Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti, di Andrew Korybko

16 LUGLIO 2022

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine.

Il chiarimento della Commissione europea secondo cui le sue sanzioni anti-russe non dovrebbero essere interpretate dalla Lituania come un via libera per il blocco di Kaliningrad suggerisce fortemente che il blocco è a disagio con l’influenza destabilizzante che gli Stati Uniti sono sospettati di esercitare su quel paese baltico. L’interpretazione unilaterale di Vilnius di queste restrizioni precedenti come pretesto per interrompere i collegamenti stradali e ferroviari con quell’exclave russa era più una provocazione politica orchestrata da Washington volta a manipolare le menti degli occidentali che un tentativo di peggiorare il tenore di vita della gente di quella regione come l’autore ha spiegato in quel momento qui . La sua decisioneassecondare Bruxelles in questo senso è quindi una sconfitta per quell’egemone unipolare in declino, e per di più inaspettata.

Gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’UE con un pretesto anti-russo all’inizio dell’operazione militare speciale in corso di Mosca in Ucraina, convincendo persino i suoi vassalli europei a sanzionare controproducente il loro principale fornitore di risorse grezze e innescando così una crisi economica assolutamente evitabile che portato l’euro alla parità con il dollaro per la prima volta in due decenni. Se alcune aziende europee finiscono per fallire nel prossimo futuro, allora le loro americane e britanniche i concorrenti ne trarrebbero vantaggio. Tutto sommato, gli Stati Uniti hanno al momento il controllo quasi totale sull’UE, ma alla fine hanno superato convincendo la Lituania a bloccare Kaliningrad e quindi provocare una grave crisi tra la Russia e il blocco.

Questo era troppo per i “Tre Grandi” (Francia, Germania e Italia), che sono prontamente intervenuti attraverso le istituzioni europee per riaffermare la propria egemonia molto più diretta su quel paese baltico, chiarendo che le sue sanzioni non possono essere sfruttate per tagliare il transito di prodotti civili verso l’exclave russa su rotaia. Anche se la Lituania è uno stato vassallo americano, è molto più europeo quando arriva la spinta, come è successo di recente. Vilnius non ha potuto sfidare la Commissione Europea, ecco perché ha rispettato il suo chiarimento politico e quindi è andata contro la volontà di Washington. L’unico motivo per cui ciò è accaduto è perché i “Tre Grandi” hanno ritenuto inaccettabile provocare la Russia in un modo così sfacciato, il che a sua volta parla della loro posizione relativamente più pragmatica nei confronti del conflitto ucraino.

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine. Ciò dimostra che i più grandi vassalli europei d’America accetteranno praticamente tutto ciò che il loro signore supremo richiede loro, tranne se rischia di innescare un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, come alcuni temevano che il blocco di Kaliningrad orchestrato dagli Stati Uniti in Lituania avesse minacciato di fare. In tali casi, i “Tre Grandi” hanno dimostrato di avere la volontà politica di intervenire con decisione contro la volontà di Washington.

Ci sono cinque considerazioni da trarre da questo incidente. In primo luogo, gli Stati Uniti sfrutteranno i suoi vassalli dell’UE più piccoli e più russofobi per provocare una crisi tra la Russia e il blocco. In secondo luogo, se i responsabili politici delle “Tre Grandi” ritengono che la crisi rischi un conflitto diretto con la Russia nello scenario peggiore, allora interverranno in modo decisivo per scongiurarlo. Terzo, questo intervento assume la forma di riaffermare la propria egemonia su qualunque vassallo statunitense sia stato sfruttato per provocare la crisi. In quarto luogo, non ci si aspetta che gli Stati Uniti facciano una faida con l’UE ogni volta che ciò accade, poiché ciò rischia di dividere l’unità del blocco e quindi di indebolire la piattaforma più ampia che è stata sfruttata per “contenere” la Russia. E infine, queste differenze inaspettate tra l’UE e gli Stati Uniti non dovrebbero essere interpretate come implicanti una spaccatura tra di loro.

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cose strane accadono in guerra, di Pierluigi Fagan

“WEIRD SHIT HAPPENS IN A WAR”? Ricorderete un recente post riferito alle dimissioni di Boris Johnson, in cui davo evidenza ad un tweet dell’ex Chief advisor del Primo Ministro britannico, D. Cummings. Sosteneva il tipo di non credere più di tanto alle dimissioni di BJ che però rimaneva in carica fino a sostituzione: “cose strane accadono in guerra”, a dire che la guerra in Ucraina avrebbe sempre potuto prender una svolta inaspettata ed improvvisa che poteva portare a ripensare la situazione.
Non so dirvi se quella di Cummings fosse una semplice freccetta avvelenata verso il suo ex-capo che poi lo licenziò in maniera un po’ brutale o se Cummings si riferiva a voci che giravano in certi ambienti londinesi.
Scorrendo le notizie, si presenta però una catena inferenziale di cui forse è bene esser consapevoli.
Oggi 17 luglio: lancio 16.40, Dimitry Medvedev afferma che “in caso di attacco alla Crimea, l’Ucraina dovrà affrontare il giorno del giudizio” (fonte Ria Novosti).
Giorni scorsi: fonti ucraine avanzano l’idea che con i nuovi sistemi missilistici forniti dagli USA, potrebbero arrivare a colpire la Crimea o addirittura il ponte strategico che la collega alla Russia. Fonti russe hanno variamente reagito segnalando che il ponte, secondo loro, non correrebbe pericoli poiché ben difeso da sistemi antimissile e minacciando ritorsioni “fine dei giochi”. Un ufficiale russo, riportato sempre da fonti russe, affermava di esser certo al 250% del fatto che i nuovi sistemi HIMARS MLRS erano gestiti da ufficiali anglo-britannici e non ucraini. Gli ucraini si limiterebbero a proteggere l’area.
14 luglio: l’Ambasciata americana in Ucraina, lanciava un allarme livello 4 (il più alto), dando indicazioni di lasciare immediatamente il paese: “La situazione della sicurezza in tutta l’Ucraina è altamente instabile e le condizioni potrebbero deteriorarsi senza preavviso”.
A pensar male si fa peccato ma… . Indubbiamente la piena estate è da sempre il momento migliore per imprimere svolte volute a processi complessi. Nixon si inventò il dollaro “causa sui” un 15 agosto.
Di fatto gli ucraini non sembrano in grado di resistere a lungo o contrattaccare sul campo.
Altrettanto di fatto, abbiamo una UK distratta dalla successione dei Conservatori, Francia con Presidente senza maggioranza parlamentare, Germania in grave ripensamento causa inflazione e disastro economico, Italia sappiamo. La combattiva Iryna Vereshchuk, ha detto proprio oggi che: “Il futuro dipenderà da come l’Italia, gli italiani, il governo italiano riusciranno a risolvere questo terribile conflitto” cioè senza Draghi gli ucraini perdono? Pensa te…
Gli ucraini hanno portato a 9 i miliardi necessari a tenere in vita la macchina del loro stato mensilmente (fonte Ft, gli ucraini parlano di “copertura di disavanzo mensile”), erano 5 due mesi fa, sarà per via dell’inflazione… . Da notare che una parte del disavanzo è dato dalla necessità di corrispondere un vasto “reddito di cittadinanza” secondo il responsabile economico Oleg Ustenko.
Per non parlare del flusso di armamenti da far distruggere ai russi o consegnar loro al mercato nero o rivenderli sempre a mercato nero a mezzo mondo o armare la fantomatica armata del milione di giovanotti e giovanotte da lanciare nella tenzone.
Insomma, la domanda cresce, l’offerta o ristagna o potrebbe addirittura contrarsi, il tempo passa, i territori si continuano a perdere. C’è bisogno di un aiutino?
Mi sono domandato se scrivere questo post. Non è mia abitudine speculare sulla paura o far cassa di risonanza per la propaganda che c’è e ce n’è tanta, da una parte e dall’altra. Vi offro solo la sequenza delle ultime notizie che continuo a seguire giornalmente anche se non scrivo più tanto sull’argomento.
Il movente per provocare una escalation ci sarebbe anzi ce ne sarebbe più d’uno, il momento della “grande distrazione estiva” è favorevole, in tempi recenti sulla stampa specializzata si è fatto un gran parlare della guerra nucleare a bassa intensità (ordigni tattici), l’avviso dell’Ambasciata americana di quattro giorni fa, senza apparente ed immediato riscontro con ciò che lì succede ormai da mesi, non è stato forse notato con la dovuta attenzione.
Medvedev ne dice una al giorno e tutte abbastanza peperine. Può darsi sia solo “fog of war”. La sequenza però è strana e come diceva il Cummings “cose strane accadono in guerra”. A volte.

GET INSIDE, STAY INSIDE, STAY TUNED, di Pierluigi Fagan

GET INSIDE, STAY INSIDE, STAY TUNED. Questi i tre consigli di un simpatico video rilasciato dal Dipartimento per le emergenze di New York, in caso di attacco nucleare: andate dentro, state dentro, state collegati alle fonti di informazione. Lo useremo come metafora per ripetere il senso di cosa sta succedendo dal 24 febbraio scorso.
Come ricorderà, forse, chi frequenta questa pagina da tempo, reagii immediatamente con molta inquietudine a quello che si stava manifestando come reazione europea ed occidentale all’attacco russo all’Ucraina. Il motivo era l’incredibile prontezza e coordinazione della reazione, la perfetta coincidenza con la narrazione subito imposta che verteva su uno sconosciuto commediante di uno sconosciuto stato della periferia d’Europa, già a lungo noto -per chi si occupava di relazioni internazionali e geopolitica- per esser nodo di lunga trama del braccio di ferro tra le due superpotenze nucleari, condita con il potente ricorso ai “valori” etico-morali che rendevano necessaria la mobilitazione a qualunque costo contro il nemico. Tutto questo prima ancora di capire cosa stesse succedendo e perché. In particolare, il “perché”, non c’era alcun perché da domandarsi, era tutto chiarissimo, c’era un aggredito ed un aggressore.
Fino a lì, che ci fosse un aggredito ed un aggressore ci arrivavamo tutti, era abbastanza evidente. Tuttavia, per coloro che cascando dal pero si accorgevano per la prima volta dell’esistenza sia di una cosa strana chiamata “geopolitica”, sia di una cosa ancora più esotica chiamata Ucraina, era forse necessario capire un po’ meglio come si era arrivati alla fatidica questione. Ma d’improvviso era vietato farsi domande, anche perché il ricatto dei valori etico-morali coinvolti serviti a condimento della lievitazione emotiva imponeva l’azione e la allineata e convinta reazione unitaria. Il mondo di prima era fatto di confuse spinte alternative, di grovigli, di conflitti di interessi, di bilanciamenti un po’ di qui ed un po’ di lì, di amorale opportunismo utilitarista, di sostanziale cinismo realista quando si trattava di fare affari con monarchie assolute, dittatori di varia risma, usurpatori di altrui territori e negatori dei diritti dei popoli. Ma d’improvviso, da un giorno all’altro, tutto ciò non valeva più e tutto ciò perché dovevamo difendere l’inderogabile diritto di questo Paese mezzo fallito e neanche democratico o stato di diritto, dedito al traffico d’armi, prostituzione e droga, di entrare nella NATO. In più colpiva l’improvviso, immediato e inderogabile allineamento ad una sola voce, come nei b-movie di fanta-distopia. Possibile?
Nel post del primo giorno, quello proprio del 24 febbraio, riportavo il virgolettato del discorso di Putin di poche ore prima che, in riferimento alle possibili prese di posizione europee, minacciava: …è molto probabile ci saranno contro-ritorsioni sulle forniture del gas in Europa “… la risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”. Aggiungevo in analisi “Il contenzioso profondo è tra gli USA che vogliono stringere a sé i propri alleati in via esclusiva, contro Cina e Russia, per resistere il più a lungo possibile all’esito multipolare dell’ordine mondiale, un esito di cui ormai non si può più discutere il “se”, ma il “come e quando”.
Tutto ciò che s’è verificato in seguito è andato in accordo con questa analisi. Biden ha sfoderato il suo format “democrazie vs autocrazie” per giustificare il dovere di allineamento strategico, si è tentato per due volte di isolare la Russia alle Nazioni Unite (con esiti modesti), si è e si sta preparando l’allineamento asiatico anti-cinese, il G7 ha fatto finta di deliberare una presunta strategia concorrenziale alla Belt and Road Initiative. Biden e Blinken hanno provato a raggruppare i paesi amici del Centro e Sud America, scoprendo di avere davvero pochi amici, il pupazzo di Kiev ha provato a blandire e minacciare di sanzione morale l’Unione Africana che ha sfoggiato assoluta indifferenza. Hanno provato a far scattare l’ostracismo ai russi per il G20 in Indonesia e per irritazione verso il sabotaggio, il locale Ministro degli Esteri ha candidamente spifferato che in realtà Blinken s’è appartato qualche ora con Lavrov alla recente riunione dei ministri degli esteri del formato, alla faccia del “col nemico etico-morale non si parla”. Ora Biden sta provando a rinsaldare il trumpiano Patto di Abramo tra Israele ed il saudita affettatore di giornalisti scomodi e promotore dell’Isis, dopo aver dato i curdi in pasto al dittatore necessario di Ankara per rimuovere il suo veto alla cooptazione dei due paesi scandinavi che torneranno utili nei prossimi tempi del conflitto per l’Artico.
Insomma, fino ad ora il disegno di Washington conta, nella rete calata nei turbolenti mari del futuro geopolitico, il solo pescione europeo. Non male come risultato, nonostante il resto.
Come altri hanno notato, ieri l’euro è andato a pari del dollaro per la prima volta dopo venti anni. Ha anche perso il 18% sullo yuan dall’agosto di due anni fa. Quindi il gas che dovremo comprare dagli USA, che già costava più di ogni altro, ci costerà ancora di più e le merci cinesi saranno meno convenienti per noi di quasi un quinto. Il tutto dopo aver perso il mercato russo del tutto e con esso, una buona parte delle forniture energetiche. Il che porta a prezzi del gas alle stelle, mancanza reale di alternative viabili nel breve-medio termine, materie prime più costose (si pagano in dollari, di solito), inflazione, razionamenti già pianificati nell’indifferenza comprensibile dei più che sognano solo la loro ristorante vacanzina, alternando il residuo di attenzione distratta tra le polemiche sul corsivo ed il divorzio dei VIP. La Germania si prepara alla “grande crisi” della sua industria mentre non si sa se noi stiamo facendo altrettanto visto che siamo parte della loro catena del valore. E tutto ciò aspettando si dipani appieno quelle “conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia” minacciate dal russo che evidentemente non era pazzo come alcuni psicanalisti da operetta hanno diagnosticato nel marasma mediatico iniziale ed i calcoli li sa fare bene, nel breve, nel medio e nel lungo periodo.
Proprio ieri, Biden si appropriava per scopi pubblicitari della cooperazione tecno-scientifica euro-canadese-americana del nuovo telescopio Webb, ricordando quanto gli USA siano l’unica, vera, potenza tecno-scientifica del pianeta, seguito a poche ore dall’annuncio della rottura della rilevante collaborazione tra l’ente europeo ESA ed il corrispettivo russo Roscosmos. La cattura egemonica dell’Europa procede a grandi falcate ed è ormai irreversibile. Ma manca ancora un pezzo, forse. Dopo tre giorni dall’inizio del conflitto, scrissi un altro post in cui avanzai la previsione che si sarebbe, prima o poi, rispolverata la vecchia idea del TTIP, l’accordo di libero scambio privilegiato transatlantico. Oramai siamo del tutto assorbiti dalla NATO e dalle strategie di riarmo e preparazione di sciami di conflitti tra “democrazie” ed “autocrazie”, non tutte, solo quelle davvero antipatiche al gusto di Washington. Siamo però anche la prima potenza commerciale del mondo pur essendo un aggregato statistico e non un soggetto economico-politico unitario. Non ci sarà vera cattura egemonica fino a che non verremo riquadrati in uno specifico recinto di sub-globalizzazione atlantica, sottraendoci al sistema cinese, nemico ultimo della nostra nuova stella madre.
Loro, col dollaro forte ci compreranno meglio e noi compreremo meno bene dai cinesi, si chiama “nudge”, spintarella gentile.
Quindi, eccoci alla metafora di apertura: entriamo tutti alla svelta nel sistema occidentale a guida americana, stiamo tutti dentro e togliamoci ogni velleità di relazioni esterne autonome, attacchiamoci allo streaming continuo di informazioni distorte ed opinioni falsate, previsioni senza senso e minacce inventate di sana pianta che ci daranno ottimi motivi, più emotivi che razionali, per credere a questo incredibile colpo di stato contro la nostra capacità di sovraintendere al nostro minimo interesse.

Le trappole non sempre funzionano come previsto e a volte si ritorcono contro. Di Claudio Martinotti Doria

I russi hanno una visione estremamente lungimirante e complessa nelle loro stretegie politico militari, gli USA/UK/NATO credevano di intrappolarli in Ucraina e invece è esattamente il contrario, ma pochi lo hanno capito, persino tra gli addetti ai lavori.

Per farsi un’idea approssimativa ma appropriata di come ragionino i russi occorre ricorrere alla metafora degli scacchi, nei quali se ricordate in passato erano maestri mondiali. Col tempo sono rimasti maestri, anche se tenendo un basso profilo mediatico alcuni possono aver pensato lo fossero meno, che avessero perduto la supremazia nel gioco, invece è l’Occidente che è regredito in questo gioco.

Premesso che la supponenza, il delirio di onnipotenza e la decadente supremazia occidentale ha indotto i suoi leaders a elaborare la trappola ucraina con la quale sfiancare la Russia, portandola al disfacimento socioeconomico e successivo smembramento politico territoriale, per poi sfruttare le sue infinite risorse naturali, per cercare di capire se poteva funzionare una simile trappola occorre pensare al gioco degli scacchi.

Se l’occidente credendosi superiore ha saputo prevedere una ventina di mosse che l’avversario potrebbe compiere, la Russia è abitualmente in grado di prevederne almeno cinquanta.

Questo significa che a mio modesto avviso, prima di avviare l’operazione militare speciale in Ucraina la Russia aveva previsto tutte le mosse che l’Occidente avrebbe messo in atto, e si era di conseguenza preparata accuratamente. Forse alcune di quelle troppo deliranti, aberranti e scellerate, potrebbero essergli sfuggite a livello previsionale, del resto immedesimarsi in una mente malata non è semplice.

Del resto l’Occidente erano decenni che si dedicava a imbastire la trappola per la Russia e almeno otto anni che ha intensificato gli sforzi, da dopo il colpo di stato Euromaidan organizzato nel 2014 dagli USA per colonizzare l’Ucraina e prepararla alla guerra contro la Russia.

Credete forse che la Russia non abbia fatto altrettanto? Che non si sia preparata a ogni possibile evento? Pensate che non sappia come pensano e agiscono gli angloamericani, soprattutto i loro think tank e i loro servizi di intelligence?

Occorre riconoscere che la Russia ha fatto di tutto per essere presa sul serio nei suoi molteplici appelli al mondo occidentale per evitare un conflitto, ma ovviamente è stata umiliata perché lo scopo era fin dall’inizio lo scontro bellico, mirante a indebolire la Russia e provocare col tempo rivolte popolare che inducessero un cambio di governo, secondo la tipica mentalità americana. Segno di profonda ignoranza della cultura e della società russa. Non è bastato indottrinare i giovani russi ai cosiddetti (dis)valori occidentali, e neppure corrompere oligarchi e infiltrare le cosiddette quinte colonne in Russia, rimangono una esigua minoranza non in grado di interferire e mutare neppure minimamente la coesione e lo spirito patriottico russo.

Ve lo avrebbe potuto riferire qualsiasi studioso e conoscitore della Russia, anche e soprattuto dal punto di vista storico.

Altro errore madornale tipicamente occidentale, il più grave di tutti, è stato quello di sottovalutare le capacità produttive militari russe, ritenere che siano assai limitate, e che di conseguenza dopo poche settimane di guerra in Ucraina le truppe russe avrebbero avuto problemi di approvvigionamento bellico e logistico.

Una sciocchezza madornale, la Russia si stava preparando da anni all’aggressione (che ha subìto, perché gli aggressori sono gli occidentali), e in ogni caso non l’avreste mai trovata iimpreparata.

Avreste dovuto imparare dalla storia, anche solo recente: Hitler aveva commesso lo stesso errore di valutazione, da lui stesso ammesso alcuni anni dopo, aveva sottovalutato la capacità produttiva industriale bellica dell’allora Unione Sovietica.

Si era basato inizialmente sull’esito della Guerra d’Inverno tra URSS e Finlandia, la pessima figura militare e le enormi perdite subìte dall’Armata Rossa lo aveva indotto a sottovalutare la capaictà bellica dell’Unione Sovietica. Ma un conto è il livello strategico e tattico, le capacità di comando degli stati maggiori (falcidiati anni prima dalle purghe staliniane), che in effetti all’inizio della II G.M. era ai minimi termini, e un altro conto è il livello delle potenzialità industriali belliche, che in Russia erano intatte nella vastissima area siberiana dove erano state trasferite e concentrate le industrie militari.

Per avere un’idea della situazione dei rapporti di forza tra Germania e Unione Sovietica dopo due anni di guerra, se ad un Panzer distrutto a fatica ne producevano uno in sostituzione, a un T 34 distrutto i sovietici nel producevano 20 in sostituzione. Gli USA avevano pressappoco lo stesso rapporto di forza rispetto ai giapponesi nel Pacifico, ecco come si vincono le guerre.

Pressappoco la stessa cosa sta avvenendo ora in Ucraina.

I prostituti mediatici della propaganda mainstream hanno scritto in questi mesi corbellerie, castronerie, spudorate menzogne facendo una disinformazione avvilente, che non aveva alcun rapporto con la realtà e i fatti concreti. A partire dalla cosiddetta “guerra lampo” dei russi ovviamente fallita dal loro punto di vista.

Nei miei articoli fin dalla fine di febbraio ho sempre precisato che non esisteva alcuna guerra lampo, che i russi non avevano affatto iniziato una guerra, che se l’avevano chiamata operazione militare speciale, avevano sicuramente i loro buoni motivi. La stessa modesta concentrazione di forze in campo lo dimostrava, la prudenza iniziale nell’uso dell’artiglieria e nel non nuocere ai civili, lo dimostrava. Non aggredisci un paese iperarmato, il secondo esercito europeo per capacità belliche e numero di truppe disponibili, con una forza armata sul campo in netta inferiorità numerica, in un rapporto di 1 a 3.

I modesti avanzamenti territoriali non erano dovuti a difficoltà belliche strategiche e/o operative russe, pur riconoscendo la strenua resistenza degli ucraini, che erano otto anni che scavavano trincee, costruivano bunker, fortificavano difese, ecc., e quindi erano preparati. Ma erano dovuti alla volontà strategica di sondare le forse avversarie e mobilitarle, impegnando il maggior numero di forze possibili ucraine e NATO sul territorio, e logorarle gradualmente. Come è puntualmente avvenuto. Esattamente il contrario di quello che ritenevano gli strateghi occidentali, non è la Russia a essere logorata ma la NATO.

Gli esibizionisti mediatici che impazzano per avere visibilità e gli pseudoesperti improvvisatisi analisti militari quante cazzate hanno predetto sull’imminente collasso russo per carenza di mezzi bellici ormai esauriti ed eccessive perdite di uomini? Secondo loro da quanti mesi la Russia avrebbe dovuto rimanere priva di risorse belliche e ritirarsi con la coda tra le gambe?

Invece dovreste domandarvi per quanti mesi ancora credete che la NATO e soprattutto gli USA potranno continuare a fornire armi agli ucraini? Tre mesi? Quattro? Poi non lo potranno più fare perché le avranno esaurite e saranno rimasti sguarniti gli stessi reparti della NATO. E le capcità produttive dell’’apparato militare industriale occidentale non è all’altezza di quello russo, ve lo posso assicurare, ci vorranno anni prima che la NATO possa sostituire le armi fornite all’Ucraina riapprovvigionando i propri depositi militari ormai quasi sguarniti.

Inoltre il debito pubblico USA e dei vari paesi satelliti e colonie europee atlantiste salirà alle stelle, così come pure l’inflazione e la povertà e le opinioni pubbliche saranno sempre più esasperate e ostili ai loro governi che si sono impegnati in una guerra che le popolazioni non vogliono e non approvano. Quello che inizialmente sembrava russofobia indotta artificialmente dai media mainstream, ora si sta rivoltando contro gli stessi ucraini, sempre più disprezzati perché girano con auto di lusso per l’Europa facendo i turisti a spese nostre (ad andarsene per primi non erano profughi di guerra ma la classe benestante e corrotta del paese). Altroché eroi, patrioti che combattono per la democraiza. Quale demcrazia? L’Ucraina è da anni uno stato neonazista che reprimeva fino a torturare e uccidere i suoi cittadini di lingua russa, e negli ultimi mesi se abbiamo avuto un’infinità di prove, testimoniali e video, e nei suoi laboratori segreti finanziati dagli USA cercavano di produrre armi biologiche selettive in base al DNA delle popolazioni da colpire. Quindi l’Ucraina costituiva una minaccia per l’intera umanità. Ad ogni modo la Russia è intervenuta a sta ponendo rimedio a queste aberrazioni, e non è affatto finita in una trappola come pensano molti think tank di analisi geopolitica e strategia militare. L’esito di una trappola lo si valuta alla sua giusta scadenza, non quando fa comodo, valutiamo questa presunta trappola a fine anno e poi vedremo che esito avrà avuto.

Gli USA, UK e la NATO reggeranno fino alla fine dell’anno? O prima di quella scadenza le popolazioni si saranno già rivoltate per le disastrose condizioni di vita che le scelte scellerate dei loro governi hanno causato? Oppure credete che gli ucraini ormai sfiniti e demotivati, il cui governo criminale sta annunciando a gran voce che ad agosto attuerà una potente controffensiva inviando contro i russi un milione di baionette, possano avere successo? Oppure credete che se gli ucraini saranno sconfitti subentreranno i polacchi? Il popolo polacco così russofobico e apparentemente guerrafondaio? Ebbene dissaudetevi, un recente sondaggio interno ha rilevato che nel caso di una guerra vera contro la Russia, i polacchi si riverseranno in massa in Germania a cercare salvezza, dando per scontato che i russi vinceranno e invaderanno o distruggeranno il paese. Lo sapevate? Oppure vi informate presso i media maistream che vi raccontano cazzate dal mattino alla sera. Immaginatevi 30 milioni di polacchi che prende ogni mezzo a disposizione e si riversa sui 472 km di confine con la Germania, un’invasione al contrario rispetto a quella del settembre 1939. E se dovesse accadere cosa pensate faranno le popolazioni dei Paesi Baltici, russofobe e guerrafondaie anche loro? Rimarranno a combattere da sole col cerino acceso in mano? Con buona parte delle loro stesse popolazioni che sono russofone e filorusse e che quindi si rivolteranno contro? Potete stare certi che si riverseranno in Polonia attraverso il corridoio di Suwałki e si accoderanno alle emigrazioni di massa polacche.

Sarebbe il collasso definitivo non solo della Germania, già in ginocchio a causa delle demenziali sanzioni alla Russia, ma anche dell’UE e della NATO e dell’Impero USA in Europa. Nel frattempo ai russi basterebbe chiudere del tutto i rubinetto del gas e degli oleodotti.

Chi è caduto nella trappola?

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

La Turchia, l’Italia e il realismo_di Giuseppe Gagliano

Articolo come sempre ben centrato nella sua consueta essenzialità. Il focus è incentrato su uno Stato, la Turchia e un capo di governo, Erdogan, destinati ad assumere, nella veste di una potenza di media grandezza, un ruolo di primo piano in un ampio, se non addirittura sovradimensionato, in assenza di supporto e placet da parte dei grandi, spazio che va dall’area turcomanna, ai Balcani, all’Europa Orientale, al vicino oriente, al Mediterraneo Centro-Orientale, all’Africa Sahariana e Sub-sahariana. Offre altresì uno spunto interessante sulle miserie domestiche per caratterizzare ulteriormente, a seconda dei casi, la postura rispettivamente di plenipotenziario, di luogotenente e di cerbero di Mario Draghi, sotto le mentite spoglie di Capo di Governo. Non so se avete notato l’apparente discrasia tra l’annuncio trionfalistico e denso di aspettative per il prestigio del paese che ha accompagnato l’investitura a Presidente del Consiglio di Mario Draghi e il tono dimesso che ha accompagnato le particolari e specifiche prestazioni del nostro nell’agone internazionale. Un po’ c’entra la goffaggine con la quale il nostro si è avventurato nelle sue scorribande, specie esterne e prospicienti al suo territorio di elezione e di coltura, l’Europa; una sorta di ripetitore automatico, spesso gracchiante ed approssimativo. Tantissimo c’entra il merito della sua missione e la natura dell’esercizio delle sue funzioni.

Mario Draghi, ammantato dell’aura di supertecnocrate, è stato invocato per sistemare la farraginosa macchina amministrativa quel tanto che bastasse per avviare e mettere in atto il PNRR. Al di là delle aspettative illusorie affidate al piano e al netto dei suoi aspetti compromettenti e vincolanti, il nostro sta deludendo nell’ambito riformatore, sta ampiamente conseguendo altresì l’obbiettivo di vincolare ulteriormente le future politiche economiche e, conseguentemente, le dinamiche geopolitiche del nostro paese al carro NATO-UE ormai sempre più simbiotico. La missione ormai nemmeno tanto più occulta ed imprescindibile è un’altra: condurre con mano i paesi europei dell’area mediterranea all’interno delle spericolate strategie dell’attuale leadership americana. Con poco sforzo Spagna, Portogallo e Grecia hanno seguito il buon pastore in ordine ed allineati. Vigilare sui comportamenti di Macron in Francia e Scholz in Germania. I due conoscono sin troppo bene la propensione gregaria e la fonte primaria della sua affiliazione. E’ evidente lo scarso gradimento riguardo alla sua ossessiva presenza; hanno il serio problema, a prescindere dalla loro indole e propensione politica, di dover fronteggiare i forti impulsi di autonomia presenti all’interno dei rispettivi paesi. Che sia questa la funzione essenziale da svolgere lo si deduce dalla irrilevanza dei risultati ottenuti in ambito UE da Mario Draghi in materia di calmieramento e compensazione dei danni seguiti alla pedissequa attuazione delle sanzioni nominalmente ai danni della Russia. L’aspetto più pernicioso, che rivela per altro definitivamente lo spessore umano della persona e dell’uomo di governo, si è manifestato nella postura assunta di recente nei confronti della Turchia. A fronte di qualche risultato raggiunto nel campo degli scambi commerciali e delle commesse industriali, in settori nei quali per altro l’Italia ha mantenuto parzialmente la capacità produttiva ma perso significativamente il controllo strategico, risalta l’accettazione acritica della superiore postura strategica assunta dalla Turchia in aree di interesse vitale dell’Italia, a cominciare dal controllo degli hub energetici del Mediterraneo Orientale per finire con la gestione della crisi libica. Il tutto ovviamente in linea con l’accettazione pedissequa dei nuovi orientamenti statunitensi nei confronti della Turchia, ma particolarmente onerosi per il nostro paese. Dal punto di vista simbolico la irridente anticamera imposta a Draghi e a mezzo governo italiano in attesa del vertice è stata una significativa illustrazione della reale condizione geopolitica del nostro paese della quale il nostro luogotenente non fa che prendere atto e perseguire, perfezionandola. Questo commento non è una gratuita e sterile manifestazione di livore nei confronti di un personaggio tanto estraneo quanto influente nell’agone politico italiano. Vuole stigmatizzare la tragica e grave condizione nella quale sta trascinando il paese grazie alla sua pedissequa e solerte esecuzione dei dictat statunitensi. Non è demerito suo esclusivo. Ad esso contribuiscono la grettezza della quasi totalità della nostra classe dirigente e, con la parziale eccezione di parte degli ambienti vaticani, la condizione inebetita dell’intero ceto politico. Quest’ultima è ancora una volta patrimonio comune delle compagini che sostengono il governo e della forza di opposizione: la prima a partire dalla veste assunta dal Partito Democratico, il quale per esplicita ed ostentata ammissione, ha scelto una postura “discreta” e riservata proprio per non ostacolare il cammino di Draghi; la seconda, Fratelli d’Italia, assumendo una posizione ostentatamente più realista del re tale da farla apparire pienamente corresponsabile dei prossimi disastri annunciati. Sulla base degli antefatti, molto probabilmente Mario Draghi riuscirà a sgattaiolare senza particolari danni in tempo utile per sfuggire al prossimo redde rationem; addirittura con qualche benemerenza e lascito aggiuntivo. Il cerino acceso rimarrà in mano ai suoi improbabili epigoni. In quel momento, ormai prossimo, il paese dovrà seguire necessariamente una delle due vie obbligate: una opzione autonoma ed indipendente, dai costi comunque pesanti, tale da tirarsi fuori dalla trappola costruita dall’avventurismo disperato dell’attuale leadership statunitense; la continuità nelle attuali per così dire “scelte” che avranno per epilogo l’individuazione definitiva nella Russia del capro espiatorio responsabile del disastro autolesionistico economico-sociale prossimo a venire e relativo corollario di una politica apertamente bellicista, del tutto autolesionistica per l’intero continente europeo. Il compimento tragico di un percorso avviato con la 1a guerra mondiale e proseguito con la 2a. Un paese come l’Italia, il quale quattro anni fa, ha ostentatamente rifiutato di giocare nel Mediterraneo le carte che le sono state offerte, non merita alcuna considerazione, almeno sino a quando non vorrà liberarsi delle proprie nullità al comando. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come le democrazie liberali a volte si piegano alla ragion di Stato. Il caso della Turchia e dell’Egitto. Il corsivo di Giuseppe Gagliano

Numerosi sono i cantori dei supremi valori della democrazia liberale. Valori, questi, che tuttavia – almeno nel contesto della politica estera – vengono profondamente ridimensionati di fronte alla ragion di Stato. Per non dire vanificati. Ieri con l’Egitto. Oggi con la Turchia.

Questa discrasia tra la realtà effettuale e i nostri ideali è pienamente giustificabile e comprensibile all’interno di una determinata cornice teorica quale quella del realismo ma diventa priva di legittimità e di giustificazione se si abbraccia un approccio di tipo liberale alla politica internazionale. Cosa ha indotto il nostro paese a consolidare i propri legami con la Turchia dopo le dichiarazioni di Mario Draghi fatte lo scorso anno a proposito del premier Erdogan definito un dittatore ? Vediamole in breve.

In primo luogo la necessità di contenere i flussi migratori proventi della Libia, sulla quale ormai la Turchia esercita una politica di influenza sempre più rilevante che ha in breve tempo marginalizzato quella italiana; in secondo luogo, grazie al gasdotto Tap l’Italia avrà sempre più bisogno della Turchia. E avrà sempre più bisogno della Turchia come delle nazioni africane e di quelle mediorientali perché l’Italia ha da molto tempo rinunciato ad avere una politica energetica autonoma.

Quanto alle sinergie strette tra Italia e Turchia nel settore degli armamenti queste non fanno altro che consolidare quelle che già esistono da molto tempo, come abbiamo avuto modo di indicare in un articolo precedente. Se poi guardiamo alle scelte poste in essere dal premier turco sia in relazione al vertice di Madrid della Nato – dove è riuscito a ottenere, senza troppo clamore, che in cambio di un suo ‘sì’, in relazione all’ingresso di Helsinki e Stoccolma nella Nato, la Finlandia e la Svezia promettessero di non prestare più sostegno ai leader curdi che Ankara considera ‘terroristi’ -, sia a indurre gli USA a rivedere la loro decisione di non vendere i 40 caccia F16 il vero vincitore del vertice di Madrid è certamente il premier turco.

Forse sulla carta e sui preziosi volumi di diritto internazionale e di filosofia della politica i valori della democrazia sono sacri e puri – come l’amore narrato nei film hollywoodiani – ma nel contesto della realtà conflittuale, quale è quella della politica internazionale, questi valori vengono profondamente ridimensionati e relativizzati. Ecco che allora la realtà concreta nella quale viviamo assomiglia a una via di mezzo fra un dramma e una tragica farsa.

https://www.startmag.it/mondo/turchia-egitto-italia-ragion-di-stato/?fbclid=IwAR01QO-5qz7R_tQLpoOGDb3c83f-DfpOfnKyd9vufBZmVgoMqtKPKi9CTq8

L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO, di Marco Giuliani

L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO

Correva il 2019. Quando il conflitto poteva ancora essere evitato, il leader ucraino remò contro

Nel 2019, una volta eletto presidente ai ballottaggi con il 73% dei voti, Volodymyr Zelensky ha trasformato la sua natura di comico d’avanspettacolo televisivo in cruda realtà, soprattutto quella legata alla sorte futura dei suoi connazionali (malgrado loro). Nel puntualizzare le promesse disattese di questo personaggio, in primo luogo di fronte alla comunità internazionale, è opportuno ripercorrere analiticamente il processo politico che, dal punto di vista di Kiev, ha provocato la tragedia militare in corso da quasi cinque mesi nell’Est europeo. Processo che, come ormai noto a tutti, sta mutando gli equilibri geopolitici di mezzo mondo.

Quali furono i presupposti per la candidatura di Zelensky alla presidenza della Rada ucraina? Quale programma elettorale determinò la sua vasta popolarità nel paese che decise di dargli fiducia? Procediamo per ordine. Oltre alle promesse di “smontare” gli establishments oligarchici che di fatto imperversavano nella cosa pubblica e nell’amministrazione ucraine dando luogo a vasti fenomeni di corruzione, i primi slogan, in politica estera, si ispirarono alla volontà di avvicinare il paese alla zona euro e all’impegno simultaneo di pacificare le aree russofone e quelle a maggioranza ucrainofona, in guerra da decenni (e non dal 2014, come l’informazione convenzionale ripete da tempo). Opzioni entrambe fallite, vuoi per dolo, vuoi per inconsapevole negligenza. Sappiamo che tra le lobbies che sostennero l’ex comico gravitavano personaggi poco limpidi – il controverso banchiere Ihor Kolomoisky, miliardario e vicino agli ambienti neonazisti ucraini, ne è un esempio – ma non è questo il punto. Il problema si è ingigantito a seguito del rifiuto ai posteri di instaurare un dialogo con il Cremlino circa le questioni Crimea-Donbass, dove la popolazione è per circa il 60% a maggioranza russa da secoli, e dove le leggi nel Donetsk contro la libertà di espressione e contro la lingua da parte degli ucraini si sono susseguite negli anni e inasprite – guarda caso – proprio con Zelensky. Il quale Zelensky, soggiogato (ma soprattutto foraggiato) dalla Nato e dai governi occidentali filostatunitensi, non ha fatto altro che provocare il muro contro muro. E di conseguenza, altri morti. Lo ha fatto di fronte alla comunità internazionale, che nonostante tutto, ha iniziato ad appoggiarlo con lo scopo di cercare un casus belli per scontrarsi con Putin.

Non bisogna dimenticare – contrariamente a quanto fanno oggi i leaders e i media mainstream euro-atlantici – che nel 2010, alle presidenziali indette da Kiev, i candidati filorussi presero il 90% dei voti. Dopo di che, dal 2019 a oggi, che corre la metà del 2022, le condizioni nell’Ucraina sudorientale sono precipitate. Non solo a causa dell’attacco russo, ma anche perché smentendo quanto garantito nel suo programma politico preelettorale, l’ex comico ha fatto l’opposto di ciò che sarebbe stato opportuno e sacrosanto per evitare la guerra, o quanto meno interromperla: complicità in quelle che si possono definire vere e proprie leggi razziali ai danni delle minoranze russofone, il rifiuto per qualsiasi tipo di trattativa per giungere ad accordi bilaterali che ratificassero la carta di Minsk, e in ultimo, la svolta atlantista e guerrafondaia che nel tempo ha attirato a sé tutta una serie di movimenti neonazisti ben armati e sfruttati militarmente in chiave antirussa. Salvo farli passare da molti per “eroi della resistenza”.

La recrudescenza del sentimento di contrapposizione a coloro che ormai vengono considerati da Biden & c. come i nemici da abbattere senza compromessi, ha pochi precedenti, se non dal 1945; detta condizione, legata alla paventata e stupida idea di fornire armi non più difensive ma a lungo raggio a Kiev (promossa dal deposto Johnson e non scartata dal governo italiano “dei migliori”), a conflitto ormai in corso e ferme restando le colpe di Mosca, suggerisce che c’è premeditazione. Da un lato gli alleati atlantici, che hanno trasformato l’Europa in una propria succursale senza proporre compromessi bensì rimpinguando lo scontro, e dall’altro un governo che in pieno terzo millennio usa mezzi vecchi e spicci per risolvere controversie internazionali. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

 

MARCO GIULIANI

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

  1. Sciuto, Quegli strani neonazisti europeisti e atlantisti in Ucraina, articolo del 7 marzo 2022 in Micromega –

www.analisidifesa.it

www.balcanicaucaso.org

www.iltempo.it, pagina del 2 giugno 2022

www.ukrcensus.gov.ua., censimento della popolazione ucraina effettuato nel 2001 –

 

 

 

 

 

 

 

PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?_di Roberto Buffagni

PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?

Che cosa vuole dire che “l’Ucraina non può vincere contro la Russia”?

Vuole dire che:

  1. Le risorse strategiche russe (popolazione, “potenza latente” economica, “potenza manifesta” militare, ossia truppe mobilitate e mobilitabili + armamenti e materiali + arsenale atomico tattico e strategico) sono di gran lunga superiori alle risorse strategiche ucraine, nonostante gli aiuti militari e finanziari occidentali.
  2. Il contesto delle ostilità in Ucraina è la strategia statunitense: prolungamento della guerra a tempo indeterminato, dissanguamento e destabilizzazione politica della Russia, regime change, frammentazione politica della Federazione russa, in vista del contenimento del nemico principale, la Cina. In sintesi, i dirigenti ucraini hanno noleggiato la loro popolazione, il loro Stato, le loro FFA per il perseguimento di questa strategia statunitense.
  3. La strategia statunitense rappresenta una chiara minaccia esistenziale per la Federazione russa, che non può permettersi di perdere il confronto militare con l’Ucraina, che è una sineddoche del confronto Russia/USA-NATO.
  4. Ciò implica che l’Ucraina non può fare ricorso all’unica strategia politico-militare possibile per il debole nei confronti del forte: rendere sfavorevole, per il forte, il rapporto costi/benefici del conflitto con il debole.Tu mi puoi sconfiggere e conquistare, ma ti costerà più di quel che ti rende.” È il criterio ordinatore della strategia di “dissuasion du faible au fort” elaborata dal gen. Gallois per l’istituzione della force de frappe nucleare francese voluta da de Gaulle.
  5. Mi spiego meglio. Il debole, in questo caso l’Ucraina, può infliggere gravi perdite umane, materiali e politiche al forte, la Russia. Se la posta in gioco fosse limitata, ad esempio una controversia territoriale, patendo l’accanita resistenza del debole il forte potrebbe, in base a un calcolo costi/benefici, accettare un compromesso, riducendo le sue esigenze politiche a quanto ritiene strettamente necessario; o addirittura rinunciare a combattere e ritirarsi, come fecero gli Stati Uniti in Vietnam.
  6. Se invece il forte, come nel presente caso, non può permettersi di perdere la guerra, perché una sconfitta decisiva mette a rischio la sua sopravvivenza politica, esso sarà disposto a sopportare qualsiasi costo del conflitto, e impiegherà tutte le sue risorse strategiche per vincerlo. Al debole, dunque, non basterà infliggere ripetute sconfitte tattiche al forte, né infliggergli gravi perdite, anche superiori alle proprie, per spezzare la sua volontà di combattere.
  7. Dunque, paradossalmente, è proprio l’unanime schieramento occidentale a sostegno dell’Ucraina a garantire che l’Ucraina sarà sconfitta dalla Russia.
  8. Infatti, il sostegno occidentale all’Ucraina non può spingersi fino a un conflitto diretto NATO-Russia, per l’elevato rischio di una escalation nucleare, tattica ma anche strategica, delle ostilità, che metterebbe a rischio lo stesso territorio statunitense. Dunque, lo schieramento NATO non può riequilibrare i rapporti di forza tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe.
  9. Lo schieramento NATO in appoggio all’Ucraina, invece, sortisce l’effetto paradossale di alzare la posta del conflitto fino al cielo, per la Russia, perché ne minaccia la sopravvivenza politica e dunque la costringe a vincere ad ogni costo, perché per la Russia, qualsiasi costo delle ostilità sarà sempre minore della propria distruzione.
  10. Questa maestosa eterogenesi dei fini fa sì che l’Ucraina sia matematicamente condannata alla sconfitta. Scrivo “matematicamente” perché se l’Ucraina non può adottare la strategia “du faible au fort”, rendendo sfavorevole per la Russia il rapporto costi/benefici del conflitto, ad operare sarà la semplice proporzione matematica tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe, più che sufficiente a predeterminare l’esito del conflitto.

La giunta maliana non è un “regime difensivo nazionalista” ma un pioniere africano, di Andrew Korybko

Ci siamo soffermati più volte sul Mali, grazie anche ai fondamentali contributi di Bernard Lugan. E’ stato il primo paese a subire i pesanti contraccolpi dello scellerato intervento della NATO in Libia, nel 2011, conclusosi con il terribile eccidio di Gheddafi e di uno dei suoi figli. Le truppe scelte di pretoriani, rimasti orfani del capo e mecenate, presero la strada del Mali e diedero un apporto sostanziale alla ripresa dei conflitti di natura tribale in un quadro di contrapposizione atavica tra la popolazione nera stanziale e quella nomade presente a nord del paese. I francesi furono chiamati dai militari al governo a sedare la ribellione. Agirono, più o meno pretestuosamente, adottando il comodo discrimine del conflitto religioso, facendo della guerra al radicalismo islamico il vessillo delle loro imprese e costringendo l’azione politico-militare entro questa chiave largamente fuorviante. Il risultato è stato l’acuirsi delle rivalità e il fallimento disastroso dell’operazione nell’immediato. Ancora peggiori e disastrose le conseguenze future, in particolare per la Francia e per tutti i paesi, compresa l’Italia, i quali del tutto gratuitamente hanno offerto il sostegno all’operazione. Il discredito e l’alea di impotenza ed inaffidabilità rapace che sono riusciti a generare priverà di senso e autorevolezza ogni dichiarazione di intenti per decenni. La situazione dei regimi politici africani è profondamente cambiata. Sono realtà fortemente dipendenti dal punto di vista economico e politico, ma non sono più semplici marionette da manipolare a piacimento; soprattutto possono contare su numerosi interlocutori alternativi all’Occidente, dalla Cina, alla Russia, alla Turchia, all’India, ai sauditi. Hanno rapidamente imparato a non dire sì prima ancora che si pongano le domande. Una postura che il ceto politico italiota è ancora lungi da perseguire con la conseguente immagine e realtà di vacuità ed insignificanza che l’Italia ormai offre da tempo. Mario Draghi ne rappresenta solo l’apoteosi e l’essenza mortifera definitiva. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Colpo di stato in Mali; come la giunta ecowas ha revocato le sanzioni economiche

L’esempio maliano incute timore nel cuore dei leader occidentali poiché li fa sospettare che alcuni degli stessi uomini incaricati di far rispettare i loro regimi neocoloniali nell’Africa occidentale potrebbero essere segretamente combattenti per la libertà antimperialisti che complottano per rovesciare questi sistemi ingiusti dall’interno come la giunta di quel paese era chiaramente con il senno di poi.

La BBC ha condannato la giunta maliana come un cosiddetto “regime nazionalista difensivo” che “ha abilmente giocato” sulle percezioni popolari nella regione per convincere l’ECOWAS a revocare le sue sanzioni paralizzanti in un pezzo che l’outlet ha appena pubblicato intitolato ” Colpo di stato in Mali: come la giunta ha fatto revocare le sanzioni economiche di Ecowas ”. Non è altro che un pezzo di successo che ruota la valorosa difesa della giunta di interessi nazionali oggettivi di fronte alle sanzioni neoimperialistiche sostenute dalla Francia dell’ECOWAS a causa della paura che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha dell’esempio continentale dato da Bamako.

Attraverso “l’approvazione di una nuova legge elettorale e disposizioni per un’autorità elettorale, e una tabella di marcia dettagliata per la transizione e, soprattutto, un calendario fisso che fissa una scadenza fissa per il primo turno delle elezioni presidenziali che si terrà a febbraio 2024”, la giunta ha convinto questo blocco regionale a revocare le sue restrizioni economiche nei confronti del Paese. Rispondendo con aria di sfida a “ogni messaggio duro di Ecowas o dell’Europa e delle Nazioni Unite”, sono stati anche in grado di convincere il popolo dell’Africa occidentale che l’ECOWAS sta effettivamente lavorando contro tutti loro, il che è ciò che ha portato alla revoca delle sanzioni.

Dopotutto, l’ECOWAS pretende di agire in nome del popolo dei suoi stati membri, ergo il pretesto con cui ha sanzionato in primo luogo la giunta maliana. La falsa base era quella di “ristabilire la democrazia” lì, ma l’ultimo colpo di stato è stato davvero popolare tra le masse che la BBC, a suo merito, ha accuratamente riferito che erano desiderose “di un cambiamento radicale in un paese la cui élite tradizionale era stata presumibilmente marcita dalla corruzione e dall’autocompiacimento. ” Insieme alla campagna “antiterrorista” lunga anni della Francia che molti ritenevano fosse una copertura per lo sfruttamento neocoloniale del paese, è chiaro il motivo per cui si è verificato il colpo di stato.

La giunta maliana ha quindi aperto la strada a un nuovo modello da seguire per tutti gli altri paesi africani. In primo luogo, l’esercito era motivato da ragioni genuinamente patriottiche e antimperialistiche per rovesciare il governo corrotto sostenuto dalla Francia. In secondo luogo, questa era una sincera espressione della volontà popolare. In terzo luogo, la successiva sanzione da parte dell’ECOWAS del loro stato ha peggiorato direttamente la vita della gente media. In quarto luogo, invece di rivoltarli contro la giunta, ha cambiato decisamente il loro atteggiamento contro l’ECOWAS ei suoi sostenitori occidentali. E quinto, la risposta provocatoria della giunta a tutte le pressioni ha ispirato gli africani ovunque.

Elaborando quest’ultimo punto, tutti hanno visto come un movimento militare genuinamente patriottico e popolare può resistere a un blocco regionale sostenuto dall’Occidente di fronte a sanzioni paralizzanti senza concedere unilateralmente alcuna questione di interessi nazionali oggettivi. Al contrario, la giunta ha articolato in modo convincente questi stessi interessi in risposta a pressioni massicce e quindi è servita a educare la popolazione su di essi, il che a sua volta ha aumentato ulteriormente il loro sostegno. Questa rivoluzione della coscienza di massa, che era già in divenire da molto tempo, può essere descritta come un punto di svolta.

Questo perché non è solo un’esclusiva del Mali, ma si sta diffondendo in tutta l’Africa occidentale – che è pronta a diventare un importante campo di battaglia per procura nella Nuova Guerra Fredda – e nel continente in senso più ampio. Dall’altra parte dell’Africa, la sfida altrettanto coraggiosa dell’Etiopia di fronte a pressioni senza precedenti su di essa per concedere unilateralmente la sua autonomia strategica in risposta alla Guerra del terrore ibrida guidata dagli Stati Uniti, sostenuta dall’Occidente e organizzata dall’Egitto, dal TPLF, ha stabilito un identico esempio. Presi insieme, Etiopia e Mali stanno dimostrando che esistono percorsi diversi verso gli stessi obiettivi di sovranità.

Che siano guidati da un leader genuinamente popolare eletto democraticamente come in Etiopia o da un militare genuinamente popolare salito al potere con un colpo di stato come in Mali, i paesi africani possono proteggere la loro sovranità fintanto che i loro massimi rappresentanti hanno veramente la volontà politica di farlo. Certamente comporta costi considerevoli, come dimostrato da tutto ciò che l’Etiopia ha vissuto come punizione per le sue politiche indipendenti e le enormi sofferenze inflitte al popolo maliano dalle sanzioni neoimperiali dell’ECOWAS, ma questi costi valgono probabilmente la pena per difendere il loro onore e indipendenza.

L’esempio maliano incute timore nei cuori dei leader occidentali ancor più di quello etiope, anche se fa sospettare che alcuni degli stessi uomini incaricati di far rispettare i loro regimi neocoloniali in Africa occidentale potrebbero essere segretamente combattenti per la libertà antimperialisti che complottano per rovesciare questi sistemi ingiusti dall’interno come la giunta di quel paese era chiaramente col senno di poi. Elezioni democratiche come quella che ha confermato la premiership di Abiy Ahmed si verificano in date programmate mentre i colpi di stato militari si verificano inaspettatamente e talvolta quando meno se lo aspetta il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti.

Considerando il fatto che molteplici regimi neocoloniali sostenuti dall’Occidente continuano ad esistere in Africa occidentale e oltre, l’esempio dato dal Mali potrebbe ispirare “imitatori” in tutto il continente, soprattutto perché hanno appena visto che rispondere con aria di sfida a tutte le pressioni su di loro può avere successo nell’alleviarne alcune manifestazioni come le sanzioni senza concedere unilateralmente interessi nazionali oggettivi. Ecco perché la giunta ha fatto tremare di paura i leader occidentali per ciò che ha appena ottenuto, ecco perché la BBC ha cercato di screditarlo, anche se falliranno nel manipolare le percezioni regionali su di loro.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3056

Ucraina e Africa sono una formula esplosiva per l’UE, di cui pare non avere consapevolezza alcuna. Di Claudio Martinotti Doria

Premetto che non mi ripeterò rispetto a quanto ho già scritto in precedenza, perché francamente ho poca voglia di scrivere, ritenendo che chi è sinceramente desideroso di sapere, capire e interpretare la realtà che ci circonda e prevedere quella che si approssima, dovrebbe ricercare fonti attendibili d’informazione e non abbeverarsi ai media mainstream che fanno solo propaganda di regime, non dovrebbe fare scelte comode e omologate o far finta di nulla e rifiutarsi di sapere come realmente stanno le cose, ma semmai assumersi le proprie responsabilità individuali cercando di fare scelte consapevoli.

Dopo questa breve premessa veniamo all’oggetto di questo mio sintetico intervento: Ucraina (intesa come situazione complessiva in corso e sue ripercussioni) e Africa e la loro stretta correlazione geopolitica, economica e antropologico culturale.

Sull’Ucraina ormai tutti dovrebbero aver capito che il Donbass è stato quasi totalmente liberato dalle forze armate russe e donbassiane e quindi la guerra per gli ucraini è persa nonostante le decine di miliardi armi e finanziamenti stanziati dagli USA, NATO e UE (che vengono usate per colpire obiettivi civili russi e donbassiani) e gli otto anni di addestramento e guerra intestina guidata dagli specialisti NATO nel paese, con lo scopo di provocare e aggredire la Russia per poi smembrarla e depredarla delle sue risorse naturali, perché questo era ed è tuttora lo scopo degli angloamericani, ci sono i piani resi pubblici sui vari siti istituzionali militari e dei principali think tank atlantisti, andate a cercarli e leggeteli.

Dopo il Donbass le forze armate russe e donbassiane, come ho scritto fin dalla fine di febbraio di quest’anno, si dedicheranno all’oblast di Odessa ricongiungendosi alla Transnistria russa, e agli oblast del nordest del paese fino a giungere al grande fiume Dnepr che fungerà da confine naturale tra i due blocchi. L’Ucraina senza le sue regioni più ricche, senza sbocco al mare, diverrà del tutto una colonia polacco-americana, onerosa da mantenere, in quanto ridotta in miseria e difficile da controllare in quanto con una popolazione incazzata (non ben disposta, se vogliamo ricorrere al politically correct.

Anche la guerra economica alla Russia è fallita e si è ritorta contro l’Occidente, UE in primis. Paradossalmente con questa pessima strategia si è favorito proprio quello che si temeva, cioè la creazione di un mondo multipolare con Russia Cina e India (e altri grandi paesi e quasi interi continenti) da un lato e dall’altro un mondo occidentale sempre più isolato e in declino, fondato sulla sottomissione coloniale agli USA come potenza unilaterale ormai al collasso, che sta perdendo il controllo finanziario e militare del mondo. Non sto a soffermarmi sui vari disastri provocati da queste strategie deleterie e disastrose, stagflazione e crisi energetica autoindotta in primis, perché dovreste esserne ormai consapevoli e il peggio deve ancora avvenire, probabilmente già in autunno.

Vediamo invece quali altri disastri si approssimano e non sono stati considerati nella loro gravità: l’Africa.

L’Africa era già una polveriera prima della guerra in Ucraina e delle assurde, per non dire demenziali sanzioni alla Russia, ora sta per esplodere.

L’Africa nel suo complesso, salvo rare eccezioni, ha sempre dovuto subire lo sfruttamento postcoloniale delle multinazionali occidentali, le modalità sono sempre state le stesse ripetute aridamente: si corrompe l’élite locale in genere tribale perché prenda il potere o lo conservi in cambio di concessioni di sfruttamento minerario ed altro, la quale a sua volta tramite un esercito agguerrito e ben remunerato impone la sua volontà e il controllo repressivo sulla maggioranza della popolazione tenuta a livelli di povertà assoluta, mentre l’élite locale si arricchisce. Complici di questo stato di cose tutte le istituzioni internazionali (evito di citare le varie sigle, sostanzialmente ci sono tutte), carrozzoni parassitari al servizio dei poteri forti angloamericani ed europei.

Orbene pochi sanno che la Russia, non solo non ha mai partecipato a questa predazione parassitaria cinica e spietata, ma semmai ha applicato metodologie simili a quelle di Enrico Mattei negli anni ‘50 e ’60 quando agiva per conto di un’Italia non ancora del tutto asservita agli interessi angloamericani. Cioè agiva rispettando le popolazioni locali, evitando la corruzione eccessiva e l’incitamento alla guerra civile, coinvolgendo gli stati africani alla compartecipazione al business pariteticamente o quantomeno trattandoli con maggiore rispetto e onestà. Non solo, la Russia ha da decenni agito a favore degli stati africani per liberarli dalla loro schiavitù da indebitamento e colonizzazione occulta, la stragrande maggioranza della classe dirigente africana si è formata nelle accademie e università russe, spesso ospitata gratuitamente, e di questo impegno russo gli africani sono quasi tutti consapevoli, ne sono intimamente grati e simpatizzano per i russi, ma questo ovviamente non lo trovate pubblicato sui media mainstream. Ma avreste potuto intuirlo, infatti dopo la risoluzione di condanna dell’ONU e l’applicazione delle sanzioni alla Russia quasi tutti gli stati africani si sono rifiutati di aderirvi, per loro sarebbe stato un tradimento nei confronti dell’unico paese che non li ha mai sfruttati ma semmai aiutati. Ma in questo caso non si tratta solo di essere politicamente filorussi, la situazione è più grave. L’Africa per gli approvvigionamenti alimentari ed energetici e logistici dipende in gran parte dalla Russia e dalle regioni del Mar Nero, leggasi in primis Ucraina. Se ci sarà uno stop a questi approvvigionamenti l’Africa esploderà a causa di gravi carestie e non si tratterà solo di immigrazioni di massa che confluiranno sull’Europa, ma di guerre civili e infiltrazioni di organizzazioni criminali e persone pericolose che penetreranno sul suolo europeo arrecando danni immani. L’Europa sta rischiando una deflagrazione mai vista nella sua storia precedente e deve ringraziare la sua classe dirigente mediocre, incompetente, corrotta e iniqua, invece di perdersi dietro al cazzeggio politico mediatico ipocrita e imbarazzante, spesso da mentecatti.  Sarebbe meglio lasciar spazio alle diplomazie serie e qualificate oltre a lasciar mano libera alla Russia di porre rimedio, l’Unica in grado di evitare la catastrofe avviata dagli angloamericani, intervenendo in maniera appropriata in Africa, come ha dimostrato di saper fare già in alcuni paesi dove i rapporti con la Russia sono molto stretti, intensi e costruttivi, dove, per capirci fino in fondo, la Russia è di casa, nonostante qualche imbecille di leader occidentale ritenesse di sfidarla tramite l’Ucraina, senza rendersi conto che era già presente sul Mediterraneo proprio di fronte alle sue coste.

Ma forse ormai l’Occidente ha scelto la distruzione propria e altrui come unica soluzione al suo inesorabile fallimento a 360 gradi, della serie “muoia Sansone con tutti i Filistei”.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

QUANTO COSTA LA BONTA’?_di Roberto Buffagni

QUANTO COSTA LA BONTA’?

Non so se noi italiani abbiamo capito che la strategia americana sull’Ucraina (prolungare la guerra, dissanguare la Russia, provocarne la destabilizzazione e la frammentazione politica in vista del contenimento della Cina) ha un effetto collaterale garantito, per noi: rapida fine del welfare, per quel che ne resta, che non è poco (sanità e istruzione pubbliche anzitutto).

Sono molto ignorante in economia, se qualcuno che se ne intende correggerà gli errori che certo commetterò gliene sarò grato. In logica però me la cavo. La logica che propongo è la seguente.

La strategia americana implica questi presupposti:

  1. Finanziare a tempo indeterminato l’Ucraina, uno Stato in guerra con una grande potenza dotata di risorse strategiche di molto superiori; uno Stato la cui economia è già devastata, e lo sarà progressivamente sempre di più. Dunque non solo finanziare le FFAA ucraine, ma un intero paese grande il doppio dell’Italia che già ora non è in grado di provvedere autonomamente ai bisogni elementari della sua popolazione e delle sue istituzioni, e lo sarà sempre meno.
  2. L’Europa mediterranea non conta più nulla, conta soltanto l’Europa Orientale e Scandinava, che deve diventare l’hub logistico della guerra contro la Russia, fornire truppe, prendere posizioni politiche utili (es., adesione alla NATO di Finlandia e Svezia).
  3. Qualcuno deve pagare i conti al punto 1 e 2 + tutti i conti accessori, ad es. quel che chiede e chiederà la Turchia, un elemento chiave nella strategia USA. C’è un limite anche alle possibilità americane di erogare denaro con la bacchetta magica della FED. Chi paga il resto? Secondo me paga l’Europa mediterranea, e in prima fila l’Italia, il Bel Paese dove il sì suona ancor prima che gli americani pongano le domande.

Morale: non solo perdiamo mercati per noi molto importanti come il mercato russo, ma dobbiamo pagare il conto stratosferico della strategia che ce li fa perdere. Da dove usciranno questi soldi? Qualcosa mi suggerisce che usciranno dal risparmio degli italiani + dalle casse dello Stato italiano. Il quale non ha la bacchetta magica della FED, non può erogare a debito neanche un euro senza il permesso della UE che ormai coincide con la NATO, e dunque taglierà progressivamente il welfare, obiettivo: welfare zero.

Le classi dirigenti italiane cercheranno di indorare la pillola con cantafavole sulla battaglia della democrazia contro le autocrazie, con la promessa che domani si farà credito, con provvedimenti assistenziali tipo cerottino sulle ferite da mitragliatrice, con la difesa dei diritti inalienabili dell’individuo tipo il suicidio assistito. Quando il confronto tra realtà della vita quotidiana e cantafavole le polverizzerà, si verificheranno vari disordini e proteste che però, non trovando organizzazione e direzione politica adeguate, saranno spente con il vecchio sistema del bastone (manganellate in piazza, denunce e processi a raffica, accertamenti fiscali ai riottosi, etc.).

Sintesi: se vogliamo evitare il peggio, c’è un cambiamento preliminare che noi italiani dovremmo tentare. Il cambiamento è: smettere di identificarci con gli americani, perché almeno oggi, identificarci con gli americani = identificarci con l’aggressore (così funziona la sindrome di Stoccolma).

La subalternità dell’Italia agli USA è un fatto incontestabile, perché l’Italia è stata sconfitta nella IIGM, e assegnata, a Yalta, alla zona d’influenza statunitense. Sino all’implosione dell’URSS, questa subalternità è stata gestita in modo sostanzialmente favorevole, o almeno tollerabile, per l’Italia: per gli USA l’Italia era strategicamente importante, e le classi dirigenti italiane si ritagliavano un margine di autonomia politica per realizzare, nei limiti del possibile, l’interesse nazionale.

Oggi, l’Italia non ha importanza strategica, per gli Stati Uniti. Ce l’avrebbe solo in negativo, ossia se manifestasse serie intenzioni di rompere il fronte NATO – UE e quindi di intralciare o compromettere la strategia antirussa e anticinese americana. Dunque l’Italia passa dalla condizione di Stato satellite alla condizione di colonia vera e propria, da cui estrarre valore politico (adesione perinde ac cadaver alla politica estera USA) e valore economico (pagare il conto della strategia USA), e basta. Se le condizioni sociali della colonia Italia vanno in malora, agli Stati Uniti interessa il giusto: cioè molto, molto poco.

Come si reagisce a queste condizioni poco simpatiche? Anzitutto, fare un esame di realtà e rendersi conto che non possiamo MAI PIU’ ragionare come se l’interesse statunitense e l’interesse italiano coincidessero. Può avvenire, ma sarà sempre una rara eccezione, mai la regola. Poi, imparare a contrattare, e a giocare su più tavoli: come hanno imparato a fare i paesi africani, le ex colonie occidentali che l’esame di realtà, e molto severo, l’hanno dovuto fare prima di noi.

Bisogna anche smettere di identificarsi emotivamente e culturalmente con gli americani. Non è facile, perché il soft power statunitense ha lavorato a lungo e a fondo, e siccome per la cultura eccezionalista americana gli americani sono sempre i Buoni, identificandoci psicologicamente con loro ci sentiamo anche noi Quasi Buoni, sulla via di diventare – domani, quando il Progresso farà credito – Buoni del tutto, Buoni d.o.c..

È bello, sentirsi buoni. Però il presupposto di ogni esame di realtà è riconoscere che anche noi, e non solo gli altri, abbiamo qualcosa che non va: che anche una parte di noi è cattiva, meschina, ignobile. È difficile, è umiliante, lo so. Ma la Bontà, purtroppo, la Bontà non ce la possiamo più permettere. That’s all, folks.

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