Blinken e Lavrov incontro a Ginevra: due passi avanti e uno indietro, di Gilbert Doctorow

Un resoconto attendibile_Giuseppe Germinario

Contrariamente alle mie aspettative, l’incontro di 90 minuti di Blinken e Lavrov di ieri a Ginevra sembra aver avuto qualche giustificazione e si è concluso con una prognosi leggermente migliore per la risoluzione delle crisi, sia quelle ai confini dell’Ucraina che quelle nelle relazioni bilaterali USA-Russia oltre la soddisfazione delle richieste russe che l’architettura di sicurezza dell’Europa venga ridisegnata.

Molto sottilmente, la seconda questione si sta spostando al centro dell’attenzione, che è, di per sé, un risultato innegabile della politica dichiarata da Vladimir Putin di mantenere e intensificare la pressione sull’Occidente affinché venga ascoltato sulle sue preoccupazioni in materia di sicurezza.

Nella sua conferenza stampa dopo l’incontro, Blinken ha ripetuto la sua ormai ritualistica affermazione secondo cui ci sarà una severa punizione economica se la Russia invaderà l’Ucraina. Tuttavia, ha anche affermato che gli Stati Uniti presenteranno alla Russia una risposta scritta alla loro bozza di trattati del 15 dicembre entro la prossima settimana. A questo ha aggiunto che le parti si incontreranno di nuovo a livello ministeriale dopo tale presentazione e, cosa più significativa, che il presidente degli Stati Uniti è pronto a tenere un altro vertice con il presidente Putin se le parti lo riterranno utile.

Da quanto sopra si può trarre il messaggio che ci sarà una sostanziale controfferta da parte degli Stati Uniti al testo russo che sarà sufficientemente interessante perché i colloqui possano continuare e persino essere portati al livello presidenziale.

Nella sua conferenza stampa separata, Sergei Lavrov ha rifiutato di definire i colloqui come se procedessero bene o meno e ha insistito sul fatto che sarà chiaro solo dopo che la presentazione americana sarà stata ricevuta. Ha spiegato ai giornalisti che la sostanza dell’incontro era stata quella di fornire agli americani chiarimenti su diversi punti della bozza dei trattati. Possiamo presumere che uno di questi chiarimenti riguardasse il significato della richiesta russa che la NATO tornasse allo status quo del 1997 prima dell’adesione degli ex paesi membri del Patto di Varsavia. Ora ci è stato detto che nel caso della Bulgaria e della Romania, ad esempio, tutte le truppe e le installazioni della NATO avrebbero dovuto essere rimosse.

A margine dei colloqui, una notizia interessante e rilevante che la televisione di stato russa ha riportato ma che non ho visto nei media occidentali. Il viceministro degli Affari esteri russo Sergei Ryabkov ha detto a un giornalista che lo ha incontrato nel guardaroba mentre si stava recando alla riunione: “Non abbiamo paura di nessuno, compresi gli Stati Uniti!”

Questa è un’affermazione che solo una manciata di nazioni nel mondo può fare. Riflette la ritrovata fiducia in se stessi che sta spingendo i russi in avanti nella loro attuale ricerca di un trattamento alla pari da parte dell’Occidente collettivo e di mutate disposizioni di sicurezza in Europa.

Questo ci porta all’altro lato dell’equazione: il passo indietro. Sia la Russia da un lato che gli Stati Uniti con i paesi membri della NATO dall’altro stanno procedendo a ritmo sostenuto con il tintinnio della sciabola.

L’ambasciata americana a Kiev ha annunciato ieri l’arrivo in aereo di nuove sostanziali “armi letali” in Ucraina, a quanto pare munizioni. Nel frattempo, il giorno prima, il Regno Unito aveva effettuato numerosi voli su Kiev per portare armi e addestratori/consiglieri militari d’élite.

Da parte sua, la Russia ha annunciato ieri l’inizio immediato di un esercitazione generale di potenza navale che include lo sbarco di navi d’assalto nel Mar Nero. La Russia ha anche aggiunto negli ultimi giorni altri 6.000 soldati alle sue 100.000 forze ai confini dell’Ucraina e ha portato i lanciamissili Iskander in grado di effettuare attacchi precisi e altamente distruttivi su Kiev. Inoltre, la Russia ha portato in teatro i suoi missili di difesa aerea S-400, che le consentirebbero di imporre una “no fly zone” sull’Ucraina in qualsiasi momento a sua scelta, negando così l’accesso agli Stati Uniti e ad altri aerei alleati per la consegna di ulteriori armi o per l’esecuzione di ricognizioni aeree.

Tutte le precedenti misure russe si adattano perfettamente alla descrizione delle “misure tecniche militari” che Vladimir Putin aveva affermato che la Russia applicherà se i colloqui con gli Stati Uniti sulle sue richieste di sicurezza dovessero raggiungere un vicolo cieco.

Finora non è stato sparato un solo colpo. C’è una tensione accresciuta ma nessuna guerra. È lecito ritenere che questa linea di guerra psicologica sia proprio la strategia preferita dal presidente russo per raggiungere il suo obiettivo di rivedere l’architettura di sicurezza europea.

Già si stanno acuendo le divergenze all’interno dell’Europa su come rispondere alle richieste russe. In un lungo discorso al Parlamento europeo riunito a Strasburgo, il presidente francese Emanuel Macron ha parlato della necessità di un approccio per soli europei alla Russia su questa questione, mostrando più di una certa misura di scetticismo se non di disprezzo per l’amministrazione Biden. E il cancelliere tedesco Scholz ha domato la sua inesperta e chiacchierona ministro degli esteri del Partito dei Verdi, Annalena Baerbock, e ha preso lui stesso l’iniziativa di separarsi dagli Stati Uniti e dai membri della NATO su come trattare con Mosca. Anche il reportage della BBC di ieri sui voli degli aerei britannici che trasportavano rifornimenti militari in Ucraina ha mostrato l’ampio arco con cui hanno aggirato lo spazio aereo tedesco, viaggiando invece a nord attraverso la Danimarca per evitare conflitti con la politica del governo tedesco contro l’invio di armi in Ucraina nelle condizioni attuali .

Allo stesso modo, il Financial Times e l’altra stampa occidentale mainstream stanno ora prestando molta più attenzione alle richieste di sicurezza russe che erano state precedentemente sepolte nella copertura dello stallo al confine tra Ucraina e Russia.

Il compito davanti a Vladimir Putin è convertire quella che la leadership russa ritiene essere la loro attuale “finestra di opportunità”, quando hanno un vantaggio militare strategico e tattico sugli Stati Uniti e la NATO, in un guadagno politico. Chiedono modifiche all’architettura di sicurezza che normalmente arrivano solo dopo che una parte ha vinto una guerra. È diabolicamente difficile da raggiungere senza “spezzare qualche porcellana”, anche se questo è il vincolo a cui sta lavorando il sempre cauto Putin.

A parte gli sciocchi ideologicamente accecati negli Stati Uniti, tra cui noti ex diplomatici come Ivo Daalder (ambasciatore presso la NATO 2009-2013) che ha pubblicato la sua opinione su come vincolare Putin sul Financial Times due giorni fa, i politici e gli statisti realistici negli Stati Uniti, di cui ce n’erano sempre parecchi, ora sono seduti con la schiena dritta e prestano attenzione a Putin. Da tempo non sentiamo le parole ‘thug’ o ‘killer’ applicate al suo nome. Il peggio che sentiamo da persone come Daalder è che è un “dittatore” e quindi per definizione è il nostro avversario nella lotta globale tra i paesi democratici che amano la libertà e le dittature. Ma tali assurdità ideologiche neocon sono sempre state una maschera per il consumo popolare sull’amara pillola del dominio militare americano. Ora la fiducia in quel dominio viene messa a dura prova dai russi.

Tutto ciò mi porta oggi al punto finale, fino a che punto la fiducia russa nella sua posizione negoziale è aiutata dalla crescente alleanza del Paese con la Cina.

Negli Stati Uniti, negli ultimi anni in cui la Cina è stata identificata dal presidente degli Stati Uniti Trump come il potenziale nemico pubblico numero uno che doveva essere contenuto a tutti i costi, c’è stato un colpo di batteria sulla stampa americana che ci diceva che la RPC è impegnata a sviluppare quelle che presto saranno le forze armate più potenti del mondo.

Nell’agosto 2021, quando i cinesi hanno condotto i primi test sui propri missili ipersonici, i giornali occidentali hanno citato tutti un funzionario del Pentagono che ha affermato che si trattava di un nuovo “momento Sputnik”, il che significa che i cinesi erano avanzati tecnologicamente con un nuovo fantastico sistema d’arma. Hanno tutti ignorato il fatto che i russi avevano fatto lo stesso tre anni prima e ora avevano missili plananti ipersonici pronti per la produzione in serie.

In breve, i media occidentali e, presumibilmente, la maggior parte dei politici occidentali sono stati ingannati dalla loro stessa propaganda prevalente sul fatto che la Russia fosse una potenza in declino con la capacità solo di agire come “spoiler” e hanno ignorato la realtà che i russi stanno dicendo ad alta voce e chiaramente oggi: che hanno le forze armate più moderne del mondo e sono seconde per forza a livello globale solo agli Stati Uniti.

Ciò significa che il fattore cinese nelle azioni strategiche russe esiste solo nell’ambito economico, dove la cooperazione con la Cina in caso di drastiche sanzioni statunitensi ed europee come l’interruzione di SWIFT sarà molto importante per la stabilità dell’economia russa e potenziale militare. Tuttavia, sotto tutti gli altri aspetti, il fattore Cina è utile alla Russia solo come spaventapasseri, per sollevare i timori degli Stati Uniti di un attacco cinese simultaneo su Taiwan quando i russi invadono l’Ucraina. È probabile che nessuno dei due eventi accada, ma la possibilità è un’altra caratteristica della guerra psicologica in corso della Russia per raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/01/22/blinken-and-lavrov-meeting-in-geneva-two-steps-forward-and-one-step-back/

LO STATO LUNGO DI PUTIN, di GALIA ACKERMAN

Un altro importante documento utile a comprendere i fondamenti della politica estera ed interna russa. Surkov è stato licenziato da Putin nel 2020, probabilmente per ragioni di opportunità legate alle sanzioni occidentali delle quali è vittima l’autore.  I commenti del giornalista GALIA ACKERMAN meriterebbero considerazioni a parte, tempo permettendo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

LO STATO LUNGO DI PUTIN

Per capire il putinismo, devi parlare la lingua putiniana. Analisi e commento delle parole del suo primo propagandista: Vladislav Surkov.

A volte è chiamato l’eminenza grigia del potere russo. Dopo il servizio militare negli spetsnaz (truppe di intervento speciale) e il lavoro ad alto livello nelle comunicazioni per gli oligarchi Mikhail Khodorkovsky e Mikhail Fridman, Vladislav Surkov è entrato al servizio del presidente Eltsin negli ultimi mesi del suo mandato. Uno dei creatori del partito Russia Unita, è stato, non appena Vladimir Putin è salito al potere, una figura di spicco che ha plasmato l’ideologia e la pratica del regime di Putin. Dopo aver occupato posizioni molto alte nella gerarchia politica, è diventato, nel settembre 2013, aiutante del presidente Putin, e in particolare ha gestito la pratica ucraina, compresi i contatti con le autoproclamate repubbliche del Donbass. Creativo, scrive anche romanzi di intrighi politici con lo pseudonimo di Natan Dubovitsky. Surkov è sotto sanzioni da Stati Uniti, Unione Europea, Svizzera, Australia e Ucraina.

Nel febbraio 2019, Vladislav Surkov ha pubblicato ”  Lo stato lungo di Putin ” sul  quotidiano Nezavisimaya Gazeta . Questo testo ha avuto un grande impatto in Russia ed è stato commentato da molti analisti occidentali. È necessario cercare i messaggi nascosti dietro la retorica roboante di Surkov. Surkov evoca “l’impronta sul potere” di Vladimir Putin e solleva così la questione della successione del presidente russo dopo il 2024, data di fine del mandato presidenziale. Inoltre, afferma in forma programmatica la superiorità del sistema politico putiniano sulle democrazie occidentali.

“Sembra che abbiamo una scelta”. Queste parole colpiscono per la loro profondità e audacia. Pronunciate quindici anni fa, oggi sono dimenticate e non vengono citate. Ma secondo le leggi della psicologia, ciò che dimentichiamo ci colpisce molto più di ciò che ricordiamo. E queste parole, che vanno ben oltre il contesto in cui risuonano, diventano così il primo assioma del nuovo Stato russo, su cui si basano tutte le teorie e le pratiche della politica attuale.

Surkov usa fuori contesto una parafrasi di quanto disse Putin il 4 settembre 2004, il giorno dopo l’assalto delle forze speciali russe a Beslan, nell’Ossezia del Nord, volto a liberare 1.128 ostaggi, la maggior parte dei quali bambini, detenuti da terroristi ceceni. Durante questo assalto, 314 persone tra cui 186 bambini sono state uccise e più di 800 ferite. Per giustificare il sanguinoso intervento, Putin ha spiegato che la Russia non aveva altra scelta che attaccare. L’alternativa sarebbe stata quella di sottomettersi alle richieste dei terroristi e alla fine perdere la sovranità russa sull’intero territorio del Paese.

L’illusione della scelta è la più importante delle illusioni, è il trucco principale dello stile di vita occidentale in generale e della democrazia occidentale in particolare, che è stata a lungo legata alle idee di Barnum piuttosto che a quelle di Clistene. Il rifiuto di questa illusione a favore del realismo della predestinazione ha portato la nostra società a riflettere, prima sulla propria versione sovrana dello sviluppo democratico, e poi a perdere completamente interesse nelle discussioni su cosa dovrebbe essere la democrazia e se debba esistere o meno .

Surkov fa riferimento alla frase di Putin per formulare la propria idea: se la scelta democratica è solo un’illusione, è molto più salutare rifiutarla a favore del ruolo storico che la Russia ha sempre assunto: quello di un impero autoritario. Secondo lui, non si tratta dell’imposizione di un modello autoritario dall’alto, ma della libera scelta della società russa. In realtà, questo modello si è imposto in seguito alla distruzione dei media liberi, all’espulsione dalla sfera politica di partiti a orientamento democratico come Yabloko, alla propaganda molto efficace, alla distruzione di un gran numero di ONG con il pretesto del loro legame con l’estero , ecc., il tutto combinato con l’aumento del prezzo degli idrocarburi che ha coinciso con l’arrivo al potere di Putin e quindi con l’aumento del tenore di vita di una parte significativa della società.

Ciò ha consentito la libera costruzione statale, non secondo un modello chimerico importato dall’estero, ma guidata dalla logica dei processi storici, da un’“arte del possibile”. Il movimento per la disgregazione della Russia, tutto sommato impossibile, contro natura e contro storia, è stato definitivamente bloccato, sia pure tardivamente. Dopo che la struttura sovietica è crollata e da essa è emersa la nuova Federazione Russa, la Russia ha smesso di crollare, gradualmente si è ripresa ed è tornata alla sua condizione naturale, unica possibile: quella di una grande comunità di popoli in espansione, che continua a raccogliere terra. Il ruolo poco discreto del nostro Paese nella storia del mondo non ci permette di rimanere fuori dalla scena mondiale o di tacere all’interno della comunità internazionale.

È così che resiste lo stato russo, ora come un nuovo tipo di stato che non è mai esistito qui prima. Ha preso forma principalmente a metà degli anni 2000 e, sebbene finora sia stato poco studiato, la sua unicità e fattibilità ora ci sembrano ovvie. Le difficoltà che ha subito e sta sopportando ancora oggi hanno dimostrato che questo modello specifico e organico di funzionamento politico è un mezzo efficace per la sopravvivenza e l’ascesa della nazione russa, non solo negli anni a venire, ma nei decenni, persino nel secolo a venire.

La storia della Russia è nota per i suoi quattro principali modelli di stato, ordinati in base ai loro creatori: lo Stato di Ivan III (Gran Principato/Zarato di Mosca e di tutta la Russia, XV -XVII secolo) lo Stato di Pietro il Grande ( Impero Russo, 18° – 19° secolo) lo Stato di Lenin (Unione Sovietica, 20° secolo) e lo Stato di Putin (Federazione Russa, 21° secolo) Create da persone che, per usare il termine di Lev Gumilev, avevano una “volontà a lungo termine”, queste macchine politiche su larga scala si succedono, si adattano alle circostanze e guidano adeguatamente l’inevitabile ascesa del mondo.

L’idea che la predestinazione della Russia sia quella di “raccogliere le terre russe” risale al XIII secolo, quando si trattava di “radunare” i principati russi attorno al Gran Principato di Mosca. Nel 1547 la Moscovia fu trasformata in un regno (lo Zar). Dall’inizio del XVI secolo, l’espansione russa ha sistematicamente superato i limiti dei territori popolati dall’etnia russa, senza fermarsi. Tuttavia, gli storici contemporanei, come in epoca zarista, ritengono che questo processo di allargamento non possa essere chiamato colonizzazione perché gli zar ottennero l’adesione delle élite locali grazie alla politica delle carote e dei bastoni. In questo passaggio, Surkov afferma che la Russia odierna deve seguire questo modello storico obsoleto, pur affermando che lo stato russo sotto Putin ha assunto una forma politica completamente nuova,

Il ritmo della grande macchina politica di Putin sta solo accelerando e si prepara a un lavoro lungo e difficile, ma interessante. La sua impronta al potere durerà ancora, tanto che tra molti anni la Russia sarà ancora lo stato di Putin, per lo stesso motivo per cui la Francia è ancora chiamata la Quinta Repubblica di De Gaulle, quella Turchia (nonostante gli antikemalisti siano oggi al potere ) si basa ancora sull’ideologia delle “Sei frecce” di Atatürk, o che gli Stati Uniti fanno ancora riferimento alle immagini e ai valori dei suoi mitici Padri Fondatori.

È necessario prendere coscienza, comprendere e descrivere il sistema di governo di Putin e, più in generale, il complesso insieme di idee e dimensioni del Putinismo, perché è un’ideologia del futuro. Riguarda in particolare il futuro, perché Putin di oggi è solo a malapena un putinista, così come Marx non era un marxista e non possiamo essere sicuri che non gli sarebbe mai stato chiesto se avesse saputo di cosa si trattasse. Ma questo va analizzato per tutti coloro che, non essendo Putin, vorrebbero essere come lui in futuro. In modo che i suoi metodi e approcci possano essere diffusi nei tempi a venire.

La rappresentazione del Putinismo non dovrebbe essere condotta alla maniera della propaganda contro altra propaganda, la nostra e la loro, ma in un linguaggio che sarebbe percepito come moderatamente eretico sia dai funzionari russi che da quelli anti-russi. Tale linguaggio potrebbe diventare accettabile per un pubblico abbastanza ampio, il che è indispensabile, perché il sistema politico di fabbricazione russa non è solo adatto all’uso domestico, ma ha anche un notevole potenziale di esportazione. Questa richiesta per il modello russo, così come i suoi componenti, esiste già. Sia i governanti che i gruppi di opposizione [all’estero] stanno studiando l’esperienza russa e ne stanno adottando elementi.

Surkov afferma la necessità di descrivere, in termini moderati, il sistema putiniano. Per lui è un modello per il futuro e per l’export. Tuttavia, non spiega ancora in cosa consista questo modello o in cosa consista la sua originalità.

Quindi i politici stranieri accusano la Russia di interferire nelle elezioni e nei referendum in tutto il mondo. Il problema in realtà è ancora più grave: la Russia interferisce nei loro cervelli e non sanno come contrastare l’alterazione della propria coscienza. Da quando il nostro Paese, dopo il fallimento degli anni ’90, ha abbandonato i prestiti ideologici, ha iniziato a produrre i propri concetti e ha lanciato un’offensiva contro le idee occidentali, esperti europei e americani hanno moltiplicato previsioni errate. Sono sorpresi e furiosi per le scelte “paranormali” dei loro elettori. Nella confusione, stanno suonando campanelli d’allarme su un’ondata di populismo. Che lo chiamino così, se sono a corto di parole.

Tuttavia, l’interesse all’estero per l’algoritmo politico russo è facile da capire: non c’è nessun profeta nei loro paesi, mentre la Russia ha già predetto, da molto tempo, cosa sta succedendo loro oggi.

Mentre tutti erano ancora estasiati dalla globalizzazione e da un mondo piatto senza confini, Mosca ci ricordava instancabilmente che la sovranità e gli interessi nazionali avevano un significato. A quel tempo, molte persone ci hanno dato un attaccamento “ingenuo” a queste cose vecchie, presumibilmente obsolete. Ci hanno detto che non c’era nulla da nascondere a questi valori del 19° secolo e che dovevamo fare questo passo coraggioso verso il 21° secolo, quando le nazioni sovrane e gli stati nazionali sarebbero scomparsi. Il XXIsecolo si sta svolgendo come avevamo previsto. Brexit, il “Great Again” americano o le misure protettive contro l’immigrazione in Europa sono solo le prime righe di una lunga lista di fenomeni di rifiuto della de-globalizzazione, del ritorno alla sovranità delle nazioni e del nazionalismo che vediamo emergere in tutto il mondo mondo.

Qui, l’autore confuta a priori l’ingerenza della Russia nei processi politici (elezioni e referendum), per quanto provata, e sostiene che il nazionalismo e il populismo, la cui rinascita più o meno simultanea che vediamo in diversi paesi del mondo, sono piuttosto il risultato dell’influenza dell’ideologia russa sul “cervello” di politici di ogni genere. La Russia è presentata come l’unica forza che si è sollevata molto presto, a partire dagli anni 2000, contro la globalizzazione, contro il “mondo piatto senza frontiere” (espressione di Thomas Friedman a proposito di Internet, che concepisce il mondo come una piattaforma per la libertà flusso di idee). Questa presuntuosa affermazione non corrisponde alla realtà.

In Francia, ad esempio, il Fronte Nazionale esiste da diversi decenni e non aveva bisogno di trarre le sue idee dalla Russia. Più in generale, l’ascesa del populismo ha origini diverse, in gran parte è il malcontento sociale degli strati impoveriti, vittime della globalizzazione, in diverse parti del mondo. D’altra parte, la Russia ha infatti sempre sostenuto attivamente tali movimenti, in particolare facendo campagne per indebolire l’alleanza euro-atlantica e “spezzare” l’Unione e concedendo il suo sostegno a tutte le forze centrifughe all’interno dell’Europa. Se non ci sarà più il sostegno degli Stati Uniti e se l’Unione, oggi la più grande economia del mondo, crolla, la Russia avrà vinto la sua battaglia: a parte, nessun Paese europeo potrà resisterle.

Quando Internet è stata propagandata ovunque come uno spazio inviolabile di libertà senza restrizioni, dove tutti avrebbero dovuto poter fare tutto alla pari, è proprio dalla Russia che è sorta la domanda che ha fatto impazzire questa umanità: “Chi siamo noi In rete? Ragni o mosche? Oggi, tutti si sono precipitati a slegare la Rete, comprese le burocrazie più amanti della libertà, e ad accusare Facebook di essere morbido nei confronti delle interferenze straniere. Questo spazio virtuale, una volta libero e presentato come il prototipo del paradiso a venire, è stato gradualmente colonizzato e delimitato da cyberpolizia, cybercriminali, cybersoldati e cyberspie, cyberterroristi e cybermoralisti.

Surkov è di parte: Internet è certamente monitorato, anche dai servizi segreti americani, per motivi di sicurezza, ma monitorare e proibire sono due cose diverse. La Russia è tra i paesi che bloccano l’accesso ai siti dell’opposizione e perseguono non solo i blogger, ma anche le persone che hanno semplicemente apprezzato o ripubblicato qualsiasi opinione contraria alla politica russa. Sappiamo anche che molti hacker, troll e bot russi operano sul Web per influenzare l’opinione pubblica in molti paesi del mondo.

Mentre un incontrastato “egemone” prendeva piede, mentre il grande sogno americano del dominio del mondo si avvicinava al suo traguardo e altrettanti prevedevano la fine della storia, con il corollario finale di “i popoli che tacciono”, il discorso di Monaco risuona improvvisamente nel silenzio. Quello che allora sembrava dissenso è ora ampiamente accettato: tutti, compresi gli stessi americani, sono scontenti dell’America.

Un’altra distorsione. La fine della storia, prevista da Francis Fukuyama nel 1989, dopo la caduta del muro di Berlino, non ha nulla a che vedere con la dominazione americana. Ha parlato della vittoria ideologica della democrazia e del liberalismo, mentre oggi si arrendono qua e là all’assalto di populismi di ogni genere, come è avvenuto recentemente in Brasile. Per quanto riguarda il discorso di Monaco di Vladimir Putin, pronunciato nel 2007, il leader russo ha protestato contro il continuo allargamento della NATO ai paesi dell’Europa orientale e contro il piano di Washington di estendere la propria difesa missilistica a scudo all’Europa. Naturalmente, Putin ha dimenticato di dire che era l’Europa orientale a cercare l’adesione alla NATO, per paura della sua potente vicina Russia.

Di recente, un termine relativamente sconosciuto, derin devlet , tratto dal dizionario politico turco, è stato ripreso dai media americani. Tradotto in inglese da deep state, ha raggiunto i nostri media. È stato tradotto in russo come “Stato profondo” o “Stato abissale”. Il termine designa l’organizzazione in una rete rigida e assolutamente antidemocratica di potere reale in strutture politiche nascoste dietro uno schermo di istituzioni democratiche. Questo meccanismo, che in pratica esercita la sua autorità attraverso atti di violenza, corruzione e manipolazione, rimane profondamente nascosto sotto la superficie di una società civile che (ipocritamente o ingenuamente) condanna la manipolazione, la corruzione e la violenza.

Avendo scoperto uno spiacevole “stato profondo” nel loro paese, gli americani non furono però sorpresi, perché già ne intuivano l’esistenza. Se esiste un deep web e un dark web , allora perché non uno stato profondo o addirittura uno stato oscuro  ? I magnifici miraggi di una democrazia fabbricata per le masse emergono dalle profondità e dalle tenebre di questo potere non pubblico e occulto: illusione di scelta, sentimento di libertà, sentimento di superiorità, ecc.

Esistono diverse definizioni di deep state: in ogni caso non è la stessa cosa in Turchia e negli Stati Uniti. In Turchia sono strutture militari piuttosto vecchie, laiche, a contrastare il regime di Recep Erdogan (come dimostra il fallito golpe contro il suo potere islamico). Né questi circoli militari, ormai decimati, né il regime di Erdogan possono essere definiti democratici. Negli Stati Uniti esistono sicuramente strutture informali che esercitano la loro influenza sul mondo politico, come le multinazionali, ad esempio. Tuttavia, c’è anche una stampa libera e una società civile molto attiva che combatte contro varie lobby e influenze occulte. Si può affermare che le elezioni americane siano solo una “illusione di scelta”? Se Hillary Clinton fosse stata eletta,

La sfiducia e l’invidia, utilizzate dalla democrazia come fonti prioritarie di mobilitazione sociale, portano inevitabilmente all’assolutizzazione della critica e all’aggravamento dell’ansia generale. Gli odiatori , i troll e i robot malvagi che si unirono a loro formarono una maggioranza vocale che scacciò dalla sua posizione dominante un’onorevole classe media che un tempo dava un tono completamente diverso.

D’ora in poi nessuno crede alle buone intenzioni dei politici, sono gelosi e sono quindi considerati personalità depravate, ingannevoli, persino criminali. Famose serie TV politiche, sia “Boss” che “House of Cards”, presentano un quadro tristemente realistico della travagliata vita quotidiana di questo stabilimento .

Un mascalzone non dovrebbe andare troppo lontano solo perché è un mascalzone. Ma quando intorno a te ci sono solo mascalzoni, devi usare i mascalzoni per trattenere altri mascalzoni. Rimuovere un mascalzone per piazzarne un altro significa combattere il male con il male… Tuttavia, ci sono tanti mascalzoni quante sono le regole contorte, e sono tutte progettate per smorzare i conflitti e arrivare a un risultato zero. Nasce così un benefico sistema di controlli ed equilibri: un equilibrio di malvagità e avidità, un’armonia di inganno. Se uno di questi mascalzoni inizia a giocare secondo le proprie regole, tuttavia, e rompe l’armonia, il sempre vigile Deep State si precipita in soccorso e con una mano invisibile trascina il rinnegato nell’abisso.

Questo è il punto di vista della propaganda russa sulla società occidentale. La nozione di bene pubblico non esiste per Surkov e i suoi coetanei, i tristi eredi della società sovietica totalmente corrotta. Abbiamo una prospettiva molto diversa: sappiamo benissimo che tra i politici ci sono quelli assetati di potere e/o corrotti. Sappiamo quali danni ha causato all’Italia da Berlusconi o agli Stati Uniti da Trump. D’altra parte, la società civile ovunque in Europa e più in generale in Occidente sta diventando sempre più esigente e sempre meno tollerante di fronte a fatti di corruzione, comportamenti inadeguati, e anche per mancanza di moralità ed etica. In ogni caso, in Europa, si assiste a una moralizzazione della vita pubblica.

Non c’è nulla di particolarmente spaventoso nell’immagine proposta della democrazia occidentale. Basta cambiare un po’ la prospettiva e il terrore svanisce. Ma questa immagine lascia l’amaro in bocca ai cittadini occidentali, che poi iniziano a rivolgersi a modelli alternativi ea un nuovo modo di essere. E vede la Russia.

Il nostro sistema, come tutto ciò che viene da noi, non sembra più distinto. D’altra parte, è più onesto. E mentre “più onesto” non è sinonimo di “migliore” per tutti, l’onestà ha il suo fascino.

Il nostro Stato non è diviso in due parti, occulta e visibile; il suo insieme, le sue parti e le sue caratteristiche sono visibili all’esterno. Gli elementi più brutali della sua “struttura di forza” sono integrati nella facciata e non sono nascosti dietro alcun ornamento architettonico. La burocrazia, anche quando cerca di fare qualcosa di nascosto, non cerca di coprire le sue tracce, come supponendo che alla fine “hanno capito tutti”.

Chiaramente, Surkov afferma che lo stato russo non nasconde la sua natura di regime autoritario. Sprezzante dell’opinione pubblica, questo Stato non teme nemmeno accuse di corruzione ai massimi livelli. La fondazione per la lotta alla corruzione (l’acronimo FBK) dell’avversario Alexei Navalny ha pubblicato su YouTube decine di video che mostrano i palazzi, i vigneti, gli yacht dei più alti funzionari russi tra cui il primo ministro Medvedev. Un centesimo di tali accuse sarebbe costato a un alto funzionario francese la perdita delle sue funzioni e dei suoi procedimenti legali. In Russia, invece, sembra acquisito il diritto alla ricchezza per i pezzi grossi, che approfittano della loro situazione. Quanto all’affermazione di Surkov secondo cui non esiste uno stato profondo in Russia, è una bugia. Il vero centro del potere in Russia è l’amministrazione presidenziale, una gigantesca struttura totalmente opaca dove il nostro autore ha ricoperto posizioni chiave per diversi anni. E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”). E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”). E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”).

La grande tensione interna causata dalla necessità di controllare spazi geografici immensi ed eterogenei, nonché dall’assidua partecipazione alle diverse lotte geopolitiche, resero le funzioni militari e di polizia dello Stato le più importanti e determinanti. Tradizionalmente, lo Stato non li nasconde, ma al contrario li rivendica; perché i mercanti, che considerano l’attività militare meno importante del commercio, non hanno mai governato la Russia (o quasi mai, ad eccezione di pochi mesi nel 1917 e qualche anno negli anni ’90), né i liberali (compagni commerciali dei mercanti ), i cui insegnamenti si basano sul rifiuto di tutto ciò che è più o meno “polizia”. Quindi non c’era nessuno a coprire la realtà con illusioni,

Un’altra tesi della propaganda ufficiale: è proprio l’immensità dell’Impero e il fatto che sia, secondo questa stessa propaganda, circondato da nemici che giustifica uno stato di polizia.

Non esiste uno stato profondo in Russia, tutto è esposto lì, ma c’è comunque un popolo profondo.

L’élite russa è brillante e occupa la scena nazionale. Secolo dopo secolo, ha coinvolto attivamente il popolo (dobbiamo dargli il dovuto!) nelle sue varie imprese: riunioni di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici. Le persone prendono parte a queste manifestazioni, ma rimangono sullo sfondo e non salgono mai in superficie, conducendo una vita completamente diversa nelle sue profondità. Le due esistenze nazionali, una in superficie e l’altra in profondità, a volte divergono ea volte convergono verso lo stesso obiettivo, ma non si fondono mai.

Le persone profonde sono sempre il più sospettose possibile, inaccessibili alle indagini sociologiche, impenetrabili di fronte all’agitazione, alle minacce oa qualsiasi altra forma di influenza diretta. La comprensione di chi è, cosa pensa e cosa vuole spesso arriva troppo tardi e troppo all’improvviso, e questa conoscenza non viene mai data a coloro che potrebbero fare qualcosa al riguardo.

Raro è il sociologo che oserebbe definire se questo popolo profondo rappresenta l’intera popolazione o se ne costituisce solo una parte e, se sì, quale parte. A seconda dell’epoca, si diceva che fossero i contadini, il proletariato, i non partiti, gli hipster, funzionari governativi. Lo stavamo “cercando”, andavamo verso di lui. A volte erano chiamati il ​​popolo eletto di Dio, a volte il contrario. A volte è stato dichiarato fittizio e nullo e ha lanciato riforme galoppanti senza tenerne conto, ma queste riforme ci sono subito cadute e si è dovuto ammettere che “qualcosa esisteva davvero”. Più di una volta, questo popolo si è ritirato sotto la pressione dei conquistatori nazionali o stranieri, ma è sempre tornato. Forte della sua massa gigantesca, il popolo profondo crea una forza irresistibile di gravitazione culturale che unisce la Nazione. Attira e trattiene sulla terra (nella patria) l’élite, quando di tanto in tanto questa, cosmopolita, cerca di spiccare il volo.

Arriviamo finalmente alla tesi principale di questo testo: l’esistenza di un “popolo profondo”, insondabile, la cui natura è difficile da definire. È vero che nella Russia zarista, con la servitù, l’abisso tra il popolo, cioè una massa di servi oppressi e analfabeti, e la raffinata aristocrazia, fluente in francese, era insormontabile. L’intellighenzia comune della seconda metà del 19° secolo ha cercato di portare a questo popolo una conoscenza che lo avrebbe aiutato a liberarsi, ma questo movimento è stato un fallimento. Tuttavia, sia i bolscevichi che i socialisti-rivoluzionari (non marxisti) portarono avanti con successo la propaganda tra questo popolo, e così la Rivoluzione d’Ottobre riuscì a vincere. Dopo la rivoluzione, ea condizione di aderire alla politica del partito unico (i socialisti-rivoluzionari e gli altri partiti di sinistra furono rapidamente eliminati), questo popolo di contadini e di lavoratori ricevette possibilità di ascesa sociale senza precedenti. Parlare oggi di un “popolo profondo” e incompreso è puro anacronismo. È l’intellighenzia nazionalista al servizio del regime che sviluppa questi miti, sono loro che insorgono contro i cosiddetti cosmopoliti, cioè tutti coloro che difendono i valori democratici.

La vita nazionale ( narodnost ), qualunque sia il suo significato preciso, precede lo stato, ne predetermina la forma, limita le fantasie dei “teorici” e costringe i “praticanti” a compiere determinate azioni al suo interno. La vita nazionale in Russia è una potente attrazione verso la quale convergono tutti gli orientamenti politici. Ovunque inizi in Russia, che si tratti di conservatorismo, socialismo o liberalismo, trovi, alla fine del viaggio, più o meno la stessa cosa: ciò che esiste veramente.

La capacità di ascoltare e comprendere le persone, di leggerle apertamente, nei loro angoli più profondi e di agire di conseguenza: questa è la virtù principale e unica dello stato di Putin. Questo Stato è adattato alla sua gente e si muove nella stessa direzione, il che gli consente di evitare sovraccarichi distruttivi di fronte alle correnti inverse della storia. Questo è ciò che lo rende efficace e sostenibile Nel nuovo sistema, tutte le istituzioni svolgono questo compito principale: la comunicazione e l’interazione fiduciosa tra il sovrano supremo e i cittadini. Sul capo convergono i diversi rami del potere: questi hanno valore solo in quanto servono a garantire il legame con lui. Inoltre, i canali informali aggirano le strutture formali e le élite. Quando la stupidità

Surkov usa qui la parola narodnost , che è difficile da tradurre, perché in russo è polisema. Questo termine fa parte della famosa triade del conte Uvarov, ministro dell’Istruzione sotto Nicola I, l’imperatore preferito di Putin, ovvero “autocrazia, ortodossia, vita nazionale ( narodnost)”. Così Uvarov ha descritto le basi del regime zarista russo, in antitesi al motto della Rivoluzione francese, “libertà, uguaglianza, fraternità”. Per tutto il XIX e l’inizio del XX secolo, questo slogan è stato una sorta di vessillo per gli slavofili, che hanno proclamato l’originalità del modo russo. La scelta del termine non è casuale. Ciò che l’autore descrive è solo la classica definizione del ruolo del monarca nella tradizione russa a partire da Ivan il Terribile: lo zar, l’unto del Signore, compie la volontà divina; la sua persona è l’incarnazione di tutto il popolo; il popolo gli affida il proprio destino; c’è un misterioso legame tra lo Zar e il suo popolo. Senza formularlo esplicitamente, Surkov attribuisce a Putin la funzione monarchica. È questo uno dei possibili scenari per dopo il 2024?

Le istituzioni politiche che la Russia aveva copiato dall’Occidente sono talvolta percepite nel nostro Paese piuttosto come un rituale, stabilito per assomigliare a “tutti”, in modo che le particolarità della nostra cultura politica non attirino troppa attenzione dei nostri vicini, né irritarli né spaventarli. È come un costume della domenica, che indossiamo quando visitiamo gli altri, mentre a casa ognuno di noi si veste a proprio piacimento.

Sourkov a développé en 2005-2006 la conception de « démocratie souveraine », à savoir d’une démocratie qui ne se soumet pas aux influences étrangères et où les élections expriment non pas l’opposition des intérêts, mais l’unité du peuple et du potere. Qui riconosce apertamente che le istituzioni politiche in Russia, create sotto Eltsin, non sono altro che fittizie.

In sostanza, la società si fida solo del numero uno. Difficile dire se sia legato all’orgoglio di un popolo che nessuno è mai riuscito a superare, o alla volontà di portare la sua verità al livello più alto o ad altro, ma è un dato di fatto, e questo è non è un fatto nuovo. La novità è che lo Stato non è all’oscuro di questo fatto, ma ora ne tiene conto e lo utilizza come punto di partenza per i suoi impegni.

Sarebbe eccessivamente semplificativo ridurre questo tema, già ampiamente utilizzato, all’idea di “fede nel buon zar”. Le persone profonde non sono affatto ingenue e di certo non considerano l’indulgenza un tratto positivo in uno zar. Ciò che sarebbe più vero è che pensa a un buon leader nel modo in cui Einstein pensava a Dio: “sottile, ma non malizioso”. »

L’alfa e l’omega del modello di stato russo è la fiducia. Questa è la sua principale differenza con il modello occidentale, che coltiva sfiducia e critica. Questa è la sua forza.

Il nostro nuovo Stato avrà una storia lunga e gloriosa in questo nuovo secolo. Non si romperà. Agirà secondo i propri principi, conquistando il suo prestigio nelle lotte geopolitiche dei grandi di questo mondo. Prima o poi tutti dovranno rassegnarsi a questo, compresi coloro che ora chiedono alla Russia di “cambiare comportamento”. Alla fine, la scelta spetta solo a loro in apparenza.

La fine di questo manifesto-carta è edificante. Come può funzionare uno stato moderno se la popolazione si fida solo del numero uno? Infatti, una volta all’anno, Putin esercita la “linea diretta” con il popolo. Nel 2019 la “linea diretta” trasmessa dai principali canali televisivi è durata quattro ore e mezza. Putin ha risposto a 79 domande, mentre gli sono stati inviati più di due milioni e mezzo. Le domande riguardavano ogni tipo di situazione: chiusura di un centro medico in una piccola città, assenza di un asilo in un sobborgo di Mosca, aumento dei prezzi del diesel, ecc. Spetta davvero al capo dello Stato occuparsi di ogni problema locale? Non è questo un fallimento di questo modello di governance?

LA DOTTRINA PRIMAKOV, di GILLES GRESSANI

Questo documento del 1998 di Yevgeny Primakov, all’epoca Ministro degli Esteri e Primo Ministro russo, rappresenta il punto di svolta nella politica estera ed interna della Russia, concomitante con il primo atto di rottura esplicita del Governo Russo nei confronti degli Stati Uniti e della NATO: l’opposizione all’intervento armato contro la Repubblica Serba. Da leggere con attenzione e con il senno di due decenni dopo assieme ai commenti di Henry Kissinger. Buona lettura, Giuseppe Germinario

LA DOTTRINA PRIMAKOV

Trent’anni fa, l’8 dicembre 1991, i vertici di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono il Trattato di Minsk, smantellando così l’URSS — per comprendere questa lunga sequenza bisogna rileggere la prima traduzione francese del testo chiave della dottrina geopolitica russa influente e meno conosciuta.

AUTORE
GILLES GRESSANI

TRAD.
DANILO KHILKO
La Dottrina Primakov

Abbiamo il piacere di pubblicare la prima traduzione francese di uno dei testi più rari e influenti della geopolitica russa contemporanea. L’autore, Yevgeny Primakov, all’epoca ministro degli Affari esteri nel governo Chernomyrdin e Kirienko, è senza dubbio uno dei più influenti professionisti delle relazioni internazionali della fine del XX secolo. L’indirizzo che ha dato alla politica estera russa durante il suo mandato resta essenziale per la classe politica russa, come ha recentemente riconosciuto  Sergei Lavrov, potente ministro degli Affari esteri dell’amministrazione Putin, attento lettore di questo testo inedito in francese.1La sua lezione, seguita da avversari politici come Henri Kissinger , va quindi studiata da vicino.


Внешнеполитическое кредо // Встречи на перекрёстках

Sono entrato al Ministero degli Affari Esteri in un momento completamente diverso.

Il paese aveva ormai intrapreso la strada dell’economia di mercato e del pluralismo politico. La disintegrazione dell’Unione Sovietica non è stata una gioia per tutti. Per niente. Molti cittadini erano tristi di perdere un paese potente e multinazionale.

Il passaggio dall’URSS alla Russia ha avuto gravi conseguenze. Il Patto di Varsavia e il Consiglio per la mutua assistenza economica sono stati smantellati. Da lì è iniziato tutto.
Alcune persone pensavano che da quel momento in poi la Russia sarebbe entrata nel “mondo civile” come paese di secondo livello. A volte in modo discreto, a volte pubblicamente, il popolo accettava che l’URSS avesse perso la “guerra fredda” e che la Russia avrebbe avuto successo. Si pensava che le relazioni con gli Stati Uniti si sarebbero sviluppate, come nel caso del Giappone e della Germania, dopo la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale. Questi due paesi avevano visto la loro politica gestita da Washington e non si erano opposti.

Questa visione era condivisa dalla stragrande maggioranza dei politici nel 1991. Credevano che questa strategia avrebbe aiutato la Russia a superare i problemi del passato.

Così è diventato di moda dire che i responsabili della riforma economica dovevano trovare un modo per affrontare la “rovina del dopoguerra”.

Un politologo, Roi Medvedev (“Медведев Р. Капитализм в России ? М., 1998. С. 98.“, “Roi Medvedev, Il capitalismo in Russia?”), scrive: “è impossibile confrontare le conseguenze della Guerra Fredda a quelle della Guerra Civile [1917-1919] o a quelle della Grande Guerra Patriottica [Seconda Guerra Mondiale].

L’economia dell’URSS, divenuta Russia, non viene distrutta come alla fine di una guerra classica e può adattarsi a nuove prospettive. I problemi che deve affrontare l’economia russa sono il risultato delle politiche dei riformatori radicali, non della Guerra Fredda. In effetti, il livello di inflazione è stato più basso durante la Guerra Patriottica rispetto agli anni 1993-1994, così come la crescita.

L’adozione di un atteggiamento “disfattista”, in politica estera e interna, non ha permesso di cancellare gli elementi perniciosi dell’eredità sovietica (di cui è stato necessario, lo specifico, eliminare alcuni aspetti, e conservarne alcuni). Potremmo democratizzare e riformare la nostra società solo se non pensassimo che “con loro” [gli occidentali] tutto fosse armonioso, stabile, giusto, e che avremmo dovuto imitarli a tutti i costi, anche nel loro modo di fare politica .

Notare questo non significa negare che alla fine della Guerra Fredda, l’URSS ha cessato di essere una “superpotenza”. In effetti, la nuova situazione significava che ora c’era solo una superpotenza. Tuttavia, bisognava anche capire che il concetto stesso di “superpotenza” era stato ereditato dalla Guerra Fredda. Nessuno poteva contestare il fatto che gli Stati Uniti fossero allora la principale potenza militare, economica e finanziaria. Ma questo stato non poteva controllare e dirigere gli altri.

È un errore pensare che gli Stati Uniti siano talmente potenti che tutti gli eventi importanti del mondo ruotino attorno ad essi. Tale approccio ignora la grande trasformazione che costituisce il passaggio da un mondo bipolare conflittuale a un mondo multipolare. Questa trasformazione iniziò ben prima della fine della guerra fredda, trovando la sua origine nelle disuguaglianze di sviluppo, e il suo limite nella logica del confronto tra due blocchi.

La fine della guerra indebolì notevolmente i legami che univano la maggior parte dei paesi del mondo a una delle due superpotenze. La fine del Patto di Varsavia ha alienato i paesi dell’Europa centrale e orientale dalla Russia. Ciò è ancora più evidente con gli ex membri dell’URSS che sono diventati indipendenti. Anche, ma meno ovviamente, gli Stati Uniti hanno visto allontanarsi gli ex alleati. In particolare, i paesi dell’Europa occidentale adottarono un atteggiamento più indipendente, poiché la loro sicurezza non dipendeva più dall’”ombrello nucleare” americano. Allo stesso modo, il Giappone ha poi preso, in una certa misura, una maggiore indipendenza politica e militare.

È significativo, a questo proposito, notare che i paesi che non erano direttamente coinvolti nello scontro tra i due blocchi, una volta finita la guerra, mostravano una maggiore autonomia. Tale osservazione vale soprattutto per la Cina, divenuta rapidamente una grande potenza economica, nonché per i nuovi sindacati di integrazione in Asia, Oceania e Sud America.

Molti pensavano che una volta terminato il confronto ideologico e politico, non ci sarebbero più state tensioni tra gli stati un tempo rivali. Questo non accade. Anche se la situazione cambia, le mentalità restano.

Gli stereotipi che formavano il quadro di pensiero degli statisti della Guerra Fredda non sono scomparsi, nonostante l’eliminazione di missili strategici e migliaia di carri armati.

All’epoca non parlai male dei miei predecessori a causa delle mie convinzioni personali. Non voglio farlo oggi. Ma, per capire meglio lo stato d’animo che regnava all’interno del Ministero degli Affari Esteri negli anni ’90, vi parlerò di una conversazione tra il ministro russo e l’ex presidente americano. Lo ha rivelato Dimitri Simes, presidente del Nixon Center. Nixon stava chiedendo a Kozyrev di spiegare i nuovi obiettivi della Russia. Kozyrev ha poi risposto: “Vede, signor Presidente, uno dei problemi dell’Unione Sovietica era l’eccessiva enfasi sugli interessi nazionali. Ora pensiamo al bene di tutta l’umanità. D’altra parte, se ti capita di sapere come definire gli interessi nazionali, ti sarei grato se me lo spiegassi”. Nixon si è quindi sentito “non molto a suo agio” e ha chiesto cosa ne pensasse il signor Simes di questa conversazione. Simes ha risposto: “Il ministro russo è favorevole agli Stati Uniti, ma non sono sicuro che comprenda appieno la natura e gli interessi del suo Paese. Questo, un giorno, causerà problemi a entrambi i paesi”. Nixon ha poi risposto: “Quando ero vicepresidente, poi presidente,figlio di puttana e che avrei combattuto per gli interessi americani. Quest’uomo si presenta come una persona molto ben intenzionata e comprensiva, in un momento in cui l’URSS si sta disintegrando e la nuova Russia deve essere difesa e rafforzata.

C’erano molti nel MFA che dividevano il mondo in due parti: il civile e la “feccia” (“шпана”). Pensavano che avremmo avuto successo stringendo alleanze strategiche con i “civilizzati”, vale a dire i nemici della guerra fredda, accettando di avere un ruolo di supporto. Questa è stata una scommessa rischiosa poiché anche molti politici americani lo volevano. I Segretari di Stato e gli ex assistenti del Presidente americano volevano che Washington dominasse le relazioni Mosca/Washington. Così nel 1994 Zbigniew Brzezinski dichiarò: “D’ora in poi è impossibile collaborare con la Russia. Un alleato è un Paese pronto ad agire con noi in modo reale e responsabile. La Russia non è un alleato. Lei è una cliente”.

Certo, le relazioni con l’Occidente, e soprattutto con gli Stati Uniti, sono sempre state di grande importanza. Ma il nostro Paese non deve dimenticare i propri interessi e seguire il cambiamento storico verso un mondo multipolare. Dobbiamo preservare i nostri valori e le nostre tradizioni, acquisite nel corso della storia russa, anche durante il periodo imperiale e sovietico.

C’è una regola molto antica: i nemici non sono permanenti mentre lo sono gli interessi nazionali. Questa idea ha guidato e guida ancora oggi la politica estera della maggior parte dei paesi del mondo. D’altra parte, in epoca sovietica, abbiamo dimenticato questa massima e gli interessi nazionali sono stati talvolta sacrificati a sostegno degli “amici permanenti” e nella lotta contro i “nemici permanenti”.

Oggi, dopo la Guerra Fredda, la Russia, come altri paesi, ha il diritto di garantirne la sicurezza, la stabilità, l’integrità territoriale, di ricercare il progresso economico e sociale, di lottare contro le influenze esterne che potrebbero cercare di dividere la Russia e gli altri membri del ” Comunità degli Stati Indipendenti” [ex membri dell’URSS].

Coloro che vogliono avvicinare Russia e Occidente credono che l’unica alternativa sia un graduale ritorno al confronto. Questo non è vero.

Da un lato, la Russia deve cooperare in modo equo con le altre potenze e cercare interessi comuni per rafforzare la cooperazione in determinati settori. D’altra parte, nelle aree in cui gli interessi divergono, la Russia deve difendere i propri interessi evitando il confronto. Questa è la logica della politica estera russa in questo dopoguerra. Se si trascura l’esistenza di interessi comuni, probabilmente si verificherà una nuova guerra fredda.

Alcuni credono che la Russia non possa gestire una politica estera proattiva. Secondo loro, è necessario occuparsi degli affari interni, rafforzare l’economia, realizzare la riforma militare e poi entrare con notevole peso sulla scena internazionale. Ma questo punto di vista non regge al controllo. Soprattutto, sarà difficile per la Russia realizzare questi cambiamenti cruciali e mantenere la sua integrità territoriale senza una politica estera attiva. La Russia non è indifferente al ruolo che svolgerà nell’economia mondiale aprendo i suoi confini ai prodotti stranieri. Diventerà un fornitore discriminato di materie prime o un partner alla pari? Rispondere a questa domanda è anche una questione di politica estera.

Dopo il periodo degli scontri, è comunque importante che la Russia garantisca sicurezza e stabilità, all’interno dei suoi confini, ma anche nelle regioni limitrofe.

Se abbandona la politica estera attiva, non è possibile per la Russia mantenere la possibilità di tornare sulla scena mondiale come un paese potente. Le relazioni internazionali detestano il vuoto. Se un paese si disimpegna dai processi globali, verrà rapidamente sostituito. Se la Russia vuole rimanere una delle principali potenze, deve agire su tutti i fronti. Consideriamo gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina, il Giappone, l’India, i paesi del Medio Oriente, l’Asia, l’Oceania, il Sud America e l’Africa.

Ne siamo capaci? Naturalmente, è difficile raggiungere il successo su tutti i fronti con le nostre risorse limitate. Ma possiamo perseguire una politica estera attiva grazie alla nostra influenza politica, alla nostra posizione geografica, alla nostra appartenenza al club nucleare, al nostro status di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla nostra tradizione scientifica, alle nostre capacità economiche e alla nostra industria militare di punta .

Inoltre, la maggior parte dei paesi non desidera accettare la visione di un singolo paese. L’ho sentito durante i miei viaggi in Medio Oriente, Israele, Cuba, Brasile, Argentina e altri paesi centroamericani. I leader del Venezuela e del Messico mi hanno detto candidamente che vorrebbero vedere più presenza russa sulla scena mondiale per controbilanciare le conseguenze negative delle tendenze unipolari.

Infine, un paese come la Russia non può trascurare la crescente interdipendenza dei poteri.

La diversificazione dei partenariati della Russia consentirà al Paese di rafforzare la propria stabilità e sicurezza. La fine del confronto ideologico tra i due poli è diventata il punto di partenza per un mondo stabile e prevedibile a livello globale. Sebbene profonda, questa trasformazione non rende nemmeno impossibili i conflitti etnici regionali. D’altra parte, li ha resi meno probabili. Siamo tutti colpiti dall’ondata di attacchi terroristici che stiamo vivendo. Allo stesso modo, si stanno diffondendo armi di distruzione di massa. Ma questi fenomeni sono comparsi durante la Guerra Fredda, prima della comparsa della collaborazione multipolare.

La capacità della comunità internazionale di superare questi nuovi pericoli, minacce e sfide dell’era del dopo Guerra Fredda dipenderà soprattutto dai rapporti tra le maggiori potenze.

Per la transizione verso un nuovo ordine mondiale (миропорядок) sono necessarie le due condizioni seguenti.

Primo. Le divisioni di ieri non devono essere aggiornate su nuovi argomenti. Ciò significa opporsi, a mio avviso, all’allargamento della NATO nei paesi che prima facevano parte del “Patto di Varsavia”, nonché ai tentativi di trasformare la NATO nel principio del nuovo sistema mondiale. La sanguinosa operazione della NATO in Jugoslavia lo dimostra. Tale operazione è stata effettuata senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si è svolta al di fuori dei confini dei paesi membri ed era estranea alla garanzia della sicurezza dei paesi membri della NATO.

La comparsa di nuovi soggetti di conflitto può minacciarci, non solo in Europa, ma ovunque. L’evidente rifiuto dell’estremismo da parte di alcuni gruppi islamici dovrebbe incoraggiare a non considerare l’intero mondo musulmano come un nemico della civiltà contemporanea.

Ovviamente dobbiamo opporci fermamente alle forze estremiste e terroristiche, che sono pericolose soprattutto se gli Stati le appoggiano. Dobbiamo fare di tutto per impedire agli Stati di aiutare i gruppi terroristici.

Ovviamente è urgente elaborare nel quadro dell’ONU una convenzione generale che privi i terroristi dell’asilo politico. Tuttavia, le sanzioni non dovrebbero essere utilizzate per punire paesi o rovesciare regimi che non ci piacciono. È già chiaro che le operazioni militari contro i regimi nemici sono dannose, indipendentemente dal fatto che quei regimi supportino o meno i creatori di caos che sconvolgono il mondo. È molto più efficace sostenere iniziative pacifiche.

In secondo luogo, per andare verso un nuovo ordine universale e affrontare i pericoli reali, la comunità mondiale deve lavorare insieme in modo giusto. Affinché gli sforzi siano ben coordinati, devono essere messi in atto meccanismi efficaci.

È importante elaborare la dottrina (кредо) del Ministero degli Affari Esteri cercando di rispondere al seguente problema. Tutti sanno che la politica estera è legata alla politica interna. Ma ciò non implica che debba essere attuato per favorire determinate forze politiche. Allo stesso modo, non può essere utilizzato per scopi elettorali. Il ministro degli Esteri, indipendentemente dalle sue preferenze politiche, non dovrebbe dividere la società russa. Sono sicuro che la politica estera deve basarsi sull’accordo dei partiti politici. Deve essere nazionale e non partecipare a rivalità politiche, difendendo i valori che sono vitali per l’intera società.

Ho presentato queste idee e principi al presidente [Boris Eltsin] che ne era convinto. Mi ha detto: “Dovresti lavorare di più con il Parlamento, con i leader dei partiti politici”. Ho capito che non voleva tenermi al guinzaglio. Ma ho ritenuto che spettasse al presidente decidere la nostra politica estera e al ministro degli Esteri essergli fedele. D’altra parte ho capito che il presidente si fidava di me e non voleva trattenermi nelle mie iniziative.

FONTI
  1. Questo documento è stato originariamente pubblicato nel 1998 sulla rivista International Life (“Международная жизнь”) del ministero degli Esteri russo. È dedicato al Consigliere Gorchakov, Cancelliere di Stato al tempo dell’Impero russo. È stato incluso in una raccolta di opere di Primakov intitolata Meetings at the Crossroads (“Встречи на перекрестках”) nel 2015.

 

CREDITI
I commenti sono stati tratti dalla traduzione inedita della conferenza di Henry Kissinger al Fondo Gorchakov di Mosca sulle relazioni Russia/Stati Uniti.

HENRY KISSINGER

Dal 2007 al 2009, Evgeny Primakov ed io abbiamo presieduto un gruppo di ministri in pensione, alti funzionari e capi militari dalla Russia e dagli Stati Uniti, alcuni dei quali sono con noi oggi. Il suo scopo era di appianare i punti difficili nelle relazioni USA-Russia ed esplorare le possibilità di approcci cooperativi. In America, questo gruppo è stato descritto come Track II, cioè bipartisan e incoraggiato dalla Casa Bianca a riflettere, ma non a negoziare per suo conto. Abbiamo organizzato incontri in ciascuno dei due paesi, in alternativa. Il presidente Putin ha ricevuto il gruppo a Mosca nel 2007 e il presidente Medvedev nel 2009. Nel 2008, il presidente George W.

Tutti i partecipanti hanno ricoperto posizioni di alta responsabilità durante la Guerra Fredda. Durante i periodi di tensione, hanno affermato l’interesse nazionale del loro paese. Ma hanno anche compreso, informati dall’esperienza, i pericoli della tecnologia che minacciano la vita civile e si muovono in una direzione che, in una situazione di crisi, potrebbe distruggere tutta la vita umana organizzata. Il mondo attraversava delle crisi, alle quali la differenza delle culture e l’antagonismo delle ideologie portavano una certa grandezza.

In questo lavoro, Yevgeny Primakov è stato un partner indispensabile. La sua mente acuta e analitica, arricchita da una comprensione globale delle tendenze del nostro tempo, acquisita negli anni trascorsi vicino, poi, infine, al centro del potere, ma anche la sua grande devozione al suo paese, hanno permesso di affinare il nostro pensiero e per contribuire alla ricerca di una visione comune. Non siamo sempre stati d’accordo, ma ci siamo sempre rispettati. Manca a tutti noi, e in particolare a me come collega e amico.

HENRY KISSINGER

Alla fine della Guerra Fredda, russi e americani hanno immaginato una partnership strategica sulla base delle loro recenti esperienze. Gli americani si aspettavano che un periodo di minore tensione avrebbe portato a una cooperazione produttiva su questioni globali. L’orgoglio che i russi avevano nella modernizzazione del loro paese fu ferito dalle difficoltà causate dalla trasformazione dei loro confini e dalla scoperta dei compiti erculei che restavano loro da compiere per ricostruire e ridefinire la loro nazione. Molti, da entrambe le parti, hanno capito che i destini della Russia e degli Stati Uniti non potevano essere separati. Preservare la stabilità e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa è diventato ogni giorno più necessario.

Si aprivano nuove prospettive per gli scambi economici, per gli investimenti e, ciliegina sulla torta, per la cooperazione energetica.

HENRY KISSINGER

Non c’è bisogno che ti dica che i nostri rapporti oggi sono molto peggiori di dieci anni fa. In effetti, sono probabilmente peggio di quanto non fossero prima della fine della Guerra Fredda. La fiducia reciproca si è dissipata da entrambe le parti. Il confronto ha sostituito la cooperazione. So che negli ultimi mesi della sua vita Evgeny Primakov ha cercato il modo di superare questo stato di cose che lo preoccupava. Onoreremo la sua memoria facendo nostra questa ricerca.

HENRY KISSINGER

Forse il problema più importante era il baratro abissale tra due concezioni della storia. Per gli Stati Uniti, la fine della Guerra Fredda ha rafforzato, per così dire, la sua profonda convinzione nell’inevitabilità della rivoluzione democratica. Prefigurava l’estensione di un sistema internazionale governato principalmente da norme di diritto. Ma l’esperienza storica russa è più complessa. Per un Paese il cui territorio subisce da secoli invasioni militari, provenienti da Est o da Ovest, la sicurezza deve basarsi, sicuramente su basi legali, ma soprattutto sulla geopolitica. Da quando il confine, baluardo di sicurezza, è stato spostato dall’Elba di 1000 km in direzione di Mosca, la percezione russa dell’ordine del mondo non può prescindere da una dimensione strategica.

HENRY KISSINGER

Così, e in modo paradossale, ci troviamo nuovamente di fronte a un problema essenzialmente filosofico. Come possono andare d’accordo gli Stati Uniti con la Russia, che non ne condivide affatto i valori, ma che è un elemento essenziale dell’ordine internazionale? Come può la Russia garantire la sua sicurezza senza allarmare i suoi vicini e farsi nemici? La Russia può ottenere un posto negli affari mondiali senza disturbare gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possono difendere i propri valori senza che le persone credano di volerli imporli? Non cercherò di rispondere a tutte queste domande, ma piuttosto incoraggerò la loro esplorazione.
Molti commentatori, sia russi che americani, hanno affermato che la cooperazione tra i due paesi per creare un nuovo ordine internazionale è impossibile. Per loro, gli Stati Uniti e la Russia sono entrati in una nuova Guerra Fredda.
Oggi il pericolo non è tanto un ritorno allo scontro militare quanto continuare a credere, da una parte o dall’altra, in una profezia che si autoavvera. Gli interessi a lungo termine di entrambi i paesi ci invitano a creare un mondo in cui i problemi fluttuanti del giorno lasciano il posto a un nuovo equilibrio, sempre più multipolare e globalizzato.

HENRY KISSINGER

In un paese come nell’altro, il discorso prevalente consiste nel porre tutte le responsabilità sull’altro. Allo stesso modo, in entrambi i paesi c’è la tendenza a demonizzare, se non l’altro paese, almeno i suoi leader. Mentre i problemi di sicurezza nazionale continuano ad emergere, sono riemersi sospetti e sfiducia, ereditati dai periodi più tesi della Guerra Fredda. Questi sentimenti furono accresciuti dal ricordo del primo decennio post-sovietico, durante il quale la Russia stava attraversando un’incredibile crisi economica e politica, mentre gli Stati Uniti gioivano per la continua crescita economica e per un lungo periodo senza precedenti. Tutto ciò ha alimentato divergenze politiche, su temi come i Balcani, i territori ex sovietici, il Medio Oriente,

HENRY KISSINGER

Siamo di fronte a un nuovo tipo di pericolo. Fino a tempi molto recenti, la messa in pericolo dell’ordine internazionale andava di pari passo con l’accumulo di potere da parte di uno Stato dominante. Oggi, le minacce derivano piuttosto dal fallimento delle strutture statali e dal numero crescente di stati senza leader. Il problema del fallimento del potere, che si sta diffondendo sempre più, non può essere risolto da uno Stato, per quanto grande, da una prospettiva esclusivamente nazionale. Richiede una cooperazione continua tra Stati Uniti, Russia e altre potenze. Di conseguenza, la rivalità tra paesi nella risoluzione dei conflitti tradizionali, in un sistema interstatale, deve essere limitata affinché questa rivalità non vada oltre i limiti e non crei un precedente.

HENRY KISSINGER

Negli anni ’60 e ’70, le relazioni internazionali per me si sono ridotte a una relazione conflittuale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’evoluzione della tecnologia ha fatto sì che una visione strategica stabile potesse essere attuata dai due paesi, pur mantenendo la loro rivalità in altri settori. Da allora il mondo è cambiato profondamente. In particolare, in un mondo multipolare in divenire, la Russia dovrebbe essere vista come un elemento essenziale di qualsiasi equilibrio globale e non, soprattutto, come una minaccia per gli Stati Uniti.

Ho trascorso la maggior parte degli ultimi settant’anni impegnato in un modo o nell’altro nelle relazioni USA-Russia. Sono stato al centro delle decisioni quando sono scoppiate le crisi e nelle celebrazioni congiunte durante i successi diplomatici. I nostri paesi e i popoli del mondo hanno bisogno di una prospettiva più sostenibile.

HENRY KISSINGER

Purtroppo, gli sconvolgimenti del mondo hanno avuto la meglio sull’intelligence politica. Ne è un simbolo la decisione presa da Yevgeny Primakov, che, in qualità di Primo Ministro volando a Washington attraverso l’Atlantico, ha preferito voltarsi e tornare a Mosca per protestare contro l’inizio delle manovre militari della Nato in Jugoslavia. Le nascenti speranze che hanno fatto della stretta cooperazione contro Al-Qaeda e talebani in Afghanistan il primo passo di un partenariato più profondo, hanno sofferto il magma dei conflitti in Medio Oriente, prima di essere schiacciate dalle operazioni militari russe nel Caucaso nel 2008, poi in Ucraina nel 2014. I recenti tentativi di trovare punti di accordo sul conflitto siriano e di rilassare la mente delle persone sulla questione ucraina non sono stati in grado di contrastare un crescente sentimento di estraneità.

HENRY KISSINGER

Sappiamo che ci aspettano un certo numero di soggetti divisivi, come l’Ucraina o la Siria. Negli ultimi anni, i nostri paesi hanno occasionalmente discusso di questi argomenti senza fare progressi di rilievo. Ciò non sorprende, perché le discussioni si sono svolte al di fuori di un quadro globale. Tutti questi problemi specifici sono l’espressione di un problema più ampio. L’Ucraina deve far parte della sicurezza internazionale ed europea, per fungere da ponte tra la Russia e l’Occidente, e non da avamposto dell’uno o dell’altro. Per quanto riguarda la Siria, sembra ovvio che le fazioni locali e regionali non riescano da sole a trovare una soluzione. D’altra parte, gli sforzi congiunti USA-Russia, accompagnati dal coordinamento con le altre grandi potenze, potrebbero aprire la strada a soluzioni pacifiche,

HENRY KISSINGER

Qualsiasi sforzo dedicato al miglioramento di queste relazioni deve lasciare spazio alla consultazione sugli equilibri del mondo a venire. Quali sono le tendenze che sfidano l’ordine di ieri e plasmano quello di oggi? Quali sono le sfide poste da questi cambiamenti agli interessi sia della Russia che dell’America? Quale ruolo vuole svolgere ciascun paese nella costruzione di questo ordine, e quanto ci si può ragionevolmente aspettare che sia importante? Come possiamo conciliare le visioni del mondo radicalmente diverse che sono emerse in Russia e negli Stati Uniti – così come in altre grandi potenze – sulla base della loro esperienza storica? L’obiettivo dovrebbe essere quello di concettualizzare le relazioni UE/Russia in una visione strategica all’interno della quale potrebbero essere risolte questioni controverse.

HENRY KISSINGER

Sono qui per difendere la possibilità di un dialogo che cerchi di unire il nostro futuro piuttosto che giustificare i nostri conflitti. Ciò richiede che ciascuna parte rispetti i valori fondamentali e gli interessi dell’altra. Tali obiettivi non possono essere raggiunti entro il termine dell’attuale amministrazione. Ma la loro ricerca non dovrebbe essere ritardata dalla politica interna statunitense. Saranno raggiunti solo grazie alla volontà comune di Washington e Mosca, della Casa Bianca e del Cremlino, di andare oltre le lamentele e il sentimento di persecuzione per resistere alle grandi sfide che attendono i nostri due Paesi negli anni a venire futuro.

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian, Di  Ekaterina Zolotova

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian

Mosca sta facendo del suo meglio per invogliare Baku ad unirsi alla sua alleanza eurasiatica.

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La Russia ha trascorso gran parte del 2021 cercando di ristabilire i cuscinetti persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ha dispiegato truppe al confine occidentale con l’Ucraina, ha aumentato l’integrazione con la Bielorussia, ha continuato la sua missione di mantenimento della pace nel Caucaso e ha approfondito la cooperazione con le nazioni dell’Asia centrale. Nel 2022 Mosca sposterà la sua attenzione su un Paese del Caucaso meridionale che da anni è in bilico tra Occidente e Russia: l’Azerbaigian. E lo farà utilizzando l’Unione economica eurasiatica, un blocco regionale post-sovietico che domina, come strumento di coercizione.

mano nascosta

Il mese scorso, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha visitato Bruxelles su invito del segretario generale della NATO. Durante il loro incontro, Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian è un partner affidabile della NATO e mantiene stretti legami con gli alleati della NATO, in particolare la Turchia. Commenti come questi irritano il Cremlino, che vuole limitare il più possibile la presenza della Nato lungo la sua periferia. L’Azerbaigian è una parte fondamentale di questa strategia, poiché separa la Russia dalle forze della NATO in Turchia.

Le zone cuscinetto della Russia
(clicca per ingrandire)

Di recente, Mosca ha utilizzato una combinazione di cooperazione economica e coinvolgimento militare (nella forma della sua operazione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh) per mantenere il suo punto d’appoggio nel Caucaso. Ma considerando i suoi crescenti problemi economici e l’assortimento di altre priorità, la capacità della Russia di competere per l’influenza economica qui si sta indebolendo. Ad esempio, rappresenta solo il 5% delle esportazioni azere, mentre l’Italia e la Turchia (entrambi paesi della NATO) rappresentano rispettivamente il 30% e il 18%. Baku sta anche aumentando la cooperazione militare con la Turchia, che ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.

Mosca, però, ha una mano nascosta da giocare. L’Azerbaigian è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas verso l’Occidente. Oggi, circa il 68 percento delle esportazioni totali del paese sono petrolio greggio e prodotti correlati e il 15,9 percento sono gas di petrolio e altri idrocarburi gassosi. Il Cremlino, che comprende meglio della maggior parte delle insidie ​​del fare affidamento così pesantemente sulle esportazioni di energia, probabilmente prevede che Baku vorrà diversificare le sue vendite all’estero per ridurre la sua vulnerabilità economica. Ma questo sarà difficile per un paese come l’Azerbaigian, considerando il livello di concorrenza e la mancanza di domanda per i suoi prodotti non energetici. Così, alla vigilia della visita del presidente dell’Azerbaigian a Bruxelles, il Cremlino ha ricordato a Baku i vantaggi della sua partnership.

Pochi giorni prima che Aliyev partisse per la riunione della NATO, il presidente onorario del Consiglio economico eurasiatico, un organismo di regolamentazione dell’Unione economica eurasiatica, ha affermato che l’Azerbaigian potrebbe ottenere lo status di osservatore nel blocco, di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. L’adesione all’unione doganale del blocco potrebbe avere vantaggi significativi per l’Azerbaigian, che riceve circa il 18% delle sue importazioni dalla Russia.

Mosca ha anche fornito sottili accenni altrove sui vantaggi della sua cooperazione. Diverse pubblicazioni dei media russi hanno recentemente propagandato i forti legami tra l’Azerbaigian ei membri dell’EAEU. Ad esempio, l’affiliato azero del sito web russo Sputnik News ha pubblicato un articolo il mese scorso evidenziando i vantaggi dell’adesione. Secondo la pubblicazione, l’adesione dell’Azerbaigian alla EAEU aumenterebbe le esportazioni del settore agricolo e non petrolifero del paese di 280 milioni di dollari. Ha inoltre affermato che l’adesione potrebbe aumentare il prodotto interno lordo dell’Azerbaigian dello 0,6 percento rispetto ai livelli attuali e che ogni residente dell’Azerbaigian trarrebbe profitto di 1.013 dollari, un importo sostanziale in un paese il cui PIL pro capite è di soli 4.202 dollari.

Il Cremlino ha anche recentemente menzionato un sondaggio del 2018 del Centro analitico per il governo della Federazione Russa che ha rilevato che quasi il 40% della comunità imprenditoriale dell’Azerbaigian accoglierebbe con favore relazioni economiche più strette con l’UEE. Questi numeri, spera il Cremlino, suoneranno allettanti in un paese la cui economia si sta riprendendo dalla pandemia, ma lentamente. Sebbene l’Azerbaigian abbia sofferto meno degli effetti economici della pandemia rispetto ai suoi vicini, in gran parte a causa delle sue esportazioni di energia, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione (principalmente verso la Russia) rimangono problemi significativi.

Il commercio dell'Azerbaigian
(clicca per ingrandire)

Tuttavia, la Russia sa che non può fare affidamento esclusivamente sul mercato interno dell’UEE per attirare l’Azerbaigian, poiché anche le economie di alcuni degli altri membri del blocco sono in difficoltà. Pertanto, l’EAEU è in trattative per un accordo di libero scambio permanente con l’Iran. (Le due parti hanno firmato un accordo commerciale provvisorio nel 2018.) Il blocco ha anche accordi di libero scambio con Serbia, Vietnam e Singapore, e entro il 2025, India, Israele ed Egitto saranno aggiunti all’elenco. Ciò significa che unendosi al blocco, l’Azerbaigian avrà accesso a una serie di mercati aggiuntivi, non solo a quelli dei suoi cinque membri.

Un altro vantaggio è che aiuterebbe a domare le ostilità con il rivale storico dell’Azerbaigian, l’Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che il suo paese non si opporrà all’adesione dell’Azerbaigian se contribuirà alla pace regionale. La dichiarazione è un chiaro ramoscello d’ulivo visti i frequenti scontri tra i due Paesi.

Ostacoli

Ma ci sono anche ostacoli nel percorso della Russia per trascinare l’Azerbaigian nell’UEE. In primo luogo, acquisire l’appartenenza, o anche lo status di osservatore, può essere un processo lungo che richiede il consenso tra tutti i membri dell’EAEU. Dati i requisiti legali per l’adesione al blocco, nonché le tensioni in corso con l’Armenia, i negoziati potrebbero complicarsi. Mosca potrebbe dover provvedere per un po’ all’Azerbaigian per mantenerlo interessato, il che è difficile da fare data la concorrenza nella regione.

In secondo luogo, Baku deve considerare le reazioni degli altri suoi alleati. L’Azerbaigian sta aumentando il commercio con i paesi europei e stringendo alleati con la Turchia. Preferisce trovare un equilibrio tra Occidente e Russia, piuttosto che schierarsi.

In terzo luogo, l’EAEU ha problemi interni propri. Gli Stati membri non sono d’accordo su una serie di questioni e non sono sempre disposti a concedere per colmare le loro divisioni. È anche in competizione per l’influenza con la Comunità degli Stati Indipendenti, un’altra istituzione guidata dalla Russia che consiste di nazioni post-sovietiche. Inoltre, il mercato comune della UEE è ancora in evoluzione, con problemi sul funzionamento del mercato comune del gas e dell’energia e la migrazione dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati.

In definitiva, l’Azerbaigian deve vedere i vantaggi dell’adesione; gli azeri medi devono sostenere il processo di integrazione; e non ci devono essere limiti alla libera circolazione delle merci, anche attraverso la regione del Nagorno-Karabakh, piena di conflitti. Senza che queste condizioni siano soddisfatte, è improbabile che l’Azerbaigian voglia unirsi al blocco. Sarà difficile da raggiungere nel medio termine, ma per Mosca questo è il momento migliore per fare la sua mossa, poiché Baku cerca partner affidabili per rilanciare la sua economia e i suoi partner tradizionali sono impantanati nei propri problemi. Tirare l’Azerbaigian nell’UEE sarebbe una vittoria per il Cremlino. Non è un percorso facile, ma è quello che Mosca seguirà per tutto il prossimo anno.

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Politica estera americana e John Wayne, di Giuseppe Gagliano

Politica estera americana e John Wayne

Sconsigliamo in primo luogo vivamente la lettura di questo articolo ai lettori filoamericani e filo atlantici che abbondano nel nostro paese a sovranità limitata ( o nulla).

In seconda battuta-non senza una certa provocatorietà-non possiamo fare a meno di osservare come il tanto sbandierato multilateralismo del presidente Biden e del segretario di Stato Blinken si sia rivelato-come era d’altra parte prevedibile-un bluff di carattere diplomatico: il multilateralismo inteso dagli Stati Uniti significa stringere alleanze sempre più strette di carattere economico e militare con i propri alleati per perseguire meglio gli obiettivi egemonici americani a livello globale.Ma certo non significa contrattare -su un piano di parità in ambito politico e diplomatico -con la Cina e con la Russia.Questo pseudo- multilateralismo sta gettando le premesse per un conflitto per la questione ucraina tra Russia e USA. Conflitto questo che coinvolgerebbe direttamente l’Europa e che avrebbe conseguenze incalcolabili, imprevedibili ma certamente gravissime ed insieme drammatiche. Un conflitto questo che deve essere assolutamente scongiurato.A tutti i costi .

Al di là della irrilevanza-consueta quanto prevedibile-sia dell’Unione Europea che dell’ONU ciò che Putin ha sostanzialmente chiesto agli Stati Uniti e alla Nato è di fermare l’allargamento dell’Alleanza ai paesi dell’est e soprattutto di smettere di continuare ad armare l’Ucraina in funzione antirussa.Si tratta di rispettare la sovranità territoriale della Russia.Ma si tratta anche di abbandonare la consueta politica unilaterale americana secondo la quale sarebbero Stati Uniti-come nei film western americani- gli unici sceriffi che possono legiferare sul mondo decidendo cosa è giusto e cosa non lo è. La politica estera americana è stata troppo spesso ispirata al modus operandi dei film interpretati dall’attore John Wayne. Non sei d’accordo con me? Ti sparo addosso!

Ci domandiamo con quale credibilità gli Stati Uniti possono pretendere di affrontare un conflitto con la Russia dopo il fallimento sia in relazione alla situazione della Crimea sia in relazione all’Afghanistan. Ancora una volta le lezioni del passato non hanno insegnato nulla agli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Ucraina l’attuale presidente invece di continuare ad acquistare armi dagli Stati Uniti farebbe bene a cercare di risolvere la gravissima situazione nella quale versa il suo paese: la situazione economica infatti è catastrofica nonostante sia stato dato un prestito di 5 miliardi di dollari dal FMI nel 2000 a cui poi se ne è aggiunto un secondo 750 milioni di dollari per evitare che l’Ucraina vada in default .Inoltre il calo di popolarità del presidente americano potrebbe portarlo a fare scelte molto pericolose per non apparire debole agli occhi degli elettori e dei repubblicani .Se Putin dovesse spuntarla questo certamente equivarrebbe alla fine ingloriosa della politica neo conservatrice e delle sue nefaste conseguenze a livello di equilibrio internazionale.

https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2021/12/25/politica-estera-americana-e-john-wayne/?fbclid=IwAR2U_maLWgIq1J9YZyCODnooOT-mYfJ2ipXhYp-VDpkwyEoeSa0v6YKCb9I

La proposta di trattato russo Di: George Friedman

Qui sotto un importante articolo di George Friedman per tema la proposta di trattato russo offerta agli Stati Uniti e alla NATO e i due testi inviati il 15 dicembre dal Ministro degli Esteri Russo.

La proposta, apparentemente e semplicisticamente, può essere interpretata come un atto propagandistico, pur di rilievo; destinato in fondo nel peggiore dei casi a rimanere un episodio di quel confronto mediatico e propagandistico con scarse implicazioni dirette nella dinamica dei rapporti diplomatici e del confronto multipolare. Una impressione suffragata dall’accoglienza distratta offerta dai media italiani, dalla sufficienza che traspare dalle penne più o meno illustri, comunque scontatamente ossequiose e dall’assenza al momento di valutazioni da parte delle maggiori riviste di approfondimento di geopolitica del mondo occidentale; probabilmente un tentativo di lasciar scivolare nell’indifferenza il passo diplomatico.

In realtà è insolito, di fatto irrituale, il fatto che il testo di una proposta di trattato, specie di questa importanza strategica, sia pubblicizzato dalla parte proponente prima di essere quantomeno valutato e discusso, sondato nei normali canali diplomatici.

Rappresenta piuttosto l’indizio della drammaticità crescente dello stato delle relazioni diplomatiche tra due dei tre principali attori geopolitici, gli Stati Uniti e la Russia, in un contesto internazionale sempre più inquieto ed affollato di nuovi protagonisti. Un modo, probabilmente, di far uscire allo scoperto la controparte da una tattica strisciante di avvolgimento o di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Colpisce, pertanto, il diverso atteggiamento delle due parti in causa.

I primi impegnati da oltre trent’anni in una politica di accerchiamento e pericoloso avvicinamento al cuore della nazione russa una volta fallito il tentativo di destabilizzazione, disgregazione e predazione interna di quel paese, ma con una opinione pubblica ancora del tutto impreparata a sostenere i costi ed i rischi di una politica così espansiva ed aggressiva. Una condotta che ha fatto strame degli impegni e delle garanzie di neutralità dei paesi sganciatisi dal Patto di Varsavia concordate con Gorbaciov, del principio di integrità degli stati scaturiti dalla dissoluzione del blocco sovietico nel momento stesso in cui se ne chiede il rispetto per alcuni di essi, in particolare la Georgia e soprattutto l’Ucraina; un indirizzo, una condotta stridente con i proclami di rispetto dei diritti delle minoranze, tanto cari alla UE e agli Stati Uniti, tranne quando, nella fattispecie, queste siano costituite dalle popolazioni russe rimaste prigioniere, senza praticamente diritto di cittadinanza, degli stati sorti dalla divisione amministrativa della Unione Sovietica, disegnata per altri fini politici. Una condotta portata alle estreme conseguenze con il colpo di stato in Ucraina del 2014, lo smacco più cocente della presidenza di Putin. Un processo niente affatto lineare con diversi sgradevoli imprevisti nel carniere: lo smacco in Georgia, la relativa autonomia ed indipendenza acquisita dalla Turchia nei confronti della NATO ed il suo inedito rapporto di collaborazione conflittuale con la Russia, sancito dal recente avvicinamento con l’Armenia, sostitutivo di quello apertamente ostile del secolo passato. Un atteggiamento e una inerzia che impedisce, al momento, di giocare la carta dell’Ucraina per sganciare la Russia dalla Cina, ma con grave smacco dei centri euroorientali ed in parte tedeschi e scandinavi in grado di lucrare notevolmente sulla postura russofoba.

I secondi impegnati con maggior successo in una politica, comunque, ancora di contenimento, una volta superata definitivamente l’illusione della possibilità di integrazione nell’area occidentale su basi più paritarie e non di mera resa.

Difficile però interpretarne le motivazioni determinanti.

Potrebbe essere un gesto obbligato, al limite della disperazione, teso ad interrompere in qualche maniera il processo di logoramento e arretramento e a portare allo scontro in una situazione meno sfavorevole.

Potrebbe al contrario essere un gesto calcolato in un contesto molto più aperto ed incerto. Gli ultimi otto mesi sono stati ricchi di episodi salienti:

  • l’assemblea primaverile della NATO che ha sancito un dualismo di indirizzi, con i paesi dell’Europa Orientale impegnati sul fronte russo e quelli dell’Europa Centro-Occidentale adibiti a retrovia e dirottati verso il Pacifico e l’Africa Mediterranea
  • l’avvento di un governo tedesco più filoamericano che renderà più stridente la contradizione tra l’allineamento geopolitico e la relativa autonomia geoeconomica di quel paese; in trepidante attesa di quello che potrà avvenire l’anno prossimo in Francia. Non a caso l’acceso confronto elettorale  transalpino sia già finito sotto il mirino delle due fazioni americane
  • lo stallo diplomatico evidenziato dal colloquio tra Biden e Putin
  • il crescente sodalizio tra Russia e Cina, sancito dall’ultimo colloquio tra Putin e Xi Jin Ping, tenutosi appena prima della proposta russa di trattato e sempre più sostenuto dall’incapacità americana di scegliersi coerentemente l’avversario principale, pur avendolo individuato
  • l’emergere definitivo nello scacchiere asiatico di stati in grado non solo di partecipare a sistemi di alleanze preconfezionate, ma di condizionare pesantemente le azioni e gli indirizzi dei tre paesi più importanti dal punto di vista economico e militare
  • soprattutto l’esito dell’intervento americano in Afghanistan e in particolare le modalità di gestione del ritiro e del dopo-intervento in quell’area, con il corollario della crescente e profonda avversione all’interventismo nella popolazione, ma anche tra gli stessi militari statunitensi

Non sarà semplice affogare da parte americana l’iniziativa nelle tattiche dilatorie tese a procrastinare i comportamenti di questi ultimi trenta anni.

Il passo diplomatico russo è destinato dunque a mettere a nudo la reale consistenza di queste dinamiche. Ad evidenziare in particolare che la carta più importante in mano alla attuale gruppo dirigente di avventurieri statunitensi rimane la possibilità di fomentare conflitti con truppe di terzi sul terreno, in questo caso europee. Non solo! Potrebbe dare una grande spinta ad un chiarimento definitivo nello scontro politico in corso da anni negli Stati Uniti che ha per oggetto la natura dei rapporti con la Russia e le modalità di scontro e conflitto con la Cina. L’esito delle presidenziali americane di un anno fa parevano aver segnato l’epilogo definitivo di una guerra. Si è rivelato l’esito mal riuscito di una battaglia di un gruppo dirigente incapace di dare coerenza politica ai propri proclami e di creare la coesione interna necessaria e indispensabile all’esercizio di potenza e di influenza esterna, dibattuto com’è nel suo proposito insopprimibile di egemonia mondiale e di guida predestinata. Il terreno di coltura di colpi di mano incontrollati e dall’esito catastrofico del quale l’Ucraina è senz’altro uno dei focolai più pericolosi. Putin conta su una sola certezza: sa benissimo chi è l’interlocutore con il quale trattare dei problemi del continente europeo. Il rumore dei grandi assenti tra i destinatari del documento è nelle orecchie di chi vuol sentire. Dalla sua gioca il fatto che due punti caldi nel mondo (Taiwan e Ucraina) sono troppi anche per la più grande potenza militare, al netto di giochi di corridoio_Buona lettura, Giuseppe Germinario

La proposta di trattato russo

Di: George Friedman

Abbiamo operato con un modello della Russia. Avendo perso i suoi territori non russi con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, alla Russia mancano i cuscinetti che la proteggevano. Il suo imperativo nazionale è recuperare quegli stati di confine, formalmente o informalmente. Potrebbero essere occupati dalle forze russe o, per lo meno, governati da governi nativi che escludono la presenza delle potenze occidentali e si coordinano con Mosca. I russi hanno raggiunto questo obiettivo nel Caucaso meridionale attraverso la diplomazia e lo stazionamento di forze di pace russe nella regione. Hanno aumentato il loro potere in Asia centrale. Ma la regione critica per la Russia è a ovest, di fronte all’Europa occidentale, agli Stati Uniti e alla NATO. Lì, la perdita della Bielorussia e dell’Ucraina ha posto un problema critico. Il confine orientale dell’Ucraina è solo a circa 300 miglia (480 chilometri) da Mosca e l’Ucraina è alleata con gli Stati Uniti e le potenze europee, informalmente se non come parte della NATO.

La strategia della Russia fino a questo punto era stata quella di evitare l’intervento militare diretto contro le forze ostili e utilizzare misure ibride per costruire influenza e ottenere il controllo. Questo è quello che è successo nel Caucaso. Questo è anche quello che è successo in Bielorussia, dove un’elezione contestata ha lasciato il presidente Alexander Lukashenko in una posizione debole, e Mosca ha usato il suo potere per assicurare la posizione di Lukashenko e controllare gli eventi a Minsk. L’ ondata di rifugiati verso il confine polacco ha messo la Polonia sulla difensiva e ha creato un senso di crisi in Polonia. Per quanto riguarda la Bielorussia, è stata semplicemente l’arena scelta dalla Russia, un satellite preso a bassa voce.

Mentre la Russia stava reclamando i suoi cuscinetti, abbiamo rivolto la nostra attenzione all’Ucraina, che, come ho detto, è il cuscinetto chiave. È vasto, minaccia direttamente la Russia e dall’Ucraina la Russia potrebbe minacciare anche l’Occidente. In effetti, tra la Bielorussia nella pianura nordeuropea e il controllo dell’Ucraina sui Carpazi, la Russia non solo poteva difendersi, ma anche minacciare un attacco all’Europa dal Mar Baltico al Mar Nero.

I russi hanno mobilitato le forze lungo i confini dell’Ucraina – da est, nord e sud – e, senza fare minacce palesi, hanno creato una situazione in cui sembrava possibile un’invasione dell’Ucraina. Ho scritto la scorsa settimana dubitando che i russi avrebbero tentato una complessa occupazione di un paese ostile perché le possibilità di fallimento, anche contro una resistenza minima, erano reali e perché i russi non potevano prevedere le azioni americane. Se intervenisse, gli Stati Uniti probabilmente interverrebbero a terra, ma possiedono anche arsenali di missili anticarro lanciati da aerei o navi nel Mar Baltico e nel Mar Nero. Come si evolverebbe questo conflitto non è noto e gli Stati Uniti potrebbero non scegliere una controparte militare. Ma la Russia non poteva saperlo, né poteva rischiare di agire sull’intelligence, che spesso si sbaglia.

Per completare la ricostruzione dell’Unione Sovietica, i russi devono prima neutralizzare gli Stati Uniti senza un’azione militare. La migliore strategia per questo è neutralizzare la NATO, le cui forze militari sono limitate ma comunque significative. Ancora più importante, una risposta americana alla Russia senza la disponibilità del territorio della NATO e senza il sostegno politico degli alleati della NATO complicherebbe la dinamica militare e politica dell’azione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano già indicato la loro cautela minacciando il sistema bancario russo se ci fosse stata una guerra in Ucraina, piuttosto che minacciare un’azione militare.

Pertanto, prima ancora che la Russia prendesse in considerazione un’azione militare in Ucraina, doveva neutralizzare politicamente i (già cauti) Stati Uniti, e la chiave era paralizzare la NATO e in particolare la Germania. La Germania vede la Russia come una fonte cruciale di energia, un partner commerciale che potrebbe crescere di importanza e un problema da evitare. Ancora più importante per esso è l’Europa, di cui la NATO è un elemento cruciale, non tanto come forza militare, ma come un’altra forza che tiene insieme l’Europa. Come potenza dominante in Europa (al di fuori della Gran Bretagna), la Germania ha l’imperativo nazionale di mantenere la sua posizione economica dominante, che le conferisce una grande influenza sul comportamento degli europei in materia militare.

Per la Germania, quindi, una guerra non sarebbe adatta alle sue esigenze. Rischierebbe un conflitto che potrebbe indebolire gravemente l’economia europea in un momento delicato. La Germania vede la Polonia come un problema difficile poiché è nella NATO, ma la posizione della Polonia nei confronti della Russia non soddisfa gli interessi della Germania. La Germania vorrebbe ovviamente un cuscinetto contro la Russia in Bielorussia e Ucraina, ma non se ciò significa enormi costi economici e aumento del potere americano in Europa. Gli Stati Uniti dominano la NATO e un conflitto esteso massimizzerebbe le considerazioni militari americane e minimizzerebbe le preoccupazioni economiche tedesche. In breve, mentre potrebbe esserci una serie di posizioni sulle mosse della Russia in Europa, la Germania, la potenza leader, deve evitare la guerra e pagherà un prezzo per questo. La neutralizzazione degli Stati Uniti da parte della Russia passa attraverso la NATO, l’Europa e in particolare la Germania. Se hanno punti di vista divergenti, una difesa americana unilaterale contro la Russia diventa molto rischiosa.

Arriviamo così allo straordinario documento che la Russia ha consegnato la scorsa settimana. Il documento è mirato alla NATO. La clausola chiave è l’articolo 5: “Le Parti si astengono dallo schierare le proprie forze armate e armamenti, anche nel quadro di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, nelle aree in cui tale dispiegamento potrebbe essere percepito dall’altra Parte come una minaccia per sua sicurezza nazionale, ad eccezione di tale spiegamento all’interno dei territori nazionali delle Parti”.

In altre parole, la Russia chiede il diritto di limitare il dispiegamento delle truppe statunitensi nei paesi della NATO se i russi si sentono minacciati da tale dispiegamento. L’effetto immediato sarebbe che, mentre la Polonia potrebbe rafforzare la propria forza, gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dalla Polonia se la Russia si sentisse minacciata, cosa che dice di fare. Naturalmente, se la Federazione Russa reintegrasse gli ex territori sovietici nel suo sistema politico, cosa che penso sia una possibilità, allora la Russia sarebbe liberata dall’articolo 5.

Ci sono altre clausole che garantiscono che gli Stati Uniti rifiuteranno il documento. È quindi una domanda interessante perché i russi l’abbiano creato. Potrebbe essere concepito come una piattaforma negoziale, ma è troppo distorta dall’interesse russo per essere una piattaforma praticabile per Washington. Un’altra possibilità è che sia per il consumo interno russo, a dimostrazione del fatto che la Russia parla agli Stati Uniti come un potente pari da rispettare. Oppure potrebbe essere che dopo la risposta iniziale degli americani alle minacce russe – che il loro sistema bancario sarebbe stato danneggiato – i russi leggessero gli Stati Uniti come riluttanti a rispondere in Ucraina.

La chiave dal mio punto di vista è che nessuno vuole una guerra in Ucraina perché sarebbe lunga e sanguinosa, e il vantaggio geografico andrebbe alla Russia. Una proposta sul tavolo, per quanto assurda, può dare alle nazioni caute l’opportunità di capitolare mentre sembrano preferire un corso diplomatico a risposte militari irrazionali. Gran parte dell’Europa non è disposta a combattere per l’indipendenza dell’Ucraina. Gli Stati Uniti, preoccupati per la libera diffusione del potere russo attraverso la forza militare, potrebbero scegliere un intervento. Questa proposta potrebbe essere vista in Europa come una “base di discussione”, limitando le opzioni americane.

Un’invasione dell’Ucraina sarebbe piena di rischi per la Russia. Il fallimento o la resistenza prolungata trasformerebbero la Russia da una potenza riemergente in una nazione da scartare. Il presidente russo Vladimir Putin ovviamente sa che questo documento sarà respinto, ma nel suo contesto, il rifiuto tornerà alle controproposte, ed è possibile che la NATO e gli Stati Uniti diano un po’ di terreno in cambio dell’eliminazione di alcune delle clamorose richieste russe. Oppure Putin vuole che tutti lo vedano in termini non menzionati – come un ultimatum – e nel panico.

In ogni caso, il pezzo chiave della ricostruzione russa – l’Ucraina – è sul tavolo, e il documento confonde così completamente le questioni, chiedendo cambiamenti fondamentali nel modo in cui operano gli Stati Uniti, che qualcosa può essere concesso sotto la pressione europea. Putin non ha nulla da perdere da questo documento e qualcosa da guadagnare. Presumo che la risposta americana sarà quella di rifiutare i colloqui basati sul documento.

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IL TESTO DEI DUE DOCUMENTI

17/12/2021 13:30

ACCORDO TRA LA FEDERAZIONE RUSSA E GLI STATI UNITI D’AMERICA SULLE GARANZIE DI SICUREZZA

 

 La Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America, di seguito denominati le Parti,

Guidati dai principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite 1970 anno, l’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, nonché le disposizioni della Dichiarazione di Manila del 1982 sulla risoluzione pacifica delle controversie internazionali, la Carta per la sicurezza europea del 1999, l’Atto fondatore del 1997 sulle relazioni reciproche, la cooperazione e sicurezza tra la Russia e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico;

Ricordando l’inammissibilità nelle loro reciproche, nonché in generale nelle relazioni internazionali, dell’uso della forza o della minaccia della forza in qualsiasi altro modo incompatibile con le finalità ei principi della Carta delle Nazioni Unite;

sostenere il ruolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali;

Riconoscendo la necessità di unire gli sforzi per rispondere efficacemente alle sfide e alle minacce contemporanee alla sicurezza in un mondo globalizzato e interdipendente;

procedendo dalla stretta osservanza del principio di non ingerenza negli affari interni, compreso il rifiuto di sostenere organizzazioni, gruppi e individui che propugnano un cambio di governo incostituzionale, nonché qualsiasi azione volta a modificare il sistema politico o sociale di uno dei contraenti feste;

nel senso di migliorare l’esistente o creare ulteriori meccanismi di interazione efficaci e prontamente avviati per risolvere problemi e disaccordi problematici emergenti attraverso un dialogo costruttivo basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento degli interessi e delle preoccupazioni reciproche in materia di sicurezza, nonché per sviluppare una risposta adeguata alle sfide e minacce nel campo della sicurezza;

sforzandosi di evitare qualsiasi scontro militare e conflitto armato tra le Parti e rendendosi conto che uno scontro militare diretto tra di esse può portare all’uso di armi nucleari, che avrebbe conseguenze di vasta portata;

Riaffermando che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e che non dovrebbe mai essere scatenata, oltre a riconoscere la necessità di compiere ogni sforzo per prevenire il pericolo di una tale guerra tra Stati nucleari;

Riaffermando i propri obblighi ai sensi dell’Accordo sulle misure per ridurre il rischio di una guerra nucleare tra l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e gli Stati Uniti d’America del 30 settembre 1971, l’Accordo tra il governo dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e il governo degli Stati Uniti d’America sulla prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sovrastante del 25 maggio 1972, l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sull’istituzione di centri di riduzione del rischio nucleare di 15 settembre 1987 e l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sulla prevenzione delle attività militari pericolose del 12 giugno 1989 anno;

hanno convenuto quanto segue:

 

Articolo 1.

Le parti interagiscono sulla base dei principi di indivisibile ed eguale sicurezza, fatta salva la reciproca sicurezza, e per tali finalità:

non intraprendere azioni e non svolgere attività che incidono sulla sicurezza dell’altra Parte, non parteciparvi e non supportarla;

non attuare misure di sicurezza adottate da ciascuna Parte individualmente o nell’ambito di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione, che pregiudicherebbero gli interessi di sicurezza fondamentali dell’altra Parte.

 

Articolo 2.

Le Parti si adoperano per garantire che qualsiasi organizzazione internazionale, alleanza militare o coalizione a cui partecipa almeno una delle Parti, rispetti i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite.

 

 

Articolo 3.

Le Parti non utilizzeranno il territorio di altri Stati allo scopo di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra Parte, o altre azioni che ledano gli interessi fondamentali di sicurezza dell’altra Parte.

 

Articolo 4.

Gli Stati Uniti d’America si impegnano a escludere un’ulteriore espansione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico in direzione orientale, a rifiutare di ammettere all’alleanza Stati che in precedenza facevano parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Gli Stati Uniti d’America non stabiliranno basi militari sul territorio di stati che erano precedentemente membri dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e non sono membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, non utilizzeranno le loro infrastrutture per alcuna attività militare o svilupperanno una cooperazione militare bilaterale con loro.

 

Articolo 5.

Le Parti si astengono dal dispiegare le proprie forze armate e armi, anche nell’ambito di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, in aree in cui tale dispiegamento sarebbe percepito dall’altra Parte come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, ad eccezione di tali dispiegamento nei territori nazionali delle Parti.

Le parti si astengono dal pilotare bombardieri pesanti equipaggiati per armi nucleari o non nucleari e dal trovare navi da guerra di superficie di tutte le classi, anche all’interno di alleanze, coalizioni e organizzazioni, in aree, rispettivamente, al di fuori dello spazio aereo nazionale e al di fuori delle acque territoriali nazionali, da dove possono impegnare obiettivi nel territorio dell’altra Parte.

Le parti mantengono il dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi per prevenire pericolose attività militari in mare aperto e nello spazio aereo sopra di esso, compreso l’accordo sulla distanza massima di rendez-vous tra navi da guerra e aerei.

 

Articolo 6

Le Parti si impegnano a non dispiegare missili terrestri a medio e corto raggio al di fuori del proprio territorio nazionale, nonché in quelle aree del proprio territorio nazionale da cui tali armi sono in grado di colpire obiettivi sul territorio nazionale dell’altra Parte.

 

Articolo 7.

Le Parti escludono il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale e restituiscono tali armi già dispiegate al di fuori del territorio nazionale al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato nel territorio nazionale. Le parti elimineranno tutte le infrastrutture esistenti per il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale.

Le Parti non addestreranno personale militare e civile di paesi non dotati di armi nucleari all’uso di tali armi. Le parti non conducono esercitazioni e addestramento di forze polivalenti, compreso lo sviluppo di scenari con l’uso di armi nucleari.

 

Articolo 8.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data di ricezione dell’ultima notifica scritta dell’attuazione delle necessarie procedure nazionali da parte delle Parti.

Fatto in duplice esemplare, ciascuno in lingua russa e inglese, entrambi i testi facenti ugualmente fede.

 

 

Per la Federazione Russa

Per gli Stati Uniti d’America

17/12/2021 13:26

ACCORDO SULLE MISURE DI SICUREZZA DELLA FEDERAZIONE RUSSA E DEGLI STATI MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DELL’ATLANTICO DEL NORD

Progetto

La Federazione Russa e gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), di seguito denominati i Partecipanti,

riaffermando la volontà di migliorare le relazioni e approfondire la comprensione reciproca;

Riconoscendo che per rispondere efficacemente alle sfide moderne e alle minacce alla sicurezza in un mondo interdipendente, è necessario unire gli sforzi di tutti i Partecipanti;

Convinti della necessità di prevenire attività militari pericolose e ridurre così la probabilità che si verifichino incidenti tra le proprie forze armate;

rilevando che gli interessi di sicurezza di ciascun Partecipante richiedono di aumentare l’efficacia della cooperazione multilaterale, rafforzare la stabilità, la prevedibilità e la trasparenza in campo politico-militare;

riaffermando il loro impegno nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e della cooperazione in Europa, dell’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche, sulla cooperazione e sulla sicurezza tra la Federazione Russa e il Trattato Nord Atlantico Organizzazione del 1997, il Codice di condotta relativo agli aspetti di sicurezza politico-militare del 1994, la Carta per la sicurezza europea del 1999 e la Dichiarazione di Roma “Relazioni NATO-Russia: una nuova qualità” dei Capi di Stato e di governo della Federazione Russa del 2002 e Stati membri della NATO;

hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1.

I partecipanti alle loro relazioni sono guidati dai principi di cooperazione, eguale e indivisibile sicurezza. Non rafforzano la loro sicurezza individualmente, nel quadro di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione a scapito della sicurezza degli altri.

I partecipanti alle reciproche relazioni si impegnano a risolvere pacificamente tutte le controversie internazionali, nonché ad astenersi da qualsiasi uso della forza o dalla minaccia di un suo uso in qualsiasi modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.

I Partecipanti si impegnano a non creare condizioni o situazioni che possano rappresentare o essere considerate come una minaccia alla sicurezza nazionale degli altri Partecipanti.

I partecipanti eserciteranno moderazione nella pianificazione militare e durante le esercitazioni per ridurre i rischi di possibili situazioni pericolose, aderendo agli obblighi previsti dal diritto internazionale, compresi quelli contenuti negli accordi intergovernativi sulla prevenzione degli incidenti in mare al di fuori delle acque territoriali e nello spazio aereo sovrastante , nonché negli accordi intergovernativi sulla prevenzione di attività militari pericolose.

Articolo 2.

Per risolvere problemi e risolvere situazioni problematiche, i Partecipanti utilizzano meccanismi di consultazioni urgenti su base bilaterale e multilaterale, compreso il Consiglio Russia-NATO.

I partecipanti su base regolare e volontaria si scambiano valutazioni delle minacce moderne e delle sfide alla sicurezza, forniscono informazioni reciproche su esercitazioni e manovre militari, le principali disposizioni della dottrina militare. Al fine di garantire la trasparenza e la prevedibilità delle attività militari, vengono utilizzati tutti i meccanismi e gli strumenti esistenti di misure volte a rafforzare la fiducia.

Per mantenere i contatti di emergenza tra i Partecipanti, sono organizzate linee telefoniche “calde”.

Articolo 3.

I partecipanti confermano di non vedersi l’un l’altro come avversari.

I partecipanti mantengono un dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi di prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sopra di esso (principalmente nel Baltico e nella regione del Mar Nero).

Articolo 4.

La Federazione Russa e tutti i partecipanti che dal 27 maggio 1997 erano stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, di conseguenza, non dispiegano le loro forze armate e armi sul territorio di tutti gli altri stati europei, oltre alle forze di stanza in questo territorio dal 27 maggio 1997 anno. In casi eccezionali, quando si verificano situazioni legate alla necessità di neutralizzare la minaccia alla sicurezza di uno o più Partecipanti, tali collocamenti possono essere effettuati con il consenso di tutti i Partecipanti.

Articolo 5.

I Partecipanti escludono il dispiegamento di missili a terra a medio e corto raggio in aree da cui sono in grado di colpire bersagli sul territorio di altri Partecipanti.

Articolo 6

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, accettano obblighi che precludono un ulteriore allargamento della NATO, inclusa l’adesione dell’Ucraina, così come di altri stati.

Articolo 7.

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, si rifiutano di condurre qualsiasi attività militare sul territorio dell’Ucraina, così come in altri stati dell’Europa orientale, della Transcaucasia e dell’Asia centrale.

Al fine di escludere il verificarsi di incidenti, la Federazione Russa e i partecipanti che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico non condurranno esercitazioni militari e altre attività militari al di sopra del livello di brigata in una striscia di larghezza e configurazione concordate su ciascun lato del la linea di confine della Federazione Russa e gli stati che sono con essa in un’alleanza militare, nonché i membri che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.

Articolo 8.

Il presente Accordo non pregiudica e non sarà interpretato come lesivo della responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, nonché i diritti e gli obblighi dei membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Articolo 9.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data in cui le notifiche di consenso ad essere vincolati da più della metà degli Stati firmatari sono depositate presso il depositario. Per quanto riguarda uno Stato che ha dato tale notifica in una data successiva, il presente Accordo entrerà in vigore alla data della sua trasmissione.

Ciascuna Parte del presente Accordo può recedere dallo stesso inviando l’apposita notifica al depositario. Il presente Accordo termina per tale Partecipante [30] giorni dopo il ricevimento di detta notifica da parte del depositario.

Il presente Accordo è stato redatto in russo, inglese e francese, i cui testi fanno ugualmente fede, ed è conservato negli archivi del depositario, che è il governo…

Fatto in [città …] [XX] giorno [XXX] mese [20XX].

Inerzia e punti di svolta_ di Giacomo Gabellini

Nell’ottica statunitense, l’Ucraina continua a rappresentare una pedina preziosa, sistematicamente impiegata per mettere alle corde la Russia nell’attuale fase ma potenzialmente riciclabile, in un’ottica di medio-lungo periodo, come merce di scambio in nome di un riavvicinamento tra Washington e Mosca funzionale al contenimento della Cina. Prospettiva apparentemente inconcepibile, alla luce del fervore anti-russo che anima gli ambienti neoconservatori fortemente sovrarappresentati all’interno dello “Stato profondo”, ma pur sempre presente nel novero delle opzioni strategiche e proprio per questo pro-fondamente temuta dai leader russofobi e ultra-atlantisti della “nuova Europa”. I quali non perdono occasione per trascinare l’imbelle Unione Europea verso una posizione di crescente ostilità nei confronti della Russia – dai risultati catastrofici dal punto di vista sia economico che strategico – proprio perché persuasi che il rango dei loro Paesi, e i relativi dividendi di natura economica e (geo)politica che ne derivano, risulti direttamente subordinato al grado di rilevanza che gli Stati Uniti attribuiscono all’accerchiamento della Russia.
Osservata dal punto di vista strettamente geopolitico, infatti, la dottrina del rollback applicata da Washington nei confronti della Federazione Russa denota una smaccata illogicità di fondo. Prima d’ora, gli Stati Uniti non si sono mai trovati nelle condizioni di affrontare un avversario come la Repubblica Popolare Cinese, che va ogni giorno di più attrezzandosi per soverchiare gli Usa sotto il profilo economico, tecnologico e militare. Attualmente, gli sforzi della Casa Bianca e del Congresso si concentrano sulla rottura del legame di dipendenza sviluppato dalle imprese multinazionali statunitensi nei confronti della manifattura cinese, attraverso la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento, la rinazionalizzazione delle industrie strategiche e l’imposizione di nuovi standard produttivi concepiti appositamente per colpire l’ex Celeste Impero.
Ammesso – e non concesso – che l’ambiziosissimo progetto giunga effettivamente a realizzazione, occorreranno comunque decenni per riconfigurare le filiere, rimpatriare gli impianti delocalizzati a partire dai primi anni ’80 e rimodellare la globalizzazione in base ai propri interessi specifici. I numeri, d’altra parte, sono largamente favorevoli alla Cina, dal punto di vista sia demografico che economico. Per cui, insistono i più illustri esponenti della corrente di pensiero realista, è tempo di abbandonare le velleità di dominio maturate durante il breve periodo unipolare e prendere atto che gli Stati Uniti non dispongono più dei mezzi né dell’autorità sufficiente per piegare il resto del mondo alle proprie direttive. All’inizio degli anni ’70, quando gli Stati Uniti erano alle prese con la dispendiosissima e fallimentare Guerra del Vietnam, fu una constatazione di questo genere a spingere Nixon e Kissinger a superare le barriere di carattere ideologico consustanziali alla Guerra Fredda per aprire alla Repubblica Popolare Cinese e condannare l’Unione Sovietica a un fatale isolamento politico ed economico.
All’epoca, Washington conseguì il risultato capitalizzando politicamente i timori e le questioni aperte tra Mosca e Pechino, a coronamento di un meticoloso lavoro preparatorio che denotava una profonda consapevolezza circa le opportunità potenzialmente costruttive offerte dallo scenario multipolare in via di costituzione. Oggi, la logica della strategia imporrebbe ai decisori statunitensi l’adozione di un approccio altrettanto pragmatico, implicante cioè la predisposizione di una manovra di avvicinamento verso il Cremlino basata sul riconoscimento degli interessi nazionali russi e la strumentalizzazione delle non inesistenti divergenze tra Mosca e Pechino. In primo luogo perché la Russia «non ha la taglia per scalare la vetta del potere planetario. Ma è la quantità marginale che gettando il suo peso sull’uno o sull’altro piatto della bilancia può decidere della partita fra Stati Uniti e Cina»; un’alleanza tra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese raggiungerebbe la massa critica per «squilibrare il parallelogramma delle forze a danno di Washington». Un’intesa con il Cremlino, viceversa, permetterebbe a Washington di riposizionare nell’area dell’Indo-Pacifico le risorse attualmente dedicate all’accerchiamento della Federazione Russa in Europa orientale, Caucaso e Medio Oriente, e focalizzare così l’attenzione sulla questione di gran lunga più cogente, costituita dall’ascesa della Cina e dalla rapidità con cui Pechino continua implacabilmente ad erodere i residui vantaggi di cui godono ancora gli Usa.
Non è un caso che il più convinto sostenitore della linea della normalizzazione dei rapporti con Mosca sia proprio Henry Kissinger, il principale architetto dell’intesa sino-statunitense del 1972. In un’intervista rilasciata a «The Atlantic» nel 2016, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale e segretario di Stato di Nixon raccomandava di guardare alla Russia «non come a un avversario, ma come a un partner con cui trovare una soluzione».
Sulla strada che conduce all’attuazione delle direttive kissingeriane si ergono una serie di ostacoli formidabili, a partire dall’impellente necessità dell’apparato dirigenziale Usa di preservare un “nemico perfetto” attraverso cui (tentare) tenere insieme i pezzi di una società domestica frustrata, impoverita e pericolosamente avviata verso la disgregazione, e legittimare allo stesso la sopravvivenza di un’organizzazione obsoleta e sempre più contestata come la Nato. La quale costituisce a sua volta la migliore garanzia per la perpetuazione dell’occupazione militar-strategica statunitense di un teatro di primaria importanza come l’Europa, che nella visione profondamente influenzata dalle teorizzazioni di Mackinder e Brzezinski tuttora imperante nel mondo degli “apparati” di Washington risulta imprescindibile per prevenire qualsiasi forma di collaborazione tra Russia ed Europa (leggi: Germania) in grado di ridimensionare la supremazia Usa. Di qui la decisione statunitense di pianificare la sovversione degli equilibri politici interni all’Ucraina per trasformarla in un cuneo da frapporre tra Mitteleuropa e Russia votato all’isolamento dell’Heartland, e intensificare al contempo la pressione militare (espansione della Nato, moltiplicazione delle esercitazioni dell’Alleanza Atlantica in Europa orientale), economica (inasprimento delle sanzioni) e politica (strumentalizzazione del caso Naval’nyj e delle proteste in Bielorussia) sulla Russia.
Kissinger è stato tra i pochissimi – nell’intervista a «The Atlantic», è egli stesso a definire minoritaria” la sua scuola di pensiero – a cogliere la natura spiccatamente difensiva delle mosse compiute da Vladimir Putin a partire dal 2014, e a rendersi conto che nessun leader russo avrebbe mai potuto accettare la prospettiva, resa particolarmente concreta dal colpo di Stato di “Euro-Majdan”, di ritrovarsi la Nato saldamente impiantata in Crimea e alle porte dello stesso bassopiano sarmatico attraversato dalle armate di Napoleone ed Hitler. L’annessione della penisola, attuata con il consenso schiacciante della popolazione locale, ha preservato il controllo russo sull’importantissimo porto di Sebastopoli, mentre l’appoggio garantito alle repubbliche secessioniste di Luhans’k e Donec’k ha permesso alla Federazione Russa di frapporre un imprescindibile cuscinetto fra sé e la Nato. Le cui porte rimangono aperte non solo per l’Ucraina, ma anche per la Georgia, come dichiarato sia dal segretario di Stato Blinken che dal segretario generale dell’Alleanza Stoltenberg. Ai due Paesi, la possibilità era già stata prospettata durante il vertice della Nato di Bucarest dell’aprile 2008, pochi mesi prima che Saakashvili ordinasse l’attacco contro Abkhazia e Ossezia del Sud innescando l’escalation culminata con la sconfitta militare della Georgia ad opera della Russia. A dispetto di quanto prospettato da alcuni6, le intenzioni del Cremlino non vertono sull’annessione del Donbass sulla falsariga del precedente della Crimea, ma sulla stretta osservanza degli Accordi di Minsk, implicanti la concessione di uno statuto speciale alle regioni di Luhans’k e Donec’k (dove i russi etnici sono in maggioranza) che assicuri alla Russia una “quinta colonna” interna allo Stato ucraino di cui avvalersi per influenzare il processo decisionale di Kiev – per lo stesso, identico motivo, la leadership ucraina ostacola l’applicazione dell’intesa raggiunta in Bielorussia e ne invoca la revisione.
A ennesima riprova del fatto che, ristabilito l’equilibrio strategico grazie alla messa a punto di un formidabile arsenale nucleare, la priorità odierna della Russia consiste nel sigillare i propri confini occidentali, consolidando la propria influenza entro gli ex satelliti al fine di ricostituire legami politico-economico-commerciali con il proprio “estero vicino” confluito sotto l’ombrello militar-strategico statunitense e impedire un’ulteriore espansione della Nato verso est. Una logica pressoché analoga si riscontra nella sempre più spiccata propensione del Cremlino a raggiungere compromessi tattici con la Turchia dell’ambiguo e inaffidabile Erdoğan, e ad attingere alla vasta gamma di strumenti di guerra ibrida per intervenire in scenari critici quali quello libico e, soprattutto, siriano. Dove «sul campo i proiettili russi colpiscono i nemici di Assad, ma simbolicamente sono una sorta di “fuoco di interdizione” a un intervento occidentale, per evitare uno scontro diretto tra grandi potenze. In qualche modo, i russi stanno “segnando” il proprio spazio di influenza» nel tentativo di ricavarsi aree strategiche in cui operare per far fronte alla crescente aggressività degli Stati Uniti e della Nato. La cui ostinata renitenza a riconoscere a Mosca qualsiasi legittimità nell’esercizio di influenza nel proprio “estero vicino” ha portato alla formazione di una sorta di “vallo eurasiatico” che, nelle intenzioni di Washington, dovrebbe «interrompere arterie secolari, in grado di assicurare la circolazione di beni materiali, culture, costumi, tradizioni, religioni, dialogo interetnico che si era sviluppata dall’antichità all’età di mezzo, dall’era moderna a quella contemporanea fino ai nostri giorni».
differenza di quella originaria, per di più, la nuova “cortina di ferro” appare strutturalmente votata a produrre frizioni anziché (relativa) stabilità, soprattutto perché priva di una collocazione geografica fissa. Essa non corre più “da Stettino a Trieste”, ma da Murmansk a Sebastopoli, sfiorando la direttrice San Pietroburgo-Rostov. La “linea del fronte” si è quindi spostata 1.200 km più a est, a una distanza dal cuore storico, demografico ed economico della Russia mai così pericolosamente ridotta dai tempi di Ivan in Grande. La presenza della Nato a ridosso dei confini russi priva il Cremlino dello spazio necessario a qualsiasi forma di arretramento, costringendo Mosca a reagire a ogni iniziativa dello schieramento nemico con la durezza e l’imprevedibilità ravvisabili in qualsiasi soggetto che si ritrovi nelle condizioni di dover fronteggiare minacce di tipo esistenziale. Di qui l’inequivocabilità con cui Putin ha indicato nel mantenimento dell’Ucraina in uno stato di neutralità geopolitica e nella permanenza della Bielorussia entro la sfera d’influenza russa – con o senza Lukašenko – le due “linee rosse” di cui non verrà d’ora in poi tollerata in alcun modo la violazione.
Come ha osservato Stephen Cohen, eminente russologo statunitense recentemente scomparso, «l’epicentro politico della “nuova Guerra Fredda” non si trova più nella lontana Berlino, come accadeva nei tardi anni ’40, ma direttamente ai confini della Russia, all’altezza dei Paesi baltici, dell’Ucraina e di un’altra ex repubblica sovietica, la Georgia. Da ciascuno di questi fronti potrebbe scaturire la scintilla in grado di scatenare una guerra […], perché il blocco sovietico che un tempo fungeva da cuscinetto tra la Nato e la Russia non esiste più», grazie all’espansione dell’Alleanza Atlantica verso est avviata nella seconda metà degli anni ’90 per iniziativa di Washington. Un processo che George Kennan, massimo architetto della dottrina del containment, aveva caldamente sconsigliato di innescare già nel 1997; a suo avviso, l’allargamento della Nato avrebbe infatti «infiammato le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militariste in seno all’opinione pubblica russa; prodotto un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa; rigettato le relazioni tra est e ovest nel clima della Guerra Fredda e indirizzato la politica estera di Mosca verso direzioni a noi sfavorevoli».
I decisori di Washington hanno puntualmente ignorato il monito di Kennan, in nome di una hybris imperiale che continua ancora oggi a definire le direttrici strategiche statunitensi nonostante il palese declino politico, economico e sociale che attanaglia il Paese. Lo si evince dall’ostinazione con cui l’apparato dirigenziale Usa si prodiga per impedire che gli equilibri geopolitici mondiali assumano una configurazione multipolare, nell’ambito di una “fatica di Sisifo” intrapresa in base all’illusoria convinzione di poter invertire un processo storico ineluttabile. Anche a costo di spingere il pianeta sull’orlo del disastro.Tratto da facebook

DA MAYERLING A MINSK, di Antonio de Martini

DA MAYERLING A MINSK
La guerra si avvicina.
Alle minacce di “ sanzioni economiche mai viste” fatte dai portavoce dell’occidente circa l’Ucraina, la Russia ha risposto, per bocca del suo capo minacciando brutalmente “sanzioni militari”.
Pensando che l’Ucraina sarebbe stata filo russa per sempre, all’atto dello scioglimento dell’URSS, le conferirono la Crimea e un grande stock di armi nucleari pensando di scaricare dei costi.
Ora paventano l’adesione ucraina alla NATO.
La Russia di Eltsin, all’atto della stesura delle intese con gli USA , diede per assodata l’esistenza sempiterna di una serie di protettivi stati cuscinetto appartenenti all’ex patto di Varsavia e non pretese di mettere nero su bianco.
Succede quando si vuole restare nell’ombra e nei negoziati ci si fa rappresentare da un alcolista.
Gli ex paesi dell’est si stanno, ad uno a uno, facendo incantare dall’idea che aderire alla NATO sia lo stesso che aderire all’Europa e con questo si sono fatti sfuggire la possibilità di creare un blocco di stati neutrali in grado di diventare aghi della bilancia.
Pensavano anche loro che non ci sarebbe più stata una rivalità russo americana da arbitrare.
Per ovviare al grande errore di ingenuità commesso, i russi hanno fatto un colpo di mano in Crimea che ha sorpreso gli USA, provocando una crescente aggressività politico-economica ma non militare ( come deciso da Chamberlain contro la Germania nel 36 in attesa di riarmare).
Gli Stati Europei, troppo poco e troppo tardi, vogliono distinguersi dalla NATO creando in esercito europeo distinto.
I russi pensano , come Hitler con Danzica e Saddam col Kuwait, di aver avuto mano libera e progettano un colpo di mano sull’Ucraina o almeno sul Donetz.
Adesso siamo in balia del menomo errore di valutazione di un elenco sterminato di cretini chiamati “ le cancellerie” che hanno una tradizione centenaria di giudizi errati e esiti terribili.
Nessuno invoca più la “ pace in terra agli uomini di buona volontà “.
Anche il Papa divaga sul sociale e i migranti e monta il presepe senza la scritta tradizionale.
Ken Follet, nel suo ultimo best seller natalizio evoca il caso della guerra mondiale per errori che tradiscono le intenzioni, ma nessuno dice che dal 1914 in poi ogni errore fu provocato e sfruttato con abilità per distruggere un rivale ingombrante.

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome, di Alastair Crooke

Casa

11 dicembre 2021 // Le crisi

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome

L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente, scrive Alastair Crooke

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke
Tradotto dai lettori del sito Les-Crises

© Foto: REUTERS / Kevin Lamarque

Parlando all’Aspen Security Forum due settimane fa, il generale Milley ha ammesso che il secolo americano è finito, una consapevolezza che avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa, si potrebbe dire. Eppure, che sia tardi o meno, questa dichiarazione sembra segnalare un importante cambiamento strategico: “Stiamo entrando in un mondo tripolare, con Stati Uniti, Russia e Cina come grandi potenze. [e] Solo mettendo tre su due aumenta la complessità “, ha detto Milley.

Più recentemente, in un’intervista alla CNN, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Biden, ha affermato che è stato un errore cercare di cambiare la Cina: “L’America non sta cercando di contenere la Cina: non è una nuova guerra fredda. Le osservazioni di Sullivan arrivano una settimana dopo che il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti non stavano cercando un “conflitto fisico” con la Cina, nonostante le crescenti tensioni. “Questa è una competizione”, ha detto Biden.

Questo in effetti sembrava segnalare qualcosa di importante. Ma è davvero così? L’uso della parola “competizione” è una terminologia un po’ strana e richiede un po’ di decrittazione.

L’intervistatore della CNN Fareed Zakaria ha chiesto a Sullivan: cosa è stato ottenuto dalla Cina dopo tutto il tuo duro discorso, cosa è stato negoziato? Si potrebbe immaginare una risposta che descriva come Biden pensa di gestire al meglio questi interessi in competizione in un complesso mondo tripolare. Beh, quella non era la linea di Sullivan. “Brutta domanda”, ha detto senza mezzi termini: non chiedere informazioni sugli accordi bilaterali, chiedi cos’altro abbiamo.

Il modo corretto di guardare a questo, ha detto Sullivan, è: “Abbiamo stabilito i termini per una concorrenza effettiva in cui gli Stati Uniti siano in grado di difendere i propri valori e promuovere i propri interessi, non solo nella regione indo-pacifica, ma anche Intorno al mondo. Quando si tratta dei nostri alleati in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa sono allineati su questioni commerciali e tecnologiche per garantire che la Cina non possa “abusare dei nostri mercati”; e poi sul fronte indo-pacifico, siamo andati avanti in modo da poter ritenere la Cina responsabile delle sue azioni. “

“Vogliamo creare la situazione in cui due grandi potenze opereranno all’interno di un sistema internazionale per il prossimo futuro – e vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori americani: è più di una disposizione favorevole in cui il Gli Stati Uniti e i suoi alleati possono modellare le regole di condotta internazionali sui tipi di questioni che saranno fondamentalmente importanti per il popolo del nostro paese [America] e per i popoli del mondo “, ha affermato. -aggiunge.

L’obiettivo dell’amministrazione Biden non era cercare una trasformazione politica in Cina, ha detto Sullivan, ma modellare l’ordine internazionale in un modo che servisse i suoi interessi e quelli di altre democrazie che la pensano allo stesso modo: “Vogliamo le condizioni per questa coesistenza in il sistema internazionale favorevole agli interessi e ai valori americani. Vogliamo che le regole del gioco riflettano una regione indo-pacifica aperta, equa e libera, un sistema economico internazionale aperto e il rispetto dei valori e degli standard fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nelle istituzioni internazionali, ha dichiarato. . Sarà una competizione mentre andiamo avanti. “

Sullivan propone molto chiaramente un ordine mondiale basato su “regole di condotta internazionali” che si svilupperebbe attorno ad un interesse strategico centrale (quello dell’America), senza preoccuparsi delle conseguenze che potrebbero derivarne per gli altri. Questo “sistema internazionale aperto, equo e libero” è solo uno strumento per la globalizzazione del sistema neoliberista occidentale finanziarizzato. Josh Rogin ha scritto questa settimana: “L’internazionalismo a guida americana, nonostante i suoi difetti e i suoi passi falsi, rimane l’ultima, la migliore speranza per l’umanità. “

E per intenderci, quando sentiamo parlare di un sistema economico aperto e libero favorevole agli interessi americani, non sono gli “interessi del 99%” a essere sanciti nel sistema, ma quelli della classe finanziaria dell’1%. , che pretendono il diritto di spostare denaro e beni ovunque, in qualsiasi momento, senza restrizioni.

Il riferimento di Sullivan ai diritti umani riflette lo “spirito” dell’UE, dove la dottrina dello stato di diritto europeo è servita come dispositivo pratico per estendere l’autorità centrale dell’Unione senza riscrivere i trattati. O, in questo caso simile, che gli Stati Uniti espandano la propria autorità e procedano senza dover concludere accordi bilaterali con la Cina (o la Russia) o chiunque altro. Sullivan è stato molto chiaro su questo punto: gli accordi negoziati con la Cina non erano il “parametro di riferimento” giusto per giudicare il successo della politica statunitense.

Inizialmente, nessuno in Europa si è preoccupato molto quando la Corte europea ha “scoperto” che nei trattati dell’UE era nascosta una supremazia generale dei valori e del diritto dell’UE (sebbene a prima vista non fosse così evidente). Questa tranquilla reazione, tuttavia, è in gran parte dovuta al fatto che la competenza dell’UE era ancora piuttosto limitata all’epoca.

Successivamente, il trasferimento graduale della sovranità nazionale a un interesse strategico centralizzato (Bruxelles) divenne il principale motore di quella che è stata definita “integrazione attraverso il diritto”. Nel tempo, una lettura approfondita dei trattati (per i trattati europei, leggi la “consacrazione” di Sullivan della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ha offerto nuove ragioni per sottoporre le politiche nazionali democratiche a una lettura sovranazionale. “

Allo stesso modo, la Dichiarazione universale dei diritti umani offrirà probabilmente a Sullivan nuove ragioni e possibilità per armare il testo e piegare alleati e “avversari” alla disciplina di interesse strategico centrale (altrimenti nota come Washington).

Quindi, quello che sembrava segnalare un cambiamento significativo nel pensiero americano, dopo un po’ di decrittazione, si è rivelato nulla del genere. La competizione tra le grandi potenze non è altro che l’ordine globale globalista, incentrato sugli Stati Uniti e basato su regole. Gli Stati Uniti si astengono dal “trasformare” (cioè fomentare una rivoluzione colorata) il Partito Comunista Cinese, perché non possono; questo strumento si applica ancora ai piccoli pesci (es. Nicaragua).

Da un lato, abbiamo visto le conseguenze di questo approccio centralizzato alle “regole” – praticato a Bruxelles oa Washington: ne deriva una sorta di torpore soporifero. Tutte le energie sono dedicate a mantenere a galla il fragile sistema (che si tratti delle regole del gioco dell’UE o degli Stati Uniti), piuttosto che trovare soluzioni reali. Si aprono divisioni che politicamente è impossibile contenere; il risentimento aumenta; le crisi sono gestite e non risolte; giochiamo con il tempo; le riforme sono graduali e poi improvvisamente unilaterali; e, alla fine, regna l’immobilità. In Europa si chiama Merkelismo (dal nome del Cancelliere tedesco).

Dopo il tranquillo vertice del G20 a Roma e la COP26 a Glasgow, sembra che stiamo iniziando a vedere la Merkelizzazione del mondo. La sensazione che rimane è quella di un meccanismo (due in realtà se includiamo l’UE), che produce suoni convincenti di macchine ruggenti e che fa sperare in qualche risultato, ma che non porta alla fine a poco o nulla – ad eccezione di un crescente deficit democratico, con il trasferimento a una tecnocrazia sovranazionale di decisioni che prima erano di competenza dei parlamenti.

D’altra parte, per quanto grave sia (date le crisi economiche che affrontiamo), il suo più grande ” peccato ” (come ha detto Sullivan) è la sua richiesta di ” regole ” globali, il cui fondamento è semplicemente “Gli interessi e i valori degli Stati Uniti e dei suoi alleati e partner”. Sullivan sostiene che gli Stati Uniti non cercano più di trasformare il sistema cinese (il che è positivo), ma insiste sul fatto che la Cina operi all’interno di un “ordine” costruito attorno agli interessi e ai valori degli Stati Uniti – in breve[in francese nel testo, ndr]. E come ha sottolineato Sullivan, lo sforzo diplomatico americano deve mirare a costringere la Cina a conformarsi a questo sistema. Da nessuna parte si parla dei costi per gli alleati, che dovrebbero rinunciare ai rapporti con la Cina o la Russia, per compiacere Biden.

Il peccato più grande , molto semplicemente, è che il tempo di queste ambizioni arroganti sia passato. L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente. Cina e Russia – le altre due componenti del mondo tripartito del generale Milley – lo hanno detto abbastanza chiaramente: rifiutano le lezioni dell’Occidente.

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke, 15-11-2021

una polemica giustificata_a cura di Giuseppe Germinario

La stampa italiana, nella quasi totalità è ridotta ad una grancassa di livello miserabile. A maggior ragione serve ascoltare altre campane_Giuseppe Germinario
Maria Zhakarova risponde a Molinari di Repubblica:
“Ho letto con entusiasmo il Suo articolo, dottor Maurizio Molinari, su Repubblica. Era da molto tempo che non vedevo un’assurdità così deliziosa.
Capisco perché nessuno della Sua redazione lo abbia firmato e Lei si sia assunto in prima persona la responsabilità di questa vergognosa missione. Nessun giornalista che si rispetti vorrebbe il suo nome sotto il titolo “Carri armati e migranti: la morsa di Putin sull’Europa”.
Andiamo per ordine.
L’articolo dice: “…abbiamo visto l’arrivo di unità militari russe al confine con l’Ucraina: stiamo parlando di almeno 90.000 uomini con relativi mezzi blindati ed artiglieria… l’esercito ha stabilito una base a Yelnya, 260 km a nord del confine ucraino”.
Probabilmente, dottor Molinari, Lei ha ascoltato le affermazioni statunitensi secondo cui la Russia starebbe concentrando truppe al confine con l’Ucraina, ma non ha letto il comunicato ufficiale del Ministero della difesa ucraino, che smentisce le fobie statunitensi. Lei per definizione chiaramente ignora la posizione di Mosca. E perché dovrebbe, quando può scrivere della “creazione di una base con mezzi blindati ed artiglieria a Yelnya” senza alcun fact-checking. Non c’è nessuna base. Nel nostro Paese non esistono affatto basi militari. Esiste la dislocazione di unità delle forze armate russe sul nostro territorio nazionale. E questo è assolutamente un nostro diritto sovrano, che non viola gli impegni internazionali assunti e appartiene, come, tra gli altri, ama dire la NATO, alle “attività di routine”.
Ma il Suo sproloquio sulla realtà russa non finisce qui. Lei scrive che Yelnya si trova a km. 260 dal confine ucraino. E dunque i nostri carri armati sono sul confine o a km. 260 da esso? Se il direttore di Repubblica ha un’idea confusa di dove sia Yelnya (anche se non lo credo, visto che le ha dedicato un intero articolo) forse sarà più informato sulla collocazione della Svizzera tra Francia e Italia. E la distanza è addirittura inferiore ai 260 km. Ma non è che domani la Repubblica scriverà che Berna è a un passo dall’attaccare Italia e Francia contemporaneamente, visto che tutte le truppe svizzere sono più vicine ai confini di questi Paesi di quanto non sia Yelnya all’Ucraina?
Il difetto di tale logica non sembra ovvio ai lettori del Suo giornale Repubblica? Quello che Lei si permette di fare non è consentito a un giornalista perbene.
“… Nel 2014 la Russia intervenne dopo la sconfitta nelle presidenziali ucraine del candidato da lei sostenuto…. Ora la minaccia di invasione punta a tenere sotto scacco il nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky” – prosegue l’articolo.
E chi sarebbe il “candidato della Russia” che avrebbe perso le elezioni nel 2014? Si riferisce a Yanukovych? Candidato non della Russia, ma delle regioni sud-orientali dell’Ucraina. E non ha perso, ha vinto, e non nel 2014, ma nel 2010. Inoltre, aveva vinto le elezioni precedenti, nel 2004. Ma per impedirgli di andare al potere allora, l’opposizione ucraina, sostenuta dai protettori occidentali, ha escogitato una procedura inconcepibile, una parodia della democrazia – un “terzo turno” di elezioni, e ha fomentato una “rivoluzione arancione”, trascinando Victor Yushchenko alla presidenza dell’Ucraina. E nel 2010 Viktor Yanukovych ha vinto di nuovo, con un ampio sostegno dalle regioni del sud-est dell’Ucraina, ma l’Occidente non ha avuto alcuna possibilità di ribaltare di nuovo la scelta del popolo ucraino. Gli USA e l’UE hanno deciso di rimandare il putsch a un momento più favorevole. Momento che si è presentato nel 2013, quando Viktor Yanukovych è diventato improvvisamente immeritevole, rimandando la firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea. Nel giro di un paio di mesi, in Ucraina si è tenuta un’altra “Maidan” sotto la guida degli Stati Uniti, con la sottosegretaria di Stato americano Nuland che distribuiva soldi, panini e promesse di sostegno incondizionato ai “rivoluzionari”. E nel 2014, caro Direttore, Viktor Yanukovych non si è candidato. Ha lasciato l’Ucraina perché se fosse rimasto lì, sarebbe stato ucciso dai radicali ucraini che hanno sparato, picchiato a morte e bruciato centinaia di loro connazionali
La Sua non conoscenza della sostanza della questione è sorprendente.
Anche se mi è piaciuta molto l’espressione “tenerlo sotto scacco” che Lei usa in riferimento alla politica russa in Ucraina e personalmente a Vladimir Zelensky. Prima di tutto è un’espressione bellissima. In secondo luogo, non mi pare che gli scacchi siano vietati, vero? O solo se i russi non vincono?
L’unico problema è che in Ucraina ora non c’è un re, infatti i pedoni possono trasformarsi solo in regine.
La politica della Russia nei confronti della sovranità dell’Ucraina fin dalla sua indipendenza ha avuto come unico obiettivo la costruzione di relazioni di buon vicinato. Quello che è successo nel 2014 in Crimea è qualcosa che spieghiamo di continuo, ma che in Occidente viene costantemente ignorato. Ogni tentativo di esporre i fatti si scontra con “articoli”, simili al Suo, che distorcono la percezione della realtà.
Ma lo ripeterò ancora una volta. Nel 2014, dopo il colpo di stato incostituzionale in Ucraina, ennesimo risultato dell’ingerenza occidentale negli affari di uno stato sovrano, il popolo che vive in Crimea ha fatto la sua scelta storica, è sfuggito al dilagante estremismo nazionalista e illegale tenendo un referendum che in precedenza aveva molte volte cercato di organizzare, ma che gli era sempre stato vietato.
La prossima volta che sulle pagine del Suo giornale apparirà qualcosa sulla “volontà illegittima del popolo di Crimea”, siate così gentili da ricordare ai lettori che in Kosovo non c’è stato assolutamente alcun referendum, ma i Paesi occidentali, compresa l’Italia, ne hanno riconosciuto la “sovranità”. E questo nonostante la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che indica esplicitamente l’integrità territoriale della Serbia, intendendo il Kosovo come parte di essa.
Veniamo ora ai migranti: “Putin crea parallelamente un’altra situazione di crisi sostenendo il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko nella decisione di far arrivare migliaia di migranti da Asia e Medio Oriente fino alla frontiera polacca per creare un nuovo, esplosivo, fronte di attrito con l’Unione europea”.
Signor Molinari, pare che Lei abbia letto molti “rapporti dal campo” polacchi visto che ripete come un mantra tutte queste infinite accuse contro Alexander Lukashenko e per qualche motivo contro il presidente russo per aver “creato un esplosivo fronte di attrito” e una “situazione di crisi”. Ma dice sul serio?
Viene voglia di rimandarla al sito del Ministero dell’Interno italiano, in particolare alla sezione “Statistiche dell’immigrazione”. Bene, questo meraviglioso sito web italiano è stato recentemente aggiornato e scrive nero su bianco che il numero di migranti che vengono maltrattati attraverso il confine dalle forze dell’ordine polacche non è niente in confronto al numero di clandestini dall’Africa lasciati entrare nell’UE attraverso il suo territorio dalla sola Italia. In soli tre giorni di novembre: più di duemila persone. Dall’inizio dell’anno – quasi 60 mila (e molti di loro attraverso la Libia devastata dall’occidente, di cui parleremo in seguito). Gli attuali eventi sul Bug sono solo una vivida immagine (che però dimostra chiaramente fino a che livello di disumanità possono arrivare le guardie di frontiera di uno stato membro dell’UE).
Ora la domanda è: quando Repubblica scriverà che gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno “creato un esplosivo fronte di attrito e una situazione di crisi in Europa” con le loro azioni folli?
Bruxelles dovrebbe cercare le vere cause della crisi migratoria dell’UE nelle vecchie dichiarazioni dei leader della coalizione anti-Iraq, anti-Libia, dei capi di stato e di governo di quei paesi che hanno istigato la “primavera araba” e per 20 anni in Afghanistan hanno fatto non si sa cosa.
L’articolo prosegue così: “è interessante come tutto ciò coincida con l’imminente inaugurazione del Nord Stream 2, che aumenterà la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas russo, e con l’ostilità di Mosca a raggiungere accordi sul clima…”
Qualche parola sul gas, sulla “dipendenza dell’Europa” e sull’ecologia, visto che ha deciso di mettere insieme più o meno tutti i temi all’ordine del giorno (in quello che chiama “editoriale”). L’Italia da sola riceve fino a 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Russia. Mosca non ha mai tradito o ingannato Roma sulle consegne di gas. Come può in coscienza un giornalista italiano parlare con un tono così becero dei fornitori russi di idrocarburi?
Lei personalmente, dottor Molinari, non ama il gas russo? Molto bene. Ho una grande idea: Maurizio per protesta riscaldi la sua casa con copie de “La Repubblica”.
Chi Le dà il diritto di insultare il nostro Paese con calunnie nauseanti? È alla ricerca dello scoop? Ho una super esclusiva per Lei. Pubblichi una frase di verità sul Suo giornale: “Non c’è fornitore di gas all’Europa più affidabile della Russia”.
Ora parliamo della “dipendenza”, una parola di cui chiaramente non capisce il significato. La vita di tutti noi dipende da un numero enorme di cose, senza le quali cesseremmo di esistere: acqua, sole, ossigeno, ecc. Questo La fa impazzire? Per quanto riguarda il gas russo, la situazione è molto più certa dei terremoti in Sicilia o dell’acqua alta a Venezia : il gas c’è, c’era e ci sarà. La smetta di confondere i lettori e di farsi prendere dal panico.
Gioisca per ogni nuovo giorno, anche se tutto in questo mondo è interdipendente: le persone dipendono l’una dall’altra, la vita dipende dal sole, le piante dall’acqua.
Fondamentalmente non ha senso commentare i Suoi giudizi sulle politiche ambientali della Russia: le nostre priorità in questo settore (molto avanzate anche per gli standard europei) sono state enunciate dal presidente russo nell’ambito degli eventi multilaterali ad alto livello conclusisi di recente. Per favore, dottor Molinari, quando si occupa dell’agenda russa, segua almeno le dichiarazioni che vengono fatte nel Suo Paese. Nel suo videomessaggio al vertice del G20 (tenutosi a Roma, Maurizio!) il presidente Putin ha detto senza mezzi termini: “La Russia sta sviluppando a ritmo spedito il settore energetico a basso contenuto di carbonio. Oggi, la quota di energia proveniente da fonti praticamente senza carbonio – e questo include, come sappiamo, il nucleare, l’energia idroelettrica, l’eolico e il solare – supera il 40% e, se aggiungiamo il gas naturale – il combustibile a più basso contenuto di carbonio tra gli idrocarburi – la quota raggiunge l’86%. Questo è uno dei migliori indicatori del mondo. Secondo gli esperti internazionali, la Russia è tra i leader nel processo di decarbonizzazione globale”.
E infine la Libia “…nella tela europea del presidente Putin c’è anche la Turchia … soprattutto per la convergenza di interessi in Libia nel riuscire a scongiurare le elezioni in programma il 24 dicembre per eleggere un governo”.
Qui Le voglio ricordare che la firma del rappresentante russo si trova sotto il documento finale della seconda conferenza di Berlino sulla Libia, e la Russia è una di quelle (poche, a dire il vero) parti che, anche nelle attuali difficili circostanze, hanno promosso la normalizzazione e il dialogo politico nel Paese distrutto dall’Occidente. La Russia ha partecipato ad alto livello (ministro degli esteri Lavrov) alla recente conferenza internazionale sulla Libia a Parigi, e ha concordato la dichiarazione finale. Il ministro ha sottolineato più volte, anche durante discorsi pubblici, che la cosa principale ora è rispettare il calendario che i libici stessi hanno concordato un anno fa, soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento delle elezioni generali, sia presidenziali che parlamentari. Lo vede, spero, che questo contraddice completamente quello che Lei scrive?
Se vogliamo parlare della tela in cui l’Europa è caduta, dovrebbe ricordare come l’Occidente abbia alterato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia. Le ricordo che nel 2011 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva dichiarato una no-fly zone sulla Libia, che è stata utilizzata da alcuni paesi della NATO, non per proteggere i civili, ma per bombardarli, con la conseguente distruzione dello stato libico, il barbaro assassinio di Gheddafi e la pluriennale crisi migratoria in Europa, di cui l’Italia è prima vittima. Non lo sa? Mi contatti, sono sempre disponibile a raccontarLe molte cose interessanti, compreso a quale link corrisponde il sito dell’ONU.
A parte mi soffermo su qualcosa che non balza agli occhi a prima vista. Lei pone la domanda ” come reagirà l’Ue di Macron, Scholz e Draghi alla sfida ibrida russa in pieno svolgimento”.
La risposta è breve: in nessun modo. Non reagiranno in alcun modo, perché non c’è “nessuna sfida ibrida russa”. È un’invenzione, come tutto il Suo articolo. La smetta di alimentare questo mito per entrare nelle grazie di politici russofobi. Rispetti i Suoi lettori. Gli italiani non meritano bugie così sfacciate.”
(Ambasciata della Federazione Russa in Italia e San Marino)
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