Di MARY CLARE JALONICK Associated Press
Updated January 31, 2019 04:55 PM
Nel podcast precedente Gianfranco Campa ha prospettato la situazione nel Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali del 2020. In questo podcast ci offre qualche aggiornamento su una situazione già così fluida per poi passare a qualche rapido cenno sulle dinamiche nel versante politico opposto, il Partito Repubblicano. Non c’è ancora molto da dire. Tutto dipende dall’eventuale ricandidatura di Donald Trump. Nel caso dovesse farlo, eventuali candidature alternative serviranno probabilmente a comprendere la forza della fronda al Presidente interna a quel partito. I guai verranno fuori prepotentemente in caso di rinuncia di Donald Trump. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Le informazioni che ci arrivano dal Venezuela devono attraversare un filtro molto selettivo costituito dai partigiani del regime di Maduro e dai suoi più feroci avversari. Comprensibile nel clima di scontro aperto ormai generatosi per la contrapposizione durissima all’interno del paese e per il gioco geopolitico cruciale in atto in una area, l’America Meridionale, sino a poco tempo fa considerata il cortile di casa esclusivo degli Stati Uniti. Quel continente ha conosciuto innumerevoli tentativi di emancipazione quasi tutti naufragati, con l’eccezione di Cuba, in pochi anni. Il Venezuela proseguirà su questa falsariga? Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Giuseppe Angiuli aderisce al Centro Studi per la promozione del Patriottismo Costituzionale. E’ una associazione politica che si pone quale obiettivo fondante il recupero della piena sovranità per l’Italia nell’auspicabile contesto di un nuovo mondo a carattere multipolare.
Il Centro Studi organizza e promuove dibattiti, convegni e riflessioni prevalentemente sulle seguenti tematiche: critica al modello di finanz-capitalismo globalista, liberazione dell’Italia dai Trattati ultra-liberisti dell’€urozona, adozione di misure ed interventi di tipo keynesiano in economia, rilancio del ruolo dirigista dello Stato nel campo della programmazione economica, rafforzamento di un sistema di welfare moderno ed inclusivo, ripristino di un modello solidale e garantista delle relazioni di lavoro.
“Il posto più pericoloso per un bambino afro-americano è nel grembo materno”
Il 1973 è stato l’anno della storica decisione presa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti sulla questione della costituzionalità delle leggi che criminalizzavano o limitavano gli aborti con la quale essa liberalizzava e rendeva legale l’accesso e il diritto della donna all’aborto (Roe Vs Wade). Da allora, nonostante il dibattito sulla questione morale e medica intorno all’aborto non si sia mai spento, la divisione e il confronto fra i due schieramenti pro e contro l’aborto si è incanalato su linee ben delineate. Per anni, politicamente parlando, il partito democratico ha sostenuto la causa pro aborto e quello repubblicano la causa contro l’aborto e per la vita.
I dogmi accettati da ambo le parti erano i seguenti: Per i democratici aborto libero con qualche limitazione, per i repubblicani niente aborto eccetto in caso di violenza carnale, relazioni incestuose, pericolo di vita per la donna. Negli ultimi tempi il dibattito pro o contro l’aborto si è inasprito; è diventato piu militante, più intransigente, più radicale, meno accondiscendente. Le ragioni di questa svolta sono da ricercare in molteplici fattori: l’avvento dell’ecografia, l’attivismo dei gruppi anti-aborto nelle università e di fronte alle cliniche dove si eseguono gli aborti. La visualizzazione degli orrori dell’aborto attraverso i social media e la testimonianza di donne che si sono sottomesse ad una procedura di aborto e come conseguenza hanno subito traumi, soffrendo e mostrando segni da disturbo da stress post-traumatico.
Nel 2002 il Congresso Americano passò all’unanimità una proposta di legge, firmata poi dall’allora presidente Bush, che proteggeva un neonato che sopravviveva ad un tentativo di aborto (H.R.2175 – Born-Alive Infants Protection Act of 2002). La legge obbliga il medico che effettua l’aborto, in caso di sopravvivenza accidentale dell’infante all’intervento, di provvedere a tutte le cure mediche necessarie a garantire la sua sopravvivenza. La legge fu votata all’unanimità dal congresso americano, inclusa la senatrice Hillary Clinton. Nonostante le diverse posizioni ideologiche sull’aborto, quella legge chiariva quello che avrebbe dovuto essere per natura logico e cioè che un bambino destinato all’aborto ma estratto vivo, per quanto minuscolo fosse, doveva considerarsi a quel punto, a tutti gli effetti, una persona con gli stessi diritti di ogni altro essere umano. La legge si riferiva più che altro a casi in cui si conduceva un aborto su un feto di oltre 20 settimane di gestazione, poiché più tardi avviene l’aborto piu` aumentano le possibilità di sopravvivenza del feto. Non mi dilungo troppo sugli aspetti medici e scientifici della questione perché non mi considero un esperto, ma lo spirito della legge era chiaro. Sebbene sia da considerarsi un caso raro, a volte le donne partoriscono nonostante un tentativo di aborto. Secondo il Born-Alive Protection Act del 2002, “il personale medico deve considerare il neonato vivo se osserva respirazione, battito del cuore, pulsazioni del cordone ombelicale o movimenti muscolari volontari confermati, indipendentemente dall’età gestazionale.”
L’attuazione della legge si era resa necessaria per aiutare a chiarire a chi non riconosceva, per ignoranza o per malizia, la differenza fra una creatura nata viva e una morta; questo indipendentemente dalle ragioni del parto, fossero esse naturali oppure forzate da un aborto volontario. Una scelta logica per i legislatori americani; votare per prevenire quello che si poteva considerare un infanticidio. Quella unità di intenti nel riconoscere un atto intrinsecamente malvagio, nonostante le differenze ideologiche, non esiste piu. Il partito democratico di oggi non e piu quello del 2002. Il partito democratico di oggi e retaggio di un individuo che ha dispensato per otto anni bombe e guerre attraverso il globo, mettendo a fiamme e fuoco intere nazioni.
L’anno successivo, nel 2003, un allora sconosciuto senatore locale, eletto al parlamento dello stato dell’Illinois, il signor Barack Obama votava contro un disegno di legge dell’Illinois chiamato Born Alive Infants Protection Act, modellato sulla legislazione federale emanata nell’anno precedente. Il significato di quel no era semplice; Obama trovava assolutamente accettabile che quei bambini sopravvissuti ad un tentativo di aborto venissero semplicemente lasciati morire. Quel semplice gesto ha segnato il giro di boa per il partito democratico verso posizioni più radicali sull’aborto; da lì la conseguente reazione dei repubblicani i quali spinti dalle organizzazioni anti-aborto hanno spinto verso una profonda incolmabile divisione fra le parti e verso un’alzata di scudi degli schieramenti a protezione delle rispettive posizioni. Negli ultimi anni gli stati conservatori, quelli cioè in mano a legislatori repubblicani, hanno proposto e avanzato disegni di leggi statali volti a regolare l’accesso all’aborto. Come reazione, negli stati a maggioranza democratica c’è stata una corsa alla ulteriore liberalizzazione delle leggi sull’aborto.
Lo scorso anno con la nomina del giudice Bret Kavanaugh alla Corte Suprema di Giustizia, l’equilibrio si e` spostato decisamente a destra e con esso il timore da parte dei democratici e delle forze pro aborto che la Corte Suprema Americana potrebbe decidere di rivisitare l’orientamento di liberalizzazione adottato nel 1973. Ecco spiegata anche la ragione della resistenza democratica alla nomina di Kavanaugh. Nomina conseguita nella più disputata, litigiosa, procedura di conferma di un giudice mai vista al Senato Americano. Il panico del movimento pro aborto timoroso di perdere i diritti acquisiti negli anni si riflette nel partito democratico stesso. Questo senso di scoramento e allarme ha portato negli ultimi tempi ad una più radicale posizione dei politici democratici, fino a spingersi a condonare e legalizzare l’infanticidio. Da qui l’epilogo dell’orrenda legge varata dallo Stato di New York e il tentativo, fallito di far passare una legge analoga nello stato della Virginia. Tutto questo mentre altri stati sotto il controllo del partito Democratico contemplano la stessa legge attuata dallo stato di New York; Rhode Island, Vermont, New Mexico. Il partito democratico si è trasformato a tutti gli effetti in una macchina di distruzione di massa.
C’è un altro aspetto importante da considerare; quello forse più importante ,ma meno conosciuto in questo interminabile dibattito sull’aborto; l’impatto dell’aborto nelle popolazioni minoritarie, in particolare nelle comunità afroamericane. Il dramma dell’aborto nelle comunità afroamericane è immane. L’aborto è il killer numero uno nella comunità nera. Uccide più dell’HIV, del diabete, delle malattie cardiache e del cancro messi insieme. Utilizzando le statistiche rilasciate nel 2008 dal CDC (il 2008 è l’anno più recente disponibile che fornisce statistiche sull’aborto a livello nazionale), ci sono stati 317.547 aborti nella comunità nera. Secondo l’istituto pro-aborto di Guttmacher, questo numero rappresenta il 30% (la percentuale di aborti neri) del 1.058.490 aborti della nazione nel 2011. Tutte le altre cause di morte ammontano a 286.797. Nella comunità nera i morti superano il numero dei nati. La ragione è da ricercare principalmente nell’alto numero di aborti.
Le voci di protesta nella comunità nera contro questo vero e proprio genocidio, sono ancora poche ma forti e coraggiose. Una persona su tutte si è elevata in questi anni a guerriero nella crociata anti-aborto: il Reverendo Dottor Clenard H Childress Jr. Fondatore del movimento blackgenocide.org (http://blackgenocide.org/director.html). Ho avuto il piacere di conoscere qualche anno fa molto brevemente il Dottor Childress, durante un evento a San Francisco. In questi giorni di pura follia omicida, dove molti stati dell’Unione contemplano la regolarizzazione dell’infanticidio, mi sono sentito in dovere di contattare il Dottor Childress per porgli alcune domande. Ringraziamo il Dottor Childress per la disponibilità e la premura nel dedicarci un po’ di tempo della sua impegnatissima giornata.
Grazie per aver accettato questa intervista per il nostro blog italiano, l’Italia e il mondo. Ci sono alcune domande che vorrei porre e alle quali rispondere sul sito web.
1) Come è partito il suo coinvolgimento nel dibattito sul tema dell’aborto?
Sono stato reclutato da un attivista locale che lavorava per l’organizzazione Life Net . Organizzazione che entra nelle scuole per insegnare il messaggio di astinenza e i pericoli dell’aborto. Durante uno di questi incontri, Chris Flaherty si è avvicinato ad un adolescente che frequentava la mia chiesa ed è rimasto positivamente sorpreso dalla sua conoscenza sulle questioni dell’aborto e dei suoi effetti dannosi.
2) La maggior parte dei media e dei cittadini italiani sono in qualche modo consapevoli del dibattito in corso sull’aborto in questo paese. Ciò di cui non sono a conoscenza è l’impatto che l’aborto ha avuto sulla comunità nera. Puoi darci qualche dato su quanto l’aborto abbia trasformato la comunità nera negli ultimi decenni da quando è passata la Roe V Wade?
Dal momento in cui la Corte Suprema ha approvato la Roe Vs Wade, si contano 20 milioni di bambini afroamericani uccisi dall’aborto. Ogni giorno 1786 Bambini afroamericani vengono uccisi dall’aborto.
Il 52% di tutte le gravidanze afroamericane finisce con l’aborto
A New York, Philadelphia, Los Angeles ci sono più bambini abortiti che nati.
3) Puoi spiegarci brevemente cosa hanno attuato i legislatori di New York sull’aborto e cosa hanno tentato di fare i legislatori della Virginia sull’aborto?
Il Governatore Cuomo ha promosso un disegno di legge per assicurarsi che un bambino possa essere abortito fino al nono mese di gravidanza (le leggi dello stato del New Jersey già lo consentono). La Virginia ha tentato di rimuovere le restrizioni sugli aborti tardivi che rispecchiano sostanzialmente la legislazione di New York. Molti Stati pro-aborto (stati sotto il controllo democratico) anticipano la caduta del Roe Vs Wade, prendendo la decisione come singolo stato. Quindi stanno cercando di proteggere le loro leggi che favoriscono l’aborto.
4) Puoi farci una breve storia su come il Partito Democratico abbia conquistato i cuori e le menti della comunità nera e come questa totale resa sia stata deleteria per la comunità nera?
Nel 1960 i democratici John F Kennedy e Lyndon Johnson, nonostante le obiezioni del loro stesso partito, hanno collaborato con Martin Luther King (repubblicano) nel passaggio della legislazione sui diritti civili, sostanzialmente sostenuta dai repubblicani. La promessa data a Kennedy e Johnson era il sostegno di un blocco di voto più ampio per le loro candidature personali.
5) A suo parere pensa che ci sia speranza che i leader neri e la comunità nera in generale acquisiscano consapevoleza sul dannoso rapporto che hanno con il partito democratico e sulla funesta conseguenza che l’industria dell’aborto ha sulla comunità nera?
SÌ, incrementalmente la comunità afroamericana attraverso l’educazione di base sta iniziando a recepire il messaggio. È stata la mancanza di conoscenza e la deliberata disinformazione e censura che ha permesso all’aborto e alla sua industria di diventare una roccaforte nella comunità afroamericana. Ci sono molti che assumono ora il ruolo di “emancipazione” e chiedono giustizia sociale per quel segmento della nostra comunità cui è stato negato il sogno americano e il diritto alla vita stessa.
http://blackgenocide.org/home.html
http://www.toomanyaborted.com/wp-content/uploads/2013/02/nvsr62_01-2.pdf
http://www.toomanyaborted.com/wp-content/uploads/2013/02/fb_induced_abortion.pdf
http://www.toomanyaborted.com/wp-content/uploads/2013/02/nvsr63_03.pdf
MIGRANTI
qui sotto un testo tradotto dell’analista africanista Bernard Lugan. Coglie un aspetto importante dei processi migratori. Ve ne sono ormai aggiunti altri. A migrare non è nemmeno la componente più povera di quel continente; questa non se lo può permettere. E’ presente inoltre una componente sempre più importante legata all’esportazione e al radicamento di organizzazioni mafiose in particolare dell’Africa del Nord-Ovest. Numerose inchieste in varie città italiane, riportate sui giornali locali, molto meno su quelli nazionali, stanno iniziando ad offrire barlumi di verità_Giuseppe Germinario
Nel 2017 (i dati completi per 2018 non sono noti), il jihadismo, nella sua accezione più ampia ha causato 10.376 morti in Africa (Fonte:Centro di studi strategici per l’Africa). Per quanto drammatiche siano, queste cifre non giustificano che centinaia di milioni di africani debbano essere ospitati. Siamo infatti non in presenza di una vera e propria condizione di pericolo di persone tale da giustificare l’applicazione di un “diritto d’asilo”, diventato la filiera ufficiale dell’immigrazione. Non è infatti il jihadismo a spingere i “migranti” africani a forzare le porte di un’Europa paralizzata dalla tunica di Nessus etno-masochista, ma la miseria. I migranti economici, quindi non hanno diritto di restare nei paesi europei. Non se ne dispiacciano contrabbandieri ideologici e papa.
Per avere una chiara idea del vero tributo umano del jihadismo africano, passeremo in rassegna le sue aree di attività, vale a dire la Somalia, Egitto, Libia, Nigeria e la regione del Sahel-Sahara.
1) Somalia: delle 10376 morti causate dal jihadismo africano nell’accezione più ampia, 4557 – ovvero il 44% del totale – sono stati uccisi dal Shabaab della Somalia, anche se non sappiamo se si tratta di puro jihadismo , guerra civile o entrambi.
2) l’Egitto e il Sinai: 391 morti nel 2017 (contro 223 nel 2016) causate dallo Stato islamico e da Al Mourabitun.
3) Libia: 239 morti, la maggior parte delle quali membri dello Stato Islamico uccisi dalle milizie che lo combattono.
4) Nigeria (Boko Haram): dopo il picco di 11 519 morti nel 2015, nel 2017, il numero totale di morti è raggiunto la cifra di 3329.
5) La regione del Sahel sahariana (Mali, Niger, Burkina Faso): Il bilancio delle vittime è purtroppo quasi raddoppiato in un anno, da 223 nel 2016-391 nel 2017. Dei 391 morti, 253 sono attribuibili al gruppo Jama ‘ ha Nusrat al-Islam wal Muslimeen.
Se togliamo dalle 10.376 vittime del jihadismo globale i 4557 decessi somali, nel 2017, per il resto della loro azione terra africana, i jihadisti hanno provocato 5819 morti. Alla scala delle vaste zone colpite, e in relazione a una popolazione di circa 400 milioni di persone che vivono lì, non siamo ovviamente in presenza di popolazioni in pericolo tale da provocare un esodo che giustifichi la domanda di asilo.
Tuttavia, in passato, l’Africa ha sperimentato uccisioni di massa veri, in particolare tra il 1991 e il 2002, quando la guerra civile algerina ha causato la morte di più di 60 000 persone (e anche più di 100 000 secondo alcune ONG), circa 6000 l’anno. Allo stesso modo, nel decennio 1980-1990 la guerra civile in Liberia ha provocato più di 150.000 morti, pari a circa 15 000 l’anno; o tra il 1991 e il 2002 quella della Sierra Leone ha causato più di 120 000 morti, circa 12 000 l’anno. Per non parlare delle guerre di Ituri e Kasai ecc
Ma in quei momenti non abbiamo conosciuto un’ondata di “rifugiati” a immagine di ciò che l’Europa sta soffrendo attualmente.
Questa non è la guerra dalla quale fuggono questi “migranti” africani forzando le porte dell’Europa, con l’aiuto dei contrabbandieri professionali o ideologici. In Africa, il jihadismo in realtà provoca tre volte meno vittime dei morsi di serpente. Mamba, vipere di sabbia e altri naja nel 2017, ucciso tra i 25.000 e i 30.000 poveri e reso molte vite storpie (Slate fonte Africa).
Queste persone non sono “rifugiati” che temono per la loro vita e ai quali noi “dovremmo” dare il benvenuto e proteggere mentre cercano di entrare nel “Eldorado” europeo; sono clandestini. Attratti dal nostro “benessere” e dalle nostre leggi sociali generose, questi squatters (occupanti abusivi) si introducono per effrazione in un’Europa a lasciarli entrare, come diceva Chesterton; l’attuale Papa lo rovela nel suo discorso in nome di “antiche virtù cristiane impazzite.”
Bernard Lugan
2019/01/27
PORTATORI DI PACE
La maggioranza del Congresso Americano, democratici e buona parte dei repubblicani, ha bocciato la decisione di Trump del ritiro delle forze militari americane da Siria ed Afghanistan. Il Presidente Trump sarà pure paralizzato nella sua azione politica; sta di fatto che la sua pura e semplice esistenza sta costringendo le forze politiche a mettere da parte ogni ipocrisia e a manifestarsi apertamente. Sarà sempre più difficile una operazione di mera restaurazione e di recupero in tempi rapidi di credibilità ed autorevolezza; come pura di una riproposizione dello schema classico destra/sinistra-democratici/conservatori.
qui sotto il link e la traduzione di una nota
In questo 29 gennaio 2019, (nella foto), il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell, R-Ky., parla con giornalisti al Campidoglio di Washington. In disaccordo con il presidente Donald Trump, il Senato, in maggioranza, ha votato 68-23 nel promuovere un emendamento che si opporrà al ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria e dall’Afghanistan. L’emendamento di McConnell afferma che lo Stato islamico e i militanti di al-Qaida rappresentano ancora una seria minaccia per gli Stati Uniti e avverte che “un precipitoso ritiro” delle forze americane dalla Siria e dall’Afghanistan potrebbe consentire ai gruppi di riorganizzarsi e destabilizzare i paesi.
WASHINGTON
Con il sostegno di ambo i partiti, in un atto di dissenso contro il presidente Donald Trump, il Senato ha votato 68-23 per far avanzare un emendamento che si opporrà al ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria e dall’Afghanistan.
L’emendamento del leader della maggioranza al Senato; Mitch McConnell, arriva dopo che Trump ha chiesto il ritiro delle truppe da entrambi i paesi. Il provvedimento dice che lo Stato Islamico e i militanti di al-Qaida rappresentano ancora una seria minaccia per gli Stati Uniti, e avverte che “un precipitoso ritiro” delle forze statunitensi da quei paesi potrebbe “permettere ai terroristi di riorganizzarsi, destabilizzare regioni critiche e creare vuoti che potrebbe essere riempiti dall’Iran o dalla Russia “.
Trump ha improvvisamente twittato i piani per un ritiro americano dalla Siria a dicembre, sostenendo che lo Stato islamico era stato sconfitto nonostante i suoi capi dei servizi segreti avessero detto che il gruppo rimaneva una minaccia. Trump ha anche ordinato ai militari di sviluppare dei piani per rimuovere fino a metà delle 14.000 forze statunitensi in Afghanistan.
McConnell ha dichiarato che la misura presa in senato non deve essere vista come un rimprovero al presidente, prima del voto ha però detto che “sono stato chiaro con le mie opinioni su queste questioni“. McConnell crede che i pericoli posti dalla Siria e Dall’Afghanistan nel confronto degli Stati Uniti rimangano.”L’ISIS e al-Qaida devono ancora essere sconfitti”, ha detto McConnell. “E gli interessi della sicurezza nazionale americana richiedono un impegno costante per le nostre missioni in quei paesi“.
Il voto è l’ultima indicazione di un allargamento delle crepe tra il Senato repubblicano e Trump in materia di politica estera. Simili fratture esistono all’interno della stessa amministrazione di Trump, evidenti questa settimana quando i capi delle principali agenzie di intelligence statunitensi hanno testimoniato al Senato e lo hanno contraddetto sulla forza dello Stato islamico e su molte altre questioni di politica estera. L’annuncio di Trump sulla Siria, nel frattempo, ha provocato le dimissioni del Segretario alla Difesa James Mattis.
L’emendamento di McConnell, che è non vincolante, incoraggerebbe la cooperazione tra la Casa Bianca e il Congresso a sviluppare strategie a lungo termine per entrambe le nazioni, “includendo un esame approfondito dei rischi di un ritiro troppo frettoloso“.
Il senatore Marco Rubio, R-Fla., ha parlato a sostegno dell’emendamento del Senato, dicendo che l’annuncio del ritiro di Trump ha già minato la credibilità degli Stati Uniti nella regione. “Questo viene usato contro di noi in questo momento“, ha detto Rubio. “Questa è una situazione molto pericolosa, ecco perché questa è una pessima idea.”
Sebbene molti democratici abbiano sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero eventualmente ritirarsi dai conflitti in Siria e in Afghanistan, circa la metà di loro ha sostenuto la risoluzione di McConnell.
La senatrice della California Dianne Feinstein ha detto dopo il voto che ritiene che sia “passato abbastanza tempo da permettere agli Stati Uniti di negoziare una fine appropriata” per il conflitto in Afghanistan. Ma ha detto anche di essere d’accordo con McConnell sul fatto che il “ritiro precipitoso” da uno dei due paesi senza risoluzioni politiche metterebbe a repentaglio i risultati che hanno già raggiunto le forze militari. Ha votato a favore della misura.
Il senatore indipendente Bernie Sanders del Vermont ha detto che pensa che Trump abbia annunciato i ritiri troppo bruscamente, ma gli Stati Uniti sono rimasti in Afghanistan e in Siria da troppo tempo. “Quello che McConnell sta dicendo è mantenere lo status quo“, ha detto.
Anche una manciata di repubblicani si è opposta all’emendamento. Il collega del Kentucky McConnell, il senatore repubblicano Rand Paul, non era presente per il voto, ma ha fatto sapere che era contrario.
“E ‘tempo di riportare le nostre truppe a casa dall’Afghanistan e dalla Siria“, ha scritto Paul in un tweet, dicendo di stare con Trump. “È ridicolo chiamare “precipitoso” il ritiro dopo 17 anni.
Una votazione sul passaggio finale dell’emendamento potrebbe arrivare all’inizio della prossima settimana. Se avrà successo, la posizione verrà aggiunta a una vasta proposta di legge sulla politica estera che è rimasta in sospeso al piano del Senato per diverse settimane. La legislazione include misure a sostegno di Israele e Giordania e lo schiaffo delle sanzioni contro i siriani coinvolti in crimini di guerra.
Questo disegno di legge ha anche diviso i democratici centristi e liberali su una disposizione di Rubio che cerca di contrastare il movimento globale di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele per il trattamento riservato ai palestinesi e ai loro insediamenti. Israele vede una crescente minaccia dal movimento BDS, che ha portato a un aumento dei boicottaggi dello stato ebraico a sostegno dei palestinesi.
A sostegno di Israele, le misure di Rubio affermano l’autorità legale dello stato e dei governi locali di limitare i contratti e intraprendere altre azioni contro coloro che “sono coinvolti nella condotta BDS”. Diversi stati stanno affrontando cause legali dopo aver intrapreso azioni contro i lavoratori sostenitori del boicottaggio di Israele.
Gli oppositori dicono che la misura di Rubio viola la libertà di parola.
I prossimi due anni si prospettano incerti ed avvincenti, decisivi. Sia nello scenario geopolitico mondiale che nell’agone interno agli Stati Uniti. A prescindere dall’esito delle elezioni presidenziali americane del 2020, ogni velleità meramente restauratrice dello status quo ante è destinata a rivelarsi una pura suggestione. Peggio! Se dovesse avere successo non farebbe che accelerare il processo di decomposizione e frammentazione sociale e politica di quel paese sino a trascinarlo inesorabilmente verso un distruttivo ed imprevedibile conflitto interno o ad una implosione. Trump è il rappresentante di una versione originale di una componente “isolazionista” da sempre presente negli Stati Uniti, molto militante, ma costantemente minoritaria. Lo è ancora adesso; nel suo momento di massimo fulgore, l’attuale, non riesce a superare un 20/25% dell’elettorato; uno zoccolo duro autenticamente sostenitore del Presidente ma scarsamente radicato negli apparati di potere. Da qui la tattica di infiltrazione all’interno del Partito Repubblicano e i continui compromessi al ribasso di Trump, sino al sacrificio dei suoi uomini migliori e più fedeli. L’indole e la propensione di “the Donald” è rimasta e riaffiora comunque, estemporanea, come un sussulto, ogni qualvolta appare un qualche margine di autonomia nelle proprie scelte. Più o meno consapevolmente Trump con la sua azione ha comunque eroso ogni residuo spazio effettivo di conduzione unipolare del gioco geopolitico e sancito l’esistenza politica di forze avverse e concorrenti pur con le sue azioni più dure e apparentemente discriminatorie. Ha determinato la crisi e lo stallo delle élite politiche europee globaliste ed europeiste, ha ridicolizzato e privato di autorevolezza la quasi totalità del ceto politico americano a lui avverso o apparentemente amico. Le primarie del Partito Democratico annunciano un rinnovamento radicale della leadership e il tramonto definitivo, con l’eccezione di Obama, dei vecchi santoni. Molto più precaria e incerta la situazione nel Partito Repubblicano. Una fase di transizione che sembra offrire margini di azioni a personalità più o meno “indipendenti” esterni agli schieramenti classici. Gianfranco Campa, da par suo, ci offrirà un affresco esauriente e documentato di queste dinamiche così influenti anche in casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-29
Cari Amici vicini & lontani, ieri la mia palla di cristallo è stata hackerata da qualcuno o Qualcuno, non so. O è stato Putin, o è stata un’Entità Non Identificata, o è stato un dodicenne smanettone, fatto sta che quando l’ho accesa a) la trasmissione non era come al solito a colori, ma in bianco e nero b) i protagonisti della vicenda che mi ha presentato esistono, esistono eccome: sono il Presidente Trump e la Speaker del Congresso USA Nancy Pelosi; ma gli eventi che ho visto dipanarsi non, ripeto NON sono accaduti nella realtà.
Perlomeno, non sono accaduti nella nostra realtà, anche se ci sono coincidenze e sovrapposizioni tra la nostra realtà, la realtà a colori, e la realtà in bianco e nero che mi ha raccontato la palla di cristallo. Cercando una spiegazione, mi sono detto: “E se questi eventi si fossero effettivamente svolti in una realtà parallela? In un universo che esiste, invisibile e impercettibile, accanto al nostro?”
Va be’, la smetto con la fantascienza filosofica e vi racconto.
Vi ricordate che qualche giorno fa, nella nostra realtà a colori, il Presidente Trump ha fatto un dispetto alla Speaker del Congresso, la democrat Nancy Pelosi? No? Ve lo ricordo io.
La Pelosi programma un viaggio in due tappe, con un’ottantina di persone al seguito: Europa, sede Nato di Bruxelles, per un incontro con Macron, Merkel e rappresentanti delle FFAA americane ed europee; destinazione finale, Afghanistan. Ma Trump blocca il viaggio d’autorità, le manda una letterina provocatoria “In Afghanistan non ci vai, spendi troppo”
e diffonde la foto del cumulo di bagagli di Nancy abbandonato su un carrello in corridoio, davanti al suo ufficio presidenziale.
Fin qui, tutto normale: la mia palla di cristallo me lo racconta in bianco e nero, ma è successo anche nella nostra realtà, la realtà a colori.
Nella realtà parallela in bianco e nero, però, il dispetto di Trump non è un dispetto, e non è un viaggio qualsiasi il viaggio di Nancy in Europa e in Afghanistan. Nella realtà parallela in bianco e nero, la Pelosi se ne va in Afghanistan per crearsi un alibi mentre accade un evento che è qualcosa di più di un dispetto: e fa tappa alla sede NATO di Bruxelles per preparare il terreno alle conseguenze di quell’evento.
A proposito! Che ci fa la Pelosi con quella dozzina di bagagli per un viaggio di pochi giorni?
L’evento che racconta in bianco e nero la mia palla di cristallo – l’evento che si svolge nella realtà parallela – è un attentato alla vita del Presidente Trump e del Vicepresidente Pence. Un giovane estremista islamico uccide Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti, e dunque fa accedere alla Presidenza la terza carica dello Stato nordamericano: la Speaker del Congresso Nancy Pelosi.
Anche nella nostra realtà a colori era previsto che proprio nei giorni in cui Nancy programmava di trovarsi in Afghanistan, Trump e Pence comparissero insieme in un evento pubblico. Poi però, annullato da Trump il viaggio di Nancy, all’evento pubblico ha partecipato di persona il solo Vicepresidente Pence. Trump si è limitato a una partecipazione in videoconferenza. C’è di più. Sempre nella nostra realtà a colori, il 18 gennaio scorso Donna Brazile[1], personalità al vertice dei Democrats USA, ha twittato: “Madam Speaker today/President Pelosi shortly thereafter/MLK weekend is underway”. Traduzione: “Oggi Signora Speaker/Fra poco Presidente Pelosi/il fine settimana dedicato alla memoria di Martin Luther King sta arrivando”. Il Martin Luther King Day 2019 è stato lunedì 21 gennaio, e dunque il MLK weekend era sabato 19 e domenica 20. Ma..maledetta palla! Il messaggio è scomparso. Cos’è? Censura ai tempi di Merlino, dai posteri conosciuto come Zuck er Berg? Ops! Un momento! Sono riuscito a fissare il messaggio nei miei occhi. Eccolo!
In quei giorni era previsto che la Pelosi fosse in viaggio.
E qui finisce la trasmissione della mia palla di cristallo. Grazie al Cielo, il terribile evento che mi ha raccontato in bianco e nero non è accaduto a colori, nella nostra realtà. Se davvero la trasmissione in bianco e nero della mia palla di cristallo proviene da un universo parallelo, non posso che compiangerne gli abitanti: l’assassinio di Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti non solo è un colpo di Stato che sovverte le istituzioni e la società nordamericana, ma destabilizza il mondo intero, e rischia di provocare un conflitto militare tra le grandi potenze. Che il loro Dio Parallelo li aiuti.
Cari amici, ripeto! Attenzione e cautela. La palla di cristallo può essere veritiera, ma è una lente che ingrandisce, deforma, scopre altri mondi ad occhi che sanno e vogliono leggere. Nel nostro mondo dobbiamo accontentarci di tastare nell’ombra e scorgere, attraverso un spiraglio di luce caravaggesco, Nancy Pelosi che nel frattempo presiede alla firma della fine dello shut down con un corredo rituale di otto penne.
Negli Stati Uniti una prerogativa da Presidente piuttosto che da portavoce della Camera. Cosa vorrà dire?
BRACCATI E BRACCONIERI
Si sono presentati in 29, al riparo delle tenebre, alle 6 di mattina, armati fino ai denti. Una operazione degna di un incursione militare nella casa di un pericoloso terrorista. L’irruzione dei nostri eroi ha goduto degli onori della diretta, sotto le telecamere della più famosa agenzia di stampa, la regina per eccellenza delle Fake News; la CNN (Clinton News Network).
Si sono presentati alla porta di un mite sessantaseienne, senza nessun precedente penale, terrorizzando un uomo in pigiama e pantofole, sua moglie, sofferente di problemi fisici e il cane. Roger Jason Stone, Jr., di Fort Lauderdale, in Florida, è stato arrestato nella propria abitazione a seguito di una mandato di arresto spiccato dal grand jury federale del distretto della Colombia, impegnato in stretta collaborazione con il procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate. Ora, grazie ai nostri eroi, le strade degli Stati Uniti sono libere da questo pericoloso criminale.
https://twitter.com/BrianEntin/status/1089001187872030721
Quanti sono i capi di imputazioni contro Stone? In totale sette, tra i quali ostruzione, falsa testimonianza, manomissione delle prove, in particolare durante la testimonianza al Senato Americano nel corso della quale aveva negato il tentativo di impossessarsi di email considerate rubate, hackerate, dal server del Comitato Nazionale del Partito Democratico (DNC) e poi pubblicate da wikileaks.
I capi di accusa contro Stone, ripropongono il modus operandi del procuratore speciale Mueller cui siamo ormai da tempo abituati. Il suo team di magistrati ha usato le stesse tattiche anche contro altri ex associati allo staff di Trump: Il generale Michael Flynn, Paul Manofort, Michael Cohen, George Papadopoulos e ora Roger Stone. I soggetti vengono prima sottoposti a interrogatori “amichevoli” poi vengono accusati di crimini che non hanno niente a che vedere con l’inchiesta del Russiagate, della quale è stato specificatamente incaricato il Procuratore. Infatti dovete sapere che tutti i crimini fino ad ora “smascherati” da Mueller ai danni di ex collaboratori di Trump riguardano reati generati e indotti dall’inchiesta stessa di Mueller. In altre parole del presunto Russiagate, di cui Mueller era stato incaricato di indagare, fino ad ora, dopo quasi due anni di indagini, non risulta che il nulla assoluto. Tutti i crimini riguardano fatti avvenuti da quando Mueller è stato nominato procuratore speciale, crimini per lo più instigati, come ho detto prima, dalle sue stesse “tecniche” investigative.
Roger Stone, dopo l’arresto è stato rilasciato su cauzione di duecentocinquantamila dollari, in attesa di un processo di cui ovviamente non conosciamo ancora la data.
Alcuni aspetti curiosi, quasi comici, emergono leggendo i capi di accusa contro Stone. Secondo Mueller, Stone avrebbe minacciato il cane di un certo Randy Credico. Per chi lo non lo conoscesse Credico “un eterno candidato politico e commediante” sarebbe stato il canale di collegamento tra Wikileaks e Roger Stone. Una cosa questa che Credico ha sempre negato. Fra l’altro Julian Assange ha sempre detto che non esisteva nessuno rapporto diretto tra Wikileaks e Roger Stone, affermando di essere disponibile ad incontrare il procuratore Mueller per chiarire non solo la posizione riguardante i rapporti Wikileaks-collaboratori di Trump, ma lo stesso presunto coinvolgimento del Cremlino sull’affare delle email sottratte al DNC. Mueller in questo senso non ci ha mai sentito e ha sempre ignorato la volontà di Assange di sottoporre direttamente a Muller la propria verità sulle email del DNC. Mueller sa che la Russia non c’entra nulla con le email del DNC! Ecco perché non è interessato a interrogare Assange.
Di Mueller e la sua caccia alle streghe ne abbiamo esaurientemente narrato in molti dei nostri precedenti podcast. Tutta la farsa del Russiagate altro non è che la costruzione di una narrativa mirata a creare una nube di sospetti sulla attuale presidenza limitando e sviando l’efficacia dell’impegno a governare dell’amministrazione Trump. Gli atti di accusa contro Roger Stone sono solo l’ultima dimostrazione del fatto che l’ufficio del procuratore speciale Robert Mueller, il Dipartimento di Giustizia e l’FBI sanno che non esiste nessuna collusione Trump-Cremlino. Il fondamento logico dell’indagine Trump-Russia, ovvero l’idea che la campagna elettorale di Trump fosse “coordinata” da e all’ombra del Cremlino in un’operazione di spionaggio informatico tesa a interferire nella campagna del 2016, non è stata altro che una certosina e ostinata operazione di depistaggio, coordinata da forze politiche, forze dell’ordine, e funzionari dell’intelligence ferocemente avversi a Donald Trump.
Una domanda sorge spontanea: chi ha informato la CNN dell’irruzione a casa di Stone?
La CNN ha affermato che si trovavano intorno alla casa di Stone, alle 6 di mattina, per puro spirito di intuizione giornalistica…Potrebbe essere invece che qualcuno dell’ufficio di Mueller abbia soffiato l’informazione alla CNN facendo trapelare in anticipo i dettagli dell’operazione sull’arresto di Stone. Anche perché, guarda caso, un ex agente dell’FBI e assistente di James Comey, di nome Josh Campbell, attualmente lavora per la CNN come reporter: “In precedenza, Josh Campbell è stato Agente speciale di vigilanza dello stesso Ufficio federale investigativo statunitense che conduceva indagini di sicurezza nazionale e criminali. Tra I suoi incarichi quello di Assistente speciale dell’ex direttore dell’FBI James Comey” (Wikipedia). Non si esclude che lo stesso Campbell fosse presente con gli altri giornalisti della CNN al momento dello “scoop”.
https://twitter.com/joshscampbell?lang=en
https://www.cnn.com/profiles/josh-campbell#about
Qui trovate il testo dei capi di accusa contro Roger Stone
https://www.justice.gov/file/1124706/download
L’arresto di Roger Stone segue i numerosi eventi, proditori e di straordinaria violenza i quali hanno contraddistinto la battaglia politica interna agli Stati Uniti in questi ultimi tre anni. Ne abbiamo parlato ormai in decine di articoli e podcast. Dal punto di vista umano è uno dei più spietati e vili, dal punto di vista politico ci sono fatti probabilmente ancora più gravi che non hanno ancora goduto degli onori della cronaca di una stampa sempre più partigiana. Uno di questi, il più recente e inquietante, ricco di gustosi particolari, potrebbe essere proprio il mancato viaggio dello speaker della Camera Nancy Pelosi, con al seguito famiglia e ottanta personalità di area democratica, in Afghanistan con breve sosta in Europa al cospetto di Macron, Merkel e importanti ufficiali americani.
Ovviamente le aperte violazioni di legge e i gravi abusi della Clinton, emersi appunto da quelle mail, ai distratti partigiani del diritto e alla magistratura americani non sembrano interessare più di tanto. Non è da escludere che nel prossimo futuro le premure dei custodi si concentrino direttamente sulla famiglia del Presidente.
Una modalità di conduzione della battaglia politica che contribuisce a scavare all’interno di quel paese un solco talmente profondo da rendere irreversibile la frattura che ormai divide le sue classi dirigenti e la sua popolazione. Se ne vedranno ancora sempre più delle belle. Non è detto che alla fine, in un futuro nemmeno troppo lontano, un ceto politico e una classe dirigente, tanto arroganti quanto ormai talmente compromessi e sempre meno autorevoli, non risultino troppo scomodi persino ai loro stessi potenti mentori.
GLI USA E L’EGEMONIA DISTRUTTRICE
a cura di Luigi Longo
L’ambigua ritirata statunitense dalla Siria e il nulla osta dato ad Israele di attaccare le installazioni militari iraniane in Siria hanno come obiettivo di fondo la guerra contro l’Iran.
Propongo, al riguardo, la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci, apparso su il Manifesto del 22 gennaio 2019 con il titolo Israele, licenza di uccidere, perché mette in evidenza il ruolo di Israele e della Nato nelle strategie statunitensi nel Medio Oriente finalizzate alla pianificazione della prossima guerra con l’Iran, per ostacolare il temuto coordinamento tra Russia, Cina e le potenze emergenti (come l’Iran) in grado di mettere in discussione l’egemonia distruttrice degli Usa. La stessa strategia fu realizzata dagli USA per la distruzione della Libia, tramite i loro sicari: Francia, Inghilterra e Italia, con l’uccisione di Mu’ammar Gheddafi.
Così scrissi nel 2015:<< Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra (che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia (che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS, hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia. Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana (gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo >>*.
Gli Usa sono una potenza mondiale devastante, distruttrice di popoli e di territori; sono l’emblema di una crisi profonda dell’Occidente che non riesce ad esprimere più un senso della vita, un’idea di rapporto sociale e di sviluppo; altro che contraddizioni: c’è il vuoto! Certo, la vita continua, nonostante tutto, ma si regge su un equilibrio dinamico sociale “sopra la follia” (parafrasando Vasco Rossi).
La mancanza di una idea di sviluppo, di un nuovo rapporto sociale trova la sua ragion d’essere nella fine di un’idea della modernità. Siamo in presenza di uno sviluppo squilibrato sotto tutti gli aspetti (umano, politico, economico, sociale, culturale, scientifico, tecnologico) che ha ridotto la modernità a un nonsense, cioè a quella incapacità di vedere le storture presenti e ad immaginare che, a partire da esse, sia possibile rilanciare una nuova modernità basata su paradigmi diversi proprio a iniziare dalla prima esperienza storica della modernità.
I nostri decisori attuali e passati sono servi volontari e, come tali, non hanno nessun interesse a pensare strategie di cambiamento per ribellarsi al padrone USA (siamo molto al di sotto della dialettica hegeliana del servo-padrone!), con l’unico risultato evidente di portare il Paese (e intendo la maggioranza della popolazione che non decide nulla!) al degrado economico, politico, sociale e culturale.
* Luigi Longo, Che ci fa l’Islamic state (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli Usa, in www.conflittiestrategie.it, 2/3/2015.
ISRAELE, LICENZA DI UCCIDERE
L’arte della guerra. Dopo che Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria, sui media italiani nessuno ha messo in dubbio il «diritto» di Tel Aviv di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere
«Con una mossa davvero insolita, Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria e intimato alle autorità siriane di non vendicarsi contro Israele»: così i media italiani riportano l’attacco effettuato ieri da Israele in Siria con missili da crociera e bombe guidate. «È un messaggio ai russi, che insieme all’Iran permettono la sopravvivenza al potere di Assad», commenta il Corriere della Sera.
Nessuno mette in dubbio il «diritto» di Israele di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere, dopo che per otto anni gli Usa, la Nato e le monarchie del Golfo hanno cercato insieme ad Israele di demolirlo, come avevano fatto nel 2011 con lo Stato libico.
Nessuno si scandalizza che gli attacchi aerei israeliani, sabato e lunedì, abbiano provocato decine di morti, tra cui almeno quattro bambini, e gravi danni all’aeroporto internazionale di Damasco, mentre si dà risalto alla notizia che per prudenza è rimasta chiusa per un giorno, con grande dispiacere degli escursionisti, la stazione sciistica israeliana sul Monte Hermon (interamente occupato da Israele insieme alle alture del Golan).
Nessuno si preoccupa del fatto che l’intensificarsi degli attacchi israeliani in Siria, con il pretesto che essa serve come base di lancio di missili iraniani, rientra nella preparazione di una guerra su larga scala contro l’Iran, pianificata col Pentagono, i cui effetti sarebbero catastrofici.
La decisione degli Stati uniti di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano – accordo definito da Israele «la resa dell’Occidente all’asse del male guidato dall’Iran» – ha provocato una situazione di estrema pericolosità non solo per il Medio Oriente. Israele, l’unica potenza nucleare in Medioriente – non aderente al Trattato di non-proliferazione, sottoscritto invece dall’Iran – tiene puntate contro l’Iran 200 armi nucleari (come ha specificato l’ex segretario di stato Usa Colin Powell nel marzo 2015).
Tra i diversi vettori di armi nucleari, Israele possiede una prima squadra di caccia F-35A, dichiarata operativa nel dicembre 2017. Israele non solo è stato il primo paese ad acquistare il nuovo caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, ma con le proprie industrie militari svolge un ruolo importante nello sviluppo del caccia: le Israel Aerospace Industries hanno iniziato lo scorso dicembre la produzione di componenti delle ali che rendono gli F-35 invisibili ai radar.
Grazie a tale tecnologia, che sarà applicata anche agli F-35 italiani, Israele potenzia le capacità di attacco delle sue forze nucleari, integrate nel sistema elettronico Nato nel quadro del «Programma di cooperazione individuale con Israele».
Di tutto questo non vi è però notizia sui nostri media, come non vi è notizia che, oltre alle vittime provocate dall’attacco israeliano in Siria, vi sono quelle ancora più numerose provocate tra i palestinesi dall’embargo israeliano nella Striscia di Gaza. Qui – a causa del blocco, decretato dal governo israeliano, dei fondi internazionali destinati alle strutture sanitarie della Striscia – sei ospedali su tredici, tra cui i due ospedali pediatrici Nasser e Rantissi, hanno dovuto chiudere il 20 gennaio per mancanza del carburante necessario a produrre energia elettrica (nella Striscia l’erogazione tramite rete è estremamente saltuaria).
Non si sa quante vittime provocherà la deliberata chiusura degli ospedali di Gaza. Di questo non ci sarà comunque notizia sui nostri media, che hanno invece dato rilievo a quanto dichiarato dal vice-premier Matteo Salvini nella recente visita in Israele: «Tutto il mio impegno per sostenere il diritto alla sicurezza di Israele, baluardo di democrazia in Medio Oriente».
Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario
Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.
di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019
Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.
Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.
I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.
Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).
La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.
Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….
– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019
Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.
Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.
…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!
– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019
Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.
Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.
Con le dimissioni motivate pubblicamente dal generale Mattis, si può affermare che il sodalizio tra i vertici militari e il Presidente Trump si è definitivamente sciolto. E’ stato un matrimonio di pura convenienza. Buona parte dello Stato Maggiore aveva avvertito l’impasse cui aveva condotto la strategia prima di Bush e poi, soprattutto, quella di Obama. A furia di destabilizzazioni e di aperture di nuovi fronti di confronto con la Russia, la manovra di accerchiamento della tana dell’orso russo rischiava, grazie alla capacità di reazione e di tessitura diplomatica, sempre più di impantanare gli Stati Uniti in qualche intervento diretto significativo in aggiunta a quelli in corso in Iraq ed Afghanistan. Il tentativo di avvicinamento all’Iran, memori degli smacchi di immagine delle due plateali prese di ostaggi, deve essere stata la goccia responsabile del travasamento di bile; la prospettiva di un asse sino-russo il campanello di allarme riguardante una strategia ormai in stallo. Lo stesso Obama, del resto, nella fase ultima del suo mandato, aveva dato qualche segnale di inversione. Nel momento di maggiore violenza dello scontro aperto con il fronte demo-neocon Trump ha trovato rifugio in questo sodalizio almeno per disinnescare una soluzione “definitiva” della sua presidenza.Il disegno nemmeno tanto occulto da parte dei militari era quello di isolare con un cordone sanitario sempre più stretto Trump dai suoi collaboratori della prima ora. Un obbiettivo in gran parte realizzato. il risultato di questo patto,se non contro natura quantomeno algido, è stata una conduzione schizofrenica con alcune costanti: il sodalizio israelo-americano-saudita, la definizione del fronte cinese. “L’amarcord impossibile” russo-americano e l’inquietudine crescente in seno all’allenza atlantica sono stati invece gli epicentri dove il confronto e le divergenze tra linee opposte si sono catalizzate. Lo ha detto lo stesso Mattis. Dallo scorso dicembre Trump sta tentando un ritorno alle origini. I motivi che potrebbero averlo spinto sono diversi. Campa li ha illustrati nel suo podcast. Non si tratta, comunque, di un tentativo di disimpegno generalizzato. La priorità nelle “attenzioni” verso l’Iran è più che confermata. Si tratta di contenere o spianare le ambizioni di una potenza regionale in crescita e di sbarrare una delle vie di fuga delle ambizioni cinesi più che russe. Sul fronte interno statunitense e nel cortile di casa centro-sudamericano la situazione è altrettanto dinamica. Assisteremo ad un biennio di fuoco, pieno di sorprese e di rovesciamenti. Buon ascolto_Giuseppe Germinario