Situazione in Ucraina, stanno dando i numeri, ma sono fasulli, frutto di propaganda e disinformazione. Di Claudio Martinotti Doria

Diverse volte nei miei articoli precedenti ho cercato di fornire i numeri reali delle perdite subite dagli ucraini nel corso del conflitto, affidandomi a fonti esterne ai regimi coinvolti, meno che mai quello nazista ucraino che è totalmente inaffidabile, perché privo anche del senso del ridicolo, come dimostrato recentemente quando hanno corretto la dichiarazione pubblica della von der Leyen, che riferiva di oltre 100mila soldati morti, riducendo la cifra a soli 10mila.

A smentire quest’affermazione del regime di Kiev basterebbe segnalare che quasi tutte le fonti occidentali (non ucraine) concordano nell’attribuire 10mila perdite ucraine al solo fronte di Bachmut (Artemivs’k) negli ultimi due mesi, ai quali andrebbero aggiunti 20 o 30 mila feriti (come dimostrato dai ricoveri negli ospedali militari e civili di tutte le regioni circostanti, oltre a visionare i numerosi video in rete dove si vedono i corpi dei caduti accumulati nelle trincee). Considerando che vi erano circa 60mila soldati impegnati in quest’area del fronte, le perdite complessive si attestano attorno al 50% degli effettivi, per cui non riescono più a sopperire inviando rinforzi.

La situazione è gravissima, anche se negata dal regime e dai media occidentali asserviti.

Molti esponenti della cosiddetta controinformazione o informazione libera e indipendente, che prima fornivano cifre più credibili e gravi, per qualche strano improvviso motivo si sono adeguati alle dichiarazioni della von der Leyen e hanno ormai preso per buona la cifra di 100mila caduti ucraini nei circa 10 mesi di conflitto. Personalmente non ci credo minimamente.

Già in un mio articolo di un paio di mesi fa avevo riportato le stime che erano state diffuse da organizzazioni di tecnici e di studiosi che si erano dedicati al problema e avevano individuato alcune soluzioni per desumere/dedurre/estrapolare cifre più attendibili di quelle fornite dai media.

Con una pazienza certosina avevano esaminato i registri delle pompe funebri, dei funerali e dei cimiteri, degli obitori, ecc., e si erano accorti che già in autunno vi erano stati incrementi spaventosi di mortalità in Ucraina, stimati in circa 400mila unità rispetto agli stessi periodi precedenti, e quasi un 10% di questi erano stranieri. Dal che avevano dedotto che anche i mercenari inviati dalla NATO, in particolare dai paesi vicini, che combattono in divisa ucraina, avevano subito perdite elevate.

La stessa Polonia ha recentemente rivelato di aver perso circa 1200 soldati combattenti in Ucraina, e generalmente si tengono bassi per non allarmare le proprie popolazioni.

Risalire alle cifre reali delle perdite durante un conflitto bellico è impresa ardua se non impossibile, nessuno dei contendenti le fornisce, anzi in taluni casi, come questo, si arriva a porre addirittura il segreto militare (avvenuto recentemente in Ucraina, dopo la circolazione sui social di alcune cifre allarmanti), quindi si rischia di subire gravi ripercussioni solo a parlarne.

Oggi come oggi gli studiosi cui ho accennato prima, non potrebbero più fare le ricerche presso i cimiteri, obitori, pompe funebri, ecc., perché rischierebbero di venire arrestati e nessuno in ogni caso gli consentirebbe di accedere ai registri e gli fornirebbe informazioni, sapendo i pericoli cui incorrerebbero collaborando.

Si può ovviare ricorrendo alla logica, al buon senso, alle correlazioni, comparazioni, alle deduzioni, ecc..

Se all’inizio del conflitto l’esercito ucraino era composto da 300mila soldati perfettamente addestrati (dalla NATO, che si è dedicata a tale scopo fin dal colpo di stato del 2014 in previsione della guerra contro la Russia) e altri 300mila furono immediatamente mobilitati appena le truppe russe avevano varcato il confine, per un totale di 600mila uomini, se le perdite fossero quelle dichiarate dall’Ucraina o anche dalla von der Leyen (pur di dieci volte superiori), perché hanno richiamato in servizio addirittura gli ultrasessantacinquenni?  Perché li mandano al fronte dopo pochi giorni di addestramento, come fossero carne da macello? Perché hanno mandato al fronte anche le milizie territoriali che in teoria, e solo in caso di estrema necessità, dovevano limitarsi a difendere le proprie regioni di appartenenza?

Se le perdite fossero limitate a quanto dichiarato dalla von der Leyen, che rammento (repetita iuvant) essere dieci volte più di quanto ammette il regime di Kiev, dovrebbero esserci ancora centinaia di migliaia di soldati disponibili da inviare al fronte. Senza contare le altre centinaia di migliaia che sono stati richiamati durante gli ultimi mesi del conflitto, che secondo alcune fonti occidentali avrebbero fatto ammontare complessivamente le forze armate ucraine a circa 2milioni di unità (personalmente ci credo poco perché moltissimi ucraini ricorrendo alla corruzione si sono dileguati emigrando o nascondendosi, sottraendosi al reclutamento).

Allora perché scarseggiano i soldati da inviare al fronte? Perché hanno decuplicato l’apporto dei mercenari stranieri? Perché la NATO insiste tanto per intervenire direttamente sul fronte di guerra?

Forse perché quegli studiosi cui ho fatto cenno avevano ragione, si erano quantomeno avvicinati alle cifre reali dei caduti e quei 400mila morti che avevano estrapolato dalle loro ricerche, erano probabilmente in parte preponderante militari morti al fronte, alcune decine di migliaia tra di loro potrebbero essere vittime civili, non dei russi ma dei nazisti ucraini che dall’inizio del conflitto bellico hanno fatto strage di tutti quelli ritenuti collaborazionisti dei russi, e per essere considerati tali occorre veramente poco, anche solo una delazione di un vicino rancoroso, aver accettato aiuti materiali dai russi, aver famigliarizzato con loro, essersi rifiutati di obbedire agli ordini dei militari o anche solo essere russofoni.

Ai 400mila indicati da quella ricerca di un paio di mesi fa, di cui abbiamo dedotto una cospicua parte essere militari, occorre aggiungere i feriti, che di solito sono tre o quattro volte superiori ai morti, come dimostra il fronte “bollente” di Bachmut. Poniamo anche il caso ottimistico che solo la metà siano feriti leggeri e possano tornare prima o poi al fronte, ma gli altri? Quelli che hanno subito amputazioni? I feriti gravi che richiedono mesi e mesi di cure e riabilitazione? Quelli che rimangono invalidi? E’ forse azzardato sospettare che almeno la metà delle forze armate mobilitate dal regime di Kiev siano decedute o impossibilitate a combattere? Forse è questo il motivo per cui hanno posto il segreto militare, è vietato parlarne, scriverne, anche solo accennarvi.

Il regime conta sul fatto che l’Ucraina è grande, ha una superficie doppia rispetto all’Italia, gli insediamenti sono dispersi e spesso sono solo villaggi con poche decine di case, non esistono più mezzi di comunicazione, i media sono censurati e riportano solo le veline della propaganda, e in quasi tutto il paese manca la corrente elettrica. Non è per nulla facile per la popolazione informarsi.

Le famiglie ucraine possono capire la gravità della situazione solo incontrandosi tra loro, per rendersi conto che quasi ognuna ha avuto parenti e conoscenti uccisi o feriti, solo in questo caso possono percepire le dimensioni reali della distruzione in corso del loro paese. Del resto cosa altro potrebbero fare, se protestassero per strada finirebbero in carcere o verrebbero uccisi, perché il potere è in mano ai nazisti, armati fino ai denti, privi di scrupoli se non addirittura psicopatici, forti coi deboli e deboli coi forti, che anziché andare a combattere al fronte, preferiscono svolgere funzioni di polizia militare e polizia segreta, per tenere sotto controllo e intimidazione costante la popolazione civile inerme.

Occorre precisare che non tutta la popolazione civile è inerme, decine di migliaia di armi da fuoco sono state distribuite dal regime di Kiev ai cittadini all’inizio del conflitto e altre pervenute dalla NATO sono finite nel mercato nero, favorito da numerosi ufficiali e funzionari corrotti che si stanno arricchendo grazie alla guerra, alimentando anche gruppi e bande di malavitosi e paramilitari che girano per il paese a saccheggiare i civili, provocando spesso conflitti a fuoco tra di loro.

E’ un paese totalmente allo sbando, e la situazione aggravatasi per i bombardamenti russi alle infrastrutture energetiche del paese, non potrà che portare al collasso sociale, economico e politico, della serie tutti contro tutti e si salvi chi può.

Già da alcune settimane pervengano notizie di scontri armati tra polacchi e ucraini per divergenze sulle modalità di condurre le operazioni militari e probabilmente per incompatibilità reciproca. Consideriamo che la Polonia cova risentimento (altroché amicizia e alleanza) verso l’Ucraina fin dai tempi della II Guerra Mondiale e mira ad annettersi la Galizia, regione nordoccidentale dell’Ucraina. Potrebbe cogliere l’opportunità della disfatta ucraina per espandere il suo territorio, avendo già truppe dislocate in esso.

Sono numerose anche le esecuzioni, alcune anche filmate, di militari ucraini che hanno disertato o semplicemente hanno abbandonato il posto assegnato o non hanno ubbidito agli ordini.

Queste brevi note sono già più che sufficienti per dubitare che le perdite ucraine nel conflitto in corso, intendendo sia morti che feriti gravi, siano quelle indicate dalle fonti ufficiali e neppure quelli reperibili dalle fonti dell’informazione alternativa che gira in rete, anche quest’ultime a mio avviso sono molto sottostimate. Personalmente alla luce di quanto letto e visionato finora (e vi assicuro che non è poco) mi sono convinto che siano gravissime, almeno 300mila morti e altrettanti feriti gravi non più in grado di tornare a combattere, pertanto considero l’esercito ucraino ormai al collasso, non solo demotivato e non più in grado di reggere a eventuali incisive offensive russe, ma addirittura in inferiorità numerica rispetto ai russi, mentre all’inizio del conflitto il rapporto era di 6 a 1. Tenendo conto dei rinforzi russi già pervenuti e di quelli che arriveranno nelle prossime settimane, gli ucraini si troveranno in una situazione insostenibile che potrebbe preludere a una totale débâcle, ecco perché la NATO preme per intervenire direttamente sul campo, perché sa che la disfatta è imminente.

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

John Mearsheimer e Carl Bildt sulle prospettive della guerra in Ucraina, di Roberto Buffagni

Su un recente dibattito tra John Mearsheimer e Carl Bildt sulle prospettive della guerra in Ucraina

 

È del massimo interesse questo dibattito del 4 dicembre 2022 (link in calce) tra John Mearsheimer e Carl Bildt sulla guerra in Ucraina, organizzato nell’ambito del norvegese Holger Prize (dalla pagina FB del premio: “The Holberg Prize is an international research prize in humanities, social sciences, law & theology.”).

John Mearsheimer, docente all’Università di Chicago, decano degli studiosi di International Relations, non ha bisogno di presentazioni, perché è divenuto familiare anche al grande pubblico proprio per le sue posizioni minoritarie sulla genesi e le prospettive della guerra in Ucraina. Carl Bildt è una personalità importante del mondo politico svedese: ex Ministro degli Esteri, ex Primo ministro. Ha rivestito ruoli di grande importanza nella politica internazionale: inviato speciale UE nella ex Jugoslavia dal giugno 1995, co-presidente della Conferenza di Pace di Dayton che condusse agli accordi di pace del novembre 1995, Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina dal dicembre 1995 al giugno 1997, subito dopo la guerra di Bosnia. Nel 2008, fu il primo Ministro a rendere visita al Kosovo dopo la sua dichiarazione unilaterale di indipendenza. Nel maggio 2015 Bildt è stato nominato membro dell’ “Ukraine International Advisory Council on Reforms”, formato da diversi consulenti stranieri al presidente ucraino Petro Poroshenko, con l’obiettivo di migliorare la sicurezza e l’economia dell’Ucraina. Fa parte del Board of Trustees della RAND Corporation, della Trilateral Commission, di vari altri importanti organismi euro-atlantici.   ( https://en.wikipedia.org/wiki/Carl_Bildt)

Perché questa lunga presentazione di Carl Bildt? Perché la sua vicenda politica personale ne fa un attendibile portavoce delle posizioni maggioritarie UE e NATO in merito alla guerra in Ucraina. Non le compendio per intero. È facile seguire il dibattito per chiunque abbia una discreta conoscenza della lingua inglese, perché Mearsheimer si esprime sempre articolando l’eloquio con la massima chiarezza, e cerca, trovandola, la formulazione più semplice e accessibile dei concetti; e Bildt è un esperto oratore che parla un inglese internazionale facilmente comprensibile. Inoltre, è possibile avvalersi della sottotitolatura automatica, quasi sempre corretta (ho verificato).

Mi concentro su un unico aspetto delle posizioni di Bildt, in merito alle prospettive strategiche del conflitto ucraino.

In buona sostanza la posizione di Bildt, che possiamo ritenere la posizione maggioritaria in seno al blocco occidentale UE + NATO, è la seguente.

Non è possibile accedere a trattative diplomatiche con la Russia prima che essa si sia ritirata dall’Ucraina. Sullo status della Crimea è (forse) possibile trattare, sul ritiro definitivo dal resto del paese, no. Motivo: l’invasione russa annuncia un più vasto tentativo imperialistico russo, del quale l’Ucraina è solo il primo passo; il principale e praticamente il solo responsabile ne è il Presidente Putin, che ha forzato la mano alle élites russe ove invece fermenta un vasto e aspro dissenso. Ogni trattativa prima del ritiro è impossibile perché essa creerebbe un pericoloso precedente di cedimento al ricatto della forza (esemplificato con la politica europea e britannica di appeasement nei riguardi delle rivendicazioni di Hitler nel 1938-39). La sola prospettiva di soluzione del conflitto è la sconfitta militare e politica della Russia, ottenuta grazie alla resistenza ucraina, all’effetto delle sanzioni, e soprattutto alla crescita del dissenso interno alla classe dirigente russa, che risulterà in una rimozione del Presidente Putin e in una nuova configurazione della politica russa, più favorevole all’Occidente e più aderente alle caratteristiche politiche e socio-economiche da esso predilette; ciò che andrebbe a beneficio della stessa Russia, che conoscerebbe così un migliore sviluppo economico nella libertà.” Non sono posizioni nuove, ma sono esposte con una coerenza e una chiarezza insolite, meritevoli di grande attenzione.

Ma quel ch’è meritevole della massima attenzione è che nella prospettiva di Bildt, maggioritaria in Occidente, non esiste un piano B: ossia, non viene neppure presa in considerazione la possibilità che la Russia NON perda: NON perda sul piano militare, e NON perda sul piano politico e sociale, ossia che NON si verifichi la crisi di fiducia nel Presidente Putin, la sua rimozione, la nuova configurazione politica favorevole all’Occidente della Russia, etc. Che cosa facciamo se il piano A non funziona? Non si sa. Anzi: è impensabile che non funzioni.

Mearsheimer non solleva questa obiezione, nonostante ritenga più probabile una vittoria militare russa, e non creda probabile una rimozione di Putin e una riconfigurazione favorevole all’Occidente della politica russa (si veda a questo proposito l’intervista a Mearsheimer del 30 novembre: https://unherd.com/2022/11/john-mearsheimer-were-playing-russian-roulette/) . Presumo non lo faccia per non far disperdere il dibattito in una controversia priva di sbocchi sulle valutazioni della situazione militare, sempre difficile e nel caso presente difficilissima per effetto delle opposte propagande e infowars; d’altro canto, il nocciolo del suo argomento, come si vedrà seguendo il dibattito, prescinde dall’esito militare del conflitto.

Rilevo io, nel mio piccolo, questo dato caratteristico della posizione euro-atlantica maggioritaria. È un dato della massima importanza perché implica, da parte delle classi dirigenti UE, NATO, USA:

  1. Una sottovalutazione pregiudiziale delle capacità militari e politiche russe
  2. Una sopravvalutazione pregiudiziale delle capacità militari e politiche occidentali (anzitutto USA)
  • Un vuoto di previsione strategica da parte occidentale, che annulla i margini di manovra politica e diplomatica. Ovviamente, l’irrigidimento su una sola opzione strategica accettabile da parte dell’Occidente aumenta vertiginosamente la posta politica che esso mette in gioco, elimina i margini di compromesso e trasforma un eventuale fallimento in una sconfitta politica di prima grandezza.
  1. Nella valutazione russa, evitare che l’Ucraina diventi un bastione occidentale è un interesse vitale, e dunque non sono accettabili esiti diversi dalla vittoria militare e politica in questo conflitto. Non sarebbe invece un interesse vitale occidentale che l’Ucraina divenga un bastione occidentale alle frontiere russe. In seguito a questa scelta strategica, invece, lo diviene. Non lo diviene per i paesi europei e per gli Stati Uniti, che non sono minacciati nella loro integrità politica e territoriale, ma lo diviene per le loro classi dirigenti e per la NATO.
  2. Una sottovalutazione sbalorditiva dell’enorme margine di rischio implicito nel perseguimento dell’unico obiettivo strategico ritenuto accettabile dall’Occidente. Se un eventuale successo militare della strategia occidentale non si concludesse con la nascita di un nuovo, stabile governo di forze russe filo-occidentali, ciò potrebbe dar luogo a due sviluppi catastrofici: a) mettere la Russia con le spalle al muro, spingerla alla disperazione e dunque a meditare seriamente l’impiego dell’armamento nucleare low-yeld (“tattico”, atomiche di potenza analoga o inferiore agli ordigni sganciati sul Giappone nel 1945) b) destabilizzare politicamente e socialmente la Russia provocandovi il caos e la frammentazione, e spalancando un buco nero geopolitico in un paese grande undici fusi orari e con 6.000 testate nucleari, che finirebbero in palio fra un numero imprecisato di signori della guerra; per tacere dei 4.500 km di frontiera con la Cina, che sarebbe obbligata a intervenirvi per garantire la propria sicurezza.
  3. Se si verificasse l’ipotesi a) del punto precedente, cioè se una Russia disperata perché sul punto di subire una sconfitta militare decisiva, impiegasse l’arma atomica low-yeld nel conflitto ucraino, gli Stati Uniti hanno già annunciato che NON risponderebbero simmetricamente colpendo la Russia con missili nucleari, ma che “ci sarebbero conseguenze”. Le “conseguenze” più probabili sarebbero un intervento convenzionale diretto degli Stati Uniti nel conflitto ucraino. Si verificherebbe dunque, per la prima volta nella storia umana, un conflitto militare diretto tra due grandi potenze nucleari, ciascuna delle quali, se spinta alla disperazione dalla prospettiva di una sconfitta ritenuta inaccettabile, potrebbe seriamente valutare il ricorso all’armamento nucleare tattico. Se dalla valutazione si passasse all’atto, la probabilità di una escalation fino al conflitto nucleare strategico, con impiego di bombe all’idrogeno di elevatissima potenza, si moltiplicherebbe per un fattore imprecisabile. Se la probabilità si tramutasse in realtà, sarebbero incenerite milioni di persone.

Le classi dirigenti euro-atlantiche, insomma, paiono essersi inoltrate in una classica fuga in avanti (“Nel linguaggio politico…locuz. con cui si suole indicare il fatto o la tattica di proporsi mete lontane, e spesso irraggiungibili, quando manchi la volontà o la capacità di risolvere i problemi immediati.”, Dizionario Treccani).

Al termine della fuga – perché tutte le fughe finiscono, prima o poi – potrebbero esserci eventi che l’immaginazione preferisce esorcizzare. Possono esserci – è più probabile che ci siano, e speriamo che ci siano – eventi infinitamente meno gravi, ma comunque di grande momento. Potrebbe esserci, per esempio, la tipica sorpresa che riserva l’eterogenesi dei fini, ossia il rovesciamento speculare delle attese e delle intenzioni. Per esempio, nel caso di una sconfitta militare e politica delle forze occidentali in Ucraina, potrebbe esserci una vasta e irrimediabile crisi di fiducia nelle élites europee e americane, una perdita di coesione dell’Alleanza Atlantica e della UE, con eventuale loro frammentazione; e l’avvicendarsi, alla guida politica dell’Occidente, di élites diversamente legittimate, capaci di una progettualità più flessibile e realistica: cioè quanto oggi Carl Bildt preconizza come futuro della Federazione Russa.

https://youtu.be/_aNMOEQ0248

 

 

 

 

 

L’ammissione della Merkel che Minsk era solo uno stratagemma garantisce un conflitto prolungato, di Andrew Korybko

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi, che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

L’ex cancelliere finalmente viene pulito

Nessuno può affermare con sicurezza di sapere come andrà a finire l’ultima fase del conflitto ucraino , che è stato determinato dall’operazione speciale che la Russia è stata costretta a iniziare per difendere l’integrità delle sue linee rosse di sicurezza nazionale dopo che la NATO le ha attraversate. Dopotutto, i colpi di scena finora hanno colto tutti alla sprovvista, dalla riunificazione della Novorossiya con la Russia ai due attacchi di droni di Kiev all’inizio di questa settimana nell’entroterra del suo vicino.

Detto questo, si può prevedere con sicurezza che il conflitto quasi certamente si protrarrà per gli anni a venire, con questa previsione basata sulla candida ammissione dell’ex cancelliere tedesco Merkel secondo cui il processo di pace di Minsk era solo uno stratagemma per rafforzare le capacità militari offensive di Kiev . Le sue parole hanno fatto eco a quelle dell’ex presidente ucraino Poroshenko che ha detto esattamente la stessa cosa all’inizio di quest’anno, ma la differenza è che non è mai stato considerato un amico del presidente Putin, a differenza della Merkel.

Operazione di manipolazione della percezione della Merkel contro Putin

Ognuno di loro parla fluentemente la lingua dell’altro, ha trascorso i suoi anni professionali formativi nell’ex Germania dell’Est, presiede a grandi potenze storiche e le loro rispettive economie sono chiaramente complementari, ergo perché hanno collaborato strettamente su un’ampia gamma di questioni. Nel corso del tempo, il presidente Putin ha iniziato a proiettare su di lei se stesso e la sua grande visione strategica di una ” Europa da Lisbona a Vladivostok “, con cui ha giocato riflettendo retoricamente per alimentare il suo pregiudizio di conferma.

Per tutto questo tempo si è scoperto che lo stava solo ingannando dicendo al leader russo qualunque cosa volesse sentire, tuttavia, con il suo superficiale sostegno al processo di pace di Minsk che è l’epitome del suo approccio manipolativo al presidente Putin. Ha accuratamente valutato con quanta passione desiderava che la pace prevalesse in Ucraina al fine di sbloccare il promettente ruolo geostrategico di quel paese come ponte tra la sua Unione economica eurasiatica (EAEU) e la sua UE secondo la sua visione a lungo termine di cui sopra.

Tuttavia, non aveva alcun desiderio di realizzarlo nonostante avesse assecondato la sua proposta reciprocamente vantaggiosa, dal momento che la grande visione strategica della Merkel era quella di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo. A tal fine, ha dovuto placare la Russia manipolando le percezioni del suo leader in modo che la considerasse erroneamente come il leader di uno stato amico e quindi non avrebbe esercitato pressioni sul blocco in modi che potessero ostacolare il suo obiettivo di espandere l’influenza tedesca su di esso.

Psicoanalizzare Putin

Dal momento che la Merkel ha giocato così magistralmente alle aspettative del pio desiderio del presidente Putin presentandosi falsamente come lo stesso pragmatico visionario guidato dall’economia che era invece dell’ideologo a somma zero che era veramente per tutto questo tempo, è stato indotto con successo a fidarsi di lei. Il risultato finale è stato che il leader russo ha pazientemente frenato la sua Grande Potenza per quasi otto anni, nonostante le innumerevoli provocazioni contro la sua coetica nell’ex Ucraina orientale.

La sua mentalità era che “il fine giustifica i mezzi”, che in questo contesto si riferiva al suo calcolo costi-benefici secondo cui i costi pagati dal popolo russo del Donbass alla fine sarebbero valsi la pena se la sua pazienza avesse fatto guadagnare abbastanza tempo alla Germania per convincere con successo Kiev ad attuare gli Accordi di Minsk e quindi alla fine costruire una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che andrebbe a vantaggio di tutti. Col senno di poi, il problema era che il presidente Putin era l’unico leader che lo voleva davvero.

È stato ingannato per quasi otto anni dalla Merkel, con la quale ha stretto un legame stretto durante i suoi molti anni in carica a causa delle loro somiglianze personali e della sua riuscita manipolazione delle sue percezioni nel portarlo a pensare erroneamente che lei condividesse la sua grande visione strategica come è stato spiegato in precedenza . Essendo uno statista in buona fede , presumeva che i suoi coetanei – specialmente quelli che rappresentavano grandi potenze come la Merkel – fossero dello stesso calibro professionale, quindi perché dava per scontato che fossero tutti attori razionali.

Il senno di poi è 20/20

La realtà era del tutto diversa, però, dal momento che il presidente Putin si è rivelato essere l’ultimo vero statista occidentale, il che significa che era l’unico che operava su base razionale mentre tutti gli altri avanzavano obiettivi guidati dall’ideologia. Non se ne rese conto se non anni dopo, essendo invece caduto nella falsa percezione che fossero tutti visionari più o meno pragmatici guidati dall’economia come lui era in gran parte dovuto al successo dell’operazione di gestione della percezione della Merkel contro di lui.

La sua lunga sciarada nel fingere di condividere la sua grande visione strategica è stata abbastanza convincente da permettere al presidente Putin di abbassare la guardia, dare per scontate le sue parole e presumere che avrebbe fatto in modo che la Germania alla fine avrebbe convinto Kiev ad attuare pienamente gli accordi di Minsk . Se l’avesse sospettata di disonestà, allora avrebbe certamente abbandonato questo approccio molto prima, ma si è completamente innamorato del suo atto poiché era conforme al suo pregiudizio di conferma di lei come leader razionale di una grande potenza.

Questo spiega perché abbia aspettato così tanto prima di ordinare l’operazione speciale, poiché si fidava sinceramente che lei condividesse la sua grande visione strategica di una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che richiedeva una pace duratura in Ucraina per essere realizzata. Invece, la Merkel stava spietatamente cercando di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo, cosa che il suo successore Scholz ha quasi ammesso di voler fare nel manifesto che ha appena pubblicato sulla rivista Foreign Affairs .

Non è un caso che la Merkel poco dopo abbia chiarito le sue vere intenzioni di assecondare il processo di pace di Minsk, dal momento che non c’era più motivo di rimanere timida al riguardo. Scholz ha spifferato tutto vantandosi dell’agenda egemonica della Germania, che ha apertamente descritto come guidata dal desiderio di rispondere alle minacce che, secondo lui, provenivano “immediatamente” dalla Russia. Non avendo nulla da perdere, la Merkel si è tolta la maschera e ha finalmente mostrato al presidente Putin il suo vero volto.

Non c’è dubbio che si sia reso conto qualche tempo prima di iniziare l’operazione speciale del suo paese che lei lo aveva ingannato per anni, quindi perché ha intrapreso quel fatidico passo alla fine di febbraio, ma ora è in piena mostra anche per il mondo intero. La Merkel era l’unico politico occidentale di cui il presidente Putin si fidava sinceramente, motivo per cui ha rimandato l’ordine della suddetta operazione per quasi otto anni a causa della sua falsa speranza che avrebbe contribuito a garantire la pace in Ucraina.

L’impatto psicologico del tradimento della Merkel

Con lei che ammette così sfacciatamente di aver tradito la sua fiducia vantandosi che “Putin avrebbe potuto facilmente invadere [l’Ucraina] in quel momento” se non avesse assecondato il processo di pace di Minsk e quindi averlo costretto a resistere a questo decennio quasi intero, è improbabile che il leader russo si fiderà mai più di qualcuno in Occidente. Questa intuizione psicologica aggiunge un contesto cruciale alla sua dichiarazione casuale, lo stesso giorno in cui la sua intervista è caduta, che il conflitto ucraino “potrebbe essere un processo lungo”.

Abbastanza chiaramente, ora è consapevole del fatto che questa è davvero una lunga lotta sul futuro della transizione sistemica globale , sebbene la Russia possa ancora strategicamente vincere anche nello scenario di uno stallo militare in Ucraina. Questo perché questo risultato porterebbe a processi multipolari guidati dall’India che continuano a proliferare e quindi a cambiare irreversibilmente il corso delle relazioni internazionali. A questo punto della Nuova Guerra Fredda , la Russia sta combattendo un conflitto difensivo , ma per una volta il tempo è dalla sua parte.

Il presidente Putin ora sa che qualsiasi tregua nei combattimenti sarà solo un’opportunità per entrambe le parti di riorganizzarsi, riarmarsi e riprendere inevitabilmente le operazioni offensive, il che significa che il campo di gioco strategico è ora alla pari poiché sta finalmente operando secondo la stessa mentalità dei suoi avversari lo sono già da anni. Ciò rafforzerà la sua determinazione a continuare a fare tutto il possibile per accelerare i processi multipolari, che richiedono prima di tutto il mantenimento della linea di controllo (LOC).

La nuova grande visione strategica di Putin

Nel perseguimento di quell’obiettivo più immediato, la Russia riprenderebbe effettivamente la partecipazione al processo di pace precedentemente sabotato fintanto che alcune condizioni sono almeno superficialmente soddisfatte, ma nessuno dovrebbe interpretare quel potenziale sviluppo come un segnale di debolezza strategica da parte sua, a differenza dei tempi passati. La differenza tra allora e adesso è che il presidente Putin ha imparato molte lezioni dolorose, quindi non si sfrutterà più i suoi gesti di buona volontà.

Considerando che il processo di pace di Minsk, col senno di poi, non è stato altro che un mezzo per manipolare le percezioni del presidente Putin al fine di influenzarlo affinché eserciti moderazione e quindi guadagnare tempo affinché Kiev si prepari per un’offensiva finale nel Donbass, qualunque processo serva da suo successore non sarà nulla ma un mezzo per il leader russo per guadagnare tempo affinché i processi multipolari continuino a proliferare a spese del Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e dei loro interessi egemonici unipolari.

Il grande obiettivo strategico del presidente Putin non è più “l’Europa da Lisbona a Vladivostok”, ma riformare le relazioni internazionali in piena collaborazione con i paesi del Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS SCO di cui la Russia fa parte, in modo che l’ordine mondiale diventa più democratico, equo e giusto. Ciò è in linea con la visione che ha presentato nel suo Manifesto Rivoluzionario Globale su cui si è basato nelle ultime due stagioni, che oggi può essere descritta come l’ideologia non ufficiale della sua Grande Potenza.

Pensieri conclusivi

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi , che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

La transizione sistemica globale sta attualmente procedendo su questa strada, ma richiede ancora tempo per diventare irreversibile, il che a sua volta richiede che la Russia detenga il LOC. Che sia militare, politico o una combinazione di questi due mezzi suddetti, il presidente Putin dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per guadagnare tempo affinché questi processi multipolari guidati dall’India continuino a proliferare a tal fine, il che garantisce che il conflitto ucraino continuerà protratta indipendentemente da ciò che qualcuno dice.

https://korybko.substack.com/p/merkels-admission-that-minsk-was

La traduzione della intervista di Angela Merkel a die Zeit

Il suo predecessore Helmut Kohl sedeva nel nuovo ufficio di Angela Merkel quando era ex cancelliere. Si trova al quinto piano di un edificio disadorno della RDT, in cui risiedeva Margot Honecker come ministro della Pubblica Istruzione, Unter den Linden, tra l’Hotel Adlon e l’ambasciata russa. Per l’intervista ha scelto la sala conferenze sullo stesso piano, che offre una splendida vista su Pariser Platz e sulla Porta di Brandeburgo. La sua consigliera politica Beate Baumann è sempre presente. Prima che cominci si scattano le foto, in fretta, perché alla Merkel non piace essere fotografata. Anche il motivo per cui è così avrà un ruolo nella conversazione. Poi le telecamere sono sparite, la Merkel si rilassa. Ora è fuori sede da un anno. In passato, la semplice domanda “Come stai?” poteva destare sospetti. Oggi trova appropriata una domanda del genere, afferma la Merkel e fa un ironico muso alla Merkel. “E vorrei anche rispondere che personalmente sto bene.” Tuttavia, trova deprimente la situazione politica generale. Come tutti gli ex cancellieri, Angela Merkel ha il diritto di essere chiamata “Frau Bundeskanzlerin”. Kohl era felice di essere chiamato Cancelliere anche dopo aver lasciato l’incarico, e quando era Cancelliere chiese anche il suo “Dr.” Preferisce: la signora Merkel.

DIE ZEIT: Signora Merkel, lei non è più cancelliera, ma ha ancora lo stesso aspetto di prima.

Angela Merkel: Pensavi che sarei venuta con una coda di cavallo? I miei vestiti sono pratici per me, ho stretto amicizia con l’acconciatura. Certo, ti incontro come Cancelliere a. D. Ma da ciò si può trarre la conclusione inversa che io non ho svolto un ruolo artificioso come Cancelliere. Quello ero io. Ed è quello che sono oggi, in una forma un po’ più opportuna, mettiamola così. Devo prestare meno attenzione al trucco. Ma posso rassicurarti: non mi siedo in giacca nel mio salotto. Prenderò un cardigan.

ZEIT: Nel 2019, hai ricevuto il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy di tutte le persone davanti alla Cancelleria e improvvisamente hai iniziato a tremare molto male e visibile a tutti. La donna privata Merkel ha intralciato la cancelliera Merkel?

Merkel: Quello è stato sicuramente un momento deprimente. In un certo senso sono svenuto per un attimo, e questo in una situazione molto ufficiale, alla rimozione delle onorificenze militari. Ovviamente c’era molta tensione che si accumulava in me. Aveva a che fare con la morte di mia madre. Non ho avuto abbastanza tempo per accompagnarla nelle sue ultime settimane. Faceva anche caldo, come sempre, gli obiettivi delle macchine fotografiche erano puntati su di me come canne di fucile e all’improvviso ho avuto questa sensazione: sei completamente trasparente.

ZEIT: La scrittrice americana Siri Hustvedt ha avuto esperienze simili e ha scritto un libro a riguardo, The Trembling Woman. In esso si chiede: ho paura di qualcosa che mi è completamente nascosto? Ti sei fatto una domanda del genere?

Merkel: Mi sono chiesto: che cos’è? Era chiaro, c’era qualcosa che non riesco ad articolare. Questo è avvenuto verso la fine del mio mandato e anche dopo la decisione di non ripresentarsi. Ed era fondamentalmente un’altra indicazione che questa decisione era quella giusta.

ZEIT: Pensi che noi in Germania arriveremo mai così lontano che anche un politico di alto livello possa dire in una situazione del genere: ho cercato un aiuto psicoterapeutico?

Merkel: Non dovevo, ma non mi dispiacerebbe se lo dicesse un politico. Ovviamente sono andato dal dottore per assicurarmi che tutto andasse bene dal punto di vista neurologico, ero e sono ancora interessato alla mia salute.

ZEIT: Diresti che la natura o Dio ti ha benedetto con una certa impavidità?

Merkel: Fiducia in Dio, direi, o ottimismo, sì.

ZEIT: Hai avuto a che fare con Helmut Kohl, nel cui ufficio sei ora seduto. Era un peso massimo politicamente, ma anche fisicamente un colosso. Ci voleva una certa impavidità per incontrarlo.

Merkel: L’ho sperimentato anche in altri contesti con uomini in politica: si usano anche la voce più profonda, il corpo molto più grande, entrambi. L’ex ministro federale Rexrodt poteva parlare al microfono sopra la mia testa, anche se avevo lottato per un posto in prima fila. Helmut Kohl poteva anche parlare a voce molto alta quando era arrabbiato.

ZEIT: Vuoi dire che poi ha urlato?

Merkel: Allora è stato enorme e hai dovuto considerare se volevi e potevi resistergli. Il fatto che a volte dicessi cose insolite per la pratica politica ha a che fare con il mio background. Non sono stato modellato dall’unione studentesca, dall’unione dei giovani, dall’RCDS fin dall’infanzia, ma sono venuto con la mia lingua e le mie idee. Questo a volte era evidente e ad alcuni sembrava senza paura, ma non lo era.

ZEIT: Lei ha detto più volte che il fatto che la RDT sia crollata meno per mancanza di libertà democratiche che per il fatto che non funzionava economicamente le ha dato da pensare. Il nostro ex redattore Helmut Schmidt, come qualcuno che aveva vissuto una dittatura e non era del tutto irreprensibile, ha affermato che una certa sfiducia nei confronti del suo stesso popolo è rimasta come conseguenza. Anche tu hai qualcosa del genere?

Merkel: Non la chiamerei sfiducia nei confronti della propria gente, ma sfiducia generale nei nostri confronti, perché le persone sono capaci dell’incomprensibile. La Germania ha portato questo agli estremi in un modo terribile sotto il nazionalsocialismo. Ecco perché sono così convinto che la struttura del nostro Stato e la Legge fondamentale contengano un alto grado di saggezza, in cui l’indipendenza della stampa, della magistratura, i processi democratici sono ben pensati. Quanto è veloce mettere in discussione questo, ad esempio per dichiarare non plausibili le sentenze dei tribunali. Ad esempio, io stesso sono stato rimproverato dalla Corte costituzionale federale per aver affermato nel 2019 che il risultato delle elezioni del primo ministro in Turingia a febbraio deve essere ribaltato con i voti dell’AfD. Avrei potuto dire molto su questa decisione, ma non l’ho fatto, dovevo e devo rispettarla. Non dobbiamo mai ammorbidirci qui.

ZEIT: Teme che il sistema possa collassare di nuovo velocemente?

Merkel: Deve essere vissuta da ogni individuo, altrimenti può crollare rapidamente. Ecco perché non mi piacciono detti come la “bolla di Prenzlauer Berg”. Ovviamente non è tutta la Germania, ma non dobbiamo mai dichiarare alcuni degli individui in un paese come estranei e il resto come rappresentanti della vera democrazia, per così dire. Questo non finisce bene.

ZEIT: Il tuo cancelliere è stato fortemente influenzato da una questione che è emersa relativamente tardi: la politica dei rifugiati nel settembre 2015. In questo contesto, in risposta a domande critiche sulle conseguenze della tua politica liberale, hai detto: “Se ora iniziamo a dover chiedere scusa perché mostriamo un volto amico nelle situazioni di emergenza, allora questo non è il mio paese”. Molti hanno trovato questa frase molto autoritaria e anche ostracistica. Ad alcuni sembrava che tu avessi il diritto di dettare come dovrebbe essere il paese.

Merkel: Quando ho sentito quella frase, avevo in mente le persone nella stazione ferroviaria principale di Monaco che stavano accogliendo i rifugiati in arrivo. Ho visto la mia decisione di farli entrare come coerente con i nostri diritti e valori fondamentali. E ho voluto sostenere questi valori fondamentali con la frase.

ZEIT: Ma la frase aveva una sorta di messaggio per la gente, no?

Merkel: Non pensavo a questa frase da giorni. È stata una risposta molto emotiva, ma ancora non casuale. Ciò si basava sulla mia comprensione che la dignità umana non dovrebbe essere solo qualcosa di un discorso domenicale, ma ha implicazioni pratiche. Marchiarlo come autoritario e dire: beh, ecco come sono i tedeschi dell’est, stanno dalla parte del paese – ho pensato che fosse audace.

ZEIT: Non è mai stato turbato dal pensiero che le sue politiche abbiano comunque contribuito in modo significativo alla divisione del Paese?

Merkel: Certo che mi preoccupava. E naturalmente, politicamente, è sempre meraviglioso quando il 90% è d’accordo, e preferibilmente anche la mia opinione. Ma ci sono situazioni in cui le polemiche non possono essere evitate. Ho aiutato le persone che si trovavano davanti alla nostra porta, per così dire, e allo stesso tempo ho contribuito ad affrontare le cause profonde della fuga con l’accordo UE-Turchia, tra le altre cose.

ZEIT: Come politico a cui si dice piaccia pensare dalla fine, hai anticipato il prezzo di questa polemica, quindi l’hai accettato?

Merkel: Credevo che questa discussione potesse essere vinta. Ed ero fermamente convinto che dovevo correre questo rischio perché, al contrario, avrebbe diviso anche la società se non l’avessi fatto.

ZEIT: Agiresti diversamente in qualsiasi momento oggi?

Merkel: No!

ZEIT: In nessun momento?

Merkel: Certo che sto imparando. Ecco perché, guardando indietro, lavorerei molto prima per evitare che si verifichi una situazione come quella dell’estate 2015, ad esempio aumentando gli importi del Programma alimentare mondiale per i campi profughi nei paesi vicini che sono particolarmente colpiti dalla migrazione, come hanno fatto i nostri.

ZEIT: Nella sua cancelleria, il numero delle crisi e la loro simultaneità è aumentato di anno in anno…

Merkel: Nella mia memoria, i primi due anni sono stati un periodo molto tranquillo, poi è iniziato con la crisi finanziaria globale, la crisi dell’euro , Anche le notizie sulla protezione del clima si sono ripetutamente deteriorate. Dopo la prima segnalazione del Club di Roma, sembrava che in realtà le cose fossero andate un po’ meglio del previsto. Con ogni rapporto dell’International Climate Council IPCC, tuttavia, è diventato più allarmante, tanto che sorge la domanda se abbiamo ancora il tempo di reagire in modo appropriato. Ma forse le crisi sono la norma nella vita umana e abbiamo avuto solo pochi anni speciali.

ZEIT: Si chiede se gli anni di relativa calma siano stati anche anni di omissioni e se lei non sia stato solo un gestore di crisi, ma anche in parte la causa delle crisi?

Merkel: Non sarei una persona politica se non me ne occupassi. Prendiamo la protezione del clima, in cui la Germania ha fatto molto nel confronto internazionale. Per quanto riguarda l’argomento in sé, tuttavia, ammetto: misurato da ciò che dice oggi l’International Climate Report dell’IPCC, non è successo abbastanza. Oppure diamo un’occhiata alla mia politica nei confronti della Russia e dell’Ucraina. Arrivo alla conclusione che ho preso le decisioni che ho preso allora in un modo che posso capire oggi. Era un tentativo di prevenire proprio una guerra del genere. Il fatto che ciò non abbia avuto successo non significa che i tentativi fossero sbagliati.

ZEIT: Ma puoi ancora trovare plausibile il modo in cui hai agito in circostanze precedenti e considerarlo ancora sbagliato oggi alla luce dei risultati.

Merkel: Ma questo presuppone anche dire quali fossero esattamente le alternative in quel momento. Ho pensato che l’avvio dell’adesione alla NATO di Ucraina e Georgia, discusso nel 2008, fosse sbagliato. I paesi non avevano i presupposti necessari per questo, né le conseguenze di tale decisione erano state pienamente considerate, sia per quanto riguarda le azioni della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, sia per quanto riguarda la NATO e le sue regole di assistenza. E l’accordo di Minsk del 2014 è stato un tentativo di dare tempo all’Ucraina. Nota d. Red.: L’accordo di Minsk è un insieme di accordi per le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, che si sono staccate dall’Ucraina sotto l’influenza russa. L’obiettivo era guadagnare tempo con un cessate il fuoco per poi giungere a una pace tra Russia e Ucraina. Ha anche usato questo tempo per diventare più forte, come puoi vedere oggi. L’Ucraina del 2014/15 non è l’Ucraina di oggi. Come avete visto nella battaglia per Debaltseve (città ferroviaria nel Donbass, Donetsk Oblast, ndr) all’inizio del 2015, Putin avrebbe potuto facilmente sopraffarli in quel momento. E dubito fortemente che i paesi della NATO avrebbero potuto fare tanto quanto fanno adesso per aiutare l’Ucraina.

ZEIT: Nella tua prima apparizione pubblica dopo la fine del tuo cancelliere, hai detto di aver riconosciuto già nel 2007 come Putin pensa all’Europa e che l’unica lingua che capisce è la durezza. Se questa consapevolezza è arrivata così presto, perché ha perseguito una politica energetica che ci ha reso così dipendenti dalla Russia?

Merkel: Era chiaro a tutti noi che il conflitto era congelato, che il problema non era stato risolto, ma questo ha dato all’Ucraina tempo prezioso. Naturalmente, ora ci si può porre la domanda: perché la costruzione del Nord Stream 2 è stata ancora approvata in una situazione del genere?

ZEIT: Sì, perché? Tanto più che all’epoca c’erano già critiche molto forti alla costruzione del gasdotto, ad esempio dalla Polonia e dagli Stati Uniti.

Merkel: Sì, si potrebbero arrivare a opinioni diverse. Di cosa si trattava? Da un lato, l’Ucraina ha attribuito grande importanza a rimanere un paese di transito per il gas russo. Voleva incanalare il gas attraverso il suo territorio e non attraverso il Mar Baltico. Oggi a volte si agisce come se ogni molecola di gas russo provenisse dal diavolo. Non è stato così, il gas è stato contestato. D’altra parte, non era il caso che il governo federale avesse richiesto l’approvazione del Nord Stream 2, lo hanno fatto le società. Alla fine, per il governo federale e per me, si trattava di decidere se avremmo fatto una nuova legge come atto politico per rifiutare espressamente l’approvazione del Nord Stream 2.

ZEIT: Cosa ti ha impedito di farlo?

Merkel: Da un lato, un tale rifiuto in combinazione con l’accordo di Minsk avrebbe, a mio avviso, peggiorato pericolosamente il clima con la Russia. D’altra parte, la dipendenza dalla politica energetica è nata perché c’era meno gas dai Paesi Bassi e dalla Gran Bretagna e volumi di produzione limitati in Norvegia.

ZEIT: E c’è stata la graduale eliminazione dell’energia nucleare. Iniziato anche da te.

Merkel: Esatto, e anche la decisione trasversale di produrre meno gas in Germania. Avresti dovuto decidere di acquistare GNL più costoso dal Qatar o dall’Arabia Saudita, gli Stati Uniti sono diventati disponibili come nazione di esportazione solo in seguito. Ciò avrebbe notevolmente peggiorato la nostra competitività. Oggi, sotto la pressione della guerra, questo è ciò che sostengo, ma all’epoca sarebbe stata una decisione politica molto più massiccia.

ZEIT: Avresti dovuto prendere comunque questa decisione?

Merkel: No, tanto più che non ci sarebbe stata alcuna accettazione. Se mi chiedi un’autocritica, ti faccio un altro esempio.

ZEIT: Tutto il mondo aspetta una parola di autocritica!

Merkel: Può essere così, ma l’atteggiamento dei critici non corrisponde alla mia opinione su molti punti. Inchinarsi semplicemente ad esso solo perché è previsto, penso che sarebbe economico. Avevo così tanti pensieri allora! Sarebbe decisamente un segno di inadeguatezza se, tanto per avere un po’ di pace e senza pensarci davvero così, dicessi semplicemente: Oh, giusto, adesso me ne rendo conto anch’io, è stato sbagliato. Ma ti dirò un punto che mi preoccupa. Ha a che fare con il fatto che la Guerra Fredda non è mai veramente finita perché la Russia non era sostanzialmente in pace. Quando Putin ha invaso la Crimea nel 2014, è stato espulso dal G8. La NATO ha anche di stanza truppe negli Stati baltici per dimostrare che noi, come NATO, siamo pronti a difendere. Inoltre, noi dell’Alleanza abbiamo deciso di spendere il due per cento del prodotto interno lordo di ciascun paese per la difesa. La CDU e la CSU erano le uniche che lo avevano ancora nel loro programma di governo. Ma anche noi avremmo dovuto reagire più rapidamente all’aggressività della Russia. La Germania non ha raggiunto l’obiettivo del due per cento nonostante l’aumento. E non ho nemmeno tenuto un discorso appassionato al riguardo tutti i giorni.

ZEIT: Perché no? Perché segretamente pensavi di non averne bisogno?

Merkel: No, ma perché ho agito secondo il principio di Helmut Kohl: ciò che conta è ciò che viene fuori alla fine. Fare un discorso entusiasmante solo per finire come scendiletto non avrebbe aiutato il budget. Ma quando guardo alla storia per le ricette di successo, arrivo alla decisione a doppio binario della NATO…

ZEIT: … grazie a questa decisione Helmut Schmidt alla fine ha perso il suo cancelliere…

Merkel: Esatto, il che non fa che aumentare il mio rispetto per lui era aumentato. Ciò che è stato intelligente nella decisione a doppio binario della NATO è stato il doppio approccio di retrofitting e diplomazia. Tradotto nell’obiettivo del 2 percento, ciò significa che non abbiamo fatto abbastanza per scoraggiare aumentando la spesa per la difesa.

ZEIT: Per un ritratto in Der Spiegel, lei ha detto quanto segue ad Alexander Osang: “Tollerare le critiche fa parte della democrazia, ma allo stesso tempo la mia impressione è che un presidente americano sia trattato in pubblico con più rispetto di un cancelliere tedesco”. Cosa intendevi esattamente con quello?

Merkel: Da un lato intendevo dire che oggi le decisioni politiche del passato vengono giudicate molto velocemente senza richiamare il contesto ed esaminare criticamente le alternative. La seconda cosa è che alcune persone semplicemente non sono d’accordo sul fatto che io abbia lasciato l’incarico volontariamente dopo 30 anni in politica e 16 anni come Cancelliere federale, alla tenera età di 67 anni, e ora dicono che vorrei prendere “appuntamenti di benessere”. Per me, questo significa che non devo sempre giustificarmi se voglio anche impostare la mia agenda. Non voglio sempre essere guidato da ciò che mi viene incontro dall’esterno.

ZEIT: Intendi anche la discussione sull’arredamento del tuo ufficio? C’è stata una mancanza di comprensione sul fatto che impieghi nove persone.

Merkel: Questo è forse un effetto collaterale. Quale prova di prestazione devo fornire che l’attrezzatura sia giustificata?

ZEIT: All’inizio del suo mandato lei ha sottolineato che in passato c’erano culture avanzate apparentemente invincibili che sono crollate perché non potevano cambiare abbastanza velocemente. Potrebbe essere che, nonostante tutte le conoscenze sul grado di riscaldamento globale, l’umanità semplicemente non riesca a organizzare la propria sopravvivenza perché non tutti vogliono mettersi insieme?

Merkel: Il mio motto in politica è sempre stato: possiamo farcela ed è per questo che non ho mai affrontato scenari apocalittici come politico, ma ho sempre cercato soluzioni. Come cittadino, puoi farti la domanda, ma siccome sono ancora in una fase intermedia, direi che dobbiamo fare tutto il possibile perché proprio questo non accada.

ZEIT: 30% di emissioni cinesi di CO₂, quasi il 2% tedesche, questi sono i numeri.

Merkel: Ma questo non giustifica il fatto che non dobbiamo fare nulla. Possiamo essere un modello, anche se altri non stanno ancora seguendo l’esempio. La Cina è il più grande emettitore oggi, giusto. È rivale, concorrente e partner allo stesso tempo. Farlo bene sarà la grande questione diplomatica del futuro. Ma la guerra in Ucraina ha ancora una volta drammaticamente peggiorato le possibilità di salvare il clima, perché rischia di passare in secondo piano.

ZEIT: Hai idea di come possa finire questa guerra? Ed è completamente fuori discussione che tu possa avere un ruolo in esso?

Merkel: La seconda domanda non si pone. Al primo: Ad essere onesti, non lo so. Terminerà i negoziati un giorno. Le guerre finiscono al tavolo dei negoziati.

ZEIT: Proprio perché questa guerra ha avuto effetti così drammatici, la questione di quando e in quali circostanze avviare i negoziati può essere lasciata solo all’Ucraina?

Merkel: C’è una differenza tra una pace dettata, che io, come molti altri, non voglio, e discussioni amichevoli e aperte tra loro. Non voglio dire di più al riguardo.

ZEIT: Tanti imprevisti sono accaduti durante e dopo il suo mandato. Avresti mai immaginato che negli ultimi anni del tuo cancelliere e ancora oggi le critiche più dure arrivassero e continuino ad arrivare dalla Springer-Verlag – con la cui casa editrice hai un rapporto di amicizia?

Merkel: La libertà di stampa è una risorsa molto importante. (sorride)

ZEIT: Lasci che le critiche ti raggiungano? Hai letto l’immagine?

Merkel: Anche se non li leggo, è garantito che ci sarà qualcuno che mi terrà le critiche sotto il naso.

ZEIT: Quando sei partito un anno fa, come tutti i cancellieri uscenti, potevi scegliere tre canzoni. Tra le altre cose, hai selezionato Lascia che piovano rose rosse per me. Dice: »… sottometti, contenuto. Non posso sottomettermi, non posso essere soddisfatto, voglio ancora vincere, voglio tutto o niente’ e poi ‘riqualificarmi lontano dal vecchio, per ottenere il massimo da ciò che mi aspetta’. rappresentante di Angela Merkel all’interno?

Merkel: Ho scelto la canzone nel suo insieme. Volevo dire che non vedo l’ora che arrivi un capitolo della mia vita. Ho vissuto cose meravigliose, è stato anche estenuante. Ma è stata una grande cosa: chi può diventare Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca? L’ho sempre fatto con gioia, e ora c’è ancora una certa tensione: cos’altro può succedere oltre a questo?

Ucraina, il conflitto 22a puntata_il regime Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Questa volta lasciamo da parte la cronaca militare per soffermarci su alcune caratteristiche e comportamenti del regime ucraino. Con l’accentuarsi della durezza del conflitto, si stringe la morsa del regime. Con esso emergono gli aspetti più torbidi e l’impronta ideologica sempre più marcata e dissonante dalla narrazione che ci viene propinata quotidianamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v204u3k-ucraina-il-conflitto-22a-puntata-con-stefano-orsi-e-max-bonelli.html

La richiesta sottolineata dalla Russia all’India di aumentare le esportazioni di 5 volte è strategicamente significativa, di Andrew Korybko

La Russia non si sta “sganciando” dalla Cina, ma si sta attivamente diversificando da essa con l’intento di scongiurare in modo sostenibile lo scenario della sua dipendenza potenzialmente sproporzionata dalla Repubblica popolare, precedentemente compensata dall’India che fungeva da valvola alternativa della Russia dalla pressione occidentale. La completa espansione della connettività economica con l’India attraverso il corridoio di trasporto nord-sud integra gli sforzi correlati della Russia con l’Iran per aprire la strada a un nuovo asse eurasiatico per accelerare le tendenze multipolari.

Rapporto rivelatore di Reuters

Reuters ha riferito all’inizio di questa settimana che la Russia ha condiviso con l’India una lista dei desideri di 14 pagine di oltre 500 prodotti industriali e materie prime che spera che il suo partner dia la priorità all’esportazione nel prossimo futuro. Fonti anonime dell’outlet hanno affermato che ciò include “parti per automobili, aerei e treni”, nonché “materie prime per produrre carta, sacchetti di carta e imballaggi di consumo e materiali e attrezzature per produrre tessuti, inclusi filati e coloranti”.

Nessuna delle due parti ha reagito al rapporto, ma Reuters ha condiviso le seguenti cifre che suggeriscono l’interesse dell’India a soddisfare la richiesta: “Le importazioni indiane dalla Russia sono cresciute di quasi cinque volte fino a raggiungere i 29 miliardi di dollari tra il 24 febbraio e il 20 novembre rispetto ai 6 miliardi di dollari nello stesso periodo di un anno fa. Le esportazioni, nel frattempo, sono scese a 1,9 miliardi di dollari da 2,4 miliardi di dollari, ha detto la fonte. L’India spera di aumentare le sue esportazioni a quasi 10 miliardi di dollari nei prossimi mesi con l’elenco delle richieste della Russia, secondo la fonte governativa”.

Questi dati mostrano che la Russia sta sostanzialmente chiedendo all’India di aumentare le sue esportazioni di un fattore cinque, il che aiuterebbe a soddisfare i bisogni materiali di Mosca di fronte alle sanzioni occidentali, aiutando anche Delhi a far fronte al crescente deficit commerciale. Gli interessi economici non sono gli unici che sarebbero serviti se ciò accadesse, tuttavia, poiché la lista dei desideri riportata è in realtà strategicamente significativa nel contesto più ampio della Nuova Guerra Fredda .

L’ascesa dell’India come grande potenza di importanza mondiale

La neutralità di principio dell’India nei confronti del conflitto ucraino , che è la principale guerra per procura in questo momento nella lotta mondiale tra il golden billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS SCO nel corso della transizione sistemica globale , è stata responsabile dell’ascesa astronomica di questo stato dell’Asia meridionale come grande potenza di importanza mondiale. Quei lettori che non l’hanno ancora capito dovrebbero rivedere le seguenti analisi per aggiornarsi:

* ” Tre articoli recenti dimostrano che il mondo sta finalmente apprezzando il bilanciamento dell’India 

* ” Analizzare l’interazione USA-Cina-Russia-India nella transizione sistemica globale 

* “ ‘Conviverci’: la schietta risposta dell’India alle critiche occidentali alla sua politica nei confronti della Russia 

* ” The Economist ha torto: l’India non è ‘affidabilmente inaffidabile’ 

* ” Korybko a Rajagopalan: la neutralità di principio dell’India garantisce effettivamente la sua sicurezza 

L’ultimo pezzo include un elenco di quasi quattro dozzine di analisi correlate per quegli intrepidi lettori che vogliono saperne di più su come il partenariato strategico russo-indiano abbia letteralmente cambiato il corso degli affari globali. Tra quelli di più diretta pertinenza con il presente articolo c’è quello enumerato su come “ Russia, Iran e India stanno creando un terzo polo di influenza nelle relazioni internazionali ”, che assume un’importanza accresciuta alla luce di una recente dichiarazione di un alto funzionario iraniano.

Il nuovo asse eurasiatico

Il capo dell’Organizzazione per la promozione del commercio del paese Alireza Peyman-Pak ha dichiarato all’International Forum-Exhibition Russian Industrialist che “Abbiamo raggiunto accordi quadro sulle questioni dei progetti congiunti di costruzione e progettazione, progettazione e produzione congiunte di turbine, costruzione navale, materiale rotabile, elicotteri e costruzione di aeromobili, jet, nonché trattori e attrezzature agricole. Questa divulgazione integra l’elenco delle richieste che la Russia avrebbe presentato all’India.

Abbinando i due insieme, diventa chiaro che la Russia mira ad accelerare l’emergente connettività economica globale tra se stessa, l’India e l’Iran facendo in modo che i suoi due partner di grande potenza esportino le loro merci lungo il corridoio di trasporto nord-sud (NSTC). Si prevede che tale percorso costituisca la base fisica di un nuovo asse eurasiatico che massimizzerà le capacità di bilanciamento della Russia nei confronti della Cina, scongiurando in modo sostenibile lo scenario di una potenziale dipendenza sproporzionata da quel paese.

Tale possibilità era già compensata dal fatto che l’India fungeva da valvola alternativa della Russia dalla pressione delle sanzioni occidentali all’inizio della sua operazione speciale, eliminando quindi preventivamente quello scenario dall’equazione strategica, ma deve essere tangibilmente sostenuta, ergo i piani di Mosca per accelerare la connettività economica globale con Delhi tramite l’NSTC come guidato dall’elenco di richieste riportato. Per addolcire l’affare, c’è anche la possibilità di aggiungere un’allettante dimensione energetica anche a questo asse emergente.

Geopolitica Energetica

Il rapporto della scorsa estate secondo cui Gazprom si è impegnata a investire 40 miliardi di dollari nel settore energetico iraniano ha notevolmente aumentato la probabilità di scambi di risorse tra di loro per soddisfare in modo più efficiente le crescenti esigenze dell’India. L’ unione del gas trilaterale che il presidente Putin ha proposto all’inizio di questa settimana durante un incontro con la sua controparte kazaka tra i loro paesi e l’Uzbekistan potrebbe integrare quanto sopra facilitando la costruzione di un gasdotto trans-afghano verso l’India attraverso il Pakistan.

Questa valutazione è stata condivisa da Alexey Grivach, vice capo del National Energy Security Fund ed esperto del prestigioso Valdai Club, che è ampiamente riconosciuto come il think tank più influente della Russia. Secondo lui, “per accedere (direttamente) [al mercato dell’Asia meridionale], dobbiamo coinvolgere il Turkmenistan nel progetto e risolvere il problema della sicurezza in Afghanistan. Il lavoro in questa direzione è già in corso, ma è evidente che si tratta di un compito molto difficile”.

Questa intuizione aggiunge un contesto più profondo ai legami amichevoli della Russia con i talebani e al suo riavvicinamento con il Pakistan nell’ultimo mezzo decennio, il primo dei quali considera quella grande potenza eurasiatica come il partner prioritario per il suo atto di equilibrio geoeconomico, mentre il secondo ha mantenuto relazioni pragmatiche con Mosca nonostante il colpo di stato postmoderno orchestrato dagli Stati Uniti di aprile rimane interessata a concludere accordi energetici. Come ha detto Grivach, “questo è un compito molto difficile”, ma non è impossibile e aiuterebbe l’India se avesse successo.

Lo scopo nel richiamare l’attenzione sulle possibilità di cui sopra è sottolineare che la Russia sta dando la priorità alla connettività tra la metà settentrionale e quella meridionale dell’Eurasia al fine di integrare i corridoi est-ovest esistenti, che servono anche a bilanciare in modo più sostenibile la Cina. La geopolitica energetica della Russia con Cina e India è reciprocamente vantaggiosa, ma la tendenza generale è che l’India sta rapidamente sostituendo la Cina come partner più affidabile della Russia nel mondo.

L’India è un partner più affidabile per la Russia rispetto alla Cina

Il tacito rispetto da parte della Cina delle sanzioni anti-russe e la sua dichiarata pausa delle importazioni di petrolio in vista dell’incombente tetto massimo dei prezzi dell’Occidente (nonostante quest’ultimo sia solo minuscolo rispetto alle importazioni di gasdotti) si stanno verificando durante le discussioni con gli Stati Uniti su una nuova distensione . Quei colloqui sono stati catalizzati dalle conseguenze sistemiche del conflitto ucraino che si sono sommate prima di quelle della guerra commerciale e del COVID per rendere la Repubblica popolare strategicamente più vulnerabile che in qualsiasi momento negli ultimi 50 anni .

Per essere assolutamente chiari , il potenziale esito di queste due superpotenze che accettano una serie di compromessi reciproci volti a ripristinare l’equilibrio di interessi tra di loro non dovrebbe avvenire a scapito delle relazioni strategiche della Cina con la Russia. Tuttavia, Mosca è consapevole di queste dinamiche emergenti e cerca comprensibilmente di riequilibrare in modo proattivo i propri interessi di conseguenza al fine di proteggersi dai rischi latenti, da qui l’entusiasmo con cui prevede di ridimensionare economicamente i legami con l’India.

Quello stato dell’Asia meridionale ha respinto tutte le pressioni degli Stati Uniti per prendere le distanze dalla Russia e ha invece raddoppiato il suo impegno per espandere in modo completo le relazioni strategiche con Mosca, nonostante la vicinanza di Delhi con il Golden Billion. Al contrario, nonostante la vicinanza della Cina con la Russia, si attiene tacitamente alle sanzioni anti-russe ed è ora in trattative con gli Stati Uniti per “normalizzare” le loro relazioni. Tuttavia, né l’India né la Cina stanno “tradendo” gli Stati Uniti o la Russia, poiché ognuno sta solo riequilibrando le proprie grandi strategie.

Speculazioni screditanti su un “disaccoppiamento” russo-cinese

La transizione sistemica globale verso il multipolarismo ha preceduto di gran lunga l’operazione speciale che la Russia è stata provocata dalla NATO a iniziare in Ucraina, ma ne è stata accelerata senza precedenti, dopodiché i processi caotici si sono moltiplicati in tutto il mondo e hanno portato a reazioni inaspettate da parte dei principali attori. Nessuno aveva previsto che l’India sarebbe intervenuta per scongiurare preventivamente la dipendenza potenzialmente sproporzionata della Russia dalla Cina, né nessuno aveva previsto che la Cina avrebbe successivamente cercato di ricucire i suoi legami con gli Stati Uniti.

Questi due sviluppi interconnessi possono essere entrambi descritti come tra i cigni neri più significativi emersi dall’ultima fase del conflitto ucraino in quanto nessuno se li aspettava, ma alla fine hanno avuto un impatto importante sul corso delle relazioni internazionali. Tornando all’evento di cronaca che ha ispirato il presente pezzo, questo è il grande contesto strategico all’interno del quale, secondo quanto riferito, la Russia ha chiesto all’India di aumentare di cinque volte le sue esportazioni.

Quella grande potenza eurasiatica non si sta “separando” dalla Repubblica popolare, ma si sta attivamente diversificando da essa con l’intento di scongiurare in modo sostenibile lo scenario della sua dipendenza potenzialmente sproporzionata dalla Cina che era stata precedentemente compensata dall’India che fungeva da valvola alternativa della Russia dalla pressione occidentale . L’espansione completa della connettività economica con l’India tramite l’NSTC integra gli sforzi correlati della Russia con l’Iran per aprire la strada a un nuovo asse eurasiatico per accelerare le tendenze multipolari.

Pensieri conclusivi

Il risultato previsto è che questi tre partner formino collettivamente un terzo polo di influenza nell’ordine mondiale emergente per infliggere un colpo mortale alla gestione finora de facto delle relazioni internazionali del duopolio di superpotenza sino-americana attraverso il loro sistema di bi-multipolarità . Ognuno di loro ha un interesse nella transizione sistemica globale superando quella suddetta impasse al fine di continuare la sua evoluzione verso la tripolarità prima della sua forma finale di multipolarità più complessa (“multiplexity”) .

Proprio come le discussioni in corso tra Cina e Stati Uniti su una nuova distensione non sono intese da Pechino a spese della Russia, dell’India o dell’Iran, né le mosse coordinate di questi tre verso la tripolarità/multiplessità sono destinate a essere a carico della Cina. In virtù del fatto che la Cina è praticamente una superpotenza e che queste tre sono grandi potenze, hanno naturalmente interessi sistemici diversi a causa dei loro diversi posti nella gerarchia internazionale de facto.

Queste sono le grandi dinamiche strategiche come discutibilmente esistono, la cui analisi dettagliata nel corso di questo pezzo dovrebbe, si spera, infondere agli osservatori una comprensione più profonda degli interessi correlati di ciascuna parte. Nessuno dei due dovrebbe essere giudicato o sospettato di “tradire” l’altro poiché stanno semplicemente perseguendo i propri interessi così come li intendono. Tutti e quattro rimangono ancora impegnati nello spirito del multipolarismo, lo stanno solo facendo in modo diverso, il che dovrebbe essere riconosciuto e non negato.

DILEMMI MULTIPOLARI, di Pierluigi Fagan

DILEMMI MULTIPOLARI. Inizia oggi la tre giorni di Xi Jinping in Arabia Saudita. Raro Xi prenda l’aereo e vada fuori il suo Paese. La visita si articolerà in tre giorni e tre riunioni: bilaterale, Cina e Paesi del Golfo, Cina a Paesi arabi. la composizione di quest’ultimo non è al momento chiara. Vediamo in breve il significato.
Il primo e più importante è il venirsi a formare di due modelli di relazioni internazionali. Da una parte quello centrato sugli USA che di recente sembra propendere per una astiosa contrapposizione contro tutti coloro che non uniformano alle forme del modello lib-dem e dall’altra tutti gli altri. Questi altri procedono condividendo relazioni economiche e finanziarie di mercato, in modalità “doux commerce” à la Montesquieu. La formula delle relazioni bilaterali tra questi Paesi è “il rispetto per la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale e la non interferenza negli affari interni reciproci” che è il focus di IR cinese ma che già lo fu alla fondazione settanta anni fa del forum dei paesi non allineati, una configurazione terza rispetto alla contesa tra i due blocchi della guerra fredda che i più si dimenticano di considerare nelle analisi su gli ultimi settanta anni di storia.
Questo punto è assai rilevante. La Cina si presenta non come modello ma come partner, una posizione basata sul principio di reciprocità. Il mondo è pieno di diversità, ma tutti vogliamo star meglio. Star meglio significa sostanzialmente pace e sviluppo economico da riversare in consenso sociale e politico. Questo sul piano formale, su quello sostanziale, la Cina è oggi il principale soggetto statale dotato di capacità di investimento. Ognuno poi a casa sua fa come crede ma ci si incontra poi al crocevia degli scambi, al mercato potremmo dire, antichissima istituzione umana che risale alla notte dei tempi e su cui arabi e cinesi sono storicamente maestri.
Per la Cina, il “mondo arabo” è triplicemente importante: in sé per sé, per sottrarlo all’egemonia occidental-americana, come cerniera verso l’Africa. Quanto all’in sé per sé si declina in questioni energetiche sulle quali gli USA sono ormai autonomi mentre la Cina ha interesse a diversificare i fornitori e non legarsi in maniera troppo esclusiva alla Russia. Ma intorno a questo nucleo ci sono altri tre aspetti. Il primo è il reciproco sviluppo. Il giovane bin Salman, ma è questione che riguarda anche tutte le altre monarchie del Golfo, sa che in prospettiva la rendita energetica diminuirà ed è ora che bisogna avviare ipotetici progetti di diverso sviluppo economico il che, per paesi mono-risorsa e con ben poco di dotazione naturale e tradizione culturale economica moderna, non è facile.
Il secondo è la nascente convinzione che anni e decenni di conflitto armato da quelle parti non hanno portato alcun vantaggio. Dalla fine del conflitto siriano, in generale, da quelle parti soffiano venti di pace sostanziale. Si va dalla riappacificazione tra Qatar e sauditi, ai viaggi israeliani di qui e di là, ai colloqui riservati che vanno avanti da tempo tra sauditi ed iraniani, iraniani e turchi e così via. Fatti apparentemente banali di semplice soft power come i mondiali di calcio in corso, la stessa vittoria ieri del Marocco che è diventato il simbolo della rinascenza arabo-musulmana, forse anche i crescenti dubbi iraniani sulla c.d. “polizia morale”, sembrano dire che da quelle parti si sta formando una idea di comunità internazionale a modo suo simile a quella storicamente intesa dagli stessi occidentali, ma senza gli occidentali dentro. Sauditi ed affini sono da un po’ i maggiori acquirenti di armi, ma prima o poi si presenterà il dilemma tra spesa in armi e spesa in sviluppo.
Il terzo è molto rilevante e poco conosciuto. Noi stessi abbiamo a lungo scritto anni fa di come dietro al Qaida e soprattutto ISIS ci fossero chiari segni di presenza saudita-emiratina. Questo nucleo salafita-wahhabita era poi collegato a quello di diversa origine ma sostanziale similarità pakistano. Questa interpretazione integralista e ultra-tradizionalista dell’islam arrivava a turbare vaste porzioni del mondo musulmano non solo arabo o africano ma anche asiatico, i quattro “-stan” e ovviamente il Xinjiang cinese. Sappiamo che molta manovalanza ISIS nel conflitto siriano proveniva da quelle parti via Turchia. Forse poco noto a noi autocentrati sui destini occidentali ma più del 90% delle vittime di attentati di queste galassie di organizzazioni armate islamiche negli ultimi anni, erano nei paesi musulmani. La stessa penetrazione cinese in Africa deve farci i conti di convivenza. Sembra ora che in accordo anche con gli altri due punti, la strategia geopolitica di questa parte del mondo stia cambiando, la leva ideologico-religiosa sembra diventare meno importante, la cooperazione è in ascesa.
Quanto alla relativizzazione occidental-americana la faccenda è complicata e forse anche non così come l’abbiamo espressa sbrigativamente. Di fatto, l’Europa si sta sottraendo o tentennando ai legami progettuali sul progetto Vie della Seta, nel frattempo però i cinesi puntano all’Asia minore e l’Africa. Le strategie giocano su tempi medio-lunghi e nei fatti, l’Europa potrebbe trovarsi accerchiata dalla rete cinese-multipolare.
Ad un osservatore terzo, tutto ciò non potrà che esser giudicato come sostanzialmente positivo. Che questi Paesi cerchino la loro Via, commercino, si allaccino in reti di reciproco investimento, si scambino culture, è il modo penso auspicato da tutti di trovare un modo di convivenza planetaria in un mondo complesso. Ma forse, “l’osservatore terzo” è una astrazione, siamo tutti geo-storicamente e geo-politicamente collocati.
E veniamo appunto ai “dilemmi”. Qualche giorno fa, le cancellerie tedesco Scholz, ha rilasciato un lungo articolo sulla testata principe delle IR occidentali cioè americane: Foreign Affairs. Scholz ha introdotto un nuovo concetto: lo Zeitenwende, lo “spostamento tettonico epocale”, unitamente al riconoscimento ormai stabilito che la cifra della fase storica è il mondo multipolare, suoi ordini, assetti, problemi ed opportunità.
Lo Zeitenwende è tutta colpa di Putin, la rottura dei principi di convivenza stabiliti dalla carta dell’ONU e per altro anche dal semplice buonsenso. Non una parola sulla responsabilità europee o sulle comprensibili paturnie russe in fatto di sicurezza come fatto di recente da Macron, anzi, è colpa di Mosca se non si sono implementati gli Accordi di Minsk che erano l’unica strada perseguibile in Ucraina.
Da leggere la lunga requisitoria di Scholz contro Putin, un saggio di argomentazioni accusatorie perfettamente in linea con la posizione americo-anglosassone ed anche sintoniche con le idee dell’est Europa su cui Berlino ha rischiato di perdere la storica egemonia con i tentennamenti iniziali. Il pezzo di Scholz vale la pena di esser letto anche perché disegna una strategia del riarmo tedesco e la sua chiara volontà di porsi come futura forza armata di riferimento per l’intera Europa, fatto di non secondaria importanza a cui è legato anche un certo tipo di sviluppo di ricerca tecnologica e produzione industriale. Forse è questa prospettiva imposta nei primi giorni dagli americani che ha portato i tedeschi a cambiare atteggiamento da un giorno all’altro, quasi un anno fa. Ipotizzo che a Macron la lettura dell’articolo non piacerà, ma non è delle questioni interne la nostra area che qui volevamo parlare.
Se Scholz si mostra allineato e coperto nella strategia antirussa degli USA con portati energetici importanti ed altrettanto in termini NATO-Europa centro-nord/orientale, si smarca con decisione dall’idea di accettare il format democrazie-vs-autocrazie americano, quindi di iscriversi alla guerra fredda 2.0 voluta da Washington per mettere ordine al -per loro- “disordine” del mondo complesso. Per Berlino quindi, Europa dentro, Russia sotto ma NON Cina fuori. Infatti, l’ha visitata da poco con codazzo di industriali e banche a ribadire gli storici legami. Tutta l’industrializzazione cinese anni ’80-’90 quella a capitale 51% cinese e 49% partner nelle zone industriali speciali e poi in tutto il paese, era coi tedeschi. Insomma, il mercantilismo tedesco non ha alcuna intenzione di uscire dai circuiti finanziario-commerciali globali.
Le cronache del mondo nuovo multipolare e complesso ci impegneranno molto nei prossimi anni. Un vero peccato che la cultura politica media del nostro Paese ne sia completamente estranea nel pensiero quando ne è e sempre più ne sarà, dipendente nella sostanza.

Il manifesto per gli affari esteri di Olaf Scholz conferma le ambizioni egemoniche della Germania, di ANDREW KORYBKO

Il leader tedesco ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto in cui spiega perché il suo Paese debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista del Council on Foreign Affairs, considerato tra le piattaforme politiche più influenti nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti. Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La Polonia non è così paranoica come qualcuno ha ipotizzato

Il cardinale grigio polacco Jaroslaw Kaczynski non ha sbagliato a mettere in guardia di recente contro il dominio tedesco dell’Europa in commenti che hanno fatto eco a quelli di un anno fa con i quali- accusava quel Paese di voler costruire un “ Quarto Reich ”. Il suo paese in precedenza aveva esaltato la minaccia militare del suo vicino all’Europa centrale in modo che Varsavia consolidasse la sua influenza regionale, ma il manifesto del cancelliere Olaf Scholz per la rivista Foreign Affairs dimostra che le ambizioni egemoniche di Berlino esistono davvero.

La nuova cultura strategica della Germania

Intitolato ” The Global Zeitenwende: How to Avoid a New Cold War in a Multipolar Era “, il leader tedesco ha articolato la gamma di mezzi che il leader de facto dell’UE è pronto a impiegare per rafforzare in modo completo la sua influenza in tutto il blocco sulla base di presunte reazioni al conflitto ucraino . Il primo terzo del pezzo è solo una spiegazione di come tutto sia arrivato a questo punto dal punto di vista del suo governo, ma poi passa a parlare di politiche tangibili.

Nelle parole di Scholz, “il nuovo ruolo della Germania richiederà una nuova cultura strategica, e la strategia di sicurezza nazionale che il mio governo adotterà tra qualche mese rifletterà questo fatto”, che inquadra tutto ciò che segue nel suo articolo. La Russia è l’obiettivo principale di questa strategia, come dimostrato dal Cancelliere dichiarando che “la domanda guida sarà quali minacce noi e i nostri alleati dobbiamo affrontare in Europa, più immediatamente dalla Russia”.

Si è poi dato una pacca sulla spalla per aver promosso le riforme costituzionali all’inizio dell’anno per facilitare i piani del suo governo di esporre circa 100 miliardi di dollari per modernizzare la Bundeswehr, che ha accuratamente descritto come “segnare [ing] il più netto cambiamento nella politica di sicurezza tedesca dai tempi del costituzione della Bundeswehr nel 1955”. Il due percento del PIL sarà anche investito nella difesa in conformità con le precedenti richieste degli Stati Uniti ai suoi partner della NATO.

“Diplomazia militare”

Complementare al rafforzamento militare senza precedenti della Germania dopo la seconda guerra mondiale è la politica di Scholz di revocare il suo precedente rifiuto di esportare armi nelle zone di conflitto attive per equipaggiare Kiev. Non solo, ma il suo paese addestrerà anche un’intera brigata di truppe ucraine sul suo territorio come parte di una nuova missione dell’UE insieme alla sostituzione delle armi dell’era sovietica che i paesi dell’ex blocco di Varsavia danno a Kiev con quelle tedesche moderne.

Al di là dei suoi confini, Scholz ha affermato che “la Germania ha notevolmente aumentato la sua presenza sul fianco orientale della NATO, rafforzando il gruppo di battaglia della NATO a guida tedesca in Lituania e designando una brigata per garantire la sicurezza di quel paese. La Germania sta anche contribuendo con truppe al gruppo di battaglia della NATO in Slovacchia, e l’aviazione tedesca sta aiutando a monitorare e proteggere lo spazio aereo in Estonia e Polonia. Nel frattempo, la marina tedesca ha partecipato alle attività di deterrenza e difesa della NATO nel Mar Baltico”.

Di particolare preoccupazione è stata la riaffermazione del cancelliere che “la Germania continuerà a mantenere il suo impegno nei confronti degli accordi di condivisione nucleare della NATO, anche acquistando aerei da combattimento F-35 a doppia capacità”, che è destinato a scuotere la Russia. Abbastanza chiaramente, Scholz intende che la Germania competa con la Polonia come principale rappresentante militare degli Stati Uniti nell’UE, a tal fine spera che le capacità militari più impressionanti di Berlino e l’attuale partnership di condivisione nucleare con Washington le diano un vantaggio su Varsavia.

Espansione istituzionale

Questa osservazione non dovrebbe essere interpretata come un intento di rivedere l’esito geopolitico della seconda guerra mondiale come alcuni in Polonia hanno ipotizzato rispetto a quelli che chiamano i “territori recuperati” del loro paese che ora formano il suo confine con la Germania. Piuttosto, significa solo che la Germania sta diventando più fiduciosa nel mostrare la sua potenza militare nel senso di migliorare in modo completo le capacità difensive dei suoi partner su richiesta delle loro leadership, anche se è vero che questo rischia di renderli vassalli.

Molto probabilmente, Scholz cercherà di replicare questa stessa identica strategia nei Balcani occidentali favorendo l’adesione definitiva di quegli aspiranti stati all’UE de facto guidata dalla Germania dopo aver completato il cosiddetto Processo di Berlino, come ha parlato di aver rilanciato nel suo articolo . Nonostante abbia riconosciuto le difficoltà di ammettere nuovi membri, il Cancelliere ha parlato della promessa che questo risultato avrebbe per rafforzare il potenziale del blocco di stabilire nuovi standard globali per il commercio e l’ambiente, et al.

Questa ambiziosa agenda sarà portata avanti in piena collaborazione con la Francia, secondo Scholz, che ha descritto come “condivisa [ing] la stessa visione di un’UE forte e sovrana”. Le politiche migratorie e fiscali devono essere riformate, ha affermato, al fine di impedire a forze esterne come la Russia di esacerbare presumibilmente le divisioni all’interno del blocco. La sua soluzione proposta per razionalizzare i progressi su queste questioni delicate è “eliminare [e] la capacità dei singoli paesi di porre il veto a determinate misure”.

Influenza radicata

Non c’è altro modo per descrivere la suddetta riforma se non come un gioco di potere politico senza precedenti, esattamente del tipo da cui l’ Ungheria e la Polonia avevano precedentemente messo in guardia. In caso di successo, si tradurrà nella completa sottomissione di tutti i membri dell’UE al duopolio franco-tedesco, eliminando così quelle vestigia di sovranità che ancora conservano. In altre parole, questo asse della Grande Potenza diventerà l’unico che conta in Europa.

Sarà probabilmente impossibile per gli stati più piccoli ripristinare i propri diritti perduti nel caso in cui la Germania assuma il controllo diretto sui propri eserciti in futuro, come la proposta di Scholz per la standardizzazione dei sistemi d’arma dell’UE suggerisce fortemente che accadrà inevitabilmente. L’espansione della presenza militare dell’egemone in ascesa lungo la periferia orientale del blocco, di cui ha parlato così bene all’inizio dell’articolo, potrebbe inevitabilmente portare a ciò per rafforzare l’influenza politica di Berlino.

Simili cosiddetti “complotti di colpo di stato” come quello che le sue autorità affermano di aver sventato mercoledì potrebbero diventare il pretesto con cui la Germania assume il controllo diretto sulle forze armate dei paesi dell’Europa centrale sulla base del presunto aiuto a garantire in modo sostenibile “legge e ordine”. . Visto che quelle forze avrebbero potuto a quel punto standardizzare i loro sistemi d’arma, sarebbero perfettamente interoperabili con quelli della Germania, soprattutto se a quel punto hanno già effettuato più esercitazioni congiunte.

La vera connessione con la Cina

Il resto dell’articolo di Scholz parlava un po’ dell’imminente approccio della Germania alla Cina, ma quei piani non sono così direttamente rilevanti per le ambizioni egemoniche del suo paese come quelli che è pronta ad attuare contro la Russia, ecco perché rimarranno al di fuori dell’ambito del presente analisi. Esaminando l’intuizione che è stata condivisa finora, è chiaro che ” il complotto secolare della Germania per catturare il controllo dell’Europa è quasi completo “, con ogni giorno che passa riducendo la probabilità di controbilanciare questo scenario.

Il suo leader ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto che spiega perché la Germania debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista gestita dal Council on Foreign Affairs, che è considerato tra le più influenti piattaforme politiche nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La conclusione è che l’America aspira a ripristinare la sua egemonia unipolare in declino facilitando la rinascita egemonica della Germania al fine di fare affidamento su quel paese come suo principale delegato ” Lead From Behind ” (LFB) per la gestione degli sforzi di contenimento anti-russi del Golden Billion in Europa. Questa politica mira a consentire agli Stati Uniti di concentrarsi maggiormente sull’espansione della NATO nell’Asia-Pacifico in modo da portare avanti i propri sforzi di contenimento anti-cinesi nell’altra metà dell’Eurasia.

Questo sviluppo incipiente ha lo scopo di rendere più probabile che la Repubblica popolare accetti i termini dell’America per la serie di compromessi reciproci tra di loro per stabilire un equilibrio di influenza che alla fine diventerà la “nuova normalità”. È importante che queste due superpotenze facciano progressi tangibili sulla Nuova Distensione in vista del viaggio programmato del Segretario di Stato Blinken a Pechino all’inizio del prossimo anno, ergo la tempistica dietro la pubblicazione del manifesto di Scholz da parte di Foreign Affairs.

Pensieri conclusivi

Il grande contesto strategico all’interno del quale ha articolato le ambizioni egemoniche della Germania è quindi quello di facilitare il graduale riorientamento del suo mecenate americano dall’Eurasia occidentale verso la sua metà orientale mentre il suo paese assume il ruolo di principale procuratore LFB degli Stati Uniti in Europa per contenere la Russia. Questa sequenza di eventi per migliorare il contenimento della Cina da parte dell’Occidente è tacitamente approvata dall’élite del Golden Billion, come evidenziato da Foreign Affairs che pubblica il suo articolo correlato, confermando così che il piano degli Stati Uniti è in atto.

https://korybko.substack.com/p/olaf-scholzs-manifesto-for-foreign?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=89191551&isFreemail=true&utm_medium=email

Incertezze del gas algerino e l’ipotesi di un gasdotto, di Bernard Lugan

Abbiamo più volte sottolineato la dabbenaggine sconcertante e penosa del quadro politico della Unione Europea e, con rare eccezioni, dei relativi stati nazionali, pari solo al servilismo più abbietto nei confronti, non degli Stati Uniti, ma della parte del suo establishment più avventurista e guerrafondaio. Il varo e la gestione delle sanzioni ai “danni” della Russia, in particolare quelle in materia energetica, rappresentano l’apice dell’autolesionismo consapevole di queste élites, cadute in un paradosso disarmante. Hanno varato le sanzioni sulle importazioni di gas e petrolio russi per punire il loro intervento in Ucraina, per destabilizzarla economicamente e, ridere per non piangere, acquisire l’agognata indipendenza energetica da un paese inaffidabile. Nella fattispecie hanno in realtà rinunciato ai più che stabilizzanti ed economici contratti di lunga durata per ricorrere almeno in parte alla stessa fonte per vie traverse e a prezzi moltiplicati; hanno semplicemente indotto i russi a spostare la loro offerta energetica verso altri paesi, in particolare Cina ed India, e con essa il loro baricentro geopolitico. Alla penuria e ai costi energetici provocati artificialmente nell’immediato presente, contrappongono un futuro incerto di nuove rotte energetiche incerte e  di alternative ecologiche tutt’altro che risolutive. Rivendicano l’acquisizione di una indipendenza energetica dalla Russia, per cadere in una condizione di acquirenti in un mercato di fornitori artatamente ristretto e dalla posizione contrattuale ulteriormente rafforzata. Vogliono liberarsi dall’abbraccio russo, per legarsi mani piedi al loro “amico americano”, quello stesso amico che sta brigando per condizionare le rotte energetiche europee del Mediterraneo Orientale verso la Turchia e l’Ucraina; per orientarsi verso aree geopolitiche, in particolare il Nord-Africa, particolarmente instabili, sempre più ostili all’influenza euro-statunitense, in primis la Francia, e sempre più allettate da collaborazioni con Russia, Cina, India e Turchia.
Un quadro drammaticamente fosco, capace di illuminare solo la grettezza e l’insulsaggine, la rapacità distruttiva di chi ci governa. Nella sua essenzialità, Bernard Lugan è una delle poche voci competenti in grado di additare il re nudo. Buona lettura, Giuseppe Germinario
LE INCERTEZZE DEL GAS ALGERINO
Approfittando del pesante contesto geopolitico, l’Algeria ha affermato di poter compensare parte dei volumi di gas russo aumentando le proprie esportazioni verso l’UE attraverso il gasdotto Transmed che la collega all’Italia. Tuttavia, essendosi esaurite le sue riserve che sarebbero di quasi 2.400 miliardi di metri cubi [1] , e essendo la sua produzione consumata per tre quarti localmente, l’Algeria non è in grado di compensare la Russia nella fornitura di gas all’UE.
Nel 2021 l’Algeria ha prodotto ufficialmente 130 miliardi di metri cubi (bn m3) di gas su una produzione mondiale di 3850 miliardi di m3, molto indietro rispetto alla Russia con i suoi 604,8 miliardi di metri cubi (dati 2013). Ovviamente, l’Algeria non può sostituire la Russia. Tanto più che sui 130 miliardi di m3 prodotti dall’Algeria, dovrebbero essere prelevati 93,4 miliardi di m3, ovvero: – 48 miliardi di m3 per la produzione di gas di città consumato localmente. – 20 miliardi di m3 per la produzione di elettricità, l’Algeria produce il 99% della sua elettricità da gas naturale. – 20 miliardi di m3 per la reiniezione in pozzi petroliferi o sacche di gas. – 5 miliardi di m3 per il flaring, ovvero la combustione dei gas non utilizzati. Ciò significa che l’Algeria dispone solo di circa 40 miliardi di m3 di gas da esportare, ovvero appena il 7,7% dei 520 miliardi di m3 di gas che l’UE importa ogni anno [2] . In queste condizioni, a meno che non operi drastiche restrizioni sui suoi consumi interni, è difficile vedere come, se non marginalmente, l’Algeria possa aumentare le sue consegne verso l’UE e pretendere quindi di compensare una quota significativa delle consegne russe… shale gas, non può essere la soluzione. Certo, l’Algeria dispone di enormi riserve in quest’area, ma per produrre un miliardo di metri cubi di gas (MBTu o Million British Thermal Unit) occorre un milione di metri cubi di acqua dolce. Tuttavia, come tutti i paesi del Maghreb, l’Algeria è gravemente carente di acqua e ne resterà sempre più a corto a causa dell’aumento della sua popolazione e del cambiamento climatico. Per l’Algeria, non riuscendo a rilanciare la produzione di gas, l’urgenza è quindi quella di farla durare il più a lungo possibile, e quindi di razionalizzarne l’utilizzo e non certo di aumentarne i volumi di esportazione. Tanto più che per preservare la pace sociale, il governo mantiene prezzi artificialmente bassi che portano a destinare una parte considerevole e crescente delle risorse di gas al consumo delle famiglie e non all’esportazione che genera valuta estera. Producendo sempre meno gas, l’Algeria intende riorientarsi verso un ruolo di intermediario tra alcuni produttori sud-sahariani e il mercato europeo. Da qui il suo progetto di gasdotto trans-sahariano che le consentirebbe di diventare il punto di esportazione del gas dalla Nigeria e dal Niger (si veda l’articolo nella pagina accanto).
[1] A meno che le recenti scoperte annunciate dalle autorità algerine non si rivelino veramente significative. Nell’immediato futuro regna una grande opacità in quest’area. Comunque sia, anche se queste scoperte, presentate come promettenti, fossero messe in funzione, non sarebbero state trasportate in Europa per diversi anni. Inoltre, secondo alcuni esperti indipendenti, le riserve algerine disponibili sono in realtà meno importanti dei volumi annunciati. [2] Questa cifra deve essere confrontata con i dati ufficiali che rappresentano dall’11 al 12% delle importazioni europee.
UN GASODOTTO TRANS-SAHARIANO O COSTIERO?
L’Africa è un continente gasifero sempre più promettente, ma la questione è come far arrivare il proprio gas agli acquirenti europei [1] Sono allo studio quindi tre progetti di gasdotti: uno algerino, un altro libico, il terzo marocchino. Sullo sfondo ci sono importanti problemi politici, geopolitici, geostrategici e di sicurezza. La diplomazia del gas dell’Algeria si oppone a quella del Marocco [2] e della Libia.
Il progetto algerino L’Algeria, che sta vedendo diminuire le sue riserve come abbiamo visto nel precedente articolo, cerca di installare il terminale dell’eventuale gasdotto transahariano che la collegherebbe alla Nigeria attraverso il Niger, il che ne farebbe un fornitore indiretto essenziale verso l’Europa. Per questo è particolarmente coinvolta nel progetto del gasdotto trans-sahariano. Con una lunghezza di 4.128 chilometri, questo gasdotto potrebbe collegare la Nigeria all’Algeria, passando per il Niger dove catturerebbe il gas di questo paese lungo il percorso. Un gasdotto che sarebbe in grado di trasportare 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno verso i porti algerini, quindi verso i mercati europei attraverso due gasdotti che già collegano l’Algeria all’Europa. Si tratta del gasdotto TransMed che collega Hassi R’Mel in Algeria a Mazara del Vallo in Sicilia via Tunisia, e del gasdotto Maghreb Europe (GME), che collega Hassi R’Mel a Cordoba in Spagna, via Marocco. Tuttavia, un tale progetto sembra irrealistico, non a causa del suo percorso, ma a causa del contesto terroristico subregionale. Questo gasdotto dovrebbe infatti attraversare regioni in guerra o addirittura in una situazione di totale anarchia, che, oltre al suo problema di costruzione, porrà inevitabilmente quello del suo funzionamento. In effetti, la stessa Nigeria è uno stato che non controlla tutto il suo territorio. Da sud a nord regna dunque l’insicurezza in tutta la regione di Wari da cui si estrae il gas, mentre più a nord c’è il problema di Boko Haram e dei suoi dissidenti che controllano diversi stati della federazione da dove deve passare questo gasdotto? Per quanto riguarda il Sahel, la sua situazione di sicurezza è fuori controllo… In queste condizioni, che gli investitori sarebbero disposti a rischiare decine di miliardi di dollari per portare a nord il gas prodotto nella regione costiera della Nigeria quando il più sicuro è esportare direttamente dal gasdotto marino? Il progetto alternativo libico La Libia si oppone al progetto del gasdotto trans-sahariano guidato dall’Algeria perché vorrebbe che il terminale terminasse sulla costa libica già collegato all’Italia dal Greenstream, un gasdotto lungo 520 chilometri che dalla Tripolitania trasporta il gas verso Sicilia.
La Libia ha quindi presentato un’opzione alternativa al tracciato del progetto del gasdotto trans-sahariano destinato a trasportare il gas dalla Nigeria all’Europa e che, dalla Nigeria, attraverserebbe comunque il Niger, ma per terminare non più in Algeria, bensì in Libia. Tuttavia, qui si presentano gli stessi problemi di sicurezza appena evidenziati con il progetto algerino. Ancor di più, bisognerebbe aggiungervi la questione dell’irredentismo Toubou nel nord del Niger e quella derivante dall’anarchia libica sia nel Fezzan che in Tripolitania. Il progetto marocchino Al momento, il progetto più realistico sembra essere quello portato avanti congiuntamente da Marocco e Nigeria. Un progetto colossale che riunirebbe tutti i paesi dell’Africa sahariana occidentale produttori di gas. Si tratta del Nigeria Morocco Gas Pipeline (NMGP), che dalle coste della Nigeria correrebbe lungo la costa dell’Africa occidentale, gravando sulla produzione di gas dei paesi costieri. Qui non ci sono problemi di sicurezza perché, essendo offshore, questo gasdotto sarebbe quindi indipendente dai rischi per la sicurezza regionale. L’unico problema è che utilizzerebbe le acque territoriali marocchine del Sahara occidentale, ma l’Algeria, che vuole la creazione di un immaginario stato saharawi, sta facendo pressioni sugli investitori internazionali affinché non finanzino questo progetto.
Un progetto colossale
Il progetto del gasdotto Nigeria-Marocco (Tangeri) è nato durante una visita del re Mohammed VI in Nigeria nel dicembre 2016. È stato seguito da un accordo di cooperazione tra Marocco e Nigeria firmato a Rabat il 15 maggio 2017. Con una lunghezza di 5.500 chilometri , 569 km già esistenti tra Nigeria e Ghana via Benin e Togo, la costruzione di questo gasdotto è stimata tra i 25 ei 50 miliardi di dollari. Il progetto è entrato nella fase di studi di dettaglio affidati a ditte specializzate. Ad oggi, dei 7 tracciati originariamente previsti per questo gasdotto, tre sono attualmente selezionati ma non sono stati ancora presentati ufficialmente. In totale, 16 paesi sono interessati da questo progetto, inclusi tutti i paesi dell’ECOWAS che potrebbero beneficiare delle sue ricadute, in particolare paesi senza sbocco sul mare come il Mali, il Burkina Faso e il Niger che beneficeranno dei collegamenti terrestri. Questo gasdotto permetterebbe di elettrificare intere regioni e creare poli industriali integrati. Una prima fase di questo gasdotto potrebbe collegare i giacimenti di gas offshore Grande Tortue Ahmeyim (GTA) situati su entrambi i lati del confine marittimo tra Mauritania e Senegal a Tangeri in Marocco, il suo punto finale.
[1] Un’opzione è ovviamente il gas liquefatto, ma ciò richiede una pesante infrastruttura di trasporto per liquefazione e deliquefazione.
[2] Dopo aver interrotto le sue esportazioni di gas attraverso il GME per privare il Marocco di questa fonte di energia, la Spagna ha riattivato il gasdotto per portare il gas al regno, questa volta in direzione nord-sud. Martedì 5 luglio 2022 il Marocco ha annunciato il ritorno in servizio di due grandi centrali elettriche grazie al gas naturale liquefatto (GNL) trasportato dalla Spagna attraverso il gasdotto Maghreb Europe (GME), dopo la decisione di Algeri di non fornire più il regno con il gas.

Non dare alla pace troppe possibilità, di Aurelien

Niente è più pericoloso di un trattato di pace imperfetto.

C’è una differenza fondamentale tra uno stato di pace e un trattato di pace. La storia è piena di disastri provocati da trattati negoziati al momento sbagliato o imposti a partecipanti riluttanti. Non vogliamo ripeterci con l’Ucraina.

Nota: Parte di ciò che segue è tratto da un articolo commissionato alcuni anni fa da un think-tank europeo, ma mai pubblicato perché considerato troppo controverso. Nemmeno io ero pagato.

La nostra società considera la pace sempre preferibile al conflitto e alla guerra, o almeno in linea di principio. Gli operatori di pace sono benedetti e lo sono anche le loro produzioni, per quanto discutibili possano rivelarsi. L’annuncio di un trattato di pace o addirittura di un cessate il fuoco, come recentemente in Etiopia, è visto come una buona notizia senza ambiguità. Inoltre, si presume che la pace sia l’ordine naturale delle cose e che una volta affrontate le “cause sottostanti” e alcuni individui malvagi condannati per qualcosa o altro, allora la pace arriverà naturalmente e tutti la accoglieranno con favore.

Non è sempre stato così. Per la maggior parte della storia umana, la guerra è stata considerata normale e persino lodevole. Si ritiene che una pace troppo lunga, in alcune opere di Shakespeare, porti alla decadenza. La guerra, al contrario, è l’occasione per atti di valore ed eroismo, e i grandi capi erano generalmente grandi capi di guerra, e grandi capi di guerra erano coloro che avevano sbaragliato eserciti nemici, ucciso un gran numero di nemici con le proprie mani e bruciato le loro città e schiavizzarono il loro popolo. “Saul ha ucciso le sue migliaia, ma Davide le sue decine di migliaia”, cantavano esultanti le donne israelite nel primo libro di Samuele , senza mostrare molta preoccupazione per i parenti degli uccisi.

Ora, questo non vuol dire che alla gente comune piacesse necessariamente molto la guerra: era vista nel migliore dei casi come un male inevitabile, e in realtà vivere la Guerra dei Cent’anni, o la Guerra dei Trent’anni, deve essere stata un’esperienza terrificante e esperienza traumatizzante per molte persone. Ma anche così, il richiamo di “andare per un soldato”, di compiere azioni coraggiose e fare fortuna lungo la strada, sembra essere una parte persistente della psiche umana, recentemente visibile nel fango e nel sangue dell’Ucraina.

Tutto questo è cambiato progressivamente negli ultimi duecento anni, non perché il mondo sia cambiato, ma perché la narrativa dominante al riguardo è cambiata. Come ho sottolineato prima , il liberalismo non ha mai veramente compreso le questioni del conflitto e della pace. I conflitti “scoppiano”, le nazioni “cadono nella” violenza, a volte perché le persone coinvolte sono stupide, a volte perché “imprenditori della violenza” sfruttano “rimostranze reali anche se esagerate” per i propri scopi. Criticamente, i conflitti non riguardano mai davvero nulla, e quindi i negoziati di pace, accolti da tutti e idealmente facilitati da quel curioso animale bastardo che è la Comunità internazionale, possono invariabilmente risolvere anche le controversie più intrattabili se esiste la volontà, e la pace durerà se vengono affrontate le “cause sottostanti”.

Un momento di riflessione suggerisce che questo modello dei mali del mondo è tratto dal diritto contrattuale e dalle negoziazioni contrattuali, come gran parte del pensiero liberale. Un trattato di pace può quindi essere paragonato alla creazione di un cartello per controllare la vendita di un particolare prodotto in un particolare mercato. Ci saranno trattative dure, ma alla fine si potrà trovare un compromesso che soddisfi tutti. Poiché, nella visione liberale, il conflitto riguarda in ultima analisi il potere e le risorse, può essere risolto secondo la stessa logica: tanto per te, tanto per me. Il guaio è che il mondo nel suo complesso non funziona così.

In particolare, i conflitti di solito riguardano qualcosa nella pratica e sono spesso situazioni binarie a somma zero in cui qualcuno (di solito la parte più debole) perderà da qualsiasi accordo di pace. Quindi il “conflitto” in Medio Oriente, ad esempio, non riguarda l’odio e la sfiducia reciproci tra ebrei e palestinesi, ma piuttosto su chi deve possedere la terra dove i palestinesi hanno vissuto fino al 1949. Alla fine, tu ed io non possiamo possedere entrambi il stessa casa, e in un conflitto vincerà il più forte. Sebbene le cause profonde del conflitto possano teoricamente essere affrontate in un accordo di pace, in molti casi ciò è impossibile senza assegnare effettivamente la vittoria a una parte. Qui potremmo ricordare l’inversione di Michel Foucault della famosa formula di Clausewitz: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Anche quando un’autorità politica pone fine alla guerra, le future relazioni politiche sono ancorate all’equilibrio di forze alla fine del conflitto. Quindi i trattati di pace e le istituzioni che istituiscono non sono neutrali, ma riflettono l’equilibrio del potere politico e militare al momento della firma.

Allo stesso modo, il presupposto che il conflitto sia essenzialmente irrazionale (o non si verificherebbe), e quindi possa essere risolto attraverso i valori liberali della razionalità e della logica, in realtà sottovaluta l’importanza degli stessi motivi irrazionali. L’osservazione di David Hume secondo cui “la ragione è schiava delle passioni” è stata confermata in modo spettacolare dalle scoperte della moderna neuroscienza, che ci dice che la maggior parte delle decisioni sono effettivamente prese dalla nostra mente inconscia su basi emotive, e che la mente cosciente serve in gran parte a fornire post giustificazioni razionali ad hoc . Ecco perché il ruolo della paura nel provocare e prolungare il conflitto è così poco compreso. La paura, infatti, è il singolo più grande generatore di conflitti, e per definizione non è affrontabile con argomentazioni razionali o con l’attenta stesura degli articoli dei trattati di pace. Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Burundi al tempo della crisi ruandese ha commentato in un’intervista che ciò di cui quel Paese aveva bisogno non erano le forze di pace ma gli psichiatri: “hanno tutti paura l’uno dell’altro. Quando stringo loro la mano sono grondanti di sudore”. In tali circostanze, non c’è motivo di fidarsi di nessuno e ogni motivo per vedere cospirazioni ovunque.

I presupposti liberali vedono anche la pace e il conflitto come opposti binari. Non sembra necessariamente così sul terreno. Molti sistemi politici esistono in uno stato di costante lieve conflitto, attraversando uno spettro a seconda della situazione politica. La violenza è quindi uno strumento come un altro, da usare quando è opportuno, e da lasciare da parte a favore della trattativa o della politica quando non è produttiva. In un paese come il Libano, ad esempio, la violenza è un linguaggio in cui diverse fazioni e i loro sponsor stranieri parlano e negoziano tra loro. Lo spettro spazia da violente manifestazioni di piazza ad omicidi, autobombe e conflitti aperti, ognuno dei quali invia un messaggio calibrato, che viene compreso dagli altri. Chiaramente, un “accordo di pace” in tali circostanze è irraggiungibile, e credere che sia stato effettivamente negoziato è pericoloso.

Né gli accordi di pace sono universalmente popolari: anzi, il conflitto ha molti vantaggi, sia per i grandi che per i piccoli. Porta attenzione politica, denaro, investimenti e operatori umanitari stranieri e truppe con denaro da spendere. Negli ultimi anni è diventato sempre più evidente come certi conflitti continuino perché è nell’interesse di tutti i principali attori che lo facciano. (Altrimenti è inconcepibile che il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo sia durato così a lungo). Definire queste persone “spoiler” è poco adeguato: per la maggior parte stanno semplicemente rispondendo in modo intelligente ai dettami e alle opportunità della situazione.

Quindi ci sono molte ragioni per volere che un conflitto di basso livello continui, con solo perdite modeste e corrispondenti pochi incentivi per arrivare a una vera pace, dove come ci ricorda David Keen in un importante studio , “… le funzioni politiche ed economiche della guerra non scomparire semplicemente…. la pace è spesso molto violenta, mentre il dopoguerra si rivela, troppo spesso, un periodo prebellico». Quindi è più probabile che il leader intelligente di un paese o di una fazione, a meno che non stia perdendo male, preferisca la quantità nota di conflitto alle incertezze della pace. Ciò non significa, ovviamente, che parlare di pace, o anche firmare un accordo di pace, sia escluso se ciò è tatticamente vantaggioso. Ma nella maggior parte delle culture diverse dalla nostra, la firma di un accordo di pace è una decisione politica, mentre la sua attuazione è un’altra. In ogni caso, prima di promettere di firmare e rispettare un accordo di pace, un leader intelligente si farà due domande:

  • · La firma di questo accordo di pace favorirà i miei obiettivi politici?
  • · Se lo implemento, sarò ancora vivo alla fine di un certo periodo minimo?

Eppure, nonostante tutte queste difficoltà e debolezze, i trattati di pace vengono quasi sempre firmati, anche se in seguito sfociano in conflitti. Perchè è questo?

Innanzitutto, è importante distinguere tra due tipi di trattati efficaci. Uno (spesso, in pratica un armistizio) può essere considerato un trattato amministrativo . Anche la resa incondizionata deve essere organizzata in qualche modo, dopotutto. Tradizionalmente, tali trattati venivano imposti ai vinti dal vincitore (la sconfitta francese del 1870-71 ne è un buon esempio), ed era normale che la parte perdente pagasse le spese della parte vittoriosa, come in una causa giudiziaria. Questo era il modello ancora in funzione all’epoca dei negoziati di Versailles.

Il secondo è un trattato sostanziale , in cui le differenze devono essere appianate, gli obiettivi confrontati l’uno con l’altro e, si spera, deve essere concordata una soluzione politica duratura. Si tratta di un tipo di trattato tipico delle guerre a obiettivi limitati della prima età moderna, come il trattato di Utrecht del 1713, che pose fine alla guerra di successione spagnola. In tali trattati, tutti concordano sul fatto che la guerra è durata abbastanza a lungo, che è improbabile che ulteriori combattimenti risolvano qualcosa, ed è giunto il momento di parlare. Nel 1713 era chiaro che i francesi avrebbero scelto un nuovo re in Spagna, ma c’erano tutta una serie di altre questioni da risolvere tra i governanti d’Europa.

Curiosamente, la maggior parte dei trattati di pace negoziati nei tempi moderni non rientra in nessuna di queste categorie. Forse è per questo che così tanti di loro falliscono e portano a ulteriori conflitti. Questi trattati tendono ad essere imposti, o almeno fortemente incoraggiati e facilitati, dall’esterno, da nazioni e individui che condividono idee largamente liberali sulla pace e la sicurezza, e quindi piuttosto dissociati dalla realtà. Ora, mentre tutte queste idee non sono molto evidenti nel caso della guerra in Ucraina al momento (piuttosto, le stesse onde radio stanno cedendo sotto il peso della sete di sangue liberale-umanitaria) arriverà un punto in cui “i colloqui di pace ” sono necessarie, o almeno possibili, e in quel momento quasi sicuramente riaffioreranno le tradizionali idee liberali. Ho già suggerito che dobbiamo diffidarne in linea di principio: ecco alcuni casi in cui hanno funzionato in modo disastroso nella pratica e che possono fornire spunti di riflessione nel contesto dell’Ucraina.

Uno è il predominio da parte di estranei, che possono influenzare pesantemente una o più parti e in effetti fornire gran parte del materiale per il trattato finale stesso. Ciò è accaduto a Versailles e ai negoziati associati, dove Wilson e la delegazione americana hanno beneficiato del loro status di banchiere delle potenze dell’Intesa e del suo status di capo di stato. Sono arrivati ​​anche con un programma normativo significativo e poca conoscenza ed esperienza pratica sia dell’Europa e del Medio Oriente, sia dell’arte della negoziazione. La Conferenza di Parigi è stata anche la prima in cui un gran numero di Stati o non erano rappresentati come negoziatori, o nella migliore delle ipotesi erano in modalità supplichevole, chiedendo favori a inglesi, francesi e americani. Le grandi potenze erano, in larga misura, in grado di disporre come meglio credevano.

Questo modello continua oggi, con l’ulteriore complicazione che i negoziati di pace possono essere dominati non solo da stati esterni, ma anche da politici e media nelle capitali nazionali lontane dall’azione. Durante il conflitto in Bosnia, un armistizio generale sarebbe stato possibile in qualsiasi momento dopo il 1993, probabilmente sulla falsariga del Piano di pace Vance-Owen. Ma l’opinione politica in un certo numero di capitali occidentali lontane dall’azione e dal costante accrescimento di cadaveri, ha ostacolato qualsiasi accordo che “ricompensasse l’aggressione”, indipendentemente dal fatto che la gente del posto lo volesse. Nelle parole agghiaccianti di un politico olandese, ciò che serviva era “un accordo che soddisfi il nostro senso di giustizia”. Ma non era solo, e il governo americano, sollecitato da influenti Ong, è riuscito per qualche tempo a ostacolare la pace. Commenti simili sono già stati fatti sull’Ucraina. Questo atteggiamento di moralismo distaccato, lontano dalla realtà sul campo, può portare a negoziazioni di pace strutturate per soddisfare le esigenze dei sistemi politici al di fuori della zona di conflitto.

Nel caso dell’Ucraina, sembra abbastanza ovvio che, una volta che l’Occidente si sarà avvicinato all’idea dei negoziati, è probabile che voglia tentare di determinarne l’esito. Ma dal momento che l’Occidente avrà poca o nessuna influenza sui russi, cercherà di compensare microgestendo la parte ucraina. Ciò avrà (almeno) due ovvie conseguenze. Una sarà quella di mettere ciò che è “accettabile” per l’Occidente, e ciò che può essere venduto ai cittadini, ai parlamenti e ai media, prima di qualsiasi considerazione degli interessi del popolo ucraino, o addirittura delle prospettive di pace. La tentazione, infatti, sarà quella di cercare di costringere gli ucraini a prendere nei negoziati una linea più dura di quanto sia effettivamente ragionevole, o addirittura praticabile. Un altro è che qualsiasi unità di intenti che l’Occidente possa avere all’inizio evaporerà rapidamente e diversi paesi occidentali, individualmente o in combinazione, negozieranno separatamente con diverse fazioni all’interno o all’esterno del governo ucraino.

Gli stessi attori esterni, ovviamente, hanno i loro programmi gli uni con gli altri e nel proprio paese, e molto dipende dal fatto che abbiano uno status ufficiale nei colloqui. È difficile immaginare che gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea semplicemente osserveranno da lontano qualsiasi negoziato sull’Ucraina senza cercare di influenzarli, ma ovviamente più attori ci sono in un negoziato, più geometricamente diventa complesso. È probabile che le relazioni tra questi attori (che comunque in gran parte si sovrappongono) diventino tese molto rapidamente. C’è anche una differenza fondamentale tra facilitare i negoziati con competenze e aiuti logistici, e limitarsi a mettersi in mezzo e cercare di influenzare il risultato. L’accordo globale di pace per il Sudan del 2005, ad esempio, ideato in gran parte dall’estero, ha prodotto un testo troppo complesso e ambizioso per essere attuato e ha portato alla fine all’indipendenza e poi all’implosione del Sud Sudan. In ogni caso, non è raro che anche i negoziati formali siano destabilizzati dalle attività di singoli grandi attori: un esempio sono i negoziati sullo Statuto di Roma del 1998, dove altre parti si sono adoperate per accogliere gli Stati Uniti nella formulazione del trattato finale, solo per scoprire che il presidente Clinton aveva paura di sottoporlo al suo Senato per la ratifica.

Un altro rischio è un approccio eccessivamente tecnico a problemi che sono in realtà profondamente politici e potrebbero non avere una soluzione facile. Sebbene il discorso culturale popolare della prima guerra mondiale, seguendo la guida della letteratura degli anni ’20, parli di una “guerra inutile” piena di “strage insensata” che “non ha risolto nulla”, la verità è piuttosto diversa. La guerra ebbe la sua origine ultima nella logica della sostituzione dei possedimenti imperiali sparsi con nuovi stati-nazione, e nei conseguenti problemi di quali sarebbero stati i confini di questi stati-nazione, e come sarebbero stati fissati. (La risposta alla seconda domanda è stata sfortunatamente semplice: è stata con la violenza.) In pratica questo si è risolto nel futuro degli imperi asburgico, ottomano e romanov, e se ognuno di loro poteva contenere le proprie pressioni centripete interne. Altri temi sussidiari includevano, chi avrebbe controllato gli ex territori ottomani se quell’impero fosse crollato, e dove sarebbero stati i confini tra gli stati successori degli imperi Romanov e Asburgico, così come la piccola questione se la Francia o la Germania sarebbero stati i principali potere militare in Europa.

A queste domande è stata data una certa risposta dalla guerra stessa, così come dagli anni di conflitto che seguirono, e dalla serie di trattati solitamente indicati come “Versailles”. In difesa di Lloyd George, Wilson e Clemenceau, si può dire che hanno fatto del loro meglio, di fronte a problemi intellettualmente e politicamente molto più complessi di quanto potessero affrontare. Ma il loro approccio effettivo ricordava un negoziato del diciottesimo secolo in cui i territori venivano scambiati tra sovrani, piuttosto che un mondo in cui i sentimenti nazionalisti popolari e la politica democratica cominciavano ad avere una reale influenza. Quindi probabilmente sembrava un’idea intelligente assegnare i Sudeti di lingua tedesca al neonato stato della Cecoslovacchia per dotarlo di una frontiera difendibile. Che cosa potrebbe andare storto?

In molti modi, quell’incapacità di cogliere lo stesso quadro generale che vediamo più chiaramente ora, è parallela all’incapacità delle nostre élite politiche, intellettuali e mediatiche di capire cosa sta succedendo oggi in Ucraina e, cosa più importante, intorno. Quello che stiamo vedendo sono in realtà due cose: il definitivo allentamento delle tensioni inerenti alla situazione alla fine della seconda guerra mondiale, e la successiva creazione di un nuovo ordine di sicurezza in Europa, dove prevarranno o gli Stati Uniti o la Russia. E se entrambi questi punti sembrano avere echi del periodo 1914-21, ebbene forse sì: in tal senso è giusto dire che la prima guerra mondiale “non ha risolto nulla” perché gli insediamenti definitivi nella storia sono rari. Come accadeva un secolo fa, questi grandi problemi intrattabili contengono molti piccoli problemi intrattabili, come le ultime disposizioni per la disposizione delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, il destino dei confini stabiliti con la forza dopo il 1945, il progressivo lo svuotamento delle popolazioni dei paesi in declino dell’Est e la questione se la Francia o la Germania debbano essere l’attore dominante in Europa. Tra gli altri, ovviamente.

Nel 1914, l’insieme delle tensioni politiche che esistevano in Europa produsse una situazione che non poteva essere risolta pacificamente: Francia e Germania non potevano scambiarsi la proprietà dell’Alsazia e della Lorena a settimane alterne, e la Polonia esisteva o non esisteva. Il risultato è stata la violenza. Allo stesso modo, oggi, l’apparentemente irresistibile marcia verso est del liberalismo normativo si è scontrata direttamente con la massa genuinamente inamovibile dell’opposizione russa. In teoria, quest’ultimo caso avrebbe potuto essere risolto, almeno per un po’, ma come ho sostenuto , ciò sarebbe avvenuto a costo di creare una crisi esistenziale nella cultura liberale occidentale. In pratica, la collisione era probabilmente inevitabile.

Ora è importante non lasciarsi trasportare dai confronti storici. Una guerra generale in Europa non accadrà ora, anche perché l’Occidente in senso lato non ha i mezzi per combatterla. Ma i due momenti sono, direi, di gravità e significato paragonabili. Ciò significa che i tentativi di rimediare al problema ritarderanno solo il peggio, e il peggio sarà probabilmente peggiore di quanto sarebbe stato altrimenti. L’unica cosa che, forse, stabilizzerà la situazione è se le sarà permesso di svolgersi completamente, cosa che probabilmente accadrà comunque. (Spiegherò quel commento gnomico tra un momento.)

Un ultimo rischio (ne bastano tre) è che i partecipanti ai negoziati semplicemente non abbiano alcun reale interesse a concluderli positivamente. Sembra ovvio, ma c’è stata una storia decennale di forzatura di un accordo – qualsiasi accordo – tra le parti di un conflitto armato, per poi rimanere scioccati quando va terribilmente storto. Il classico caso moderno è il trattato di pace di Arusha del 1993 per il Ruanda, che ha diviso il paese, il governo e le forze di sicurezza, più o meno equamente tra l’RPF, rappresentanti della vecchia classe aristocratica in esilio, e l’allora governo di coalizione esistente a Kigali , escludendo tutte le altre forze politiche. In un Paese e in una regione dove le stragi erano uno strumento tradizionalmente basilare della politica, ed era sempre stato assente il concetto stesso di negoziazione e compromesso, lo stesso Trattato destabilizzò la situazione e rese di fatto inevitabile una ripresa della guerra, con le terribili conseguenze che seguito.

Ma può essere vero anche il contrario. Dopo il rilascio di Nelson Mandela nel 1990 e la revoca del bando dell’ANC e del Partito Comunista, le varie parti hanno dovuto trovare una via da seguire. Sebbene ci fossero piccoli gruppi di intransigenti in luoghi diversi, la stragrande maggioranza degli attori (come la stragrande maggioranza della popolazione) ha riconosciuto che le uniche scelte erano un accordo di qualche tipo o un’apocalittica spirale mortale per il paese. Non c’è niente che concentri così tanto la mente sulla ricerca di soluzioni come la prospettiva della distruzione se non ci riesci. E in tal senso, se molti degli accordi presi tra il 1990 e il 1994 possono essere, e sono stati, pesantemente criticati, ciò non toglie che la volontà politica condivisa di uscire dall’impasse sia riuscita ad appiattire tutti gli ostacoli.

Nel caso dell’Ucraina, è importante distinguere diversi tipi di “accordi”, ciascuno dei quali può essere soggetto ad alcuni dei problemi sopra discussi. Potrebbe essere utile prenderli in sequenza. In primo luogo, la fine di qualsiasi combattimento richiede accordi tecnici di qualche tipo. Ci sarà una linea oltre la quale i russi non intendono andare, ci saranno problemi di sicurezza e ordine pubblico nelle città vicine, molti casi di persone che devono transitare sulla linea di controllo, sicurezza da entrambe le parti, indagini sulle violazioni dell’accordo, e così via. Tali accordi sono meglio negoziati a livello locale da coloro che dovranno attuarli. La storia suggerisce che gli “osservatori internazionali” e ancor più le forze di interposizione, nel migliore dei casi non aggiungono nulla e nel peggiore dei casi possono essere manipolati e diventare parte del problema.

Tali accordi provvisori a un certo punto dovranno essere inclusi in un accordo che stabilisca i futuri confini e la composizione politica dell’Ucraina. La storia suggerisce che non è ragionevole aspettarsi troppo dai documenti, perché la pressione per raggiungere un accordo porta inevitabilmente a compromessi, che potrebbero essere deplorati e persino abbandonati in seguito. In particolare, è difficile credere che qualsiasi governo ucraino immediatamente prevedibile sarebbe abbastanza unito e avrebbe abbastanza controllo del paese da firmare e attuare un accordo vincolante. Come precedente storico, si consideri il caso del trattato anglo-irlandese del 1921, aspramente divisivo, che richiese importanti concessioni da entrambe le parti. FE Smith, uno dei negoziatori britannici, ha detto in seguito a Michael Collins, capo della delegazione irlandese: “Potrei aver firmato la mia condanna a morte politica”. A cui Collins ha risposto, prescientemente “Potrei aver firmato la mia vera condanna a morte”. Fu assassinato pochi mesi dopo. Oppure si consideri il caso dei delegati dell’UCK ai colloqui di Rambouillet sul Kosovo nel 1999, dove il capo della delegazione (che in realtà era solo un portavoce dei comandanti militari) era obbligato a dire alla delegazione statunitense che se avesse firmato il trattato proposto nel testo, sarebbe stato ucciso al suo ritorno.

Tutto ciò suggerisce che non ha molto senso cercare di negoziare una soluzione politica onnicomprensiva per l’Ucraina, con un insieme ampio ed elaborato di strutture per l’attuazione. Un simile insediamento conterrebbe probabilmente in sé i semi della sua distruzione: grossolanamente, come abbiamo visto, più complesso è l’insediamento, maggiore è il margine per le cose che vanno male. Al contrario, i contorni spogli di un insediamento – un’Ucraina smilitarizzata e un po’ più piccola senza alcuna influenza occidentale – sono facili da capire e anche essenzialmente robusti. È questo che bisognerà tenere presente, anche se il legalismo russo e l’inevitabile tendenza dei negoziati a sollevare problemi complessi che invitano a soluzioni complesse lo renderanno difficile. Il coinvolgimento di parti esterne dovrebbe essere contrastato il più possibile, perché in realtà c’è poco che possano contribuire ed è improbabile che una particolare parte esterna sia accettabile per entrambe le parti. E tale coinvolgimento porta i suoi problemi: la convenzione secondo cui un governo degli Stati Uniti non è vincolato dai trattati firmati dal suo predecessore, per esempio, è inutile.

Infine, c’è la questione più ampia del nuovo ordine di sicurezza in Europa che emergerà dopo il conflitto. Anche in questo caso, non è molto utile parlare di trattati e accordi formali, perché, nella misura in cui saranno presenti, sarà un esercizio di riordino quando i principali contorni politici si saranno già aggiustati. In effetti, è un classico errore supporre che gli accordi formali cambino le cose: non lo fanno. Quelli di successo, almeno, registrano semplicemente il fatto che le cose sono già cambiate. Il problema fondamentale di questo nuovo ordine di sicurezza è facile da enunciare: solo una potenza esterna può avere un’influenza decisiva sull’Europa occidentale. Possono essere gli Stati Uniti o la Russia, ma non possono essere entrambi allo stesso tempo. Dopo il 1945, ci fu una demarcazione geografica tra i due, e c’erano regole non scritte che la sostenevano. Sebbene non ci sia mai stato un trattato di guerra fredda, la situazione era notevolmente stabile e le due grandi potenze generalmente evitavano sfide dirette l’una con l’altra. Dopo il 1989, gli Stati Uniti sono avanzati costantemente, fino a quando non hanno colpito un muro di mattoni all’inizio di quest’anno. Ora è possibile vedere una nuova dispensa, non senza gli Stati Uniti del tutto, dal momento che la vita non funziona così, ma con un ruolo americano nettamente ridotto in Europa e il riconoscimento de facto dell’influenza russa. La NATO probabilmente continuerà in qualche forma, e potrebbero anche esserci alcune unità militari statunitensi aggrappate alla periferia, ma questo sarà in gran parte teatro. Ora non c’è motivo di pensare che i russi vorranno emulare le pratiche statunitensi di coinvolgimento diretto con paesi europei, basi militari e così via, e in effetti non ne hanno bisogno. Sarebbe sufficiente un riconoscimento generalmente inteso ma tacito che il nuovo regime è: americani fuori, russi dentro e tedeschi (ancora) giù.

Più a lungo va avanti la guerra, più è probabile che appaiano sul terreno il secondo e il terzo di questi insediamenti, dopodiché potrebbe non essere nemmeno necessario formalizzarli in un trattato. Nessuno, ovviamente, vuole che le guerre continuino per il gusto di farlo, ma, come ho sostenuto, i tentativi di utilizzare negoziati e trattati per fermare i conflitti che in realtà hanno una dinamica inarrestabile non fanno che peggiorare le cose alla fine. Al contrario, alcune guerre, come quella in Bosnia, alla fine finiscono quando le parti sono esaurite. Per quanto l’idea possa sembrare poco allettante, alcune crisi devono solo essere lasciate a risolversi da sole, se mai ci sarà un risultato stabile che abbia una possibilità di durare.

https://aurelien2022.substack.com/p/dont-give-peace-too-many-chances?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=87811858&isFreemail=true&utm_medium=email

La geopolitica energetica della Russia con Cina e India_di Andrew Korybko

Due precisazioni: dalle dinamiche geoeconomiche a quelle geopolitiche il passaggio non è così scontato; la connessione diretta ai confini con la Cina favorisce economicamente quest’ultima e i rapporti commerciali Russia-Cina ammontano ancora a sei volte quelli Russia-India. Rimangono l’interesse per un riequilibrio geopolitico della posizione dei russi e la tradizione di lunghi rapporti politici e militari tra Russia e India. Buona lettura, Giuseppe Germinario

I punti principali di questa analisi sono diversi. In primo luogo, la geopolitica energetica della Russia con Cina e India è reciprocamente vantaggiosa. In secondo luogo, la strategia di diversificazione energetica della Cina è bilanciata dall’insaziabile appetito dell’India per le risorse russe scontate. In terzo luogo, l’India sta rapidamente sostituendo la Cina come principale partner della Russia. In quarto luogo, né le suddette discussioni né le discussioni sino-americane in corso su una nuova distensione sono a somma zero per Mosca o Pechino. E finalmente sta emergendo un nuovo equilibrio strategico globale.

Il nucleo RIC della transizione sistemica globale

La Cina e l’India sono i due principali partner della Russia nel mondo, con i quali collabora strettamente sia a livello bilaterale che multilaterale attraverso i BRICS e la SCO . Collettivamente indicati come RIC, sono le forze trainanti nella transizione sistemica globale verso il multipolarismo . Tutti e tre prevedono di riformare le relazioni internazionali in modo che siano più democratiche, uguali e giuste, con un grande passo in quella direzione compiuto attraverso la cooperazione energetica reciprocamente vantaggiosa di Cina e India con la Russia.

Il ruolo della geopolitica energetica nella nuova guerra fredda

Prima di descrivere in dettaglio le dinamiche delle relazioni energetiche della Russia con entrambi, è importante sottolineare rapidamente come ciò aiuti in primo luogo a far avanzare il multipolarismo. In poche parole, garantire la sicurezza energetica delle grandi potenze asiatiche stabilisce una solida base economica su cui accelerare ulteriormente il loro sviluppo. Questo a sua volta stabilizza le loro società, scongiura complotti di divide et impera guidati dall’esterno e li rende forze più potenti da non sottovalutare in tutto il Sud del mondo.

È in quei paesi che comprendono la maggior parte dell’umanità che la Nuova Guerra Fredda dovrebbe essere combattuta più ferocemente per procura. Questa competizione mondiale è tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS e SCO (o maggioranza globale come gli studiosi russi hanno recentemente iniziato a descriverlo) sulla direzione della transizione sistemica globale. Il primo vuole mantenere l’unipolarità mentre il secondo lavora attivamente per costruire un futuro multipolare.

L’asse energetico russo-cinese

Dopo aver spiegato il grande contesto strategico in cui si sta svolgendo la geopolitica energetica della Russia con Cina e India, è giunto il momento di dettagliare ciascuno di questi due assi. A partire da quello russo-cinese, l’energy business forum di martedì ha visto la condivisione di alcune importanti informazioni sui loro legami. Il CEO di Rosneft Igor Sechin ha rivelato che la Russia è ora il principale fornitore di petrolio della Cina dopo aver fornito il 7% delle sue importazioni e si aspetta che le consegne di GNL diventino pari alle forniture di gasdotti nel prossimo futuro.

Il vice primo ministro russo Alexander Novak ha ribadito la loro stretta collaborazione nel settore energetico e ha suggerito che lo sviluppo e la produzione congiunta di attrezzature potrebbe diventare la fase successiva in questo senso. Ha anche rivelato che stanno sviluppando un sistema di accordi per aggirare lo SWIFT e condurre scambi di valute nazionali. Infine, è stata letta una dichiarazione del presidente cinese Xi sull’intenzione del suo Paese di rafforzare ulteriormente i suoi legami energetici con la Russia, in particolare sulle rinnovabili.

L’asse energetico russo-indiano

Passando all’asse energetico russo-indiano, le importazioni di petrolio del suo partner da parte dello stato dell’Asia meridionale sono aumentate di oltre 50 volte dall’inizio dell’operazione speciale di Mosca Gli ultimi dati della società del mercato finanziario statunitense Refinitiv , che per coincidenza sono stati rilasciati più o meno nello stesso periodo del forum sul business energetico russo-cinese di questa settimana, hanno mostrato che l’India ha acquistato il 40% del petrolio russo di qualità degli Urali, rendendola così il più grande importatore di Mosca di questa risorsa e Il principale partner energetico di Delhi con il 22% del totale.

Mentre i dati hanno anche mostrato che la Cina ha importato 1,82 milioni di barili al giorno in ottobre rispetto al picco dell’India di 935.556, ha anche rivelato che il primo ha rappresentato solo il 5% delle esportazioni marittime degli Urali a novembre, anche se gli esperti prevedono che alcune petroliere dirette altrove cambieranno successivamente le loro destinazione per la Repubblica Popolare. In ogni caso, il significato dei suddetti dati è che la Cina è il principale partner energetico della Russia, ma la stragrande maggioranza delle sue importazioni avviene tramite oleodotti mentre l’India avviene via mare.

Confronto e contrasto

Questa osservazione fornisce chiarezza ai recenti rapporti secondo cui alcuni acquirenti cinesi avrebbero sospeso le loro importazioni di petrolio russo prima dell’incombente price cap dell’Occidente che entrerà in vigore il 5 dicembre. Mentre questo potrebbe probabilmente essere interpretato come un tacito “gesto di buona volontà” da parte della Repubblica popolare nei confronti del suo rivale americano per facilitare le loro discussioni in corso su una nuova distensione , è in gran parte superficiale poiché la maggior parte di tali importazioni di petrolio russo avviene tramite oleodotti, quindi ha vinto ‘t influenzare in modo significativo i legami bilaterali.

L’India, nel frattempo, ha respinto con orgoglio pressioni senza precedenti su di essa da parte dei suoi partner nel Golden Billion per continuare ad espandere in modo completo la sua cooperazione energetica reciprocamente vantaggiosa con la Russia. Nel grandioso contesto strategico della Nuova Guerra Fredda, questa è stata una potente mossa di sfida multipolare considerando il desiderio di Delhi di trovare un equilibrio tra i due blocchi de facto. Senza esagerare, ha svolto un ruolo indispensabile nell’accelerare l’ascesa di quel paese a Grande Potenza di rilevanza mondiale .

Acquisti cinesi di oleodotti contro acquisti marittimi indiani

Alla luce delle intuizioni finora condivise in questa analisi sulle dinamiche della geopolitica energetica della Russia con la Cina e l’India, emergono alcune tendenze emergenti. In primo luogo, la Cina continuerà a fare affidamento principalmente sugli oleodotti russi per ricevere il petrolio del paese vicino, mentre l’India continuerà a fare affidamento sulle rotte marittime. Il primo è più economico in quanto riguarda contratti a lungo termine con prezzi fissi mentre il secondo potrebbe essere un po’ più costoso a causa della loro assenza, ma questo non è scontato.

Questo porta l’analisi alla seconda tendenza emergente ed è che il ruolo di primo piano dell’India come principale importatore di energia per via marittima della Russia e la sua volontà politica nel garantire in modo indipendente i suoi interessi nazionali nonostante la pressione straniera le conferiscono un’influenza sproporzionata nella grande pianificazione strategica di Mosca. La dipendenza sproporzionata del Cremlino dalle esportazioni di energia per attutire il colpo alle sue entrate annuali inflitto dalle sanzioni dell’Occidente potrebbe portare anche a Delhi offerte allettanti a lungo termine.

Le conseguenze della strategia cinese di diversificazione energetica  

In terzo luogo, il “gesto di buona volontà” in gran parte superficiale della Cina nei confronti degli Stati Uniti, dopo che alcuni dei suoi importatori avrebbero interrotto l’acquisto di petrolio russo prima dell’incombente tetto massimo, potrebbe liberare più petrolio marittimo da acquistare da parte dell’India, accelerando così la tendenza precedente. Inoltre, la diversificazione energetica attiva di Pechino rispetto al suo recente accordo GNL da 60 miliardi di dollari per 27 anni con il Qatar potrebbe gradualmente erodere la posizione di Mosca come principale fornitore di energia.

Tale sviluppo potrebbe essere accelerato nel caso in cui la Cina riprenda il suo impegno de facto congelato per la prima fase dell’accordo commerciale dell’era Trump per l’acquisto di 50 miliardi di dollari di esportazioni di energia dagli Stati Uniti per facilitare la nuova distensione o premiare Washington per eventuali concessioni potenziali come ritardare a tempo indeterminato le spedizioni di armi a Taiwan. Ciò non significa che l’impegno del presidente Xi di rafforzare i legami energetici con la Russia non sarà rispettato, ma solo che l’impatto potrebbe non essere quello previsto.

Piuttosto, il punto negli ultimi due paragrafi è che la pragmatica strategia di diversificazione energetica della Cina non influirà in modo significativo sulle relazioni con la Russia a causa dei loro accordi di gasdotti esistenti e di quelli sperati di GNL come suggerito da Sechin, ma potrebbe liberare ancora più risorse per l’India da comprare. Mosca sarebbe incline ad estendere i termini preferenziali a Delhi per raggiungere accordi a lungo termine per garantire la stabilità di bilancio, alimentando al contempo l’ascesa del suo partner come Grande Potenza di importanza globale.

La quarta tendenza è quindi che i legami energetici russo-cinesi rimarranno stabili (anche se cambieranno gradualmente forma passando maggiormente al GNL e infine alle rinnovabili) mentre quelli russo-indiani continueranno a crescere. Il limite del secondo sarà solo la capacità produttiva della Russia e la continua volontà politica dell’India di sfidare la pressione occidentale. Questi possono essere corretti attraverso investimenti congiunti e aprendo la strada a un sistema di pagamento dedollarizzato non SWIFT come quello tra Russia e Cina.

Russia-India > Russia-Cina

Infine, l’ultima tendenza è che il partenariato strategico russo-indiano sta rapidamente sostituendo quello russo-cinese in termini di importanza per la grande strategia di Mosca. Questo non vuol dire che i legami russo-cinesi si deterioreranno – niente affatto! – ma solo che si stanno “normalizzando” di fronte alla lotta di Pechino per ricalibrare la sua grande strategia a causa degli sconvolgimenti sistemici globali causati dal conflitto ucraino e delle discussioni in corso con Washington su una nuova distensione che si stanno verificando di conseguenza.

Questi ultimi sviluppi non sono nulla di negativo per le relazioni russo-cinesi, ma suggeriscono che la cosiddetta “epoca d’oro” dei loro legami in cui si presumeva ( col senno di poi inesatto ) fosse sulla stessa identica pagina con uno un altro a tutti gli effetti è finito silenziosamente. Continueranno a lavorare a stretto contatto per riformare le relazioni internazionali nella direzione multipolare attraverso la de-dollarizzazione e forum multilaterali come i BRICS, ma stanno sempre più facendo le cose a modo loro.

Al contrario, le grandi strategie della Russia e dell’India sono rapidamente confluite da febbraio quando entrambe le grandi potenze si sono rese conto di quanto siano sempre state complementari rispetto alla loro visione condivisa di rompere l’ impasse bi-multipolare della transizione sistemica globale. Nessuno dei due voleva perpetuare indefinitamente il duopolio della superpotenza sino-americana che altrimenti avrebbe potuto radicarsi nelle relazioni internazionali, ecco perché si sono sforzati insieme di distruggerlo nell’ultimo anno.

Pensieri conclusivi

I punti principali di questa analisi sono diversi. In primo luogo, la geopolitica energetica della Russia con Cina e India è reciprocamente vantaggiosa. In secondo luogo, la strategia di diversificazione energetica della Cina è bilanciata dall’insaziabile appetito dell’India per le risorse russe scontate. In terzo luogo, l’India sta rapidamente sostituendo la Cina come principale partner della Russia. In quarto luogo, né le suddette discussioni né le discussioni sino-americane in corso su una nuova distensione sono a somma zero per Mosca o Pechino. E finalmente sta emergendo un nuovo equilibrio strategico globale .

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