UCRAINA: Sciocco per Finlandia e Svezia che aderiscano alla NATO, di Jan Oberg

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico, scrive Jan Oberg. 

La transnazionale

Ecco cosa l’Occidente è intellettualmente incapace di vedere, nel mezzo del suo umore militarista e ipocrita:

La politica di espansione della NATO ha creato — ed è responsabile — del conflitto.

La Russia ha creato – ed è responsabile –  della guerra . Non esiste violenza che non sia radicata nei conflitti sottostanti. Le persone alfabetizzate in conflitto e pace, quindi, parlano di entrambi. 

E se vogliono la pace, non aumentano i sintomi — la guerra  — affrontano  la vera causa, il conflitto  e chiedono alle parti in conflitto di raccontare cosa temono e cosa vogliono e poi si muovono, passo dopo passo verso un soluzione. 

Ma né i media mainstream né i politici hanno il coraggio civile di affrontare  il conflitto.  Riguarda solo la guerra e solo la Russia e il presidente Vladimir Putin che devono essere puniti, indipendentemente dal prezzo che dovranno essere pagati dalle generazioni future. Se sopravviviamo. 

È una banalità sottolineare che ce ne vogliono almeno due per entrare in conflitto. Ma questo è il livello intellettuale e morale che i decisori, i media e gran parte del mondo accademico operano in questi tempi bui.

Questo approccio non ha futuro e non potrà mai portare la pace. Periodo. 

Le decisioni prese con questo approccio irrazionale e l’emotività non faranno che peggiorare le cose. Come la Svezia e la Finlandia che aderiscono alla NATO sulla base del panico isterico del momento: semplicemente non esiste uno scenario credibile e realistico che porterebbe a un attacco russo isolato e fuori dal comune su nessuno dei due se rimanessero non allineati come lo sono da decenni. 

Che alcune persone meno informate – o persone che parlano per l’adesione alla NATO – abbiano parlato anche di un attacco isolato e inaspettato all’isola svedese di Gotland è una politica dei Monty Python.

Allora perché la Finlandia e la Svezia ora prenderanno una decisione disastrosa e crescente di tensione di aderire alla NATO? Ecco alcuni dei possibili motivi:

Forte pressione

Entrambi sono stati sottoposti a forti pressioni da parte della NATO e degli Stati Uniti in particolare. Il primo ministro svedese, Olof Palme, è stato assassinato, un uomo che sosteneva l’obiettivo delle Nazioni Unite del disarmo internazionale, dell’abolizione del nucleare e del concetto intelligente di sicurezza comune. Gli ambasciatori statunitensi hanno tenuto incontri segreti con i parlamentari svedesi, ci sono molti canali, richieste e ricompense.

L’unica peggiore sfida per la sicurezza della Svezia è stata il sottomarino russo U 137 Whisky on the Rocks. Era russo, sì, ma l’operazione era una PSYOP americana – operazione psicologica – condotta dall’“esperto di navigazione” di bordo, l’unico mai intervistato in Svezia e che poco dopo scomparve. 

Il sottomarino sovietico U 137 si incagliò il 27 ottobre 1981 sulla costa meridionale della Svezia vicino a una grande base navale. (Marinmuseum, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

Era un PSYOP inteso a far riconoscere alla Svezia che l’Unione Sovietica era una minaccia, che la sua difesa contro l’Est era carente e che avrebbe dovuto cercare protezione dall’Occidente stesso. Questo è estremamente ben documentato dal professore emerito, l’eminente ricerca pluridecennale di Ola Tunander, l’ultima pubblicata nel libro,  Navigations-Expert . Hur Sverige lät sig bedras av U 137   ( L’esperto di navigazione. Su come la Svezia ha accettato di essere ingannata dall’U 137 ).

Passo dopo passo, la Svezia è stata guidata nella giusta direzione. Alcuni politici svedesi sapevano cosa stava succedendo, ma i media e la gente no.

Corteggiato da USA e NATO 

Entrambi i paesi si sono mossi per essere corteggiati dagli Stati Uniti e dalla NATO. Negli ultimi 20 anni si sono impegnati con la NATO in tutti i modi – quindi, come si suol dire, perché non sposarsi ora?

In altre parole, Finlandia e Svezia ora si uniscono perché hanno – in modo incrementale – preso una decisione sbagliata dopo l’altra, si sono dipinti in  un angolo “senza scelta tranne la NATO” e hanno abdicato a ogni grammo della loro storica, indipendente mente creativa straniera pensiero politico. E ha smesso di criticare la guerra e il militarismo.
Ciò è stato possibile anche perché l’input intellettuale critico, o alternativo, indipendente nei ministeri degli affari esteri è stato tagliato e sostituito da vari tipi di marketing politico filoamericano.

Per decenni, la NATO Echo Chamber ha definito il pensiero di gruppo nazionale pro-NATO. Nessuno poteva entrare per chiedere: dove diavolo ci stiamo dirigendo, diciamo, tra 25 anni? 

Complesso militare-industriale-media-accademico

Inoltre, Svezia e Finlandia si stanno ora unendo perché le élite legate al Complesso Militare-Industriale-Media-Accademico, MIMAC, in entrambi i paesi, piuttosto che le persone, decidono questioni di sicurezza e politica estera.

Naturalmente, c’era estremamente poca  discussione pubblica aperta  ; non era voluto. I decisori sapevano che la fondazione della NATO per le armi nucleari e le guerre di contatto dei suoi membri, in particolare in Medio Oriente, erano considerate fondamentalmente malvagie tra i cittadini. 

Pressione del tempo

Da sinistra: il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il ministro degli Esteri svedese Ann Linde il 6 aprile.   (NATO)

I media liberali suggeriscono che non può esserci un referendum perché c’è una tale pressione di tempo – presumibilmente prima dell’invasione russa di Svezia e Finlandia – e, quindi, prendi in fretta la più importante decisione politica estera e di sicurezza dal 1945 ora che c’è oltraggio alla Russia — il nemico amato e necessario. 
I decisori svedesi ovviamente sanno che non ci sarà mai una maggioranza del 75% circa per la NATO, che è ciò che dovrebbe esserci per prendere una decisione così fondamentale e fatale. Tanto, si può dire, per la democrazia, ma nessun nuovo membro della NATO ha tenuto un referendum in cui la NATO e altre alternative sono state discusse liberamente e una maggioranza del 75% si è espressa a favore. (Secondo la svedese Svenska Dagbladetogni giorno del 6 maggio, il 48 per cento pensa che la Svezia si unirà, ma in una sola settimana coloro che non sanno cosa pensare sono aumentati dal 22 al 27 per cento). 
L’opinione pro-NATO della Finlandia sembra essere cresciuta dal 53% di febbraio al 76% di maggio 2022. Era il 19% nel 2017 secondo un rapporto del Wall  Street Journal . L’Ucraina ha svolto il suo ruolo.

Disarmo intellettuale

Un ulteriore motivo per aderire è il disarmo intellettuale che ha lasciato i decisori unificati attorno a un’alternativa; dimenticato di lasciare altre porte aperte e alternative deliberatamente represse.

Il discorso della pace – nei media, nella politica e nella ricerca – è scomparso. La pace è diventata sinonimo di armi, deterrenza, sempre di più insieme a cieca lealtà con ogni guerra USA/NATO.

Ad esempio, il governo dell’allora primo ministro socialdemocratico Göran Persson ha deciso rapidamente di disabilitare la legislazione svedese sul divieto di esportazione di armi nel 2001 per poter continuare ad esportare armi negli Stati Uniti durante l’invasione dell’Iraq.
Questo disarmo intellettuale pluriennale è evidente e tende sempre a favorire i mezzi militari rispetto ai civili, oltre alla diplomazia. E non solo in questi paesi, ovviamente.

2022 Fondo Primavera 2022

Un istituto come il SIPRI – Stockholm International Peace Research Institute – è decaduto intellettualmente in qualcosa che dovrebbe piuttosto essere chiamato Stockholm International Military Security Research, SIMSI –  come ho suggerito anni fa .

In altre parole, la creatività politica necessaria per condurre una politica indipendente di neutralità, non allineamento e disarmo globale unita a una forte fede nel diritto internazionale è svanita anni fa. 
È più facile seguire il gregge, soprattutto quando, a quanto pare, il partito socialdemocratico oggi esiste solo di nome.

Media 

Senza esaurire tutte queste – tragiche – ragioni, un’ultima ragione da menzionare è il ruolo dei media. Come ovunque, i media da sinistra a destra si sono uniti attorno a una politica filo-occidentale e non neutrale. L’attuale propaganda pro-NATO, non da ultimo nel liberale Dagens Nyheter, è pervasiva.

Le voci critiche vengono emarginate e gli “spiegatori” dell’informazione pubblica sono ridotti ad alcuni fatti di base simili a quelli delle scuole superiori accoppiati con FOSI, Fake + Omission + Source Ignorance. La Svezia è in grado di organizzare tavole rotonde televisive in cui, di fatto, tutti i partecipanti sono più o meno pro-NATO, escludendo così gran parte dell’opinione pubblica. *)

Le conseguenze

1 novembre 2018: esercitazione congiunta della NATO nell’Atlantico settentrionale e nel Mar Baltico. (NATO, Flickr)

Ce ne sono potenzialmente così tanti – alcuni più probabili di altri – che non possono essere elencati tutti in un’analisi breve e puntuale come questa. Ma mi permetto di citare:

  • Gli svedesi ei finlandesi diventeranno meno sicuri Come mai? Perché ci sarà un confronto e una polarizzazione più duri invece di confini morbidi e atteggiamenti di mediazione. In una grave crisi, a tutti gli effetti pratici, saranno occupati e gli verrà detto cosa fare dagli USA/NATO. 
  • Nella misura in cui, ad un certo punto in futuro, ai due paesi verrà chiesto di ospitare basi statunitensi – come la Norvegia e la Danimarca ora – non potranno dire “No!” Tali basi saranno gli obiettivi di primo ordine della Russia in una situazione di guerra. 
  • Da un punto di vista russo, ovviamente, la loro adesione alla NATO è estremamente fonte di tensione e conflittuale. La Russia ha l’8% (66 miliardi di dollari) delle spese militari dei 30 membri della NATO. Ora ci sarà un enorme riarmo in tutta la NATO. La sola Germania prevede di aumentare fino a quasi il doppio delle spese della Russia. L’Ucraina riceverà circa 50 miliardi di dollari. Aggiungiamo una Svezia e una Finlandia riarmate e vedremo la Russia precipitarsi al 4% delle spese della NATO e continuare a essere definita una formidabile minaccia.
  • In Europa non rimarranno praticamente più meccanismi di rafforzamento della fiducia e di risoluzione dei conflitti. Non sarà possibile discutere su un nuovo sistema di pace e sicurezza tutto europeo. E che venga compresa e rispettata o meno, la Russia si sentirà ancora più intimidita, isolata e, in una certa situazione, diventerà ancora più disperata. Come fa, normalmente, la parte più debole in un conflitto asimmetrico. Stiamo vivendo tempi molto pericolosi e questi due paesi della NATO non faranno che aumentare il pericolo, non c’è modo che possa ridurlo.
  • Se Finlandia e Svezia vogliono così fortemente essere “protette” dagli Stati Uniti e/o dalla NATO, non è assolutamente necessario che questi due paesi si uniscano perché, in caso di grave crisi, gli USA/NATO arriveranno in ogni circostanza a “proteggere” o meglio utilizzare i propri territori per essere più vicini alle repubbliche baltiche. Ecco di cosa trattano gli accordi di supporto per la nazione ospitante.
    L’unico motivo per aderire sarebbe il paragrafo 5, ma lo svantaggio è che il paragrafo 5 richiede che la Finlandia e la Svezia partecipino a guerre che non riguardano la loro difesa e forse anche in future guerre che violano il diritto internazionale come quelle in Jugoslavia , Iraq e Libia. Quindi, i giovani finlandesi e svedesi verranno uccisi in future guerre tra paesi della NATO? Sono pronti per questo?
  • Costerà una fortuna convertire la loro infrastruttura militare alla piena adesione alla NATO e quando si saranno uniti, pagheranno qualunque prezzo si rivelerà essere. Inoltre, ci sarà molto meno potere decisionale sovrano de facto – qui de jure è quasi irrilevante. Ed era già molto autolimitante prima che si unissero.
  • In quanto membri della NATO, Finlandia e Svezia non possono non condividere la responsabilità delle armi nucleari, la deterrenza e il loro possibile utilizzo da parte della NATO. È anche ovvio che le navi della NATO possono portare armi nucleari nei loro porti – ma ovviamente non lo chiederanno nemmeno – sanno che la risposta arrogante degli Stati Uniti è che “non confermiamo né neghiamo questo genere di cose”. 
    Questo va contro ogni fibra del popolo svedese e la decisione della Svezia di non sviluppare armi nucleari risalente a circa 70 anni fa.
  • I giorni in cui Svezia e Finlandia possono, almeno in linea di principio, lavorare per alternative sono contati. Vale a dire, per il trattato delle Nazioni Unite sull’abolizione del nucleare e gli obiettivi delle Nazioni Unite di disarmo generale e completo, qualsiasi concetto politico alternativo come la sicurezza comune, la sicurezza umana , un’ONU forte ecc. Non saranno in grado di fungere da mediatori, come, ad esempio, Austria e Svizzera. Nessun membro della NATO può rendere omaggio a tali nobili obiettivi. La NATO non è un’organizzazione che incoraggia le alternative. Invece, cerca il monopolio e il dominio regionale e globale.
  • Finlandia e Svezia dicono sì al pensiero militarista, a un paradigma di “pace” intriso di armi, armamenti, offensività (lungo raggio + grande capacità distruttiva), deterrenza e continue minacce: la NATO è l’organizzazione più militarista della storia umana. Il suo leader, gli Stati Uniti d’America, è stato in guerra 225 su 243 anni dal 1776 . Ogni idea sulla nonviolenza, la disposizione della Carta delle Nazioni Unite di fare la pace con mezzi prevalentemente pacifici (articolo 1 della Carta) sarà fuori dalla finestra.
  • L’attenzione politica, così come i fondi, tenderanno a spostarsi su questioni militari, lontano dal contribuire a risolvere i problemi più urgenti dell’umanità. Ma – lo sappiamo ora – la scusa sarà l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. C’è qualche cambiamento enorme che non può essere giustificato con riferimento a questo?
  • Mentre tutti sanno che l’Artico sarà una regione di sicurezza centrale e preoccupazioni per la pace nel prossimo futuro, questo problema è stato appena discusso in relazione all’adesione dei due paesi alla NATO. Tuttavia, non richiede molta esperienza per vedere che l’accesso USA/NATO a Svezia e Finlandia è un chiaro vantaggio nel futuro confronto con Russia e Cina lì.

(Mappa GRID-Arendal Circolo Polare Artico, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0)

  • In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non solo accettano, ma rafforzano decenni di odio nei confronti del popolo russo, di tutto ciò che la Russia include la cultura russo-europea. Dirà di sì alla punizione collettiva (illegale) sconsiderata e istintiva dell’Occidente di tutta la Russia, la cancellazione della Russia a tutte le dimensioni.

Una volta, invece, il Presidente della Finlandia Urho Kekkonen sosteneva politiche di neutralità attiva, un ruolo di intermediario e l’avvio dell’OSCE. La Finlandia era orgogliosa del fatto che la sua gente ritenesse che né l’Oriente né l’Occidente fossero nemici, prevalendo vari tipi di equidistanza. E  questo  avvenne durante il culmine della Prima Guerra Fredda, quando il Patto di Varsavia era circa 10 volte più forte nei confronti della NATO rispetto alla Russia di oggi. Come e perché? Uno dei motivi era che le politiche avevano un fondamento intellettuale e i leader una consapevolezza di cosa significasse la guerra. Non così oggi.

1975: il presidente finlandese Urho Kekkonen a destra alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a Helsinki. (Tapio Korpisaari, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

  • La prospettiva di cui nessun sostenitore della NATO parla è questa: con ogni probabilità, abbiamo visto solo il duro inizio di una guerra estremamente fredda con un rischio sempre crescente anche di una guerra calda. È lo scopo dichiarato degli Stati Uniti – e questo significa della NATO – indebolire militarmente la Russia in Ucraina in modo che non possa risollevarsi mai più e minare la sua economia in patria attraverso le sanzioni più dure, illimitate e incondizionate della storia – cioè le sanzioni che non sarà revocato in una vita o più.
  • E, infine, unendosi alla NATO, i due paesi saranno costretti a schierarsi con il più grande Occidente nel futuro cambiamento dell’ordine mondiale in cui Cina, Medio Oriente, Africa e Sud America, nonché enormi associazioni regionali non occidentali acquisiranno forza . 

La priorità degli Stati Uniti n. 1 è la Cina. In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non saranno in grado di camminare su due gambe in futuro – una occidentale e una non occidentale – e decadranno e cadranno con l’Occidente – l’Impero degli Stati Uniti e la NATO in particolare.

Se pensi che sia uno scenario troppo audace e pessimista, non stai seguendo sviluppi e tendenze al di fuori dell’Occidente stesso. Inoltre, per favore, considera che  gli Stati Uniti, l’UE e la NATO divisi e lacerati da problemi si sono appena riuniti per un motivo: la politica negativa di odiare la Russia e coprire la sua chiara corresponsabilità per il conflitto che ci ha portato dove abbiamo ora sono. 

L’Occidente non ha più una visione positiva. Le sue azioni riguardano il riarmo, le minacce, le sanzioni, la demonizzazione, l’ipocrita “non abbiamo mai fatto niente di sbagliato” e la concomitante proiezione dei propri lati oscuri sugli altri, in particolare sulla Cina.

Per i piccoli paesi mettere tutte le uova nello stesso paniere quando hanno alternative e agire senza la minima idea dei prossimi 5-10 anni è sempre stata una ricetta per il disastro, per la guerra. 

Sia la NATO che l’UE agiscono in questi giorni come facevano i passeggeri nel ristorante dell’elegante e lussuoso RMS Titanic.

C’erano enormi problemi che avrebbero dovuto essere risolti per la sopravvivenza dell’umanità: clima, ambiente, povertà, disuguaglianza, militarismo, armi nucleari, ecc. Ora sono dimenticati. Sono seguite crisi economiche e interruzioni, poi è arrivato il virus Corona e ha messo a dura prova tutti i tipi di risorse ed energie. E, infine, ora questa guerra in Europa con il suo sottostante conflitto creato dalla NATO.

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico. Questo è davvero un momento per mantenere la calma. 

Si può solo deplorare che Svezia e Finlandia non abbiano il potere intellettuale per vedere il quadro più ampio nel tempo e nello spazio. La NATO ha avuto il tempo dal 1949 per dimostrare che può fare la pace. Ora sappiamo che non può. Aderirvi, quindi, è un grande dono per il militarismo e la guerra futura. 

Jan Oberg è un ricercatore indipendente sulla pace e il futuro con esperienza internazionale e fotografo d’arte, editorialista, commentatore e mediatore. 

Questo articolo è di  The Transnational.

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN_di Marco Giuliani

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN

 

Da più di due mesi a questa parte stiamo prendendo atto, a margine della tragedia in corso tra Russia e Ucraina, che quelle poche voci dissenzienti circa l’utilità di peggiorare un’escalation pericolosissima, non fanno parte dell’universo riformista o liberaldemocratico, titoli platonici di cui si sono fregiati molti leaders europei. Senza scomodare il farneticante Johnson, al quale la risposta l’hanno già data gli elettori inglesi alle amministrative del 5 maggio (una delle sue ultime uscite è stata quella di «armare l’Ucraina per poter colpire Mosca entro il suo territorio»), si rende necessario discernere su ciò che sta emergendo, sul piano politico, in merito al conflitto in atto nell’Est europeo.

La UE ha dato l’ennesima prova della sua debolezza e della grave carenza di iniziativa diplomatica per porre un argine al disastro (non solo materiale, ma anche umanitario, energetico ed economico)) che sta coinvolgendo in primis la stessa Ucraina. Non sono bastati due anni di pandemia e le enormi difficoltà accusate per rinsavire i cosiddetti “traini” dell’unione, i quali, anzi, sembrano depauperati da qualsivoglia intervento migliorativo e appaiono quindi molto logori, specie sotto l’aspetto politico. I vari Macron, Sholtz e Borrell, solo per citarne alcuni, eccetto timidissimi segnali di perplessità rispetto all’ipotesi di un ulteriore accerchiamento di Putin, hanno mostrato la totale subalternità alle pretese degli Usa, e di conseguenza della Nato. La Casa Bianca, come sappiamo, sta facendo di tutto per creare uno scontro frontale con il Cremlino, il quale provocherebbe senza dubbio una drammatica condizione di non ritorno. Il problema vero (e grave) è che questo processo lo si sta perpetrando proprio ai danni dell’Europa in quanto istituzione, ovvero un soggetto giuridico di una diversità abissale dagli interessi finanziari e guerrafondai dell’ormai anziano e claudicante Biden.

C’è tuttavia chi si è fermamente sottratto a questo gioco pericoloso – vedi Victor Orban – mostrando di curare gli interessi della propria nazione, di chi lo ha votato e anche dell’Europa stessa, dichiarandosi incondizionatamente favorevole alla pace e contrario al fitto smercio di armi che transitano verso Kiev. Lo sappiamo, non si tratta di un fautore del sinistrismo idiomatico che si professa a favore di riforme pseudo-moderniste spesso formali e poco sostanziali, ma di un conservatore puro. Ciò non toglie che sul piatto della bilancia, nel momento in cui l’unione sembra essere giunta a un bivio epocale, le carte migliori in politica interna vengono poggiate proprio dal premier ungherese. Essere statisti significa non solo assolvere il mandato secondo l’impegno preso con la propria gente e nel rispetto del proprio elettorato, bensì anche (e soprattutto) ispirarsi a una profonda condanna per ogni soluzione non pacifica delle contese internazionali, opponendosi a qualsiasi modello di propaganda bellicista a protezione dei propri (e altrui) interessi. Essere statisti significa rifiutarsi di seguire la linea piatta delle sanzioni – o meglio dell’embargo – da e verso Mosca, che sta mettendo in ginocchio l’economia europea; significa non seguire il livellamento verso il basso di Draghi (volutamente non menzionato tra i “traini dell’unione” poiché l’Italia è oggi uno dei paesi a non aver alcun peso in relazione alla ipotetica soluzione della crisi), che da due mesi non risponde neanche al Parlamento. Ripudiare l’idea di una guerra a tutti i costi significa dissociarsi da Von der Leyen e Stoltemberg, che appaiono chiusi a qualsiasi forma di dialogo e anzi, forse per sincera incapacità o per secondi fini, stanno inibendo le residue chances di stemperare la tensione.

Per fortuna si è manifestato, nel nostro paese, quel fenomeno positivo che la scienza pedagogica definisce “vicarianza”, ovvero il ricorso, qualora un meccanismo funzioni male, a un mezzo ausiliario che svolga le stesse funzioni e sopperisca alle carenze evidenziate. Detto fenomeno è riferito al paese reale, ovvero a quella maggioranza degli italiani che si sta rifiutando di seguire il Presidente del Consiglio nel suo atono percorso di fedeltà a Washington. Una maggioranza che, come molti sondaggi hanno certificato, ha espresso un netto rifiuto nei confronti dell’invio di armi a Zelensky e della recrudescenza della guerra. Orban, che poche settimane fa ha stravinto le nuove elezioni nazionali, è stato tacciato, ma solo dalla stampa più asservita, di essere un ostruzionista; è un aggettivo inappropriato, se si è in buona fede. Domanda: essere ostruzionisti significa opporsi al colossale passaggio di armi (per un valore di decine di miliardi di euro) sul proprio territorio e dichiararsi contrario all’embargo del petrolio russo quando l’Ungheria dipende per gran parte dalle forniture di Mosca? Altra domanda: ostruzionismo significa dissociarsi da una malaugurata espansione della guerra?

Budapest ha mostrato, negli anni, una maggiore attenzione per i suoi cittadini e di essere in grado di dare luogo a un robusto rilancio delle sue attività produttive. Si è trattato di un cambiamento iniziato a partire dagli anni immediatamente successivi al clima di guerra fredda, durante i quali le società dell’Europa orientale uscite dall’esperienza sovietica dovettero attuare quei cambiamenti adatti a raggiungere un’economia di mercato che potesse sviluppare benessere. Le difficoltà affrontate nel nuovo percorso, oltre a provocare una frammentazione politica molto accentuata, comportarono il varo di numerose riforme inerenti a diverse liberalizzazioni di mercato, compresa l’adesione, nel marzo 1999, alla Nato. Orban, già leader del partito Fidesz, , divenne Primo ministro dal 1998 al 2002, e fu da subito al centro dell’attenzione internazionale per via della sua politica conservatrice; il suo governo impose infatti una serie di restrizioni le quali scoraggiarono, in parte, maggiori investimenti di capitali esteri. In ogni modo, se da un lato la leadership ungherese ha applicato alcuni divieti di carattere religioso ed etico, dall’altro, nello stabilire il tetto massimo del debito pubblico e nel deliberare norme contenitive in materia di immigrazione, ha di fatto inibito un’eccedenza delle uscite e posto uno stop all’incontrollato traffico di esseri umani che interessa l’Europa da almeno un trentennio.

All’insegna del cuius regio eius religio, nonostante l’applicazione all’Ungheria dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona che sanziona i casi di violazione dello stato di diritto, il premier magiaro è andato avanti per la sua strada eludendo i contraccolpi delle misure a suo danno (per inciso: la UE sembra ormai diventata più una fucina di punizioni disciplinari che un soggetto giuridico rappresentativo) con un ulteriore accentramento dei poteri. Oltre al progressivo abbandono delle politiche liberiste e il ricorso al rafforzamento strutturale del settore pubblico, sono stati nazionalizzati i fondi d’investimento restituendo una parte dei proventi ai creditori ungheresi. La tassazione diretta sui profitti privati e l’introduzione della fiscalità sui redditi bancari e sulle telecomunicazioni hanno fatto il resto. D’altronde, restando ininterrottamente al governo dal 2010 con un netto scarto sulle opposizioni (alle politiche dell’aprile 2022 Orban ha ottenuto il 54% dei consensi), Fidesz ha continuato a dare un’immagine di compattezza. Ciò sta succedendo anche nel momento più difficile, cioè da quando la guerra si è affacciata alle porte dell’Europa e ne ha fiaccato l’economia comunitaria, creando dissidi tra i membri e gravi contrasti di ordine ideologico che rischiano di lacerarne la ormai ultrasessantenne identità. L’Ungheria, per ora, si tiene fuori dalla mischia.

 

                       MG

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

G.Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, L’età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000 –

ISPI, sondaggi del 6 aprile 2022 reperibili su www.ispionline.it, sezione Guerra in Ucraina: cosa pensano gli italiani?

Enciclopedia Treccani, biografia di Victor Orban reperibile su www.treccani.it al link https://www.treccani.it/enciclopedia/viktor-orban/

  1. Hosbawn, Il secolo breve 1914-1991, Milano, Bur, 2000 –

Wall Street Italia, sondaggio del 28 marzo 2022 reperibile su www.wallstreetitalia.com, sezione Sondaggio Mikaline: italiani contrari (57%) all’invio di armi in Ucraina –

 

L’apoteosi di Draghi in sintesi_a cura di Elio Paoloni

Travaglio magistrale. Sta dando il meglio di sé anche come scrittura giornalistica. Editoriale da incorniciare

L’ASSE NIENTE-NULLA
(di Marco Travaglio, “Il Fatto Quotidiano”)
Abituata a un presidente che stringe la mano a nessuno, la stampa americana non s’è accorta della visita di Draghi a Biden, spacciata da quella italiana come un evento storico. Repubblica: “Il patto della Casa Bianca”, “L’Italia ponte sull’Oceano” (non si sa quale, visto che ci affacciamo più modestamente sul Mediterraneo). Stampa: “Draghi-Biden: patto per Kiev. Il vertice rafforza l’asse transatlantico”. Sole 24 Ore: “Asse di ferro. Biden e Draghi: uniti sull’Ucraina”. Foglio: “Successo dell’incontro”, “Formidabile allineamento”. Dei contenuti si sa poco: ne ha parlato solo Draghi nella solita conferenza stampa senza domande, tipo Lavrov, mentre Biden gli ha negato quella congiunta (concessa a Scholz e persino al premier greco). Ma Palazzo Chigi ha diffuso le migliori perle dei due Grandi nella sala ovale. Tenetevi forte.
Draghi: “Molti in Europa si chiedono anche: come possiamo mettere fine a queste atrocità? Come possiamo arrivare a un cessate il fuoco? Come possiamo promuovere dei negoziati credibili per costruire una pace duratura? Al momento è difficile avere risposte, ma dobbiamo interrogarci seriamente su queste domande”. Biden: silenzio (forse non si interroga seriamente, forse dorme, forse parla con l’altro amico invisibile, forse è in coma). Draghi: “La pace sarà quello che vorranno gli ucraini, non quello che vorranno altri” (tipo i russi: dunque la pace la fa Zelensky da solo). Biden (tornato vigile per un istante): “Sono d’accordo!”. Seguono altri brevi cenni sull’universo. Draghi: “La Libia può essere un enorme fornitore di gas e petrolio, non solo per l’Italia, ma per tutta Europa”. Biden (testuale): “Tu cosa faresti?”. Draghi: “Dobbiamo lavorare insieme per stabilizzare il Paese”. Perbacco. Draghi: “Dobbiamo chiedere alla Russia di sbloccare il grano bloccato nei porti ucraini”. Biden: “Ci sono milioni di tonnellate. Rischiamo una crisi alimentare in Africa”. Ma non mi dire. Da questi pensierini da scuola elementare, il nulla mischiato col niente, le gazzette arguiscono che Draghi ha messo alle strette Biden cantandogliele chiare. Corriere: “Draghi: ‘L’Ue vuole la pace’” (come le girl di Miss Italia). Giornale: “Draghi avverte Biden: ‘L’Ue chiede pace’”. Stampa: “Il premier preme per il negoziato” (poi SuperMario confida a SuperJoe che “Putin pensava di dividerci”, quindi Putin ha invaso l’Ucraina per dividere Draghi da Biden). Libero: “Draghi chiede a Biden di fare la pace con Putin”. Messaggero: “Draghi in Usa, spinta per la pace”. Una spinta irresistibile: infatti partono altri miliardi di armi per Kiev e dal comunicato congiunto scompare la parola “negoziato”. Resta l’“asse” che, da Cartesio in poi, è sempre a 90 gradi.

Eric Denécé: “La Francia si piega sistematicamente ai diktat americani…”

Su questo sito abbiamo pubblicato spesso articoli, documenti e prese di posizioni francesi sulle più varie questioni di geopolitica, nella fattispecie sul conflitto russo-ucraino. Non è certamente un caso. La Francia è l’unico paese dell’Europa Occidentale  nel quale sono presenti gruppi strutturati e ben radicati negli apparati e nelle istituzioni con posizioni e politiche apertamente critiche rispetto alla deriva atlantista e liberista-mondialista presa dai propri centri dominanti maggioritari. Gruppi che hanno tentato un paio di volte di dare espressione e forza politica a tali posizioni. Tra le varie, naufragato miseramente l’esperimento della candidatura Fillon, hanno provato entrando e cercando di condizionare il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Tentativo rientrato rapidamente nel giro di un anno, vista la natura minoritaria e opportunista, da eterno oppositore di quel partito. Una seconda volta ci hanno provato con Erich Zemmour, con un esito al di sotto delle aspettative, non ostante la evidente profusione di mezzi e di capacità organizzative. In tutti questi casi è mancata la capacità di legare le tematiche della indipendenza politica, della potenza e della sovranità di uno stato a quella degli interessi degli strati popolari e delle nuove classi dirigenti del tutto diverse da quelle che hanno alimentato il gaullismo negli anni ’60. Limiti, solo superati i quali, possono offrire maggiori probabilità di successo ai futuri tentativi di Zemmour o equivalenti. Centri decisori i quali persistono e riescono comunque ad esprimere una forza tale da condizionare pesantemente le scelte di Macron e delle forze che lo esprimono. Da qui la relativa schizofrenia e la perversa ambiguità che contraddistingue l’operato di un presidente comunque debole politicamente. Un panorama, comunque e purtroppo, del tutto inesistente, in forme strutturate, in Italia non ostante la diffusa sensazione di inadeguatezza dei decisori politici e la diffusa presenza di personalità di spessore. Sia in Francia che in Italia, una decina di anni fa, in concomitanza con l’emergere negli Stati Uniti del “fenomeno Trump” partirono alcune iniziative con aspirazioni analoghe. In Italia si risolsero sin dal sorgere in un disastro; in Francia l’esito fu più promettente, ma comunque limitato. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Eric Denécé, direttore del Centro francese per la ricerca sull’intelligence (CF2R) fornisce un’analisi sul Putsch che è molto diversa da quelle ascoltate qua e là dai media mainstream e dalla bocca del governo o di alcuni esperti. Dopo gli attacchi che accusavano il CF2R di “propaganda pro Putin”, Eric Denécé desidera ricordare esattamente qual è il ruolo di questo centro e mette in luce il prestigio dei suoi membri. Un’intervista affascinante.

 

Il Centro francese per la ricerca sull’intelligence ha pubblicato un comunicato stampa al vetriolo per denunciare gli attacchi che riceve in merito al trattamento della guerra in Ucraina. Perché hai deciso di parlare pubblicamente?
Per due ragioni. Il primo è che la stragrande maggioranza dei ricercatori CF2R sono ex membri dei vari servizi di intelligence e sicurezza francesi che hanno prestato servizio durante la Guerra Fredda e che abbiamo diversi ex direttori dei servizi tra i membri del nostro Comitato Strategico. Inoltre, è sia offensivo che del tutto inappropriato accusarci di aver trasmesso la “propaganda di Putin”. Non siamo né filorussi né antirussi, analizziamo il conflitto in Ucraina con la massima indipendenza e imparzialità possibile.
Le nostre analisi si basano poi su fatti precisi, solide fonti e su una lunga esperienza di intelligence. Controlliamo tutto e non facciamo lo stupido presupposto che quando la NATO o Zelensky dice una cosa, è vera… e quando Putin ne dice un’altra, è necessariamente sbagliata. Tali atteggiamenti sono basati sulla malafede o sulla stupidità.
Non è perché la maggioranza degli osservatori spaccia una visione di questo conflitto che ci sembra orientata, o addirittura falsa, che adotteremo questo punto di vista mainstream. La nostra analisi è diversa e cerchiamo di spiegarne il perché mettendo in evidenza elementi che spesso vengono volutamente trascurati.

Interroga anche alcuni media e giornalisti, scrivendo che “dimenticano” la loro etica oltre che “nello sfruttamento di informazioni non verificate e spesso imprecise”. Alcuni dei principali media svolgono un ruolo dannoso nella popolazione francese in questo conflitto?
In effetti, alcuni ricercatori sono noti relè di comunicazione della NATO in Francia (1 e 2). Che difendano il loro punto di vista mi sembra legittimo. Ma si screditano cercando di imporre la “loro” verità, che non è in alcun modo il risultato del processo di analisi scientifica che dovrebbero produrre, ma piuttosto di un’azione propagandistica. E che giornalisti senza scrupoli con un’etica discutibile fanno eco a tali affermazioni false e parziali non onora la professione e sollevi la questione della loro onestà intellettuale. Fortunatamente, non tutti sono così guidati e orientati nelle loro indagini.

Denuncia anche “una versione dei fatti che gli americani volevano imporre a tutti i membri della Nato”. Puoi dirci qualche parola a riguardo?
Sì, la politica di espansione verso est della NATO, iniziata alla fine della Guerra Fredda, è proseguita nonostante le promesse fatte ai leader russi, come dimostrano le abbondanti prove ora disponibili. Dal 2014 l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di integrare l’Ucraina nella NATO, nonostante i severi avvertimenti formulati da Vladimir Putin a partire dal 2008.
Per raggiungere i suoi scopi, Washington fornisce ai suoi docili alleati della NATO informazioni sulla “minaccia russa” per ottenere il loro sostegno. Ricordiamo di sfuggita che il budget per la difesa di Mosca è dieci volte inferiore a quello degli Stati Uniti e persino inferiore a quello di Francia e Germania messe insieme. Dalla fine del 2021, l’intelligence americana ha gridato al lupo per un attacco russo in Ucraina. Tuttavia, fino a metà febbraio 2022, questo non è rilevabile (l’esercito russo non ha adottato disposizioni di combattimento, non ha logistica offensiva o ospedali da campo, ecc.) perché Putin non lo voleva. Quindi gli “annunci” americani sono quindi privi di seri fondamenti.

Ricorderete anche la posta in gioco di questi conflitti che si sono radicati da diversi anni tra i due paesi e in particolare sul mancato rispetto, in particolare da parte di Kiev, degli accordi di Minsk. Come si spiega questa visione brutale e manichea e questa isteria antirussa che si è diffusa in Europa?
Come ho appena accennato, questo conflitto risale a tre decenni fa ed è principalmente legato al mancato rispetto dei propri impegni da parte della NATO. È possibile paragonare questa situazione a quella della fine della prima guerra mondiale dove le riparazioni imposte alla Germania furono una delle cause dell’ascesa al potere di Hitler e della seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, l’Occidente ha continuato a disprezzare e deridere la Russia dopo la dissoluzione dell’URSS. Ciò ha portato all’ascesa del nazionalismo russo e a una profonda sfiducia negli Stati Uniti e in Europa. Abbiamo continuato a giocare con il fuoco. Mosca ha avvertito che l’installazione di missili NATO in Polonia e l’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza sono minacce esistenziali ai suoi occhi. Ma non ne abbiamo tenuto conto. Abbiamo persino chiuso un occhio sulla guerra che Kiev stava conducendo contro le popolazioni di lingua russa del Donbass, nonostante gli accordi di Minsk che non furono mai applicati. Era quindi difficile per i russi non reagire…

“Riteniamo che l’interesse del nostro Paese sia avere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana e non quella dettata dalla Nato”. Credi che il governo e la nostra classe politica nella sua stragrande maggioranza siano consapevoli di questa imperativa necessità geostrategica?
Sfortunatamente no. Dal reinserimento della Francia nella struttura integrata della Nato nel 2007 voluta da Nicolas Sarkozy, e soprattutto con la politica guidata da Emmanuel Macron, non si può più parlare di indipendenza strategica e sempre meno sovranità. Ci inchiniamo sistematicamente ai diktat americani (affare BNP/Paribas, annullamento della vendita di navi Mistral alla Russia, affare ALSTOM, contestazione dell’accordo 5+1 con l’Iran, affare sottomarino australiano, trasferimento di dati elettronici, ecc.) quando non lo siamo interpretando gli zelanti servitori di Washington. Siamo totalmente allineati con la politica statunitense, che è vista molto chiaramente in tutto il mondo. Non esiste più una “terza via” francese, l’eredità gollista è sepolta.

Questa guerra potrebbe cambiare profondamente il continente europeo e le relazioni tra la Russia e gli altri paesi? Dove si può sperare in un ritorno alla de-escalation e alla normalizzazione nel medio o lungo termine delle relazioni con la Russia?
Le relazioni della Francia con la Russia saranno permanentemente alterate. Naturalmente, Mosca è l’aggressore in questo conflitto. Ma tutti i torti non sono dalla sua parte. Le responsabilità di questa guerra che non avrebbe mai dovuto aver luogo sono condivise: gli Stati Uniti, la NATO e il regime di Zelensky hanno svolto un ruolo importante nel loro deliberato desiderio di spingere la Russia nelle sue trincee, sperando che pieghi o scateni questo conflitto che screditerebbe e tagliarlo definitivamente fuori dal mondo occidentale. Le loro provocazioni hanno dato i loro frutti, ma la situazione non si svolge esattamente come avevano immaginato gli apprendisti stregoni americani. A parte l’Europa, che stringe i ranghi intorno a loro, il resto del mondo non è solidale con la loro politica, il che annuncia un grande cambiamento nella geopolitica (nuova compartimentazione del mondo, dedollarizzazione, ecc.).

TRIBUNA APERTA N°108 / APRILE 2022

COMUNICATO STAMPA DEL 20 APRILE 2022

CENTRO FRANCESE PER LA RICERCA SULL’INTELLIGENCE (COLLETTIVA)

 

 

 

Di fronte agli attacchi infondati e diretti provenienti da individui le cui funzioni dovrebbero indurli alla moderazione e all’obiettività [1] , e da giornalisti che dimenticano la propria etica per godersi lo sfruttamento di informazioni non verificate e spesso imprecise [2] , il CF2R ribadisce che manterrà l’indipendenza della sua analisi della guerra in Ucraina.

Nel contesto di un conflitto non solo militare ma mediatico, mentre la stragrande maggioranza dei commentatori riprende la narrativa elaborata da ucraini e anglosassoni, il CF2R si sforza di mantenere la linea di onestà, neutralità e obiettività. Rifiuta di partecipare alle battute unilaterali e all’impresa di distorcere la realtà orchestrate da attori prevenuti che non hanno sempre mostrato la stessa combattività quando l’aggressore apparteneva alle loro fila.

È legittimo interrogarsi sulle motivazioni di coloro che cercano di imporre questa lettura e di impedire ogni riflessione ragionata e indipendente. Siamo tentati di chiamarli teorici della cospirazione – per loro è tutto sistematicamente colpa della Russia e tutti coloro che non sono d’accordo con le loro analisi sono agenti di influenza di Putin – e negazionisti dell’Olocausto – perché non tengono conto solo degli elementi serviti dall’ucraino e Narrativa anglosassone, escludendo sistematicamente qualsiasi informazione da altra fonte.

In questa logica si inserisce il licenziamento del comandante generale del DRM, perché questo servizio di qualità non ha aderito né voluto riprodurre la versione dei fatti che gli americani volevano imporre a tutti i membri della NATO. La critica che gli è stata rivolta è quindi del tutto infondata e ingiusta [3] .

In questo conflitto, nessuno nega che la Russia sia l’aggressore e la CF2R ha chiaramente condannato questa invasione. Ma condanna anche il rifiuto del regime di Kiev di applicare gli accordi di Minsk che ha comunque firmato. Riteniamo, inoltre, che l’isteria antirussa sia sproporzionata in considerazione del silenzio complice seguito all’aggressione della Serbia da parte della NATO nel 1999, a quella dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, violando altrettanto il diritto internazionale e la Carta dell’ONU – la legalizzazione della tortura da parte del Dipartimento di Giustizia e l’istituzione di prigioni segrete da parte di Washington nell’ambito della guerra al terrorismo.

Per questo il CF2R non aderisce all’analisi parziale e parziale che domina e che rifiuta di prendere in considerazione le ragioni storiche che hanno portato a questa tragedia, perché mettono in luce, piaccia o no, il ruolo e la responsabilità della NATO e il governo ucraino in questo conflitto che non avrebbe mai dovuto aver luogo.

Crediamo che l’interesse del nostro Paese sia avere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana e non quella dettata dalla NATO. Ciò è tanto più necessario in quanto prima o poi saremo portati a riallacciare i rapporti con la Russia per ricostruire un sistema di sicurezza europeo che assicuri la stabilità e la protezione delle popolazioni del nostro continente.

Il CF2R, di cui la maggior parte dei ricercatori e dei membri del comitato strategico proviene dalla comunità dell’intelligence e ha servito la Francia – in particolare durante la Guerra Fredda – non può prendere lezioni di patriottismo da individui appartenenti ai circoli atlantisti o che non hanno mai prestato servizio sotto le bandiere.

Li invitiamo cordialmente a riscoprire la via del buon senso e ad analizzare questa crisi senza i paraocchi e soprattutto l’emozione che limita significativamente la qualità e l’obiettività del loro giudizio o delle loro produzioni.

 

 


[1] Cfr. Bruno Tertrais, vicedirettore della Foundation for Strategic Research (FRS), noto come staffetta dell’opinione atlantista in Francia e che, tra l’altro, ha sostenuto l’illegale invasione americana dell’Iraq nel 2003.

https://putsch.media/20220505/interviews/interviews-societe/eric-denece-la-france-plie-systematiquement-devant-les-diktats-americains-quand-nous-ne-jouons-pas-les-serviteurs-zeles-de-washington/

Il giorno di Mario Draghi_con Antonio de Martini

Ieri, martedi 10 maggio, è stato il giorno di Mario Draghi al cospetto di Biden. E’ stato il suo giorno di gloria. Non sappiamo se è stato il suo momento fugace o il riconoscimento e la sanzione duratura di un ruolo internazionale riconosciuto. La postura assunta nell’incontro, così come la hanno presentata, è stata particolarmente significativa: un gran consigliere, nel pieno della sua dignità e del suo ruolo di dignitario, al cospetto di un principe sovrano, dal cospetto incerto e dallo sguardo perso nel vuoto. Il merito e gli argomenti affrontati nell’incontro corrispondono esattamente all’immagine offerta: hanno sottolineato la fedeltà assoluta e la linearità dei comportamenti del governo italiano rispetto agli indirizzi e alle pesanti scelte americane riguardanti il conflitto russo-ucraino. Grazie a questo, Mario Draghi si è concesso il lusso di richiamare Biden e la sua amministrazione alle conseguenze di queste scelte e di segnalare che è arrivato il momento di preservare i frutti di queste scelte: l’acquisita coesione della allenza atlantica in funzione antirussa e la consapevolezza della crescente ritrosia dei popoli europei a protrarre ulteriormente lo stato di belligeranza. Ha parlato volutamente di popoli ed opinione pubblica europea un po’ per ipocrisia diplomatica, soprattutto per evidenziare la difficoltà crescente dei ceti politici locali nel gestire e giustificare per troppo tempo un livello così esasperato di tensione. Una raccomandazione a non tirare ulteriormente la corda, almeno per il momento. Negli ultimi mesi, la figura di Mario Draghi è parsa appannarsi soprattutto come politico impegnato nelle beghe interne all’Italia, ma anche nello stesso agone della Unione Europea, non ultima la sua apparizione al parlamento europeo. Lo abbiamo più volte sottolineato su Italia e il mondo. Nel campo europeo sono risaltati molto di più la petulanza di Macron, il tira e molla dietro le quinte di Sholz e l’oltranzismo avventurista di polacchi e paesi baltici, almeno sino a quando Draghi ha potuto e saputo mettere a frutto la ormai tradizionale italica remissività ed accondiscendenza, guadagnandosi addirittura un possibile ruolo di mediatore o cerimoniere tra Stati Uniti, Ucraina e Russia. Il pallino e il dibattito più impegnativo sulla conduzione degli affari internazionali, nel versante occidentale, rimane comunque in mano ai centri decisori statunitensi. Quello che succede in Europa, rispettivamente la delicata pressione di Draghi, corroborata dalla parziale conversione di Letta e dalla petulanza di Macron, da una parte e l’iniziativa ucraina, presumibilmente ispirata da Nuland & C. dall’altra, di rallentamento dei flussi di gas, traggono alimento da e sono almeno in parte sponde esterne di posizioni presenti nell’amministrazione americana. Al netto del terrore che pervade lo staff presidenziale ad ogni apparizione pubblica di Biden, l’assenza di una conferenza stampa comune assume comunque un significato. Al beneficio che riuscirà a trarre Mario Draghi ne corrisponderà almeno uno parziale per il paese? Il dubbio volge pressoché verso la certezza di una stridente divaricazione, vista la pressoché totale inconsistenza di un ceto politico e di una classe dirigente, entrambi tanto petulanti quanto inconcludenti e dimessi, sia nella fazione assolutamente predominante dei consenzienti a prescindere che nella gran parte dei contestatori ed oppositori velleitari. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v14czve-il-giorno-di-mario-draghi-con-antonio-de-martini.html

 

Il nazismo, figlio legittimo dell’imperialismo occidentale, di Andrea Zhok

Oggi in Russia e in molti altri paesi viene celebrata la commemorazione “Бессмертный полк” (Reggimento Immortale), rievocazione e festeggiamento della vittoria nella “Grande Guerra Patriottica” (così chiamano i russi il conflitto contro i nazisti nella seconda guerra mondiale tra il 1941 e il 1945).
Il 9 maggio 1945 è infatti la data della firma della resa tedesca (il “giorno della Vittoria”).
Questa, come tutte le celebrazioni, ha anche una funzione politica e propagandistica, e non c’è dubbio che il governo russo ne faccia uso “pro domo sua”.
Tuttavia, diversamente da altre, questa celebrazione è cresciuta di seguito popolare in Russia e in molti paesi dell’ex Unione Sovietica negli ultimi anni.
Ciò che sta avvenendo, e che l’attuale situazione in Ucraina alimenta in modo cospicuo, è una sovrapposizione – storicamente discutibile, ma emozionalmente potente – tra l’opposizione russa all’imperialismo nazista e la resistenza russa all’imperialismo occidentale (cioè americano).
Tutti sappiamo che a partire dal 1948 l’irrigidimento della divisione in blocchi e l’avvio della guerra fredda – unita ad una certa inclinazione alla paranoia da parte di Stalin – condusse all’istituzione di uno stato di polizia nei paesi del patto di Varsavia.
Tuttavia questo triste esito è indipendente dal valore simbolico della vittoria nella “Grande guerra patriottica”, che è rimasto potente e persino crescente, essendo qualcosa che per i russi, ma non solo per essi, va al di là del semplice patriottismo e assume un significato idealtipico.
Per capire questo punto non bisogna dimenticare che il nazismo è un movimento storico fortemente caratterizzato da due tratti distintamente occidentali: esso fu Imperialistico e fu Efficientistico.
Il nazismo si intese come movimento storico della costituzione di un Impero (Reich), un impero che non si poneva limiti territoriali di sorta. Ma il nazismo fu anche il primo grande movimento storico a mettere senza remore al centro della propria concezione non una strutturata visione del mondo, religiosa o civica (ideologicamente il nazismo è un guazzabuglio incoerente, privo di elaborazione e di radici) ma l’OTTIMIZZAZIONE dei processi.
Tale ottimizzazione è visibile tanto nella micidiale efficienza degli eserciti nazisti quanto nei processi di sfruttamento dei “sottouomini”, di cui, dopo averli sfruttati fino alla morte come manodopera, non si buttava letteralmente via niente.
Il nazismo, per quanto ciò possa disturbare, è un’incarnazione esemplare della volontà di potenza occidentale, dell’amore per l’estensione della potenza in quanto potenza, dell’efficienza in quanto efficienza, e dell’inebriarsi per tutto ciò.
E’ certo che nell’Occidente, nella sua storia e tradizione c’è infinitamente di più, ma è anche certo che l’imperialismo degli ultimi due secoli, partito alla conquista del mondo prima con la “diplomazia delle cannoniere” britannica e poi con la “diplomazia dei bombardieri” americana, ha sottomesso con la forza – militare ed economica – gran parte del mondo.
Per il mondo non occidentale, dunque, l’Occidente è percepito innanzitutto come forza, forza tecnologica ed efficientistica, volta alla conquista, all’espansione e allo sfruttamento.
So che può essere doloroso per un cittadino occidentale pensarlo, so che preferiremmo credere di aver persuaso cinesi e giapponesi e indiani con la brillantezza della nostra cultura e la profondità delle nostre argomentazioni, ma purtroppo la triste verità è che di cultura, profondità ed argomentazioni ne avevano tanta anche gli altri, mentre ciò che abbiamo usato senza particolari scrupoli – ma con secchiate di ipocrisia ad uso interno – è stata la tecnologia bellica e finanziaria.
Così, per quanto noi possiamo pensare noi stessi come toto coelo altra cosa dall’orrore nazista, per chi ci guarda da fuori il nazismo non può che apparire come un nostro tipico e coerente frutto.
L’unico aspetto su cui il nazismo è stato difettivo (e ciò gli è costato la sconfitta) è stato nel limitare il proprio efficientismo e il proprio razionalismo bellico di fronte al proprio viscerale razzismo.
E’ il razzismo che ha impedito alla Germania nazista la vittoria, perché trattare gli ebrei e gli slavi come sottouomini gli ha sottratto da un lato una bella fetta dell’expertise tecnologica (fuga dell’intellighentsia ebraica) e dall’altro ha dichiarato a (quasi) tutti i popoli del fronte orientale che il loro era un destino in catene, suscitandone la resistenza.
E’ importante vedere che ciò che è davvero mostruoso nel nazismo non è il suo razzismo (naturalmente pessimo), ma l’idea che tutto ciò che non è superiore può ed anzi DEVE diventare mero materiale sfruttabile per chi è alla sommità della catena alimentare. L’orrore non è pensare che un certo vivente sia inferiore, ma pensare che ciò che pensiamo inferiore (un “sottouomo”, un capo di bestiame, una foresta vergine) diventi perciò mera cosa, macellabile e bruciabile serialmente.
Ma nei suoi punti più spaventosi, perché vincenti, il Nazismo è percepibile in perfetta continuità con la storia occidentale degli ultimi due secoli, e come tale è visto o può essere visto al di fuori del mondo occidentale.
Per questo motivo esiste un significato simbolico profondo che andrebbe colto in un festeggiamento come quello odierno.
Per un occidentale esso potrebbe essere visto come una vittoria su una tentazione demoniaca – l’imperialismo tecnarchico – insita nella propria storia. Ma non è facile vederlo così perché quella tentazione demoniaca, lungi dall’essere state superata una volta per tutte, è in crescita da almeno una trentina d’anni e recentemente si sta mostrando virulenta come non mai.
Al di fuori dello sguardo occidentale e della sua propaganda autopromozionale il nazismo può essere facilmente visto come un volto appena dissimulato, e pronto ad emergere in ogni momento, dell’Occidente stesso.

Interpretazioni deliranti su entrambi i lati della divisione Russia-Ovest, di  gilbert doctorow

Interpretazioni deliranti su entrambi i lati della divisione Russia-Ovest

Nelle ultime settimane, ho commentato più volte il modo in cui i media e i politici occidentali trascurano o non riescono a capire la Via della Guerra Russa attuata attualmente durante l’operazione militare in Ucraina. Giudicano il successo o il fallimento dei russi in base a ciò che farebbero le forze armate statunitensi se il loro obiettivo fosse sottomettere Kiev. Senza ‘shock and sbalordimento’ da parte dei russi e considerando i progressi molto lenti della loro mossa per liberare l’intera regione del Donbas dal controllo ucraino, i commentatori occidentali considerano lo sforzo russo un fallimento.

Forse l’analisi più estrema e le conclusioni più pericolose sono state presentate il 6 maggio da una giornalista britannica che da decenni scrive sulla Russia ed è ampiamente considerata un’esperta, Mary Dejevsky. Al suo articolo su The Independent è stato assegnato un titolo che dice quasi tutto: “esaltando la minaccia della Russia, l’Occidente ha contribuito a dare fuoco a questa guerra. Si scopre che la Russia aveva un’idea molto più realistica della propria forza, o della sua mancanza, di quella consentita dall’Occidente”. 

Nel corpo dell’articolo, Dejevsky ci riporta ai giorni dell’URSS, che nonostante la sua economia vacillante negli anni di Gorbaciov era considerata in Occidente una potenza militare. La scarsa performance del Paese nella guerra in Afghanistan e poi il crollo totale dell’Unione Sovietica hanno costretto a una revisione dell’errata nozione di minaccia militare da parte di Mosca. 

Ora, di nuovo, crede che l’Occidente abbia sopravvalutato le armi della Russia. Suppone che i produttori di armi in Occidente abbiano un interesse acquisito nel perpetuare il mito. Tuttavia, gli scarsi risultati della Russia contro le forze ucraine, che sono state addestrate e rifornite dall’Occidente, ci obbligano a ripensarci.

Sfortunatamente, Dejevsky va oltre questa osservazione, condivisa da fin troppi commentatori occidentali. Il suo paragrafo conclusivo merita una citazione completa:

“L’Occidente ha fatalmente interpretato male uno stato debole come uno stato forte, il che significa che i suoi tentativi di indovinare il comportamento della Russia sono in gran parte falliti. Se devono esserci nuove relazioni tra l’Occidente e la Russia – che è improbabile che accada molto presto – l’Occidente deve iniziare con questa rivalutazione di base. Deve accettare che la Russia sia uno stato debole e che l’Occidente e la Nato siano forti”.

Abbastanza sorprendente che non veda ciò che è proprio davanti al suo naso. Riguardo alla forza militare russa, il fatto che la Russia ora occupi una parte dell’Ucraina più grande del Regno Unito grazie ai suoi progressi nelle “operazioni militari speciali” in qualche modo non si registra. Per quanto riguarda la forza economica, è anche sorprendente quanto sia cieca: l’economia di mercato della Russia oggi è di gran lunga più resiliente dell’economia di comando dell’URSS. In effetti, nessun altro Paese al mondo avrebbe potuto resistere alle ‘sanzioni infernali’ che gli USA hanno imposto alla Russia dal 24 febbraio.

Ma il mio punto chiave è che se la Russia è considerata debole, la pressione americana e dell’UE non avrà limiti e precipiterà una reazione del Cremlino che ci porterà direttamente ad Armageddon. Vladimir Putin ha minacciato proprio questo ed è, soprattutto, un uomo di parola.

                                                                        *****

Ora vorrei richiamare l’attenzione sul pensiero delirante da parte russa che a suo modo potrebbe condurre noi e loro al Giorno del Giudizio. Il materiale per il mio commento è un articolo in prima pagina sull’edizione online di oggi della Rossiiskaya Gazeta , un giornale di alta qualità pro-Cremlino .

Il posto d’onore nella colonna di destra è un’intervista a Nikolai Patrushev, Segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa. La sua posizione può essere paragonata a quella di Jake Sullivan negli Stati Uniti. Ha sicuramente l’orecchio di Vladimir Vladimirovich e quello che dice in questa intervista dovrebbe preoccuparci tutti.

Patrushev apre sottolineando che la radice del male nelle crisi mondiali attuali come in passato è la lotta di Washington per consolidare la sua egemonia globale e prevenire il crollo del mondo unipolare.

“Gli Usa fanno di tutto perché altri centri del mondo multipolare non osino alzare la testa. Tuttavia, il nostro Paese non solo ha osato, ma ha dichiarato a tutti che non giocherà secondo le regole imposte. Hanno cercato di costringere la Russia a rinunciare alla sua sovranità, alla sua autocoscienza, alla sua cultura e alla sua politica estera e interna indipendente. Non abbiamo il diritto di essere d’accordo con questo approccio”.

Fin qui tutto bene. Sono ampiamente d’accordo con Patrushev su quanto sopra. Ma i problemi iniziano mentre procede, in particolare le sue aspettative su ciò che il futuro riserva all’Europa:

“Quello che attende l’Europa è una profonda crisi economica e politica per i vari Paesi. La crescita dell’inflazione e l’abbassamento del tenore di vita si stanno già facendo sentire nel portafoglio e nell’umore degli europei. Inoltre, l’immigrazione su larga scala si aggiunge alle vecchie minacce alla sicurezza. Quasi 5 milioni di migranti ucraini sono già arrivati ​​in Europa. Nel prossimo futuro, il loro numero crescerà fino a 10 milioni. La maggior parte degli ucraini che arrivano in Europa si aspetta che gli europei li mantengano e si prendano cura di loro, ma quando sono costretti a lavorare, iniziano a ribellarsi”.

Patrushev continua a prevedere la carenza di cibo che spingerà decine di milioni di persone in Africa e nel Vicino Oriente sull’orlo della fame. Per vivere, cercheranno di raggiungere l’Europa.

Conclude: “Non sono certo che l’Europa sopravviverà a questa crisi. Le istituzioni politiche, le associazioni sovranazionali, l’economia, la cultura, le tradizioni possono regredire nel passato. L’Europa si morderà le nocche, mentre l’America si libererà della sua principale paura geopolitica: un’alleanza politica tra Russia ed Europa”.

Sfortunatamente, il signor Patrushev sta confondendo ciò che vorrebbe che accadesse con ciò che probabilmente accadrà. Intellettualmente mediocri, conformisti e servili nel loro assecondare i sovrani americani come possono essere i leader degli Stati membri dell’UE e delle istituzioni centrali dell’UE, è improbabile che perdano il controllo politico in patria. Il loro istinto di sopravvivenza non è ancora così lontano. Inoltre, la passività e l’indifferenza verso la classe politica sono la regola in gran parte dell’Europa. Ciò che l’impopolare Emanuel Macron ha appena ottenuto vincendo la rielezione è una prova positiva di quella realtà.

La convinzione di Patrushev nella debolezza dell’Occidente è irta di pericoli quanto l’idea tra gli Stati Uniti e l’establishment politico europeo che la Russia sia debole. Queste idee sbagliate portano facilmente a politiche sconsiderate di corruzione.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/05/08/delusional-interpretations-on-both-sides-of-the-russia-west-divide/

“La propaganda antirussa polacca è la più viziosa, la più volgare e la più pacchiana. Una vera comunità di pazzi politici. »_ di Dmitry Medvedev

Qui sotto un articolo dell’ex presidente e primo ministro russo Dmitry Medvedev, pubblicato il 21 marzo 2022 sul suo canale Telegram. L’articolo va inserito certamente nel contesto del conflitto con l’Ucraina, all’epoca già in corso da un mese; va quindi tarato e valutato per quello che è. Il testo pone tuttavia una questione più volte sollevata da questo sito e che meriterà, in futuro, certamente maggiore attenzione. Tutta la narrazione occidentale, ad impronta americana e conseguentemente quella europeista ha giustificato la scelta dell’estensione della NATO e dell’allargamento della Unione Europea come una risposta alle enormi pressioni della opinione pubblica dei paesi dell’Europa Orientale determinate dalla paura del pericolo russo, dalla fisiologica reazione a quaranta anni di dominio sovietico su tutta quell’area. Sentimenti in realtà solo in parte reali e comunque volutamente fraintesi, perché interpretati come un trionfo dello spirito e del lirismo europeista anche in quell’area così negletta. Quello che si è subito affermata in quei paesi è stata invece e soprattutto una pretesa di risarcimento nei confronti dei paesi occidentali, rei di aver abbandonato all’orso russo quella parte di Europa ed una forma predominante di nazionalismo etnico che faceva e fa letteralmente a pugni con il lirismo europeista. La conseguenza è stata che in questo trentennio si è accentuata ulteriormente la natura “contrattualistica” delle pratiche europeiste interne alla UE. L’adesione alla Unione Europea è stata in realtà una evidente subordinata rispetto alla scelta strategica, ritenuta assolutamente prioritaria da quei paesi, di adesione alla NATO. Una condizione ben conosciuta dai vertici e dai funzionari della Commissione Europea, stando ai numerosi rapporti interni che circolavano già all’epoca, alcuni dei quali pubblicati su questo sito. Una rimozione che sta conducendo velocemente alla nemesi del lirismo europeista.

E’ stato un processo relativamente facile da perseguire e da gestire, ma non del tutto indolore. Almeno nella fase iniziale, sia in buona parte dei paesi dell’Europa Orientale che in Germania e in minor misura in Italia, vi è stata una componente politico-sociale importante che propugnava un sistema di relazioni più equilibrato, un programma di riconversione economica più cauto e rispettoso degli equilibri delle economie locali di quei paesi e degli interessi dei paesi europei piuttosto che di quelli americani. Grosso modo questa divisione politica nei paesi orientali aveva come discrimine i settori di economia locale chiusa o integrata esclusivamente nel circuito sovietico da una parte, i settori dell’economia, controllati dalle alte sfere di partito, minoritari economicamente ma importanti finanziariamente e politicamente, relazionati con l’export occidentale o in parte a gestione privatistica, come in Polonia e in Ungheria, dall’altra. Nel giro di pochissimi anni sia in Italia e in Germania che in vario grado nei paesi orientali hanno preso nettamente il sopravvento i secondi con tutte le implicazioni ormai sempre più visibili. Ben istigate dai centri decisori statunitensi, con la complicità interessata dei loro accoliti tedeschi, ma anche svedesi e britannici, quelle pulsioni nazionaliste si sono rapidamente trasformate in uno spirito di rivincita ostile verso la Russia e le componenti filorusse o neutraliste presenti nelle popolazioni di quell’area. I vecchi fantasmi che hanno funestato la prima metà del secolo scorso, che non hanno riguardato solo la Germania e l’Italia, come la narrazione tende invece ad imporre, stanno pian piano tornando e rischiano di trascinare nuovamente il continente europeo in una situazione di conflitto endemico e distruttivo, ma con una postura geopolitica infinitamente più subordinata a scelte e strategie esterne all’area rispetto al secolo passato. Una condizione deprimente e drammatica della quale alcuni paesi dell’Europa Orientale e l’Italia, così “degnamente” rappresentata da un funzionario dal passato e un presente più che eloquente, sono gli esempi preclari. E’ arrivato ormai il tempo di pagare il conto salatissimo di settanta anni di pax americana che ci ha resi “mediamente felici”, avvinghiati come siamo dalle sue catene; una pax ormai in aperta discussione, anche se avviluppata in un contenzioso dall’esito finale ancora incerto. Un conto che sarà lungi dall’essere ripartito equamente, così come le portate del banchetto dal menu sempre più deludente. Un motivo in più per diffidare di questa Unione Europea. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Sulla Polonia

Quando l’Europa si renderà conto delle conseguenze dannose delle sanzioni anti-russe, il Paese europeo a noi più caro sta andando, come al solito, più veloce della musica. Il primo ministro Mateusz Morawiecki, accompagnato dal vice primo ministro Kaczyński e dai primi ministri della Repubblica ceca e della Slovenia, si è recato a Kiev su un treno pesantemente sorvegliato. Proprio come Lenin ai suoi tempi, nella sua auto blindata finanziata dai tedeschi. Che discussioni con Zelensky! Che promesse di amicizia e di aiuto! Ciò che mente, ovviamente. Al suo ritorno, Moravetsky annunciò solennemente un programma di “derussificazione dell’economia polacca ed europea”. Specificando coraggiosamente che “sarà costoso”.

Ha assolutamente e totalmente ragione: sarà costoso e non necessario. Ma la Polonia non deve più preoccuparsi delle sue perdite. Ha già perso tutto ciò che poteva perdere durante tutti questi anni di russofobia patologica. Così ora, come dicono i vicini così cari ai polacchi: “Il fienile è andato a fuoco, brucia la casa!” »

Quando si tratta di Russia, la Polonia si contorce letteralmente in “dolorosi fantasmi”. È molto difficile per le sue élite accettare che il tempo dei guai si sia concluso con l’espulsione degli occupanti polacchi dal Cremlino quasi quattrocento anni fa. E che la Repubblica delle Due Nazioni (“Rzeczpospolita Obojga Narodów”) non è mai diventata un grande impero. Tutti questi fallimenti non provengono dagli intrighi della Russia, gli unici responsabili sono le liti interne, la corruzione, i fallimenti economici e le battaglie perse. E questo per molti secoli.

La propaganda antirussa polacca è la più feroce, la più volgare e la più sgargiante. Una vera comunità di pazzi politici. A differenza del nostro Paese, dove non sorvoliamo nemmeno sui capitoli più oscuri della nostra storia, in Polonia si sogna di dimenticare i tempi della seconda guerra mondiale. E, soprattutto, quei soldati sovietici che sconfissero il fascismo, cacciarono gli occupanti dalle città polacche e impedirono loro di distruggere Cracovia, liberarono i prigionieri di Auschwitz e Majdanek.

I polacchi stanno riscrivendo la storia, demolendo monumenti. L’occupazione fascista è apertamente identificata con l'”occupazione” sovietica. Chi avrebbe potuto immaginare un discorso più fuorviante e disgustoso? I polacchi l’hanno fatto.

Tuttavia, non ci sono sentimenti anti-polacchi in Russia e non lo sono mai stati. I sociologi lo testimoniano: i cittadini del nostro Paese sono molto amichevoli verso questo popolo. È impossibile dimenticare l’ondata di simpatia e compassione causata da questo incidente aereo vicino a Smolensk, in cui una delegazione di alto livello e il presidente polacco sono morti. I cittadini russi hanno portato fiori all’ambasciata e alle chiese polacche, hanno espresso le loro condoglianze sulla stampa e sui social network. Come capo di stato, ho dichiarato un giorno di lutto in tutto il paese.

Successivamente, durante le mie visite in Polonia, mi sono convinto che non ci fossero ostacoli al miglioramento delle relazioni tra i nostri paesi, è una strada a doppio senso dove tutti dobbiamo vincere lì. Tuttavia, il partito n. 2 del PiS di Kaczyński ,  guidato dai suoi padroni americani, e il resto delle élite politiche hanno fatto di tutto per bloccare qualsiasi normale comunicazione.

Oggi, gli interessi dei cittadini polacchi sono stati sacrificati alla russofobia di quei politici mediocri e dei loro burattinai d’oltreoceano, che mostrano evidenti segni di senilità. Il rifiuto di acquistare gas, petrolio e carbone russi, l’opposizione al Nord Stream 2 hanno già causato gravi danni all’economia di questo Paese. E andrà solo peggio. Lo stesso vale per molte altre misure, che non si basano sull’economia ma sulla politica con il pretesto della “derussificazione”. A loro non importa. Piuttosto che venire in aiuto dei propri cittadini, è molto più importante per le élite vassalli polacchi giurare fedeltà al loro signore americano e fare di tutto per mantenere vivo il fuoco dell’odio verso il nemico rappresentato dalla Russia.

Cosa ci guadagneranno i cittadini? Assolutamente niente. Ma prima o poi capiranno che l’odio per la Russia non rafforza i legami della società e non contribuisce al benessere o alla pace. Al contrario, la cooperazione economica con il nostro Paese avvantaggia i polacchi, i legami umani sono indispensabili e gli scambi culturali e scientifici tra le patrie di Pushkin e Mickiewicz, di Tchaikovsky e Chopin, di Lomonosov e Copernico sono essenziali. Molto probabilmente, i polacchi faranno quindi la scelta giusta, da soli, senza sollecitazioni o pressioni da parte di élite straniere afflitte da demenza.

Potenza come griglia di lettura n. 12 di RAPHAEL CHAUVANCY

Potenza come griglia di lettura n. 12

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Preferendo l’amministrazione delle cose al governo degli uomini, i nostri contemporanei hanno accarezzato il sogno di un pacifico villaggio globale. Gli interessi incrociati dovevano sostituire le relazioni di dominio. Il clamoroso ritorno della storia ha spazzato via questo sogno. Le interdipendenze non impediscono gli scontri. Il Cremlino sviluppa le sue armi avanzate con componenti europei; gli americani fabbricano i loro aerei con minerali cinesi rari mentre gli ucraini si scaldano con il gas dei russi che uccidono i loro figli.

Il puro interesse materiale e le ideologie non sono quindi riusciti a pacificare il mondo né a spiegarne le convulsioni. Quindi dobbiamo cercare altrove il motore del sistema strategico globale. Criticata da autori come Bertrand Badie, la cui fragilità concettuale nasce dalla sfida insostenibile di voler spiegare le relazioni internazionali senza parlare di strategia, la nozione di potere e i suoi meccanismi offrono proprio una griglia di lettura globale e coerente. Dobbiamo ancora essere d’accordo sulla sua definizione.

Il potere è una relazione strategica

L’uomo è un essere sociale proiettato nel tempo. Vale a dire, un animale politico e storico la cui azione collettiva sposa le forme della strategia. Organismi collettivi organizzati, le società perseguono i propri obiettivi, il primo dei quali è garantire la sostenibilità e la prosperità di una comunità definita in un determinato territorio. La loro moltiplicazione porta gradualmente i loro interessi a incrociarsi, a scontrarsi.

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L’area mondiale si è così convertita in un sistema strategico animato da rivalità di potere, questo rapporto sfaccettato e sinergico che è, tenuto conto della necessità, l’effetto della proiezione nello spazio e nel tempo di una volontà strategica ragionata sull’ambiente materiale e immateriale .

La potenza è una relazione comparativa a somma zero. In un mondo che cambia, una potenza che non progredisce corre il rischio di una regressione meccanica. Per questo non può essere pensata al di fuori delle condizioni della sua crescita in un quadro di competizione, contestazione o confronto tra gli unici attori che ne raccolgono tutte le caratteristiche, gli Stati.

I meccanismi del potere si basano su tre principi uguali e senza tempo comuni a tutte le sfere culturali: necessità, volontà e legittimità. Si suddividono in fattori ed elementi.

La necessità è il peso dei dati di partenza, degli elementi quantificabili. Obiettivo, riunisce dati fisici e cognitivi. Copre la geografia, la demografia o le risorse economiche di un paese e determina i concreti equilibri di potere. Lei è il braccio.

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Principio guida, la volontà è la capacità di concepire un piano strategico, determina l’obiettivo da raggiungere, detta la procedura da seguire e avvia l’azione. Sfrutta le opportunità, supera i vincoli, aggira gli ostacoli o forza la resistenza. Lei è la testa, con tutto ciò che la mente umana ha di razionalità, ma anche di errori o imprevisti.

Infine, la legittimità assicura la coesione di una società attorno a valori o convinzioni condivisi e le dà la sensazione di compiere un’azione giusta, bella, buona o quantomeno necessaria. Riguarda le forze morali. Lei è il cuore.

Mappatura e dinamica della potenza

È possibile mappare cinque tipi principali di rilievi di potenza.

Al vertice c’è la ristretta cerchia delle superpotenze, come l’URSS ieri, gli Stati Uniti oggi, la Cina domani. Hanno tutte le carte in mano per imporre la loro direzione nel mondo.

Poi arrivano le potenze medie a vocazione globale come la Francia o l’Inghilterra, a cui un giorno potrebbero unirsi l’India o la Germania. Se la storia ha talvolta offerto loro l’illusione di una possibile egemonia, hanno imparato a misurare il peso della necessità ea conoscerne i limiti.

Il terzo piano riunisce potenze regionali, come il Brasile o l’Australia, difficili da aggirare in una sfera delimitata.

Questi livelli raggruppano i poteri attivi. Le pianure e le valli successive sono il dominio dei poteri passivi.

Vi troviamo le nazioni deboli, ma prospere, attaccate solo ai loro interessi immediati, come molti paesi europei. Per mancanza di volontà, costituiscono una semplice posta in gioco tra i grossi che contestano i clienti.

Il livello più basso è quello degli Stati deboli e poveri, che hanno solo interessi locali. Le loro carenze in tutte le aree sono tali da formare solo una landa desolata dove le grandi potenze si oppongono più o meno liberamente; ci sono un certo numero di paesi dell’Africa nera, dell’America Latina e dell’Asia.

Naturalmente entrano in gioco altri fattori. Potrebbero riguardare il clima di potere. I poteri freddi sono conservatori. Hanno interesse a congelare in misura maggiore o minore la scena mondiale e sono per definizione stabilizzanti, come la Francia o il Marocco, che perseguono politiche di sovranità, influenza ed equilibrio.

Al contrario, i poteri caldi sono revisionisti. Hanno aspirazioni imperiali, globali nel caso delle superpotenze, o regionali per stati come la Turchia .

Questa mappatura può essere dettagliata o orientata in base alle esigenze analitiche. Facilita la comprensione delle forze coinvolte e delle dinamiche del potere naturale o accidentale.

Il movimento di correnti calde o fredde porta meccanicamente a perturbazioni, come l’incontro dell’espansionismo turco e del conservatorismo francese nel Mar Egeo. I fenomeni naturali dell’erosione del potere, di cui la Russia ha notato l’importanza dopo la caduta dell’URSS, richiedono aggiustamenti o azioni più o meno riuscite per mantenere un ambiente favorevole; quando blocchi importanti si sono staccati dal corpo centrale come fa l’Ucraina, il volontarismo si oppone alla forza di gravità con le conseguenze che abbiamo visto.

Alcuni movimenti tettonici sotterranei preannunciano quindi tsunami, che possono verificarsi durante i grandi cambiamenti demografici: ci si può quindi interrogare sulla sostenibilità sociale degli Emirati Arabi Uniti dove il 10% dei cittadini annega in una massa del 90% di estranei.

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Le dinamiche di ascesa o declassamento obbediscono a determinate regole e provocano naturalmente depressioni o tempeste. Se i geografi sono stati in grado di parlare di riscaldamento globale, il riscaldamento geopolitico è una realtà molto preoccupante che richiede l’adozione di misure per mitigarlo, se possibile, per prepararci sicuramente.

Lo stratega è quindi simile al geografo. La conoscenza dei meccanismi del potere gli permette di comprendere i fenomeni indotti e di anticiparli, individuando tendenze o probabilità in assenza di certezze fuori portata.

Equilibri e squilibri

La tettonica delle potenze potrebbe essere sommariamente riassunta come un equilibrio continuamente perduto e perennemente ritrovato.

I periodi di anarchia sono quelli in cui la rottura è tale che il riequilibrio è impossibile, come dopo la caduta dell’Impero Romano. Le crisi maggiori sono l’espressione di una violenta oscillazione del pendolo per contrastare un cambiamento troppo brutale per essere digerito gradualmente. Nel 1914, la guerra non derivava tanto dal desiderio di combattere del Reich quanto dalla dinamica creata dal fantastico aumento della sua potenza demografica, economica e militare a partire dal 1870. La forza di gravità costruita attorno al potere germanico non poteva che dislocare il edificio internazionale.

I movimenti strutturali sono più durevoli del frutto degli scontri cinetici. Non fu Waterloo che spinse la Francia al secondo rango di potenza nel 19° secolo . È il processo di unificazione tedesca che ha progressivamente ridotto il suo peso relativo nel concerto europeo. Inoltre, lo schiacciamento militare totale della Germania nel 1945 non le ha impedito di riprendere gradualmente e naturalmente la leadership europea.

La legge del ritorno all’equilibrio significa che i poteri che contano sono generalmente rimasti gli stessi nel corso dei secoli. È eccezionale che una nazione esca dal cerchio che gli è proprio, ma quando ciò accade è ancora più raro che riesca a ritrovarla.

Le evoluzioni che possono causare squilibri hanno ritmi molto vari. Nel regno della necessità, sono generalmente lenti, salvo incidenti come la scoperta di materie prime vitali o di alto valore: gli idrocarburi hanno trasformato una piccola nazione remota in uno degli stati più prosperi del globo all’inizio degli anni ’70.

È in termini di volontà che le rotture sono più rapide e l’influenza del libero arbitrio individuale o collettivo è decisiva. Personalità forti come i Presidenti Putin o Erdogan hanno segnato le Relazioni Internazionali contemporanee; la resilienza collettiva del popolo ebraico ha permesso loro di superare due millenni di dispersione e persecuzione per ricreare finalmente uno stato in pochi anni.

I criteri di legittimità generalmente conoscono solo evoluzioni progressive e sotterranee. Ma quando l’architettura delle credenze è cambiata, è difficile tornare indietro. La Corte di Versailles lo scoprì a suo danno nel 1789 prima che il mondo intero ne rimanesse sconvolto.

Sebbene i cambiamenti creino opportunità, non tutti vale la pena coglierli. Uno squilibrio troppo grande a favore di un giocatore provoca in cambio una reazione virulenta e coordinata da parte dei suoi avversari, dei suoi compagni, persino dei suoi alleati. Uno Stato deve porsi anche la questione della sua capacità di assorbire un forte aumento di potere. La rana non vince volendo essere più grande del bue…

Modellazione piuttosto che shock

Altri meccanismi derivano dalle contraddizioni interne di qualsiasi stato, sistema, situazione. Mao ha anche teorizzato il suo sfruttamento strategico. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno difficoltà a conciliare la propria identità democratica e la propria natura imperiale. All’interno della stessa alleanza formata dalle democrazie, una forte antilogia distingue la visione francese del multilateralismo, considerato come un’opportunità per creare spazio di manovra, e l’approccio americano, che lo vede come una minaccia al suo status di iperpotenza.

Un paradosso è che la potenza trattenuta è maggiore della potenza impiegata. Quest’ultima, infatti, è una spesa in conto capitale il cui beneficio resta da dimostrare. L’Inghilterra ha costruito il suo dominio assistendo alle grandi conflagrazioni europee molto più che partecipando ad esse. Mentre i suoi avversari si esaurivano in futili litigi, ella accumulò capitali, costruì navi mercantili, estese le sue reti finanziarie e liberò le terre vergini d’America e dell’Oceania che offriva al suo vigore demografico e pionieristico.

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Se la manovra di Vladimir Putin in Crimea nel 2014 è un caso da manuale dell’uso strategico dei movimenti naturali al lavoro, l’aggressione in Ucraina nel 2022 illustra i misfatti di uno sterile degrado. Il potere militare, politico e diplomatico russo è stato ridotto e le sue risorse economiche sono state gravemente colpite. Allo stesso modo, l’abuso del diritto di veto da parte dei russi all’ONU è il modo migliore per mettere in discussione il principio stesso. Come contrappunto, la Francia è attenta a non usare la propria per evitare che la sua legittimità venga contestata, il che contribuisce al suo status di potenza globale responsabile.

Sorprendentemente contraddittoria, una saggia politica di potere può consistere nel… favorire l’aumento di quelli di altri attori. È improbabile che un paese come la Francia possa aumentare notevolmente le proprie risorse oltre certi limiti. D’altra parte, potrebbe mirare a rafforzare gli stati subordinati a scapito dei suoi concorrenti.

Se vuoi la pace, prepara la guerra. La debolezza uccide, lo dimostrano i telegiornali. Una griglia di lettura interessata solo agli scontri tra rivali, invece, mancherebbe il punto. L’esperienza delle due guerre mondiali, la deterrenza nucleare e la sempre più marcata riluttanza dell’opinione pubblica a versare il proprio sangue hanno provocato un cambiamento nelle rivalità di potere.

Il confronto, cioè la guerra aperta tra nemici, ha perso la sua centralità a vantaggio della contesa indiretta tra avversari e, ancor più, della competizione globale tra tutti i giocatori, anche tra gli alleati.

Mentre, anche a livello militare, conta sempre meno brillare sul campo di battaglia che durare, i percorsi contemporanei del potere emarginano le nozioni di vittoria e sconfitta. Alfa e omega del pensiero delle relazioni internazionali fino al secolo scorso, sono diventate obsolete. La vittoria riflette solo una momentanea pressione volontaristica contro la natura delle cose o l’equilibrio del potere. Inoltre i suoi risultati svaniscono rapidamente. Sarebbe esagerato paragonarlo a un’illusione?

Il potere di uno Stato non risulta da una determinata situazione, ma da un approccio integrato e da un equilibrio sostenibile tra risorse, volontà e legittimità. È perché è globalmente equilibrato internamente che la Francia è una potenza di bilanciamento esternamente. Al contrario, una Russia volontarista, povera e troppo armata può solo svolgere un ruolo destabilizzante.

Nonostante l’apparente contraddizione tra i due termini, il potere può essere equiparato al consenso, anche se è ovviamente fabbricato. Questo consenso è dovuto all’influenza di un modello sociale, prestigio politico, credibilità militare, prosperità economica, attrattiva culturale, ecc. termine di uno stato percepito come utile nel peggiore dei casi, generalmente necessario, ammirevole nel migliore dei casi.

Se l’arte della tattica dominava quando i principi misuravano il proprio potere con il metro di una provincia conquistata, è oggi emarginata da quella della strategia e della pianificazione ambientale. Quest’ultimo consiste nell’occupare spazi lacunari, rinchiudere i rivali in una fitta rete di dipendenze strutturali sotterranee e assicurarsi un margine di manovra sovrano. Possiamo così completare la cartografia dei poteri con quella delle loro dipendenze materiali e immateriali.

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Un gigante economico, la Germania, per esempio, sta pagando il prezzo dell’ingenuità, divisa tra la sua sottomissione energetica a Mosca e la sua dipendenza dalla sicurezza da Washington. Nazione prospera amministrata liberamente, scopre con stupore di non essere sovrana per mancanza di libertà di manovra. Un paese può essere uno stato di diritto, anche senza sovranità. D’altra parte, non ha più la capacità di decidere sul suo futuro e di attuare le sue scelte, che è la definizione stessa di libertà politica e la ragion d’essere della democrazia.

Conclusione

La storia è una linea spezzata. Non ha un significato particolare, ma ripercorre le avventure di competizione tra gruppi umani. Ogni confronto è, soprattutto, un movimento e un’interazione creativa le cui conseguenze non sono tutte negative.

Il mondo contemporaneo ha comunque rotto con la nozione di pace. Militari o meno, la guerra infuria tra le nazioni. Non si oppone più solo agli apparati statali come in passato, ma alle società stesse nel loro insieme.

Nulla ora sfugge al gioco dei poteri. Mark Galeotti ha pubblicato a gennaio 2022 un libro dal titolo evocativo: L’armamento di tutto . Tutto diventa strumento di combattimento. Tutto diventa un’arma.

Questo nuovo sistema globale, come abbiamo visto, non è così anarchico come si potrebbe pensare a prima vista. Se riserva naturalmente sorprese, obbedisce a regole e meccanismi accessibili alla comprensione umana.

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Gli europei in generale ei francesi in particolare non sono stati in grado di anticipare crisi sanitarie, economiche o militari che sono comunque ampiamente prevedibili. L’obsolescenza di griglie di lettura terribilmente restrittive, siano esse quella economica liberale o quella consistente nel confinare le Relazioni Internazionali a una forma di sociologia, è costata loro cara.

In un’epoca di effetti combinati e scontri interni, questi echi del passato interessano solo alla ricerca storica. Il futuro è irto di minacce e richiede strumenti concettuali in grado di conciliare l’analisi dei rapporti di potere grezzi, tenendo conto dell’imprevedibilità delle decisioni collettive o individuali e del ruolo delle forze morali. Vale a dire la necessità, la volontà e la legittimità.

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Stati Uniti, Europa, Ucraina! La selezione di un ceto politico_con Antonio de Martini

Man mano che si segue l’impulso e la necessità di serrare le fila, viene meno una selezione adeguata del ceto politico chiamato a condurre e seguire dinamiche complesse e situazioni intricate. Il mondo occidentale si trova nella condizione di disporre dell’apparato ancora più sofisticato e complesso con personale appena sufficiente a gestire le routine più banali, molto meno ad operare assennatamente i necessari strappi dei momenti di crisi aperta ed eccezionali.E’ il momento dei condizionamenti tragicamente pesanti che fanno scivolare per inerzia le situazioni verso tragici epiloghi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v13vs6b-usa-europa-ucraina-e-il-suo-ceto-politico-con-antonio-de-martini.html

 

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