Pre-bunking, alfabetizzazione mediatica e sicurezza democratica, Di Andrew Korybko

Dopo aver riflettuto sull’intuizione che è stata rivelata confrontando e contrapponendo l’impiego da parte dell’Occidente e della Russia di pre-bunking, alfabetizzazione mediatica e “sicurezza democratica” – i primi due dei quali sono applicati anche all’estero – diventa chiaro che il primo menzionato ipocritamente abbraccia doppi standard al fine di mascherare le sue motivazioni mentre il secondo è completamente trasparente sotto tutti gli aspetti.

Il pretesto per sperimentare la “teoria dell’inoculazione”

L’Associated Press (AP) ha riferito alla fine del mese scorso che ” ‘Pre-bunking’ mostra risultati promettenti nella lotta contro la disinformazione “, che si riferisce alla pratica di “esporre le persone a come funziona la disinformazione, usando esempi innocui e fittizi, [al fine di] rafforzare le loro difese contro false affermazioni” per qualcosa chiamato ” teoria dell’inoculazione “. Google, che ha partecipato insieme a ricercatori universitari allo studio descritto nel pezzo di AP, prevede di sperimentare questo in condizioni di vita reale “lanciando presto una serie di video pre-bunking nell’Europa orientale incentrati sul capro espiatorio, che può essere visto in gran parte della disinformazione sui rifugiati ucraini”.

Nozioni di base sul pre-bunking

La Polonia sarà prevedibilmente uno dei luoghi in cui questa strategia viene praticata, soprattutto perché ” [La sua] ucrainizzazione mette l’ultimo chiodo nel progetto nazionalista finto di PiS “, come è stato notato dall’autore del presente pezzo oltre un terzo di un anno fa . Entro la fine di maggio e poco dopo la fusione ufficiosa con l’Ucraina in una confederazione de facto , ” La Polonia si è improvvisamente resa conto che non può finanziare indefinitamente l’Ucraina e i suoi rifugiati “, motivo per cui ha interrotto i generosi benefici che molti di loro stavano ricevendo e iniziando senza successo facendo pressioni sui suoi altri partner europei per sovvenzionarli invece. Nonostante ci siano molti punti specifici da affrontare su questo problema, il pre-bunking sarà solo generalizzato.

Come ha affermato AP nel suo articolo, “I video pre-bunking, tuttavia, non prendono di mira affermazioni specifiche e non fanno affermazioni su ciò che è vero o meno. Invece, insegnano allo spettatore come funzionano le affermazioni false in generale”. In altre parole, questa manifestazione della “teoria dell’inoculazione” mira a informare il pubblico di destinazione sulle varie tattiche e strategie di gestione della percezione al fine di rafforzare gli atteggiamenti a favore dei rifugiati o di cambiare l’opinione di coloro che non ne supportano un numero illimitato e tutto ciò che comporta (che possono includere scontri culturali, oneri socio-economici e cambiamenti politici a tutti i livelli). Considerando questo, può quindi essere descritto come una forma di gestione della percezione stessa.

Nessun giudizio è implicito su questo approccio poiché è in realtà ciò che l’autore stesso ha proposto per la prima volta due anni fa nel suo pezzo su come ” L’alfabetizzazione mediatica, non l’intimidazione e la censura, è il modo migliore per combattere la cosiddetta propaganda “. Fondamentalmente, la migliore risposta alle tattiche/strategie di gestione della disinformazione e/o della percezione (sia naturali e/o orchestrate dall’esterno, sia oggettivamente esistenti e/o speculative) è effettivamente preventiva (“inoculazione”), con il pre-bunking probabilmente molto più efficace dell’intimidazione e della censura poiché mira a insegnare al pubblico mirato a discernere la varietà di prodotti informativi a cui sono regolarmente esposti.

Dalla “sicurezza democratica” all’ingerenza

Il concetto utilizzato può essere descritto come una forma di ” Sicurezza Democratica “, che si riferisce a tattiche e strategie contro la guerra ibrida . Nell’esempio dell’AP, viene praticato per garantire che popolazioni europee selezionate abbiano atteggiamenti favorevoli nei confronti dei rifugiati per paura dei loro governi che quelli negativi possano essere sfruttati da radicali interni e/o agenti stranieri per vari fini. Può, tuttavia, essere praticato anche da stati multipolari come la Russia per contrastare le minacce latenti di Rivoluzione Colorata e Guerra non convenzionale (terroristica) dal miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il pre-bunking può quindi essere applicato per scopi pacifici anche se alcuni non sono d’accordo con l’obiettivo narrativo perseguito.

Dopo aver riconosciuto il motivo per cui viene utilizzato dalle parti interessate in una determinata società (che alcuni dei destinatari potrebbero ritenere aver oltrepassato la propria autorità legale e/o morale a seconda del caso particolare, dell’obiettivo finale e/o dei mezzi), è tempo di menzionare come il pre-bunking potrebbe essere impiegato per scopi dannosi contro società straniere come una forma di ingerenza, o almeno essere interpretato come tale. A partire dal più deliberato e ovvio, Bloomberg ha riferito alla fine di agosto che Francia e Germania stanno complottando affinché l’UE diriga i suoi sforzi di pre-bunking contro i russi attraverso piattaforme di social media come TikTok, VKontakte e YouTube per convincerli a diffidare del loro governo.

Non c’è dubbio che questo rappresenti un chiaro caso di ingerenza straniera con il pretesto “pubblicamente plausibile” del pre-bunking per seminare i semi del sentimento antigovernativo in Russia, i cui frutti possono poi essere manipolati per Color Revolution termina in una data successiva. Non c’è altro motivo per cui questa proposta sarebbe emersa in un rapporto confidenziale durante discussioni a porte chiuse come riportato da Bloomberg. La cosa così ipocrita in questo è che l’Occidente ha accusato i media internazionali russi finanziati pubblicamente come RT e Sputnik di svolgere esattamente lo stesso ruolo, sebbene le loro intenzioni siano diverse (anche se interpretate disonestamente da alcuni come le stesse) e ora saranno chiarite.

Confronto e contrasto dei media russi e occidentali finanziati con fondi pubblici

RT e Sputnik, proprio come i loro analoghi finanziati pubblicamente come la BBC del Regno Unito e altri, non nascondono i loro legami con il rispettivo mecenate statale. Tuttavia, queste due piattaforme russe non sono “controllate dallo stato” come la BBC, come dimostrato dalla raccolta di articoli di RT che l’autore ha compilato in questo thread di Facebook che documentano le dozzine di critiche sorprendentemente aspre della Cina da parte di quell’outlet finanziato pubblicamente, che è una delle i partner più stretti del loro mecenate finanziario in qualsiasi parte del mondo. È inimmaginabile che la BBC o le altre controparti occidentali finanziate con fondi pubblici di RT pubblichino mai critiche altrettanto dure ai partner più stretti del proprio mecenate finanziario, il che è un punto su cui tutti si soffermano.

Andando avanti, mentre il risultato del consumo da parte degli occidentali di prodotti mediatici internazionali finanziati pubblicamente (che soprattutto non è lo stesso di “controllato dallo stato”) potrebbe assomigliare al risultato del consumo di prodotti analoghi occidentali da parte dei russi (che, soprattutto, sono effettivamente controllati dallo stato o almeno -influenzato quando si tratta della CNN e di altri punti vendita ufficialmente “indipendenti”) rispetto a indovinare qualunque cosa dicano le loro autorità e influencer sociali, questo è anche rivelato apertamente attraverso lo slogan di RT a “Question More” e quello di Sputnik su “Telling The Untold”. Vale a dire, non sono subdolamente nascosti in un documento confidenziale che è stato discusso solo a porte chiuse dall’élite sovranazionale.

Chi è davvero Gaslighting: la Russia o l’Occidente?

Ciò significa che gli occidentali sono esplicitamente informati delle connessioni finanziarie e delle motivazioni narrative di quei prodotti che consumano dai media internazionali russi, mentre i russi non saranno informati del fatto che gli influencer proposti dall’UE che stanno interagendo con loro attraverso i social media hanno tali connessioni e motivazioni. I primi citati hanno quindi meno probabilità di essere fuorviati e quindi cambieranno o rafforzeranno le loro opinioni solo dopo aver riflettuto a fondo su tutto ciò che è associato a quei prodotti mediatici internazionali russi, mentre i secondi sono più suscettibili a quelle operazioni di gestione della percezione, ecco perché i loro dettagli sono non divulgato pubblicamente.

Rendendosi conto di ciò, si può indiscutibilmente concludere che l’UE sta valutando l’idea di impiegare le stesse tattiche e strategie di gestione della percezione che hanno costantemente accusato la Russia di impiegare, ma che non è mai stato veramente il caso poiché RT e Sputnik informano esplicitamente il loro pubblico di le loro connessioni finanziarie e le motivazioni narrative come è stato spiegato. In quanto tale, non c’è dubbio che le precedenti affermazioni dell’Occidente sulla cosiddetta “ingerenza russa” non fossero solo disinformazione, ma anche il deliberato gaslighting del proprio popolo al fine di manipolarlo facendogli pensare ingenuamente che i loro governi non avrebbero mai fatto l’esatto la stessa cosa di cui hanno accusato così rabbiosamente la Russia.

Patriottismo razionale

Il modo più efficace per la Russia di difendere il suo popolo da questa potenzialmente imminente offensiva di guerra dell’informazione da parte dell’UE (che quasi certamente è già praticata dall’intero Occidente e probabilmente lo è stata sin dalla riunificazione democratica della Crimea con la sua patria storica all’inizio del 2014) è intervenire aumentare i suoi sforzi di “sicurezza democratica” in patria, che include la coltivazione del patriottismo razionale tra la popolazione. Questo concetto è stato recentemente toccato dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying nel corso di una conferenza stampa all’inizio di agosto in risposta a una domanda caricata dai media mainstream occidentali guidati dagli Stati Uniti.

Le hanno chiesto perché alcuni cinesi fossero presumibilmente sconvolti dal fatto che il loro paese non avesse risposto con maggiore forza al viaggio provocatorio a Taiwan del presidente degli Stati Uniti Pelosi , a cui lei ha risposto che la gente del suo stato di civiltà è patriota razionale che non sostiene azioni irrazionali sotto falsa patriottismo pretese. L’autore ha elaborato questo concetto più a lungo nella sua analisi dell’epoca su come ” Il patriottismo razionale del popolo cinese e russo è un modello per le società multipolari “, che spiegava l’importanza dello stato che educhi preventivamente / “immunizza” la popolazione dalla demagogia virus diffusi da forze nazionali ed estere che cercano di dividere la società dallo stato.

Il fattore ideologico

Abbastanza interessante, si può dire che l’applicazione interna del pre-bunking da parte degli stakeholder occidentali mira a raggiungere lo stesso obiettivo “Sicurezza Democratica” di coltivare il patriottismo razionale in casa, anche se dal punto di vista della visione del mondo unipolare del Miliardo d’Oro che differisce drasticamente da quello multipolare che è accolto con entusiasmo dalla stragrande maggioranza dell’umanità in tutto il Sud del mondo. Ancora una volta, nessun giudizio di valore è implicito su entrambi i lati dell’applicazione interna della Nuova Guerra Fredda di queste tattiche e strategie di gestione della percezione. Tutto ciò che si intende è aumentare la consapevolezza delle motivazioni più grandi dietro il suo impiego a casa.

Questo è fondamentale da tenere a mente perché aiuta a capire meglio perché il pre-bunking verrà sperimentato nell’Europa centrale secondo l’ultimo rapporto dell’AP. I media internazionali russi finanziati pubblicamente (che, per ricordare al lettore, non è la stessa cosa di “controllati dallo stato”) sono già censurati nel continente, quindi le parti interessate chiaramente non sono poi così preoccupate per ciò che diffamano in modo fuorviante come il cosiddetto ingerenza” “armare” profughi o altri problemi. Invece, la “minaccia” percepita in realtà viene da quelli della loro stessa gente che sono giunti indipendentemente a certe conclusioni “politicamente scorrette” su qualunque essa sia, siano essi rifugiati o qualsiasi altra cosa.

Armare le teorie del complotto

Coloro all’interno di una società o i loro coetanei all’estero con cui interagiscono con vari gradi di frequenza (o sono meno occasionalmente esposti alle loro narrazioni attraverso i social media e/o la comunità Alt-Media [AMC]) che sposano in modo indipendente opinioni “politicamente scorrette” possono ‘non essere censurato (sebbene possano effettivamente essere oscurati anche se ci sono modi creativi per aggirarlo) allo stesso modo in cui possono farlo i media internazionali finanziati pubblicamente dalla Russia, a meno che non violino i termini di servizio per qualsiasi piattaforma su cui stanno pubblicando. Per questo motivo, la strategia più efficace di “Sicurezza Democratica” è il pre-bunking affinché i propri connazionali condannino e isolino queste “minacce”.

Cinicamente parlando, questa strategia equivale a dividere e governare la società mettendo la fazione “politicamente corretta” contro quella “politicamente scorretta”, cosa che ha tentato estendendo credibilità alle opinioni sostenute dallo stato della prima e negandole alla seconda attraverso pesanti allusioni veicolati attraverso i prodotti informativi connessi al pre-bunking e la conseguente pressione tra pari (che può comprendere anche la pesca a traina tossica) che tali operazioni di gestione delle percezioni mirano a produrre. Coloro che continuano a sposare opinioni “politicamente scorrette” vengono ferocemente diffamati come “burattini stranieri”, “agenti di influenza” o “utili idioti” in modo da spingerli ad autocensurarsi o cambiare le loro opinioni.

Questa arma di teorie del complotto incoraggiata dallo stato è diretta anche contro coloro al di fuori del loro mandato che sono giunti indipendentemente a conclusioni altrettanto “politicamente scorrette” che li hanno ispirati a sostenere la transizione sistemica globale alla multipolarità e quindi sostenere il Sud del mondo contro il miliardo d’oro nel Nuovo Guerra fredda. Questo è particolarmente vero se interagiscono con gli occidentali (direttamente o semplicemente condividendo le loro opinioni sulle stesse piattaforme di social media) e pubblicano in lingue europee come l’inglese, ad esempio. Invece di riconoscere il diritto indipendente di questi individui di formulare la propria opinione, il pre-bunking occidentale li diffama come parte di una cospirazione ingerente globale.

La verità sull'”ordine basato sulle regole”

Questo è altrettanto ipocrita di quegli stessi governi occidentali e degli influencer sociali che sono loro vicini (soprattutto nei media) che fanno esattamente ciò di cui in precedenza hanno accusato la Russia, anche se questa volta in realtà impiegano le tattiche e le strategie di gestione della percezione oscura che avevano falsamente temuto circa per scopi di illuminazione a gas come è stato spiegato in precedenza. Da un lato, insistono sul fatto che tutte le persone hanno il diritto di arrivare autonomamente alle proprie conclusioni e poi condividere pacificamente le proprie opinioni con gli altri, dall’altro, coloro che arrivano a quelle “politicamente scorrette” e poi le condividono con gli occidentali ( specie se stranieri o semplicemente residenti all’estero) vengono immediatamente screditati.

Questa imposizione arbitraria di doppi standard è normale quando si tratta del tanto sbandierato “ordine basato sulle regole” del Miliardo d’Oro, perché non è altro che una retorica altisonante per mascherare i mezzi machiavellici utilizzati per promuovere gli interessi dell’élite occidentale a a spese di tutti gli altri. Ancora una volta, l’ipocrisia è evidente dal momento che è esattamente ciò che accusano la Russia di fare attraverso le proprie politiche di “sicurezza democratica”, tranne per il fatto che l’Occidente maschera le connessioni finanziarie e le agende narrative di coloro che appoggia direttamente nel regno della gestione delle percezioni e quindi scredita coloro che hanno opinioni “politicamente scorrette” su basi cospirative infondate.

Al contrario, la Russia è sorprendentemente schietta nell’informare apertamente il suo pubblico straniero sulle connessioni finanziarie e le agende narrative di coloro che impiega nelle sue piattaforme mediatiche internazionali. Inoltre, i suoi prodotti informativi non screditano coloro che sposano la visione del mondo opposta (unipolare) semplicemente sulla base del fatto che la pensano in modo diverso, ma cercano sempre di sfidarli condividendo fatti, logiche e prospettive di cui potrebbero non essere a conoscenza o precedentemente considerato tutto questo. Infine, RT e Sputnik rispettano il diritto del loro pubblico di non essere ancora d’accordo dopo aver consumato i prodotti informativi di quei due senza promuovere teorie cospirative dannose contro di loro per vendetta.

Pensieri conclusivi

Dopo aver riflettuto sull’intuizione che è stata rivelata confrontando e contrapponendo l’impiego da parte dell’Occidente e della Russia di pre-bunking, alfabetizzazione mediatica e “sicurezza democratica” – i primi due dei quali sono applicati anche all’estero – diventa chiaro che il primo menzionato ipocritamente abbraccia doppi standard al fine di mascherare le sue motivazioni mentre il secondo è completamente trasparente sotto tutti gli aspetti. Ciò a sua volta smentisce la mancanza di fiducia dell’Occidente non solo nei suoi prodotti informativi specifici, ma anche nella sua visione unipolare del mondo in senso lato. Non c’è nessun altro motivo per nascondere le connessioni finanziarie e le motivazioni narrative di coloro che sostengono mentre diffamano in modo così feroce coloro che la pensano diversamente.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3204

Gli Stati balcanici riconsiderano le loro alleanze, di Antonia Colibasanu

un via vai sempre più frenetico. Rimane ancora la questione cruciale del Kosovo e della minoranza serba ivi presente a controbilanciare le tentazioni_Giuseppe Germinario

La crisi energetica sta costringendo questi paesi a rivalutare le loro alleanze politiche ed economiche.

Un nuovo teatro nella guerra economica mondiale si è aperto aperto nei Balcani, la regione montuosa dell’Europa sudorientale che si estende dall’Adriatico al Mar Nero. Sebbene la regione dipenda fortemente dall’energia russa, e quindi sia vulnerabile all’influenza politica russa, fa affidamento sull’Unione Europea per il resto del suo benessere politico ed economico. La maggior parte degli stati balcanici è già membro dell’UE e della NATO, e quelli che non lo sono stanno cercando di diventarlo. Erano cronicamente fragili economicamente anche prima della guerra in Ucraina, che ha solo aggravato le tensioni etniche e politiche endemiche nella regione, ma la crisi energetica creata dalla guerra ha reso questi paesi ancora più preoccupati per il loro futuro, una preoccupazione che li ha costretti di riconsiderare i loro allineamenti politici ed economici, anche se il loro futuro sarà plasmato da forze in gran parte al di fuori del loro controllo.

Cambio di rotta

Al centro della questione c’è il settore energetico. Poiché la maggior parte degli stati balcanici (tranne Romania e Grecia) dipendono dalla Russia per la maggior parte della loro energia, il modo in cui scelgono di plasmare le loro relazioni con Mosca racconta le loro strategie nel contesto della guerra economica globale.


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In Bulgaria, il ministro dell’Energia Rosen Hristov ha affermato che il governo rinnoverà inevitabilmente i negoziati con la Russia sulle forniture di gas, che Mosca ha interrotto unilateralmente alla fine di aprile quando la Bulgaria si è rifiutata di pagare la Russia in rubli. Pagare in rubli in quel momento avrebbe violato le sanzioni occidentali, quindi Sofia ha deciso di lavorare con la Romania su un interconnettore che spediva gas rumeno in Bulgaria e con la Grecia su un interconnettore che spediva gas naturale liquefatto statunitense, qualunque cosa accada dalla Russia.

Tuttavia, il governo ha calcolato che il GNL dirottato dalla Grecia è circa il 50% più costoso del gas proveniente dalla Russia. Questo può essere vero o meno – i capricci di un mercato energetico instabile e l’esistenza di sanzioni rendono difficile la verifica – ma anche se lo fosse, la Bulgaria sta chiaramente segnalando che sarebbe disposta a violare le sanzioni per proteggere i propri interessi economici, soprattutto perché la Russia ha una storia di abbassamento dei prezzi per benefici politici. Prezzi a parte, la decisione della Bulgaria avrebbe probabilmente un impatto, per quanto piccolo, sull’unità politica dell’UE, essenziale se Bruxelles vuole ridurre la sua dipendenza complessiva dall’energia russa.

Nel frattempo, quando la Russia ha tagliato le forniture alla Bulgaria ad aprile, Serbia e Ungheria temevano che le proprie consegne, condivise in una rete di gasdotti con la Bulgaria, sarebbero state interessate. Per coprire le sue scommesse, Belgrado ha lavorato per diversificare le sue opzioni di fornitura di gas. Il 22 agosto, dopo una telefonata tra il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev e il presidente serbo, Aleksandar Vucic, è stato confermato che la Serbia riceverà energia dall’Azerbaigian a “condizioni favorevoli”, secondo un memorandum d’intesa firmato a giugno. Perché ciò avvenga, è necessario costruire un interconnettore tra Serbia e Bulgaria. Il progetto è già in corso ma non sarà pronto fino al prossimo anno.

Nel frattempo, Belgrado ha anche cercato di mettere al sicuro il GNL dai terminali in Grecia e Croazia, la maggior parte dei quali proviene dagli Stati Uniti a prezzi di acquisto simili a quelli della Bulgaria e di altri paesi europei. Inoltre, la Serbia ha annunciato alla fine di luglio che formerà un gruppo di lavoro sulla crisi energetica e sui progetti strategici congiunti con la Macedonia del Nord e l’Albania e sta cercando di accelerare la costruzione dell’interconnessione con la Romania. La creazione di interconnettori richiede tempo, ma sono soluzioni a lungo termine a problemi strategici, che avvicineranno Belgrado all’Occidente in generale e all’UE in particolare.

Non titolare

La prospettiva che la Serbia diventi più diversificata dal punto di vista energetico ha spinto il governo a dichiarare che smetterà di importare greggio russo il 1° novembre, aderendo di fatto al regime delle sanzioni occidentali. È interessante notare che la dichiarazione è arrivata dopo un commento fatto all’inizio del mese dall’ambasciatore russo in Serbia secondo cui Mosca era interessata ad aprire una base militare lì. Inutile dire che ha creato molta ansia in Serbia, con il presidente che è arrivato al punto di dire che la Serbia non ha bisogno di “basi militari di nessuno”.

Senza risposta da parte di Mosca, sembra che le tensioni tra Mosca e Belgrado siano solo cresciute. Il 23 agosto, il vice primo ministro serbo ha affermato che, sebbene la Serbia avesse deciso di non aderire alle sanzioni a febbraio, ha “chiaramente deciso contro la guerra in Ucraina”, invitando il ministro degli Esteri russo a rispettare la sua posizione e a non descrivere più la Serbia come sostenitrice del conflitto. Le dichiarazioni sono state ampiamente diffuse dai media serbi per una buona ragione: è la prima volta che il governo serbo ha criticato apertamente la posizione della Russia lì.

La politica estera multi-vettoriale della Serbia è una funzione del suo imperativo geopolitico di equilibrio tra le grandi potenze. Belgrado ha così mantenuto buone relazioni con la Russia e l’UE, e si è impegnata con la Cina mantenendo una distanza di sicurezza dagli Stati Uniti, che l’opinione pubblica considera ancora l’aggressore nell’intervento della NATO negli anni ’90. Tuttavia, vista la diminuzione del potere e i problemi economici che la Russia, la Cina e, in misura minore, l’UE stanno affrontando, la Serbia ha dovuto riscaldarsi con gli Stati Uniti

Valutazioni di approvazione dei governi, 2021
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La guerra in Ucraina sembra aver convalidato la strategia della Serbia. Questo è il motivo per cui Belgrado sta attualmente scommettendo sull’Occidente poiché le sue relazioni con la Russia diventano tossiche. Belgrado non può sostenere la Russia nel chiedere l’indipendenza di Donetsk e Luhansk – ci sono troppe somiglianze tra il destino di quel territorio e quello del Kosovo. Sostenere la Russia in Ucraina equivarrebbe a sostenere l’indipendenza del Kosovo, che non è un inizio per Belgrado. Allo stesso tempo, l’economia della Serbia dipende in gran parte dall’UE, il che spinge Belgrado a dare priorità alle sue relazioni con l’Occidente.


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Forse più importante – e ciò che spiega meglio la reazione di Belgrado alla proposta russa di una base militare – è il fatto che la Serbia comprende che la Russia potrebbe scegliere di usare i Balcani per fiancheggiare l’Occidente . I Balcani creerebbero per il Cremlino un’altra importante linea di attacco, costringendo alla dispersione delle forze difensive e creando nuove opportunità di attacco. Ma sarebbe anche pericoloso per la stabilità europea nel lungo periodo. E questo è qualcosa che Mosca e Washington capiscono così come lo sanno a Belgrado. Gli Stati Uniti e l’UE sono stati attivi diplomaticamente nella regione, sia facilitando le discussioni tra kosovari e serbi per raggiungere un accordo su questioni come documenti d’identità e targhe rilasciati dal governo nel Kosovo settentrionale, parlando di come possono aiutare a sostenere le economie locali o monitorare una potenziale nuova instabilità .

Tuttavia, è il modo in cui la guerra economica globale sta pressando gli stati balcanici e il modo in cui la guerra cinetica si sta evolvendo in Ucraina che definirà il futuro della regione. La decisione per una grande potenza di aprire un nuovo fianco, o di bloccare l’apertura di un nuovo fianco nei Balcani, influenza drammaticamente la stabilità regionale. Ecco perché le dichiarazioni apparentemente passive come quelle dell’ambasciatore russo devono essere prese sul serio. Mentre l’Europa entra in un’altra e più complessa fase della guerra, tali affermazioni hanno il potere di guidare i riallineamenti strategici.

Antonia Colibasanu è Chief Operating Officer di Geopolitical Futures. È responsabile della supervisione di tutti i dipartimenti e delle operazioni di marketing dell’azienda. Il Dr. Colibasanu è entrato a far parte di Geopolitical Futures come analista senior nel 2016 e parla spesso di temi di economia internazionale e sicurezza in Europa. È anche docente di relazioni internazionali presso l’Università nazionale rumena di studi politici e pubblica amministrazione e professore associato presso l’Università nazionale rumena di difesa Carol I Dipartimento regionale di studi sulla gestione delle risorse della difesa. Prima di Geopolitical Futures, il Dr. Colibasanu ha trascorso più di 10 anni con Stratfor in varie posizioni, tra cui quella di partner per l’Europa e vicepresidente per il marketing internazionale. Prima di entrare a far parte di Stratfor nel 2006, il Dr. Colibasanu ha ricoperto diversi ruoli presso la World Trade Center Association di Bucarest. La dott.ssa Colibasanu ha conseguito un dottorato in Economia e commercio internazionale presso l’Accademia di studi economici di Bucarest, dove la sua tesi si è concentrata sull’analisi del rischio paese e sui processi decisionali di investimento all’interno delle società transnazionali. Ha inoltre conseguito un Master in International Project Management. È un’allieva dell’International Institute on Politics and Economics della Georgetown University. Ha inoltre conseguito un Master in International Project Management. È un’allieva dell’International Institute on Politics and Economics della Georgetown University. Ha inoltre conseguito un Master in International Project Management. È un’allieva dell’International Institute on Politics and Economics della Georgetown University.

https://geopoliticalfutures.com/balkan-states-reconsider-their-alliances/?tpa=ZTgwYmIzZmQ2YzQ0YjI3NmQyZGY2ZTE2NjI2NTEzOTcwOWQ5NWU

BILANCIO PROVVISORIO PRIMI SEI MESI DI GUERRA IN UCRAINA …e altro, di Pierluigi Fagan

BILANCIO PROVVISORIO PRIMI SEI MESI DI GUERRA IN UCRAINA. Fare un bilancio implica stabilire un parametro, ma qui i parametri sono almeno quattro, come i contendenti coinvolti.
Dal punto di vista ucraino, s’è perso non poco territorio ed è molto improbabile tornerà mai a casa. Al di là dei proclami, potrebbe tornare a casa solo con una catastrofica sconfitta russa, ma tale sconfitta è molto improbabile mai possa avvenire per ragioni di consistenza militare sul campo presente e futuro oltreché per il fatto che la Russia potrebbe reagire in maniera molto forte al manifestarsi di una tale situazione negativa. Nel senso che c’è sempre l’arma pesante da mettere sul piatto prima di anche solo iniziare a perdere la partita. Tutte le parti sanno di questa ultima ratio, quello che vediamo e sentiamo nelle dichiarazioni e negli articoli di analisti che più che analisti sono propagandisti, è solo guerra nel campo delle opinioni pubbliche. Di contro, gli ucraini possono contare ancora sul supporto americano, inglese ed europeo. Quello americano è solido e continuo (si parla di soldi e di armi che sono sempre soldi). Biden sta recuperando in patria e con lui anche il suo partito, rispetto alle elezioni di mid-term. Mancano ancora due mesi e poco più, ma ora la sconfitta DEM non è più scontata ed anzi cominciano a sperare in una doppia vittoria. Questa dinamica non ha nulla a che fare con la guerra ovviamente, sono altre le questioni che sviluppano la politica interna americana. Quanto ai britannici, a giorni (5 settembre) sapremo se la leadership conservatrice andrà a Sunak o Truss. Per gli ucraini, meglio la seconda molto aggressiva in politica estera. A riguardo, va detto che i brit se la passano piuttosto male in generale, nei sondaggi il Labour (ora in moderata versione “terza via”) oggi batterebbe di netto i conservatori, molti prevedono peggio andrà se vincesse Truss troppo sbilanciata e divisiva. Purtroppo, questa crisi interna rischia di diventare il classico ottimo motivo per peggiorare una crisi esterna e richiamare tutti all’unità di patria ovvero di supporto ad un governo aggressivo. Quanto agli europei essendo uno dei quattro attori vanno analizzati a parte.
Come al solito, non c’è un punto di vista europeo ma singoli punti di vista dei suoi vari attori principali o gruppi regionali. In macro, l’Europa s’è infilata in un dispositivo di tortura economica, finanziaria, politica e sociale che ha cominciato a tormentarla e che promette di intensificare e prolungare il dolore procurato. Perché l’ha fatto rimane il grande punto interrogativo. Rimango dell’idea che, oltre l’insipienza geopolitica con cui gli europei hanno gestito gli anni e decenni passati, ci sia stata da parte del socio americano un’azione molto dura e pesante i cui contenuti non conosciamo e forse non consoceremo mai, ai primissimi giorni da inizio conflitto. Un ricatto probabilmente, da cui era impossibile divincolarsi anche volendo e stante che davvero nessuno lo voleva o anche solo poteva pagarne gli eventuali prezzi molto alti. Da parte delle élite di potere in Europa, meglio accettarlo, restare in sella e far pagare i prezzi del gioco alle popolazioni. I prezzi sono e saranno sempre più alti. Si tratta di costi di quantità di energia che andrà scarseggiando ma anche costi alti per quella che comunque si avrà. Costi alti si riflettono su costi alti di produzione e quindi costi alti di merci e servizi. Aumento di inflazione internamente, diminuzione di esportazioni esternamente, quindi poi costi sociali e distruzione di alcune filiere produttive. Si badi che l’opzione rigassificatori, che semmai diventerà operativa non prima di un anno e mezzo, potrebbe migliorare la situazione (GNL comprato dagli USA, ma non è del tutto detto), ma sempre a costi più alti del passato e di quanto pagano l’energia gli americani. Il che creerà un gradino di costo permanente in termini competitivi. A ciò si aggiungerà l’equivalente su molte materie prime, nonché la perdita del mercato russo. Ne risente anche l’euro e chissà se questa precaria istituzione europea varata negli splendenti anni Novanta; quindi, votata ai fasti del big bang della allora irresistibile globalizzazione, resisterà ancora a lungo. La sua presenza percentuale nelle riserve delle banche centrali mondiali potrebbe diminuire a tutto vantaggio del dollaro. Intanto i capitali emigrano e vanno a rifugiarsi nei bond americani a tassi apprezzabili, un classico alla base di molte guerre “by americans”, oltre al commercio di armi e stante l’aumento delle spese di difesa deliberate e ritenute ormai essenziali. Sul piano narrativo potrebbe esser d’effetto qui dire che tutto ciò scatenerà reazioni, ma temo che sul piano del potere concreto, quello di cui abbiamo di solito solo una pallida idea, qualsiasi tentativo di reazione verrà soffocato prima di diventare davvero problematico. Sarebbe ad esempio utile conoscere quanti, chi e come si sta adoperando per far digerire la Meloni agli americani e gli interessi americani alla Meloni che non essendo stupida pagherà la cambiale atlantista per ottenere il suo quarto d’ora di governo.
E veniamo ai russi. S’era qui ipotizzato che a fine agosto i russi potevano arrivare ai confini del Donbass e quindi prendersi una pausa per congelare il conflitto (militare) per l’inverno, dato anche che la logistica da quelle parti diventa molto problematica nella lunga stagione piovosa, fredda, nevosa. Non ci arriveranno, la concentrazione delle difese ucraine nel nord del Donetsk è insuperabile, al momento. Sappiamo che i russi continuano ad incassare bei soldi dalla vendita del gas, hanno in parte riorientato i flussi verso est, non manifestano gravi danni dalle sanzioni, almeno per il momento. Non sappiamo quanta riserva d’arma abbiano e sebbene alcuni c.d. “analisti” abbiano previsto la consunzione a breve ormai da mesi, tale consunzione non pare ci sia ed è improbabile ci sarà. I russi non s’imbarcavano in tale operazione ragionando come ragionano i c.d. “analisti” occidentali, avranno fatto i loro calcoli visto che da subito hanno accettato e promesso un conflitto molto lungo. Solo gli sprovveduti fan amatoriali dei wargames da tavolo, sin delle prime settimane, hanno creduto alla strategia blitzkrieg. Non parliamo di quelli che vedevano i russi al confine con la Romania in pochi giorni (Macron) o a Berlino (Zelensky). Altresì non c’è stato alcun vero isolamento dei russi sul piano diplomatico globale, tranne la rescissione del corpo calloso che univa l’emisfero russo a quello europeo. Tuttavia, rimane del tutto non conoscibile per noi, gli effetti medio lunghi del dispositivo sanzionatorio a molti livelli, si tratta come sempre in questi casi di questioni di tempo e di calcolo su cose che non consociamo. Certo è che avranno fatto i loro calcoli a riguardo per cui non è escluso che semmai vedessimo una improvvisa e massiccia azione sul campo nei prossimi mesi, si potrà dedurre si trovino nel momento “ora o mai più”. Vedremo.
E chiudiamo con gli americani veri master of game del caso in questione. È tutta una questione di tempo. L’Ucraina diventa nei fatti un satellite americano per sempre, tutti i soldi liquidi e solidi in forma di armi non sono donazioni, sono prestiti da rimborsare, debiti visti dalla parte di Zelensky, debiti inestinguibili per l’eternità (UDD Land-Lease Act ’22). Per questo la guerra non potrà aver fine perché, sotto ricatto di debito, gli ucraini non potranno mai decidere altrimenti a meno di un colpo di stato interno che poi sopravviva alla reazione americana. Quindi gli USA si sono comprati l’Ucraina e la useranno come spina dolorosa nel fianco russo per sfinirli, ovvero il “più a lungo” possibile. Quindi, in sostanza, è da vedere come hanno calcolato il tempo gli americani ed i russi per capire come andrà a finire. Per il resto la cattura egemonica dell’Europa appare forte, irreversibile e duratura, le questioni interne di elezioni di stanno aggiustando (c’è anche una sfida per la leadership del GOP di modo che i neocon vincano in ogni caso, ma questa è una faccenda complicata). La vera partita principale diventa Taiwan ma su questo dovremo riflettere a parte.
Sarebbe utile alcuni potessero onestamente riflettere su ciò che hanno detto e scritto in questi sei mesi, per domandarsi cosa davvero hanno compreso della questione ucraina. Ma tanto non lo faranno, molti discorsi pubblici hanno a traguardo solo la guerra virtuale delle opinioni combattenti, la mia contro l’opinione altrui, senza passare per la bruttezza concreta della guerra reale.
AMBASCIATOR PORTA PENA. Come previsto, la questione dell’Artico procede inesorabile. Gli Stati Uniti hanno previsto di nominare un Ambasciator-at-Large per l’Artico. La carica che si può tradurre come “Ambasciatore generale” verrà data ad un diplomatico con ampi poteri che rappresenterà gli USA per le questioni artiche presso tutte le istituzioni, formali ed informali, presenti o che si occupano della regione.
Scatta subito sull’attenti il fido Stoltenberg, annunciando che “La NATO deve aumentare la sua presenza nell’Artico” perché i russi stanno trafficando nelle loro basi portando missiloni di ultima generazione. In più, sappiamo degli appetiti cinesi verso questa regione che permetterebbe loro di aggirare le forche caudine degli stretti indo-pacifici. Insomma, si sta apparecchiando il nuovo gioco che porterà la nuova guerra fredda sottozero. O visto che da quelle parti non c’è praticamente nessuno, molto soprazero tanto l’ambiente lì si sta già scaldando di suo. Motivo per il quale poi tutti si stanno agitando visto che sottacqua è pieno di minerali appetitosi ed energie fossili molto poco green.
Finalmente, anche i più tonti potranno così capire cosa c’era sotto l’urgenza inderogabile ad accorpare la Finlandia e la Svezia nella NATO, due nazioni storicamente non allineate, pacifiche, conviventi da tempo col vicino russo, prive di materie prime che non siano alberi e renne, senza apparente alcun rilievo strategico che non sia il Mar Baltico che è praticamente un mare chiuso, ma membri del Consiglio dell’Artico.
Si noti invece come la punta nord-est della Finlandia sia ad un tiro di schioppo (si fa dell’ironia) dalla città (Murmansk) più grande al mondo sopra il Circolo polare Artico ed unico porto russo che non ghiaccia d’inverno, quindi strategica base militare navale.
Ma tanto non serve a niente dirlo, quando scoppierà il casino annunciato, torme di invasati caricati a molla dai media brain-washing, presi da una aggressiva emotività ingestibile ed insopprimibile, ci faranno sapere la loro inutile opinione formata il giorno stesso in cui succederà qualcosa, ignari che ogni storia ha cause pregresse che loro ignorano, come ignorano tutto l’argomento della politica di potenza in questa fase storica. Così come hanno fatto e fanno per l’Ucraina. Ci vuole pazienza, tanta.
REALISMO STRATEGICO. Charles A. Kupchan è un più che noto studioso di relazioni internazionali americano. Già direttore degli affari europei per il Consiglio Nazionale di Difesa degli Stati Uniti nonché Consigliere capo per gli affari europei della presidenza Obama, Senior fellow del Council on Foreign Relations, insegna alla Georgetown di Washington. In italiano, il suo interessante “Nessuno controlla il mondo”, Il Saggiatore, 2013.
L’articolo allegato esce su The National Interest, rivista bimestrale di IR di taglio conservatore, repubblicano diciamo in senso largo. Come si intuisce, in America, un democratico può pubblicare su testata avversaria, anche perché in incrocio condivide più l’impostazione realista che idealista (detta “liberal”, ma in sostanza e per simmetria se uno è realista l’altro è idealista per potare i fronzoli terminologici), di solito fortemente radicata proprio in campo democratico.
Per comprendere meglio questo incrocio ed il suo riflesso epistemologico (sebbene una epistemologia della disciplina sia rimasta al compianto Morghentau e poco poi sviluppata come del resto è capitato all’economics vista l’ampia funzione ideologica più che “scientifica” -sempre si possa dare “scienza” delle discipline socio/umane- delle due discipline), va ricordato che la disciplina di Relazioni Internazionali è prettamente americana, tanto quanto la geopolitica nacque europea. Ma il punto epistemologico interessante da notare è che realisti o idealisti, sono sempre americani, condividono cioè fortemente e senza alternative il punto di vista sull’interesse americano. Ora, il punto di vista su un problema come i soggetti di potenza nel loro sviluppo di relazioni internazionali dovrebbe esser almeno un po’, se non tanto, diverso a seconda che lo studioso sia francese o britannico, o tedesco o italiano. E ciò vale anche per la geopolitica. Così non accade quasi mai, salvo rare eccezioni per lo più francesi.
Quelli di Limes, hanno spesso notato e giustamente, la mancanza di un fondato punto di vista italiano su queste faccende, punto di vista cioè tornito intorno ad un ben definito punto di interesse nazionale nostro proprio. L’interesse nazionale, in genere, è semplice quanto unitario, si divergerà poi sul come perseguirlo. A riguardo, permettetemi una punta che suonerà polemica ma non lo è, è un semplice fatto.
Consocerete l’esperta di IR Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di ampia visibilità mediatica, che tuonava con il prof. Orsini negandogli il diritto di parlare di Ucraina perché non ci era mai stato fisicamente. Ha poi detto che non sarebbe più andata in televisione se ci fosse stato lui, quindi, lui è stato ostracizzato e lei salta da un programma all’altro. Vabbe’, non era questo il punto, il punto è che se andate sul sito del suo istituto, sotto Istituto, Chi Siamo, Amministrazione trasparente, trovate l’ultimo bilancio pubblico che chissà perché è ancora solo quello del 2019. Alla pagina 3, Ricavi, l’IAI denuncia di ricevere il 61% dei suoi fondi da “Fondazioni ed Enti Internazionali”. Più o meno la stessa percentuale del 2018 sembra un fatto strutturale. Che munificenza! Ma chi sono questi enti e fondazioni estere che hanno così tanto interesse a finanziare il lavoro di un istituto italiano di relazioni internazionali? E quanto dovremmo prender sul serio un’analista che sicuramente è stata in Ucraina a differenza di Orsini ma il cui stipendio e status professionale è per lo più mantenuto da interessi stranieri? Ce lo vedete uno studioso americano che parla a nome di un istituto finanziato dai cinesi o dai russi?
Be’ così va il mondo dietro le quinte dello spettacolo cui molti contribuiscono lanciandosi fatwe al veleno radioattivo sui social, basandosi su quello che ha detto tizio e caio, senza domandarsi chi sono tizio e caio, cosa sanno, cosa credono di sapere, come lo sanno, a chi parlano, da chi sono pagati, come tutto ciò incide sulla loro immagine di mondo da cui traggono giudizi che zelanti zeloti rilanciano ed amplificano, senza neanche esser stipendiati da “enti e fondazioni estere”.
Pazienza, indispensabile materia prima dei tempi che ci sono toccati in sorte di vivere.
Ad ogni modo, l’americano da cui siamo partiti, sviluppa una sua analisi compiuta della strategia americana, nel tempo e nello specifico dell’affare ucraino. Leggetela, fa cultura del campo se vi interessa coltivarlo. Ovviamente avrei da discutere diversi suoi punti. Tuttavia, ne consiglio ugualmente la lettura, non è che si debba leggere solo l’intemerata consonante i nostri apriori ideologici.
Il succo però va riportato. In sintesi, Kupchan dice al decisore americano che sarebbe meglio contenere le velleità di egemonia esterna perché si rischia troppo e troppe brutte cose. Tra cui effetti molto negativi interni al campo delle c.d. “democrazie di mercato” occidentali e non solo, che pure sono uno dei più solidi successi della strategia egemonica americana di questi ultimi decenni. In particolare, ricorda l’ovvio ovvero che si chiamano “relazioni internazionali” perché riguardano due o più soggetti di potenza. Essendo una relazione c’è un emittente ed un ricevente. L’emittente che dice “guarda sto portando la mia alleanza militare ai tuoi confini ma non ti preoccupare, è solo un’alleanza difensiva”, in una relazione consapevole ed onesta, dovrebbe tener conto che il ricevente potrebbe inquietarsi comunque dal momento che rampe di missili sono sempre rampe di missili e le intenzioni con cui tu puoi usarli possono cambiare com’è ovvio che sia. Ed anche come tutte le dottrine difensive americane prevedono impedendo in via di principio che supposti o potenziali avversari si presentino, non ai confini, ma nell’intero continente e nei suoi due oceani adiacenti.
Questa si chiama “reciprocità” tema del mio secondo post dopo il 24 febbraio ed è considerata etica universale, molto più universale di ogni diritto umano o altro valore che a noi sembra universale quando non è affatto detto che lo sia. Lo hanno certificato 143 rappresentati di altrettante religioni (wow, i religiosi di etica qualcosa sanno, no?), riuniti nel parlamento delle religioni mondiali nel 1993, definendolo l’unico punto incontrovertibile di una etica mondiale!
Lo si è detto e ripetuto più volte all’inizio del conflitto ma molti pupazzi caricati a molla continuano a scrivere post ed articoli che sostengono che questa è una falsa argomentazione. Chissà se leggendolo detto da un americano personalità riconosciuta del campo e della disciplina, consigliere di Obama, gli entra in testa. Non credo, la fede dello zelante zelota è impermeabile all’argomentazione logica, però perché non tentare? Buona lettura.

La guerra in Ucraina e il ritorno della Realpolitik

(riprodotto con traduttore_Giuseppe Germinario)

Il ritorno di un mondo a due blocchi che gioca secondo le regole della realpolitik significa che l’Occidente dovrà ridurre i suoi sforzi per espandere l’ordine liberale, tornando invece a una strategia di paziente contenimento volta a preservare la stabilità geopolitica ed evitare una grande guerra di potere .

La competizione GREAT POWER è tornata. L’alleanza transatlantica deve rivedere di conseguenza la sua grande strategia e ridimensionare le sue ambizioni idealistiche a favore di un realismo pragmatico. Durante la crisi sull’Ucraina, la stella polare ideologica dell’Occidente – la promozione della democrazia – ha guidato l’arte di governo, con la NATO che ha sostenuto e incoraggiato le aspirazioni di Kiev di unirsi all’alleanza occidentale. Ma il presidente russo Vladimir Putin, non volendo lasciare che l’Ucraina lasci l’ovile russo ed emerga come una democrazia ancorata in Occidente, ha lanciato una guerra per riportare Kiev sotto il dominio di Mosca. Putin possiede questa guerra , con la morte e la distruzione che ha prodotto.

La reazione dell’Occidente – armare l’Ucraina, sanzionare la Russia, rafforzare il fianco orientale della NATO estendendo l’adesione a Finlandia e Svezia – è pienamente giustificata. Tuttavia, il legittimo indignazione per la presa a pugni dell’Ucraina da parte della Russia minaccia di oscurare la necessità di trarre sobrie lezioni dalla guerra. Forse la cosa più importante è che il mondo stia tornando alle regole della politica di potere, richiedendo che l’ambizione ideologica ceda più regolarmente alle realtà strategiche per garantire che gli scopi dell’Occidente rimangano sincronizzati con i suoi mezzi. Questo adeguamento significa che l’Occidente dovrà concentrarsi maggiormente sulla difesa, anziché sull’espansione, della comunità democratica. Certamente, combinando i suoi valori con il suo potere, l’Occidente ha piegato l’arco della storia lontano dalla pratica della realpolitik e verso una maggiore libertà, dignità umana e pace.

Il mondo indisciplinato e più competitivo che sta prendendo forma rafforzerà naturalmente l’unità transatlantica, proprio come la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica ha contribuito alla coesione della NATO durante la Guerra Fredda. Eppure i mali politici che hanno afflitto l’Occidente non si sono dissipati; L’invasione della Russia, insieme alla prospettiva di una nuova guerra fredda, non è sufficiente a curare gli Stati Uniti e l’Europa dall’illiberalismo e dalla disfunzione politica. In effetti, la guerra in Ucraina ha prodotto effetti di ricaduta economica che potrebbero indebolire ulteriormente il centrismo politico. Di conseguenza, l’America e l’Europa affrontano una doppia sfida: devono continuare a mettere in ordine le proprie case anche mentre stanno insieme per resistere alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

QUESTA TENSIONE tra alta ambizione e realtà strategica non è una novità, in particolare per gli Stati Uniti. Fin dai primi giorni della repubblica, gli americani hanno compreso che lo scopo del loro potere implicava non solo la sicurezza, ma anche la diffusione della democrazia liberale in patria e all’estero. Come scrisse Thomas Paine nel 1776, “abbiamo il potere di ricominciare il mondo. Una situazione, simile a quella attuale, non si è verificata dai giorni di Noè fino ad ora”.

Paine si stava sicuramente impegnando nell’iperbole, ma le generazioni successive di americani hanno preso a cuore la vocazione eccezionalista della nazione, con risultati piuttosto impressionanti. Grazie al potere del suo esempio e ai suoi numerosi sforzi all’estero, tra cui la prima, la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, gli Stati Uniti sono riusciti a espandere l’impronta della democrazia liberale. Al momento della fondazione della nazione, le repubbliche erano lontane tra loro. Oggi, più della metà dei paesi del mondo sono democrazie totali o parziali. Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo di primo piano nell’attuazione di questa trasformazione.

Ma queste aspirazioni ideologiche hanno a volte alimentato il superamento, producendo risultati che compromettono le ambizioni idealistiche della nazione. La generazione fondatrice era determinata a costruire una repubblica estesa che si estendesse fino alla costa del Pacifico, un obiettivo che la nazione raggiunse a metà del diciannovesimo secolo. Gran parte dell’espansione verso ovest degli Stati Uniti ha avuto luogo sotto la bandiera esaltata del Destino manifesto, che ha fornito una giustificazione ideologica per espandere la frontiera, ma anche una copertura morale per calpestare i nativi americani e lanciare una guerra d’elezione contro il Messico che ha portato all’annessione degli Stati Uniti di circa la metà del territorio messicano.

Il presidente William McKinley nel 1898 intraprese una guerra per espellere la Spagna da Cuba, una delle poche colonie rimaste nell’emisfero, insistendo sul fatto che gli americani dovevano agire “per la causa dell’umanità”. Eppure la vittoria nella guerra ispano-americana trasformò gli stessi Stati Uniti in una potenza imperiale, poiché affermò il controllo sui possedimenti spagnoli nei Caraibi e nel Pacifico, comprese le Filippine. “Non ci restava altro da fare che prenderli tutti, educare i filippini, elevarli, civilizzarli e cristianizzarli”, ha insistito McKinley mentre le forze statunitensi occupavano le Filippine. L’insurrezione che ne è derivata ha portato alla morte di circa 4.000 soldati statunitensi e centinaia di migliaia di combattenti e civili filippini. Gli Stati Uniti resistettero alle Filippine fino al 1946.

Mentre preparava il paese all’ingresso nella prima guerra mondiale, il presidente Woodrow Wilson dichiarò davanti al Congresso che “il mondo deve essere messo al sicuro per la democrazia”. Dopo che le forze statunitensi hanno contribuito a portare a termine la guerra, ha svolto un ruolo di primo piano nei negoziati sulla Società delle Nazioni, un organismo globale che doveva preservare la pace attraverso l’azione collettiva, la risoluzione delle controversie e il disarmo. Ma tali ambizioni idealistiche si sono rivelate eccessive anche per gli americani. Il Senato ha respinto l’appartenenza degli Stati Uniti alla Lega; Il superamento ideologico di Wilson aprì la strada al testardo isolazionismo dell’era tra le due guerre.

Poco prima di lanciare l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, il presidente George W. Bush ha affermato che “riteniamo che il popolo iracheno meriti e sia capace della libertà umana … può dare l’esempio a tutto il Medio Oriente di una vita vitale, pacifica e nazione autonoma”. Il risultato della guerra in Iraq è stato molto diverso: sofferenze a livello regionale e conflitti settari pronti a continuare per generazioni. Quanto all’Afghanistan, ha proclamato Bush nel 2004: “Ora il Paese sta cambiando. Ci sono i diritti delle donne. C’è uguaglianza sotto la legge. Le ragazze ora vanno a scuola, molte per la prima volta in assoluto, grazie agli Stati Uniti e alla nostra coalizione di liberatori”. Ma due decenni di esaurienti sforzi degli Stati Uniti per portare stabilità e democrazia in Afghanistan sono stati imbarazzanti, con il ritiro degli Stati Uniti la scorsa estate che ha lasciato il posto al governo talebano e a un incubo umanitario. In questi episodi storici, le nobili ambizioni si sono ritorte contro con conseguenze terribili.

La questione UCRAINA ha allo stesso modo messo in luce le inevitabili tensioni tra alte ambizioni e realtà geopolitiche. Queste tensioni erano, per la maggior parte, sospese nel bipolarismo della Guerra Fredda, quando l’espediente geopolitico guidava la strategia di contenimento degli Stati Uniti. L’accordo di Yalta raggiunto da Franklin D. Roosevelt, Winston Churchill e Joseph Stalin alla fine della seconda guerra mondiale fu l’ultimo compromesso realista, lasciando gran parte dell’Europa orientale sotto il dominio sovietico. Roosevelt e Churchill stavano saggiamente cedendo i principi al pragmatismo fornendo alla Russia sovietica una zona cuscinetto sul fianco occidentale. Tale moderazione strategica ha dato buoni frutti; ha contribuito alla stabilità durante i lunghi decenni della Guerra Fredda,

L’espansione verso est della NATO iniziò quindi negli anni ’90, l’era dell’unipolarità, quando Washington era fiduciosa che il trionfo del potere e degli obiettivi americani avrebbe inaugurato l’universalizzazione della democrazia, del capitalismo e di un ordine internazionale liberale e basato su regole. L’amministrazione Clinton ha abbracciato una grande strategia di “allargamento democratico” – un punto chiave della quale era aprire le porte della NATO alle nuove democrazie europee e accogliere formalmente in Occidente gli stati del defunto e screditato Patto di Varsavia.

L’allargamento verso est della NATO ha favorito guadagni sia morali che strategici. L’Occidente ha sfruttato l’opportunità di invertire Yalta; I membri della NATO potrebbero riaffermare la loro autorità morale integrando le ultime democrazie europee. Il fascino di soddisfare gli standard politici per l’ingresso nell’alleanza occidentale ha aiutato a guidare attraverso le transizioni democratiche più di una dozzina di paesi che hanno sofferto a lungo sotto il dominio comunista. L’apertura delle porte della NATO ha anche fornito all’alleanza profondità strategica e una maggiore forza militare aggregata. La garanzia di difesa che viene fornita con l’adesione funge da forte deterrente all’avventurismo russo, un bene prezioso dato il rinnovato appetito di Mosca di invadere i suoi vicini. Finlandia e Svezia, infatti, si sono lasciate alle spalle decenni di neutralità per avvalersi di tale garanzia.

Ma nonostante questi vantaggi pratici e di principio, l’allargamento della NATO ha comportato anche un significativo svantaggio strategico: ha gettato le basi per un ordine di sicurezza post Guerra Fredda che escludeva la Russia mentre avvicinava sempre più ai suoi confini l’alleanza militare più formidabile del mondo. Proprio per questo motivo l’amministrazione Clinton ha inizialmente lanciato il Partenariato per la Pace, un quadro di sicurezza che ha consentito a tutti gli Stati europei di cooperare con la NATO senza tracciare nuove linee di divisione. Ma quell’alternativa cadde nel dimenticatoio all’inizio di gennaio 1994, quando il presidente Bill Clinton dichiaròa Praga che “la domanda non è più se la NATO assumerà nuovi membri, ma quando e come”. La prima ondata di espansione ha esteso l’adesione alla Repubblica Ceca, all’Ungheria e alla Polonia nel 1999, seguita da allora da quattro ulteriori periodi di allargamento. Finora, la NATO ha ammesso quindici paesi (che comprendono circa 100 milioni di persone) che erano precedentemente nella sfera di influenza della Russia.

Il Cremlino si è opposto fin dall’inizio all’allargamento della NATO. Già nel 1993, il presidente russo Boris Eltsin avvertì che i russi di tutto lo spettro politico “lo percepirebbero senza dubbio come una sorta di neo-isolamento del nostro paese in diametralmente opposta alla sua naturale ammissione nello spazio euro-atlantico”. In un incontro faccia a faccia con il presidente Clinton nel 1995, Eltsin è stato più diretto:

Non vedo altro che umiliazione per la Russia se procedi… Perché vuoi farlo? Abbiamo bisogno di una nuova struttura per la sicurezza paneuropea, non di quelle vecchie! … Per me accettare che i confini della NATO si espandano verso quelli della Russia – ciò costituirebbe un tradimento da parte mia del popolo russo.

Il disagio di Mosca è cresciuto solo quando Putin ha preso il timone nel 1999 e ha ribaltato il flirt di Eltsin con un tipo di governo più liberale. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, Putin dichiarò che l’allargamento della NATO “rappresenta una seria provocazione” e chiese: “Perché è necessario mettere infrastrutture militari ai nostri confini durante questa espansione?”

La Russia iniziò presto sforzi concreti per fermare un ulteriore allargamento. Nel 2008, non molto tempo dopo che la NATO aveva promesso che Georgia e Ucraina “diventeranno membri della NATO”, la Russia è intervenuta in Georgia. Nel 2012, Mosca avrebbe tentato di organizzare un colpo di stato in Montenegro per bloccarne l’adesione all’alleanza , e in seguito avrebbe lavorato per impedire l’adesione della Macedonia del Nord. Questi sforzi nei Balcani furono inutili; Il Montenegro ha aderito all’alleanza nel 2017 e la Macedonia del Nord ha seguito l’esempio nel 2020. Ora Putin ha invaso l’Ucraina, in parte per bloccare il suo percorso verso la NATO. Nel suo discorso del 24 febbraioalla nazione che giustifica l’inizio della “operazione militare speciale”, Putin ha indicato “le minacce fondamentali che i politici occidentali irresponsabili hanno creato per la Russia … Mi riferisco all’espansione verso est della NATO, che sta spostando le sue infrastrutture militari sempre più vicino a il confine russo”.

Gli Stati Uniti hanno in gran parte respinto le obiezioni della Russia. Mentre il Cremlino osservava con ansia l’avanzata della NATO, Washington ha visto l’espansione della NATO verso est principalmente attraverso la lente benevola della vocazione eccezionalista dell’America. L’allargamento dell’alleanza ha significato diffondere i valori americani e rimuovere le linee di divisione geopolitiche piuttosto che tracciarne di nuove.

Quando ha lanciato la politica della porta aperta della NATO, il presidente Clinton ha affermato che ciò avrebbe “cancellato la linea artificiale in Europa tracciata da Stalin alla fine della seconda guerra mondiale”. Madeleine Albright, la sua segretaria di stato, ha affermato che “la NATO è un’alleanza difensiva che … non considera nessuno stato come suo avversario”. Lo scopo di espandere l’alleanza, ha spiegato, era costruire un’Europa “intera e libera”, osservando che “la NATO non rappresenta un pericolo per la Russia”. Questa è la linea che Washington ha adottato da allora, anche per quanto riguarda la potenziale adesione dell’Ucraina. Con l’aumentare della crisi sull’Ucraina, il presidente Joe Biden ha insistito su questo, “gli Stati Uniti e la NATO non sono una minaccia per la Russia. L’Ucraina non sta minacciando la Russia”. Il segretario di Stato Antony Blinken ha convenuto: “La stessa NATO è un’alleanza difensiva … E l’idea che l’Ucraina rappresenti una minaccia per la Russia o, se è per questo, che la NATO rappresenti una minaccia per la Russia è profondamente sbagliata e fuorviante”. Gli alleati dell’America sono stati per lo più sulla stessa pagina. Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, ha affermato durante il periodo che precede l’invasione della Russia che: “La NATO non è una minaccia per la Russia”.

Eppure la Russia vedeva le cose in modo molto diverso, e non senza ragione. La geografia e la geopolitica contano; Le grandi potenze, indipendentemente dalla loro inclinazione ideologica, non amano quando altre grandi potenze si allontanano nei loro quartieri. La Russia nutre comprensibili e legittime preoccupazioni per la sicurezza riguardo all’apertura di un negozio da parte della NATO dall’altra parte del suo confine di oltre 1.000 miglia con l’Ucraina. La NATO può essere un’alleanza difensiva, ma mette in atto una potenza militare aggregata che la Russia, comprensibilmente, non vuole parcheggiare vicino al suo territorio.

In effetti, le proteste di Mosca sono state, ironia della sorte, molto in linea con la stessa politica americana, che ha cercato a lungo di tenere le altre grandi potenze lontane dai propri confini. Gli Stati Uniti trascorsero gran parte del diciannovesimo secolo a far uscire Gran Bretagna, Francia, Russia e Spagna dall’emisfero occidentale. Da allora in poi, Washington si è regolarmente rivolta all’intervento militare per dominare le Americhe. L’esercizio dell’egemonia emisferica continuò durante la Guerra Fredda, con gli Stati Uniti determinati a cacciare l’Unione Sovietica ei suoi simpatizzanti ideologici dall’America Latina. Quando Mosca dispiegò missili a Cuba nel 1962, gli Stati Uniti lanciarono un ultimatum che portò le superpotenze sull’orlo della guerra. Dopo che la Russia ha recentemente lasciato intendere che potrebbe schierare nuovamente le sue forze armate in America Latina, il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha risposto: “Se vediamo qualche movimento in quella direzione, risponderemo in modo rapido e deciso”. Data la propria esperienza, Washington avrebbe dovuto dare maggiore credito alle obiezioni di Mosca all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.

Per quasi tre decenni, la NATO e la Russia si sono parlate l’una contro l’altra. Come ha scherzato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in mezzo alla raffica di diplomazia che ha preceduto l’invasione russa, “stiamo conversando da una persona muta con una persona sorda. È come se ci ascoltassimo, ma non ci ascoltassimo”.

L’invasione russa dell’Ucraina chiarisce che questa disconnessione tra Russia e Occidente è esplosa allo scoperto, finalmente per una serie di motivi. Mosca ha considerato l’ingresso nella NATO di una banda di paesi che si estende dai Baltici ai Balcani come una battuta d’arresto strategica e un insulto politico. L’Ucraina, in particolare, appare molto più grande nell’immaginario russo; nelle stesse parole di Putin, “Russi e ucraini sono un popolo. Kiev è la madre delle città russe”. La scissione nel 2019 della chiesa ortodossa ucraina dalla sua controparte russa è stata una pillola particolarmente amara; la chiesa ucraina era subordinata al patriarca di Mosca dal 1686. La Russia oggi è molto più capace di respingere di quanto non lo fosse all’inizio del dopoguerra, rafforzata dalla sua ripresa economica e militare e dalla sua stretta collaborazione con la Cina.

Eppure il Cremlino ha commesso diversi gravi errori di calcolo nel procedere con la sua invasione dell’Ucraina. Ha ampiamente sottovalutato la volontà e la capacità degli ucraini di reagire, producendo le prime battute d’arresto russe sul campo di battaglia. Mosca ha visto numerose fonti di debolezza occidentale – Brexit, il ritiro caotico dall’Afghanistan, la pandemia di COVID-19, l’inflazione, la polarizzazione in corso e il populismo – portando a una sottovalutazione della forza e della portata della risposta dell’Occidente. Nella mente di Putin, una combinazione di forza russa e fragilità occidentale ha reso il momento opportuno per lanciare la sfida in Ucraina. Ma Putin aveva torto; l’Occidente ha dimostrato una notevole fermezza poiché ha armato l’Ucraina e imposto severe sanzioni contro la Russia.

Questi errori di calcolo aiutano a far luce sul motivo per cui Putin ha scelto di affrontare le sue lamentele attraverso la guerra piuttosto che la diplomazia. In effetti, Putin ha avuto l’opportunità di dirimere le sue obiezioni all’adesione dell’Ucraina alla NATO al tavolo dei negoziati. L’anno scorso, il presidente Biden ha riconosciuto che se l’Ucraina si unirà all’alleanza ” resta da vedere “. In mezzo alla raffica di diplomazia che ha preceduto l’invasione russa, il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato l’idea di “finlandizzazione” per l’Ucraina – neutralità effettiva – e sono circolate proposte per una moratoria formale su un ulteriore allargamento. Lo ha ammesso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyyche la prospettiva che l’Ucraina aderisca alla NATO possa essere “come un sogno”. Il suo ambasciatore nel Regno Unito ha indicato che Kiev voleva essere “flessibile nel tentativo di trovare la migliore via d’uscita” e che un’opzione sarebbe quella di abbandonare la sua offerta per l’adesione alla NATO. Il Cremlino avrebbe potuto raccogliere queste piste, ma invece ha optato per la guerra.

LA SAGA dell’allargamento della NATO mette in luce il divario tra le aspirazioni ideologiche dell’Occidente e le realtà geopolitiche che si è allargato dagli anni ’90. Durante l’entusiasmante decennio successivo alla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti ei loro alleati erano fiduciosi che il trionfo del loro potere e del loro scopo avrebbe aperto la strada alla diffusione della democrazia, un obiettivo che l’allargamento della NATO avrebbe presumibilmente contribuito a garantire.

Ma fin dall’inizio, l’establishment della politica estera occidentale ha permesso al principio di oscurare gli aspetti negativi geopolitici dell’allargamento della NATO. Sì, l’adesione alla NATO dovrebbe essere aperta a tutti i paesi che si qualificano e tutte le nazioni dovrebbero essere in grado di esercitare il loro diritto sovrano di scegliere i propri allineamenti come meglio credono. E sì, la decisione di Mosca di invadere l’Ucraina è stata in parte informata dalle fantasie di ripristinare il peso geopolitico dei giorni sovietici, dalla paranoia di Putin su una “rivoluzione colorata” insorta in Russia e dalle sue delusioni sui legami indissolubili di civiltà tra Russia e Ucraina.

Eppure l’Occidente ha commesso un errore continuando a respingere le obiezioni della Russia all’allargamento in corso della NATO. Nel frattempo, la politica delle porte aperte della NATO ha incoraggiato i paesi dell’Europa orientale a sporgersi troppo dai loro sci strategici. Mentre il fascino dell’adesione all’alleanza ha incoraggiato gli aspiranti a realizzare le riforme democratiche necessarie per qualificarsi per l’ingresso, la porta aperta ha anche spinto i potenziali membri a impegnarsi in comportamenti eccessivamente rischiosi. Nel 2008, subito dopo che la NATO ha ignorato le obiezioni russe e ha promesso un’eventuale adesione alla Georgia e all’Ucraina, il presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, ha lanciato un’offensiva contro i separatisti filo-russi nell’Ossezia meridionale con cui il paese combatteva sporadicamente da anni. La Russia ha risposto prontamente prendendo il controllo di due parti della Georgia: l’Ossezia meridionale e l’Abkhazia.

In modo simile, la NATO ha esagerato incoraggiando l’Ucraina a aprire la strada verso l’alleanza. La rivoluzione di Maidan del 2014 ha rovesciato un regime pro-Mosca e ha portato l’Ucraina su una rotta verso ovest, provocando l’intervento della Russia in Crimea e nel Donbas. La porta aperta della NATO ha fatto cenno, spingendo gli ucraini nel 2019 a sancire le loro aspirazioni NATO nella loro costituzione, una mossa che ha fatto scattare nuovi campanelli d’allarme al Cremlino. Data la sua vicinanza alla Russia e la devastazione causata dall’ulteriore aggressione di Mosca, l’Ucraina avrebbe fatto meglio a giocare sul sicuro, costruendo in silenzio una democrazia stabile pur mantenendo lo status neutrale che aveva abbracciato quando è uscita dall’Unione Sovietica. In effetti, il potenziale ritorno dell’Ucraina alla neutralitàha avuto un ruolo di primo piano nei colloqui sporadici tra Kiev e Mosca per porre fine alla guerra.

La NATO ha saggiamente evitato il coinvolgimento diretto nei combattimenti per scongiurare la guerra con la Russia. Ma la riluttanza dell’alleanza a difendere militarmente l’Ucraina ha messo in luce un preoccupante disconnessione tra l’obiettivo dichiarato dell’organizzazione di rendere il paese un membro e il suo giudizio secondo cui proteggere l’Ucraina non vale il costo. In effetti, gli Stati Uniti ei loro alleati, anche se impongono severe sanzioni alla Russia e inviano armi all’Ucraina, hanno rivelato di non ritenere la difesa del Paese un interesse vitale. Ma se è così, allora perché i membri della NATO hanno voluto estendere all’Ucraina una garanzia di sicurezza che li obbligherebbe a entrare in guerra in sua difesa?

La NATO dovrebbe estendere le garanzie di sicurezza ai paesi che sono di importanza strategica intrinseca agli Stati Uniti e ai suoi alleati, non dovrebbe rendere i paesi strategicamente importanti estendendo loro tali garanzie. In un mondo che sta rapidamente tornando alla logica della politica di potenza, in cui gli avversari possono regolarmente mettere alla prova gli impegni degli Stati Uniti, la NATO non può permettersi di essere dissoluta nel fornire tali garanzie. La prudenza strategica richiede di distinguere gli interessi critici da quelli minori e di condurre di conseguenza l’arte di governo.

La PRUDENZA STRATEGICA richiede anche che l’Occidente si prepari al ritorno di una continua rivalità militarizzata con la Russia. Alla luce della stretta collaborazione emersa tra Mosca e Pechino e delle ambizioni geopolitiche della Cina, la nuova Guerra Fredda che sta prendendo forma potrebbe benissimo mettere l’Occidente contro un blocco sino-russo che si estende dal Pacifico occidentale all’Europa orientale. Come la Guerra Fredda, un mondo di blocchi rivali potrebbe significare divisione economica e geopolitica. Il grave impatto delle sanzioni imposte alla Russia sottolinea il lato oscuro della globalizzazione, portando potenzialmente a casa sia la Cina che le democrazie occidentali che l’interdipendenza economica comporta rischi piuttosto considerevoli. La Cina potrebbe prendere le distanze dai mercati globali e dai sistemi finanziari, mentre gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero scegliere di espandere il ritmo e la portata degli sforzi per disaccoppiare dagli investimenti, dalla tecnologia e dalle catene di approvvigionamento cinesi. Il mondo potrebbe entrare in un’era prolungata e costosa di de-globalizzazione.

Il ritorno di un mondo a due blocchi che gioca secondo le regole della realpolitik significa che l’Occidente dovrà ridurre i suoi sforzi per espandere l’ordine liberale, tornando invece a una strategia di paziente contenimento volta a preservare la stabilità geopolitica ed evitare una grande guerra di potere . Un nuovo conservatorismo strategico dovrebbe cercare di stabilire equilibri stabili di potere e deterrenza credibile nei teatri europei e dell’Asia-Pacifico. Gli Stati Uniti hanno un playbook per questo mondo: quello che gli ha permesso di prevalere nella prima Guerra Fredda.

Quello per cui Washington non ha uno stratagemma è navigare nella divisione geopolitica in un mondo che è molto più interdipendente di quello della Guerra Fredda. Anche se resiste alle autocrazie, l’Occidente dovrà superare le linee di divisione ideologiche per affrontare le sfide globali, tra cui l’arresto del cambiamento climatico, la prevenzione della proliferazione nucleare e il controllo degli armamenti, la supervisione del commercio internazionale, il governo della cybersfera, la gestione della migrazione e promuovere la salute globale. Il pragmatismo strategico dovrà temperare la discordia ideologica.

Washington manca anche di uno stratagemma per operare in un’era in cui l’Occidente deve affrontare minacce nostrane alla democrazia liberale che sono almeno altrettanto potenti delle minacce esterne poste da Russia e Cina. Durante la Guerra Fredda, l’Occidente era politicamente sano; le democrazie liberali su entrambe le sponde dell’Atlantico godevano di moderazione ideologica e centrismo, sostenute da una prosperità ampiamente condivisa. Un marchio fermo e mirato della grande strategia statunitense poggiava su solide fondamenta politiche e godeva di un sostegno bipartisan.

Ma l’Occidente oggi è politicamente malsano e il populismo illiberale è vivo e vegeto su entrambe le sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti, il patto bipartisan dietro l’arte di governo statunitense è crollato, così come il centro politico della nazione. La moderazione ideologica e il centrismo hanno lasciato il posto a un’amara polarizzazione in mezzo a una prolungata insicurezza economica e a una disuguaglianza spalancata. La guerra in Ucraina non ha aiutato le cose; L’ambiziosa agenda di Biden per il rinnovamento interno, già ridimensionata a causa dell’ingorgo al Congresso, ha ulteriormente sofferto a causa dell’attenzione di Washington sul conflitto. E gli alti tassi di inflazione, alimentati in parte dalle perturbazioni economiche derivanti dalla guerra, stanno alimentando il malcontento pubblico, probabilmente costando ai Democratici il controllo del Congresso nel prossimo semestre di novembre.

In Europa, il centro politico ha tenuto largamente. I partiti tradizionali di centrosinistra e centrodestra hanno perso terreno rispetto ai partiti anti-establishment, ma sono rimasti ideologicamente centristi e, per la maggior parte, sono rimasti al potere. Eppure i populisti illiberali continuano a governare l’Ungheria e la Polonia, ei loro compagni di viaggio esercitano un’influenza politica nella maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea (UE). In effetti, il governo centrista italiano è crollato a luglio e l’estrema destra potrebbe benissimo impennarsi in vista delle elezioni. Il Regno Unito si è impegnato in uno straordinario atto di autoisolamento e autolesionismo uscendo dall’UE: Londra rimane coinvolta in difficili negoziati con Bruxelles sui termini della Brexit. Il danno economico provocato dall’inflazione, dall’aumento dei prezzi dell’energia e dalla potenziale carenza di energia favorita dalle sanzioni occidentali alla Russia,

Mentre gli Stati Uniti ei loro alleati contemplano l’aumento della tensione con un blocco sino-russo, devono assicurarsi di continuare a correggere le vulnerabilità interne dell’Occidente. È vero che durante la Guerra Fredda, la disciplina che la minaccia sovietica imponeva alla politica americana contribuì a smorzare il conflitto partigiano sulla politica estera. Allo stesso modo, l’attuale prospettiva di una nuova era di rivalità militarizzata con Russia e Cina sta facendo rivivere la cooperazione bipartisan in materia di governo.

È tuttavia probabile che questo ritorno al bipartitismo sia di breve durata, proprio come è stato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Gli americani non dovrebbero operare nell’illusione che un ambiente internazionale più competitivo ripristinerà di propria iniziativa il paese salute politica, soprattutto in mezzo al tasso di inflazione statunitense più alto degli ultimi quarant’anni. In modo simile, anche se l’Europa ha dimostrato unità e determinazione impressionanti durante la guerra in Ucraina, indubbiamente dovrà affrontare nuove sfide politiche mentre affronta un enorme afflusso di rifugiati ucraini e affronta ulteriori oneri economici, incluso lo svezzamento dall’energia russa .

Entrambe le sponde dell’Atlantico hanno quindi un duro lavoro da fare se vogliono mettere in ordine le proprie case e rinvigorire l’ancora dell’ordine liberale del globo. Dato il potenziale ritorno della politica del risentimento negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha urgente bisogno di continuare a portare avanti la sua agenda interna. Investire in infrastrutture, istruzione, tecnologia, assistenza sanitaria, soluzioni per il clima e altri programmi interni offre il modo migliore per alleviare il malcontento dell’elettorato e far rivivere il centro politico malato del paese . L’agenda di rinnovamento dell’Europa dovrebbe includere la ristrutturazione economica e gli investimenti, la riforma della politica di immigrazione e il controllo delle frontiere e una maggiore spesa e messa in comune della sovranità sulla politica estera e di difesa.

L’invasione russa dell’Ucraina annuncia il ritorno di un mondo più realistico, che richiede che le ambizioni idealistiche dell’Occidente cedano più regolarmente alle fredde realtà strategiche. Anche se la guerra ha certamente contribuito a rilanciare l’Occidente e la sua coesione, le minacce interne alla democrazia liberale che erano al centro prima della guerra richiedono ancora un’attenzione urgente. Sarebbe ironico se l’Occidente riuscisse a trasformare la scommessa di Putin in Ucraina in una clamorosa sconfitta, solo per vedere le democrazie liberali soccombere al nemico interiore.

Charles A. Kupchan è Professore di Affari Internazionali alla Georgetown University e Senior Fellow presso il Council on Foreign Relations. Il suo libro più recente è Isolationism: A History of America’s Efforts to Shield Itself from the World .

Ucraina, il conflitto 14a puntata_Azzardo a Kherson_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Un azzardo a Kherson e un vero e proprio atto di pirateria a Zaporizhzhia in corso in questi giorni. Il secondo fallito in poche ore, il primo destinato ancora a protrarsi per qualche giorno. Entrambi hanno richiesto un tributo di sangue ucraino talmente drammatico da lasciare sconcertati anche i più assuefatti al cinismo e all’indifferenza della giunta al governo in Ucraina. Parlare di giunta è il termine più appropriato, per un regime che ha cancellato praticamente l’intero sistema dei partiti. Parlare di azzardo senza speranza è altrettanto appropriato per una offensiva prematura, se non disperata, motivata dal solo fatto di offrire qualcosa di tangibile a quei paesi europei ormai recalcitranti a farsi dissanguare e dissestare solo per assecondare l’avventurismo dell’attuale leadership statunitense e il fanatismo e l’ottusità di un regime che ha nella guerra la sola ragione di esistere e di lucrare a spese della propria popolazione. Un regime dalla natura scopertamente terroristica che non esita ad approfittare anche di possibili momenti di pausa legati alle attività internazionali di natura diplomatica e securitaria per tentare colpi di mano disperati in grado di supportare la loro traballante narrazione. Anche questo con il silenzio, la complicità e l’ispirazione dei centri decisori statunitensi e la istigazione di gran parte di quelli europei. Una dinamica di imbarbarimento destinata a lasciare solchi profondi, forse incolmabili, nel teatro europeo, alimentando gratuitamente un clima di ostilità e di guerra sempre più irreversibile. Un cancro destinato ad aggredire la carne viva degli europei sempre meno protagonisti del proprio destino anche nelle tragedie prossime a venire che li investiranno. Personaggi come Zelensky, Draghi, Macron, Johnson, Sholz e Marin dovranno rimanere impressi nella memoria; certamente non a titolo d’onore. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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6 MESI – LO STATO FANTASMA e un ENIGMA NON MODERNO, di Daniele Lanza

6 MESI – LO STATO FANTASMA.
(bilanci)
Dunque, non mi occupo più di alcun bollettino di conflitto dalla fine di aprile in realtà e non intendo certo recuperare puntate passate.
Mi ritrovo non ad analizzare propriamente – che mi mancano troppi dati – ma a riflettere come tanti altri commentatori e analisti sul primo semestre della crisi militare che investe il quadrante orientale d’Europa : a giudicare dalle mappe delle operazioni in corso la situazione è apparentemente cristallizzata oramai da mesi (apparentemente, poichè le forze russe in realtà guadagnano gradualmente terreno) come mostra la mappa allegata al post.
Come interpretare ? Che significa ? Molte cose.
Emerge quel quadro di logoramento che non ricorda tanto i blitzkrieg del secondo conflitto mondiale quanto piuttosto le trincee del primo (si fa per dire), come già notato un migliaio di volte sin dagli esordi a marzo, nulla da aggiungere.
Il presidente di Russia a prescindere dal grado di difficoltà incontrato in questa metà di anno NON ha (e non lo farà) ordinato la mobilitazione generale : dopotutto la patria non è in pericolo….da una prospettiva globale del Cremlino si tratta di un’operazione ai suoi confini e tale operazione non può e non deve assorbire più di quanto lo stato russo non sia in grado di sostenere : i vertici e il loro leader non sono sprovveduti, pur nell’azzardo, e non impegnano più risorse (economiche e umane) di quanto lo stato non possa sopportare. Questo significa che la campagna, da parte russa, continuerà a proseguire con le risorse che gli sono state destinate dall’inizio sino ad oggi (con un preciso limite) : si va avanti nella misura in cui si può farlo entro il margine di quel limite di spesa, finchè non accade qualcosa.
Salvo pertanto capovolgimenti di fronte o altri casi eccezionali la campagna prosegue con le risorse previste per una “operazione” e non di più : il fatto è che pur soltanto con risorse limitate, bilanciate per la taglia di una operazione di confine/incursione (diciamo), si è riusciti ad occupare quasi 1/4 del paese (un paese di dimensioni maggiori alla Francia) (…).
Questo comporta che allo stato attuale ci si ritrovi in una situazione di vero “non ritorno” da parte di tutte le forze in gioco, ognuna delle quali ha commesso uno sbaglio nella valutazione. Vediamo come andando in ordine alfabetico :
A – Il punto di vista russo. Pleonastico : il Cremlino non può più ritirarsi in nessun caso (chi riesce a mettersi nei loro panni, lo comprende in pochissimo). Le forze russe in questi 6 mesi hanno incassato le loro perdite , unite allo stigma planetario che lo stato russo soffre a livello di immagine, sufficiente a ridefinire la demarcazione del globo in blocchi (l’occidente euroatlantico sanzionatorio da un lato e i paesi emergenti, meno intransigenti con la Russia, dall’altro). La Russia è talmente compromessa nell’azione in corso che anche le conseguenze materiali di una prosecuzione del conflitto -per quanto difficili – sono comunque preferibili rispetto a quelle che avrebbe una RESA ufficiale da parte di Mosca (si tratterebbe, arrivati a questo punto, di una sconfitta storica, che – aprirebbe le porte ad un declino rapido della leadership attuale e ,sul lungo termine, una ripresa del processo di disgregazione territoriale dello stato russo sostenuta da agenti esteri. Se la fine del XX secolo ha visto la disintegrazione dell’Unione Sovietica….la prima metà del XXI vedrebbe la fine della Federazione Russa. Seconda catastrofe in successione a distanza di una generazione).
Il Cremlino ha sbagliato nel valutare la testardaggine della leadership ucraina : una dirigenza moderata avrebbe (forse) acconsentito a scendere ad una qualche trattativa, ma una dirigenza nazionalista come quella attuale NO (si è sbagliato il calcolo nel valutare la misura – amplissima – del sostegno dato da Washington ai segmenti più nazionalisti della società e nell’aprirgli dunque la strada alle sfere della politica, sino al vertice, negli ultimi 20 anni. Ci si è sbagliati nel valutare l’effetto rassicurante dato dalle promesse di sostegno economico/militare garantito da Washington e Nato – poi in effetti prestato – a Kiev come ad altri stati di area est europea. Promesse in parte impossibili, ma che sortiscono l’effetto di alimentare la sicurezza dei governanti a Kiev nel proseguire una resistenza a oltranza).
B – il punto di vista ucraino è il più enigmatico, in quanto la situazione – nella prospettiva di Kiev – è la più aberrante : lo stato ucraino di per sé ha GIA’ cessato di esistere a rigor di logica (leggere bene quanto segue).
In primissimo luogo, anche se si dovesse arrivare ad una trattativa, ormai lo si farebbe dovendo rinunciare a tutti i territori conquistati col sangue dalla parte avversa (quasi ¼ dell’intero paese : come se la repubblica italiana rinunciasse a isole e mezzo sud della penisola) : soluzione non accettabile per l’ordine interno ucraino (qualsiasi stato, dopo una sconfitta che comporta la perdita di quasi ¼ della superficie nazionale, perde ogni vestigia di legittimità e credibilità agli occhi della propria società di riferimento, nelle cui istituzioni dovrebbe rispecchiarsi). In secondo luogo le perdite ucraine sono oramai pari a 70’000/80’000 elementi. In terzo luogo – ma alla pari col primo – in 6 mesi di conflitto KIEV ha accumulato un debito economico nei confronti dei suoi benefattori statunitensi che non è oggettivamente in grado di saldare (considerata l’economia ucraina è qualcosa di materialmente infattibile se non in un lasso di tempo sul mezzo secolo). Se ne ricava che la leadership ucraina ha commesso un errore con DUE conseguenze :
1) Anziché aprire le trattative da subito – dalle prime settimane – ha optato per una resistenza ad oltranza, facendo degenerare il confronto armato senza aver la reale possibilità per vincerlo (tramutando cioè quello che probabilmente doveva essere un’incursione a scopo deterrente – cioè per disarmare Kiev e basta – ad una lotta sanguinosa sul territorio : anziché accettare da subito un trattato col Cremlino, per quanto umiliante, ha preferito combattere una guerra di vecchio stile con conseguente perdita di intere regioni che non torneranno più al paese. La leadership ucraina è in un certo senso corresponsabile nell’aver trasformato l’”operazione speciale” di Putin in un conflitto che ricorda le campagne delle guerra mondiali nevecentesche……).
2) La resistenza ad oltranza descritta sopra, è possibile solo con ingentissimo aiuto estero (che non è un regalo) : il governo ucraino sta sostanzialmente portando avanti la sua resistenza grazie agli aiuti stanziati da Washington…….le somme che arrivano da oltreoceano sono inimmaginabili per il budget destinato alla difesa dal governo di Kiev. L’Ucraina è tenuta militarmente in vita artificialmente da questa macchina per l’ossigeno (…). Il debito cumulato è tale (unito ad altri debiti contratti sin dal 2014, dopo la perdita delle produttive regioni del Donbass) da rendere lo stato ucraino in tutto e per tutto dipendente dall’occidente atlantico, quale che sia l’esito. Anche se si dovesse prevalere in qualche modo (ipotesi assai remota), l’”Ucraina vincitrice” con l’aureola della vittoria sarebbe uno stato eterodiretto da Washington nella stessa misura in cui lo erano alcuni stati dell’Africa occidentale dalla Francia post-coloniale, non è esagerazione. Senza tale polmone, le forze armate ucraine capitolano per assenza oggettiva di mezzi in pochi mesi, quindi non possono privarsene nemmeno volendo.
Da queste considerazioni in alto si arriva alla conclusione che l’Ucraina – in qualità di stato indipendente – ha GIA’ cessato di esistere. L’Ucraina sul piano geopolitico NON esiste più già da adesso (tantomeno come i propri nazionalisti al potere la vorrebbero : proprio costoro nel disperato tentativo di difenderla da un aggressore….la vendono letteralmente ad un altro, senza accorgersene).
In nessun quadro ipotetico figura un’Ucraina che vince il conflitto (se anche fosse sarebbe una marionetta che esulta). Lo STATO FANTASMA del titolo di questo post è dedicato allo stato ucraino.
C – punto di vista atlantico/occidentale : hanno investito un’enormità in Ucraina…e se si ritirassero ora perderebbero tutto l’investimento fatto, senza un ritorno. Per rientrare dell’investimento si ha bisogno di un’Ucraina che VINCE e allora si continua il finanziamento nell’attesa non tanto di una vittoria sul campo (ipotesi remota), ma aspettando l’esaurimento materiale dell’opponente. Washington punta ad una vittoria per abbandono (cioè che la Russia, a corto di fiato, si ritiri da sola dal ring per spossatezza. Le guerre in effetti si vincono anche in questo modo).
In questa ultima previsione si colloca probabilmente l’errore atlantico/occidentale, che troppo semplicisticamente paragona il caso ucraino del 2022 a quello afgano del 1980. I decisori d’oltreoceano, distaccati dal vecchio continente non danno peso alla storia……..l’Ucraina per il Cremlino, non è l’Afghanistan. Non è solo una questione di potere o influenza internazionale….non è una guerra coloniale del XIX secolo. La questione ucraina – non veramente affrontata come si sarebbe dovuto, negli anni 90 – è parte dell’identità russa e slavo orientale stessa.
(CONTINUA)
6 MESI – ENIGMA NON MODERNO*
(bilanci)
Il modo in cui ho concluso la mia riflessione sui primi 6 mesi di conflitto, ci riporta alla premessa ASSOLUTA, già menzionata in passato, che non concerne il dato tecnico, ma quello psicologico e morale e che influenza la terminologia comunemente in uso : quello in corso da oramai sei mesi non è un confronto tra due stati (sebbene per il mero diritto internazionale sia descritta così, ovvero “de jure” e tale sia considerato ovunque nel mondo occidentale), bensì coincide maggiormente con la definizione di “GUERRA CIVILE”, se si considera il peso totale della storia di lungo corso (quella dei secoli) che riguarda le due entità coinvolte.
Russia ed Ucraina – sono (come ricordato innumerevoli volte), a tutti gli effetti parti complementari della medesima civilizzazione, segmenti autonomi, dello stesso continuum culturale……….autonomi sì, ma non al punto da poter essere completamente indipendenti l’un l’altro quanto lo sarebbero due stati nazionali del tutto estranei : lo sfumarsi poi del confine politico-amministrativo tra i due contendenti nel frangente attuale (linea di demarcazione al momento polverizzata, decomposta, possiamo dire) non fa che espandere la coltre di ambiguità che pervade il campo di battaglia. A giudicare dalla mappa delle operazioni correnti – unita all’ultimo proclama del presidente di Russia – le regioni sotto controllo di Mosca, punteggiate in rosso, verranno assorbite dalla Federazione…..il mainstream occidentale lo chiamerà “annessione” alla stregua del caso crimeano di 8 anni orsono, mentre dal Cremlino si parlerà di “riunificazione”, mentre riemergono carte dell’antica Novorossiya ekateriniana del XVIII° secolo, onde sottolinearne la quasi perfetta sovrapposizione geografica (…). Esiste anche la possibilità che le cose non si fermino qui del resto : l’errore iniziale della leadership di Kiev, in cui si indulge tuttora, oltre ad aver fatto perdere le regioni che si vedono, può potenzialmente fargliene perdere ALTRE. Il confronto prosegue lentamente, ma prosegue e sempre a vantaggio russo ed ogni metro preso di certo non sarà mai più restituito : se ad oggi Kiev ha perso quasi ¼ del paese, potrebbe arrivare anche a perderne 1/3 o addirittura l’intero 50% di questo passo…annullando a quel punto lo stesso senso dello stato ucraino in sé (mentre ai finanziatori d’oltreoceano non importa davvero nulla delle regioni ucraine perse o riprese, dato che dalla prospettiva di Washington altro non si tratta che di pedine sullo scacchiere – utili ad indebolire il più possibile l’opponente (Mosca) – prima di un’inevitabile capitolazione. Sì, perché da Washington non sta a cuore la salvezza di Kiev, ma solo sfiancare l’apparato industrial/militare di Mosca, per cui il vasto territorio ucraino è alla stregua di un corpo morto da sfruttare il più possibile contro il “nemico”).
Il paradosso che va delineandosi consiste quindi nel fatto che più il governo di Kiev si impunta per salvaguardare il proprio onore, più DANNEGGIA la medesima causa patriottica determinando un allungarsi del conflitto con conseguente perdita progressiva (e permanente) di altre provincie e regioni : in parole altre, la resistenza ad oltranza per difendere il concetto di Ucraina sul piano morale, determina una scomparsa graduale di quest’ultima sul piano MATERIALE (!). In questo, per l’appunto complici gli alleati occidentali, i “salvatori”, che nel finanziare una resistenza impossibile fino all’ultimo in nome dell’indipendenza ucraina, ne favoriscono all’opposto una maggiore disgregazione (cosa che tuttavia è secondaria, dalla prospettiva washingtoniana, già detto).
Ma poi, dopo tante parole, COSA è poi la sagoma che chiamiamo “Ucraina” ? Dove finisce e dove inizia ? Chi lo stabilisce in ultima istanza ? Ingiusto stabilirlo con le armi in mano diranno molti….e allora è più giusto che a stabilirlo sia l’opinione pubblica che segue gli avvenimenti dallo schermo Tv, senza cognizione alcuna ?
Dove si colloca la verità ? Questo non lo stabilisce né il sottoscritto né alcun altro, per fortuna. Più che altro, più che voler stabilire un’impossibile verità con una specifica sentenza – mi verrebbe, per l’ennesima volta, da sottolineare un problema di fondo, di natura assai più generale che concerne la moderna concezione di organizzazione del territorio.
Forse il nodo non dicibile del problema – cioè quanto molti non colgono – è “l’insufficienza dello stato nazionale, in quanto struttura, nel soddisfare i bisogni della società e della storia” (definizione coniata da me, assai ambigua lo riconosco, me ne assumo paternità e responsabilità) nel senso che il concetto di stato-nazione (pur alla base del diritto internazionale ed universalmente condiviso nel discorso sia scientifico che comune) si rivela inadeguato ad affrontare situazioni a casi come quello in questione.
Per spiegarsi meglio, lo “stato-nazione” in sè – entità che si vorrebbe lineare idealmente, dai confini definiti, dal carattere omogeneo – può essere anch’esso ricondotto, a suo modo, al canone razionalizzante/standardizzante del pensiero moderno, quando si stabilì in onore al metodo scientifico che ogni aspetto dello scibile umano doveva essere messo al proprio posto, classificato, sezionato, incasellato in sterminati sistemi linneiani (la politologia non ne fu immune). Tale sistema è disgraziatamente inadeguato a interpretare correttamente un processo di lunghissimo corso come quello che da vita alla SIMBIOSI russo-ucraina : quest’ultima è il risultato dell’evoluzione di un millennio, è a tutti gli effetti un equilibrio di origine pre-moderna che poco si presta alle molte semplicistiche riflessioni odierne (…). Nell’estrema essenza si può dire che buona parte delle riflessioni (soprattutto occidentali) sul tema non riescono a cogliere il cuore del problema per una ragione elementare : si cerca di risolvere un enigma ANTICO (premoderno) con strumenti e mentalità CONTEMPORANEI. Come voler comprendere a fondo la Commedia dantesca ragionando esclusivamente sul piano odierno, e senza immedesimarsi nella forma mentis di un uomo del XIV secolo.
In conclusione : il corso della situazione – la sua tempistica soprattutto – rimane imprevedibile, tuttavia in nessun caso potrà terminare come un Afganistan o come un Vietnam. Non è materialmente possibile (semmai tale visione riflette per la precisione i desideri della dirigenza statunitense e Nato, ossia che tale prova militare abbia sul Cremlino i medesimi effetti che ebbe l’Afganistan…adoperandosi adeguatamente per ottenere tale effetto).
Mi fermo qui, ma proseguirò su questa pista, c’è molto altro da dire e da analizzare (se qualcuno è interessato). Comparare dinamiche analoghe nella storia passata (1917 e dopo) o in altre aree (ex-Jugoslavia ad esempio)

 

Sulle implicazioni dello studio sull’invasione russa dell’Ucraina pubblicato dalla “Marine Corps Gazette”, di Roberto Buffagni

Sulle implicazioni dello studio sull’invasione russa dell’Ucraina pubblicato dalla “Marine Corps Gazette” di giugno e agosto 2022

 

Espongo con la massima brevità le principali implicazioni, a mio avviso di eccezionale rilievo, dello studio dedicato all’invasione russa dell’Ucraina pubblicato dalla “Marine Corps Gazette” nei numeri di giugno e agosto 2022. L’Autore è “Marinus”, un ufficiale superiore del Corpo dei Marines. La traduzione italiana integrale dello studio di “Marinus” è disponibile ai due link in calce[1].

Per intendere quanto sto per scrivere è dunque necessario aver letto con attenzione il testo di “Marinus” che mi accingo a commentare.

  1. Perché lo studio di Marinus è così importante? Perché è un eccellente studio del conflitto in Ucraina, radicalmente discordante dall’interpretazione ufficiale largamente diffusa in Occidente, ed è: a) scritto da un tecnico di elevata competenza b) scritto da Autore insospettabile di parzialità a favore dei russi c) pubblicato dalla rivista del Corpo dei Marines: indirizzato dunque anzitutto a un reparto militare che deve prepararsi ad affrontare i russi sul campo di battaglia, e al quale appartiene anche l’Autore. È autoevidente che per affrontare con successo un nemico sul campo di battaglia è indispensabile conoscerlo e valutarlo nel modo più accurato, realistico e veritiero possibile. Dunque lo studio di Marinus proviene da una fonte insieme competente, obiettiva e affidabile, che ha tutto l’interesse ad accertare la verità.
  2. Come valuta Marinus le capacità dell’esercito russo? Tutta l’analisi di Marinus delle capacità dell’esercito russo è improntata a una preoccupata ammirazione. Ammirazione per le capacità strategiche e operative, per la flessibilità e adattabilità delle manovre, per l’abile combinazione di tipi diversi di campagna (manovra e attrito), per l’intelligente adattamento della condotta delle operazioni ai fini politici e psicologici. Ammirazione preoccupata perché è possibile che il Corpo dei Marines debba, in futuro, incontrare sul campo un nemico formidabile. Se concordiamo con l’analisi di Marinus, tutti i (molti, diffusi) giudizi negativi e sprezzanti sull’esercito russo e sulla sua condotta delle operazioni in Ucraina sono erronei.
  3. Come interpreta Marinus le incursioni compiute dall’esercito russo verso Kiev e a Nordovest dell’Ucraina all’inizio delle ostilità, e il ripiegamento delle truppe russe verso Sudest di cinque settimane dopo? Come un “Grande Inganno che, pur avendo scarso effetto in termini di distruzioni dirette, ha reso possibile il successivo logoramento delle forze armate ucraine”. Se concordiamo con Marinus, le interpretazioni che attribuiscono ai russi l’intenzione di impadronirsi di Kiev e/o dell’intera Ucraina, e il successivo ripiegamento delle truppe russe al fallimento di questi obiettivi in seguito a una sconfitta sul campo, sono errate.
  4. Quali previsioni sull’andamento del conflitto si possono ricavare dall’analisi di Marinus? Marinus non fa previsioni sul futuro andamento del conflitto in Ucraina. Dal suo studio si possono ricavare, senza forzarne l’interpretazione, le seguenti valutazioni: a) il comando russo ha sin dall’inizio saldamente in pugno le operazioni militari, e le conduce nella direzione desiderata b) l’esercito russo ha una netta superiorità sull’esercito ucraino, nonostante gli aiuti e la direzione NATO: superiorità di comando, intelligenza strategica, abilità operativa, potenza di fuoco c) l’esercito russo ha inflitto e continua a infliggere gravissime perdite all’esercito ucraino, subendone relativamente molto poche. Se concordiamo con queste valutazioni di Marinus, la previsione più ragionevole è che l’esercito ucraino ha zero possibilità di rovesciare le sorti sul campo, e corre un serio rischio di essere annientato.
  5. Se l’analisi di Marinus è corretta, perché le direzioni politiche occidentali sostengono il contrario, ossia che l’esercito russo è di scarso valore e si trova in difficoltà, voleva impadronirsi di Kiev e ha fallito, l’Ucraina può vincere, non si deve trattare? È tutta propaganda? No, non è tutta propaganda. C’è anche quella, ovviamente, e tanta, ma la linea ufficiale occidentale dipende, a mio avviso, da un iniziale errore di interpretazione in buonafede. Mi spiego.
  6. A mio avviso, le direzioni militari e politiche occidentali hanno interpretato erroneamente quello che Marinus chiama il “Grande Inganno”, ossia le iniziali incursioni russe nel Nordovest dell’Ucraina, e il ripiegamento di cinque settimane dopo.
  7. Le incursioni russe nel Nordovest dell’Ucraina, all’inizio delle ostilità, sono state segnate da molteplici scontri. I russi non hanno conquistato nessuna città, e hanno subito diverse piccole sconfitte tattiche, subendo perdite significative, perché l’esercito ucraino – il più numeroso, addestrato, armato esercito NATO (de facto) europeo – era intatto e combattivo. Gli osservatori militari occidentali hanno interpretato le prime cinque settimane di guerra – un “Grande Inganno”, secondo Marinus – come una prova delle scarse capacità dell’esercito russo, del suo fallimento, delle sue “prestazioni drammaticamente inadeguate[2]; e ne hanno concluso che fosse possibile infliggergli una sconfitta decisiva.
  8. Un errore di interpretazione delle prime cinque settimane di ostilità è più che comprensibile e scusabile, proprio perché – secondo Marinus – esse consistevano in una grande manovra diversiva, volta a ingannare il nemico sui veri obiettivi militari e politici russi, situati nel teatro principale delle operazioni: il Donbass.
  9. Quel che non è comprensibile o scusabile è la decisione strategica che ne hanno immediatamente ricavato le direzioni politiche occidentali, anzitutto statunitensi: rilanciare la posta strategica fino al cielo, enunciare ufficialmente come obiettivo occidentale l’indebolimento della Russia fino al punto di espellerla dal novero delle grandi potenze, rovesciandone il governo e forse frammentandola[3]; e impegnare su questa strategia massimalista e azzardata il prestigio degli Stati Uniti d’America, così privandosi di ogni futuro spazio di manovra politica e diplomatica.
  10. Vi sono forti indizi che le cose siano andate così: ossia, che un errore di interpretazione dell’andamento delle operazioni militari abbia innescato un grave errore politico-strategico, molto difficile – quasi impossibile – da rimediare. Vediamoli.
  11. Nella prima fase dell’invasione (dal 24 febbraio al 7 aprile) si sono tenuti 7 incontri diplomatici tra Ucraina e Russia: 28 febbraio, 3 marzo, 7 marzo, 10 marzo, 14-17 marzo, 21 marzo, 29-30 marzo[4].
  12. Il 16 marzo, “il presidente ucraino Volodymyr Zelensky afferma che i colloqui di pace con la Russia stanno iniziando a ‘suonare più realistici, ma è ancora necessario tempo per raggiungere una svolta. … La Russia ha continuato a fare pressioni sull’Ucraina affinché rinunci formalmente a qualsiasi intenzione di aderire alla Nato e riconosca formalmente le province separatiste di Donetsk, Luhansk e Crimea. I colloqui dovrebbero continuare mercoledì. Come riportato in precedenza, Zelensky martedì sembrava ammettere che l’Ucraina non si sarebbe unita alla Nato. Il negoziatore ucraino Mykhailo Podolyak ha affermato che ci sono state ‘contraddizioni fondamentali’ durante i colloqui, ma ‘certamente spazio per un compromesso[5].
  13. Il 28 marzo, Zelensky “ha utilizzato un’intervista video con media russi indipendenti per segnalare la sua volontà di discutere l’idea che l’Ucraina adotti uno ‘status neutrale’ e anche scendere a compromessi sullo stato della regione orientale del Donbass, al fine di garantire un accordo di pace con la Russia.”[6]
  14. Il 29 marzo le truppe russe abbandonano le loro posizioni avanzate in prossimità di Kiev e ripiegano verso la Bielorussia[7].
  15. Il 9 aprile Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, fa una visita a sorpresa a Kiev, incontra il Presidente Zelensky e dichiara: “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo“.[8]
  16. Dal viaggio di Johnson a Kiev del 9 aprile in poi, cessa di fatto ogni dialogo diplomatico tra Ucraina e Russia.
  17. Le direzioni occidentali restano dunque disponibili a una trattativa con la Russia – certo, sperando di condurla da posizioni di forza grazie alle sanzioni economiche e all’invio di armi all’ Ucraina – fino alla fine di marzo, quando si conclude la prima fase dell’operazione militare speciale russa: il “Grande Inganno”, ossia la grande manovra diversiva su più direttrici verso il Nordovest del paese che, nell’interpretazione di Marinus, ha lo scopo di ritardare “il movimento delle forze ucraine nel teatro principale della guerra [il Donbass] fino a quando i russi non avessero schierato le unità di artiglieria, messo in sicurezza la rete di trasporto e accumulato le scorte di munizioni necessarie per condurre una lunga serie di massicci bombardamenti”.
  18. Invece le direzioni occidentali interpretano erroneamente il diversivo russo, lo fraintendono per un’operazione fallita che prova la debolezza militare russa, e dichiarano per bocca di Johnson che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo“; persuadono Zelensky a interrompere ogni trattativa credendo, e facendogli credere, di poter vincere la Russia sul campo; e il 24 aprile enunciano ufficialmente, con le dichiarazioni autorevoli del Segretario di Stato e del Ministro della Difesa statunitensi, i loro nuovi obiettivi strategici massimalisti: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina[9], impegnando su di essi il prestigio degli Stati Uniti e chiudendosi ogni spazio di manovra politica.
  19. Nota questa secca, radicale svolta strategico-politica degli USA anche John Mearsheimer, nel suo articolo su “Foreign Affairs” del 17 agosto: “Inizialmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno appoggiato l’Ucraina per impedire una vittoria russa e negoziare da posizione favorevole la fine dei combattimenti. Ma non appena l’esercito ucraino ha iniziato a martellare le forze russe, specialmente intorno a Kiev, l’amministrazione Biden ha cambiato rotta e si è impegnata ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia.[10]” (Mearsheimer coglie la svolta, ma riproduce senza metterla in dubbio l’interpretazione errata della manovra diversiva russa, perché si affida all’analisi ufficiale, che in agosto è ormai dominante in tutto l’ Occidente, accademia compresa).
  20. Una volta che l’interpretazione erronea del “Grande Inganno” russo si è cristallizzata in consenso ufficiale dell’Occidente, costituendo la fondazione conoscitiva della strategia politica statunitense, si verifica quel che sempre accade in questi casi: chi appartiene al circolo degli analisti e dei decisori ufficiali, militari e politici, riflette e pensa solo all’interno di questo perimetro conoscitivo e politico. Pensieri e analisi discordanti incontrano anzitutto una forte resistenza interiore, perché metterebbero a rischio la reputazione e lo status di chi li proponesse; ed eventuali analisi incompatibili elaborate all’esterno del circolo dell’ufficialità vengono attaccate, svalutate, o ignorate.
  21. L’analisi di Marinus, per esempio, elaborata all’esterno dell’ufficialità accademica e politica, benché ovviamente né Marinus né la “Marine Corps Gazette” siano dei marginali o dei sovversivi anti-occidentali, viene completamente ignorata. Ho fatto personalmente un test via Twitter con un Senior Researcher del NATO College, un italiano che pubblica analisi militari anche sulla nostra stampa, e a) ignorava l’esistenza dello studio di Marinus b) non legge abitualmente la “Marine Corps Gazette” c) dopo aver letto rapidamente lo studio di Marinus, non ha capito che smentisce in toto la lettura ufficiale, condivisa e rilanciata anche da lui. Ha commentato che è “un’analisi operativa”, il che è parzialmente vero ma sostanzialmente errato (è soprattutto un’analisi strategica e politica, e in questo risiede il suo principale valore).
  22. I classici dell’arte militare, tutti, insegnano che quando un Capo di Stato Maggiore o un comandante in capo si trova di fronte a un evento bellico importante e imprevisto, deve anzitutto astenersi da reazioni immediate: perché la “nebbia della guerra”, l’incalzare di una marea di informazioni incerte e contraddittorie, la pressione di emozioni travolgenti, impediscono l’analisi lucida dei fatti. Prima di decidere la risposta all’evento bellico imprevisto, è indispensabile calmarsi, riflettere, vagliare le informazioni, e sospendere il giudizio finché non si sia ragionevolmente certi che la propria analisi corrisponde in larga misura alla realtà dei fatti.
  23. I consiglieri militari delle direzioni politiche occidentali hanno frainteso il significato delle prime cinque settimane di operazioni russe in Ucraina, e non hanno capito che si trattava di una complessa manovra diversiva. Questo è normale, comprensibile e scusabile, anche perché si trattava, appunto, di un “Grande Inganno” volto a indurre in errore il nemico. Non è assolutamente normale, comprensibile e scusabile che le direzioni politiche occidentali non abbiano sospeso il giudizio finché non fossero ragionevolmente certe che l’analisi militare corrispondesse in larga misura alla realtà dei fatti; e che abbiano deciso in una settimana (29 marzo, ripiegamento russo dai dintorni di Kiev – 9 aprile, viaggio di Johnson a Kiev) una linea strategica massimalista e azzardata, che elimina ogni spazio di manovra politica, e mette l’intero Occidente in rotta di collisione con una grande potenza nucleare come la Russia, per la quale l’attuale strategia occidentale rappresenta una minaccia esistenziale.
  24. La strategia occidentale contro la Russia si fonda su due pilastri: 1) che avvalendosi dell’esercito ucraino – integrato da “volonterosi” d’ogni nazione occidentale, armato e diretto dalla NATO – sia possibile infliggere una sconfitta decisiva all’esercito russo, o quanto meno, logorarlo al punto da destabilizzare la Federazione russa, provocandovi un regime change favorevole all’Occidente 2) che mediante sanzioni economiche pesanti e durevoli sia possibile, quanto meno nel giro di due-tre anni, destabilizzare la Federazione russa provocandovi un regime change favorevole all’Occidente.  Lo studio di Marinus ci dice che il primo pilastro della strategia occidentale si fonda a sua volta su un grave errore. Che il secondo pilastro si fondi anch’esso su un grave errore ce lo sta dicendo la realtà dei fatti.
  25. Dove può condurci una strategia massimalista, azzardata, che si fonda su due pilastri che a loro volta si fondano su due gravi errori? Per capire i rischi che le direzioni occidentali ci fanno correre, è opportuno rileggere l’articolo di John Mearsheimer su “Foreign Affairs” del 17 agosto[11], “Giocare col fuoco in Ucraina/I rischi di una escalation catastrofica”, e meditare questo passaggio: “Washington e i suoi alleati sono troppo faciloni e arroganti. Sebbene sia possibile evitare un’escalation disastrosa, la capacità dei contendenti di gestire questo pericolo è tutt’altro che certa. Il rischio è sostanzialmente maggiore di quanto non ritenga il senso comune. E dato che le conseguenze di una escalation potrebbero includere una guerra di grandi proporzioni in Europa, e forse anche l’annientamento nucleare, ci sono buone ragioni per preoccuparsi seriamente.”

 

 

[1] http://italiaeilmondo.com/2022/08/29/linvasione-russa-dellucraina-parte-i-e-ii-di-marinus_a-cura-di-roberto-buffagni/

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-guerra_in_ucraina_la_posizione_di_un_ex_ufficiale_dei_marines_ribalta_la_versione_occidentale/45289_47195/

[2] Lloyd Austin, v. nota seguente.

[3]Anthony Blinken, Segretario di Stato, Lloyd Austin, Ministro della Difesa, 24 aprile 2022, in Polonia, alla frontiera con l’Ucraina: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto in cui non possa fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina” … Gli Stati Uniti sperano che la Russia sarà “indebolita” dalla guerra. … La Russia “Ha già perso molte capacità militari e molte delle sue truppe, francamente, e vogliamo fare in modo che non possa riprodurre molto rapidamente quella capacità” … “Lo stiamo vedendo quando si tratta degli obiettivi di guerra della Russia, la Russia sta fallendo, l’Ucraina sta avendo successo“. …l’esercito russo sta “fornendo una prestazione drammaticamente inadeguata“. “Stiamo vedendo che quando si tratta degli obiettivi di guerra della Russia, la Russia sta fallendo, l’Ucraina sta avendo successo“. Blinken ha affermato che l’obiettivo principale della Russia era “soggiogare totalmente l’Ucraina, toglierle la sua sovranità, toglierle la sua indipendenza“. [trad. mia]

https://www.washingtonpost.com/world/2022/04/25/russia-weakened-lloyd-austin-ukraine-visit/

 

[4] https://en.wikipedia.org/wiki/2022_Russia%E2%80%93Ukraine_peace_negotiations#:~:text=Peace%20negotiations%20between%20Russia%20and,Turkey%20prior%20to%20a%20fourth

[5] https://www.bbc.com/news/live/world-europe-60746557?ns_mchannel=social&ns_source=twitter&ns_campaign=bbc_live&ns_linkname=62312ce1ec502b53cd48252f%26Zelensky%3A%20Peace%20talks%20%27sound%20more%20realistic%27%262022-03-16T00%3A45%3A05%2B00%3A00&ns_fee=0&pinned_post_locator=urn:asset:386adada-afe1-4a88-9447-86882c7cb18d&pinned_post_asset_id=62312ce1ec502b53cd48252f&pinned_post_type=share

[6] https://www.theguardian.com/world/2022/mar/28/zelenskiy-hails-upcoming-ukraine-russia-peace-talks-amid-fallout-from-biden-comments-on-putin

[7] https://www.theguardian.com/world/live/2022/mar/29/russia-ukraine-war-latest-news-live-updates-putin-moscow-kremlin-zelenskiy-kyiv-russian-invasion?page=with%3Ablock-62431a178f08abb4071acbce

[8] https://www.theguardian.com/politics/2022/apr/09/boris-johnson-meets-volodymyr-zelenskiy-in-unannounced-visit-to-kyiv

[9] V. nota 3

[10]  John J. Mearsheimer, “Giocare con il fuoco in Ucraina”, “Foreign Affairs”, 17 agosto 2022, traduzione italiana disponibile qui:  http://italiaeilmondo.com/2022/08/18/12533/

 

[11] V. nota precedente

Un importante politico russo ha ragione: è ora di dare la priorità alla costruzione di istituzioni multipolari, Di Andrew Korybko

La costruzione di nuovi mondi in parte per vie parallele, in parte con punti di attrito. Almeno al momento. Giuseppe Germinario
Proprio come Roma non è stata costruita in un giorno, nemmeno lo sarà l’emergente Ordine Mondiale Multipolare; ora però è giunto il momento per tutti gli attori interessati di dare priorità ai compromessi pragmatici rispetto a qualsiasi differenza preesistente possano avere al fine di contribuire collettivamente a creare più istituzioni multipolari che alla fine ristabiliranno stabilità nelle relazioni internazionali e miglioreranno la vita delle persone.

Il vicepresidente del Consiglio della Federazione russa e presidente della sua commissione per gli affari esteri Konstantin Kosachev ha condiviso alcune informazioni cruciali sul processo politico con il prestigioso Valdai Club giovedì durante la partecipazione a una conferenza dedicata all’ultima fase del conflitto ucraino . TASS ha riportato il succo dei suoi commenti, che riguardavano in modo importante l’urgente necessità di dare priorità alla costruzione di istituzioni multipolari. Secondo Kosachev, i BRICS e la SCO possono costituire le basi organizzative per l’ emergente Ordine Mondiale Multipolare , che a sua volta può aiutare a contrastare l’influenza perniciosa di quelle istituzioni nominalmente neutrali che sono state dirottate dall’Occidente guidato dagli Stati Uniti dalla fine del Vecchio Freddo Guerra.

Questo importante politico ha suggerito che l’obiettivo dei pensatori moderni dovrebbe essere “creare istituzioni che forniscano la libertà di scelta a coloro il cui diritto è di fare questa scelta”. Dopotutto, il principale contrasto tra la visione del mondo multipolare e quella unipolare è che il primo rispetta la libertà di scelta di tutti gli attori internazionali legittimi di determinare autonomamente il proprio futuro, mentre il secondo è ossessionato dal costringerli a inchinarsi alle richieste dell’egemone unipolare americano in declino.La transizione sistemica globale al multipolarismo è irreversibile anche se continuerà ci vorrà del tempo per svolgersi completamente a causa della guerra ibrida del divide et impera degli Stati Uniti che si intromette nel sud del mondo.

Come ha sottolineato Kosachev, i BRICS e la SCO possono costituire le basi per questo ordine mondiale emergente, ma devono ancora essere costruite più istituzioni. È qui che si possono consigliare le opere visionarie del pensatore russo Yaroslav Lissovolik, che ha dedicato anni della sua vita a elaborare su come il primo menzionato possa essere ampliato attraverso BRICS+ e altre nuove costruzioni come BEAMS. I lettori intrepidi possono rivedere il suo archivio al Valdai Club qui , cosa che sono caldamente incoraggiati a fare. Per coloro il cui tempo è limitato, un riassunto eccessivamente semplificato dei suoi numerosi materiali è che riguardano l’emergere di reti multipolari basate sull’economia BRICS in tutto il Sud del mondo.

Qui sta la cosa più cruciale poiché le reti economiche hanno la possibilità di migliorare tangibilmente la vita di innumerevoli persone, il che a sua volta può ridurre le possibilità che vengano radicalizzate da narrazioni di guerra dell’informazione fabbricate artificialmente per farle funzionare come “utili idioti” contro i loro governi multipolari a per volere dell’egemone unipolare in declino. Il modus operandi degli Stati Uniti in questa fase della transizione sistemica globale è quello di mettere contro di loro il popolo dei suoi oppositori in modo che organizzino Rivoluzioni Colorate e alla fine ricorrano a Unconventional Warfare (terrorismo) nel caso in cui il primo fallisca. Questo stratagemma viene spinto perché la capacità militare americana è limitata.

Non può più lanciare invasioni convenzionali su larga scala di paesi stranieri, o meglio, può ancora farlo tecnicamente ma con enormi spese per se stesso in termini di costi e opportunità perse altrove. Per questo motivo, le guerre ibride guidate dalla guerra dell’informazione sono al giorno d’oggi il suo metodo di destabilizzazione preferito e si basano in modo sproporzionato sullo sfruttamento di lamentele legittime (o almeno sulla loro percezione) che il più delle volte sono collegate in una misura o nell’altra all’economia del pubblico di destinazione. condizioni. Ne consegue quindi naturalmente che il graduale miglioramento del loro tenore di vita può ridurre immensamente il pool di “utili idioti” che l’America mira a indurre in errore facendo diventare i suoi proxy della Guerra Ibrida.

Detto questo, ci sono anche “guerrieri ibridi” professionisti che tradiranno le loro terre d’origine per ragioni finanziarie, ideologiche o di altro tipo, ma non sono in grado di avere successo senza l’esercito di “utili idioti” che le reti multipolari economiche basate sui BRICS di Lissovolik in tutto il Sud del mondo mirano alla fine ad abbattere il miglioramento tangibile della vita dei cittadini di quei paesi. Naturalmente, il “diavolo è nei dettagli” per quanto riguarda la determinazione di come funzioneranno esattamente queste istituzioni proposte, nonché le specifiche delle condizioni commerciali e di investimento tra i loro membri, ma il punto principale è che il progresso è impossibile senza prima dare la priorità al costruzione di queste reti.

Tutto deve essere più equo, equo e giusto dello status quo per ridurre il numero di persone socialmente emarginate le cui situazioni l’America mira a sfruttare per i suoi fini divide et impera a somma zero. Il mancato impegno sincero a migliorare la vita di tutti è controproducente poiché scredita il governo in questione, i suoi partner e qualsiasi accordo economico stiano negoziando, il che può così dare una seconda vita alle operazioni di destabilizzazione degli Stati Uniti. Ecco perché è assolutamente fondamentale che queste reti multipolari emergenti tengano veramente conto degli interessi della popolazione e forniscano loro benefici tangibili, altrimenti rischiano di generare autentiche lamentele.

Tornando all’intuizione cruciale del processo decisionale di Kosachev, è davvero il caso che i BRICS e la SCO possano fungere da basi primarie su cui possono essere costruite altre istituzioni multipolari, il che porta alla rilevanza delle opere visionarie di Lissovolik rispetto all’espansione globale della prima. Proprio come Roma non è stata costruita in un giorno, né lo sarà l’emergente Ordine Mondiale Multipolare, ma ora è giunto il momento per tutti gli attori interessati di dare priorità ai compromessi pragmatici rispetto a qualsiasi differenza preesistente possano avere al fine di contribuire collettivamente a creare più istituzioni multipolari che alla fine ristabiliranno stabilità nelle relazioni internazionali e miglioreranno la vita delle persone.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3177

L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA Parte I e II, di Marinus_a cura di Roberto Buffagni

Presentazione

 

Questo è un saggio dedicato all’invasione russa dell’Ucraina, articolato in due parti, comparse sulla “Marine Corps Gazette”[1] nei numeri di giugno e di agosto 2022. È un’accurata, approfondita, eccellente analisi professionale dell’operazione militare speciale russa; in assoluto e di gran lunga la migliore che abbia trovato (e non ho cercato poco).

L’Autore è “Marinus”, un ufficiale superiore del Corpo dei Marines, abituale collaboratore del mensile; corre voce, non confermata, che si tratti del ten. gen. (a riposo) Paul Van Riper[2], forse in collaborazione con il figlio. La prima parte dell’analisi di “Marinus, consegnata dall’Autore alla redazione il 14 aprile 2022 e pubblicata nel numero di giugno, è dedicata allo studio del livello materiale della campagna militare russa.

La seconda parte dell’analisi, pubblicata in agosto, è invece dedicata ai livelli mentale e morale della campagna russa, e dunque anche al suo significato e ai suoi obiettivi politici.

Come illustra sinteticamente “Marinus” nell’incipit della prima parte, la distinzione in tre livelli della guerra – materiale, mentale e morale – si rifà all’elaborazione teorica del col. John Boyd, USAF[3],  il maggiore teorico contemporaneo occidentale dell’arte militare, e in particolare della guerra di manovra. Nella classificazione teorica di Boyd i fattori della guerra sono, in ordine d’importanza: uomini, idee e materiale.

L’elaborazione teorica di Boyd ha avuto grande rilievo nella riforma della dottrina del Corpo dei Marines, con la quale essi, negli anni Ottanta/Novanta, hanno adottato teoria e pratica della guerra di manovra. Nella sua elaborazione, Boyd riprende sia la lezione di Sun Tzu, da lui appresa nel corso della guerra del Vietnam, sia la lezione dei teorici e degli interpreti tedeschi della guerra, da Clausewitz a von Manstein.

Invito a leggere con calma e attenzione l’analisi di “Marinus”. Come il lettore potrà constatare, essa è affatto dissonante dalle analisi che hanno trovato consenso ufficiale nelle dirigenze militari e politiche statunitensi ed europee, e conduce a conclusioni completamente diverse in merito alle capacità strategiche e operative dell’esercito russo, agli obiettivi strategici russi, e alle prospettive future del conflitto in Ucraina.

L’eccezionale valore dell’analisi di “Marinus” dipende da tre fattori: a) elevata competenza tecnica dell’Autore b) fonte insospettabile di parzialità a favore dei russi c) destinatario principale dell’analisi, ossia il Corpo dei Marines degli Stati Uniti d’America, un reparto militare che sin d’ora deve prepararsi ad affrontare sul campo il nemico russo. È autoevidente che per affrontare con successo un nemico sul campo di battaglia, è indispensabile conoscerlo e valutarlo nel modo più accurato, realistico e veritiero possibile.

La prima parte del saggio di “Marinus”, intitolata L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA/Parte I: il livello materiale della campagna, è tradotta da me. La seconda parte, intitolata L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA/Parte II: i livelli mentale e morale, è tradotta da Carmen di “Voci dall’Estero”, che ringrazio sentitamente, e riveduta da me. Dove non altrimenti specificato, tutte le note in calce sono dell’Autore. Buona lettura.

Roberto Buffagni

L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA

Parte I: il livello materiale della campagna

Maneuverist Paper No. 21

di Marinus[4]

 

John R. Boyd, il principale teorico della guerra di manovra, ha spesso sostenuto che le guerre sono condotte su tre livelli. A livello materiale, le unità e le formazioni si muovono, occupano, attaccano e difendono per interdire, isolare, indebolire e distruggere le forze ostili. A livello mentale, i belligeranti impiegano varie combinazioni di strategia e stratagemmi per seminare confusione, difficoltà di interpretazione e dissonanza cognitiva nella mente dei loro nemici. A livello morale, gli attori si sforzano di convincere tutti gli interessati che sono più veritieri, umani, giusti e affidabili dei loro avversari. [5]

In ogni conflitto, gli osservatori scopriranno spesso che è più facile monitorare i movimenti delle colonne, l’entità degli schieramenti, e il danno causato dal fuoco, che osservare i cambiamenti in atto nelle menti e nei cuori. Così, anche quando gli effetti raggiunti nelle arene mentale e morale si dimostrano più potenti di quelli forgiati dai corpi e dall’acciaio, chi cerca di trovare il senso di uno specifico conflitto inizierà spesso da un esame dei fenomeni puramente materiali. Quindi, la prima parte di questo articolo tratterà gli aspetti concreti dell’invasione russa dell’Ucraina, e la seconda cercherà di individuare gli effetti di queste azioni ai livelli mentale e morale.

 

Attacchi missilistici

Nell’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022, la prima grande azione che ha luogo a livello materiale consiste in una serie di attacchi, effettuati da ben 300 missili guidati, contro installazioni fisse. Alcuni erano missili balistici a corto raggio, per lo più (se non esclusivamente) di un tipo (Iskander-M) introdotto nel 2005. Altri erano missili da crociera della famiglia Kalibr. (Mentre i missili balistici normalmente venivano lanciati da veicoli terrestri, i missili da crociera pare siano stati lanciati da una combinazione di navi in ​​mare e bombardieri in volo.)

Molti, se non la maggior parte, dei bersagli colpiti nella fase iniziale dei bombardamenti missilistici erano elementi, come piste e radar, a servizio dell’impiego dell’aviazione ucraina. Lo scopo di questi attacchi, tuttavia, non pare sia stato tanto quello di garantire il controllo russo dei cieli, ma piuttosto quello di privare gli ucraini di jet, elicotteri e droni, e quindi della capacità di ostacolare il movimento delle forze di terra russe. Infatti, sebbene alcuni missili russi abbiano distrutto elementi del sistema di difesa contraerea ucraino, la relativa assenza di aerei con equipaggio russi nei cieli dell’Ucraina, nei primi giorni dell’invasione, lascia pensare che alcune batterie missilistiche antiaeree ucraine siano sopravvissute all’assalto iniziale[6].

Nei giorni seguenti, gli attacchi missilistici continuarono, anche se a ritmi un po’ ridotti. Quasi tutti gli obiettivi colpiti, con livelli di precisione senza precedenti, erano soprattutto edifici adibiti esclusivamente a scopi o strutture militari, come quelli che si trovano negli aeroporti civili, che potrebbero facilmente essere convertiti ad uso militare. (La grande eccezione alla regola generale del carattere puramente militare degli obiettivi scelti dai russi per gli attacchi missilistici si è verificata il 1 marzo 2022, quando un missile teleguidato ha distrutto la principale torre di trasmissione televisiva nel centro della capitale ucraina di Kiev.[7])

 

Operazioni a nord-ovest di Kiev

Il secondo evento importante del primo giorno di guerra prese la forma di un attacco elitrasportato contro l’aeroporto Antonov, una struttura di collaudo per aeromobili situata a nord-ovest della periferia della capitale ucraina, Kiev. Reso possibile da un’eccezione alla regola generale della riluttanza russa di far levare in volo velivoli con equipaggio, questo colpo di mano ha portato all’ immediata cattura del campo d’aviazione; che a sua volta, ha reso possibile l’arrivo di rinforzi aviotrasportati. In poco tempo, tuttavia, il contrattacco di una brigata ucraina ha costretto i desantniki [paracadutisti, N.d.C.] a cercare rifugio in una foresta vicina. Lì hanno atteso l’arrivo delle forze meccanizzate russe, che, lasciate le loro aree di raggruppamento in Bielorussia ed entrate in Ucraina vicino al luogo dell’incidente nucleare di Chernobyl del 1986, dovevano giungere al campo d’aviazione nell’immediato futuro.

Le suddette forze meccanizzate, che si sarebbero collegate ai paracadutisti il ​​giorno successivo riconquistando l’Aeroporto Antonov, facevano parte di una lunga colonna, composta di ben 16 BTG (Battalion Tactical Group)[8], che coprivano i circa 125 chilometri di autostrada che collega la regione di Chernobyl alla periferia di Kiev. (Un BTG russo è composto da 142 veicoli, assumendo che viaggino a distanza di 20 metri uno dall’altro, ciascuna di queste formazioni, disposta in fila indiana, occupa 3,5 chilometri di spazio stradale. Tuttavia, poiché l’ultima metà del viaggio è stata effettuata su una superstrada a quattro corsie e l’ultimo quarto del viaggio utilizzando un’altra autostrada a due corsie, le colonne formate dai gruppi tattici di battaglione potrebbero essersi accorciate, verso la fine della marcia.)

Invece di spingersi ulteriormente nella periferia di Kiev, i russi che avevano combattuto all’aeroporto Antonov si attestarono su posizioni difensive. Il resto delle unità russe che era entrato in Ucraina vicino a Chernobyl si è spostato attraverso i circa 5.000 km. quadrati di territorio scarsamente popolato che costeggia la sponda occidentale del bacino idrico di Kiev. (Con una lunghezza di 80 chilometri, il bacino idrico di Kiev divide l’area a nord della capitale ucraina in due regioni molto diverse. Mentre la sponda occidentale è rurale, paludosa e scarsamente solcata da strade, la sponda est è sede di consistenti aree urbanizzate, boschi, e una rete di strade asfaltate, ferrovie e autostrade moderne.)

Il terreno paludoso e la scarsità di strade sulla sponda occidentale del bacino idrico di Kiev ha costretto le forze russe ivi schierate a dipendere da un’unica strada praticabile con qualsiasi tempo atmosferico, lunga 85 chilometri. Sapendolo, le forze di terra ucraine situate a nord-ovest di Kiev hanno fatto almeno due tentativi di tagliare la linea di rifornimento russa. Il maggiore di questi attacchi ha avuto luogo a Ivankiv, città con una popolazione, in tempo di pace, di circa 10.000 abitanti, sita nel punto di intersezione tra l’autostrada a doppia corsia che proviene da Chernobyl e la superstrada a quattro corsie per Kiev. Nessuna di queste imprese, tuttavia, è riuscita a realizzare altro che ingorghi di traffico. Così, entro la fine della prima settimana di guerra, i russi beneficiarono del pieno controllo della sponda occidentale del bacino idrico di Kyiv e, cosa ancor più importante, dell’unica linea di comunicazione terrestre che lo attraversa.

Il successo russo sulla sponda occidentale del bacino idrico di Kiev durante la prima settimana di guerra deve molto all’assenza di aerei militari ucraini. Più specificamente, le lunghe colonne di veicoli russi non avrebbero potuto spostarsi su strada, operando in modalità di ricognizione armata, se avessero dovuto fronteggiare a un gran numero di aerei da attacco al suolo ucraini, con o senza pilota. Pare che questo fatto si debba ricondurre a due cause. Primo, gli attacchi missilistici del primo giorno di guerra, proseguiti (anche se su scala leggermente inferiore) nei giorni successivi, hanno privato le unità dell’aviazione ucraina di gran parte della loro capacità di entrare in azione. Secondo, gli zenitchiki [i partecipanti all’operazione Z, N.d.C.] hanno mantenuto una difesa aerea multistrato, creando un ombrello sulla riva occidentale del bacino idrico di Kiev che ha reso difficile, per il piccolo numero di aerei ucraini che sono riusciti ad alzarsi in volo, raggiungere gli obiettivi prefissati.

Operazioni a est di Kiev

Strano a dirsi, la decina di BTG russi dispiegati a est del bacino idrico di Kiev ha seguito un approccio notevolmente diverso da quello impiegato dai loro omologhi sulla sponda occidentale. Nonostante la presenza di una rete stradale molto più congeniale al movimento operativo, e una linea ferroviaria che avrebbe potuto agevolare il supporto logistico, lo spiegamento russo sulla sponda orientale copriva un territorio molto meno esteso. Condotta su più direttrici, l’avanzata si fermò nei pressi di Chernihiv, una città di circa 300.000 abitanti situata a circa 55 chilometri a sud del confine tra Ucraina e Bielorussia.

Nei giorni seguenti, le forze russe a nord di Chernihiv estesero le proprie posizioni a est e ovest, trasformando quello che in un’epoca precedente si sarebbe chiamato “un esercito di osservazione” in un semicerchio di caposaldi. Diversi giorni dopo divenne chiaro lo scopo di questo posizionamento, sulle prime sconcertante, quando circa dodici BTG, appartenenti a un’altra armata russa, si trasferirono da est. Questa armata, che raggiunse rapidamente la periferia nord-orientale di Kiev, interruppe tutti i restanti collegamenti tra Chernihiv e la capitale.

L’armata russa che ha completato l’isolamento di Chernihiv era entrata in Ucraina da posizioni site a circa 200 chilometri a est di quella città. Ha quindi percorso una distanza molto maggiore, rispetto ai BTG entrati in territorio ucraino su entrambe le sponde del bacino di Kiev. Così facendo, elementi di questa armata circondarono e, dopo un breve scontro a fuoco, accettarono la resa di Konotop, la città più grande lungo il loro percorso. (I termini di capitolazione, concordati da un ufficiale russo e dal sindaco di Konotop, prevedevano che le truppe russe rimanessero all’esterno della città, che l’amministrazione civile restasse in carica, e che la bandiera della Repubblica Ucraina continuasse a sventolare sugli edifici pubblici.)[9]

L’armata che ha attraversato Konotop non ha fatto alcun tentativo di occupare la campagna adiacente le strade su cui viaggiava. Una delle più grandi sacche create da questa tattica, che misurava più di 72 chilometri da nord a sud e 120 chilometri da est a ovest, si trovava a sud di Chernihiv. (I russi hanno rifiutato di occupare il più grande centro urbano sito in questa sacca, la città di Nizhyn, anche se era sede sia di un campo d’aviazione militare che di una struttura per la riparazione di veicoli blindati.[10] )

A sud-est di Chernihiv altre quattro armate russe, ciascuna organizzata più o meno come le altre già descritte, varcarono la lunga frontiera che separa il cuore della Russia europea dal quarto nord-orientale dell’Ucraina.

La più settentrionale avanzò più lontano, seguendo un asse est-ovest che correva parallelo a quello dell’armata che aveva completato l’accerchiamento di Chernihiv. La più meridionale delle quattro armate, che pare fosse anche la più piccola, ha compiuto il progresso minore. Nessuno dei suoi 8 battaglioni tattici era avanzato di oltre 100 chilometri dal confine; alcuni fecero spostamenti ancor più modesti.

Ciascuna delle due armate schierate al centro delle forze che erano entrate in Ucraina dalla Russia centrale seguiva una direttrice di marcia bloccata da una vasta area urbana. Nel caso di Sumsy, si trattava di una città di mezzo milione di abitanti. Nel caso di Kharkiv, è la seconda città più popolosa dell’Ucraina, con il triplo degli abitanti di Sumy. In entrambi i casi, le armate russe sul campo non hanno fatto seri tentativi di prendere il controllo delle aree urbane. Piuttosto, dopo il fallimento delle delegazioni inviate per convincere le autorità locali ad arrendersi, i russi hanno posizionato dei controlli sulle strade che portano alle città, e hanno continuato la loro avanzata.

 

Operazioni nel Donbass

A sud-est di Kharkiv, la più meridionale delle quattro armate russe schierate nell’Ucraina nord-orientale ha collaborato direttamente con le forze della Repubblica Popolare di Luhansk, il più piccolo dei due proto-stati filo-russi formatisi nel 2014 nel Donbass, regione dell’Ucraina orientale. Mentre i miliziani della Repubblica popolare di Luhansk avanzavano lentamente e metodicamente in direzione di Severodonetsk, i BTG russi hanno creato una serie di sacche nell’area tra quella città e il confine russo. (La seconda città più grande dell’oblast di Luhansk, Severodonetsk, fungeva da temporanea capitale della parte dell’oblast rimasta fedele al governo dell’Ucraina[11].)

La milizia della Repubblica popolare di Donetsk somiglia, in molti aspetti, a quella della Repubblica popolare di Luhansk. Tutte e due le organizzazioni consistono di unità auto-reclutate, alcune intorno a specifiche ideologie, altre fortemente legate a specifiche località, e per la maggior parte condotte da comandanti carismatici[12].  Queste tendenze peculiari, già molto in evidenza nella fase di creazione di questi eserciti privati nel 2014, paiono essersi rafforzate nel corso dei sette anni in cui hanno combattuto contro organizzazioni comparabili al servizio dell’Ucraina. Come le milizie filo-russe, le milizie pro-ucraine hanno acquisito notevole esperienza in battaglie di fanteria ad alta intensità per il controllo di villaggi, città e quartieri urbani.

Mentre molti uomini erano esperti nelle arti del combattimento di fanteria leggera appiedata, soprattutto nei centri abitati, e hanno prestato servizio nei ranghi delle milizie dei proto-stati filorussi, le forze di fanteria appiedata dei BTG russi erano ridotte nel numero, e orientate a operare in stretta collaborazione con i blindati e i veicoli da combattimento. Allo stesso modo, mentre l’infrastruttura logistica a sostegno delle milizie proto-statali era stata costruita nel corso di sette anni di guerra di posizione, i convogli di camion di supporto ai BTG hanno dovuto fare i conti con una rete stradale limitata, sottoposta agli attacchi di droni e partigiani. Così, mentre gli obici semoventi e i lanciarazzi multipli di un BTG dovevano limitarsi a un piccolo numero di brevi missioni di fuoco, le batterie d’artiglieria improvvisate delle milizie spesso possedevano la capacità di condurre bombardamenti più estesi, sia nel tempo che nello spazio.

Le caratteristiche dei due tipi fondamentali di forze terrestri russe hanno condotto a una naturale divisione del lavoro, in cui le unità di milizia fissavano, mentre i BTG aggiravano sui fianchi il nemico. In numerosi paesi e città del Donbass, alcuni calderoni più piccoli creati da queste unità tattiche si sono rivelati molto più difficili da ridurre, rispetto agli accerchiamenti più vasti formati dal rapido passaggio dei BTG russi attraverso le zone rurali.

Al contempo, i comandanti delle milizie non-statali solo raramente erano in condizione di aggirare queste sacche, specie quando contenevano analoghe forze avversarie. (Questo fenomeno si è potuto vedere non solo nell’epica lotta per il controllo della città di Mariupol, ma anche nella più breve, più piccola, ma non meno feroce lotta per altre città come Volnovakha.)

Le tre settimane di combattimenti per il possesso di Izium, una città di circa 60.000 abitanti a circa 120 chilometri a sud-est di Kharkiv, forniscono un’interessante eccezione alla politica russa di aggiramento dei centri abitati. Durante la seconda settimana della campagna, le forze russe sono entrate nella parte settentrionale della città. Quasi contemporaneamente, le forze ucraine sono entrate a Izium da sud. Dopo un breve scontro diretto, inizia la guerra di posizione, con i russi che tengono la sponda nord del fiume che scorre al centro della città e gli ucraini che ne difendono la riva sud, che funge da barriera. Questa situazione di stallo si è conclusa l’ultima settimana di marzo, quando una task force russa si è spostata in campo aperto, a sud dell’area edificata. Complicata dalla necessità di montare il pontone sotto il fuoco nemico, questa manovra non è riuscita a isolare completamente i difensori della parte meridionale di Izium. Tuttavia, è riuscita a convincere il comando ucraino a ritirare le forze dalla città.

La decisione russa di occupare Izium, anziché limitarsi ad aggirarla, sembra derivare dal desiderio di usare la città come punto di partenza per una delle due ali della manovra operativa in assoluto più importante di tutta l’invasione dell’Ucraina, l’accerchiamento delle numerose formazioni ucraine che combattono nel Donbass. In particolare, il possesso di Izium ha dato ai russi la possibilità di usare senza problemi le cinque autostrade che si incontrano nella città, una linea ferroviaria che corre fino a Kharkiv (e, da lì, fino a Mosca), e una zona adatta alla creazione di un’ampia base logistica. (Izium è situata sul lato ovest del bacino idrico di Oskil, che la protegge, assieme a diverse centinaia di miglia quadrate dei suoi dintorni, da attacchi via terra provenienti da est.)

Operazioni lungo il Mar d’Azov

Nell’angolo sud-ovest del Donbass il conflitto è iniziato con un attacco in direzione di Mariupol, eseguito in gran parte dalle milizie basate nel territorio controllato dalla Repubblica popolare di Donetsk. Mariupol, il più grande porto ucraino sul mare d’Azov, ospitava quasi mezzo milione di abitanti, nove decimi dei quali parlavano russo come prima lingua.

Tuttavia, nella grande crisi del 2014, la città era riuscita ad evitare l’incorporazione nel proto-stato filo-russo formatosi nel territorio dell’oblast di Donetsk. Divenne così un simbolo della resistenza ucraina alla Russia, oltre che la dimora di eserciti privati, come il famigerato Battaglione Azov, alleato al governo di Kiev.

Il primo attacco a Mariupol e i molti altri attacchi che si sono susseguiti nel corso delle prime otto settimane di guerra, hanno assunto la forma di metodici tentativi di conquistare specifici pezzi di territorio. Si sono quindi rivelati più costosi per i combattenti coinvolti, più distruttivi delle infrastrutture urbane, e più pericolosi per i civili rispetto alle operazioni condotte altrove dai BTG. Necessitando di grandi quantità di munizioni, questi attacchi hanno anche imposto maggiori carichi al sistema di approvvigionamento russo.

Il 27 febbraio 2022, le forze russe che attaccavano dalla Crimea hanno preso il controllo di Berdiansk, il secondo maggiore porto ucraino sul Mar d’Azov[13]. Rimaste intatte le strutture portuali catturate, i russi hanno trasformato rapidamente Berdiansk in una base di rifornimento per i numerosi BTG che si stavano muovendo attraverso l’oblast sito appena a ovest di Mariupol, quello di Zaporizhzhia. (Mentre alcune di queste formazioni si stavano spostando a est, per collegarsi con le forze filo-russe nelle vicinanze di Mariupol, altre si stavano spostando verso nord, verso la riva sud del più grande tra i molti fiumi dell’Ucraina, il Dnipro.)

A Zaporizhzhia, tutte le formazioni dell’esercito russo partite dalla Crimea erano entrate in Ucraina attraverso tre corridoi. Il più ampio, che ospitava sia il traffico stradale che quello ferroviario, era situato in capo all’unico istmo di collegamento tra la penisola di Crimea e la terraferma ucraina. Il secondo era costituito da un’unica autostrada a due corsie interrotta da uno stretto braccio di mare. Il terzo corridoio, il più stretto di tutti, consisteva in una strada di campagna a servizio dei tanti piccoli villaggi turistici situati su una striscia di sabbia che corre lungo tutti i 112 chilometri della costa nord-orientale della Crimea. (Raggiungere la terraferma ucraina per mezzo di questi ultimi due corridoi richiede l’attraversamento di ponti. Uno di questi ponti, che attraversa il braccio di mare summenzionato, segna il confine tra Crimea e Ucraina. L’altro, che attraversa un fiume all’estremità nord della striscia di sabbia, giace per intero all’interno del territorio ucraino.)

La facilità con cui sarebbe stato possibile bloccare questi corridoi suggerisce che i russi abbiano tentato di ottenere il controllo di punti di strozzatura sin dal primo giorno di guerra. In due casi questi tentativi sembrano aver avuto successo; niente sembra aver ostacolato la corsa dei BTG attraverso l’istmo o lo stretto. Tuttavia, l’azione dei Marines russi che sono sbarcati nel villaggio di Azovske, appena a nord del capolinea della terza rotta, si è rivelata incapace di impedire che i genieri ucraini facessero saltare in aria il ponte che collegava la striscia di sabbia alla terraferma.

La storia deve ancora determinare se la fanteria di marina russa sbarcata ad Azovske avesse ricevuto il compito di mettere in sicurezza il ponte[14]. Infatti, non sappiamo ancora se i russi abbiano fatto uso di un percorso che fin da subito si presentava vulnerabile alle interruzioni e poco adatto al traffico intenso.

Quel che è certo, però, è che i Marines russi, a bordo di mezzi corazzati per il trasporto truppe, hanno speso molto poco tempo in spiaggia. Invece, si sono diretti verso la città di Melitopol, a circa 84 chilometri nell’entroterra dal loro sito di sbarco[15].

 

Operazioni a Kherson e Mykolaiv

Non tutte le formazioni russe che erano entrate in Ucraina dalla Crimea si sono trasferite a Zaporizhzhia. Forze significative si sono dirette a nord-ovest, verso le due località dell’oblast di Kherson, dove le autostrade attraversano il il Dnipro. Prima della fine del primo giorno dell’operazione, una di queste colonne aveva catturato il più orientale di questi incroci, che corre lungo la sommità della diga di Nova Khakovka. Al contempo, un’altra colonna catturò ma non riuscì a tenere il ponte di Antonivka, un sobborgo industriale della città di Kherson.

Nei giorni seguenti, mentre ad Antonivka le forze russe erano impegnate in una battaglia con alterne sorti per il controllo del ponte, diversi BTG hanno attraversato il Dnipro a Nova Khakovka e circondato la città di Kherson.

Mentre alcune delle formazioni russe che avevano attraversato il Dnipro hanno bloccato le vie in uscita da Kherson, altre si sono spinti a ovest. Quando Kherson si arrese (1 marzo 2022), queste ultime forze avevano raggiunto la periferia di Mykolaiv, in Ucraina, il secondo maggior porto del Mar Nero. Nonostante l’importanza di quella città per la Marina ucraina, le formazioni russe operanti nelle vicinanze di Mykolaiv non fecero alcun tentativo di prenderla[16]. Piuttosto, hanno preso il controllo delle strade che portano in città, inviato BTG in operazioni di ricognizione in forze, e lasciato il compito di distruggere le molte strutture militari e navali della zona ai missili guidati e agli aerei[17].

Attacchi alla logistica ucraina

Nel corso del mese di marzo, la campagna russa di attacchi missilistici contro obiettivi statici ha spostato la sua attenzione dalle strutture di servizio alla forza aerea ucraina agli impianti, come depositi di carburanti, munizioni, magazzini e officine, a sostegno delle forze di terra. Nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2022, ad esempio, missili da crociera Kalibr, lanciati da navi russe nel Mar Nero, hanno colpito la fabbrica di riparazione veicoli pesanti a Nizhyn, circa 64 chilometri a sud-est di Chernihiv. (Il comunicato stampa russo che descrive questo attacco ha caratterizzato la fabbrica come luogo in cui venivano riparati i veicoli corazzati ucraini danneggiati in combattimento.) Quella stessa notte, missili ipersonici hanno colpito un centro di stoccaggio e distribuzione di carburante nella città di Kostayantynivka, circa 65 km. a nord-ovest di Mykolaiv.

Il cambiamento di enfasi della campagna di lancio dei missili guidati ha coinciso con un notevole aumento del numero di missioni di attacco al suolo ad opera di aerei militari russi. Mentre un una piccola parte di questi attacchi ha colpito lo stesso tipo di obiettivi dei missili, la maggior parte delle sortite di attacco al suolo sembrano essere state dirette verso concentrazioni di punti di forza, e aree di equipaggiamento militare[18]. (Sorprendentemente, non ci sono segnalazioni di aerei russi operanti in modalità di ricognizione armata. Resta da vedere se ciò deriva da un cambiamento della prassi operativa russa o semplicemente dalla scarsità di movimenti delle forze di terra ucraine lungo le strade principali).

Ridispiegamento

Durante i primi tre giorni di aprile 2022, tutte le forze di terra russe operanti su entrambi i lati del bacino idrico di Kiev, così come quelle posizionate nell’angolo nord-est dell’Ucraina, sono tornate nelle loro aree di raggruppamento, in Bielorussia e in Russia. Come risultato di questo grande spostamento, tra il 60 e 65% delle forze di terra russe in Ucraina è diventata disponibile per il ridispiegamento. In altri termini, il ritiro di una porzione molto significativa della forza d’invasione russa ha reso possibile il raggruppamento di una potente riserva operativa.

Durante la seconda settimana di aprile, alcune delle formazioni russe che erano state ritirate dall’Ucraina settentrionale, e un certo numero di formazioni fresche, sono giunte nelle vicinanze di Izium. Lì hanno preso parte a un’avanzata verso Severodonetsk che, se completata, creerebbe una sacca a nord del territorio controllato dalla milizia del popolo della Repubblica di Luhansk.

Nota dell’Autore: questo articolo è stato consegnato alla redazione il 14 aprile 2022. È stato quindi scritto ignorando tutti gli eventi che si sono verificati dopo questa data.

 

Appendice

Gruppo tattico di battaglione (BTG)

L’elemento fondamentale delle forze di terra russe che hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022 è il ” gruppo tattico di battaglione” [batal’onnaya takticheskaya gruppa]. Come suggerisce il nome, queste formazioni ad armamenti combinati sono spesso utilizzato per scopi tattici. Tuttavia, ci sono state occasioni durante i primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022, in cui ai BTG furono affidate missioni di diretto rilievo operativo. Queste includevano la conquista di ponti e il “combattere per l’intelligence” [razvedka boyem]. Quest’ultima azione, che si può tradurre anche come “ricognizione in combattimento”, prevedeva la effettuazione di attacchi su scala relativamente piccola per individuare lacune sfruttabili nelle difese ucraine. Ha quindi molto in comune con la classica tecnica della guerra di manovra della “incursione di ricognizione”.

In termini organizzativi, la composizione dei BTG ha molto in comune con la composizione dei battaglioni impiegati dall’Esercito USA e dal Corpo dei Marines negli ultimi ottant’anni.

Come nel battaglione americano, nel battaglione russo i gruppi tattici sono costituiti da un battaglione di fanteria rinforzato da unità più piccole di altre armi.

I BTG, tuttavia, tendono ad avere molti più pezzi di artiglieria dei loro analoghi americani.

Dove il normale battaglione americano è stato a lungo dotato di una sola batteria armata con il pezzo da campo standard di supporto diretto, l’artiglieria di un tipico BTG russo è composta da una batteria di obici semoventi da 152 mm, una batteria di lanciarazzi multipli montati su camion e una batteria di lanciamissili antiaerei a corto raggio.[19]

 

L’invasione russa dell’Ucraina

Parte II: I livelli mentale e morale[20]

Maneuverist Papers n. 22

 

di Marinus

 

Considerate come fenomeni puramente materiali, le operazioni condotte dalle forze di terra russe in Ucraina nel 2022 presentano un quadro sconcertante. Nel nord dell’Ucraina, i BTG russi hanno invaso gran parte del territorio, ma non hanno tentato di trasformare l’occupazione temporanea in possesso permanente. Infatti, dopo aver trascorso cinque settimane in quella regione, se ne sono andati, rapidamente come erano arrivati. Nel sud, l’ingresso altrettanto rapido delle forze di terra russe ha portato alla creazione di presidi russi e all’insediamento di istituzioni politiche, economiche e culturali russe. Nel terzo teatro della guerra, raramente si sono verificati movimenti rapidi del tipo che ha caratterizzato le operazioni russe sui fronti settentrionale e meridionale. Piuttosto, le formazioni russe nell’Ucraina orientale hanno condotto attacchi di artiglieria ad alta intensità per catturare aree relativamente ridotte.

Un modo per fare un po’ di luce su questo enigma è considerare le operazioni russe su ciascuno dei tre principali fronti della guerra come campagne distinte. Un ulteriore chiarimento deriva dalla consapevolezza che ciascuna di queste campagne seguiva un modello che fa parte del repertorio operativo russo da molto tempo. Questo schema, tuttavia, non riesce a spiegare perché il comando russo abbia applicato modelli distinti a ogni specifica serie di operazioni. Per rispondere a questa domanda, è necessario esaminare gli obiettivi mentali e morali perseguiti da ciascuna di queste tre campagne.

 

I raid al nord

I marines americani hanno usato a lungo il termine “raid” per descrivere un’impresa in cui una piccola forza si sposta rapidamente in un luogo specifico, completa una missione circoscritta, e si ritira il più rapidamente possibile[21]. Per i soldati russi, tuttavia, il cugino linguistico di quella parola (reyd) ha un significato un po’ diverso. Mentre lo spostamento effettuato dalla forza che conduce un raid non è altro che un mezzo per raggiungere specifici punti della mappa, il movimento delle forze, spesso più grandi, che conducono un reyd, produce effetti significativi sul piano operativo. Ossia: mentre si spostano lungo varie strade principali e secondarie, le forze che effettuano un reyd confondono i comandanti nemici, interrompono la logistica nemica e privano i governi nemici della legittimità che deriva dal controllo incontestato del proprio territorio. Allo stesso modo, mentre ogni fase di un odierno raid americano segue obbligatoriamente un copione dettagliato, un reyd è un’impresa più aperta, che può essere adattata per sfruttare nuove opportunità, evitare nuovi pericoli o raggiungere nuovi obiettivi.

Il termine reyd è stato introdotto nel lessico militare russo alla fine del XIX secolo, da teorici che avevano notato le somiglianze tra le operazioni indipendenti della cavalleria nella guerra civile americana e la già consolidata pratica russa di inviare colonne mobili, spesso composte da cosacchi, in lunghe incursioni attraverso il territorio nemico.[22] Un primo esempio di queste incursioni è fornito dalle gesta della colonna comandata da Alexander Chernyshev durante le guerre napoleoniche. Nel settembre del 1813, questa forza di circa 2.300 cavalleggeri e due cannoni da campo leggeri fece un giro di 650 chilometri attraverso il territorio nemico. A metà di questa ardita impresa, la colonna occupò, per due giorni, la città di Kassel, allora capitale di uno degli stati satelliti dell’Impero francese. Il timore che un’impresa così imbarazzante potesse ripetersi convinse Napoleone ad assegnare due corpi d’armata al presidio di Dresda, allora sede del governo di un’altra delle sue colonie.[23] Di conseguenza, quando Napoleone incontrò le forze congiunte dei suoi nemici nella battaglia di Lipsia, la sua Grande Armée, già in inferiorità numerica, era molto più ridotta di quanto sarebbe stato altrimenti.

Nel 2022, i numerosi BTG russi che si sono addentrati in profondità nell’Ucraina settentrionale durante i primi giorni dell’invasione russa non hanno tentato di ripetere l’occupazione di Lipsia. Piuttosto, nel loro percorso evitavano tutte le città più grandi e, nelle rare occasioni in cui si trovavano in una città più piccola, l’occupazione raramente durava più di poche ore. Tuttavia, le colonne russe in rapido movimento hanno creato, su scala molto più ampia, un effetto simile a quello che risultò dall’incursione di Chernyshev del 1813. Ossia, persuasero gli ucraini a indebolire il grosso del loro esercito, che combatteva allora nella regione del Donbass, per rafforzare le difese di città lontane.

 

Occupazione rapida al sud

In termini di velocità e distanze percorse, le operazioni russe nell’area tra la costa meridionale dell’Ucraina e il fiume Dnepr assomigliano alle incursioni effettuate nel nord. Differiscono, tuttavia, nella gestione delle città. Mentre le colonne russe dispiegate su entrambi i versanti di Kiev evitavano le grandi aree urbane ogni volta che potevano, gli omologhi reparti nel sud hanno preso possesso permanente di grandi città. In alcuni casi, come nella ship-to-objective maneuver (STOM) iniziata nel Mar d’Azov e terminata a Melitopol, la conquista della città è avvenuta durante i primi giorni dell’invasione russa. In altri, come nella città di Skadovsk, i russi hanno aspettato diverse settimane prima di occupare alcune aree e affrontare le forze di difesa locali, che durante l’avanzata iniziale avevano ignorato.

Nei tempi immediatamente successivi al loro arrivo, gli ufficiali russi che hanno preso il comando delle aree urbane del sud hanno seguito la stessa politica dei loro colleghi al nord. Cioè, hanno permesso ai rappresentanti locali dello stato ucraino di svolgere le loro funzioni e, in molti casi, di continuare a sventolare la bandiera del loro paese sugli edifici pubblici[24]. Non è passato molto tempo, tuttavia, prima che i funzionari russi prendessero il controllo del governo locale, sostituissero le bandiere sugli edifici e avviassero la sostituzione delle istituzioni ucraine, che si trattasse di banche o compagnie di telefonia cellulare, con quelle russe[25].

Come il modello del reyd, il paradigma di campagne in cui una rapida occupazione militare si accompagna ad una profonda trasformazione politica faceva parte della cultura militare russa da molto tempo. Pertanto, quando hanno dovuto spiegare il concetto delle operazioni sul fronte meridionale, i comandanti russi hanno potuto portare ad esempio una qualsiasi delle numerose, analoghe imprese effettuate dallo Stato sovietico nei quattro decenni successivi all’occupazione sovietica della Polonia orientale nel 1939. (Compresa la conquista di Estonia, Lettonia e Lituania nel 1940, la soppressione dei governi riformisti in Ungheria e Cecoslovacchia durante la Guerra Fredda, e l’invasione dell’Afghanistan nel 1979.)[26]

Nel sud, mentre alcune formazioni russe consolidavano il controllo sul territorio conquistato, altre effettuavano incursioni nelle vicinanze della città di Mykolaiv. Come le analoghe, più grandi incursioni sul fronte settentrionale, queste manovre hanno spinto il comando ucraino a dedicare alla difesa delle città forze che altrimenti avrebbero potuto essere impiegate nei combattimenti per la regione del Donbass. (In questo caso, le città in questione includevano i porti di Mykolaiv e Odessa.) Al contempo, le incursioni nella parte più a nord del fronte meridionale hanno creato un’ampia “terra di nessuno” tra le aree occupate dalle forze russe e quelle interamente sotto il controllo del governo ucraino.

Stalingrado nell’est

Le operazioni russe nel nord e nel sud dell’Ucraina hanno utilizzato pochissimo l’artiglieria da campo, in parte per una questione di logistica. (Sia che facessero incursioni a nord o rapide occupazioni a sud, le colonne russe non avevano i mezzi per trasportare un’ingente quantità di proiettili e razzi.) In quelle campagne, tuttavia, l’assenza di impiego dell’artiglieria risponde alla logica dei fini, piuttosto che dei mezzi. Nel nord, la riluttanza russa a bombardare scaturiva dal desiderio di non inimicarsi la popolazione locale, che quasi tutta, per motivi linguistici ed etnici, tendeva a sostenere lo Stato ucraino. Nel sud, la politica russa di evitare l’uso dell’artiglieria da campo serviva allo stesso scopo politico: preservare vite e proprietà di comunità, in cui molte persone si identificavano come “russe” e molte altre parlavano il russo come lingua madre.

Ad est, invece, i russi hanno effettuato bombardamenti che, sia per durata che per intensità, possono rivaleggiare con le grandi operazioni di artiglieria delle guerre mondiali novecentesche. Resi possibili da linee di rifornimento brevi, sicure e straordinariamente ridondanti, questi bombardamenti servivano a tre scopi. In primo luogo, confinavano le truppe ucraine nelle loro fortificazioni, privandole della capacità di fare altro che rimanere sul posto. In secondo luogo, hanno inflitto un gran numero di perdite, sia a livello propriamente fisico che per gli effetti psicologici della reclusione, dell’impotenza e della prossimità ad un gran numero di esplosioni che fanno tremare la terra. Terzo, quando effettuato per un periodo di tempo sufficiente, spesso misurabile in settimane, il bombardamento di una fortificazione portava invariabilmente o alla ritirata dei difensori, o alla resa.

Possiamo farci un’idea della portata dei bombardamenti russi nell’est dell’Ucraina confrontando la contesa per la città di Popasna (18 marzo – 7 maggio 2022) con la battaglia di Iwo Jima (19 febbraio – 26 marzo 1945). A Iwo Jima, i marines americani combatterono per cinque settimane per annientare i difensori di otto miglia quadrate di terreno abilmente fortificato. A Popasna, gli artiglieri russi hanno bombardato i sistemi di trincee costruiti nei crinali e nelle gole di un’area simile per otto settimane, prima che il comando ucraino decidesse di ritirare le sue forze dalla città.

La cattura di intere aree da parte dell’artiglieria, a sua volta, ha contribuito alla creazione degli accerchiamenti che i russi chiamano “calderoni” (kotly). Come molto della teoria militare russa, questo concetto si basa su un’idea presa in prestito dalla tradizione tedesca della guerra di manovra: il “calderone di battaglia” (Schlachtkessel). Tuttavia, mentre i tedeschi cercavano di creare e sfruttare i loro calderoni il più rapidamente possibile, i calderoni russi possono essere o rapidi e sorprendenti, o lenti e apparentemente ineluttabili. In effetti, le offensive sovietiche coronate da successo della Seconda Guerra Mondiale, come quella che portò alla distruzione della Sesta Armata tedesca a Stalingrado, fecero ampio uso di calderoni di entrambi i tipi.

La libertà dall’urgenza di creare calderoni il più rapidamente possibile ha sollevato i russi che combattevano nell’Ucraina orientale dall’obbligo di tenere specifiche porzioni di territorio. Pertanto, di fronte a un attacco ucraino ben determinato, i russi spesso ritiravano i loro carri armati e le loro unità di fanteria dal terreno conteso. In questo modo, da un canto riducevano il pericolo per le proprie truppe, dall’altro creavano situazioni, per quanto brevi, in cui gli attaccanti ucraini dovevano affrontare proiettili e razzi russi allo scoperto, senza la protezione di un riparo. Altrimenti detto, i russi considerano questi “bombardamenti a ripetizione” non soltanto come un impiego accettabile dell’artiglieria, ma anche come un’opportunità per infliggere ulteriori perdite, impegnandosi in un “consumo vistoso”[27] del munizionamento d’artiglieria.

Nella primavera del 1917 le forze tedesche sul fronte occidentale usarono tattiche simili per creare situazioni in cui le truppe francesi che avanzavano lungo i pendii posteriori dei crinali conquistati di recente venivano colte allo scoperto dal fuoco dell’artiglieria da campo e delle mitragliatrici. L’effetto di questa esperienza sul morale francese fu tale, che i fanti di cinquanta divisioni francesi reagirono con atti di “indisciplina collettiva”, il cui motto era “terremo le posizioni, ma ci rifiutiamo di attaccare”[28]. (Nel maggio del 2022 sono apparsi su Internet diversi video in cui persone che affermavano di essere soldati ucraini che combattevano nella regione del Donbass spiegavano che, pur essendo disposti a difendere le loro posizioni, avevano deciso di disobbedire a qualsiasi ordine che richiedesse loro di avanzare.)

 

Risolvere il paradosso

Nei primi giorni del dibattito sulla guerra di manovra, i maneuverist spesso presentavano la loro filosofia preferita come l’opposto logico della “guerra d’attrito/potenza di fuoco”. Ancora nel 2013, gli anonimi autori delle “Attritionist Letters” usavano questo schema dicotomico per strutturare la loro critica alle pratiche discordanti dallo spirito della guerra di manovra. Nelle campagne russe in Ucraina, tuttavia, una serie di operazioni composte anzitutto di movimento si integra a un’altra costituita principalmente da cannoneggiamenti.

Un modo per risolvere questo apparente paradosso è caratterizzare i raid delle prime cinque settimane di guerra come un Grande Inganno che, pur avendo scarso effetto in termini di distruzioni dirette, ha reso possibile il successivo logoramento delle forze armate ucraine. In particolare, la minaccia portata dalle incursioni ha ritardato il movimento delle forze ucraine nel teatro principale della guerra fino a quando i russi non avessero schierato le unità di artiglieria, messo in sicurezza la rete di trasporto e accumulato le scorte di munizioni necessarie per condurre una lunga serie di massicci bombardamenti. Questo ritardo ha assicurato anche che, quando gli ucraini hanno dispiegato ulteriori formazioni nella regione del Donbass, il movimento di queste forze e delle forniture necessarie a sostenerle è stato reso molto più difficile dalle distruzioni provocate alla rete ferroviaria ucraina da missili guidati a lunga gittata. In altre parole, i russi hanno condotto una breve campagna di manovra nel nord allo scopo di preparare il terreno per una campagna di logoramento, più lunga e di importanza più fondamentale, all’est.

Il netto contrasto tra i differenti tipi di guerra condotta dalle forze russe nelle diverse parti dell’Ucraina ha rafforzato il messaggio centrale delle operazioni d’ informazione russe. Fin dall’inizio, la propaganda russa ha insistito sul fatto che la “operazione militare speciale” in Ucraina serviva a tre scopi: la protezione dei due proto-stati filo-russi, la “smilitarizzazione” e la “denazificazione”. Tutti e tre questi obiettivi implicavano la necessità di infliggere pesanti perdite alle formazioni ucraine che combattevano nel Donbass. Nessuno di questi obiettivi, tuttavia, dipendeva dall’occupazione di parti dell’Ucraina in cui la stragrande maggioranza delle persone parlava la lingua ucraina, abbracciava un’identità etnica ucraina e sosteneva lo Stato ucraino. In effetti, l’occupazione russa prolungata di quei luoghi avrebbe suffragato l’argomento che la Russia stesse cercando di conquistare l’intera Ucraina.

La campagna russa nel sud era al servizio di obiettivi politici diretti. Cioè, è servita a incorporare territori abitati da un gran numero di persone di etnia russa nel “mondo russo”. Allo stesso tempo, la rapida occupazione di città come Kherson e Melitopol ha reso più credibile l’inganno che era il vero scopo delle operazioni al nord, ispirando negli ucraini il timore che le colonne russe, dispiegate su entrambi i lati di Kiev, tentassero di occupare città come Chernihiv e Zhytomyr. Allo stesso modo, le incursioni condotte a nord di Kherson potevano far pensare che i russi volessero tentare l’occupazione di altre città, la più importante delle quali era Odessa.[29]

Missili guidati

Il programma russo di attacchi missilistici guidati, condotto in parallelo alle tre campagne di terra, ha creato una serie di effetti a livello morale, favorevoli allo sforzo bellico russo. Il più importante deriva dal contenimento dei danni collaterali, non solo per la straordinaria precisione delle armi utilizzate, ma anche per la scelta oculata dei bersagli. Pertanto, i nemici della Russia hanno avuto difficoltà a caratterizzare gli attacchi contro depositi di carburante e munizioni, necessariamente situati a una certa distanza dai luoghi in cui vivono e lavorano i civili, come qualcosa di diverso da attacchi a installazioni militari.

Allo stesso modo, l’impegno russo a interrompere il traffico nel sistema ferroviario ucraino avrebbe potuto includere attacchi contro le centrali elettriche, che forniscono elettricità sia alle comunità civili che ai treni. Attacchi del genere, tuttavia, avrebbero provocato molte perdite di vite umane tra i lavoratori di quegli impianti, e molte sofferenze nelle località che sarebbero rimaste senza corrente elettrica. Invece, i russi hanno scelto di dirigere i loro missili verso le sottostazioni di trazione, i trasformatori remoti che convertono l’elettricità della rete generale nelle forme utili ad alimentare i treni[30].

Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui attacchi missilistici contro strutture a “doppio uso” hanno dato l’impressione che i russi avessero, in effetti, preso di mira strutture esclusivamente civili. L’esempio più eclatante di un simile errore è stato l’attacco, compiuto il 1° marzo 2022, alla torre principale della televisione a Kiev. A prescindere dal fatto che ci fosse o meno del vero nell’affermazione russa, che la torre era stata utilizzata per scopi militari, l’attacco a una struttura iconica, a lungo associata a scopi puramente civili, ha pesato molto nel ridurre i vantaggi ottenuti dalla politica russa complessiva di limitare gli attacchi missilistici a obiettivi chiaramente militari[31].

 

La sfida

Le tre campagne di terra condotte dai russi in Ucraina nel 2022 devono molto ai modelli tradizionali. Al contempo, il programma di attacchi missilistici ha sfruttato una capacità a dir poco rivoluzionaria. Che fossero nuovi o vecchi, tuttavia, questi sforzi combinati sono stati condotti in un modo che dimostra una profonda comprensione di tutti e tre i livelli su cui si combattono le guerre. Cioè, i russi raramente hanno dimenticato che, oltre ad essere una battaglia sul piano materiale, la guerra è anche una sfida a livello mentale, oltre che una controversia morale.

L’invasione russa dell’Ucraina potrebbe segnare l’inizio di una nuova guerra fredda, una “lunga lotta nel crepuscolo”[32] paragonabile a quella che si è conclusa con il crollo dell’impero sovietico più di tre decenni fa. Se così è, allora ci troveremo di fronte a un avversario che, pur attingendo molto dal valore della tradizione militare sovietica, si è affrancato sia dalla brutalità insita nell’eredità di Lenin, sia dai paraocchi imposti dal marxismo. Ancor peggio, potremmo trovarci a combattere dei discepoli di John R. Boyd.

 

 

 

 

[1] https://mca-marines.org/magazines/marine-corps-gazette/ I numeri del periodico sono gratuitamente scaricabili, previa registrazione al sito.

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Van_Riper

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/John_Boyd_(military_strategist)

[4] Da: “Marines Corps Gazette”, giugno 2022, vol. 106, n. 6., pagg. 100- 105. Corre voce, non confermata, che “Marinus” sia il ten.gen. (a riposo) Paul Van Riper, forse in collaborazione con il figlio. In ogni caso, l’Autore è un ufficiale superiore del Corpo dei Marines, e un collaboratore abituale della “Marines Corps Gazette”.

[5] Per una spiegazione sintetica dei tre livelli di guerra secondo Boyd, v. William S. Lind, “John Boyd’s Art of War,” The American Conservative, (agosto 2013), disponibile su https://www.theamericanconservative.com

[6] Justin Bronk, “The Mysterious Case of the Missing Russian Air Force,”

RUSI, (February 2022), disponibile presso https://rusi.org

[7] Ryan Merrifield and Sam Elliot-Gibbs, “Kyiv TV Tower Explodes after Russia Warns of Missile Strikes in Ukraine Capital,” Mirror, (March 2022), disponibile presso https://www.mirror.co.uk.

[8] V. la descrizione del BTG nell’Appendice alla prima parte del saggio. [N.d.C.]

[9] Natalia Gurkovskaya, “Fighting in Sumy Region: Konotop Authorities Hold Talks with Occupiers after Ultimatum [Бої на Сумщині – влада Конотопа провела переговори з окупантами після ультиматуму],” RBC.UA, (marzo 2022), disponibile presso t https://www.rbc.ua

[10] Redazionale, “Nizhyn Repair Plant of Engineering Vehicles” [Нежинский ремонтный завод инженерного вооружения], Guns.UA, (n.d.), disponibile presso  www.guns.ua

[11] Un oblast è un distretto amministrativo che spesso, anche se non invariabilmente, prende il nome dalla città che funge da sua capitale, e corrisponde, più o meno, a una contea inglese o a un dipartimento francese.

[12] Per una descrizione dettagliata delle unità componenti delle milizie della Nuova Russia, v. Tomáš Šmíd e Alexandra Šmídová, “Anti-Government Non-State Armed Actors in the Confl ict in Eastern Ukraine,”, Mezinárodní

Vztahy: Czech Journal of International Affairs, (Praga: Institute of International Relations, giugno 2021).

 

[13] Redazionale, “Russian Forces Seize Port of Berdyansk,” The Maritime Executive, (February 2022), disponibile presso https://www.maritime-executive.com .

[14] Alcuni osservatori hanno confuso l’Azovske dove ha avuto luogo lo sbarco dei Marines russi con un altro villaggio omonimo nei dintorni del porto di Berdiansk, a circa 150 chilometri a est. Questo errore, a sua volta, ha portato alla più volte ripetuta affermazione che lo sbarco delle unità di fanteria navale si è svolto a 112 chilometri a ovest di

Mariupol. Per un esempio di quest’ultimo errore, v. Redazionale, “Russian Navy Carries Out Amphibious Assault Near Mariupol,”, The Maritime Executive , (febbraio 2022), disponibile presso https://www.maritime-executive.com

[15] Redazionale, “Russian Troops Welcomed with Flags in Ukraine’s Melitopol,” Tass, (February 2022), disponibile presso https://tass.com

[16] L’assenza di tentativi russi di prendere Mikolaiv ha fatto nascere molte storie di piccoli distaccamenti ucraini che fermano forze russe molto più grandi. Per alcuni esempi pittoreschi, vedi Yaroslav Trofimov, “Ukrainian Counteroffensive Near Mykolaiv Relieves Strategic Port City,” The Wall Street Journal , (marzo 2022), disponibile su https://www.wsj.com .

 

[17] Per un resoconto di uno dei tanti attacchi missilistici su obiettivi in Mikolaiv, v. Michael Schwirtz, “Russian Rocket Attack Turns Ukrainian Marine Base to Rubble, Killing Dozens,” New York Times , (marzo 2022), disponibile su https://www.nytimes.com

[18] Per esempi di rapporti russi sui risultati di questi attacchi, cfr. i briefing quotidiani sul canale ufficiale Telegram del Ministero russo della Difesa ( t.me/mod_russia_en ).

 

[19] 1. Questa descrizione dell’organizzazione di un tipico BTG russo è tratta da un’infografica pubblicata sul sito web (attualmente inaccessibile) del Ministero della Difesa russo.

 

[20] “Marine Corps Gazette”, agosto 2022, vol. 106, n. 8, pagg. 90 – 93

[21] Headquarters Marine Corps, MCWP 3-43.1, Raid Operations (Washington, DC: 1993)

[22] Per l’adozione del concetto di “raid” da parte dell’esercito russo di fine diciannovesimo secolo, cfr Karl Kraft von Hohenlohe-Ingelfingen (trad. inglese Neville Lloyd Walford), Letters on Cavalry, (London: E. Stanford, 1893); e Frederick Chenevix Trench, Cavalry in Modern Wars, (London: Keegan, Paul, Trench, and Company, 1884).

[23] Per un breve resoconto del reyd comandato da Alexander Chernyshev, cfr. Michael Adams, Napoleon and Russia, (London: Bloomsbury, 2006).

 

[24] John Reed and Polina Ivanova, “Residents of Ukraine’s Fallen Cities Regroup under Russian Occupation,” The Financial Times, (marzo 2022), disponibile sul sito https://www.ft.com.

 

[25] Adam Taylor, “Shift to Ruble in Kherson Fuels Concerns about Russia’s Aims in Occupied Region,” The Washington Post, (May 2022), disponibile presso https://www.washingtonpost.com.

[26] David M. Glantz, “Excerpts on Soviet 1938-40 Operations from The History of Warfare, Military Art, and Military Science, a 1977 Textbook of the Military Academy of the General Staff of the USSR Armed Forces,” The Journal of Slavic Military Studies, (Milton Park: Routledge, March 1993).

 

[27] “Consumo vistoso” è la traduzione italiana di conspicuous consumption, locuzione introdotta dal sociologo americano Thorstein Veblen nel suo celebre Teoria della classe agiata (1899). Designa e spiega l’uso dei consumatori di acquistare beni di consumo di qualità più elevata, o in quantità maggiore, di quanto sarebbe necessario dal pdv pratico. V. https://www.britannica.com/topic/conspicuous-consumption [N.d.C.]

[28] Il lavoro classico sugli ammutinamenti francesi del 1917 è Richard M. Watt, Dare Call It Treason, (New York, NY: Simon and Schuster, 1963).

 

[29] Michael Schwirtz, “Anxiety Grows in Odessa as Russians Advance in Southern Ukraine,” The New York Times, (March 2022), disponibile presso https://www.nytimes.com

[30] Redazionale, “Russia Bombs Five Railway Stations in Central and Western Ukraine,” The Guardian, (aprile 2022), disponibile sul sito https://www.the-guardian.com.

 

[31] Per un esempio delle tante storie che caratterizzano il bombardamento della torre della televisione del 1 marzo 2022 come un attacco alle infrastrutture civili, cfr. Abraham Mashie,” US Air Force Discusses Tactics with Ukrainian Air Force as Russian Advance Stalls,” Air Force Magazine, (marzo 2022), disponibile sul sito https://www.airforcemag.com.

 

[32] È una citazione dal discorso inaugurale (20 gennaio 1961) della Presidenza di John F. Kennedy. “In your hands, my fellow citizens, more than mine, will rest the final success or failure of our course. Since this country was founded, each generation of Americans has been summoned to give testimony to its national loyalty. The graves of young Americans who answered the call to service surround the globe.

     Now the trumpet summons us again–not as a call to bear arms, though arms we need–not as a call to battle, though embattled we are– but a call to bear the burden of a long twilight struggle, year in and year out, “rejoicing in hope, patient in tribulation”–a struggle against the common enemies of man: tyranny, poverty, disease and war itself.” https://www.jfklibrary.org/learn/about-jfk/historic-speeches/inaugural-address [N.d.C.]

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LIBERTA’ SI’, MA SENZA IL LIBERATORE (…?)_di Daniele Lanza

LIBERTA’ SI’, MA SENZA IL LIBERATORE (…?)
(da leggere come “il paradosso della nazione lettone”)
Tripudio e gaudio dalle istituzioni dell’indipendente repubblica di Lettonia ! Dal cuore della capitale – RIGA – vengono abbattuti, rimossi, quasi 80 metri di obelisco….quello dedicato alla vittoria dell’armata rossa (magniloquente memoriale sovietico edificato alla metà degli anni ottante per il quarantennale della vittoria).
Il governo di RIGA aveva annunciato la misura sin da maggio e la porta a termine adesso a fine estate : lo scopo, questo è chiaro, è quello di estirpare simbolicamente il 1945 stesso, dalla memoria, dal tessuto del paese.
Ci si libera di un ospite sgradito, si eradica la memoria di quel liberatore non percepito come tale dagli autoctoni lettoni, e ancor più dalle sue nazionaliste rappresentanze governative, le quali quindi si disfano del fardello.
Come metterla ? Provo a dirla così : che un popolo possa liberamente, in base alla propria sensibilità decidere chi sia o meno amico e chi sia o meno “liberatore” (termine che certamente ha del relativo) lo ritengo del tutto LECITO. Il nodo – perlomeno in una prospettiva etica – è che tale imprescindibile facoltà di scelta, dovrebbe accompagnarsi ad un altrettanto imprescindibile coerenza generale : in parole elementari, se l’armata rossa staliniana non avesse prevalso, allora sarebbe stata la Wehrmacht hitleriana a prevalere (….).
Ora, io mi astengo dal fare paragoni o bilanci morali tra i due contendenti sopra : sottolineo semplicemente che l'”indomabile” Lettonia in un modo o in un altro…….sarebbe stata COMUNQUE sotto qualcuno. O russi o tedeschi). L’entità lettone, tra due universi culturali e militari di grande spessore come quello slavo e quello germanico, non avrebbe mai avuto la possibilità di formarsi come ha fatto.
L’emergere dello stato Lettone – come altri analoghi – nell’ultimo centinaio di anni è stato dovuto più che non alla capacità organizzativa dei propri popoli, alla debolezza del contenitore in cui erano : il collasso della casa zarista prima e quello della casa sovietica dopo. Poco altro oltre questo (senza offesa per l’identità lettone).
La zona, assolutamente minuscola, era “destinata” nel gioco amorale della geopolitica a divenire parte di qualcuno o qualcosa in ogni caso (sarebbe stata satellite dello stato kaiseriano se quest’ultimo non si fosse eclissato nel 1918, così come di quello nazista non si fosse disintegrato nel 1945).
Con quanto affermato sopra vado al punto essenziale : la Lettonia trova la sua libertà non tanto per moto interno interno…..quanto per il venire meno, contemporaneamente, delle due entità che potremmo sintetizzare come occidentale ed orientale (“orientale” sta per Russia naturalmente……….mentre “occidentale” sta per Prussia – o Germania in senso tradizionale se preferite – ossia non occidentale in senso atlantico e anglosassone come lo concepiamo oggi).
Identità ed indipendenza lettoni – con tutto il rispetto per l’autodeterminazione dei popoli – sono frutto del decesso naturale dei propri “sovra-ordinati” su un piano geostrategico (tali da svariati secoli, ma venuti momentaneamente meno nella finestra contemporanea).
E’ un discorso molto difficile e non condivisibile da molti (lo posso intendere), ma è un fatto su cui riflettere. La libertà lettone è basata più su un….”vuoto”, sull'”assenza” che non su una “presenza”. Ed abbattere il memoriale della vittoria sovietico non fa che incrementare il problema.
Fa specie ricordare che un buon 1/4 degli abitanti della Lettonia sono etnicamente russi e all’incirca 1/3 parlano correntemente la lingua come idioma madre. Nella capitale poi, la proporzione sale al 50% : buona parte di costoro nemmeno ha la cittadinanza.
Io direi, a questo punto perchè non sbarazzarsi anche di costoro e costringerli ad un esodo di massa ?!? (per carità le istituzioni lettoni questo lo pensano e pianificano già da anni pur senza poter utilizzare metodi che non sarebbero passabili nell’opinione pubblica internazionale delle democrazie odierne)
Mi viene in mente la tragicomica metafora di un popolo che volendo liberarsi di qualsiasi cosa gli avevano lasciato gli invasori passati per ritrovare sè stesso…….si ritrovò col NULLA in mano (nemmeno i suoi abitanti).
Tratto da facebook

 

Ucraina, il conflitto 13a puntata Attentato a Mosca Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Attentato abbietto a Mosca, bombe sulle sedi istituzionali delle repubbliche separatiste, ulteriori tre miliardi di dollari americani in un pozzo colmo ormai di 80 miliardi di finanziamento dell’impresa militare ucraina, il Dipartimento di Stato che intima agli americani di lasciare l’Ucraina immediatamente, il Ministro degli Esteri polacco che critica l’imperialismo tedesco, la Bulgaria che si aggiunge a quei paesi europei che hanno scelto di trattare con la Russia gli acquisti di gas e petrolio. Un crescendo convulso che lascia presagire le future dinamiche geopolitiche in Europa dove le ambizioni nazionalistiche, più che il prodotto genuino delle ambizioni di autonomia, diventano il veicolo ottuso e fanatico di una nuova modalità di penetrazione dell’egemonismo statunitense. E’ il discrimine che distinguerà la coltivazione di realistiche ambizioni di autonomia in un mondo multipolare dalla possibilità che il continente europeo diventi campo di battaglia di mire egemoniche esterneal continente. Il conflitto in Ucraina è un vaso di pandora dal quale sembra emergere piuttosto la seconda opzione. Ne parleremo più approfonditamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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