Perché “cancellare” i russi?_ di Slavisha Batko Milacic

Quando, un anno o due dopo, l’intera Europa, che soffre di inflazione, mancanza di cibo e idrocarburi, economia in calo e spese militari eccessive, si chiederà “di chi è la colpa?”, quante persone in Europa avranno il coraggio di dire a se stesse: “non avremmo dovuto cancellare i russi…”?

C’è una convinzione persistente sia in Europa che negli Stati Uniti che le economie “occidentali” siano le più sviluppate al mondo, così come la cultura e la democrazia “occidentali”, con la sua cultura di abolizione e tolleranza totale, siano l’unico sistema corretto e avanzato . La Russia, che è un ponte che collega l’Europa con l’Asia dai tempi dello zar Pietro, ha apparentemente scelto la via europea. Con tutta la sua immagine esotica e i regimi totalitari che opprimevano il popolo russo, in fondo questi ultimi si consideravano europei. Le loro battute e il loro umorismo sono facilmente comprensibili sia in Nord America che in Europa, e i valori della vita dei russi sono per molti versi simili a quelli europei. Eppure, non furono accettati nella famiglia europea.

Durante il 18 ° e 19 ° secolo la Russia accettò e assimilò completamente decine di migliaia di coloni polacchi, olandesi e tedeschi, ma non fu mai riconosciuta in Europa come una di loro. Si è scoperto che immaginare la Russia come un cosacco selvaggio che cavalca un orso, uno spietato “nemico” asiatico al confine con l’Europa era più desiderabile dell’integrazione con la Russia. La nozione di “minaccia russa” è stata sfruttata fin dal  18° secolo dai politici, da Luigi XV a Barack Obama. Dopotutto, nulla avvicina i piccoli paesi europei dell’immagine di un nemico comune. I russi sinceramente non capivano perché non fossero stati accettati nella famiglia europea. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mosca chiese addirittura di entrare a far parte della NATO. L’unica cosa che i politici di Mosca chiedevano ai loro partner occidentali era di non offendere i residenti di lingua russa dei paesi baltici e dell’Ucraina, che, sulla scia del crollo sovietico, erano diventati lì persone di seconda classe. Siamo onesti, tuttavia. La Russia è stata intenzionalmente data in pasto come un nemico.

La politica russofoba delle repubbliche baltiche portò a una rottura con la Russia e costrinse Mosca a iniziare urgentemente a costruire, a causa di problemi di sicurezza logistica, nuovi porti nel Baltico. Due rivoluzioni colorate in Ucraina, orchestrate dalle “democrazie” occidentali hanno portato al potere i nazionalisti locali e alla fine hanno innescato un conflitto nel Donbass, dove il 95% delle persone non erano madrelingua della lingua ucraina “di stato”.

Anche allora, i russi hanno cercato di dimostrare la loro cordialità all’Europa. Nella primavera del 2021, quando il sistema sanitario italiano è stato paralizzato dalla pandemia di Covid-19, i russi vi hanno inviato diversi aerei con medici e medicinali, insieme a una squadra di militari delle forze di difesa chimica, che hanno aiutato gli italiani a disinfettare le zone di quarantena negli ospedali. In seguito agli attacchi terroristici del novembre 2015 in Francia, l’esercito russo, che in precedenza aveva subito gli stessi islamisti radicali, ha scritto sui missili, che hanno usato contro i gruppi terroristici in Siria “For Paris”. Gli intellettuali russi con una mentalità di opposizione credevano sinceramente che i liberali russi sarebbero stati cari ospiti in Europa. Sembra che fino a febbraio 2022, i circoli filogovernativi in Russia credevano sinceramente che l’Occidente potesse costringere Kiev a iniziare ad attuare gli accordi di Minsk sul Donbass.

Tutto è cambiato il 24 febbraio di quest’anno. Seriamente preoccupata dalla minaccia rappresentata dal rafforzamento della NATO e da un esercito ucraino di 140.000 uomini dispiegato lungo la linea di demarcazione vicino a Donetsk, Mosca ha lanciato un’operazione speciale e, dopo una serie di fallimenti iniziali, le truppe russe stanno ora schiacciando con sicurezza le truppe ucraine mentre l’Europa è rimasta simpaticamente silenziosa. È già chiaro che nemmeno un chilometro del territorio ucraino già occupato tornerà sotto il controllo di Kiev. Da un punto di vista economico, le misure di ritorsione dell’Occidente sembravano molto sorprendenti. Un certo numero di paesi ha completamente smesso di acquistare gas russo, affittando urgentemente terminali galleggianti per ricevere costoso gas liquefatto dagli Stati Uniti e dal Qatar. La maggior parte dei paesi europei, compresa l’Italia, il cui popolo è stato salvato da medici russi, ha iniziato a fornire armi all’Ucraina. E questo nonostante il fatto che nulla fermerà l’orso furioso. Le armi europee non faranno che prolungare la guerra e uccidere altre decine di migliaia di russi e ucraini, compresi i civili.

La cosa più importante, tuttavia, è la demonizzazione dei russi. Centinaia di liberali russi che si opposero alla guerra si precipitarono in Occidente solo per rendersi conto che nessuno li aspettava in Europa. Dopotutto, non esistono “bravi russi”. Nella migliore delle ipotesi, se si pentono di tutti i loro crimini contro l’Europa, inclusa la sconfitta di Napoleone e l’assalto a Berlino nel 1945, forse lasceranno che distribuiscano cibo ai profughi ucraini.

Di conseguenza, alcuni di coloro che sono fuggiti in Europa hanno dovuto affrontare violenze e insulti e alla fine sono tornati in Russia. Alcuni sono andati a Belgrado, dove alla gente piacciono i russi, e a Istanbul, dove le persone sono ugualmente neutrali nei confronti dei russi e degli ucraini… a patto che abbiano soldi, ovviamente. Nel frattempo, un’intera nazione è stata effettivamente vittima della procedura di “cancellazione”. La gente sembrava aver dimenticato che una delle cause principali della guerra era l’assimilazione forzata dei russi in Ucraina. Ora, i propagandisti del Cremlino non devono nemmeno inventare nulla. Tutto ciò di cui hanno bisogno è solo tradurre articoli occidentali sul “passaporto di un buon russo”, sulla “responsabilità collettiva dei russi”, sulla confisca delle imprese russe e della proprietà privata in Europa e pubblicarli con collegamenti ai media europei da cui provengono . Oltretutto, la confisca dei beni russi in Occidente è qualcosa che la Russia vede come nient’altro che un vero e proprio furto. Ci sono stati anche casi di numerosi rifiuti di operare su bambini russi malati in Occidente, i cui soldi erano stati raccolti da fondazioni di beneficenza! Per i russi, che amano così tanto i bambini, questo sembra atroce.

Di conseguenza, abbiamo una situazione paradossale. Nonostante alcune battute d’arresto della fase di apertura della guerra, più russi iniziarono a sostenere l’operazione speciale. Coloro che hanno scritto “No alla guerra” sui social network a febbraio hanno cambiato la loro retorica un mese dopo e hanno iniziato a gongolare per la mancanza di gas e carbone in Europa. Ma né i russi né gli europei hanno finora realizzato la portata della colossale rivoluzione che sta avvenendo nelle menti delle persone e nella geopolitica. I russi nell’UE e negli Stati Uniti sono stati “cancellati” e, quel che è peggio, si sono rassegnati a questo.

A marzo, i russi hanno rilevato i elevatori del grano a Kherson e Berdyansk e, con un alto grado di probabilità, prima dell’inizio del raccolto, si impadroniranno di tutta l’Ucraina meridionale, che, insieme alle regioni russe di Kuban e Altai, è uno dei granai più grandi del mondo. Enormi flussi di fertilizzanti, grano e idrocarburi russi si stanno lentamente ma inesorabilmente girando verso l’Asia. Quale mercato è migliore? L’economia europea, che è stagnante da anni, con una popolazione di appena 400 milioni di abitanti, o 3,5 miliardi di persone nel sud-est asiatico che hanno bisogno di pane, calore, elettricità, armi russe e macchine utensili? Entro la fine dell’anno, i russi amplieranno finalmente i loro flussi di approvvigionamento, riempiranno il loro budget di denaro, si libereranno della paura di un rublo costoso e potranno spendere trilioni per ricostruire i territori appena annessi. In realtà, c’è già un esempio di questo: la Crimea, dove in otto anni è stato costruito un ponte di 17 chilometri, insieme a eccellenti autostrade e dove l’edilizia abitativa e commerciale è in piena espansione. Il workshop globale – La Cina conquisterà il mercato russo dei beni di consumo, sostituendo i resti dei marchi europei insieme ai produttori russi che stanno diventando popolari in mezzo all’ondata di sentimenti patriottici.

E da qualche parte oltre il Dnepr o nei Carpazi, dal Mar Nero all’Oceano Artico, cadrà una cortina di ferro, o meglio una cortina d’acciaio. Invece che in Spagna e in Italia, i ricchi russi si recheranno in Sri Lanka e Thailandia, pagando lì utilizzando i sistemi di pagamento cinesi e nazionali. Invece dell’Ucraina, i paesi europei acquisteranno grano da intermediari arabi e cinesi. Gli alti redditi e il potere dei consumatori degli europei non cambieranno nulla qui. Siamo 400 milioni di noi, più oltre 3 miliardi di persone nel sud-est asiatico. Ebbene, l’unione di due orsi – un siberiano marrone e un panda laborioso – cambierà completamente l’intera struttura di sicurezza del mondo.

Quando, un anno o due dopo, l’intera Europa, che soffre di inflazione, mancanza di cibo e idrocarburi, economia in calo e spese militari eccessive, si chiederà “di chi è la colpa?”, quante persone in Europa avranno il coraggio di dirlo a se stesse: “non avremmo dovuto cancellare i russi…”?

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L’UE dopo l’Ucraina di Wolfgang Streeck

Illuminante! Buona lettura, Giuseppe Germinario

La guerra è padre di tutti e re di tutti.

Supponendo che la storia dell’Unione Europea inizi con la Comunità Economica Europea (CEE), costituita nel 1958, essa è durata ormai quasi due terzi di secolo. È iniziata come un’alleanza di sei paesi che amministrava congiuntamente due settori chiave dell’economia del dopoguerra, il carbone e l’acciaio, rendendo superfluo per la Francia ripetere l’occupazione della valle della Ruhr, che aveva contribuito all’ascesa del revanscismo tedesco dopo la prima guerra mondiale Sulla scia della guerra industriale della fine degli anni ’60, e in seguito all’ingresso di altri tre paesi, Regno Unito, Irlanda e Danimarca, la CEE si è trasformata nella Comunità Europea (CE). Dedicata alla politica industriale e alla riforma socialdemocratica, la CE doveva aggiungere una “dimensione sociale” a quello che stava per diventare un mercato comune. Dopo, dopo la rivoluzione neoliberista e il crollo del comunismo, quella che ora è stata ribattezzata Unione Europea (UE) è diventata sia un contenitore per i nuovi stati-nazione indipendenti dell’Est desiderosi di unirsi al mondo capitalista, sia un motore di riforma neoliberista, fornitura- side economics e New Labourism in ventotto paesi europei. È anche diventato saldamente radicato nell’ordine globale unipolare dominato dagli americani dopo la “fine della storia”.

L’Unione Europea degli ultimi tre decenni è stata un microcosmo regionale di quella che è stata chiamata iperglobalizzazione. 1 In effetti, era in modo significativo un modello continentale di dimensioni ridotte per il capitalismo globale integrato che era l’obiettivo finale di coloro che all’epoca sottoscrivevano il Washington Consensus. L’UE ha offerto un mercato interno senza confini per beni, servizi, lavoro e capitali; la governance economica basata su regole è stata sostenuta da un’onnipotente corte internazionale, la Corte di giustizia europea (CGCE); e una moneta comune, l’euro, era gestita da una banca centrale altrettanto onnipotente, la BCE. L’accordo corrispondeva da vicino all’idea hayekiana di una federazione internazionale progettata per limitare la politica economica discrezionale: anapprossimazione quasi perfetta di ciò che Hayek chiamava isonomia: identiche leggi liberali del mercato in tutti gli stati inclusi nel sistema. 2 Questa economia non più politica era governata da una combinazione politicamente sterilizzata di tecnocrazia – la BCE e lo pseudo-esecutivo dell’UE, la Commissione europea – e quella che potrebbe essere chiamata nomocrazia – la Corte di giustizia europea – in base a una costituzione di fatto immutabile in pratica. Quest’ultimo consisteva in due trattati, 3 illeggibili per il cittadino normale, tra ventotto paesi, ciascuno dei quali aveva diritto a porre il veto a qualsiasi modifica. 4Ancorando l’intero progetto all’interno del sistema finanziario globale dominato dagli Stati Uniti, i trattati prevedevano una mobilità illimitata dei capitali, vietando ogni tipo di controllo sui capitali non solo all’interno dell’Unione ma anche oltre i suoi confini. 5

Che questa costruzione soffrisse di quello che venne eufemisticamente chiamato “deficit democratico” non passò inosservato. In effetti, tra gli addetti ai lavori a Bruxelles, si sente spesso la battuta che, con la sua attuale costituzione, l’Unione europea non sarebbe mai autorizzata a unirsi a se stessa. Negli ultimi anni, la Commissione Europea e, in particolare, il cosiddetto Parlamento Europeo si sono adoperati per colmare il divario democratico con una politica dei “valori” che l’UE deve imporre ai suoi Stati membri. I diritti umani, secondo le interpretazioni occidentali contemporanee, servirebbero come sostituti dei dibattiti sull’economia politica che erano stati esclusi dal sistema politico dell’Unione. Ciò ha comportato soprattutto interventi educativi nei paesi dell’ex impero sovietico per convertire governi, partiti, e popoli al liberalismo dell’Europa occidentale, economico ma anche sociale, se necessario trattenendo parte degli aiuti fiscali destinati a sostenere la trasformazione di questi paesi in economie di mercato in buona fede più democrazie capitaliste. Programmi educativi sempre più verticistici di questo tipo, il cui mandato derivava da interpretazioni sempre più ampie e anzi invadenti delle sezioni dichiarative dei trattati dell’UE, culminarono in una crociata contro i cosiddetti antieuropei, individuati dagli scienziati sociali e spin doctor politici come “populisti”.6

Con il tempo, la centralizzazione e la depoliticizzazione di fatto dell’economia politica dell’Unione ha inserito nell’Unione una dimensione gerarchica centro-periferia. Lo “stato di diritto” istituito come regola di un tribunale onnipotente; la politica economica formalmente basata su regole ma in pratica sempre più discrezionale della Banca centrale europea politicamente indipendente; e la rieducazione ai “valori” europei sanzionata ha portato l’UE ad assomigliare sempre più a un impero liberale , sia in senso economico che culturale, il secondo come legittimazione del primo.

Prima dell’Ucraina:
linee di faglia critiche, guasto prevedibile

Gli imperi corrono un rischio congenito di sovraestensione, in termini territoriali, economici, politici, culturali e di altro tipo. Più diventano grandi, più costa tenerli insieme, poiché le forze centrifughe crescono e il centro ha bisogno di mobilitare sempre più risorse per contenerle. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 e la sua diffusione in Europa dopo il 2009, l’UE e l’UEM hanno iniziato a fratturarsi lungo diverse dimensioni, le loro capacità economiche, ideologiche e coercitive di integrazione sono diventate sempre più sovraccaricate. Sul versante occidentale dell’UELa Brexit è stato il primo caso di uscita di uno Stato membro da un’Unione che ideologicamente si considera permanente. Ci sono stati molti fattori coinvolti che hanno contribuito all’esito del referendum sulla Brexit, che è stato ampiamente dibattuto per quasi un decennio. Uno dei motivi principali (meno spettacolare ma sicuramente più fondamentale di molti altri) per cui l’adesione britannica si è rivelata insostenibile è stata una profonda incompatibilità della costituzione britannica de facto, e del suo assolutismo parlamentare, con il governo in stile Bruxelles di giudici e tecnocrati. Un altro motivo, ovviamente, è stata l’incapacità e, in effetti, la riluttanza di Bruxelles a fare qualcosa per l’abbandono a lungo termine da parte dei governi britannici della disintegrazione del tessuto sociale del paese.

Volgendosi al sud , le radicate modalità nazionali di fare capitalismo si sono rivelate incompatibili con le prescrizioni dell’UEM e del mercato interno, portando l’Italia in particolare su un sentiero di declino economico prolungato e, a tutti gli effetti, irreversibile. I tentativi di invertire la tendenza o attraverso le “riforme strutturali”, secondo le prescrizioni neoliberiste, o attraverso la BCE e la Commissione europea piegando le regole anti-interventiste che regolano l’Unione monetaria, silenziosamente tollerate dai governi francese e tedesco, sono falliti miseramente. Ormai è diventato chiaro che nemmeno il Corona Recovery and Resilience Facility (RRF) dell’Unione Europea, e i sussidi che fornirà all’Italia, non fermeranno il declino italiano. 7Tra l’altro, il caso italiano mostra che un’efficace politica regionale finalizzata alla convergenza economica è ancor meno praticabile tra, rispetto all’interno, degli Stati-nazione.

Inoltre, alla periferia orientale dell’Unione , i paesi portano un’eredità storica di tradizionalismo culturale, autoritarismo politico e resistenza nazionalista contro l’intervento internazionale nella loro vita interna, quest’ultima rafforzata dalla loro esperienza sotto l’impero sovietico. Gli sforzi per imporre i costumi e i gusti dell’Europa occidentale a queste società, soprattutto se accompagnati da minacce di sanzioni economiche (come nel caso delle cosiddette politiche dell’Unione di “stato di diritto”), hanno causato opposizione e risentimento “populisti” contro ciò che è stato percepito da molti come un tentativo di privarli della loro sovranità nazionale appena recuperata. 8I conflitti in seno al Consiglio europeo su questioni culturali si sono spinti fino al punto che i capi di governo occidentali hanno esortato più o meno esplicitamente i loro colleghi orientali, in particolare quelli ungheresi e polacchi, ad uscire dall’Unione se non fossero stati disposti a condividerne i “valori”. 9 Insieme alla minaccia di sanzioni economiche, questo in effetti non è stato altro che un tentativo di realizzare un cambio di regime negli altri Stati membri.

Infine, nel nord , gli sforzi dell’Unione Europea per preservare un ricordo della sua antica ambizione di sviluppare una “dimensione sociale” sono regolarmente contrastati, tra tutti i paesi, dagli Stati membri scandinavi, che insistono sulla loro tradizione di regolamentazione del mercato del lavoro, compresa la regolamentazione salariale, dalla contrattazione collettiva piuttosto che dalla legge statale. Di recente, ciò ha portato alcuni sindacati scandinavi a minacciare di uscire dalla confederazione sindacale europea, lamentando di non aver sufficientemente rispettato la loro prassi nazionale consolidata.

Ulteriori linee di faglia, sia vecchie che nuove, esistono all’interno del centro dell’impero liberale, a causa del fatto che l’Unione Europea non ha uno Stato membro abbastanza potente da essere il suo unico egemone. Ci sono invece due paesi leader, Germania e Francia, nessuno dei quali può da solo dominare l’Unione. Sebbene l’uno abbia bisogno dell’altro, non sono in grado di concordare strutture centrali, interessi e politiche di un’Europa integrata. Tradizionalmente, le differenze franco-tedesche sono viste come derivanti dalle differenze tra le loro varietà nazionali di capitalismo, con la Francia che coltiva una tradizione di dirigismo statalista e la Germania che insiste sulla sua invenzione del dopoguerra di una “economia sociale di mercato”. Di conseguenza, Francia e Germania tendono ad essere in contrasto nella politica dell’Unione Europea e dell’Unione Monetaria Europea, con la Francia, tra le altre cose, a favore di una politica fiscale e monetaria più espansiva e politicamente discrezionale.

Più recentemente, soprattutto dopo la Brexit, sono emerse anche differenze nella politica estera e di sicurezza. Sebbene esistessero già negli anni ’60, sono stati messi in rilievo, prima dalla fine del mondo bipolare dopo il 1989 e poi dal fatto che, dopo la Brexit, la Francia è l’unico Stato membro dell’Unione Europea con armi nucleari e una sede permanente sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Poiché nemmeno la Francia è disposta a condividere, la dipendenza nucleare della Germania dagli Stati Uniti, che mantiene circa quarantamila soldati sul suolo tedesco, insieme a un numero incalcolabile di testate nucleari, ostacola di fatto la “sovranità strategica europea”, poiché i francesi chiamalo : atrasferimento della sovranità strategica all’“Europa” che è accettabile per la dottrina della sicurezza nazionale francese solo sotto la guida francese. Inoltre, mentre la Francia ha forti interessi in Africa e in Medio Oriente, gli interessi nazionali tedeschi, in relazione all’Europa, si concentrano sull’Europa orientale e sui Balcani. Di conseguenza, il disaccordo, se accuratamente nascosto, è endemico tra i due aspiranti piloti di quello che a volte viene chiamato eufemisticamente il tandem europeo franco-tedesco.

Più unità attraverso meno unità?

Prima della guerra in Ucraina, c’erano due progetti radicalmente diversi nell’aria, o almeno concepibili, su come prevenire l’imminente disintegrazione dell’Unione Europea, a causa della sovraestensione e sovraintegrazione. Uno può essere riassunto come una strategia di maggiore unità attraverso una minore unità , o di ridimensionamento, se non territoriale, quindi funzionalmente, annullando alcuni elementi principali della “sempre più stretta unione dei popoli d’Europa” dell’UE. Tra gli altri, è stato il sociologo americano Amitai Etzioni a sostenere da tempo il ridimensionamento come mezzo per sbloccare l’integrazione europea. 10Per molti versi, la sua proposta ricordava i concetti più antichi di un sistema statale integrato dell’Europa occidentale come un’Europa à la carte, o anche come “l’Europa delle patrie” di de Gaulle. 11 Ciò che queste nozioni avevano in comune era una visione di un sistema statale regionale sul modello di una cooperativa piuttosto che di un impero, come ha recentemente delineato da Hans Joas in un importante libro su “L’Europa come progetto di pace”. 12In esso, Joas fa riferimento a un dibattito sulle possibilità di pace internazionale tra Carl Schmitt e lo storico tedesco Otto Hintze negli anni ’20 e ’30. Schmitt credeva che la pace in una regione globale potesse essere assicurata solo da una potenza imperiale centrale libera di imporre l’ordine alla sua periferia, ai suoi stati dipendenti, essenzialmente come riteneva opportuno. Il suo modello reale di un ordine internazionale praticabile, per inciso, era l’emisfero americano sotto la Dottrina Monroe. Argomentando contro di lui, Hintze, che aveva studiato la tradizione tedesca delle associazioni cooperative ( Genossenschaften), ha insistito sulla possibilità di un ordine sociale basato sulla cooperazione volontaria in un quadro che obbligasse i paesi partecipanti a riconoscersi reciprocamente l’indipendenza o la sovranità. In vari modi, questo modello si avvicinò a quello della Pace di Westfalia del 1648, dopo la Guerra dei Trent’anni, con la creazione di quello che in seguito sarebbe stato chiamato lo “Stato di Westfalia”.

Che aspetto avrebbe un’Unione Europea à la carte, se mai fosse diventata realtà? In generale, avrebbe previsto un’autonomia più locale, nel senso di nazionale, invece di insistere sull’uniformità politico-economica tra gli Stati membri, con istituzioni meno centralizzate e gerarchiche e più spazio per la sovranità nazionale. 13La Commissione Europea sarebbe stata trasformata in qualcosa come una piattaforma per la cooperazione volontaria tra gli stati membri, abbandonando la sua aspirazione a diventare un esecutivo paneuropeo; lo stesso, mutatis mutandis, si sarebbe applicato al Parlamento Ue. Anche il ruolo della Corte di giustizia europea dovrebbe essere sensibilmente ridotto: essa non sarebbe più un legislatore costituzionale dissimulato, incaricato di tutto ciò che sceglie di farsi carico e di intervenire a suo piacimento negli Stati nazionali, nel diritto nazionale, e politica nazionale. In un certo senso, un’Unione europea di questo tipo sarebbe stata simile al Consiglio nordico formato dagli stati scandinavi negli anni ’50. I membri sono Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Isole Faroe, Groenlandia e Åland. Il blocco non conosce equivalenti alla Corte Europea, al Parlamento Europeo, o la Commissione Europea. Mentre gli Stati membri mantengono i confini aperti tra di loro, continuano ad avere le proprie politiche economiche e sociali.14

Per molti versi, ripristinare l’integrazione per preservarla è stato fin dall’inizio un progetto irrealistico, se si potesse definire un progetto. Molto probabilmente, per avere qualche possibilità, avrebbe dovuto essere preceduto da un massiccio crollo dell’Unione Europea, dovuto all’intensificarsi delle interruzioni lungo le sue linee di faglia e, molto probabilmente, da un fallimento statale dell’Italia. Niente di tutto questo avrebbe potuto essere escluso, e più unità attraverso meno unitàavrebbe potuto essere realistico come progetto di ricostruzione dopo un collasso istituzionale, piuttosto che come politica di riforma per prevenire tale collasso. Secondo le regole esistenti, avrebbe richiesto un’ampia revisione del trattato concordata da tutti i ventisette stati membri post-Brexit, alcuni dei quali necessitavano dell’approvazione del voto popolare. L’impossibilità pratica di una revisione significativa dei Trattati di governo può essere considerata una caratteristica essenziale di un progetto di integrazione europea destinato ad essere irreversibile (sminuendo così involontariamente la sua legittimità democratica).

Integrazione per militarizzazione?

Un’altra potenziale via d’uscita dal malessere da sovraestensione è stata suggerita da un gruppo di politici tedeschi in pensione, di entrambi i principali partiti, guidati e ispirati dal filosofo Jürgen Habermas. Tra i suoi membri c’era Friedrich Merz, allora presidente del consiglio di BlackRock Germany, un rivale di lunga data emarginato di Angela Merkel. (Sorprendentemente, Merz è stato recentemente resuscitato per essere il successore della Merkel come leader di quello che oggi è il principale partito di opposizione tedesco, cdu/csu .) Nell’ottobre 2018, il gruppo ha lanciato un appello pubblico intitolato “Per un’Europa basata sulla solidarietà: facciamo sul serio sulla volontà della nostra Costituzione, ora!” 15Tra l’altro, il gruppo ha sollecitato la creazione di un esercito europeo (“Noi chiediamo un esercito europeo”), dato che “Trump, Russia e Cina” stavano “testando sempre più duramente. . . L’unità dell’Europa, la nostra volontà di difendere insieme i nostri valori, di difendere il nostro modo di vivere”. A questo potrebbe esserci “una sola risposta: la solidarietà e la lotta contro il nazionalismo e l’egoismo internamente, e l’unità e la sovranità comune all’esterno”. La creazione di un esercito europeo doveva essere il primo passo verso una “profonda integrazione della politica estera e di sicurezza basata su decisioni a maggioranza” del Consiglio europeo. Il gruppo ha affermato che un esercito europeo non richiedeva “più soldi” poiché “i membri europei della NATO insieme spendono circa il triplo della Russia per la difesa”; 16tutto ciò che serviva era porre fine alla frammentazione nazionale, che avrebbe creato “molto più potere difensivo senza denaro aggiuntivo”. (Non è stato fornito alcun motivo per cui ciò fosse necessario, dato che i paesi in questione stavano già spendendo tre volte di più per le loro forze armate rispetto al loro nemico designato.) Inoltre, “poiché le difese dell’Europa non sono dirette contro nessuno, la creazione di un l’esercito dovrebbe essere collegato al controllo degli armamenti e alle iniziative di disarmo”, uno sforzo in cui Germania e Francia, “gli stati fondatori dell’Europa”, dovrebbero prendere l’iniziativa.

Come più unità attraverso meno unità , la costruzione dello stato europeo attraverso la militarizzazione, che in qualche modo ricorda il modello prussiano, 17 non ha mai avuto una possibilità. Questo nonostante il fatto che in superficie, quando i suoi sostenitori hanno chiesto una “sovranità comune” per l’Europa, si sono ovviamente accontentati del gusto francese, come espresso nel discorso alla Sorbona del 2017 di Macron, tenuto il giorno dopo l’ultima rielezione di Angela Merkel . 18Inoltre, lasciando scoperto chi fosse il nemico da cui l’Europa doveva essere difesa, non precludeva qualcosa come l’equidistanza europea verso Russia e Cina, da un lato, e “Trump” dall’altro, che in linea di principio sarebbe stato il benvenuto in Francia. Inoltre, la NATO non è mai stata menzionata, e certamente non la sua dottrina rivista, adottata nel 1992, estendendo la sua missione a livello mondiale per includere operazioni “fuori area” come, presumibilmente, interventi umanitari in adempimento di un presunto “dovere di proteggere”. Inoltre, sostenendo che il nuovo esercito europeo non avrebbe bisogno di maggiori spese per la difesa, l’appello ha implicitamente respinto la richiesta americana che i membri europei della NATO, in particolare la Germania, aumentino le loro spese militari al 2% del PIL, il cheper la Germania nel 2018 avrebbe significato un aumento non inferiore al 50 per cento. 19 Si noti che la prima volta che la NATO, a seguito delle pressioni americane, ha discusso l’obiettivo del 2 per cento è stato in un vertice a Praga nel 2002. Questo è stato lo stesso incontro in cui l’alleanza ha aperto i colloqui di adesione con Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, e ha confermato una politica delle porte aperte per l’Europa orientale, comprese Georgia e Ucraina, contro le forti obiezioni pubbliche del governo russo.

Ancora più importante, il documento non è riuscito ad affrontare la questione delle armi nucleari, non ultimo, si è portati a credere, per consentire ai Verdi tedeschi di unirsi alla causa. Tuttavia, se il progetto fosse mai diventato reale, per la Germania, impegnata a non avere armi nucleari, e anzi vietata di averle ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968, un esercito europeo comportava il rischio di dover sostituire la protezione nucleare americana con quella francese. Quel rischio sarebbe sembrato inaccettabile in Germania come lo era l’idea in Francia di condividere la sua forza nucleare con “l’Europa”, il che significa che la Germania batteva bandiera europea. In fondo c’era la questione fondamentale della misura in cui un esercito europeo sarebbe, o avrebbe dovuto essere, integrato nella struttura di comando della NATO, in effetti, la sua “interoperabilità” con l’esercito degli Stati Uniti. Dal riarmo della Germania negli anni ’50, la Bundeswehr è stata completamente integrata nella NATO e gli Stati Uniti avrebbero probabilmente insistito sul fatto che qualsiasi esercito europeo, in particolare il suo contingente tedesco, sarebbe stato integrato anche nella NATO.

Se l’appello di Habermas avesse toccato la questione nucleare, sarebbe diventato ovvio che, nonostante le somiglianze superficiali, era incompatibile con gli elementi centrali del progetto di sicurezza europeo francese. Come gli Stati Uniti, la Francia voleva (e vuole) che la Germania spendesse di più per la difesa. Piuttosto che rafforzare la potenza americana transatlantica, tuttavia, la spesa aggiuntiva della Germania è stata quella di colmare il divario convenzionale nell’esercito francese causato dagli alti costi della sua forza nucleare, in modo da consentire all'”Europa” di servire meglio le ambizioni francesi in Africa e Medio Oriente . Per una “sovranità strategica europea” di questo tipo, sarebbe utile una qualche forma di distensione con la Russia. Un insediamento eurasiatico, tuttavia, sarebbe in contrasto con l’espansione americana attraverso la NATO alla periferia russa. Per gli Stati Uniti, l’obiettivo era quello di integrare gli ex paesi comunisti dell’Europa orientale in un “Occidente” guidato dagli americani. Far assumere all’Europa attraverso la NATO una posizione antagonista nei confronti della Russia garantirebbe la dipendenza europea da un’alleanza con gli Stati Uniti nel mondo bipolare che nasce dal “Nuovo Ordine Mondiale” di George HW Bush. Per la Francia, al contrario, un esercito europeo interessava proprio nella misura in cui avrebbe strappato l’Europa dallo stretto abbraccio in cui la tenevano gli Stati Uniti, tra l’altro mantenendo la Germania non nucleare dipendente dalla protezione nucleare americana.

Dopo l’Ucraina

La guerra è l’ultima fonte stocastica della storia e, una volta iniziata, non c’è limite alle sorprese che può portare. Tuttavia, anche se la guerra in Ucraina sembra tutt’altro che finita al momento in cui scriviamo, ci si può sentire giustificati osservando che ha posto fine, almeno per il prossimo futuro, a qualsiasi visione di uno stato indipendente, non imperiale e cooperativo sistema in Europa. La guerra sembra anche aver inferto un colpo mortale al sogno francese di trasformare l’impero liberale dell’Unione Europea in una forza globale strategicamente sovrana, rivaleggiando credibilmente sia con una Cina in ascesa che con gli Stati Uniti in declino. L’invasione russa dell’Ucraina sembra aver risposto alla domanda sull’ordine europeo ripristinando il modello, a lungo ritenuto storia, della Guerra Fredda: un’Europa unita sotto la guida americana come testa di ponte transatlantica per gli Stati Uniti in un’alleanza contro un nemico comune, prima l’Unione Sovietica e ora la Russia. L’inclusione e la subordinazione a un “Occidente” risorto e rimilitarizzato, come sottodipartimento europeo della NATO, sembra aver salvato, per il momento, l’Unione Europea dalle sue forze centrifughe distruttive, senza tuttavia eliminarle. Ripristinando l’Occidente, la guerra ha neutralizzato le varie faglie lungo le quali l’UE si stava sgretolando, chi più e chi meno, catapultando gli Stati Uniti in una posizione di rinnovata egemonia sull’Europa occidentale, compresa la sua organizzazione regionale, l’Unione Europea. ” Come sottodipartimento europeo della NATO, sembra aver salvato, per il momento, l’Unione Europea dalle sue distruttive forze centrifughe, senza però eliminarle.

Soprattutto, il reinserimento dell’Occidente sotto la guida americana ha risolto la vecchia questione dei rapporti tra Nato e Ue a favore di una divisione dei compiti che ha stabilito il primato della prima sulla seconda. In modo interessante, questo sembra aver sanato la divisione tra l’Europa continentale e il Regno Unito che si era aperta nel corso della Brexit. Quando la NATO è salita alla supremazia, il fatto che includa il Regno Unito insieme ai principali Stati membri dell’UE ripristina un ruolo europeo di primo piano per la Gran Bretagna attraverso le sue relazioni speciali con gli Stati Uniti. Come questo influisca sullo status internazionale di un paese come la Francia è stato recentemente illustrato da un accordo strategico – il cosiddetto patto aukus – tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Sotto aukus , l’Australia ha annullato un accordo del 2016 con la Francia sui sottomarini diesel francesi, impegnandosi invece a sviluppare sottomarini a propulsione nucleare insieme agli Stati Uniti e al Regno Unito, un evento che ha mostrato alla Francia i limiti di un’UE a guida francese come una potenza globale.

Per quanto riguarda l’UE, l’ascesa della NATO ha comportato il suo declino allo status di ausiliario civile della NATO, asservito agli obiettivi strategici americani, principalmente ma non esclusivamente in Europa. Gli Stati Uniti avevano a lungo pensato all’UE come a una sorta di sala d’attesa o di una scuola di preparazione per i futuri membri della NATO, in particolare quelli vicini alla Russia, come Georgia e Ucraina, ma anche i Balcani occidentali. 20L’UE, da parte sua, aveva insistito sulle proprie procedure di ammissione che includevano lunghi negoziati sulle condizioni istituzionali ed economiche nazionali che dovevano essere soddisfatte prima dell’adesione formale. Questo per ridurre l’onere che i nuovi paesi avrebbero imposto al bilancio dell’UE e per garantire che le loro élite politiche fossero sufficientemente “pro-europee” in modo da non scuotere la barca comune. Agli Stati Uniti, con i loro obiettivi geostrategici, questo in genere appariva come eccessivamente pedante se non ostruzionistico. In effetti, la Francia in particolare aveva resistito e resiste tuttora all’eccessivo “allargamento” dell’Unione, temendo che potesse ostacolare il suo “approfondimento”. Dal punto di vista americano, la condivisione degli oneri con i paesi europei significava che questi ultimi erano responsabili della fornitura di incentivi economici per l’adesione di nuovi stati all’Occidente, e per averli aiutati a costruire la base economica dell’occidentalizzazione, ad esempio attraverso sussidi finanziari che aiutano gli aspiranti Stati membri a raggiungere la stabilità sociale in senso occidentale, liberale e democratico.

Con la guerra in Ucraina, la visione americana dell’UE come dimora temporanea per i futuri membri della NATO sta rapidamente diventando realtà. Qualsiasi soluzione negoziata della guerra precluderà probabilmente l’adesione dell’Ucraina alla NATO nel prossimo futuro e non così vicino. L’ammissione accelerata all’Unione Europea potrebbe essere offerta a titolo di risarcimento, anche perché assicurerebbe i fondi per riparare i danni causati dalla guerra. 21Sembra anche probabile che alla Francia non sarà più consentito bloccare l’adesione di paesi come Albania, Bosnia ed Erzegovina (un paese), Macedonia del Nord, Montenegro, Kosovo e Serbia (a condizione che i sussidi europei possano far cambiare idea alla sua élite politica e diventare “pro-europeo”). A seconda di come si svilupperà la guerra, potrebbe anche esserci una sorta di affiliazione simile all’adesione in serbo per Georgia e Armenia, che probabilmente richiederanno tutte richieste significative al bilancio dell’UE senza rendere l’UE più facile da governare.

Inoltre, durante la guerra la Commissione europea era e continua ad essere molto richiesta come agenzia per la pianificazione, il coordinamento e il monitoraggio delle sanzioni economiche europee contro la Russia e, prevedibilmente, la Cina. In definitiva, le sanzioni implicano una profonda riorganizzazione delle catene di approvvigionamento estese dell’era neoliberista e del Nuovo Ordine Mondiale, in risposta al mondo multipolare che sta per emergere, con la sua rinnovata enfasi sulla sicurezza economica e sull’autonomia. Quella che da tempo è stata un’agenzia che promuove la globalizzazione si trasformerà quindi, sotto importanti aspetti, in un’agenzia dedita alla de-globalizzazione: la qual cosa fino a poche settimane fa ritenuta nient’altro che un’assurdità di sinistra (o forse populista). L’accorciamento delle catene di approvvigionamento è una funzione meno del governo che delle competenze tecnocratiche, già abbastanza difficile dato l’alto livello di interdipendenza economica ereditato dall’iperglobalizzazione. Politicamente, quali sanzioni devono essere imposte e quali catene di approvvigionamento internazionali devono ancora essere considerate sicure, spetta ai governi nazionali essere determinata; o più precisamente, per la loro organizzazione ora principale, la NATO, controllata dal suo stato-nazione più forte, gli Stati Uniti, da determinare. Un esempio è la disputa sugli acquisti tedeschi di gas naturale russo e la loro sostituzione con gas naturale liquefatto americano. Poiché la NATO non ha le competenze necessarie in materia economica per valutare gli effetti delle sanzioni sulla Russia, da un lato, e sull’Europa occidentale, dall’altro, l’UE continuerà ad essere necessaria come fornitore di servizi amministrativi nella gestione di un’economia europea di recente politicizzazione.

Infine, da non sottovalutare, è probabile che l’UE svolga un ruolo importante nella generazione di denaro pubblico per la ricostruzione dell’Ucraina una volta terminata la guerra. Lo stesso vale per la fornitura di sostegno finanziario ad altri paesi della periferia europea che saranno candidati all’Unione Europea e, in ultima analisi, all’adesione alla NATO. È probabile che la capacità dell’UE di fungere da ricettacolo per il debito pubblico politicamente meno evidente, come nel caso del Corona Recovery and Resilience Fund, la prima manifestazione della Next Generation EU (NGEU) della Commissione, sia permanente e ampiamente utilizzato per mobilitare i contributi europei verso i costi non militari a lungo termine della guerra, compreso ad esempio il reinsediamento dei rifugiati ucraini. 22(L’esperienza suggerisce che il contributo americano si limiterà e si concluderà con le ostilità militari. 23 ) Per questo saranno necessari anche servizi speciali della BCE, come nella lotta contro la “stagnazione secolare” e, successivamente, la pandemia . Il debito NGEU non compare nei bilanci nazionali ed è per questo meno controverso dal punto di vista politico. Ciò è simile agli acquisti di debito pubblico da parte della BCE come forma di finanziamento indiretto dello Stato, nel contesto del quantitative easing, in elusione dei trattati europei.

Passività Vecchie e Nuove

Le nuove funzioni assunte dall’UE a seguito della guerra in Ucraina, e in particolare nel corso della sua subordinazione alla NATO, sono lontane dal risolvere i suoi vecchi problemi; a lungo termine, infatti, possono aggiungersi ed esacerbarsi. Sul fianco occidentale dell’UE, il Regno Unito, attraverso la sua stretta alleanza con gli Stati Uniti sotto la NATO, è tornato al gregge europeo con una vendetta, sebbene più come un tenente che come un soldato di fanteria tra gli altri. Al sud, non c’è motivo di ritenere che la supremazia della NATO contribuirà a migliorare la performance economica italiana; al contrario, sanzioni e filiere accorciate rischiano di imporre costi aggiuntivi alle economie mediterranee. Questi sicuramente richiederanno un risarcimento, non dagli Stati Uniti ma dall’UE. I suoi Stati membri ricchi, tuttavia, saranno preoccupati di aumentare le proprie spese per la difesa per soddisfare le richieste della NATO, per non parlare del finanziamento dell’adesione di altri Stati membri dell’UE nel loro cammino verso la NATO. La concorrenza per i sussidi dell’UE, in particolare per il “Fondo di coesione” dell’UE 24aumenterà ulteriormente a causa delle nuove esigenze legate alla guerra degli Stati membri orientali, ad esempio l’accoglienza dei rifugiati ucraini e, se le sanzioni occidentali inizieranno a mordere, russi. I piani del Parlamento Europeo e della Commissione per tagliare l’assistenza finanziaria a paesi come la Polonia o l’Ungheria per le carenze dello “stato di diritto” diventeranno sempre più obsoleti poiché i conflitti culturali tra democrazia “liberale” e “illiberale” saranno eclissati dagli obiettivi geostrategici della NATO e degli Stati Uniti. 25

Con l’aumento dei costi della “coesione”, potrebbe essere imminente uno spostamento del potere politico all’interno dell’UE a favore degli Stati del fronte orientale dell’Unione, con conseguenti maggiori obblighi finanziari per i paesi del ricco nord-ovest. Mentre gli esercizi di educazione culturale dell’Europa occidentale hanno cominciato ad apparire meschini di fronte a milioni di rifugiati ucraini che arrivano in un paese come la Polonia, gli Stati Uniti hanno poche ragioni per costringere i loro alleati orientali a soddisfare le sensibilità liberali tedesche o olandesi. Gli sforzi per subordinare il sostegno finanziario ai paesi post-comunisti alla loro adesione ai “valori democratici” saranno vani fintanto che gli Stati Uniti saranno soddisfatti della loro adesione alla NATO e della loro volontà di combattere la buona battaglia filo-occidentale. Siccome gli Stati Uniti, nelle stesse parole della sua amministrazione al momento della scrittura,si preparano a una guerra che durerà diversi anni – il che è logico solo se l’obiettivo è un cambio di regime in Russia – la volontà di un paese di ospitare truppe, aerei e missili americani deve avere la precedenza sulla condizionalità democratica dei trattati dell’UE (o della Corte di giustizia). Con l’Unione Europea che deve affrontare una guerra che durerà un numero incerto di anni, è probabile che i suoi stati del fronte orientale domineranno l’agenda politica comune. In questo saranno supportati dagli Stati Uniti, con il loro interesse geostrategico a tenere sotto controllo la Russia politicamente, economicamente e militarmente. In definitiva, ciò potrebbe portare gli Stati Uniti, agendo attraverso i loro alleati dell’Europa orientale e la NATO, a prendere il posto della doppia leadership troppo spesso divisa dell’UE, il tandem franco-tedesco.

Sogni americani

Uno dei tanti sviluppi notevoli intorno alla guerra ucraina è come il triste record dei recenti interventi militari americani sia quasi completamente scomparso dalla memoria pubblica europea. Fino a pochi mesi fa, la fine disastrosa della costruzione della nazione americana in Afghanistan era un tema frequente per il commentariato europeo. Presente, se più in secondo piano, anche la Siria, con le “linee rosse” di Obama prima tracciate e poi dimenticate; la Libia, abbandonata dopo essere stata trasformata in un inferno vivente; e l’Iraq con una stima prudente di duecentomila civili morti dall’invasione americana. Niente di tutto ciò è menzionato in questi giorni nella buona società europea; se viene menzionato al di fuori di essa, viene immediatamente bollato come un diversivo antiamericano dai mali commessi da Putin e dal suo esercito.

Con l’aumentare delle tensioni intorno all’Ucraina, visibili nell’ammassamento di truppe russe ai confini ucraini, i paesi dell’Europa occidentale, a quanto pare, hanno conferito una procura agli Stati Uniti, consentendogli attraverso la NATO di agire in loro nome e per loro conto. Ora, con il trascinarsi della guerra, l’Europa, organizzata in un’Unione Europea subordinata alla NATO, si troverà a dipendere dalle bizzarrie della politica interna degli Stati Uniti, una grande potenza in declino che si prepara al conflitto globale con una grande potenza emergente, la Cina. Iraq, Libia, Siria e Afghanistan avrebbero dovuto documentare ampiamente la propensione americana ad uscire se i loro sforzi, sempre e per definizione ben intenzionati, in altre parti del mondo fallissero per qualsiasi motivo, lasciando dietro di sé un pasticcio letale che altri devono ripulire se aspirano a un minimo di ordine internazionale alle loro porte. Sorprendentemente, da nessuna parte nell’Europa occidentale viene posta la domanda su cosa accadrà nel caso, nel 2024, Trump dovesse essere rieletto – il che non sembra affatto impossibile – o al suo posto venisse eletto qualche surrogato di Trump. Ma anche con Biden o qualche repubblicano moderato, il notoriamente breve intervallo di attenzione della politica imperiale americana dovrebbe, ma non sembra, entrare nei calcoli strategici, se ce ne sono, dei governi europei.

Una spiegazione troppo raramente invocata per l’incoscienza con cui gli Stati Uniti entrano ed escono troppo spesso da avventure militari lontane è la loro posizione su un’isola delle dimensioni di un continente, lontano da quei luoghi in cui potrebbero sentire il bisogno di fornire impegno per quella che considera stabilità politica. Qualunque cosa gli Stati Uniti facciano o non facciano all’estero ha poche o nessuna conseguenza per i suoi cittadini in patria. (Le truppe irachene non marceranno mai a Washington, DC, e non arresteranno George Bush per consegnarlo alla Corte penale internazionale dell’Aia.) Quando le cose vanno male, gli americani possono ritirarsi da dove sono venuti, dove nessuno può seguirli. C’è, se non altro per questo motivo, una tentazione duratura nella politica estera americana di lasciarsi guidare da pio desiderio, intelligenza carente, pianificazione sciatta, e un volubile adattamento delle politiche internazionali ai sentimenti pubblici interni. Ciò rende ancora più sorprendente il fatto che i paesi europei, apparentemente senza alcun dibattito, abbiano lasciato così completamente la gestione dell’Ucraina agli Stati Uniti. In effetti, questo rappresenta un responsabile che affida la gestione dei suoi interessi vitali a un agente con un recente record pubblico di incompetenza e irresponsabilità.

Quali saranno gli obiettivi di guerra degli Stati Uniti, agendo per e con l’Europa attraverso la NATO? Avendo lasciato a Biden la decisione in suo nome, il destino dell’Europa dipenderà dal destino di Biden, cioè dalle decisioni, o non decisioni, del governo degli Stati Uniti. A parte quello che i tedeschi nella prima guerra mondiale chiamavano un Siegfrieden – una pace vittoriosa imposta a un nemico sconfitto, come probabilmente sognato negli Stati Uniti sia dai neocon che dagli imperialisti liberali della scuola di Hillary Clinton – Biden può andare per, o addirittura preferire, una lunga situazione di stallo, una guerra di logoramento che tiene impegnati sia la Russia che l’Europa occidentale, in particolare la Germania. Uno scontro duraturo tra gli eserciti russo e ucraino, o “occidentale”, sul suolo ucraino unirebbe l’Europa sotto la NATO e obbligherebbe convenientemente i paesi europei a mantenere alti livelli di spesa militare. Inoltre, costringerebbe l’Europa a continuare ad applicare sanzioni economiche ad ampio raggio, anzi paralizzanti, nei confronti della Russia, come effetto collaterale rafforzando la posizione degli Stati Uniti come fornitore di energia e materie prime di vario genere per l’Europa. Inoltre, una guerra in corso, o quasi, ostacolerebbe l’Europa nello sviluppo di una propria architettura di sicurezza eurasiatica, inclusa la Russia. Consoliderebbe il controllo americano sull’Europa occidentale ed escluderebbe le idee francesi di “sovranità strategica europea” così come le speranze tedesche di distensione, presupponendo entrambi una sorta di accordo russo. E non meno importante, la Russia sarebbe occupata dai preparativi per gli interventi militari occidentali, al di sotto della soglia nucleare, sulla sua estesa periferia.

Molto probabilmente, uno scontro prolungato sull’Ucraina costringerebbe la Russia a uno stretto rapporto di dipendenza dalla Cina, assicurando alla Cina un alleato eurasiatico prigioniero e dandole un accesso assicurato alle risorse russe, a prezzi stracciati poiché l’Occidente non sarebbe più in competizione per loro. La Russia, a sua volta, potrebbe beneficiare della tecnologia cinese, nella misura in cui sarebbe resa disponibile. A prima vista, un’alleanza come questa potrebbe sembrare contraria agli interessi degli Stati Uniti. Tuttavia, verrebbe con un’alleanza ugualmente stretta e ugualmente asimmetrica, dominata dagli americani tra gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, in cui ciò che l’Europa può offrire agli Stati Uniti supererebbe chiaramente ciò che la Russia può fornire alla Cina.

Questo articolo è apparso originariamente in American Affairs Volume VI, Numero 2 (estate 2022): 107–24.

Appunti

1 Questo concetto è tratto da Dani Rodrik, The Globalization Paradox (New York: WW Norton, 2011).2 FA Hayek, La Costituzione della Libertà (Chicago: University of Chicago Press, 1960).

3 I due trattati sono il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il primo chiamato anche Trattato di Maastricht, in vigore dal 1993, il secondo Trattato di Roma, in vigore dal 1958, entrambi modificato più volte, ad esempio dal Trattato di Lisbona del 2009. Inoltre, secondo Wikipedia, “vi sono 37 protocolli, 2 allegati e 65 dichiarazioni che vengono allegati ai trattati per elaborare dettagli, spesso in connessione con un solo Paese, senza essere nel testo legale completo”.

4 Nel maggio 2005, una proposta di “Costituzione dell’Unione Europea” è fallita in un referendum francese, dopo che il 55 per cento degli elettori l’ha respinta. L’affluenza è stata del 69 per cento. Il rifiuto è stato in parte attribuito al governo francese per aver commesso l’errore di distribuire una copia della bozza di costituzione, lunga centinaia di pagine e impossibile da capire per i non specialisti, a ogni famiglia francese.

5 Ai sensi dell’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), “sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi”, lo stesso vale per “tutte le restrizioni pagamenti”, sempre “tra Stati membri e paesi terzi”.

6L’articolo 4, comma 1, del TUE recita: “A norma dell’articolo 5, le competenze non attribuite all’Unione nei Trattati restano agli Stati membri”. Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, “I limiti delle competenze dell’Unione sono disciplinati dal principio di attribuzione. L’uso delle competenze dell’Unione è disciplinato dai principi di sussidiarietà e proporzionalità. La Commissione europea e la Corte di giustizia stanno da tempo cercando di aggirare restrizioni di questo tipo dei Trattati, traendo competenze specifiche per se stesse da clausole generali come, ad esempio, l’articolo 2 TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto dell’uomo dignità, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

7La RRF è stata istituita nel luglio 2020 per erogare 750 miliardi di euro ai paesi membri, in proporzione alle perdite che la Commissione europea ha ritenuto che abbiano subito a causa della pandemia di corona. L’Italia è il primo beneficiario, con 192 miliardi di euro (69 miliardi di euro in sovvenzioni, il resto in prestiti). La RRF è la prima volta che l’UE è stata autorizzata dai suoi Stati membri a contrarre debiti; il fondo è interamente finanziato tramite debito. Per avere un’idea della sua portata effettiva, si noti che la Germania, rispondendo alle lamentele americane per non aver speso abbastanza per la difesa, ha accantonato all’inizio del 2022, nel giro di pochi giorni, un fondo finanziato da debito di 100 miliardi di euro per potenziando il suo esercito, da spendere immediatamente. Questo è più della metà di quanto l’intero Paese d’Italia è stato stanziato dall’Unione Europea,

8 Sulla politica della controversia sullo “stato di diritto” si veda Wolfgang Streeck, “ Ultra Vires ”, New Left Review Sidecar , 7 gennaio 2022; Wolfgang Streeck, ” Rusty Charley “, New Left Review Sidecar , 2 novembre 2021.

9 In un vertice dell’UE nel giugno 2021, il primo ministro olandese, Mark Rutte, sotto pressione in patria a causa di uno scandalo sulle misure punitive illegali adottate dal suo governo contro i beneficiari del welfare, ha detto al suo omologo ungherese, Viktor Orbán, che l’Ungheria doveva lasciare l’UE a meno che il suo governo non abbia ritirato una legge che vieti alle scuole di utilizzare materiali ritenuti promuovere l’omosessualità. Da un rapporto Reuters:

Diversi partecipanti al vertice dell’UE hanno parlato dello scontro personale tra i leader del blocco più intenso degli ultimi anni. . . . “Era davvero forte, una profonda sensazione che questo non potesse essere. Riguardava i nostri valori; questo è ciò che rappresentiamo”, ha detto Rutte ai giornalisti venerdì. “Ho detto ‘Smettila, devi ritirare la legge e, se non ti piace e dici davvero che i valori europei non sono i tuoi valori, allora devi pensare se rimanere nell’Unione Europea’”.

10 Cfr. Amitai Etzioni, Reclaiming Patriotism (Charlottesville: University of Virginia Press, 2019), 142 ss.

11 In questa categoria rientra anche l’idea dell’“Europa delle diverse velocità”, che è stata fortemente e con successo osteggiata dai paesi dell’Europa orientale dell’UE.

12 Hans Joas, Friedensprojekt Europa (Monaco: Kösel, 2020). Ho tratto grande beneficio da Joas; vedi Wolfgang Streeck, Zwischen Globalismus und Demokratie: Politische Ökonomie im ausgehenden Neoliberalismus (Berlino: Suhrkamp, ​​2020). Una traduzione in inglese è in arrivo da Verso.

13 Cfr. Streeck, Zwischen Globalismus und Demokratie .

14 Secondo il suo sito web, “Il Consiglio dei ministri nordico è l’organismo ufficiale per la cooperazione intergovernativa nella regione nordica. Cerca soluzioni nordiche ovunque e ogni volta che i paesi possono ottenere di più insieme che lavorando da soli”.

15 Hans Eichel et al., “ Für ein solidarisches Europa—Machen wir Ernst mit dem Willen unseres Grundgesetzes, jetzt! ”, Handelsblatt , 21 ottobre 2018.

16 Sipri , l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, riporta che la spesa militare russa nel 2018 è stata di 62,4 miliardi di dollari. Regno Unito, Francia, Germania e Italia, i quattro maggiori membri europei della NATO, nel 2018 hanno speso insieme 175,2 miliardi di dollari, 2,8 volte di più della Russia.

17 Come avrebbe affermato lo statista francese Conte Mirabeau nel 1786, anno della morte di Federico II di Prussia: “Altri stati possiedono un esercito; La Prussia è un esercito che possiede uno stato.

18 “In Europa assistiamo a un duplice movimento: un graduale e inevitabile disimpegno da parte degli Stati Uniti e una minaccia terroristica a lungo termine con l’obiettivo dichiarato di dividere le nostre società libere. . . . Nell’area della difesa, il nostro obiettivo deve essere quello di garantire le capacità operative autonome dell’Europa, a complemento della NATO”. Emmanuel Macron, ” Discorso alla Sorbona “, 26 settembre 2017.

19 Secondo Statista, la Germania nel 2018 ha speso l’1,2% del suo PIL per le sue forze armate, pari a 44,7 miliardi di dollari. Puntare al 2%, come richiesto dalla NATO, sarebbe stato equivalente a 74,5 miliardi di dollari, ovvero 12,1 miliardi di dollari in più rispetto alla Russia.

20 Dopo l’adesione della Croazia nel 2013 e del Montenegro nel 2017, Serbia, Macedonia del Nord e Albania sono attualmente candidati ufficiali all’adesione. Bosnia ed Erzegovina e Kosovo aspettano dietro le quinte.

21 In passato, le richieste di ammissione ucraine non hanno portato a nulla poiché Bruxelles sentiva chiaramente che il paese non era idoneo per l’adesione. Forti dubbi sono stati espressi sulla natura democratica dello Stato ucraino, sul ruolo dei suoi oligarchi e del loro potere politico e sul trattamento delle minoranze, compresa quella di lingua russa nelle province orientali; c’è anche una percezione di corruzione dilagante. In parte questa potrebbe essere stata una finzione, tuttavia, e la vera ragione del rifiuto molti sono stati la povertà del paese, che avrebbe imposto un enorme onere aggiuntivo alle finanze interne dell’UE, in particolare ai suoi vari fondi di assistenza. La guerra ora può ignorare tali preoccupazioni rendendole meno presentabili pubblicamente.

22 Le proiezioni del governo ucraino sui costi di riparazione dei danni causati dalla guerra al momento raggiungono i 2 miliardi di dollari.

23 Ad esempio, nel febbraio 2022, l’amministrazione Biden ha confiscato metà dei beni congelati della banca centrale dell’Afghanistan, depositati presso la filiale della Federal Reserve di New York City, da destinare ai sopravvissuti all’11 settembre e ai loro avvocati. I fondi sequestrati ammontavano a $ 3,5 miliardi. Poche settimane dopo, una conferenza internazionale dei donatori organizzata dalle Nazioni Unite, insieme a Germania, Regno Unito e Qatar, ha cercato di raccogliere 4,4 miliardi di dollari per aiutare a porre fine alla fame di massa in Afghanistan, dove i talebani erano tornati al potere dopo la partenza degli americani. Solo 2,44 miliardi di dollari sono stati donati dalle quarantuno nazioni che erano presenti (virtuali).

24 Il “Fondo di coesione” dell’UE sostiene gli Stati membri con un PIL pro capite inferiore al 90 per cento della media dell’UE, “per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE”.

25Le politiche dello “stato di diritto” europeo sono complicate. Dall’inizio della guerra la Commissione sembra aver rinviato, se non silenziosamente annullato, i procedimenti legali contro la Polonia per la sua politicizzazione della magistratura e la corruzione della spesa dell’UE. La situazione è stata diversa con l’Ungheria, il cui leader semi-dittatoriale, Viktor Orbán, è stato rieletto per la terza volta il 3 aprile di quest’anno, con una maggioranza popolare del 53 per cento, maggiore rispetto a qualsiasi delle sue precedenti elezioni. A differenza della Polonia, l’Ungheria sotto Orbán è rimasta in una relazione orale con il presidente russo, Vladimir Putin, forse anche a causa della discriminazione in Ucraina nei confronti di una consistente minoranza filo-russa di lingua ungherese. Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Orbán, la Commissione ha avviato un procedimento contro l’Ungheria, anche se solo sulla meno grave delle due presunte infrazioni, sostanzialmente accuse di corruzione ufficiale. La natura politicizzata della questione è palese in quanto la Commissione e il Parlamento dell’UE non sono particolarmente preoccupati per la corruzione in Stati membri come Malta, Cipro, Bulgaria, Romania, Slovenia e Slovacchia, che differiscono da Ungheria e Polonia non per la loro natura legale o illegale. , pratiche ma in quanto i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca. che differiscono da Ungheria e Polonia non per le loro pratiche legali o illegali, ma per il fatto che i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca. che differiscono da Ungheria e Polonia non per le loro pratiche legali o illegali, ma per il fatto che i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca.

https://americanaffairsjournal.org/2022/05/the-eu-after-ukraine/#notes

 

Come finirà la guerra…  di gilbertdoctorow 

Come finirà la guerra…

È stata mia regola non unirmi alla stragrande maggioranza dei miei colleghi commentatori politici sulla linea di mischia in sterili dibattiti sull’unico argomento del giorno, settimana, mese che ha attirato la loro piena attenzione. I loro dibattiti sono sterili perché ignorano del tutto alcuni parametri della realtà in Russia e in Ucraina. Per loro, l’ignoranza è beatitudine. Non si muovono dalle loro poltrone né cambiano canale per ottenere informazioni dall’altra parte delle barricate, cioè dalla Russia.

Violerò questa regola fondamentale e solo per questa volta mi unirò al dibattito su come finirà l'”operazione militare speciale” della Russia. Quasi tutti i miei colleghi dei media e del mondo accademico occidentali forniscono letture basate sulla loro certezza condivisa sull’ambizione militare e politica della Russia dall’inizio dell'”operazione”, su come la Russia abbia fallito sottovalutando la resilienza e la professionalità dell’Ucraina, su come Putin deve ora salvare la faccia catturando e trattenendo una parte dell’Ucraina. L’argomento del disaccordo è se alla fine della campagna i confini torneranno allo status quo prima del 24 febbraio in cambio della neutralità ucraina o se i russi dovranno rinunciare completamente alle pretese sul Donbas e forse anche sulla Crimea.

Per quanto riguarda i commentatori nell’Unione Europea, c’è un’esagerata indignazione per la presunta aggressione russa, per ogni possibile revisione dei confini europei sanciti dall’Helsinki Act del 1975 e il successivo impegno di tutte le parti all’inviolabilità territoriale degli Stati firmatari. C’è puzza di ipocrisia da questa folla nello stesso momento in cui trascura ciò che ha fatto nella decostruzione della Jugoslavia e, in particolare, nel distacco del Kosovo dallo stato della Serbia.

Cito tutto quanto sopra come sfondo di ciò che vedo ora in corso nella vita politica russa, vale a dire una discussione aperta e vivace sull’opportunità di annettere i territori dell’Ucraina appena “liberata” dalle forze delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk con la decisiva assistenza dell’esercito russo. Per ammissione del presidente Zelensky ieri, questi territori ora rappresentano il 20% dello stato ucraino come era configurato nel 2014.

Nelle ultime settimane, quando la Russia ha concentrato i suoi uomini e il suo materiale sul Donbas e ha iniziato a ottenere vittorie decisive, in particolare in seguito alla presa di Mariupol e alla capitolazione dei combattenti nazionalisti nel complesso dell’Azovstal, importanti funzionari pubblici della DPR, la LPR e l’oblast di Kherson hanno chiesto una rapida adesione delle loro terre alla Federazione Russa con o senza referendum. A Mosca, i politici, compresi i membri della Duma, hanno chiesto lo stesso, sostenendo che il fatto compiuto potrebbe essere raggiunto già a luglio.

Tuttavia, come vedo e sento nei talk show politici e persino nei semplici reportage politici sulle radio tradizionali russe come Business FM, è emersa una controargomentazione. Quelli da questa parte si chiedono se è probabile che le popolazioni delle potenziali nuove parti costituenti della RF siano fedeli alla Russia. Chiedono se c’è davvero una maggioranza filo-russa nella popolazione in caso di organizzazione di un referendum.

Tutto questo è molto interessante. È sicuramente una continuazione del dibattito interno a Mosca nel 2014, quando fu presa la decisione di concedere alla Crimea l’ingresso immediato nella RF negando le richieste di un trattamento simile da parte dei leader politici delle oblast di Donbas.

Tuttavia, ci sono sicuramente altre considerazioni che pesano sul Cremlino che non ho visto finora andare in onda. Si possono paragonare alle considerazioni della Francia dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando si parlava della possibile riunificazione della Germania. Osservatori arguti dissero all’epoca che al presidente Mitterand piaceva così tanto la Germania da voler continuare a vederne due. Oggi Vladimir Putin potrebbe piacere così tanto all’Ucraina e ai suoi fratelli slavi da volerne vedere tre o quattro.

Per essere precisi, fin dall’inizio la questione numero uno per Mosca all’inizio della sua avventura militare in Ucraina è stata geopolitica: garantire che l’Ucraina non venga mai più utilizzata come piattaforma per minacciare la sicurezza dello Stato russo, che l’Ucraina non diventi mai un Membro della NATO. Possiamo tranquillamente presumere che la neutralità dell’Ucraina, garantita e controllata a livello internazionale, farà parte di qualsiasi accordo di pace. Sarebbe ben supportato da una nuova realtà sul campo; vale a dire ritagliandosi diversi mini-stati amici della Russia e dipendenti dalla Russia nell’ex territorio dell’Ucraina orientale e meridionale.

Se Kiev è obbligata a riconoscere l’indipendenza di queste due, tre o più ex oblast come richiesto dalle loro popolazioni, questa è una situazione pienamente compatibile con la Carta delle Nazioni Unite. In una parola, la decisione del Cremlino di non annettere parti dell’Ucraina al di là della Crimea, da tempo tranquillamente accettata da molti in Europa, preparerebbe la strada per un graduale ritorno delle relazioni civili all’interno dell’Europa e anche, eventualmente, con la Stati Uniti

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/06/03/how-the-war-will-end/

Kissinger e la lotta per la Russia, di Timofei Bordachev

Il recente discorso di Kissinger a Davos continua ad alimentare un importante dibattito, ancora una volta per lo più negletto in Italia. Il conflitto in Ucraina viene indicato ormai un punto di svolta delle dinamiche geopolitiche successive all’implosione della Unione Sovietica. In realtà è uno dei punti di precipitazione di un processo conclamato con il discorso di Putin alla conferenza di Monaco del 2007, in realtà avviato, anche nel suo significato profondamente simbolico, con il ritorno a mezza strada in volo a Mosca dell’allora Primo Ministro di Russia Primakov al momento dello scoppio della guerra della NATO alla Serbia. Contestualmente ai numerosi tentativi di recupero di un sistema accettabile di relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, Putin da almeno dieci anni ha cercato alternative sino a pervenire ad una scelta ormai definitiva. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come pare sia il caso, allora le elementari necessità di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Valdai Club Program Direttore Timofei Bordachev .

Nel caso in cui il conflitto crescente dentro e intorno all’Ucraina non porti a conseguenze irreparabili su scala globale nel prossimo futuro, il suo risultato più importante sarà una demarcazione fondamentale tra Russia ed Europa, che renderà impossibile mantenere una neutralità anche in zone insignificanti e comporterà una sostanziale riduzione dei legami commerciali ed economici. Il ripristino del controllo sul territorio dell’Ucraina, che, molto probabilmente, dovrebbe diventare un obiettivo a lungo termine della politica estera russa, risolverà il principale problema della sicurezza regionale: la presenza di una “zona grigia”, la cui gestione diventa inevitabilmente l’oggetto di un confronto pericoloso dal punto di vista della progressiva tensione. In questo senso possiamo contare su una certa stabilizzazione nel lungo periodo, anche se non si baserà sulla cooperazione tra le principali potenze regionali. Tuttavia, è già evidente che la strada per la pace sarà abbastanza lunga e sarà accompagnata da situazioni estremamente pericolose.

Nel suo discorso ai partecipanti al forum di Davos, Henry Kissinger, il patriarca della politica internazionale, ha indicato proprio tale prospettiva come la meno desiderabile dal suo punto di vista, dal momento che la Russia allora “potrebbe alienarsi completamente dall’Europa e cercare una stabile alleanza altrove”, che porterebbe all’emergere di distanze diplomatiche sulla scala conosciuta nella Guerra Fredda. A suo avviso, i colloqui di pace tra le parti sarebbe il modo più conveniente per impedirlo; ciò comporterebbe la presa in considerazione degli interessi russi. Per Kissinger, questo significa che per certi aspetti la partecipazione della Russia al “concerto” europeo è un valore incondizionato, e la perdita di questo deve essere prevenuta finché rimane qualche possibilità.

Tuttavia, con tutto il massimo apprezzamento dei meriti e della saggezza di questo statista e studioso, la logica impeccabile di Henry Kissinger deve affrontare un solo ostacolo: funziona quando l’equilibrio di potere è determinato e le relazioni tra gli stati hanno già superato la fase del conflitto militare. In questo senso, segue certamente le orme dei suoi grandi predecessori: il Cancelliere dell’Impero Austriaco Klemens von Metternich e il Segretario agli Esteri britannico visconte Castlereagh, le cui conquiste diplomatiche furono oggetto della dissertazione di dottorato di Kissinger nel 1956. Entrambi passarono alla storia proprio come gli artefici del nuovo ordine europeo, instauratosi dopo la fine dell’era napoleonica in Francia e che persistette, con piccoli aggiustamenti, per quasi un secolo nella politica internazionale.

Come i suoi grandi predecessori, Kissinger appare sulla scena mondiale in un’era in cui l’equilibrio di potere tra i giocatori più importanti è già determinato da “ferro e sangue”. Il momento del suo più grande successo è stata la prima metà degli anni ’70, un periodo di relativa stabilità. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che la capacità degli stati di comportarsi in quel modo non era dovuta alla loro saggezza o responsabilità nei confronti delle generazioni future, ma a fattori molto più prosaici. Il primo fattore fu il completamento del “restringimento” dell’ordine che assunse le sue caratteristiche approssimative a seguito della seconda guerra mondiale. Nei successivi 25 anni (1945 – 1970), questo ordine fu “finalizzato” durante la guerra in Corea, l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam, le azioni militari dell’URSS in Ungheria e Cecoslovacchia, diverse guerre indirette tra l’URSS e gli Stati Uniti in Medio Oriente, il completamento del processo di disintegrazione degli imperi coloniali europei, nonché un numero significativo di eventi minori, ma anche drammatici. Quindi ora sarebbe difficile aspettarsi che la diplomazia riesca a prendere il primo posto negli affari mondiali nella fase iniziale del processo, che si preannuncia molto lungo e, molto probabilmente, piuttosto sanguinoso.

La base materiale di quell’ordine, a cui la diplomazia di Kissinger, la politica di “distensione” con l’URSS e la riconciliazione del 1972 con la Cina hanno dato il suo definitivo slancio, è stata la sconfitta strategica dell’Europa a seguito di due guerre mondiali nella prima metà del 20° secolo. Il crollo degli imperi coloniali europei e la storica sconfitta della Germania nel suo tentativo di essere al centro degli affari mondiali hanno portato in primo piano gli Stati Uniti; ciò che ha permesso di rendere la politica veramente globale. Come risultato dell’autodistruzione dell’URSS, questo ordine si rivelò di breve durata. Vediamo ora che questa è stata una grande tragedia, poiché ha portato alla scomparsa dell’equilibrio di potere a favore del predominio di un solo potere.

Ora possiamo presumere che la massiccia emancipazione dell’umanità dal controllo occidentale sia di fondamentale importanza, il fattore del quale più importante è la crescita del potere economico e politico cinese. Se la stessa Cina, così come l’India e altri grandi stati al di fuori dell’Occidente, faranno fronte al compito loro affidato dalla storia, nei prossimi decenni il sistema internazionale acquisirà caratteristiche sino ad ora del tutto inusuali.

La maggior parte degli eventi significativi che si stanno verificando ora, sia a livello globale che regionale, sono legati al processo oggettivo di crescita dell’importanza della Cina e, a seguire, di altri grandi paesi asiatici. La determinazione che la Russia ha mostrato negli ultimi anni, e soprattutto mesi, è anche associata ai cambiamenti globali. Il fatto che Mosca si sia alzata così intenzionalmente per proteggere i suoi interessi e valori non era dovuto solo a ragioni interne russe, sebbene siano di grande importanza. Né si basavano sulle aspettative di assistenza materiale diretta dalla Cina, che potesse compensare le perdite durante la fase acuta del conflitto con l’Occidente.

La principale fonte esterna della fiducia in se stessi della Russia è stata una valutazione obiettiva dello stato dell’ambiente politico ed economico internazionale, in cui anche una rottura completa con l’Occidente non sarebbe mortalmente pericolosa per la Russia dal punto di vista della risoluzione dei suoi principali compiti di sviluppo. Inoltre, proprio la necessità di un riavvicinamento più attivo con altri partner, che la Russia non ha sperimentato fino a poco tempo fa, potrebbe rivelarsi un modo molto più affidabile per sopravvivere in un ambiente in evoluzione.

Questo è ciò che viene compreso negli Stati Uniti e in Europa con la massima preoccupazione. Nel caso in cui la Russia, durante gli anni dell’emergente disimpegno dall’Europa, crei un sistema comparabile di legami commerciali, economici, politici, culturali e umani nel sud e nell’est, il ritorno di questo paese nell’area occidentale diventerà tecnicamente difficile, se mai realizzabile. Finora, un tale sviluppo di eventi è ostacolato da un numero colossale di fattori, tra i quali in primo luogo c’è l’inerzia della stretta interazione con l’Europa e la presenza reciproca attiva accumulata negli ultimi 300 anni. Inoltre, è stata l’Europa l’unico partner costante della Russia dopo l’apparizione di questa potenza nell’arena della cooperazione internazionale. Tuttavia, nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come, a quanto pare, è il caso, allora le esigenze elementari di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Questo è esattamente ciò che chiedono quegli studiosi e personaggi pubblici russi, che in tutti i modi sottolineano la natura esistenziale dello scontro in corso ai nostri confini occidentali.

Pertanto, è la comprensione da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati che il movimento verso un nuovo ordine mondiale ha basi oggettive che sono la fonte più importante della loro lotta con la Russia.

L’inevitabile ridistribuzione di risorse e potere su scala globale non può avvenire in maniera del tutto pacifica, sebbene l’irrazionalità di una guerra offensiva tra le grandi potenze, dato il fattore di deterrenza nucleare, ci fornisca qualche speranza per la conservazione dell’umanità. Nel mezzo della lotta che sta prendendo slancio, la Russia, come l’Europa, è, nonostante le sue capacità militari, un partecipante inferiore in forza alle principali parti in guerra: Cina e Stati Uniti. Pertanto, c’è una lotta per la Russia e c’è una possibilità in diminuzione per l’Occidente di vincere, che ora Henry Kissinger sta cercando di spiegare.

https://valdaiclub.com/a/highlights/kissinger-and-the-fight-for-russia/?fbclid=IwAR3AFHvRP_rLtO6HSHEOUsoYwrN2Bpox6FuYvboTZv1GSHd4IkLY342bHzE

Note sulla guerra russo-ucraina, di Andrea Zhok

Note sulla guerra russo-ucraina
1) All’indomani dell’invasione, l’Europa aveva due opzioni.
Poteva accompagnare le necessarie sanzioni con una richiesta a Zelensky e Putin di avviare immediate trattative sulla base delle due istanze fondamentali del contenzioso: la neutralità dell’Ucraina e il rispetto degli accordi di Minsk. Se Zelensky non si fosse sentito coperto e garantito nella prosecuzione della guerra probabilmente la pace si poteva ottenere in una settimana.
Oppure, e questa è stata la scelta fatta, l’Europa poteva mettersi a dire che Putin era il nuovo Hitler, un pazzo, un animale, poteva mettersi a rifornire di soldi, istruttori e armamenti pesanti l’Ucraina, poteva scatenare un’ondata di russofobia imbarazzante e poteva perseverare in questa linea fino a dire (Borrell) che la guerra doveva risolversi sul campo (diplomatici che si improvvisano guerrieri con il culo degli altri).
2) Fornendo una caterva di armi all’Ucraina e senza alcuna garanzia di dove esse andassero a finire, l’Europa ha creato alle porte di casa un bacino bellico pazzesco, cui partecipa non solo l’esercito regolare, non solo milizie mercenarie, ma anche gruppi e gruppuscoli paramilitari, incontrollabili, che agiscono in modo autonomo, spesso con intenti più terroristici che militari (come il bombardamento di ieri su una scuola a Donetsk), e che non obbediranno mai ad un’eventuale pace firmata da Zelensky. Si prospetta (e questo è stato dall’inizio un desideratum americano) un conflitto duraturo, magari dopo una dichiarazione di tregua un conflitto ad intensità ridotta, che impegnerà l’esercito russo a lungo e che condurrà alla distruzione totale dell’Ucraina – almeno di quella ad oriente del Dnepr.
3) Come sempre accade, più il conflitto dura, più lutti avvengono, più gli animi si caricano di un odio irrevocabile, e più spazio ci sarà per un abbandono delle ultime remore nel condurre la guerra (la Russia ha progressivamente aumentato il peso del tipo di armamento utilizzato, l’Ucraina ha iniziato a bersagliare il territorio russo nella provincia di Belgorod). Quale sarà il limite dell’escalation lo vedremo.
4) Nel frattempo abbiamo tutti bellamente rimosso che in Ucraina, oltre a gasdotti e centrali nucleari, ci sono alcuni dei maggiori depositi di plutonio e uranio arricchito al mondo. Insomma stiamo giocando alla guerra, in progressiva escalation, in una delle aree più pericolose del pianeta quanto a possibili ripercussioni generali. E’ utile ricordare che la distanza tra l’Italia e l’Ucraina è di 1.500 km in linea d’aria, quella tra l’Ucraina e gli USA è di 7.500 km (con in mezzo un oceano).
5) Sul piano economico l’Europa si è giocata in questo modo l’accesso a fonti energetiche abbondanti e a prezzi moderati. Essendo l’Europa l’area al mondo maggiormente dedicata alla trasformazione industriale e meno dotata di risorse naturali, questo equivale ad essersi confezionati un cappio e averci messo il collo dentro. L’Europa sta supportando e alimentando una guerra alle porte di casa propria, non solo, sta facendo di tutto per farla durare a lungo e per troncare definitivamente tutti i rapporti con il resto dell’Eurasia. In sostanza, ci stiamo tagliando i ponti con quella parte del mondo rispetto a cui siamo economicamente complementari (Russia per le risorse, Cina per la manifattura di base, tutti i BRICS come il più grande mercato al mondo). Al tempo stesso ci stiamo subordinando di nuovo e senza alternative ad un competitore primario con cui siamo in diretta concorrenza sul piano industriale, ma che, a differenza dell’Europa, è energeticamente autonomo.
6) Arrivati a questo punto, la Russia non ha più un interesse primario a pervenire ad una pace rapida. Sul piano economico sta sì pagando un costo, ma sul piano strategico sta diventando il punto di riferimento mondiale per una “rivincita” di quella maggioritaria parte del mondo che si sente da decenni bullizzata dallo strapotere americano. Questa vittoria strategica consente alla Russia di coltivare una sostanziale alleanza con la Cina, un’alleanza assolutamente invincibile e inscalfibile da qualunque punto di vista: territoriale, demografico, economico e militare.
7) L’Europa, invece, si è scavata la fossa. Se i governi europei non riescono in qualche modo (e a questo punto comunque con gravi costi) a riallacciare i rapporti con la rimanente parte dell’Eurasia, il suo destino è segnato.
I due secoli di ascesa sul piano mondiale avviati all’inizio del XIX secolo si avviano ad un’ingloriosa conclusione. Già a partire dall’autunno cominceremo ad avere la prime avvisaglie di quella che si prospetta come una nuova durevole contrazione economica, una contrazione che, coinvolgendo en bloc i paesi europei, avrà caratteristiche finora inaudite, molto più pesanti della crisi del 2008, perché qui non ci saranno “garanzie di affidabilità finanziaria” che tengano.
Guardando in faccia oggi i Draghi, i Macron, gli Scholz, e i loro puntelli parlamentari (in Italia quasi l’intero arco parlamentare), l’unica domanda che rimane è: qualcuno pagherà?
Chi pagherà per l’operazione più autodistruttiva sul continente europeo dalla seconda guerra mondiale? Pagheranno i giornalisti a gettone che hanno fomentato la narrativa propagandistica funzionale ad alimentare la guerra? Pagheranno i politici che hanno sostenuto attivamente la guerra o che si sono genuflessi ai diktat del presidente del Consiglio?
Oppure di fronte ai nuovi disoccupati e ai nuovi working poors riusciranno ancora una volta nel gioco di prestigio di spiegare che non c’era alternativa?
NB_Tratto da facebook

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo_di Ekaterina Zolotova

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press nel testo precedente e di geopoliticalfutures, qui sotto, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo

Mosca non è poi così preoccupata per un fondamentale riorientamento politico rispetto al suo vicino.

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L’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato al mondo fino a che punto Mosca si sarebbe spinta per proteggere i suoi interessi. E mentre la guerra infuria, molti si chiedono se altri punti importanti lungo la periferia della Russia, tra cui Georgia, Bielorussia o il Caucaso meridionale, potrebbero essere i prossimi. Forse nessun luogo è più preoccupante dell’Asia centrale, che separa la Russia dalla Cina e dall’Iran e la isola dall’instabilità proveniente dall’Afghanistan. Questi paesi sono inondati di risorse naturali che la Russia può sfruttare, si trovano lungo importanti rotte commerciali verso il Medio Oriente e l’Europa e sono una fonte affidabile di lavoro per i posti di lavoro russi.

Il Kazakistan è il paese più importante dell’Asia centrale. Vanta l’economia più sviluppata e più grande della regione, già strettamente integrata con quella russa attraverso la Comunità degli Stati Indipendenti e l’Unione Economica Eurasiatica. Ha un unico spazio doganale con la Russia, è membro dell’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva e in generale dipende più dalla Russia come partner commerciale e di investimento rispetto ad altri paesi. Il Kazakistan condivide il confine terrestre più lungo con la Russia e ospita quindi un’ampia minoranza di etnia russa, che costituisce quasi il 20% della popolazione.

Per questi motivi, il Kazakistan è stato storicamente considerato un partner russo affidabile. Ma ultimamente non è stato così. Il governo di Nur-Sultan si è espresso nella migliore delle ipotesi in modo ambiguo su questioni su cui il Cremlino si aspettava una sorta di sostegno se non addirittura unità. Ad esempio, il Kazakistan ha dichiarato la sua neutralità sulla guerra in Ucraina e ha consentito proteste a sostegno dell’Ucraina. Ha iniziato a considerare la rotta di trasporto transcaspica, che aggira la Russia, per le merci dalla Cina all’Europa. Funzionari del governo stanno tenendo colloqui economici con i rappresentanti occidentali e stanno dialogando con le forze statunitensi che promettono protezione dalle sanzioni anti-russe (anche se il Kazakistan ha affermato che non aiuterebbe Mosca a bypassare quelle stesse sanzioni per paura di scontrarsi con loro).

Ciò solleva una domanda importante: questa è solo un’assicurazione a breve termine o il Kazakistan si sta allontanando dalla Russia?

Mezzo pivot

In particolare, il perno dalla Russia è iniziato molto prima dell’invasione dell’Ucraina. Il Kazakistan ha privilegiato la neutralità e una politica estera multiforme sin da quando ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, anche se, come tutti gli ex satelliti sovietici, aveva legami economici, politici e culturali esistenti che non poteva permettersi di tagliare. Ma negli ultimi decenni, il Kazakistan ha compiuto progressi significativi nella ricostruzione della sua economia, nell’accelerazione della crescita del prodotto interno lordo e nella diversificazione dei legami commerciali ed economici con partner in tutto il mondo, anche aderendo a organizzazioni come l’Organizzazione mondiale del commercio. Si sta anche allontanando dalla cultura politica del suo fondatore: Nursultan Nazarbayev, che fino a poco tempo fa era l’unico presidente che il paese avesse mai avuto, era in gran parte un prodotto del sistema sovietico ed esercitava il controllo dall’alto dello stato – in un certo senso che promuove l’indipendenza e sottolinea l’identità nazionale.

L’economia del Kazakistan è ancora strettamente integrata con quella russa, ovviamente, quindi Mosca la vede ancora come un’entità instabile e dipendente. Ma pochi altri condividono questo punto di vista. La maggior parte dei paesi vede il Kazakistan come un attore indipendente e partecipante al commercio internazionale, un paese in via di sviluppo dinamico con notevoli risorse naturali che tuttavia rimane nella sfera di influenza della Russia. Ma con l’economia russa allo sbando, i paesi ora vedono il Kazakistan come qualcosa che potrebbe essere strappato dalle grinfie della Russia.

I migliori partner commerciali del Kazakistan | 2021
(clicca per ingrandire)

Le sanzioni russe aiutano anche il Kazakistan in questo senso. La pandemia di COVID-19 ha contratto l’economia kazaka, che è alla ricerca di modi per mantenere la stabilità, favorire la crescita economica e limitare la sua esposizione alla Russia. A tal fine, le società kazake che in precedenza spedivano merci in Europa attraverso la Russia stanno cercando corridoi alternativi come la suddetta rotta commerciale transcaspica. E l’attenzione al Kazakistan prestata da altri paesi , in particolare quelli occidentali abbastanza ricchi da aiutare il Kazakistan a diversificare, sta mettendo pressione anche sulla Russia.

Opzioni di pesatura

Se è vero che l’invasione russa dell’Ucraina ha reso il Kazakistan particolarmente nervoso, data la sua numerosa popolazione russa e i rischi punitivi degli scambi commerciali con la Russia, ci sono molte ragioni per cui Nur-Sultan vuole tenere Mosca vicina, almeno a breve termine .

Per quanto riguarda la sicurezza, ha ancora bisogno di buoni legami con il suo vicino molto più forte. Nonostante il relativo successo economico, il Kazakistan è stato a lungo un paese politicamente instabile. I disordini di gennaio , ad esempio, sono stati tenuti a bada in gran parte grazie alla CSTO filorussa. Inoltre, condivide un confine con paesi molto più instabili la cui volatilità potrebbe diffondersi in Kazakistan e condivide un enorme confine con la Russia. A differenza dell’Ucraina, la NATO non ha una presenza reale nelle vicinanze e sarebbe più difficile sostenere il Kazakistan e reagire ai problemi lì.

Opinioni kazake sul conflitto ucraino
(clicca per ingrandire)

Economicamente, il Kazakistan è molto più dipendente dal commercio e dagli investimenti russi di quanto non lo sia l’Ucraina e fa affidamento su di esso per beni come il grano a buon mercato. Questo grazie alla sua vicinanza geografica e alla sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica, dalla quale non ha fretta di andarsene. E sebbene il Kazakistan stia cercando di ridurre la sua dipendenza dal commercio russo, non è particolarmente interessato ad andare all-in con un paese come la Cina che potrebbe essere il suo principale acquirente di materie prime e potrebbe quindi dettare i prezzi. I paesi più lontani sono semplicemente una scommessa più sicura.

Tuttavia, la geografia e la distanza sono in alcuni casi ostacoli da superare, esacerbati dall’incapacità del Kazakistan di gestire i processi di trasporto. Qui è dove la Russia ha il vantaggio. Non solo la Russia confina con il Kazakistan, ma l’EAEU è la via principale per l’esportazione di merci kazake, in particolare petrolio, attraverso ferrovie e oleodotti in territorio russo che collegano il Kazakistan con il Mar Nero e l’Unione Europea. La diversificazione non è solo una questione di denaro; il conflitto tra Armenia e Azerbaigian e il fatto che Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan utilizzino tutti i propri standard, rendono difficile lo svolgimento del commercio in Asia centrale.

Demograficamente, i russi etnici in Kazakistan di solito non si considerano kazaki. E con più russi che fuggono dalla Russia, è probabile che le enclavi di espatriati russi crescano. In effetti, gli ex satelliti sovietici sono considerati buoni posti in cui vivere per molti russi a causa delle loro somiglianze linguistiche e culturali, con il Kazakistan che sta diventando una delle destinazioni più popolari per coloro che lavorano con aziende straniere. I russi portano con sé competenze e servizi e, cosa importante, la domanda di beni e servizi locali kazaki.

Dal punto di vista di Mosca, il recente comportamento del Kazakistan non è la minaccia dell’Ucraina semplicemente perché la diversificazione economica non significa necessariamente che si stia avvicinando all’Occidente. Tutti gli incontri nel mondo non cambiano il fatto che le opportunità di finanziamento e di investimento da USA e UE sono limitate; ci sono altri candidati redditizi, e nessuno dei due è troppo desideroso di ripristinare le infrastrutture di trasporto in un luogo in cui la Russia è ancora attiva e influente. Invece, il Kazakistan è ansioso di stabilire legami più stretti con Cina, Turchia e Iran e di espandersi ulteriormente nel mercato asiatico, il che potrebbe effettivamente avvantaggiare Mosca se il Kazakistan fosse un hub di transito neutrale con buone relazioni con la maggior parte delle potenze mondiali. Anche così, la Russia comprende che ha bisogno di mantenere l’economia kazaka in fermento in modo che non abbia un governo instabile al suo confine.

I funzionari in Kazakistan stanno valutando le loro opzioni, ma alla fine si rendono conto che non possono rimproverare del tutto la Russia. Il suo comportamento recente è semplicemente una tattica a breve termine intesa a mantenere l’economia sul punto. Il Kazakistan continuerà a cercare di essere amico di chiunque potrà, per quanto con cautela.

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Putin ha parlato della grande strategia geoeconomica della Russia in Eurasia, di Andrew Korybko

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press, qui sotto e di geopoliticalfutures nella pagina successiva, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

La Greater Eurasian Partnership rappresenta il principale progetto della Russia per la creazione di un ordine internazionale genuinamente basato su regole, modellato sui principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il suo nucleo dell’Unione economica eurasiatica servirà come prova del concetto per questa grande strategia che letteralmente cambierà il mondo che rivoluzionerà l’architettura politica ed economica del supercontinente. Il risultato finale è che entrambi accelereranno la transizione sistemica globale alla multipolarità.

Giovedì il presidente Putin si è rivolto in video all’inaugurazione del Forum economico eurasiatico (EAEF) insieme ai suoi omologhi dell’Unione economica eurasiatica (EAEU), che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Il Western Mainstream Media (MSM) guidato dagli Stati Uniti sta facendo molto rumore sul suo conto per il suo ” ringraziando Dio ” che alcune compagnie straniere hanno lasciato il suo paese dopo le sanzioni senza precedenti imposte a Mosca per la sua operazione militare speciale in corso in Ucraina, ma ciò ignora di tanto le altre cose importanti che ha detto durante il suo discorso. Il presente pezzo lo riassumerà poiché il leader russo ha anche toccato la grande strategia geoeconomica del suo paese in Eurasia.

Ha iniziato ricordando a tutti che i processi di integrazione eurasiatica rilevanti non hanno alcun collegamento con gli eventi recenti poiché li precedono di circa un decennio. Il presidente Putin ha anche riaffermato che lo sviluppo globale dei legami con i vicini post-sovietici della Russia è sempre stata la sua massima priorità. È impossibile isolare il suo paese, ha affermato, e continuerà a interagire con la regione Asia-Pacifico all’interno della quale gli sviluppi economici sono più dinamici. Questa direzione aiuterà anche la Russia a proteggersi dalle conseguenze controproducenti autoinflitte delle sanzioni anti-russe dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, che hanno portato, tra gli altri problemi, a un’elevata inflazione, disoccupazione e gravi interruzioni della catena di approvvigionamento.

Quelle armi economico-finanziarie saranno impugnate non solo contro la Russia e forse un giorno presto anche la Cina, ha previsto il presidente Putin, ma contro qualsiasi Paese che pratichi una politica estera indipendente . Tuttavia, è certo che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti non sarà in grado di fermare l’irreversibile transizione sistemica globale alla multipolarità , non importa quanto disperatamente ci provino. Un mezzo per aumentare le possibilità che un paese preso di mira sopravviva a questo assalto della Guerra ibrida è dare la priorità alla sostituzione delle importazioni, cosa che il leader russo ha riconosciuto che il suo stato di civiltà non ha fatto in modo completo, ma ha comunque lodato i suoi successi negli ultimi anni, cosa che ha detto ha contribuito a proteggere la sua sovranità.

È stato in questo contesto che ha retoricamente ringraziato Dio per alcune aziende straniere che hanno lasciato la Russia perché ha affermato che quelle nazionali le sostituiranno. Il presidente Putin ha anche osservato come questo darà la priorità alla sostituzione delle importazioni nelle sfere in cui si è verificata, il che aiuterà la Russia a recuperare il tempo perso e le precedenti carenze in quei settori. Le tabelle di marcia per l’agricoltura e l’industrializzazione sono già state preparate dall’EAEU con una tecnologia digitale in cantiere, che rafforzerà la complementarità economica tra i membri del blocco. Il commercio in valute nazionali è già in corso, così come l’uso di sistemi di pagamento non SWIFT, che li protegge da shock esterni.

In un contesto più ampio, il presidente Putin vede che l’EAEU funziona come il fulcro del Greater Eurasian Partnership (GEP), che fa riferimento alla grande strategia del suo paese dalla metà dell’ultimo decennio in base alla quale mira a integrarsi in modo completo con il resto del supercontinente. Gli eventi recenti hanno portato la Russia a privilegiare naturalmente i suoi partner del Sud del mondo, in particolare Cina e India , ma anche gli altri nell’ASEAN e anche nella SCO. Ritiene che sia necessario un impegno più proattivo con loro per realizzare questa visione ambiziosa, a tal fine ha proposto società di esportazione e commercio, una compagnia di assicurazioni eurasiatica, zone economiche transfrontaliere speciali e consigli d’affari.

La parte più importante del discorso del presidente Putin è arrivata verso la fine, quando ha affermato che “è giunto il momento di elaborare una strategia globale per lo sviluppo di un partenariato eurasiatico su larga scala. Deve riflettere le principali sfide internazionali che dobbiamo affrontare, determinare obiettivi futuri e contenere strumenti e meccanismi per raggiungerli. Dobbiamo considerare ulteriori passi nello sviluppo del nostro sistema di accordi commerciali e di investimento, in parte con la partecipazione dei paesi membri di SCO, ASEAN e BRICS… Non sarebbe esagerato dire che la Grande Eurasia è un grande progetto di civiltà”. Ciò ha poi portato alla sua conclusione finale che ora seguirà.

Nelle parole dello stesso leader russo, “La Greater Eurasian Partnership è progettata per cambiare l’architettura politica ed economica e garantire stabilità e prosperità all’intero continente, naturalmente, tenendo conto dei diversi modelli di sviluppo, culture e tradizioni di tutte le nazioni”. In altre parole, il GEP rappresenta il principale progetto russo per la creazione di un ordine internazionale genuinamente basato su regole, modellato sui principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il suo nucleo EAEU servirà come prova del concetto per questa grande strategia che letteralmente cambierà il mondo che rivoluzionerà l’architettura politica ed economica del supercontinente. Il risultato finale è che il GEP accelererà la transizione sistemica globale.

L’MSM occidentale guidato dagli Stati Uniti ha deliberatamente omesso qualsiasi rapporto su questa parte fondamentale del suo discorso, ossessionato invece dai ringraziamenti retorici che ha reso a Dio per la partenza di alcune aziende straniere sotto la pressione di sanzioni illegali. La ragione dietro questa censura de facto è probabilmente perché vogliono mantenere il loro pubblico mirato all’oscuro del ruolo guida della Russia nella transizione sistemica globale al multipolarismo. Dopotutto, questi fatti “politicamente scomodi” sfatano la “narrativa ufficiale” secondo cui le sanzioni avrebbero portato all'”isolamento globale” della Russia. Questa è ovviamente una bugia dal momento che la Russia si sta ora preparando attivamente a fare della sua EAEU il fulcro della multipolarità, come dimostrato dal discorso del presidente Putin.

Primo Forum Economico Eurasiatico

Vladimir Putin si è rivolto alla sessione plenaria del 1° Forum economico eurasiatico, in videoconferenza.

14:25
Il Cremlino, Mosca
Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).
Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).
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Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).

All’incontro hanno partecipato anche il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan , il Presidente del Kazakistan Kassym-Zhomart Tokayev , il Presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov , il Primo Ministro della Bielorussia Roman Golovchenko e il Presidente del Consiglio della Commissione Economica Eurasiatica Mikhail Myasnikovich. Il moderatore del forum è stato Alexander Shokhin , presidente dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori, membro del Presidium dell’EAEU Business Council.

Lo scopo del Forum economico eurasiatico, istituito con una decisione del Consiglio economico eurasiatico supremo e programmato per coincidere con una riunione della SEEC, è quello di approfondire ulteriormente la cooperazione economica tra gli Stati membri dell’EAEU.

L’EEF 2022 a Bishkek, a tema Eurasian Economic Integration in the Era of Global Shifts: New Investment Opportunities , si concentrerà su aree promettenti per lo sviluppo strategico dell’integrazione. I partecipanti discuteranno i modi per approfondire la cooperazione industriale, energetica, dei trasporti, finanziaria e digitale.

* * *

Discorso alla sessione plenaria del 1° Forum economico eurasiatico.

Presidente della Russia Vladimir Putin: sono grato per questa opportunità di rivolgermi a lei, di parlare delle questioni che lei [Alexander Shokhin] ha sollevato e che, come lei ha suggerito, dovrebbero essere affrontate in modo più dettagliato.

Prima di tutto, vorrei ringraziare il Presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov e il suo team per aver organizzato questo evento. Riesco a vedere molte persone tra il pubblico, inclusi uomini d’affari e funzionari governativi. Sono sicuro che i media avranno un vivo interesse per il forum.

Questo è ciò da cui vorrei iniziare quando rispondo alla tua domanda. Lo sviluppo dell’integrazione eurasiatica non ha alcun legame con gli sviluppi attuali o le condizioni del mercato. Abbiamo fondato questa organizzazione molti anni fa. In effetti, l’abbiamo stabilito su iniziativa del Primo Presidente del Kazakistan [Nursultan Nazarbayev].

Ricordo molto bene la conversazione principale che abbiamo avuto su quell’argomento, su quell’argomento, quando ha detto: “Devi scegliere ciò che è più importante per te: lavorare più attivamente e più strettamente con i tuoi vicini diretti e partner naturali, o dare priorità, per esempio, l’ammissione all’Organizzazione mondiale del commercio”. Era in questo contesto che dovevamo prendere delle decisioni.

E sebbene fossimo interessati all’adesione all’OMC e allo sviluppo delle relazioni di conseguenza con i nostri partner occidentali, come lei ha affermato e come continuo a dire, abbiamo comunque considerato la nostra principale priorità lo sviluppo delle relazioni con i nostri vicini diretti e naturali all’interno del comune quadro dell’Unione Sovietica. Questo è il mio primo punto.

Il secondo. Già in quel momento, abbiamo iniziato a sviluppare legami – di cui parlerò più avanti – nel quadro del Greater Eurasian Partnership. La nostra motivazione non era la situazione politica, ma le tendenze economiche globali, perché il centro dello sviluppo economico si sta gradualmente spostando – ne siamo consapevoli e i nostri uomini d’affari ne sono consapevoli – si sta gradualmente spostando, continua a spostarsi nella regione Asia-Pacifico.

Naturalmente, comprendiamo gli enormi vantaggi dell’alta tecnologia nelle economie avanzate. Questo è ovvio. Non abbiamo intenzione di isolarci da esso. Ci sono tentativi di estrometterci un po’ da quest’area, ma questo è semplicemente irrealistico nel mondo moderno. È impossibile. Se non ci separiamo erigendo un muro, nessuno sarà in grado di isolare un paese come la Russia.

Parlando non solo della Russia, ma anche dei nostri partner nell’EAEU e del mondo in generale, questo compito è del tutto impraticabile. Inoltre, coloro che stanno cercando di soddisfarlo si danneggiano di più. Non importa quanto siano sostenibili le economie dei paesi che perseguono questa politica miope, lo stato attuale dell’economia globale mostra che la nostra posizione è giusta e giustificata, anche in termini di indicatori macroeconomici.

Queste economie avanzate non hanno avuto una tale inflazione negli ultimi 40 anni; la disoccupazione sta crescendo, le catene logistiche si stanno rompendo e le crisi globali stanno crescendo in aree così delicate come il cibo. Questo non è uno scherzo. È un fattore grave che colpisce l’intero sistema delle relazioni economiche e politiche.

Nel frattempo, queste sanzioni e divieti mirano a limitare e indebolire i paesi che stanno perseguendo una politica indipendente e non si limitano alla Russia o persino alla Cina. Non dubito per un secondo che ci siano molti paesi che vogliono e perseguiranno una politica indipendente e il loro numero sta crescendo. Nessun poliziotto mondiale sarà in grado di fermare questo processo globale. Non ci sarà abbastanza energia per questo e il desiderio di farlo svanirà a causa di una serie di problemi interni in quei paesi. Spero che alla fine si rendano conto che questa politica non ha prospettive di sorta.

Violare le regole e le norme nelle finanze e nel commercio internazionale è controproducente. In parole semplici, porterà solo problemi a coloro che lo stanno facendo. Il furto di beni esteri non ha mai giovato a nessuno, in primo luogo a coloro che sono coinvolti in queste azioni sconvenienti. Come è emerso ora, l’abbandono per gli interessi politici e di sicurezza di altri paesi porta al caos e sconvolgimenti economici con ripercussioni globali.

I paesi occidentali sono sicuri che qualsiasi persona non grata che abbia il proprio punto di vista e sia pronto a difenderlo possa essere cancellato dall’economia mondiale, dalla politica, dalla cultura e dallo sport. In realtà, questa è una sciocchezza e, come ho detto, è impossibile che ciò accada.

Possiamo vederlo. Onorevole Shokhin, in qualità di rappresentante della nostra attività, ha certamente problemi, soprattutto nel campo delle catene di approvvigionamento e dei trasporti, ma tuttavia tutto può essere adattato, tutto può essere costruito in un modo nuovo. Non senza perdite a un certo punto, ma porta al fatto che diventiamo davvero più forti in qualche modo. In ogni caso, stiamo sicuramente acquisendo nuove competenze e stiamo iniziando a concentrare le nostre risorse economiche, finanziarie e amministrative su aree di svolta.

È vero, non tutti gli obiettivi di sostituzione delle importazioni sono stati raggiunti negli anni precedenti. Ma è impossibile ottenere tutto: la vita è più veloce delle decisioni amministrative, si sviluppa più velocemente. Ma non c’è nessun problema. Abbiamo fatto tutto il necessario in settori chiave che garantiscono la nostra sovranità.

Andiamo avanti. Dopotutto, la sostituzione delle importazioni non è una pillola per tutti i mali e non ci occuperemo esclusivamente della sostituzione delle importazioni. Ci stiamo solo sviluppando. Ma continueremo a organizzare la sostituzione delle importazioni nelle aree in cui siamo costretti a farlo. Sì, magari con risultati contrastanti, ma sicuramente diventeremo più forti solo grazie a questo, soprattutto nel campo delle alte tecnologie.

Guarda, dopo le liste CoCom – di cui ho già parlato molte volte – dopo quello che hai detto sul nostro lavoro, ad esempio, all’interno dello stesso ex G8 e così via, le restrizioni sono rimaste ancora. Nelle zone più sensibili, tutto era ancora chiuso. In effetti, fondamentalmente – lo tengo a sottolineare – nulla è cambiato fondamentalmente.

Questi problemi legati alle assemblee di grandi blocchi e così via, ci sono voluti così tanti sforzi per aumentare la localizzazione all’interno del paese, nella nostra economia, nei settori reali dell’economia, nell’industria. E anche allora non eravamo d’accordo su questioni chiave sotto molti aspetti.

In realtà, era necessaria la sostituzione delle importazioni

creare non solo officine di montaggio, ma anche centri di ingegneria e centri di ricerca. Questo è inevitabile per qualsiasi paese che voglia aumentare la propria sovranità economica, finanziaria e, in definitiva, politica. È inevitabile.

Questo è il motivo per cui lo abbiamo fatto, e non perché lo stato attuale delle cose ce lo richiede, ma semplicemente perché la vita stessa lo richiedeva, e noi eravamo attivi.

E, naturalmente, lavoreremo attivamente nel quadro dell’Unione economica eurasiatica e, in generale, all’interno della CSI, lavoreremo con le regioni dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa. Ma vi assicuro, e potete vederlo voi stessi, che molte delle nostre aziende dall’Europa, i nostri partner dall’Europa, hanno annunciato che se ne andranno. Sai, a volte quando guardiamo chi parte ci chiediamo: non è un bene che se ne sia andato? Prenderemo le loro nicchie: la nostra attività e la nostra produzione – sono maturate e attecchiranno in sicurezza sul terreno che i nostri partner hanno preparato. Nulla cambierà.

E coloro che vogliono portare alcuni beni di lusso, potranno farlo. Bene, sarà un po’ più costoso per loro, ma queste sono persone che stanno già guidando la Mercedes S 600 e continueranno a farlo. Vi assicuro che li porteranno da qualsiasi luogo, da qualsiasi paese. Non è questo ciò che è importante per noi. Ciò che conta per il Paese, per il suo sviluppo – l’ho già detto e lo ripeto – sono i centri di ingegneria e di ricerca che sono alla base del nostro stesso sviluppo. Questo è ciò a cui dobbiamo pensare e su cui dobbiamo lavorare sia all’interno dell’EAEU che in senso lato con i nostri partner, coloro che vogliono collaborare con noi.

Abbiamo un’ottima base che abbiamo ereditato dai vecchi tempi, dobbiamo solo sostenerla e investire risorse lì. Quanto a quei settori, in cui prima non abbiamo investito risorse adeguate, comprese, diciamo, risorse amministrative, contando sul fatto che tutto si può comprare vendendo petrolio e gas, la vita stessa ora ci ha costretto a investire lì.

E grazie a Dio che è successo. Non vedo alcun problema qui con il fatto che non abbiamo completato qualcosa nel campo della sostituzione delle importazioni. Non lo faremo solo perché l’attuale situazione economica ce lo obbliga, ma solo perché è nell’interesse del nostro Paese.

L’Unione economica eurasiatica ha sviluppato una tabella di marcia per l’industrializzazione, con oltre 180 progetti con un investimento totale di oltre 300 miliardi di dollari. È stato preparato un programma per lo sviluppo agricolo, che comprende più di 170 progetti per un valore di 16 miliardi di dollari.

La Russia ha qualcosa da offrire qui e gli uomini d’affari ne sono ben consapevoli. Siamo cresciuti per essere altamente competitivi a livello globale, nei mercati globali. La Russia resta – se parliamo di agricoltura – il maggior esportatore di grano, numero uno al mondo. Fino a poco tempo lo stavamo comprando, ora lo vendiamo, il numero uno al mondo. È vero, paesi come gli Stati Uniti o la Cina producono ancora di più, ma consumano anche di più. Ma la Russia è diventata la numero uno nel commercio internazionale.

Anche le nostre industrie high-tech stanno crescendo con successo. E vorremmo continuare a crescere insieme ai nostri partner EAEU. Possiamo e dobbiamo ripristinare le nostre competenze collaborative.

Ne ho discusso con i miei colleghi, con il Presidente del Kazakistan e il Primo Ministro dell’Armenia, non perché alcuni dei lavoratori informatici russi si siano trasferiti in Armenia, per niente. Sono liberi di trasferirsi e lavorare ovunque, e Dio li benedica. Ma ancora una volta per noi è una certa sfida: significa che dobbiamo creare condizioni migliori.

Abbiamo l’opportunità di lavorare con la Repubblica di Bielorussia in una serie di aree di cooperazione e lo faremo sicuramente, perché la Repubblica di Bielorussia ha conservato alcune competenze che sono molto importanti per noi, compresa la microelettronica. Il presidente Lukashenko e io ci siamo appena incontrati a Sochi e ne abbiamo parlato, e abbiamo persino deciso di mettere da parte i finanziamenti per quei progetti in Bielorussia. I prodotti che queste imprese, queste industrie realizzeranno, godranno della domanda in Russia. Questa è un’area molto interessante e promettente.

I paesi EAEU hanno gettato le basi per un panorama digitale comune, compreso un sistema unificato di tracciabilità dei prodotti. Sono in fase di sviluppo diverse soluzioni di piattaforma, ad esempio il  sistema di ricerca Lavoro senza frontiere . Il progetto è molto importante per tutti i nostri paesi. Nonostante tutte le crisi e le sfide causate dall’attuale situazione politica, i migranti per lavoro continuano a inviare a casa dalla Russia quasi quanto prima. Inoltre, alcuni paesi stanno ricevendo ancora più soldi ora, come mi hanno detto i miei colleghi della CSI.

La pratica dei pagamenti in valute nazionali si sta espandendo, il che è molto importante. In particolare, la loro quota nel commercio reciproco dei paesi dell’Unione ha già raggiunto il 75%. Continueremo a lavorare per collegare i nostri sistemi di pagamento nazionali e le carte bancarie.

Riteniamo importante accelerare il dialogo sui meccanismi finanziari e di pagamento internazionali interni, come il passaggio da SWIFT ai contatti diretti di corrispondenza tra le banche dei paesi amici, anche attraverso il sistema di messaggistica finanziaria della Banca centrale russa. Proponiamo inoltre di rafforzare la cooperazione con i principali centri finanziari e di prestito nella regione Asia-Pacifico.

Nuovi argomenti relativi all’integrazione eurasiatica includono lo sviluppo della cooperazione nelle tecnologie verdi, la protezione dell’ambiente e il risparmio energetico. Ci aspettiamo di ricevere supporto e suggerimenti proattivi dalla comunità imprenditoriale.

Colleghi,

Nelle attuali condizioni internazionali in cui, purtroppo, i tradizionali legami commerciali ed economici e le catene di approvvigionamento vengono interrotti, l’iniziativa della Russia di formare un Partenariato Maggiore Eurasiatico – un’iniziativa di cui discutiamo da molti anni – sta acquistando un significato speciale.

Siamo grati ai leader dei paesi EAEU per aver sostenuto questa proposta sin dall’inizio. I membri BRICS come Cina e India, così come molti altri paesi, hanno anche sostenuto la creazione di una Greater Eurasian Partnership. L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, l’ASEAN e altre organizzazioni hanno mostrato interesse per questa iniziativa.

Vorrei qui citare diverse idee specifiche relative allo sviluppo globale del Greater Eurasian Partnership.

In primo luogo, è ragionevole sviluppare istituzioni condivise per specifici punti di crescita, inclusa la creazione di un centro di esportazione eurasiatico e case commerciali, accelerare la creazione di una compagnia di riassicurazione eurasiatica, esaminare la questione dello sviluppo di zone economiche transfrontaliere speciali, probabilmente anche con autorità sovranazionale .

Il secondo punto. È importante rafforzare la cooperazione dell’EAEU con i partner stranieri e informarli sui vantaggi e sui vantaggi della collaborazione con l’EAEU e sui nostri progetti e piani chiave. I miei colleghi sanno che l’interesse per la nostra associazione sta crescendo. In questo contesto, l’EAEU Business Council potrebbe svolgere un ruolo significativo. Sta già sviluppando con successo legami al di là della nostra unione. Il suo sistema di dialogo commerciale potrebbe diventare un esempio per una potenziale piattaforma di cooperazione commerciale nella Grande Eurasia.

Detto questo, come ho già notato, sarebbe auspicabile sostenere la libertà di iniziativa imprenditoriale, l’attività creativa di impresa, dei nostri investitori. Suggerisco di creare incentivi aggiuntivi e migliori per questo scopo e di investire di più in progetti eurasiatici. Naturalmente, le aziende che rappresentano le imprese nazionali dei paesi EAEU devono ricevere un sostegno prioritario.

Il mio terzo punto. È tempo di elaborare una strategia globale per lo sviluppo di un partenariato eurasiatico su larga scala. Deve riflettere le principali sfide internazionali che dobbiamo affrontare, determinare obiettivi futuri e contenere strumenti e meccanismi per raggiungerli. Dobbiamo considerare ulteriori passi nello sviluppo del nostro sistema di accordi commerciali e di investimento, in parte, con la partecipazione dei paesi membri SCO, ASEAN e BRICS.

In effetti, potremmo redigere nuovi accordi che svilupperanno e integreranno le regole dell’OMC. In questo contesto, è importante prestare attenzione non solo alle tariffe, ma anche all’eliminazione delle barriere non tariffarie. Ciò può produrre risultati considerevoli senza sottoporre a rischi le nostre economie nazionali.

In conclusione, vorrei dire quanto segue. Non sarebbe esagerato dire che la Grande Eurasia è un grande progetto di civiltà. L’idea principale è quella di creare uno spazio comune per una cooperazione equa per le organizzazioni regionali. La Greater Eurasian Partnership è progettata per cambiare l’architettura politica ed economica e garantire stabilità e prosperità all’intero continente, tenendo naturalmente conto dei diversi modelli di sviluppo, culture e tradizioni di tutte le nazioni. Sono fiducioso, e questo è comunque ovvio, che questo centro attirerebbe un vasto pubblico.

Vorrei augurare successo e cooperazione produttiva a tutti i partecipanti al Forum economico eurasiatico.

Grazie per l’attenzione. Grazie.

http://en.kremlin.ru/events/president/news/68484

Putin sta combattendo la guerra che ha scelto, Di Ernest Sipes

La conferma di un dibattito molto più serio presente al centro dell’impero piuttosto che nella sua periferia_Giuseppe Germinario

Dato che sono tornato dall’Ucraina alcuni giorni fa dopo il mio primo viaggio di segnalazione post-COVID e dopo un paio di giorni in cui ho lasciato che le mie ossa invecchiate riprendessero la loro posizione corretta dopo il trauma di 10 ore in un posto in una compagnia aerea di classe economica, credo di dopotutto hanno acquisito una visione della logistica di questo conflitto.

Che devo dire che inizialmente dubitavo.

Durante quelle tre settimane in Ucraina, sono stato presente per attacchi missilistici in due città, mi sono seduto con gli occhi spalancati attraverso dozzine di sbarramenti di artiglieria, ho passato ore a discutere della guerra con un soldato ucraino ferito durante un viaggio in treno di 17 ore da Leopoli a Dnipro in un una piccola cabina del treno, visitata con membri in servizio dell’esercito ucraino, fotografato molti edifici distrutti nella parte orientale del paese e mangiato borscht così tante volte che credo di poter ora identificare le differenze di ricetta tra Dnipro e Lviv.

Foto dell’autore

Prima di iniziare, vorrei stabilire un paio di cose come punto di riferimento per le mie opinioni.

In primo luogo, ovviamente, Putin ha sbagliato a invadere l’Ucraina, questo è un dato di fatto.

La perdita di vite umane è orribile.

Sostengo pienamente il popolo ucraino nei suoi sforzi per espellere quelli che lì vengono chiamati gli “occupanti russi”. (Significativamente, i soldati russi ora vengono chiamati “Orchi” dai giovani ucraini.)

 

Ma il rapporto tra Russia e Ucraina è lungo ed è molto più complesso di quanto noi estranei possiamo mai immaginare. Ho avuto una conversazione di tre ore con un tecnico informatico polacco di nome Vasily che si è seduto accanto a me sull’aereo in partenza da Varsavia su questo esatto problema. E mentre ammetteva di essere sorpreso dall’invasione, non era così sprezzante nei confronti dei metodi e degli obiettivi russi come si potrebbe pensare. Più di una volta mi è stato espresso il concetto di essere russo non solo come nazionalità, ma come stato dell’essere etno-spirituale.

Quindi, detto questo, preferirei commentare solo alcuni dettagli e inserire una piccola speculazione che dichiarerò in una certa misura come un fatto, semplicemente perché fare altrimenti diventerebbe noioso per il lettore.

Mi sembra che Mosca (e io scelgo di usare Mosca per riferirmi alla Federazione Russa poiché per me è un po’ riduttivo riferirmi a un uomo come il leader di una nazione con un corpo rappresentativo come la Duma) abbia una serie fissa di obiettivi in ​​guerra. Ora potremmo discutere tutto il giorno sul fatto che la Duma rappresenti veramente il popolo della nazione, ma ciò sarebbe inutile dato il motivo per cui scrivo questo pezzo.

Percepisco gli obiettivi di Mosca in questo impegno militare come:

  1. Una rotta verso il Mar Nero.
  2. L’unificazione di aree percepite come appartenenti alla Russia e i cui cittadini (almeno la maggioranza) desiderano unirsi alla Russia.
  3. Un avviso al mondo che le terre che un tempo formavano il blocco sovietico sono ancora sotto la guida di Mosca a un certo livello.
  4. Per scoraggiare l’Ucraina e le nazioni circostanti dall’adesione alla NATO/UE.
  5. Per illustrare che tutta l’Europa orientale è ancora sotto l’influenza di Mosca.

Se affrontiamo la situazione tenendo presenti questi punti, gli eventi e le decisioni prese da Mosca cominceranno ad avere un po’ più senso.

Nonostante ciò che i media stanno presentando, l’esercito della Federazione Russa non è composto da orchi furiosi che violentano, uccidono e saccheggiano. E non sono stati, come ci è stato detto, sconfitti in ogni gara con l’esercito ucraino. Inoltre, l’esercito di Mosca non è esausto e senza carburante, equipaggiamento e rifornimenti. Non ci sono state diserzioni di massa dall’esercito russo. Quella che state leggendo è la tipica propaganda che sembra sempre farsi vedere in una guerra in questa regione. Ho visto esattamente la stessa cosa e gli stessi dispositivi usati nella guerra dell’Ossezia del Sud del 2008 quando lavoravo per il quotidiano Georgia Today e quella particolare invasione russa si stava verificando.

Forse è meglio iniziare con l’essere onesti e riconoscere che Mosca sta esercitando (in una certa misura comunque) moderazione in questa azione finora. Non sto difendendo questo sforzo, ma questo è il semplice fatto della situazione militare come la percepisco io.

Se si accetta che sia stata presa la decisione di raggiungere solo una serie relativamente piccola di obiettivi specifici come indicato sopra, è facile vedere che questo è il motivo per cui non c’è stata alcuna distruzione totale dell’infrastruttura dell’Ucraina quando è ben all’interno della capacità di Mosca di farlo.

Con una mappa del paese in mano e dopo aver preso il treno e l’autobus su molte delle rotte est-ovest-nord, molto probabilmente vedrai che non ci vuole un genio militare per rendersi conto che la topografia dell’Ucraina ce la fa molto vulnerabile ai bombardamenti aerei. E il Paese, a quanto pare, non è preparato per attacchi in questi punti vitali.

Ad esempio, sul ponte che attraversa il fiume Dnepr a Dnipro, non erano presenti sistemi di difesa aerea; invece, c’erano solo due piccoli gruppi di soldati alle due estremità armati di PKM in recinti di sacchi di sabbia.

Inoltre, in termini di trasporto all’interno del paese, l’Ucraina soffre di strutture e materiale rotabile antiquati, in particolare nel settore delle ferrovie. Parte del materiale rotabile è ancora d’epoca sovietica. E non come curiosi oggetti d’antiquariato per i turisti in giro, ma per il vero trasporto di merci.

Di seguito è una mappa dell’Ucraina. Vorrei che esaminassi questa mappa prima e dopo aver letto i miei punti.

Credito mappa: licenza Lencer CC BY -SA 3.0

Vale la pena notare la presenza e la posizione geografica del fiume Dnepr, che divide essenzialmente l’Ucraina in una sezione occidentale e una orientale. Dal punto di vista della difesa di una nazione da un’invasione terrestre, sarebbe difficile sopravvalutare il significato di questo fatto. In poche parole, se il vero obiettivo di Mosca fosse semplicemente invadere e occupare l’Ucraina, allora la seguente sarebbe la loro logica linea di condotta da perseguire:

  1. Colpisci e distruggi i ponti sul fiume Dnepr a Kiev, Cherkasy, Dnipro e Zaporizhzhia usando bombardieri pesanti TU22 e TU60 o equivalenti.
  2. Distruggi gli scali ferroviari di Leopoli, Kiev, Dnipro, Poltava e Uman usando una combinazione di TU 22 e cacciabombardieri come il Sukhoi 34 e il Tupolev 160.
  3. Fondamentalmente risciacquare e ripetere quanto sopra per i sistemi autostradali M06 e MO3 a Kiev, M12 a Kirovgard, MO4 a Dnipro e M20 a Kharkiv.
  4. Invia qualsiasi aereo adatto per sparare semplicemente ai sistemi ferroviari e stradali dopo che quanto sopra è stato completato.
  5. Prendi di mira i missili terra-superficie montati su camion 9K720 e distruggi le stazioni elettriche in città chiave come Leopoli, Kiev, Dnipro, Kharkiv e Zaporizhzhia. Ciò avrebbe diversi effetti, uno dei quali demoralizzerebbe i cittadini nelle città colpite.

Mosca potrebbe realizzare tutto quanto sopra in circa una settimana. Ha superiorità aerea nonostante quello che leggi. Ed è anche importante ricordare che Mosca ha l’aereo – un bombardiere pesante 964 pronto per il combattimento e caccia come riportato dalla Janes Intelligence Review – per resistere alle perdite che si verificherebbero se si scegliesse questa rotta per l’invasione.

Se una tale serie di misure fosse adottata da Mosca, accadrebbe quanto segue:

  1. Con i ponti e le altre infrastrutture di trasporto distrutte, nessun carburante, equipaggiamento militare, cibo o merci si sarebbe spostato da ovest a est.
  2. Le comunicazioni militari interne sarebbero gravemente interrotte.
  3. I rifugiati brulicherebbero i siti dei ponti sul lato orientale del fiume, il che ostacolerebbe ancora di più i movimenti e produrrebbe una crisi umanitaria quasi inimmaginabile.
  4. Praticamente nessun equipaggiamento o rinforzo militare poteva essere spostato nelle aree orientali del Donbas, Odessa, ecc. per rinforzare i già stressati difensori ucraini.
  5. Con la parte orientale del paese tagliata fuori, dopo poche settimane ciò che le forze ucraine rimaste in quella regione sarebbero state costrette ad arrendersi.

Quello che trovo quasi sbalorditivo è che potrei andarci, viaggiare un po’, intervistare alcune persone, guardare come vengono difesi male i ponti, gli incroci stradali e le stazioni ferroviarie, e poi capire che Mosca ha deciso di portare avanti questa guerra con forse solo il 10% della capacità delle sue forze armate. Invece di esaminare i semplici fatti di questo conflitto, analisti e personalità dei media scelgono di ignorare l’ovvio e invece diventano estasiati da una serie di video di BTR 80, BMP2, T72 (e almeno uno dei nuovi T90) russi che vengono fatti saltare in aria in impegni minori con le forze ucraine.

Mosca ha un finale di partita.

Sta infatti raggiungendo quelli che sembrano essere gli obiettivi con cui era iniziato il 24 febbraio.

La Russia sta combattendo esattamente la guerra che vuole combattere con un calendario apparentemente regolabile.

Non ho idea del perché Mosca stia combattendo la guerra in questo modo, ma finora ha deciso di non conquistare l’Ucraina, o addirittura di non far soffrire in larga misura gli abitanti al di fuori di alcune città.

La mia ipotesi migliore è che il trattenimento delle forze russe faccia parte di un piano in evoluzione in modo che quando inizieranno gli inevitabili negoziati di pace, sarà più facile per entrambe le parti venire a patti.

Se, tuttavia, iniziamo a sentire che le stazioni ferroviarie, gli svincoli stradali e le stazioni elettriche nel paese vengono sistematicamente distrutte su vasta scala in numero in rapido aumento (in particolare se i ponti di Kiev, Cherkasy, Dnipro e Zaporizhzhia sono presi di mira), allora che potrebbe benissimo indicare che c’è stato un cambiamento di piani da parte di Mosca in termini di obiettivi per questa invasione.

La mia opinione è che tutto viene eseguito secondo un calendario, con alcune ovvie battute d’arresto per Mosca, poiché gli ucraini stanno ricevendo enormi quantità di equipaggiamento militare dall’ovest e stanno combattendo nel miglior modo possibile.

 

Ma la Federazione Russa non sta perdendo questa guerra.

Per favore, non lasciarti ingannare dal pensiero.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/05/putin_is_fighting_the_war_he_chooses.html

Un duello tra amici_a cura di Giuseppe Germinario

Roberto Buffagni

Germano Dottori, una analisi equilibrata dei primi tre mesi di ostilità in Ucraina. Personalmente dissento su alcuni punti (ad es. l’interpretazione degli obiettivi della prima fase dell’attacco russo) ma quel che conta è che Dottori è competente, informato (per quanto è possibile esserlo) e che si sforza di essere obiettivo. Essere obiettivo non significa essere imparziale, significa non lasciarsi guidare dai propri pregiudizi, sapere quanto margine di incertezza vi sia nell’analisi di una guerra in corso, tentare di accertare per quanto possibile la realtà dei fatti.

Pierluigi Fagan

Roberto Buffagni Mah: 1) Come sa ogni stratega militare, la conquista di una città è l’incubo di tutti gli incubi. Del resto, la cosa si è resa nota ai più con Mariupol e stante che i russi non l’hanno bombardata dall’alto come si conviene a questi casi. Ci sono voluti più di due mesi e Mariupol, ho controllato oggi, è tra un quinto ed un sesto di Kiev, per popolazione e per estensione area in km2, cioè la presa di Kiev sarebbe stata una Mariupol alla quinta/sesta. Il che dice ulteriormente dell’improbabilità dell’idea visto il ruolo storico culturale che Kiev ha nella russità (come per altro Odessa). Pochissimi in Russia avrebbero accettato una cosa del genere; 2) come anche sa lo stratega militare, ci si deve presentare, oltre che con i bombardieri, con un rapporto minimo di 3:1 in termini di effettivi, cosa che non era neanche lontanamente lo stato del campo il 24 febbraio e tantomeno dopo; 3) si fa finta di non sapere l’ovvio ovvero che i satelliti americani hanno letto l’addensamento di truppe russe per settimane e settimane, preparando la difesa degli ucraini che erano tutt’altro che sprovveduti e questo anche era noto ai comandi russi; 4) forse quello che non si comprende è che i russi hanno mandato scientemente al macello o quasi, truppe inesperte, armate all’incirca e senza alcuna reale possibilità di conseguire un obiettivo che non si voleva/poteva conseguire, al fine di porre dei dilemmi di posizionamento truppe a gli ucraini. Lo hanno fatto anche a Simy e Karkhiv, mentre le cartine dell’Institute of Study of War mostrano chiaramente che proprio in quel mentre i russi sono esondati dalla Crimea incontrando quasi nulla resistenza. Un’area di due volte la Crimea stessa che oggi raccontano esser stato un obiettivo di ripiego mentre sappiamo del contrario, in tutta evidenza. Tra l’altro, visto che era proprio questo che volevano prendersi e prenderlo per sempre, la presa facile e quasi intatta ha abbassato i costi di ricostruzione; 5) su questo ha parzialmente ragione chi in video, molti episodi di cattivo coordinamento, defezione e forse l’abbandonarsi a qualche immotivata rappresaglia rabbiosa, discendono dal fatto che quello non era un vero attacco e quando chi sul campo se ne è accorto, certo non l’ha presa bene. Questo vale anche per i comandi locali, è ovvio che una cosa del genere il Cremlino non l’ha certo condivisa; 6) inoltre prendere Kiev e metterci un Quisling non avrebbe in alcun modo garantito la resa ucraina come abbiamo visto dal feroce coinvolgimento delle forze armate e della bande nazionaliste che certo non sono state pompate da Zelensky, il cui convincimento va ben oltre lo stesso Zelensky e che si preparavano da anni; 7) infine, per “tenere” l’Ucraina così messa ci sarebbero voluti tra i 400.000 ed i 500.000 uomini e non certo i 100-130.000 inviati lì. Con manifestazioni contrarie, terrorismo ed un calvario senza senso, oltre ai costi del dover mantenere un nuovo stato essendo per altro sotto sanzioni. Questa storia della presa di Kiev è incredibile, è incredibile come non si ragioni sulla sostenibilità concreta di ciò che si dice. Al punto da domandarsi se chi la sostiene è del tutto in possesso delle sue facoltà mentali o peggio, le possiede ma non le usa o le usa ad altri scopi. Forse la gente scambia Netflix con la realtà ed allora tutto sembra plausibile, oltre il lavaggio del cervello h24.
Roberto Buffagni

Pierluigi Fagan Io concordo al 100% con la tua interpretazione, lo accenno anche nella presentazione del video di Dottori. La prima fase delle ostilità in Ucraina a mio avviso ha registrato una complessa manovra diversiva russa su più direttrici in direzione Nord Ovest, al fine di modellare il campo di battaglia nel Sudest che è l’obiettivo militare dell’operazione; i russi NON vogliono prendersi l’intera Ucraina perché sarebbe “come ingoiare un porcospino” secondo la spiritosa formula di Mearsheimer. Le direttrici di attacco verso Kiev etc. sono state concepite secondo il modello “acqua che scorre”, nessuno sano di mente poteva pensare che con effettivi così esigui si potesse conquistare Kiev (neanche un paesino di 30.000 abitanti se poi devi tenerlo). Probabile che il comando russo abbia destinato a questa manovra diversiva le truppe meno preparate di cui disponeva, e plausibile anche che queste non l’abbiano presa bene quando si sono viste sul punto di essere travolte. Quel che mi ha lasciato perplesso (non riesco a capirne le motivazioni) è l’esiguità delle forze russe impegnate nell’operazione militare speciale. Anche soltanto per conseguire gli obiettivi ridotti (conquista del Sudest fascia costiera del Mar d’Azov e del Mar Nero compresa) impiegare truppe in lieve inferiorità numerica rispetto al nemico è veramente strano e rischiosissimo. Poi ce la stanno facendo, ma stante il vantaggio della difesa, stanti le fortificazioni ucraine del Donbass, stante l’addestramento e l’armamento NATO delle FFAA ucraine, i russi si sono presi un rischio enorme, secondo manuale per star ragionevolmente certi di prendersi il Sudest avrebbero dovuto impiegare come minimo il doppio, meglio ancora il triplo degli effettivi. Gli sta andando bene e questo, devo dire, è un grande successo militare dei russi; ma perché farsela così difficile? Costa caro, in perdite umane. L’unica spiegazione che trovo è una decisione politica, ossia la speranza della direzione russa che condurre operazioni limitate sul campo favorisse un esito diplomatico delle controversia e prevenisse il compattamento del fronte occidentale. Ovviamente non è andata così. E’ per questa ragione, ossia per il fatto incontestabile che tutta l’operazione militare speciale è stata condotta dai russi con un dispiegamento insufficiente di forze – hanno fatto le classiche “nozze coi fichi secchi” – che diventa plausibile anche l’ipotesi di Dottori. Secondo me è sbagliata, per i motivi che tu hai detto e io ho ribadito, e l’errore iniziale vizia parzialmente l’interpretazione successiva, ma non è necessariamente sintomo di malafede o di parzialità inescusabile. Poi che Dottori “faccia il tifo” per la NATO è indubbio, ma bisogna ascoltare sempre anche l’altra campana.
Pierluigi Fagan

Roberto Buffagni Hai ragione, il quesito c’è. Ipotizzo si tratti di un “tenere a riserva”. Come già scritto, qui, chi la dura la vince, il problema è capire quanto è la “dura”. Dottori dice che le truppe prima al nord sono state “ricondizionate”, già qui servono riserve. Steinman dello speciale Mentana, disse che ad un certo punto sono comparsi nel Lugansk chilometri e chilometri di carri e truppe con la lettera O, prima mai usata e che gli avevano detto venire direttamente ed ex novo dalla Russia. Nei filmati, infatti, si notano reparti con la fascia rossa prima mai usata. Fanno rotazioni ed hanno una prospettiva temporale media o lunga. Lo hanno detto all’inizio del conflitto, il conflitto si modulerà sulla risposta dell’avversario. Di base il rapporto 3.1 dovrebbe esserci visto che c’è a livello demografico, a parte che i russi hanno il più grande confine del mondo da difendere, credo che tengano a riserva per rotazioni. Poi è da vedere cosa succederà quando avranno preso tutto il Donbass. Come sai, secondo me lì si fermano, almeno per il momento. Leggevo oggi, tra l’altro che da settembre in poi lì torna a piovere ed i carri per campi di fango non sono una buona idea. Se mettono i confini dentro la Federazione, non puoi neanche bombardarli più di tanto, altrimenti ti nuclearizzano. Comunque diceva Fabbri ora in diretta che i servizi americani sono molto pessimisti sulla tenuta degli ucraini in Donbass, pare si stiano sgretolando e forse la telefonata oggi di Macron-Scholz è in vista della preparazione di una futura cessazione del fuoco a confini raggiunti. Se ci pensi, questo è più di quanto avevano chiesto i russi all’inizio, potranno dirsi soddisfatti. E’ per questo che bombardano la narrativa del “si stanno accontentando perché hanno perso Kiev e Kharkiv”. Difficile giustificare tutto quello che è successo se alla fine perderanno più di quanto non avrebbero perso accettando la piattaforma iniziale. Nei fatti, potrebbe dimostrarsi che era effettivamente una operazione militare limitata. Ognuna delle parti ha una guerra sul campo ed una nelle praterie mentali del proprio pubblico. Questa reiterazione della “sconfitta di Kiev” servirà per dare una parvenza di pareggio, di “ne è valsa la pena” incluso il nostro invio d’armi.
Francesco Meloni

Pierluigi Fagan probabilmente il comando russo ipotizzava una resa o una tregua chiesta dagli ucraini una volta circondata Kiev. Cosa che non si è verificata sia per il livello di infiltrazione angloamericana degli organi direttivi ucraini sia per la resistenza effettiva delle forze in campo.
Marly Grasso Nunes

Riassunto :
– I russi stanno vincendo nel campo di battaglia utilizzando una piccola parte delle proprie forze e armamenti
– l’esercito ucraino era il maggiore di Europa, addestrato e armato. Con molto fortezze nel territorio (come Azovstal) difficile da conquistare
– Dopo 3 mesi di guerra i russi hanno conquistato 20% del territorio ucraino (impiegando mezzi e personale limitati)
– Ricordando: una guerra si può sostenere se un paese è ancora viabile e funzionate. La Russia combatte due battaglie: una sul campo in Ucraina e una sul fronte economico, sociale e politico nazionale e internazionale. Apparentemente se la cava, per il momento, in entrambi
– L’Ucraina mette le truppe ma non combatte da sola. Ha il sostegno militare, politico, rifornimenti (militare e non), addestramento, inteligence, mercenari (solo?), propaganda ecc dell’occidente. Ha vinto la guerra di propaganda, ma perde nel campo di battaglia. Senza il sostegno dell’occidente il paese, già in grosse difficoltà economiche prima, oggi non sarebbe in grado di sostenere le perdite. Questo significa che piu’ si va’ avanti piu’ questo sostegno dovrà aumentare. Già oggi l’Ucraina ha problemi con carburante, hanno perso controllo della piu’ grande usina nucleare e idrica, delle miniere di carbone, due porti importanti.
– Si pone il problema per quanto tempo possono sostenere l’Europei questo ritmo. Hanno abbozzato gas per rubli, il petrolio continua a essere comprato (sempre rubli ?). Cosa si farà per il grano, per il fertilizzanti, per i metalli, per l’uranio? Sicuramente tutto a prezzi 3/4 volte maggiori e l’inflazione che aumenta e la competitività che diminuisce. Oltre a perda di mercati.
– Il grano in particolare: la Russia è già oggi il primo produttore al mondo, aggiungendo la percentuale prodotta nei territori conquistati dell’Ucraina aumenterebbe ancora di piu’ la sua importanza a livello globale
– Con la conquista di Mariupol la Russia ha acquisito il controllo su una regione con uno dei maggiore produttori del gas Neon importante per semiconduttori e lasers.
Questa è una guerra di attrito e la vincerà chi è in grado di resistere piu’ a lungo.
A quanto pare la Russia ha i suoi tempi e non sembra avere fretta (anche con tutto quello che succede intorno e in Ucraina non hanno ancora cambiato passo, solo aggiustato)
Usa hanno approvato 40 miliardi di dollari per l’ucraina di cui forse 6 in armamenti. Un’altra parte andra’ in reclutamento e addestramento. Il restanti nel sostentamento del paese (e in corruzione). Come ho descritto non và sostenuta solo la guerra ma il paese, che ha perso personale, strutture e importanti fonti di sostentamento.
Alcuni analisti presuppongono che i Russi non hanno risorse sufficienti a fronte di un occidente unito.
Io ci penserei due volte prima di dirlo.
Roberto Buffagni

Pierluigi Fagan Le tue sono considerazioni più che ragionevoli. Ti sintetizzo le mie. 1) Il rapporto 3:1 attacco/difesa dei manuali tattici è pensato per il punto di contatto tra gli schieramenti, non come rapporto di forze strategiche. Sul piano del rapporto di forze strategiche (potenza latente, demografia, potenza militare mobilitata+mobilitabile) la Russia è in vantaggio di ben più che 3:1 sull’Ucraina. Solo mobilitando i riservisti, la Russia può schierare 3 MLN e mezzo di uomini. Con una mobilitazione generale di riservisti e coscritti, può mobilitare 10 MLN di effettivi senza raschiare il fondo del barile.
Per quanto attiene alla potenza latente (economica) la Russia possiede materie prime e capacità di trasformarle incomparabile con quella Ucraina. Sintesi, tra Ucraina e Russia non c’è partita sul piano del rapporto di forze strategiche, e siccome la Russia non può permettersi di perdere la guerra, non c’è il minimo dubbio che la vincerà (poi il contenuto della parola “vittoria” va specificato, e questo contenuto non dipende solo dagli obiettivi russi, ma anche e soprattutto dagli obiettivi strategici americani). Insomma: i russi hanno scelto, per motivi che non riesco a capire, di combattere in Ucraina con forze in lieve inferiorità numerica sebbene tutti i manuali tattici prescrivano che per compensare il vantaggio della difesa sia necessaria una superiorità numerica dell’attaccante che convenzionalmente si stabilisce in 3:1.
2) A prescindere da questa scelta operativa le cui ragioni ci saranno sicuramente ma che mi sfuggono, secondo me non c’è il minimo dubbio che i russi avessero scelto di combattere una guerra “westfaliana”, ossia una guerra limitata per obiettivi limitati. Gli obiettivi territoriali sono, per farla corta, la conquista della Novorossya.
Gli obiettivi politici erano (sottolineo “erano”) “denazificazione”, “demilitarizzazione”, “neutralizzazione”. Denazificazione, demilitarizzazione, neutralizzazione sono la stessa cosa, espressa in forme diverse.
“Neutralizzazione” = mediante la firma di un trattato, garanzia de jure che l’Ucraina non diventerà un bastione militare occidentale sul fianco europeo della Russia.
“Denazificazione” non ha solo una funzione propagandistica a uso interno. Le formazioni di destra radicale ucraine, con le loro milizie ora integrate nelle FFAA ucraine, sono il principale strumento politico degli USA e della NATO per il controllo del governo ucraino, al fine di garantire che l’Ucraina sia de facto un membro della NATO, anche se non lo è de jure; perché per quanto minoritarie nell’elettorato, alla bisogna intimidiscono tutti i politici ucraini (se sgarri questi ti ammazzano).
“Demilitarizzazione” ossia distruzione/sbandamento delle FFAA ucraine = l’Ucraina non è più una minaccia militare per il Donbass e la Russia.
In sintesi: se ai russi fossero riuscite denazificazione + demilitarizzazione dell’Ucraina, essi avrebbero ottenuto de facto il risultato di neutralizzare l’Ucraina, qualora non riuscissero ad ottenerlo de jure.
Il raggiungimento dell’obiettivo territoriale è parzialmente raggiunto. Bisogna vedere se i russi riusciranno a raggiungerlo totalmente perché, anche ammesso che i combattimenti in corso nel Donbass si concludano con una vittoria decisiva russa, resta da conquistare Odessa e il territorio che la circonda, e non sarà assolutamente una passeggiata (inoltre, distruggere Odessa come è stata distrutta Mariupol pone serissimi problemi anche interni, è come distruggere Venezia).
Il raggiungimento di tutti gli obiettivi politici, denazificazione, demilitarizzazione, neutralizzazione, si è dimostrato impossibile perché gli americani hanno rilanciato tremila volte il piatto, e hanno ufficialmente dichiarato al massimo livello che l’obiettivo strategico USA è dissanguare, destabilizzare, frammentare politicamente la Russia, come minimo espellendola dal novero delle grandi potenze; e hanno confermato la serietà delle loro intenzioni votando un colossale riarmo dell’Ucraina, e favorendo l’ingresso in campo della Polonia (altri seguiranno).
Le milizie di destra radicale continuano ad esistere, si stanno riorganizzando e armando (anche su territorio NATO). Le FFAA ucraine stanno radunando, addestrando, armando centinaia di migliaia di coscritti e riservisti, su territorio ucraino e su territorio NATO. Veterani ucraini di stanno addestrando all’uso delle nuove armi NATO in Germania e in Polonia.
Sintesi: anche dopo l’eventuale conquista russa della Novorossya, la guerra in Ucraina NON finisce. Il governo ucraino NON siglerà un trattato con la Russia. L’Ucraina NON sarà “denazificata”, “demilitarizzata”, “neutralizzata”. L’Ucraina continuerà a combattere la Russia grazie all’armamento e al finanziamento costante USA+UE, grazie a una profondità strategica qualitativamente aumentata dal fatto che i santuari logistici delle FFAA ucraine si trovano su territorio NATO e i russi non possono colpirli senza rischiare un allargamento del conflitto e una escalation anche nucleare. L’accerchiamento NATO rischia di essere maggiore, non minore rispetto a prima dell’attacco russo, perché c’è la concreta possibilità che Svezia e Finlandia entrino nell’Alleanza Atlantica e per conto degli USA controllino il Mar Baltico, che per la Russia ha importanza strategica.
Morale: anche se diamo per scontata la conquista della Novorossya, la Russia così ottiene una (notevole, importante) vittoria tattica in una campagna, ma subisce una sconfitta strategica perché non ottiene nessuno degli obiettivi politici che si era prefissa e si ritrova daccapo a quindici.
Senz’altro la Russia, dopo il raggiungimento degli obiettivi territoriali, si disporrà sulla difensiva e consoliderà il territorio conquistato. Il punto è che cosa farà dopo, ossia in che modo risponderà alla sfida esistenziale che le pone l’Occidente, sul piano militare e sul piano politico. E’ qui che si apre il Secondo Atto della tragedia ucraina.

Azzardi ed inganni, assi pigliatutto e due di picche_con Antonio de Martini

La narrazione imposta dai media istituzionali stride sempre più con la realtà, come pure la propaganda enunciata da Zelensky, ma pianificata da ambienti ben più attrezzati, riportata senza contraddittorio. Una chiamata alle armi in Europa senza per altro disporre dei mezzi necessari e senza la convinzione diffusa delle implicazioni di tali scelte. Un quadro dove i politici più spregiudicati e dotati di iniziativa riescono a coprire spazi inimmaginabili sino a poco tempo fa sino a raggiungere una sovraesposizione tale da dover ricorrere quanto prima ad aiuti e sostegni esterni decisivi. E’ il caso della Turchia di Erdogan. Come pure nel versante opposto della passività, è il caso della gran parte dei paesi europei e dell’Italia in particolare. La comoda postura all’ombra dei veri decisori si sta rivelando sempre più controproducente e dannosa oltre che umiliante. Non basteranno i saltimbanchi all’opera a Bruxelles e nelle capitali non dico ad affrontare, quanto nemmeno a percepire la dimensione dei problemi e delle trappole nelle quali stanno cacciando i popoli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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