionalmente, la guerra era spietata e crudele quanto la politica dinastica, di cui spesso faceva parte. Le città-stato greche praticavano allegramente il genocidio l’una contro l’altra e l’Impero romano, si potrebbe dire, è stato scavato su montagne di cadaveri. Proprio perché la maggior parte delle guerre era di tipo dinastico, ovvero una lotta a somma zero tra imperi e principati, lo sterminio era il metodo normale di lotta: dopo tutto, finché un solo parente maschio o un membro della linea reale rimaneva in vita, la guerra poteva riaccendersi in un secondo momento. Era normale che tutti i maschi superstiti di una città venissero massacrati e che le donne e i bambini venissero venduti come schiavi, dopo che la città era stata rasa al suolo e tutto ciò che aveva valore era stato rubato. (Questo tipo di comportamento era considerato ammirevole e su di esso sono state scritte epopee). Questo tipo di comportamento non era limitato all’Europa e al Medio Oriente: le guerre dei samurai erano almeno altrettanto sanguinose: basti pensare a Ran di Kurosawa.

Le prime mosse per controllare la guerra furono fatte dai comandanti e dai governi nazionali piuttosto che dai giuristi. Aveva senso pratico trattare bene la popolazione locale ed estendere ai feriti del nemico la stessa considerazione che si voleva avere per i propri. La professionalizzazione militare, gli eserciti di leva di massa, i moderni sistemi logistici e lo sviluppo di una casta militare internazionale hanno reso più facile per i governi accettare le proposte di limitazioni alla guerra, almeno tra Stati di pari livello. Non è questa la sede per approfondire la lunga e intricata storia dei tentativi di “umanizzare la guerra”: Voglio piuttosto iniziare da dove siamo ora, esaminando alcuni dei problemi pratici dell’applicazione del diritto alla guerra e come questi problemi abbiano prodotto un’atmosfera velenosa di odio e desiderio di vendetta, guidata dalla PMC internazionale e come modo per distruggere i propri nemici.

A differenza delle regole per cercare di rendere la guerra più umana, che spesso sono state create dagli stessi militari, le idee per le indagini e le punizioni penali sono praticamente sempre arrivate da attori esterni, spesso con una comprensione molto limitata della realtà del conflitto, ma con molto fervore morale. In alcuni casi (il processo di Norimberga è l’esempio più ovvio) i processi erano la soluzione meno peggiore a un problema ovvio: i leader del regime nazista non potevano essere lasciati in vita. Così, il verdetto veniva prima delle prove, che venivano prima delle accuse, che venivano prima delle indagini. Ma è dubbio che ci fosse una soluzione migliore, così come è dubbio che Norimberga debba essere un precedente per qualsiasi cosa.

Il fatto che per mezzo secolo non siano stati celebrati processi analoghi non è dovuto tanto all’assenza di crimini e atrocità, quanto al fatto che non c’era la necessità o la volontà politica di affrontarli nello stesso modo. È stato solo all’inizio degli anni Novanta che una combinazione di ONG sempre più potenti, mezzi di comunicazione di massa, televisione satellitare e la consapevolezza da parte degli Stati che il discorso del diritto penale poteva essere politicamente utile, si sono combinati, prima nel caso dell’ex Jugoslavia e poi del Ruanda, per produrre tribunali penali internazionali. Nel caso dell’ex Jugoslavia, inoltre, molti degli Stati successori erano deboli e uno era sotto occupazione militare. Nel caso del Ruanda, la dittatura in carica era più che pronta a vedere i suoi oppositori spediti in tribunale. Una tale combinazione di circostanze non si era mai verificata prima e non si sarebbe mai più verificata.

Le pressioni per i tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e il Ruanda non provenivano da avvocati penalisti, ben consapevoli dei potenziali problemi, ma da una coalizione di personaggi dei media, avvocati per i diritti umani, opportunisti politici e governi occidentali alla ricerca di “qualcosa” da fare per calmare l’opinione pubblica infiammata. A posteriori, è abbastanza chiaro che questi gruppi di interesse non avevano la minima idea di cosa sarebbe stato necessario fare e che le probabili difficoltà in ogni caso li hanno lasciati indifferenti. Il processo di pensiero è stato essenzialmente (1) ho visto cose terribili sulla mia TV (2) qualcuno deve essere ritenuto responsabile e punito. Il processo, nella misura in cui doveva esserci, era visto come una formalità. Madeline Albright, affettuosamente conosciuta (da lei stessa) come la “Madre del Tribunale”, pare abbia ipotizzato che il Tribunale per la Jugoslavia sarebbe durato forse un paio d’anni, avrebbe incriminato e condannato una ventina di serbi bosniaci e poi avrebbe chiuso. Nessuno dei progenitori dei tribunali ad hoc, pieni di rabbia e di desiderio di vendetta vicaria, ha mai pensato a cose banali come le prove, i testimoni, le testimonianze e un processo equo.

Questa è stata la prima e fondamentale debolezza dei tribunali ad hoc, che è rimasta tale anche per la Corte penale internazionale e per gli sforzi successivi. Gli avvocati per i diritti umani erano scandalizzati dal fatto che i testimoni (“vittime” nel loro linguaggio) potessero essere sottoposti a controinterrogatorio: sostenevano che sarebbe stato troppo traumatizzante. Quando Slobodan Milosevic, anch’egli abile avvocato, decise infine di riconoscere il tribunale jugoslavo e di condurre la propria difesa, distrusse completamente diversi testimoni dell’accusa, suscitando orrore e sgomento nella comunità dei diritti umani. Dopo tutto, ha sostenuto un opinionista del Guardian, credo, le vittime di Milosevic non hanno avuto un processo equo, quindi perché lui avrebbe dovuto? Sicuramente non si poteva permettere che nulla di così banale come le prove si frapponesse a un verdetto di colpevolezza? E una volta permesso alla difesa di mettere in dubbio la validità delle prove, qualsiasi risultato, persino l’assoluzione, era possibile.

Iniziò così la trasformazione della lobby delle Risorse Umane da un simpatico ma inefficace gruppo di persone benintenzionate in un commando della morte della PMC, che usava la legge (o una sua interpretazione) per distruggere le persone che disapprovava. I diritti umani, si scoprì, non potevano proteggere assolutamente tutti, e i sostenitori delle risorse umane non vedevano nulla di problematico nel sostenere il rapimento e la detenzione senza processo di persone che identificavano come malfattori, anche se non erano stati effettivamente accusati di nulla. In questa visione, i tribunali erano in pratica poco più che il braccio punitivo della comunità delle risorse umane, e il compito degli investigatori era quello di trovare le necessarie prove di colpevolezza, o almeno qualcosa che le assomigliasse. Un esempio classico è il regresso di Geoffrey Robertson, un avvocato britannico e attivista per i “diritti umani” che in precedenza aveva difeso cause impopolari. Durante la fervida atmosfera della fine degli anni Novanta, quando l’entusiasmo per i tribunali era al suo apice, aveva scritto della necessità di garantire che i vari malfattori fossero messi in prigione per “i crimini di cui sono colpevoli”. Diversi altri esperti di diritto che, a differenza di Robertson, non avevano dormito durante le lezioni di diritto penale a Oxford, furono costretti a far notare che nessuna di queste persone era stata processata e tanto meno giudicata colpevole. La legge può essere noiosa a volte. In seguito ho visto che il signor Robertson avrebbe partecipato a un finto “processo” di Slobodan Milosevic alla radio della BBC, e ho letto un po’ più a fondo per scoprire come avrebbe gestito la difesa di Milosevic, per poi scoprire che si presentava per l’accusa. Alla faccia delle cause impopolari.

L’effetto di tutto questo è stato essenzialmente quello di rovinare la credibilità che i tribunali internazionali hanno mai avuto. Ma, a onor del vero, va anche detto che spesso è stato chiesto loro di fare un lavoro impossibile. Concludo con due esempi. Il primo è il concetto, un po’ tecnico ma molto importante, di responsabilità di comando, che recentemente è stato esteso non solo ai comandanti militari, ma anche ai leader politici.

Dobbiamo innanzitutto ricordare che nei conflitti armati si uccidono persone, anche innocenti. Le leggi di guerra distinguono tra “obiettivi militari” che possono essere attaccati e altri che non possono esserlo. Inoltre, considerano bersaglio ammissibile chiunque porti armi o prenda parte attiva al conflitto, anche donne e bambini. Nella maggior parte dei conflitti odierni, tuttavia, queste distinzioni sono inutili, poiché non esiste una vera e propria linea di demarcazione tra coloro che partecipano al conflitto e coloro che non vi partecipano, e la maggior parte degli avversari non accetta comunque il nostro concetto di legge di guerra. In questo senso, la legge di guerra si discosta ogni anno di più dalla realtà della guerra, il che non può mai essere una buona cosa. In genere, un caporale di vent’anni in missione di pace, lontano da casa in un Paese di cui non parla la lingua, potrebbe trovarsi di fronte a un adolescente che gli si avvicina all’ingresso del complesso indossando cuffie e occhiali da sole, portando con sé uno zaino e rifiutando l’ordine di fermarsi. Il caporale potrebbe avere cinque secondi per decidere se sparare (e magari esporsi a un’accusa di omicidio e a uno scandalo internazionale) o non sparare, e magari diventare vittima di un attentatore suicida.

In teoria, i comandanti dovrebbero impartire ordini chiari e fermi per evitare che si verifichino errori e violazioni, e sono responsabili di ciò che fanno i loro soldati. Ma questa responsabilità, anche per gli avvocati delle risorse umane, non è assoluta. Nessun comandante può passare il proprio tempo a controllare con sospetto il comportamento di ogni soldato: quella che i militari chiamano catena di comando dovrebbe occuparsi almeno in parte di questo. Ma ci sono stati casi giudiziari che hanno messo in discussione l’estensione di questa responsabilità. Un caso classico è quello del generale Stanislav Galic, comandante delle forze serbo-bosniache che assediarono Sarajevo per tre anni. Nonostante l’impressione data dai media, la maggior parte delle vittime erano militari, provenienti dai combattimenti intorno alla città, ma ci sono stati anche casi di popolazione civile uccisa da colpi di mortaio o di armi leggere. Queste armi non erano abbastanza precise da sostenere un’accusa di omicidio deliberato e non c’erano prove che gli spari e i colpi di mortaio fossero stati ordinati deliberatamente, ma Galic è stato comunque accusato di non aver fatto sforzi adeguati per controllare le sue truppe. Egli sostenne di aver fatto tutto il possibile, ma, con un po’ di sorpresa da parte di chi assisteva al processo, i giudici decisero che non aveva fatto abbastanza e lo dichiararono colpevole. (Naturalmente, un altro gruppo di giudici avrebbe potuto concludere diversamente).

Ma per quanto si possa provare soddisfazione per l’incarcerazione di un comandante militare, i veri bersagli dell’odio sono i leader politici, ai quali la dottrina della responsabilità di comando è stata sempre più estesa. Naturalmente ciò richiede di dimostrare l’abitudine di un leader politico di dare ordini a un leader militare, anche per commettere crimini. Questo è raramente possibile ed è causa di molta frustrazione tra gli attivisti per le risorse umane, per i quali leader come il Presidente del Sudan Bashir, il Presidente della Siria Assad o Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio, diventano figure di odio che devono essere distrutte, in un modo o nell’altro, ma con una sorta di camuffamento legale per farci sentire meglio.

La soluzione scelta per i processi a Milosevic, più che altro per disperazione, è stata quella della colpevolezza per associazione, dignitosamente chiamata dottrina dell’impresa criminale comune. In pratica, si sosteneva che Milosevic era colpevole perché faceva parte di una cerchia di persone, alcune delle quali avevano influenza sulle persone, alcune delle quali si presumeva avessero dato ordini che avevano portato a crimini. Tuttavia, gli esperti che avessero letto la prima pagina degli atti d’accusa per la Bosnia e la Croazia sarebbero rimasti sorpresi nel vedere che non si sosteneva che Milosevic fosse responsabile, ordinatore o anche solo a conoscenza di alcuno dei crimini elencati negli atti d’accusa. Ma è stato comunque ritenuto colpevole di tali crimini. Di fatto, quindi, qualsiasi figura militare o politica di alto livello potrebbe essere accusata e condannata per qualsiasi cosa, e in effetti da allora sono stati fatti tentativi di incriminazioni simili, con risultati variabili. Stretti tra il desiderio dell’élite del PMC di distruggere le figure odiose in un modo o nell’altro, e le pratiche banali della procedura penale, i tribunali sono stati spinti sempre più ad essere istituzioni puramente politiche, come era stato previsto all’epoca, e come è evidente nella farsa malata dell’incriminazione del Presidente Putin, dopo la quale nessuno prenderà più sul serio tali tribunali.

Il secondo è la tendenza dei tribunali, sotto la pressione dei media e delle élite del PMC, a riscrivere la legge per rendere più facili i processi e i verdetti di colpevolezza. L’esempio classico è il crimine di Genocidio: un crimine complesso che è dimostrabile solo se si riesce a stabilire lo stato mentale interno di un individuo al di là di un ragionevole dubbio. Come è stato documentato, la Convenzione del 1947 era essenzialmente una costruzione della Guerra Fredda, progettata per mettere l’Unione Sovietica sulla difensiva riguardo ai movimenti forzati di popolazione dopo il 1945. Non è mai stata intesa come base per i procedimenti giudiziari. Ma era un termine comodo e i giornalisti e i militanti dell’HR lo applicarono presto agli eventi del 1994 in Ruanda. Leggendo nella crisi politica il solito discorso occidentale neocoloniale di “etnia” e “razza”, sono riusciti a convincere giudici senza alcuna conoscenza dell’Africa che era stato commesso un genocidio. Una volta che la situazione divenne più chiara dopo le testimonianze degli esperti, la corte si trovò di fronte a un enorme problema politico: sarebbe stata strappata da un arto all’altro a meno che non avesse emesso verdetti che le prove non giustificavano. La risposta fu quella di cambiare la definizione di Genocidio in modo che fosse sufficiente la convinzione soggettiva che vi fossero differenze razziali o etniche. (È vero che l’aristocrazia tutsi aveva coltivato a lungo il mito di essere una specie superiore dal punto di vista razziale e che questo era stato assorbito sia dai coloni europei che dai contadini hutu. Ma non era vero). In un modo o nell’altro.

Qualcosa di simile è accaduto con il processo di Srebrenica all’Aia. Il caso sembrava a prima vista poco promettente: i morti erano soldati della 28ª Divisione dell’esercito musulmano, che erano fuggiti dalla città dopo che una forza serbo-bosniaca molto più piccola l’aveva attaccata, portando con sé la maggior parte degli uomini in età militare. In nessun caso i morti erano un “gruppo” ai sensi della Convenzione. Ma i procuratori hanno tentato un’argomentazione ingegnosa: dopo aver catturato la città, i serbo-bosniaci hanno organizzato il trasporto delle donne, dei bambini e dei vecchi nel territorio controllato dai musulmani in autobus. In questo modo, si è sostenuto, la “presenza” musulmana nella città è stata “distrutta”, quindi si è trattato di un Genocidio, che sarebbe stato evitato se i musulmani fossero stati semplicemente lasciati a se stessi. Con sorpresa generale, l’argomentazione fu accettata, anche se la prosa tortuosa della sentenza suggerisce che i giudici non erano davvero convinti, ma volevano trovare un modo per inviare un messaggio politico su quella che fu di gran lunga la peggiore singola atrocità della guerra. L’effetto di tutte queste sentenze è stato quello di distruggere qualsiasi significato che il concetto di Genocidio potesse avere in passato.

Ho iniziato suggerendo una tensione tra il desiderio atavico di punizione e vendetta e la preoccupazione di erigere almeno un minimo ombrello legale per farci sentire meno come i personaggi di Amleto. Ma l’effetto di questa tensione è stato quello di degradare il discorso politico ovunque. È ormai comune vedere persone che non ci piacciono definite “criminali di guerra”: un termine privo di significato che può essere interpretato solo come “persone che non mi piacciono e che vorrei vedere davanti a un tribunale e condannate per un’accusa o un’altra, così da sentirmi meglio”. In un modo o nell’altro. Domande come “perché Henry Kissinger non è sotto processo all’Aia?”, molto poste di recente, non sono da prendere alla lettera, poiché cinque minuti di ricerca su Internet sulla giurisdizione forniranno una risposta. La vera domanda è “perché il mondo non si organizza per soddisfare i miei desideri di punizione e vendetta?”. Abbiamo una scelta e possiamo vivere nel mondo di Amleto e Al Capone, oppure in un mondo basato sulla legge in cui dobbiamo accettare che non possiamo sempre avere ciò che vogliamo. Ma in pratica, tutti noi vorremmo vivere in entrambi i mondi a seconda delle circostanze, anche se ci vergogneremmo ad ammetterlo.

Questi saggi sono gratuiti e intendo mantenerli tali, anche se più avanti nel corso dell’anno introdurrò un sistema per cui le persone potranno effettuare piccoli pagamenti, se lo desiderano. Ma ci sono anche altri modi per dimostrare il proprio apprezzamento. I “Mi piace” sono lusinghieri, ma mi aiutano anche a valutare quali argomenti interessano di più alle persone. Le condivisioni sono molto utili per portare nuovi lettori, ed è particolarmente utile se segnalate i post che ritenete meritevoli su altri siti che visitate o a cui contribuite, perché anche questo può portare nuovi lettori. E grazie per tutti i commenti molto interessanti: continuate a seguirli!

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Discorso del segretario Blinken: “Il fallimento strategico della Russia e il futuro sicuro dell’Ucraina”

Un compendio delle argomentazioni della componente più oltranzista e purtroppo dominante della amministrazione statunitense riguardanti. Assatanati! Un compendio che meriterebbe di essere chiosato, stigmatizzato e confutato punto per punto. Servirebbe a riordinare le idee. Blinken rappresenta una classe dirigente che vive in una sfera di cristallo, sino a diventare vittima delle proprie narrazioni; per questo condannata alle estreme conseguenze dei loro atti. Ma è una narrazione che guarda terribilmente lontano. Osservate cosa intende riservare al futuro dell’Ucraina e confrontatelo con il saggio dell’ex ministro ucraino pubblicato su Foreign Affairs e tradotto sul nostro sito tre giorni fa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Discorso del segretario Blinken: “Il fallimento strategico della Russia e il futuro sicuro dell’Ucraina”.

DISCORSO

ANTONY J. BLINKEN, SEGRETARIO DI STATO

MUNICIPIO DI HELSINKI

HELSINKI, FINLANDIA

2 GIUGNO 2023

SINDACO VARTIAINEN:   Eccellenze, signore e signori, cari amici, è con grande piacere che vi do un caloroso benvenuto nella bellissima capitale della Finlandia, Helsinki, e nel municipio di Helsinki. Helsinki ha un grande onore di ospitare oggi questo evento speciale. Siamo onorati e molto grati di avere qui a Helsinki il Segretario di Stato americano Antony J. Blinken.

Helsinki è una città in cui converge l’armoniosa miscela di storia, innovazione, libertà e diplomazia. La nostra capitale è ed è stata un’arena per numerosi incontri ed eventi politici di alto livello, e siamo orgogliosi di fornire la piattaforma per questo momento storico, ora per la prima volta come l’orgogliosa capitale di un nuovo alleato della NATO.

Ora è con grande piacere che vi presento il co-organizzatore dell’evento, il dottor Mika Aaltola, direttore dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali. Grazie. (Applausi.)

MR AALTOLA:   Eccellenze, signore e signori, questa è una giornata veramente storica. È la prima volta che un Segretario di Stato degli Stati Uniti si trova sul solido terreno granitico della NATO Finlandia. La visita del segretario Blinken rappresenta una nuova era nelle relazioni finlandesi-statunitensi che hanno legami storici di lunga data. Mai prima d’ora le relazioni tra i nostri due paesi sono state così strette.

Oltre ad essere ora alleati della NATO, la Finlandia e gli Stati Uniti stanno lavorando insieme per rafforzare la nostra cooperazione bilaterale in materia di difesa. Inoltre, la cooperazione economica è aumentata in modo significativo poiché lo scorso anno gli Stati Uniti sono diventati il ​​partner commerciale numero uno della Finlandia.

Anche se fisicamente separati da un oceano, i nostri paesi sono legati da legami che superano le distanze. Affrontiamo sfide di sicurezza comuni, ma, cosa ancora più importante, condividiamo la fede nella democrazia, nei nostri valori comuni e interessi condivisi.

Questi valori sono messi in discussione dalla brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Con il livello di sostegno economico e militare offerto all’Ucraina, gli Stati Uniti rimangono la forza indispensabile in Europa. Gli Stati Uniti erano già svegli quando la maggior parte dell’Europa dormiva ancora, relativamente indisturbata dai giochi politici di potere della Russia. La leadership statunitense è quanto mai necessaria. 

Questa leadership aiuta a tenere le porte aperte e i nemici a bada, ma non ci sarebbe leadership senza una partnership. Questa partnership è qualcosa che la Finlandia ha offerto agli Stati Uniti. La Finlandia è un valido alleato e un fornitore di sicurezza. Ci assumiamo le nostre responsabilità nella nostra regione e oltre, e ci impegniamo a sostenere l’Ucraina e a difendere noi stessi e   i valori che rappresentiamo. Questo impegno è condiviso dalla leadership finlandese ma, cosa ancora più importante, dal popolo finlandese.

La Finlandia si è classificata come il paese meno corrotto, più egualitario, uno dei paesi più istruiti e più democratici del mondo. È anche il paese più stabile del mondo. In questi tempi instabili, questa stabilità ha un valore proprio. Sorprendentemente per molti finlandesi, la Finlandia è anche il paese più felice del mondo. Mettiamo in discussione questo risultato ogni anno, ma ci viene segnalato che è così. È un dato di fatto, quindi quanto devono essere infelici gli altri se noi siamo i più felici. (Risata.)

Ma ora sono davvero felice di poter dare il benvenuto sul palco al Segretario di Stato degli Stati Uniti, il signor Antony Blinken. (Applausi.)

SEGRETARIO BLINKEN:   Grazie. Grazie mille. E sì, oggi provo un senso di felicità maggiore di quanto non provassi da molto tempo. (Risata.)

Sindaco Vartiainen, grazie per averci ospitato qui a Helsinki e in questo municipio assolutamente magnifico.

E Mika, i miei ringraziamenti a te, e anche a tutta la tua squadra – tutti i ricercatori dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali, per aver approfondito la borsa di studio sulla diplomazia e anche per aver arricchito il dibattito pubblico.

Sono anche lieto che il mio amico e partner, Pekka Haavisto, sia qui con noi oggi. Abbiamo lavorato a stretto contatto insieme in questo ultimo anno davvero storico e sono grato per la vostra presenza.

A tutti gli illustri ospiti, due mesi fa, sono stato con i nostri alleati a Bruxelles mentre la bandiera della Finlandia è stata issata per la prima volta sul quartier generale della NATO. Il presidente Niinistö ha dichiarato, e cito: “L’era del non allineamento militare in Finlandia è giunta al termine. Inizia una nuova era”.

È stato un cambiamento epocale che sarebbe stato impensabile poco più di un anno prima. Prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, un finlandese su quattro sosteneva l’adesione del paese alla NATO. Dopo l’invasione su vasta scala, tre finlandesi su quattro hanno sostenuto l’adesione.

Non è stato difficile per i finlandesi immaginarsi nei panni degli ucraini. Ci erano entrati nel novembre del 1939, quando l’Unione Sovietica aveva invaso la Finlandia.

Come la cosiddetta “operazione speciale” del presidente Putin contro l’Ucraina, la cosiddetta “operazione di liberazione” dell’URSS ha falsamente accusato la Finlandia di aver provocato l’invasione.

Come i russi con Kiev, i sovietici erano fiduciosi di saccheggiare Helsinki in poche settimane, così fiduciosi che Dmitri Shostakovich compose la musica per la parata della vittoria, prima ancora che iniziasse la Guerra d’Inverno.

Come Putin in Ucraina, quando Stalin non è riuscito a superare la feroce e determinata resistenza dei finlandesi, è passato a una strategia del terrore, incenerendo interi villaggi e bombardando dal cielo così tanti ospedali che i finlandesi hanno iniziato a coprire le insegne della Croce Rossa sui tetti.

Come i milioni di rifugiati ucraini di oggi, centinaia di migliaia di finlandesi furono cacciati dalle loro case dall’invasione sovietica. Tra loro c’erano due bambini, Pirkko e Henri, le cui famiglie hanno evacuato le loro case in Carelia: la madre e il padre del nostro ospite, il sindaco della città.

Per molti finlandesi, i parallelismi tra il 1939 e il 2022 sono stati sorprendenti. Erano viscerali. E non avevano torto.

I finlandesi hanno capito che se la Russia avesse violato i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite – sovranità, integrità territoriale, indipendenza – se lo avesse fatto in Ucraina, avrebbe messo in pericolo anche la loro stessa pace e sicurezza.

Lo abbiamo capito anche noi. Ecco perché, nel corso del 2021, mentre la Russia aumentava le sue minacce contro Kiev e accumulava sempre più truppe, carri armati e aerei ai confini dell’Ucraina, abbiamo fatto ogni sforzo per convincere Mosca a ridurre la sua crisi fabbricata e risolvere i suoi problemi attraverso la diplomazia.

Il presidente Biden ha detto al presidente Putin che eravamo pronti a discutere le nostre reciproche preoccupazioni di sicurezza – un messaggio che ho ribadito più volte – anche di persona, con il ministro degli Esteri Lavrov. Abbiamo offerto proposte scritte per ridurre le tensioni. Insieme ai nostri alleati e partner, abbiamo utilizzato ogni forum per cercare di prevenire la guerra, dal Consiglio NATO-Russia all’OSCE, dall’ONU ai nostri canali diretti.

Attraverso questi impegni, abbiamo tracciato due possibili percorsi per Mosca: un percorso di diplomazia, che potrebbe portare a una maggiore sicurezza per l’Ucraina, per la Russia, per tutta l’Europa; o un percorso di aggressione, che comporterebbe gravi conseguenze per il governo russo.

Il presidente Biden ha chiarito che indipendentemente dal percorso scelto dal presidente Putin, saremmo stati pronti. E se la Russia scegliesse la guerra, faremmo tre cose: sostenere l’Ucraina, imporre costi elevati alla Russia e rafforzare la NATO, radunando i nostri alleati e partner intorno a questi obiettivi.

Mentre le nuvole temporalesche si addensavano, abbiamo aumentato l’assistenza militare, economica e umanitaria all’Ucraina. Prima nell’agosto 2021, e di nuovo a dicembre, abbiamo inviato attrezzature militari per rafforzare le difese dell’Ucraina, inclusi Javelins e Stingers. E abbiamo schierato un team del Cyber ​​Command degli Stati Uniti per aiutare l’Ucraina a rafforzare la sua rete elettrica e altre infrastrutture critiche contro gli attacchi informatici.

Abbiamo preparato una serie senza precedenti di sanzioni, controlli sulle esportazioni e altri costi economici per imporre gravi e immediate conseguenze alla Russia in caso di invasione su vasta scala.

Abbiamo adottato misure per non lasciare dubbi sul fatto che noi e i nostri alleati avremmo mantenuto il nostro impegno a difendere ogni centimetro del territorio della NATO.

E abbiamo lavorato incessantemente per radunare alleati e partner per aiutare l’Ucraina a difendersi e negare a Putin i suoi obiettivi strategici.

Sin dal primo giorno della sua amministrazione, il presidente Biden si è concentrato sulla ricostruzione e sul rilancio delle alleanze e dei partenariati americani, sapendo che siamo più forti quando lavoriamo a fianco di coloro che condividono i nostri interessi e i nostri valori.

Nel periodo precedente all’invasione della Russia, abbiamo dimostrato il potere di questi partenariati, coordinando la nostra pianificazione e strategia per una potenziale invasione con la NATO, con l’UE, con il G7 e altri alleati e partner di tutto il mondo.

Durante quelle fatidiche settimane di gennaio e febbraio del 2022, è diventato chiaro che nessuno sforzo diplomatico avrebbe fatto cambiare idea al presidente Putin. Avrebbe scelto la guerra.

E così, il 17 febbraio 2022, sono andato davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per avvertire il mondo che l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia era imminente.

Ho esposto i passi che la Russia avrebbe intrapreso: prima fabbricando un pretesto, e poi usando missili, carri armati, truppe, attacchi informatici per colpire obiettivi pre- identificati, tra cui Kiev, con l’obiettivo di rovesciare il governo democraticamente eletto dell’Ucraina e cancellare l’Ucraina dal mappa come un paese indipendente.

Speravamo – speravamo – di essere smentiti.

Sfortunatamente, avevamo ragione. Una settimana dopo il mio avvertimento al Consiglio di sicurezza, il presidente Putin ha invaso. Gli ucraini di ogni estrazione sociale – soldati e cittadini, uomini e donne, giovani e meno giovani – hanno difeso coraggiosamente la loro nazione.

E gli Stati Uniti si sono mossi rapidamente, con decisione e all’unisono con alleati e partner per fare esattamente quello che avevamo detto che avremmo fatto: sostenere l’Ucraina, imporre costi alla Russia, rafforzare la NATO – tutto questo con i nostri alleati e partner.

E con il nostro sostegno collettivo, l’Ucraina ha fatto quello che aveva promesso: ha difeso il suo territorio, la sua indipendenza, la sua democrazia.

Oggi, quello che voglio fare è illustrare questo e molti altri modi in cui la guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina è stata un fallimento strategico, riducendo notevolmente il potere della Russia, i suoi interessi e la sua influenza negli anni a venire. E condividerò anche la nostra visione del cammino verso una pace giusta e duratura.

Quando si guardano gli scopi e gli obiettivi strategici a lungo termine del presidente Putin, non c’è dubbio: la Russia oggi sta molto peggio di quanto non fosse prima della sua invasione su vasta scala dell’Ucraina – militarmente, economicamente, geopoliticamente.

Dove Putin mirava a proiettare forza, ha rivelato debolezza. Dove ha cercato di dividere, è unito. Quello che ha cercato di impedire, è precipitato. Questo risultato non è casuale. È il risultato diretto del coraggio e della solidarietà del popolo ucraino e dell’azione deliberata, decisa e rapida che noi e i nostri partner abbiamo intrapreso per sostenere l’Ucraina.

In primo luogo, per anni il presidente Putin ha cercato di indebolire e dividere la NATO, con la falsa affermazione che rappresentava una minaccia per la Russia. Infatti, prima che la Russia invadesse la Crimea e l’Ucraina orientale nel 2014, l’atteggiamento della NATO rifletteva la convinzione condivisa che un conflitto in Europa fosse improbabile. Gli Stati Uniti avevano ridotto significativamente le proprie forze in Europa dalla fine della Guerra Fredda, da 315.000 nel 1989 a 61.000 alla fine del 2013. La spesa per la difesa di molti paesi europei era in calo da anni. La dottrina strategica della NATO all’epoca definiva la Russia un partner.

Dopo l’invasione russa della Crimea e del Donbas nel 2014, la marea ha cominciato a cambiare. Gli alleati si sono impegnati a spendere il due per cento del PIL per la difesa e hanno dispiegato nuove forze sul fianco orientale della NATO in risposta all’aggressione della Russia. L’Alleanza ha accelerato la sua trasformazione dopo l’invasione su vasta scala della Russia – non per rappresentare una minaccia o perché la NATO cerca il conflitto. La NATO è sempre stata – e sempre sarà – un’alleanza difensiva. Ma l’aggressione, le minacce e le armi nucleari della Russia ci hanno costretto a rafforzare la nostra deterrenza e difesa.

Ore dopo l’invasione su vasta scala, abbiamo attivato la Forza di risposta difensiva della NATO. Nelle settimane che sono seguite, diversi alleati – tra cui Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Francia – hanno inviato rapidamente truppe, aerei e navi per rafforzare il fianco orientale della NATO. Abbiamo raddoppiato il numero di navi che pattugliano il Mare del Nord e il Mar Baltico e raddoppiato il numero di gruppi tattici nella regione. Gli Stati Uniti hanno stabilito la loro prima presenza militare permanente in Polonia. E, naturalmente, la NATO ha aggiunto la Finlandia come suo 31° alleato, e presto aggiungeremo la Svezia come 32°.

Mentre ci dirigiamo verso il vertice della NATO a Vilnius, il nostro messaggio condiviso sarà chiaro: gli alleati della NATO sono impegnati a rafforzare la deterrenza e la difesa, a una spesa per la difesa maggiore e più intelligente, a legami più profondi con i partner indo-pacifici. La porta della NATO rimane aperta a nuovi membri e rimarrà aperta.

L’invasione della Russia ha anche portato l’Unione Europea a fare di più – e di più insieme agli Stati Uniti e alla NATO – che mai. L’UE e i suoi Stati membri hanno fornito all’Ucraina oltre 75 miliardi di dollari di sostegno militare, economico e umanitario. Ciò include 18 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza, dai sistemi di difesa aerea ai carri armati Leopard alle munizioni. In stretto coordinamento con gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri partner, l’UE ha lanciato le sanzioni più ambiziose di sempre, immobilizzando oltre la metà dei beni sovrani della Russia. E le nazioni europee hanno accolto più di 8 milioni di rifugiati ucraini, la maggior parte dei quali non solo ha avuto accesso ai servizi pubblici, ma anche il diritto al lavoro, allo studio.

In secondo luogo, per decenni Mosca ha lavorato per accrescere la dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi. Dopo l’invasione su vasta scala del presidente Putin, l’Europa ha compiuto un rapido e deciso allontanamento dall’energia russa. Berlino ha subito cancellato il Nord Stream 2, che avrebbe raddoppiato il flusso di gas russo verso la Germania.

Prima dell’invasione di Putin, i paesi europei importavano il 37% del loro gas naturale dalla Russia. L’Europa lo ha tagliato di oltre la metà in meno di un anno. Nel 2022, i paesi dell’UE hanno generato un quinto record della loro elettricità attraverso l’eolico e il solare, più elettricità di quella generata dall’UE attraverso carbone, gas o qualsiasi altra fonte di energia. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno più che raddoppiato la propria fornitura di gas all’Europa, e anche i nostri alleati asiatici – Giappone, Repubblica di Corea – si sono attivati per aumentare l’offerta europea.

Nel frattempo, il tetto massimo del prezzo del petrolio che noi e i nostri partner del G7 abbiamo messo in atto ha mantenuto l’energia della Russia nel mercato globale, riducendo drasticamente le entrate russe. A un anno dalla sua invasione, le entrate petrolifere della Russia erano diminuite del 43%. Le entrate fiscali del governo russo da petrolio e gas sono diminuite di quasi due terzi. E Mosca non riavrà i mercati che ha perso in Europa.

In terzo luogo, il presidente Putin ha trascorso due decenni cercando di trasformare l’esercito russo in una forza moderna, con armi all’avanguardia, un comando semplificato e soldati ben addestrati e ben equipaggiati. Il Cremlino ha spesso affermato di avere il secondo esercito più forte del mondo, e molti ci credevano. Oggi, molti vedono l’esercito russo come il secondo più forte in Ucraina. Il suo equipaggiamento, la tecnologia, la leadership, le truppe, la strategia, le tattiche e il morale, un caso studio di fallimento, anche se Mosca infligge danni devastanti, indiscriminati e gratuiti all’Ucraina e agli ucraini.

Si stima che la Russia abbia subito più di 100.000 vittime solo negli ultimi sei mesi, mentre Putin invia ondate dopo ondate di russi in un tritacarne di sua creazione.

Nel frattempo, le sanzioni e i controlli sulle esportazioni imposti dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da altri partner in tutto il mondo hanno gravemente degradato la macchina da guerra russa e le esportazioni di difesa, ritardandole per gli anni a venire. I partner e i clienti della difesa globale della Russia non possono più contare sugli ordini promessi, figuriamoci sui pezzi di ricambio. E mentre assistono alle scarse prestazioni della Russia sul campo di battaglia, stanno portando sempre più i loro affari altrove.

In quarto luogo, il presidente Putin voleva costruire la Russia come potenza economica globale. La sua invasione ha cementato il suo fallimento di lunga data nel diversificare l’economia russa, nel rafforzare il suo capitale umano e nell’integrare completamente il paese nell’economia globale. Oggi, l’economia russa è l’ombra di ciò che era, e una frazione di ciò che sarebbe potuta diventare se Putin avesse investito in tecnologia e innovazione piuttosto che in armi e guerra.

Le riserve estere della Russia sono diminuite di oltre la metà, così come i profitti delle sue imprese statali. Più di 1.700 compagnie straniere hanno ridotto, sospeso o terminato le operazioni in Russia dall’inizio dell’invasione. Sono decine di migliaia di posti di lavoro persi, un’enorme fuga di competenze straniere e miliardi di dollari di mancati introiti per il Cremlino.

Un milione di persone sono fuggite dalla Russia, tra cui molti dei migliori specialisti informatici, imprenditori, ingegneri, medici, professori, giornalisti, scienziati del paese. Anche innumerevoli artisti, scrittori, cineasti, musicisti se ne sono andati, senza vedere un futuro per loro stessi in un paese dove non possono esprimersi liberamente.

In quinto luogo, il presidente Putin ha investito notevoli sforzi per dimostrare che la Russia potrebbe essere un prezioso partner per la Cina. Alla vigilia dell’invasione, Pechino e Mosca hanno dichiarato una partnership “senza limiti”. Diciotto mesi dopo l’invasione, quella partnership a doppio senso sembra sempre più unilaterale. L’aggressione di Putin e l’uso come arma delle dipendenze strategiche dalla Russia sono servite da campanello d’allarme per i governi di tutto il mondo affinché compiano sforzi per ridurre il rischio. E insieme, gli Stati Uniti e i nostri partner stanno adottando misure per ridurre tali vulnerabilità, dalla costruzione di catene di approvvigionamento critiche più resilienti al rafforzamento dei nostri strumenti condivisi per contrastare la coercizione economica.

Quindi, l’aggressione della Russia non ci ha distratto dall’affrontare le sfide nell’Indo-Pacifico. In realtà ha affinato la nostra attenzione su di loro. E il nostro sostegno all’Ucraina non ha indebolito le nostre capacità di far fronte a potenziali minacce provenienti dalla Cina o da qualsiasi altro luogo, ma le ha rafforzate. E crediamo che Pechino stia prendendo atto del fatto che, lungi dall’essere intimidita da una violenta violazione della Carta delle Nazioni Unite, il mondo si è mobilitato per difenderla.

In sesto luogo, prima della guerra, il presidente Putin usava regolarmente l’influenza della Russia nelle organizzazioni internazionali per tentare di indebolire la Carta delle Nazioni Unite. Oggi la Russia è più isolata che mai sulla scena mondiale. Almeno 140 nazioni – due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite – hanno ripetutamente votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per affermare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, per respingere i tentativi di Putin di annettere illegalmente il territorio ucraino, per condannare l’aggressione e le atrocità della Russia e per chiamare per una pace coerente con i principi della Carta delle Nazioni Unite. I governi dell’ovest e dell’est, del nord e del sud hanno votato per sospendere la Russia da numerose istituzioni, dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite all’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale.

Ogni rimprovero e sconfitta per Mosca non è solo un voto contro l’aggressione della Russia, è un voto per i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. E paesi di ogni parte del mondo stanno sostenendo gli sforzi per ritenere la Russia responsabile dei suoi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, dalla creazione di una commissione speciale delle Nazioni Unite per documentare i crimini e le violazioni dei diritti umani commessi nella guerra della Russia all’assistenza alle indagini dei pubblici ministeri in Ucraina e presso la Corte Penale Internazionale.

Settimo, il presidente Putin, per anni, ha cercato di dividere l’Occidente dal resto, sostenendo che la Russia stava promuovendo i migliori interessi del mondo in via di sviluppo.    Oggi, grazie alla dichiarazione aperta delle sue ambizioni imperiali e all’armamento di cibo e carburante, il presidente Putin ha diminuito l’influenza russa su tutti i continenti. Gli sforzi di Putin per ricostituire un impero secolare hanno ricordato a ogni nazione che aveva sopportato il dominio coloniale e la repressione il proprio dolore. Quindi, ha esacerbato le difficoltà economiche che molte nazioni stavano già attraversando a causa del COVID e del cambiamento climatico, tagliando il grano ucraino dai mercati mondiali, facendo aumentare il costo del cibo e del carburante ovunque.

Al contrario, in una sfida globale dopo l’altra, gli Stati Uniti e i nostri partner hanno dimostrato che la nostra attenzione all’Ucraina non ci distrarrà dal lavorare per migliorare la vita delle persone in tutto il mondo e affrontare i costi a cascata dell’aggressione russa.

Il nostro aiuto alimentare di emergenza senza precedenti ha impedito a milioni di persone di morire di fame. Solo lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno fornito 13,5 miliardi di dollari in assistenza alimentare. E gli Stati Uniti stanno attualmente finanziando più della metà del budget del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. La Russia finanzia meno dell’uno per cento.

Abbiamo sostenuto un accordo negoziato dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres e dalla Turchia per spezzare la stretta mortale della Russia sul grano ucraino, consentendo a 29 milioni di tonnellate di cibo di uscire dall’Ucraina e raggiungere persone in tutto il mondo. Ciò include 8 milioni di tonnellate di grano, che è l’equivalente di circa 16 miliardi di pagnotte.

Insieme ad alleati e partner, stiamo mobilitando centinaia di miliardi di dollari in finanziamenti per infrastrutture di alta qualità nei paesi in cui sono maggiormente necessarie e costruendole in modo trasparente e favorevole all’ambiente; responsabilizza i lavoratori e le comunità locali.

Stiamo rafforzando la sicurezza sanitaria globale, dalla formazione di mezzo milione di operatori sanitari nel nostro emisfero, nelle Americhe, all’aiutare l’azienda farmaceutica Moderna a finalizzare i piani con il Kenya per costruire il suo primo impianto di produzione di vaccini a mRNA in Africa.

Di volta in volta, stiamo dimostrando chi alimenta i problemi globali e chi li risolve.

Infine, l’obiettivo principale del presidente Putin – anzi, la sua ossessione – è stato quello di cancellare l’idea stessa di Ucraina – la sua identità, la sua gente, la sua cultura, la sua agenzia, il suo territorio. Ma anche qui le azioni di Putin hanno provocato l’effetto opposto. Nessuno ha fatto di più per rafforzare l’identità nazionale dell’Ucraina dell’uomo che ha cercato di cancellarla. Nessuno ha fatto di più per approfondire l’unità e la solidarietà degli ucraini. Nessuno ha fatto di più per intensificare la determinazione degli ucraini a scrivere il proprio futuro alle proprie condizioni.

L’Ucraina non sarà mai la Russia. L’Ucraina è sovrana, indipendente, saldamente in controllo del proprio destino. In questo – l’obiettivo primario di Putin – ha fallito in modo clamoroso.

Il presidente Putin afferma costantemente che gli Stati Uniti, l’Europa e i paesi che sostengono l’Ucraina sono decisi a sconfiggere o distruggere la Russia, a rovesciare il suo governo, a trattenere il suo popolo. Questo è falso. Non cerchiamo il rovesciamento del governo russo e non l’abbiamo mai fatto. Il futuro della Russia spetta ai russi deciderlo.

Non abbiamo nulla contro il popolo russo, che non ha avuto voce in capitolo nell’iniziare questa tragica guerra. Ci lamentiamo del fatto che Putin stia mandando a morte decine di migliaia di russi in una guerra che potrebbe finire ora, se lo desiderasse, e che sta infliggendo un impatto rovinoso sull’economia russa e sulle sue prospettive. In effetti, ci si deve chiedere: in che modo la guerra di Putin ha migliorato la vita, i mezzi di sussistenza o le prospettive dei comuni cittadini russi?

Tutto ciò che noi e i nostri alleati e partner facciamo in risposta all’invasione di Putin ha lo stesso scopo: aiutare l’Ucraina a difendere la sua sovranità, la sua integrità territoriale e indipendenza e difendere le regole e i principi internazionali che sono minacciati dalla guerra in corso di Putin.

Lasciatemelo dire direttamente al popolo russo: gli Stati Uniti non sono vostri nemici. Alla fine pacifica della Guerra Fredda, abbiamo condiviso la speranza che la Russia emergesse verso un futuro più luminoso, libera e aperta, pienamente integrata con il mondo. Per più di 30 anni, abbiamo lavorato per perseguire relazioni stabili e di cooperazione con Mosca, perché credevamo che una Russia pacifica, sicura e prospera fosse nell’interesse dell’America – anzi, nell’interesse del mondo. Lo crediamo ancora oggi.

Non possiamo scegliere il tuo futuro per te e non cercheremo di farlo. Ma non permetteremo nemmeno al presidente Putin di imporre la sua volontà ad altre nazioni. Mosca deve trattare l’indipendenza, la sovranità, l’integrità territoriale dei suoi vicini con lo stesso rispetto che esige per la Russia.

Ora, come ho chiarito, praticamente sotto ogni punto di vista, l’invasione dell’Ucraina da parte del presidente Putin è stata un fallimento strategico. Eppure, mentre Putin non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi, non ha rinunciato a questi. È convinto di poter semplicemente sopravvivere all’Ucraina e ai suoi sostenitori, mandando a morte sempre più russi, infliggendo sempre più sofferenze ai civili ucraini. Pensa che anche se perde il gioco a breve, può comunque vincere il gioco lungo. Putin ha torto anche su questo.

Gli Stati Uniti – insieme ai nostri alleati e partner – sono fermamente impegnati a sostenere la difesa dell’Ucraina oggi, domani, per tutto il tempo necessario. E in America, questo sostegno è bipartisan. E proprio perché non ci facciamo illusioni sulle aspirazioni di Putin, crediamo che il prerequisito per una diplomazia significativa e una pace reale sia un’Ucraina più forte, capace di scoraggiare e difendersi da ogni futura aggressione.

Abbiamo radunato una squadra formidabile attorno a questo sforzo. Con la guida del Segretario alla Difesa Austin, più di 50 paesi stanno collaborando attraverso il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina. E stiamo guidando con la forza del nostro esempio, fornendo decine di miliardi di dollari in assistenza per la sicurezza all’Ucraina con un sostegno forte e incrollabile da entrambi i lati delle ali nel nostro Congresso.

Oggi, l’America e i nostri alleati e partner stanno aiutando a soddisfare le esigenze dell’Ucraina sull’attuale campo di battaglia, sviluppando al tempo stesso una forza che può scoraggiare e difendersi dall’aggressione per gli anni a venire. Ciò significa aiutare a costruire un esercito ucraino del futuro, con finanziamenti a lungo termine, una forte forza aerea incentrata su moderni aerei da combattimento, una rete integrata di difesa aerea e missilistica, carri armati avanzati e veicoli corazzati, capacità nazionale di produrre munizioni e l’addestramento e supporto per mantenere le forze e le attrezzature pronte al combattimento.

Ciò significa anche che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarà una questione che spetta agli alleati e all’Ucraina – non alla Russia – decidere. Il percorso verso la pace sarà forgiato non solo attraverso la forza militare a lungo termine dell’Ucraina, ma anche la forza della sua economia e della sua democrazia. Questo è al centro della nostra visione per il futuro: l’Ucraina non deve solo sopravvivere, deve prosperare. Per essere abbastanza forte da scoraggiare e difendersi dagli aggressori oltre i suoi confini, l’Ucraina ha bisogno di una democrazia vibrante e prospera all’interno dei suoi confini.

È la strada per la quale ha votato il popolo ucraino quando ha conquistato l’indipendenza nel 1991. È la scelta che ha difeso al Maidan nel 2004, e ancora nel 2013: una società libera e aperta, rispettosa dei diritti umani e dello stato di diritto, pienamente integrato con l’Europa, dove tutti gli ucraini hanno dignità e l’opportunità di realizzare il loro pieno potenziale – e dove il governo risponde ai bisogni della sua gente, non a quelli degli interessi acquisiti e delle élite.

Ci impegniamo a lavorare con alleati e partner per aiutare gli ucraini a trasformare la loro visione in realtà. Non solo aiuteremo l’Ucraina a ricostruire la sua economia, ma a reinventarla, con nuove industrie, rotte commerciali, catene di approvvigionamento connesse con l’Europa e con i mercati di tutto il mondo. Continueremo a sostenere gli organismi anticorruzione indipendenti dell’Ucraina, una stampa libera e vibrante, le organizzazioni della società civile. Aiuteremo l’Ucraina a rinnovare la sua rete energetica – più della metà della quale è stata distrutta dalla Russia – e lo faremo in un modo più pulito, più resiliente e più integrato con i suoi vicini, in modo che l’Ucraina possa un giorno diventare un esportatore di energia .

La maggiore integrazione dell’Ucraina con l’Europa è vitale per tutti questi sforzi. Kiev ha compiuto un passo da gigante in questa direzione lo scorso giugno, quando l’Unione ha formalmente concesso all’Ucraina lo status di candidato all’UE. E Kiev sta lavorando per compiere progressi verso i parametri di riferimento dell’UE anche se lotta per la sua sopravvivenza.

Investire nella forza dell’Ucraina non va a scapito della diplomazia. Apre la strada alla diplomazia. Il presidente Zelenskyy ha ripetutamente affermato che la diplomazia è l’unico modo per porre fine a questa guerra, e noi siamo d’accordo. A dicembre ha presentato una visione per una pace giusta e duratura. Invece di impegnarsi in quella proposta o addirittura di offrirne una sua, il presidente Putin ha detto che non c’è nulla di cui parlare fino a quando l’Ucraina non accetterà, e cito, le “nuove realtà territoriali” – in altre parole, accetterà il sequestro da parte della Russia del 20% del patrimonio territoriale ucraino. Putin ha trascorso l’inverno cercando di assiderare i civili ucraini, e poi la primavera cercando di bombardarli a morte. Giorno dopo giorno, la Russia fa piovere missili e droni su condomini, scuole, ospedali ucraini.

Ora, da lontano, è facile diventare insensibili a queste e ad altre atrocità russe, come l’attacco dei droni la scorsa settimana contro una clinica medica a Dnipro, che ha ucciso quattro persone, compresi i medici; o i 17 attacchi a Kiev nel solo mese di maggio, molti dei quali con missili ipersonici; o l’attacco missilistico di aprile alla città di Uman – a centinaia di chilometri dalla linea del fronte – in cui sono rimasti uccisi 23 civili. L’attacco missilistico ha colpito diversi condomini a Uman prima dell’alba. In uno di quegli edifici, un padre, Dmytro, corse nella stanza dove dormivano i suoi figli: Kyrylo, 17 anni; Sophia, 11 anni. Ma quando ha aperto la porta della loro camera da letto, non c’era spazio, solo fuoco e fumo. I suoi figli se n’erano andati. Altre due vite innocenti estinte. Due dei sei bambini uccisi dalla Russia in un solo colpo. Due delle migliaia di bambini ucraini uccisi dalla guerra di aggressione russa. Altre migliaia sono state ferite e altre migliaia sono state rapite dalle loro famiglie dalla Russia e date a famiglie russe. Milioni di persone sono state sfollate. Tutti fanno parte di una generazione di bambini ucraini terrorizzati, traumatizzati, segnati dalla guerra di aggressione di Putin; ci ricordano perché gli ucraini sono così ferocemente impegnati a difendere la loro nazione e perché meritano – meritano – una pace giusta e duratura.

Ora, alcuni hanno sostenuto che se gli Stati Uniti volessero davvero la pace, smetterebbero di sostenere l’Ucraina, e quindi se l’Ucraina volesse davvero porre fine alla guerra, taglierebbe semplicemente le sue perdite rinunciando al quinto del suo territorio che la Russia occupa illegalmente. . Giochiamo per un minuto. Quali vicini della Russia si sentirebbero sicuri della propria sovranità e integrità territoriale se l’aggressione di Putin dovesse essere ricompensata con un quinto del territorio dell’Ucraina?

E del resto, come si sentirebbe al sicuro all’interno dei propri confini un paese che vive vicino a un bullo, con una storia di minacce e aggressioni? Quale lezione impareranno altri aspiranti aggressori in tutto il mondo se a Putin sarà permesso di violare impunemente un principio fondamentale della Carta delle Nazioni Unite? E quante volte nella storia gli aggressori che si impadroniscono di tutto o parte di un paese vicino si sono accontentati e si sono fermati lì? Quando mai questo ha soddisfatto Vladimir Putin?

Gli Stati Uniti hanno lavorato con l’Ucraina – e con alleati e partner in tutto il mondo – per creare consenso sugli elementi fondamentali di una pace giusta e duratura. Per essere chiari, gli Stati Uniti accolgono con favore qualsiasi iniziativa che aiuti a portare il presidente Putin al tavolo per impegnarsi in una diplomazia significativa. Sosterremo gli sforzi – siano essi del Brasile, della Cina o di qualsiasi altra nazione – se aiutano a trovare una via per una pace giusta e duratura, coerente con i principi della Carta delle Nazioni Unite.

Ecco cosa significa.

Una pace giusta e duratura deve sostenere la Carta delle Nazioni Unite e affermare i principi di sovranità, integrità territoriale e indipendenza.

Una pace giusta e duratura richiede la piena partecipazione e il consenso dell’Ucraina – niente sull’Ucraina senza l’Ucraina.

Una pace giusta e duratura deve sostenere la ricostruzione e la ripresa dell’Ucraina, con la Russia che paga la sua parte.

Una pace giusta e duratura deve affrontare sia la responsabilità che la riconciliazione.

Una pace giusta e duratura può aprire la strada a rilievi sanzionatori connessi ad azioni concrete, in particolare il ritiro militare. Una pace giusta e duratura deve porre fine alla guerra di aggressione della Russia.

Ora, nelle prossime settimane e mesi, alcuni paesi chiederanno un cessate il fuoco. E in superficie, sembra sensato, persino attraente. Dopotutto, chi non vuole che le parti in guerra depongano le armi? Chi non vorrebbe che le uccisioni finissero?

Ma un cessate il fuoco che semplicemente congela le attuali linee in atto e consente a Putin di consolidare il controllo sul territorio che ha conquistato, e poi riposare, riarmarsi e riattaccare – questa non è una pace giusta e duratura. È una pace Potëmkin. Legittimerebbe l’accaparramento della terra da parte della Russia. Ricompenserebbe l’aggressore e punirebbe la vittima.

Se e quando la Russia sarà pronta a lavorare per una vera pace, gli Stati Uniti risponderanno di concerto con l’Ucraina e altri alleati e partner in tutto il mondo. E insieme all’Ucraina, agli alleati e ai partner, saremmo pronti ad avere una discussione più ampia sulla sicurezza europea che promuova la stabilità e la trasparenza e riduca la probabilità di futuri conflitti.

Nelle settimane e nei mesi a venire, gli Stati Uniti continueranno a lavorare con l’Ucraina, con i nostri alleati e partner e con tutte le parti impegnate a sostenere una pace giusta e duratura basata su questi principi.

Il 4 aprile 1949, 74 anni prima che la Finlandia entrasse a far parte della NATO, i membri originari dell’Alleanza si riunirono a Washington per firmare il suo trattato istitutivo. Il presidente Truman ha avvertito il gruppo, e cito: “Non possiamo avere successo se il nostro popolo è ossessionato dalla costante paura dell’aggressione e gravato dal costo di preparare le proprie nazioni individualmente contro l’attacco. [Speriamo] di creare uno scudo contro l’aggressione e la paura dell’aggressione – un baluardo che ci permetterà di andare avanti con il vero business di . . . raggiungere una vita più piena e più felice per tutti i nostri cittadini”.

Lo stesso è vero oggi. Nessuna nazione – né l’Ucraina, né gli Stati Uniti, né la Finlandia, né la Svezia, nessun altro paese può salvaguardare il proprio popolo se vive nella costante paura dell’aggressione. Ecco perché abbiamo tutti interesse a garantire che la guerra di aggressione del presidente Putin contro l’Ucraina continui a essere un fallimento strategico.

Nel suo discorso di Capodanno al popolo finlandese, il presidente Niinistö ha identificato uno dei difetti fondamentali del piano del presidente Putin per conquistare rapidamente l’Ucraina, un difetto che ha anche condannato il piano di Stalin per conquistare rapidamente la Finlandia. Come ha affermato il presidente Niinistö, e cito: “Come leader di un paese sotto un regime autoritario, Stalin e Putin non sono riusciti a riconoscere . . . che le persone che vivono in un paese libero hanno la propria volontà e le proprie convinzioni. E che una nazione che lavora insieme costituisce una forza immensa”.

I finlandesi hanno una parola per quella feroce combinazione di volontà e determinazione:  sisu . E oggi riconoscono  il sisu  nella lotta degli ucraini. E quando un popolo libero come gli ucraini ha alle spalle il sostegno di nazioni libere in tutto il mondo – nazioni che riconoscono il proprio destino e la propria libertà – i loro diritti e la loro sicurezza sono inestricabilmente legati insieme, la forza che possiedono non è semplicemente immensa. È inarrestabile.

Grazie mille. (Applausi.)

https://ru.usembassy.gov/secretary-blinken-russias-strategic-failure-and-ukraines-secure-future/

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IL PIZZO DI STATO, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL PIZZO DI STATO

Qualche giorno orsono, accendendo la televisione, mi è capitato di sentire un’omelia scandalizzata di un noto giornalista contro la Meloni che avrebbe qualificato “pizzo di Stato” le sanzioni, interessi e così via, applicate in caso di ritardo nel pagamento delle imposte (ovvero il pagarne troppe – non ho avuto occasione di ascoltare il discorso della Presidente).

Subito si è destato il solito coro (per lo più) dei burosauri  di regime i quali, con toni e argomenti            spazianti da quelli dell’agit-prop (post-moderno, cioè dell’epoca della globalizzazione) a quelli di un prefetto o generale ultraottantenne in pensione hanno stigmatizzato la carenza di senso dello Stato e di sensibilità sociale (???) della Meloni.

Vediamo un po’ se tanto sdegno trova fondamento nel pensiero politico e nella dottrina dello Stato moderno, quello che i parrucconi dicono di voler difendere chiamandolo “Stato di diritto” (e distorcendone il concetto).

Pizzo di Stato presuppone che: a) chi te lo chiede sia assimilabile a un criminale o brigante; b) che la richiesta sia ingiusta. A tale riguardo il primo (ma non è statisticamente “il primo”) a chiamarlo è stato Sant’Agostino – il quale si chiede (domanda che è già una risposta) “cosa sono gli Stati senza la giustizia se non grandi associazioni a delinquere?” (magna latrocinia). Qualche decina d’anni dopo un altro scrittore ecclesiastico, Salviano di Marsiglia, attribuiva alle malefatte del governo imperiale e all’avidità della burocrazia e del fisco decadenza e (prossima) caduta dell’Impero romano d’occidente (scusate se è poco…)[1].

Nel secolo successivo lo (pseudo) Procopio di Cesarea con la “Historia arcana” offre un quadro dettagliato delle ruberie e malefatte del governo di Giustiniano (dall’imperatore in giù). Non parliamo dei secoli successivi per non annoiare il lettore: facciamo presente che per l’alto medioevo la difficile reperibilità dei contributi sul “pizzo” è dovuta più che alla condivisione della concezione contraria (quella dei parrucconi) alla decadenza letteraria dell’occidente latino (anche se quanto a governanti delinquenti gli esempi non mancano). Arrivando all’età moderna e alle rivoluzioni borghesi il “pizzo di Stato” è il leitmotiv dei grandi rivolgimenti politici: ship money, no taxation without representation, deficit, sono le sintesi delle rivoluzioni.

Come i rivoluzionari consideravano la burocrazia, tra i tanti ricordiamo Saint-Just il quale nel rapporto presentato alla Convenzione a nome del Comitato di salute pubblica il 19 vendemmiaio dell’anno II scrive: «Tutti coloro che il governo impiega sono parassiti; … e la Repubblica diventa preda di ventimila persone che la corrompono, la osteggiano, la dissanguano». Tutt’altro che dato per scontato, il fatto che l’amministrazione agisca realmente per l’interesse generale è problematico; e conseguentemente le somme prelevate possono (almeno) diventare retribuzione per parassiti di Stato (pubblici e privati). La scienza della finanza italiana, a partire da Maffeo Pantaleoni per arrivare a Cesare Cosciani, distingueva diversi assetti della finanza pubblica (tra governanti e governati) come mutualistico, parassitario e predatorio a seconda della quantità, utilizzazione (e risultati) del prelievo fiscale.

Non mi risulta che quando Giustino Fortunato scriveva che la legge fondamentale del funzionamento della burocrazia italiana era l’inverso di quella di Carnot; ovvero che tutta l’energia prelevata doveva essere consumata per il sostegno e il frazionamento della macchina amministrativa (cioè in stipendi, gettoni, contributi, pensioni, missioni ecc. ecc.) e il minimo reso in servizi al contribuente, fosse mai stata oggetto di tanto sdegno, Né lo sia stato don Sturzo, il quale giudicava così la “costituzione più bella del mondo” «Purtroppo di statalismo, l’attuale schema di costituzione puzza cento miglia lontano» e molte norme «invocano l’intervento dello Stato ad ogni piè sospinto, e risolvono tutti i più assillanti problemi con il rinvio all’autorità, all’ingerenza e alle casse dello Stato». A fronte di Fortunato, Sturzo e di tutti gli altri che condividevano il loro giudizio realistico, la Meloni, con il suo “pizzo” e la volontà di riscrivere la Costituzione, appare una moderata.

E lo stesso risulta a considerare quanto scrivevano i teorici dello Stato di diritto moderno.

A citare per tutti questo se pensavano gli autori del Federalista: ossia che se gli uomini fossero degli angeli, di governi non ce ne sarebbe la necessità; e se fossero angeli i governanti, neanche servirebbero i controlli sui governi.

Ma dato che di angeli in giro non se ne vedono, sono necessari sia i governi che i controlli sugli stessi. Invece per i parrucconi tecno-burocrati, chi insinua che imposte ed accessori siano la mangiatoia di interessi e clientele tutt’altro che sollecite del bene comune (ossia che il governante non è, come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni rispetto) bestemmia e merita l’anatema da cotanti sant’uomini.

Come scriveva Gogol nell’ “Ispettore generale” il giudizio dei parrucconi su chi la pensa come (anche) la Meloni è quanto uno dei personaggi dice parlando dell’autore della commedia «Ma che razza di uomo è? un… un..,. un… non c’è nulla di sacro, per lui! Oggi sparla d’un consigliere, mettiamo, e domani verrà fuori a dire che Dio non esiste. Il passo  è breve».

Giudizio che avrebbe condiviso, tra i letterati, il nostro Giusti col suo Gingillino ed il suo credo nella Zecca onnipotente.

Sacralizzare il prelievo fiscale e l’uso che se ne fa, è materia per facile ironia. Ben vengano una, cento, mille Meloni a demistificarlo, laicizzarlo e (speriamo) a ridurlo.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Giova riportare qualche breve passo di Salviano: «Ci sono forse non dico città, ma anche municipi o villaggi, dove tutti quanti i decurioni non siano altrettanto tiranni?… Nessuno, pertanto, è al sicuro… si salva dalla razzia di quei ladri che ti spolpano, a meno che uno sia un pirata loro pari. Si è arrivati a questa situazione, o meglio a questo livello di criminalità, che uno non ce la fa a cavarsela se non è un brigante pure lui». I governanti « con la scusa dell’esazione delle imposte, hanno dirottato queste imposte a profitto personale e hanno fatto delle tasse straordinarie un bottino privato… li hanno spolpati; si sono pasciuti non solo dei loro beni come normalmente fanno i ladri, ma anche del loro sangue dopo averli ammazzati».

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Alterfestival, tra azione e riflesso condizionato. A cura di Giuseppe Germinario

Sabato 3 e domenica 4 giugno si è tenuto un convegno dell’associazione Alterfestival in memoria di Giulietto Chiesa sullo stato dell’arte dell’informazione. Un convegno rivelatosi un gran successo per la folta partecipazione di pubblico e per la qualità di gran parte dei relatori e dei partecipanti selezionati. Tutto reso possibile grazie al contributo di un gran numero di volontari, così insolito di questi tempi.

Il filo conduttore del convegno si è rivelato, per la verità, un po’ tenue e la conduzione ne ha un po’ risentito. Una carenza che, però, ha consentito paradossalmente di acquisire un grande merito. Ha permesso  di evidenziare le grandi potenzialità di un movimento e di una corrente di opinione radicati nel paese, ma anche i limiti e le zavorre che ne impediscono il decollo e inibiscono la capacità di influire sulle dinamiche del paese.

La fase iniziale del convegno ha esplorato  le possibilità della controinformazione e, soprattutto, coraggiosamente gli spazi eventuali e concreti che il sistema mediatico dominante può ancora offrire o lasciarsi sfuggire. Ha serpeggiato, di conseguenza, la proposta di creazione di una piattaforma e di un network capace di aggregare le varie realtà.

Una proposta, però, che intanto cozza con il vuoto evidente lasciato nel convegno  dall’assenza di numerose realtà editoriali significative, informali e strutturate, presenti  nella sfera mediatica e con la presenza contestuale, nell’iniziativa, di qualche personaggio improbabile, parte dei quali presenti ormai da anni sulle scene “alternative” con  risultati purtroppo  ormai evidenti.

Quanto al merito, ha oscillato continuamente tra due poli opposti: la costruzione di un unico soggetto editoriale, di fatto a supporto di una organizzazione politica nata e cresciuta, relativamente, soprattutto per esigenze elettorali, il primo; la costruzione di una piattaforma che funga da mero strumento e spazio di confronto di realtà che devono, comunque, dimostrare una base minima comune di discussione. Avendo a che fare, di fatto, con un arcipelago variegato la prima prospettiva rischia ancora una volta di risolversi  nell’ennesimo  tentativo surrettizio, affrettato e forzato di costruzione di una piattaforma collaterale a progetti politici evanescenti. Trattandosi di un arcipelago, il modello del secondo polo, sganciato dall’ipotesi di costruzione partitica, avrebbe più senso e sarebbe realisticamente più efficace nel lungo periodo.

Nel corso del dibattito, infatti, almeno due interventi hanno opportunamente sottolineato il fatto che la autoreferenzialità e la ghettizzazione non sono solo un fenomeno alimentato e imposto dal sistema mediatico dominante di cui esso stesso, per altro, è vittima; sono un processo ed una postura introiettati spesso e volentieri dalle stesse “vittime” ridotte, nel migliore dei casi, ad atti di testimonianza e di sterile protesta di realtà arroccate ed altrettanto autoreferenziali.

Gli spunti offerti in proposito da Federico Zamboni,  Alessio Mannino e da Paola Ceccantoni da una parte e da Marcello Foa e Carlo Freccero dall’altra sono stati illuminanti.

Lo stesso Giulietto Chiesa, nell’ultima fase del suo impegno, deve aver intuito l’esistenza del marchio di questo peccato originale.

L’utilizzo ricorrente di termini ed espressioni quali “resistenza”, “controinformazione”, “circolarità dei processi”, “x non è il mio Presidente”, “ripudio di…” sono la conferma della persistenza di questa postura. La maturità di una area politica e di un gruppo dirigente alternativi  si rivela nella capacità di superare atteggiamenti di riflesso e mera reazione ad agende altrui e in quella di seguire una propria strada autonoma capace di aprire varchi, contraddizioni e defezioni nel campo dominante, compresa la corrispondente classe dirigente. Non si può ridurre il confronto e lo scontro politico alla sola e illusoria dinamica alto e basso, élites e un popolo del quale ci si arroga in qualche maniera la rappresentanza e la propria esclusiva appartenenza apparentemente indistinta  in esso.

Gli ultimi documenti dei BRICS, dei quali il sito Italia e il mondo, intende trattare a breve sono la cartina di tornasole di una salto di qualità compiuto a livello geopolitico da quelle forze.

L’avvio dell’iniziativa referendaria di “Ripudio della guerra”, piuttosto che di “fermo esplicito della guerra in Ucraina” rappresenta, a sua volta, la cartina di tornasole di quel  connubio tra nobili sentimenti ed iniziative circoscritte, destinate ad aree circoscritte e testimoniali, solitamente sterili, di fatto impotenti, specie in un contesto geopolitico così effervescente nel quale a decidere la guerra sono altri, ben più potenti, siano essi gli aggressori  che gli aggrediti o presunti tali. E l’aggressore, in questo contesto, non è certo la leadership russa.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

 

AL CUORE DEL NARCISISMO OCCIDENTALE: IL PROTESTANTISMO ZOMBIE, di Emmanuel Todd

AL CUORE DEL NARCISISMO OCCIDENTALE: IL PROTESTANTISMO ZOMBIE

rifiutare di vedere il mondo esterno permette di conciliare sentimento interiore di superiorità (l’elezione divina) e discorso universalista ufficiale

Gli storici della guerra in Ucraina si sorprenderanno un giorno dell’incapacità dell’Occidente di percepire il proprio isolamento. La Cina, l’India, l’Iran, la Turchia, il Sud Africa, l’Arabia Saudita e tanti altri (il 75% del pianeta) rifiutano di seguirci senza che noi smettiamo per altro di autodesignarci come “comunità internazionale”. Noi siamo il mondo nel momento in cui il mondo è esasperato per quello che percepisce come un conflitto tra Europei Occidentali (noi) e Orientali (i Russi). Peggio, nella pratica, questo “noi” si restringe. Il suo cuore storico, la sfera protestante, riappare sconvolto. Per Max Weber l’ascesa dell’Occidente si identificava con quella del protestantesimo e dei suoi valori economici impliciti (l’etica protestante e lo spirito del capitalismo). Certo, la credenza calvinista o luterana ha finito per scomparire per raggiungere intorno al 2020, anche negli Stati Uniti, una sorta di punto zero. Sussistono tuttavia delle tracce mentali, essenziali per comprendere gli attuali rapporti internazionali. Il narcisismo culturale è uno degli elementi di questo protestantesimo zombie.

Osserviamo per cominciare il ribaltamento protestante dell’Europa. Il progetto europeo è stato ispirato per lungo tempo dalla democrazia cristiana, quindi cattolica, centrata sull’Italia, sulla Francia e su una Germania allora priva del suo Est luterano. La riunificazione ha restituito alla Repubblica Federale il proprio statuto di paese a maggioranza protestante. Chi sono, per tanto, oggi i fautori  più dinamici della “comunità internazionale” (accantonando la Polonia e la Lituania la cui rossofobia è ontologica)? L’Inghilterra, fornitrice di carri armati Challenger e di nissili Storm Shadow è stata calvinista. I Paesi Bassi, fornitori di F16, sono stati calvinisti. La Norvegia, che ha dato alla NATO il suo Segretario, Jens Stoltenberg e ha partecipato, secondo il giornalista investigativo Seymour Hersh, al sabotaggio del North Stream, è stata luterana. La Svedia, che ferve d’impazienza alle porte della NATO, altrettanto luterana, come d’altronde la Finlandia, già accolta. Estoni e Lettoni sono luterani.

Vediamo ora come questo protestantesimo zombi dominante consente alla “comunità internazionale, di ignorare il proprio isolamento.

Il protestantesimo era costituito da due componenti fondamentali.  La prima, terrestre, egalitaria, rivendicava l’accesso diretto di ciascuno a Dio e l’accesso di tutti alle Sacre Scritture per l’apprendimento della lettura. Una precoce alfabetizzazione di massa spiega (molto meglio che la tesi di Weber) il decollo dell’Europa del Nord e dell’anglosfera. La seconda componente, metafisica, era non egualitaria: la predestinazione, per quanto attenuata dai calvinisti olandesi, poi inglesi, stabiliva gli eletti e i dannati. Questo dogma dell’elezione divina ha nutrito un ideale nazionale precoce e feroce. L’adesione al protestantesimo fu d’altronde separazione dall’universale romano. I primi narcisismi nazionali furono protestanti nei Paesi Bassi sollevatisi contro la Spagna, nell’Inghilterra rivoluzionaria di Cromwell. L’eccezionalismo americano seguirà. L’inegualitarismo protestante è stato soprattutto il sostrato di due razzismi spettacolari. L’antisemitismo tedesco deve molto al luteranesimo correlazione geografica molto forte con il voto neonazista  nel 1932). La negrofobia americana è ancorata nell’inegualitarismo calvinista (che per altro immunizza contro l’antiseminitismo violento perché un lettore della Bibbia s’identifica con Israele). Cosa resta di queste componenti terrestri e metafisici con le chiese ormai vuote?

Il dinamismo educativo protestante sembra estinto (salvo forse in Finlandia). Si misura infatti in tante nazioni protestanti cadute di quoziente intellettuale medio (questo dubbio indicatore riflette la familiarità con lo scritto). Ma l’ideale di ineguaglianza degli uomini e dei popoli resta in vita. È stato preservato, ampliato senza dubbio, dall’educazione superiore che ha prodotto personale di basso livello ma dalla grande autostima. Nel dominio internazionale, Stati Uniti a parte, una nazione non ha più diritto di riconoscersi superiore. Ma rifiutare di vedere il mondo esterno permette di conciliare sentimento interiore di superiorità (l’elezione divina) e discorso universalista ufficiale. Questa non è che una ipotesi. Quale che sia il dettaglio della spiegazione, sono sicuro che l’etnocentrismo protestante zombie è al cuore del narcisismo occidentale.

https://www.marianne.net/agora/humeurs/emmanuel-todd-le-protestantisme-zombie-est-au-cour-du-narcissisme-occidental

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