All’ombra del sole ottomano_con Antonio de Martini

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riporta alla luce rivalità secolari nell’area del Caucaso.

Con esse emerge ormai la Turchia, un attore sempre più spregiudicato che non esita a giocare su più tavoli, dal Mar Nero, al Mediterraneo, all’Egeo, alla Siria, alla Libia, all’area turcomanna. Una spregiudicatezza che lascia intuire sostegni e coperture evidentemente solide a sufficienza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

Nel Karabakh, Baku disotterra l’ascia di guerra_ John mackenzie Di John Mackenzie 28 settembre 2020

Domenica, 27 settembre, nelle prime ore dell’alba, gli armeni si sono svegliati alla notizia di una vasta offensiva aerea (missili e bombardamenti di droni) guidata dall’Azerbaigian lungo tutta la linea di contatto che lo separa di Artsakh (ex Karabakh), questa repubblica autoproclamata nel 1991 e non riconosciuta dalla comunità internazionale.

Per la prima volta dalla guerra ad alta intensità del 1988-1994, Stepanakert, la capitale dell’Artsakh, fu bombardata mentre i civili si rifugiarono in rifugi.

Armenia e Karabakh in allerta generale

Nell’arco di dieci ore si sono svolti combattimenti di rara violenza in molti punti del fronte con un focus nelle regioni di Fizouli e Djebraïl che hanno causato perdite significative: 16 soldati e civili uccisi dal lato armeno. e 200 nei ranghi militari azerbaigiani. Da parte sua, la parte armena ha affermato di aver perso alcune posizioni e ha abbattuto 4 elicotteri azeri, 15 droni da combattimento, 10 carri armati e diverse batterie missilistiche. Mentre Baku ha accolto con favore la riconquista di diverse posizioni e villaggi.

Araïk AroutiounianIl presidente dell’autoproclamata piccola repubblica, sostenuta dall’Armenia, ha decretato “la mobilitazione generale degli over 18” in risposta a una grande offensiva da parte dell’Azerbaigian domenica, mentre nella vicina Armenia, volontari accorse, chi arruolare, chi donare il sangue. Dopo l’annuncio dei primi scontri domenica mattina, il premier armeno Nikol Pachinian ha decretato la “mobilitazione generale” e l’istituzione della “legge marziale”, oltre a far eco alla decisione presa dalle autorità del Karabakh . “Vinceremo. Lunga vita al glorioso esercito armeno! Il signor Pachinian ha scritto su Facebook. Il presidente azero Ilham Aliev, da parte sua, ha convocato una riunione del suo Consiglio di sicurezza durante la quale ha denunciato una “aggressione” da parte dell’Armenia.

Leggi anche: Il disastro armeno come precursore dell’esperienza europea

Appena un’ora dopo lo scoppio delle ostilità, i media azeri e turchi hanno pubblicato rapporti online sullo sviluppo delle operazioni lungo la linea di contatto, suggerendo che questa offensiva turco-azera era premeditata e pianificata per anni. settimane se non mesi.

Turchia in azione

Ci stiamo muovendo verso un conflitto regionale ad alta intensità? Ankara avrebbe pianificato questa operazione volta a stravolgere uno status quo ritenuto troppo favorevole alla parte armena e spingere la Russia ai suoi limiti?

Appena 24 ore prima dello scoppio delle ostilità, informazioni particolarmente inquietanti sono state trasmesse dalla stampa dei due paesi di lingua turca. È il caso in particolare del quotidiano Yeni Şafak , quotidiano turco filogovernativo che, il giorno prima del lancio dell’offensiva, ha denunciato in prima pagina la “collaborazione del PKK e dell’Armenia in Nagorno-Karabakh”. Il quotidiano ritiene di sapere che “dozzine di terroristi curdi del PKK addestrati nei campi di addestramento in Iraq e Siria sono stati trasferiti in Nagorno-Karabakh per occuparsi dell’addestramento delle milizie armene”. Sebbene parallelamente a queste informazioni difficili da verificare, abbiamo appreso che le forze turche che occupano la regione di Afrin nel nord-ovest della Siria, hanno aperto la scorsa settimana dueCentri di reclutamento mercenario per l’Azerbaigian .

Un vantaggio per il regime di Aliyev che, nonostante la propaganda anti-armena, lotta per mobilitare i volontari. A questo si aggiunge che la situazione socioeconomica in Azerbaigian è più che preoccupante. Le battute d’arresto militari degli azeri contro l’Armenia lo scorso luglio nella regione di Tavush hanno gonfiato la frustrazione di una popolazione riscaldata al bianco dalle arringhe di una potenza visibilmente all’erta e fortemente scossa dalle disastrose conseguenze della caduta del domanda di idrocarburi in questi tempi di pandemia.

Vedendo la sua capitale di legittimità sciogliersi al sole con il crollo dei prezzi del petrolio greggio, il regime di Aliyev ha messo il timone a drittaverso il fratello maggiore turco, anche se significa sacrificare tutta una parte della sua sovranità alla volontà degli orientamenti strategici del presidente Erdogan. Vista da Mosca, questa escalation è vista come un tentativo della Turchia di interferire in una regione precedentemente considerata come sua riserva. Non avere alcun interesse a vedere il suo cortile caucasico destabilizzato dalla Turchia, alla ricerca di nuovi fronti nel grande gioco che sta emergendo dalla Libia all’Iraq passando per Cipro, il Mar Egeo, la Russia che vende armi ai due belligeranti, vuole fare da fattore di dissuasione e limitarsi a un ruolo di mediatore. Ma questo compito sembra sempre più difficile. Ricordalo dopo la guerra dello scorso luglioche si è concluso con il collasso militare per Baku, il ministro degli Esteri azero Elmar Mamediarov, che era a capo della diplomazia azera dal 2004, reputato vicino a Mosca, era stato sostituito dall’ex ministro dell’Istruzione Jeyhun Bayramov, acquisito all’ideologia ultranazionalista del pan-turkmeno. Pochi giorni dopo, nell’enclave di Nakhitchevan, a meno di quaranta chilometri da Yerevan, capitale dell’Armenia, hanno avuto luogo importanti manovre militari tra l’esercito turco e quello azero.

Da leggere anche: l’ Armenia attraverso i secoli; Storia della resilienza

A livello regionale, Baku gode di una solidarietà sfrenata da parte del fratello maggiore e partner strategico turco in nome del pan-Turkismo. L’Armenia, da parte sua, ha integrato l’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO) senza però godere dell’effettivo appoggio dei suoi membri, divisi sulla questione del Karabakh. Con la presenza di una base e guardie di frontiera russe sul suo suolo. Yerevan lo vede come il pegno dell’assicurazione sulla vita, dell’ultima generazione di armi, in cambio di un rapporto sempre più asimmetrico.

Ma l’apparizione di una Turchia irregolare sulla scacchiera del Caucaso, la comprovata presenza di consiglieri militari, membri dei servizi segreti del MIT o persino droni turchi su un campo di gioco finora considerato sotto l’influenza russa, è nel processo di sconvolgere equilibri molto fragili.

Da leggere anche: Charalambos Petinos: dove sta andando la Turchia?

Addendum

Un dispaccio di Asia News informa che i mercenari che hanno combattuto in Siria sono stati inviati dall’esercito turco attraverso l’Azerbaigian per combattere in Artsakh. Sono pagati $ 1800 al mese e hanno un contratto di tre mesi.

Ciò conferma l’impegno della Turchia nel conflitto e il ruolo svolto dai mercenari jihadisti.

https://www.revueconflits.com/artsakh-karabakh-armenie-attaque/

Lavrov: “Siamo pronti a dialogare con tutti”_ intervista al Ministro degli Esteri Russo, Lavrov

L’informazione in Italia sta assumendo toni sempre più propagandistici e scioccamente unilaterali, specie sui temi di politica estera. Proprio quando con l’affermazione del multipolarismo i punti di vista e le campane tendono a diversificarsi e a divergere. Qui sotto una intervista al Ministro Lavrov pubblicata da https://it.sputniknews.com/intervista/202009189544338-esclusiva-lavrov-siamo-pronti-a-dialogare-con-tutti/

Essendo un alto dirigente politico e un fine diplomatico, il suo pensiero va letto soprattutto tra le righe.

Giuseppe Germinario

Per fare il punto della situazione attuale nelle relazioni internazionali, nelle prospettive nella risoluzione delle crisi in corso nel mondo e nelle relazioni bilaterali, Sputnik ha intervistato in esclusiva il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov.

— È con noi in collegamento il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov. Buongiorno, signor ministro!

— Buongiorno! Vi ringrazio per l’invito.

— Vorrei cominciare il nostro incontro parlando dei rapporti bilaterali russo-americani e, se non ha nulla in contrario, avrei una domanda in merito alle elezioni che attendono gli USA tra meno di 2 mesi. L’élite statunitense, indipendentemente dal suo colore politico, parla spesso del ruolo esclusivo del proprio Paese in qualità di leader assoluto a livello mondiale. Qual è la portata dell’impatto che questa agenda di politica interna ha sulla politica estera degli USA e sui rapporti con alleati e partner, nonché sui rapporti bilaterali con la Russia? In che modo, a Suo avviso, il principio statunitense di esclusività influisce sui processi a livello internazionale?

— Probabilmente tutti hanno già tratto le proprie conclusioni e con tutti intendo chi segue in maniera attenta e professionale il corso degli scontri politici interni al Paese. Tali scontri, infatti, sono sempre stati il pretesto delle posizioni assunte sia da democratici sia da repubblicani. Quello che succede oggi non fa eccezione. La cosa più importante è raccogliere il maggior numero possibile di argomentazioni per battere l’avversario sul piano retorico, informativo e polemico. Presto si terranno i dibattiti tra i principali candidati democratici e repubblicani alle presidenziali e già ora una posizione di rilievo la ricoprono temi come la questione russa, ossia la questione dell’ingerenza della Russia (ormai questa teoria si è imposta come cliché) negli affari interni degli Stati Uniti.

In verità, nelle ultime settimane o comunque negli ultimi 2 mesi si è aggiunta a noi la Cina che ora occupa una posizione d’onore di spicco tra i nemici dell’America che starebbero tentando in tutti in modo di far accadere eventi catastrofici in America. A questo in fin dei conti noi siamo già abituati da anni. È un processo cominciato non con la presente amministrazione, ma già con Obama. Proprio quest’ultimo dichiarava, tra l’altro anche pubblicamente, che i dirigenti russi stessero consciamente operando per rovinare le relazioni tra Mosca e Washington.

Inoltre, dichiarava che la Russia si sarebbe intromessa nelle elezioni del 2016 e con questo pretesto ha introdotto sanzioni senza precedenti, inclusa la confisca di proprietà russe sul suolo statunitense, l’espulsione di decine di nostri diplomatici e delle loro famiglie e molto altro. Poi, quanto alla teoria dell’esclusività statunitense, si tratta di una tesi condivisa sia da democratici sia da repubblicani, ma anche da tutte le altre correnti politiche degli USA. Abbiamo commentato più volte che già in passato nella storia vi sono stati tentativi di chi ha voluto presentarsi come infallibile e onnisciente fautore del destino dell’intera umanità. Questi tentativi, però, non hanno portato a nulla di buono. Pertanto, noi confermiamo il nostro approccio: qualsivoglia evento di politica interna a un Paese è un affare di quel Paese.

È un peccato che facciano un uso spregiudicato di retorica nei propri affari interni e, tra l’altro, di una retorica che non riflette la reale situazione a livello internazionale. È altresì un peccato che, per conquistare il maggior numero di preferenze in questa campagna elettorale, senza alcun dubbio o vergogna, introducano con o senza pretesto ingiuste sanzioni contro chi sullo scacchiere internazionale dica anche solo qualcosa non perfettamente in linea con gli Stati Uniti.

Questo istinto sanzionatorio che è stato implementato anzitutto durante la presente amministrazione (ma, lo ribadisco, anche Obama ne ha fatto ampia prova) sta contagiando purtroppo anche il continente europeo: anche l’Unione europea, infatti, ricorre sempre più spesso all’applicazione delle sanzioni. Pertanto, la conclusione che traggo è assai semplice. Lavoreremo naturalmente con qualsivoglia governo che il dato Paese sceglierà e questo vale anche per gli Stati Uniti. Ma dialogheremo con gli Stati Uniti su qualunque questione di interesse solamente sulla base di principi quali la parità, il reciproco vantaggio e la ricerca di un equilibrio di interessi. Dialogare con noi proclamando ultimatum è inutile e insensato. Chi non lo capisce, non è un buon politico.

— Lei ha menzionato la pressione sanzionatoria che in molti casi non nasce direttamente nei circoli politici, ma viene prefigurata dai media. Negli USA, in Gran Bretagna e in Europa questo succede assai spesso. La stampa statunitense ha accusato la Russia di aver cospirato con i tabloid contro i militari statunitensi in Afghanistan, il Ministero britannico degli Esteri ha confermato che la Russia si sarebbe quasi certamente intromessa nelle elezioni parlamentari del 2019, questa settimana gli Stati membri dell’UE stanno discutendo l’ennesimo pacchetto di sanzioni da comminare alla Russia in relazione a presunte violazioni dei diritti umani. Lei crede che questo approccio, ossia la politica di demonizzazione di Mosca, possa in qualche modo cambiare in futuro oppure non farà che crescere?

— Al momento non vediamo segnali di futuri cambiamenti a livello politico. Purtroppo questa inclinazione all’applicazione di sanzioni non farà che aumentare. Stando a ciò che abbiamo visto ultimamente vogliono punirci anche per ciò che sta accadendo in Bielorussia e anche per l’incidente di Navalny, sebbene si rifiutino categoricamente di mantenere gli impegni presi nell’ambito della Convenzione europea di assistenza giudiziaria e di rispondere alle istanze ufficiali della Procura generale. Sono state accampate scuse del tutto fittizie. La Germania sostiene: “non vi possiamo dire niente, rivolgetevi alla Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche”. Noi ci siamo andati più volte e ci hanno detto di rivolgerci a Berlino.

Spesso si sente dire “fare a scaricabarile”: ecco più o meno è il modo in cui i nostri partner occidentali, mi si conceda l’espressione, stanno reagendo alla nostra linea e stanno dichiarando a gran voce che “l’avvelenamento è ormai conclamato, nessuno se non la Russia avrebbe potuto farlo, ammettetelo”. È successo lo stesso con Skripal e, tra l’altro, sono convinto che, se non ci fosse stato questo caso Navalny, se ne sarebbero inventati un altro. Tutto ha finalizzato a minare il più possibile le relazioni tra Russia e UE. Nell’Unione europea vi sono Paesi che capiscono questa logica, ma da loro continua a prevalere il principio del consenso, la cosiddetta solidarietà. Questo principio è largamente sfruttato da quei Paesi che rappresentano una minoranza russofobica e aggressiva.

Oggi l’Unione europea sta valutando la possibilità, da quello che ho capito sulla base della presentazione del rapporto del presidente della Commissione europea, di assumere decisioni relative a determinati temi non in base al consenso, ma al voto. Questo cambiamento sarà interessante perché potremo vedere chi desidera sfruttare a proprio favore il diritto internazionale e chi invece predilige una politica ragionata e bilanciata, basata sul pragmatismo. Ricordo, però, che quando ci accusavano di aver stretto relazioni con i talebani per indurli previa ricompensa in denaro a condurre operazioni speciali contro i soldati americani, i talebani combattevano però per i propri interessi e le proprie convinzioni. Pensare che noi potremmo essere in grado di fare cose del genere, cose da fuorilegge, è una caduta di stile persino per gli alti funzionari statunitensi. Tra l’altro, il Pentagono è stato costretto a smentire riflessioni di questo tipo poiché non ne ha trovato alcuna riprova.

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik
© SPUTNIK . ALEKSEY KUDENKO
Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik

Gli stessi talebani hanno dichiarato che si tratta di una menzogna bella e buona. Ma nell’epoca delle reti sociali, della disinformazione e dei comunicati fake, tanto vale dare in pasto ai media qualsiasi trovata perché poi nessuno si preoccupa di leggere le smentite. Il primo clamore che si viene a creare con questa sorta di sensazionalismi è ciò su cui fanno affidamento i loro autori. Pertanto, noi abbiamo detto più volte sia agli americani sia ai britannici: “se avete richieste nei nostri confronti, siete pregati di attivare le procedure diplomatiche ufficiali di dialogo che si devono basare su fatti reali”. Poiché la maggior parte delle richieste in merito all’ingerenza riguarda lo spazio cibernetico (ci accusano, infatti, di hackeraggio di enti pubblici e di intrusione in qualsivoglia sistema strategico dei nostri colleghi occidentali), abbiamo proposto di rinnovare il dialogo in materia di sicurezza informatica anche internazionale in tutti i suoi aspetti e hanno risposto di essere pronti a valutare le preoccupazioni in capo ad ambo le parti.

Anche noi, infatti, abbiamo registrato diversi casi che ci inducono a sospettare di avvenute ingerenze da parte di hacker occidentali all’interno di nostre risorse strategiche. In merito abbiamo ricevuto un secco no. E sa qual è stata la risposta? “Ci esortate a instaurare un dialogo sulla sicurezza informatica, ossia sullo stesso settore che voi sfruttate per intromettervi nei nostri affari interni”. Questo è quanto. Ed è di fatto quello che è emerso con Navalny, le stesse argomentazioni: “perché non ci credete, forse?”. Quando Rex Tillerson era segretario di Stato, dichiarò ufficialmente in un’occasione di essere in possesso di prove inconfutabili dell’ingerenza russa nelle elezioni americane. Non mi diedi pena di interessarmi in merito: “se vi fossero simili prove inconfutabili, le condivideresti, no? Saremmo noi poi i primi a fare in modo di capire di cosa si tratta perché non sarebbe nei nostri interessi inventare falsità”. Sa cosa mi disse? Mi rispose: “Sergey, non ti darò niente. I vostri servizi segreti hanno organizzato tutto questo e conoscono perfettamente la situazione. Rivolgiti a loro, te lo devono dire loro”.

Questo fu il nostro dibattito sul tema che è diventato probabilmente il principale elemento di discussione nelle nostre relazioni bilaterali. Pertanto siamo convinti che un giorno si dovrà comunque rispondere a domande concrete e presentare i fatti reali non solo in questo caso, ma anche con Navalny o ancora con l’avvelenamento di Salisbury. A tal proposito, in merito a Salisbury, due anni fa quando è accaduto il fatto e quando ci hanno additato come unico produttore di novichok, abbiamo risposto argomentando la nostra posizione. Tutti possono prendere conoscenza dei fatti: alcuni Paesi occidentali hanno messo a punto sostanze simili al novichok che tra l’altro negli USA sono state brevettate anche per uso bellico.

E tra quei Paesi in cui sono state condotte operazioni di questo tipo possiamo menzionare ad esempio la Svezia. Due anni fa ci hanno detto: “non osate annoverarci fra questi Paesi, non ci siamo mai occupati di novichok”. Ma adesso, come ben sapete, uno dei Paesi a cui si sono rivolti i tedeschi per riconfermare le loro conclusioni oltre alla prima conferma francese è stata proprio la Svezia. E gli svedesi hanno dichiarato che effettivamente confermavano l’esattezza dei risultati delle indagini condotte presso il laboratorio dell’esercito tedesco e che si trattava proprio di novichok. Ma se 2 anni fa la Svezia non disponeva delle competenze per capire se fosse novichok o meno e dopo 2 anni ne è capace, significa che qualcosa dev’essere accaduto. E se è accaduto ciò che ha permesso alla Svezia di capirne di novichok, probabilmente andrebbe considerato una violazione della Convenzione sulle armi chimiche. Concludo la mia risposta alla Sua domanda dicendo che siamo pronti a dialogare con tutti. Basta che non ci obblighino a giustificarci senza nemmeno presentare dei fatti reali. Saremo sempre pronti al dialogo professionale sulla base di questioni concrete e chiaramente formulate.

— Oltre alle controversie che stanno sorgendo tra di noi e i nostri partner occidentali in merito agli ultimi eventi all’ordine del giorno, si registra la presenza di dissensi in merito a visioni diverse della storia. Al momento le grandi manifestazioni che hanno avuto luogo negli USA hanno innescato cambiamenti radicali. In sostanza, ha preso avvio un processo di riesame di buona parte della storia e della cultura internazionale di stampo americano: si profanano i monumenti e si cerca di cambiare l’assetto degli eventi. In tal senso, ci sono stati e continuano ad esserci tentativi finalizzati a rivedere la Seconda guerra mondiale e il ruolo in essa rivestito dall’Unione Sovietica. A Suo avviso, a quali conseguenze per gli USA possono portare questi tentativi di revisionismo storico e quali invece saranno le conseguenze a livello globale?

— Lei ha assolutamente ragione. Siamo molto preoccupati per le sorti della storia europea e mondiale. Stiamo vivendo, per essere franchi, una aggressione storica finalizzata a riscrivere le fondamenta contemporanee del diritto internazionale posate dopo la Seconda guerra mondiale mediante l’operato dell’ONU e i principi del suo statuto. Oggi sono proprio queste fondamenta che si cercano di minare. Si ricorre anzitutto a un’argomentazione che non è altro se non un tentativo di porre sullo stesso piano l’Unione Sovietica e la Germania nazista, ossia gli aggressori e i vincitori degli aggressori, i vincitori di coloro che hanno tentato di asservire l’Europa e rendere schiava la maggior parte dei popoli del nostro continente.

Ci offendono dichiarando senza mezzi termini che l’Unione Sovietica ha persino più colpe della Germania di Hitler per aver provocato la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, nascondono accuratamente sotto al tappeto i fatti: ossia, che tutto era cominciato già nel ’38, che prima di quel momento erano le nazioni occidentali a condurre una politica di appeasement nei confronti di Hitler (in particolare, Francia e Gran Bretagna). Non mi dilungherò troppo su questo tema, perché molto è già stato detto. In merito rimando al noto articolo del presidente Vladimir Putin che tratta tutti gli elementi salienti della vicenda e, sulla base di diverse fonti, dimostra in maniera convincente quanto siano insensati, controproducenti e distruttivi i tentativi di minare i risultati conseguiti in esito alla Seconda guerra mondiale. Ricordo comunque che noi siamo supportati dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale in questo senso.

Ogni anno in occasione delle sedute dell’Assemblea generale dell’ONU proponiamo ai voti la risoluzione sull’inammissibilità della glorificazione del nazismo. Solo 2 Paesi votano contro (USA e Ucraina) e l’intera Unione europea si astiene, con mio profondo rammarico. Si astiene perché, come ci spiegano loro stessi, a chiedere di non supportare questa risoluzione sono anzitutto i Paesi baltici. Ma, come si suol dire, hanno la coda di paglia: in questa risoluzione non vi è alcuna menzione specifica ad alcun Paese o governo. Semplicemente si invita l’intera comunità mondiale a non consentire che vi siano tentativi di glorificazione del nazismo. Ma, dunque, i Paesi che chiedono all’UE di non supportare questa chiara risoluzione, la quale non ha alcun doppio fine, sentono di non poter accettare questi principi. E alla fine è proprio quello che succede: assistiamo alle marce di nuove SS e alla distruzione dei monumenti. I nostri vicini polacchi sono molto attivi su questo fronte e anche in Repubblica Ceca si sono verificati casi simili. È inaccettabile.

Tra l’altro, oltre al fatto che così si minano i risultati della Seconda guerra mondiale sanciti nello statuto dell’ONU, si tratta anche di gravi violazioni dei trattati bilaterali stretti tra questi Paesi e altri Paesi che invece si preoccupano di tutelare le sepolture dei soldati e i monumenti eretti in Europa in memoria delle vittime della Seconda guerra mondiale e degli eroi che hanno liberato i loro rispettivi Paesi. Pertanto, continueremo a lavorare in questo senso e, a mio avviso, è importante assicurarsi che chi è contro l’abolizione della glorificazione del nazismo si muova effettivamente in linea con i diritti umani.

Dopotutto, la libertà di pensiero e di espressione che esistono negli USA e in altri Paesi occidentali non sono sottoposte ad alcun tipo di censura. Se questa libertà viene limitata dall’inammissibilità della glorificazione del nazismo, si andrebbe contro la data legge. Ma voglio dirlo chiaramente: ciò che sta accadendo oggi negli USA è probabilmente legato in qualche modo a ciò di cui stiamo parlando in merito all’inammissibilità di rivedere i traguardi raggiunti dopo la Seconda guerra mondiale. Una rabbia generalizzata a sfondo razzista è ovviamente presente negli USA e vi sono forze politiche che stanno tentando di fomentare questi sentimenti razzisti a proprio vantaggio. Di fatto è ciò che accade ogni giorno. Poc’anzi lei ha citato altri fatti o monumenti storici che sono oggetto di politiche effimere.

Tra le grinfie di chi negli USA intende distruggere la sua stessa storia perché in passato erano schiavisti è finito il monumento al primo governatore dell’Alaska Baranov che si trovava nella città di Sitka e ha sempre suscitato profondo rispetto sia negli abitanti del luogo sia nei turisti. Ci è giunta notizia che il governatore dell’Alaska e le autorità di Sitka non intendono distruggere il monumento ma riposizionarlo in un museo di storia, come ci hanno assicurato. E qualora questo dovesse realmente accadere, come ci hanno promesso, penso che dovremmo apprezzare questo gesto delle autorità di Sitka nei confronti della nostra storia comune e spero che il riposizionamento del monumento a Baranov in un museo di storia stimoli anche all’organizzazione di una mostra dedicata alla storia dell’America russa.

— Avrei alcune domande in merito all’ordine del giorno su Francia e Africa. Iniziamo dalla Francia. Emmanuel Macron è al potere da 3 anni e il suo primo invito ufficiale al capo di un altro Stato è stato rivolto a Vladimir Putin con il fine di migliorare le relazioni russo-francesi. Ci sa dire quali sono stati i veri cambiamenti avvenuti da allora a livello diplomatico nella collaborazione con la Francia e potrebbe confermare o smentire se la riunione del 16 settembre a Parigi è stata rinviata per via del caso Navalny? Per quanto ne so, ieri a Parigi doveva esserci un incontro che non ha però avuto luogo…

— Non ieri. Avrebbe dovuto avvenire qualche giorno prima, ma questo non cambia le cose. In primo luogo, la Francia è uno dei nostri principali partner internazionali. Da tempo abbiamo identificato la nostra cooperazione bilaterale alla stregua di partenariato strategico. E subito dopo la sua elezione, il presidente Macron ha invitato il presidente russo come una delle sue prime mosse di politica estera. E come risultato di questa visita, che ebbe luogo nel maggio 2017 a Versailles, furono confermate le intenzioni e la disponibilità di entrambi i Paesi e dei loro leader a coltivare il partenariato nell’ambito della cooperazione bilaterale delle relazioni internazionali, nonché a livello regionale e globale.

Sulla base del vertice di Versailles fu istituito il Forum di dialogo della società civile, il Dialogo di Trianon, che ad oggi funziona piuttosto bene, anche se per via delle restrizioni legate al coronavirus non è ancora possibile organizzare eventi in presenza. Da allora vi sono state più visite del presidente Macron in Russia e visite del presidente Putin in Francia. L’ultima visita tenutasi nell’agosto dello scorso anno è stata la visita del presidente Putin e le relative trattative con il presidente Macron presso la residenza Fort de Brégançon. Era agosto dello scorso anno, come ho detto. Si è tenuta una discussione molto produttiva e profonda in merito alla necessità di instaurare relazioni strategiche finalizzate ad affrontare i temi chiave del mondo moderno, anzitutto, naturalmente, in Europa, nell’Euro-Atlantico.

L’obiettivo è rafforzare la sicurezza in queste aree. All’epoca i due presidenti si sono accordati per creare meccanismi di interazione ramificati sia attraverso i Ministeri degli Esteri che quelli della Difesa. Si osservi anche la ripresa del formato 2+2 che, sebbene di lunga data, aveva registrato una pausa nel suo utilizzo. Lo scorso settembre si è tenuta a Mosca una seduta in formato 2+2. Oltre a questi due Ministeri, le questioni strategiche di stabilità vengono discusse anche dai consulenti di politica estera dei due presidenti. Con il loro benestare, con il benestare del presidente Putin e del presidente Macron, sono stati istituiti più di 10 gruppi di lavoro su temi diversi legati alla cooperazione in questo ambito: controllo sugli armamenti, non proliferazione delle armi di distruzione di massa, ecc.

E nel complesso la maggior parte di questi meccanismi funziona bene ed è finalizzata a far sì che noi possiamo congiuntamente ai colleghi francesi creare iniziative volte a stabilizzare le relazioni in Europa e a normalizzare l’attuale situazione. In particolare, quando si acuiscono le divisioni, quando la NATO incrementa le proprie infrastrutture militari sul territorio dei nuovi membri violando il patto Russia-NATO firmato già negli anni ’90 e considerato alla base della nostra collaborazione. Al momento sono diverse le tendenze che preoccupano: uno di questi fattori destabilizzanti è il ritiro degli USA dal Trattato INF e l’intenzione ufficialmente dichiarata di dispiegare tali missili non solo in Asia, ma apparentemente anche in Europa.

I lanciatori antimissilistici attualmente dispiegati in Romania e in fase di dispiegamento in Polonia possono essere utilizzati non solo per il lancio contro i missili, non solo dunque a scopo difensivo, ma anche offensivo, perché dagli stessi lanciatori possono partire missili da crociera d’assalto. L’uso di questi ultimi era vietato dal Trattato INF, ma ora il trattato non c’è più e gli americani non hanno più vincoli. Circa un anno fa (fra poco ricorrerà un anno da quell’occasione) il presidente Putin si è rivolto a tutte le autorità dei Paesi europei, di USA, Canada e di altre nazioni in merito al ritiro degli USA dal Trattato INF.

Il presidente ha esortato a non scatenare una corsa agli armamenti, ma a dichiarare una moratoria reciproca e volontaria su quegli stessi mezzi d’assalto vietati dal Trattato. Nessuno dei leader ha di fatto dato seguito a questa proposta, tranne il presidente Macron. E questo l’abbiamo apprezzato. Questo è sintomo del fatto che il leader francese è sinceramente interessato a sfruttare qualsivoglia spazio di dialogo con la Federazione Russa. E senza questo dialogo è impossibile garantire la sicurezza in Europa. Pertanto, abbiamo previsto degli incontri 2+2, ma in forza di ragioni che sono avvolte dal mistero, i colleghi francesi hanno chiesto di posticipare i nostri incontri. Dunque, il nostro prossimo incontro ministeriale 2+2 con i ministri di Difesa ed Esteri è stato rimandato a data da destinarsi. Non mi esprimerò in merito alle ragioni addotte, ma evidentemente il clima generale dell’UE nei confronti della Russia sta influenzando anche la cadenza degli incontri. Tuttavia, si sono da pochissimo tenute le consultazioni su tutta una serie di questioni importanti: lotta al terrorismo, problemi di sicurezza informatica. Sono tutti questi progetti che erano stati previsti e approvati dai presidenti Putin e Macron.

— Come ha di recente osservato Aleksandr Lukashevic, rappresentante permanente della Russia all’OSCE, la situazione dell’agenzia Sputnik in Francia non è affatto migliorata. I nostri giornalisti continuano a non essere ammessi alle conferenze stampa e a qualsivoglia evento dell’Eliseo. Vorrei sapere in che modo questa situazione può essere risolta e se il problema è stato affrontato con la parte francese.

— Ovviamente questo problema è stato affrontato. Riteniamo inaccettabile che i corrispondenti di Sputnik e di Russia Today (RT) vengano apertamente discriminati in Francia e nei Paesi baltici, com’è noto. Il fatto che negli ultimi anni (dal 2017) né RT né Sputnik vengano accreditati nell’Eliseo è ovviamente vergognoso. Ma a sorprendere ancor di più è il fatto che i nostri colleghi francesi confermino che non concederanno l’accreditamento in futuro perché RT e Sputnik “non sono media, ma strumenti di propaganda”.

A mio avviso, non vale la pena di commentare l’assurdità di tali dichiarazioni dato che RT e Sputnik godono di ampio successo. In tutti i Paesi aumenta il pubblico target, ho consultato io stesso le statistiche. Questo potrebbe semplicemente essere l’ennesima manifestazione di timori nei confronti della concorrenza di coloro che fino a poco tempo fa ricoprivano una posizione di spicco nel mercato globale dell’informazione. Vogliamo che la questione venga affrontata dai francesi e chiediamo loro di far cessare le discriminazioni nei confronti di media registrati in Russia. Se ci rispondono con la storia dei finanziamenti pubblici, allora ricordiamo loro che a godere di finanziamenti pubblici sono anche molte agenzie di stampa considerate fari della democrazia.

Sia Radio Free Europe sia la BBC godono di questi fondi ma per qualche motivo nei loro confronti non vengono adottate misure restrittive, nemmeno lato Internet dove al momento si opera un certo grado di censura. Google, YouTube e Facebook stanno prendendo decisioni, evidentemente su pressione delle autorità statunitensi che discriminano i media russi, in merito alla pubblicazione di materiali sulle loro piattaforme. La questione dev’essere affrontata non solo a livello bilaterale, ma a livello dell’OSCE dove è presente un rappresentante speciale per la libertà di stampa, nonché a livello dell’UNESCO che è chiamata a supportare il giornalismo libero e la libertà di espressione.

Infine esortiamo anche il Consiglio d’Europa a occuparsene. Interessante è che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, durante la fase della ricostruzione che permise alla Russia di aprirsi al mondo come si è soliti dire, nell’ambito dell’OSCE i nostri partner occidentali stavano avanzando proposte per garantire accesso libero a qualsivoglia informazione sia basata su fonti interne sia proveniente dall’estero. Questo fu evidentemente pensato per rafforzare la spinta all’apertura della società sovietica al mondo esterno. Dunque, oggi, quando ricordiamo loro queste proposte e richiediamo che l’accesso alle informazioni venga garantito a Sputnik e RT in Francia, i nostri partner occidentali sono poco inclini a confermare quelle stesse decisioni assunte su loro iniziativa 30 anni fa. Il doppio standard è un comportamento ipocrita. Ad ogni modo a dicembre si terrà l’ennesimo vertice ministeriale dell’OSCE. La questione non verrà cancellata per nessun motivo dall’ordine del giorno e i nostri colleghi occidentali avranno molte domande a cui rispondere.

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik
© SPUTNIK . ALEKSEY KUDENKO
Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik

— Passiamo ora all’agenda sull’Africa. Al vertice di Sochi sono stati siglati più di 90 accordi di collaborazione con i Paesi africani. Vorrei sapere con quali ritmi la Russia sta tornando dopo la pandemia all’esecuzione degli accordi siglati e quali di questi sono prioritari e in quali Paesi africani.

— Dopo il vertice tenutosi lo scorso ottobre a Sochi abbiamo conseguito l’ennesimo successo della nostra politica estera, come testimoniano tutti i nostri ospiti africani. Non abbiamo fatto nessuna pausa. La pandemia ha imposto di prevedere alcuni correttivi nelle modalità di comunicazione, ma continuiamo a lavorare da remoto, come si dice. Anche in politica estera e in diplomazia è possibile. Il presidente Putin si è più volte messo in contatto per telefono con i leader africani, con i presidenti di Sudafrica, Congo, Etiopia. Ci sono state videoconferenze tra i ministri degli Esteri di Russia e della Triade africana (ossia, i presidenti precedente, in carica e futuro dell’Unione africana), ovverosia Sudafrica, Egitto e Repubblica Democratica del Congo.

All’interno del nostro Ministero è stato istituito un segretariato speciale denominato Forum Russia-Africa. La decisione di istituire questo ente è stata assunta a Sochi. Il segretariato è già operativo, proprio l’altro giorno ci siamo incontrati con il direttore di una delle commissioni regionali sul continente africano, la IGAD. L’ex ministro degli Esteri etiope ne è il segretario generale. Nello specifico, abbiamo discusso dei piani concreti di cooperazione nell’ambito del progetto Russia-IGAD. Abbiamo piani simili sia con l’Africa meridionale sia occidentale, nonché con tutte le organizzazioni a livello regionale e con l’Unione africana che è la struttura panafricana per eccellenza. La nostra operatività consiste in consultazioni su questioni di importanza per il continente africano, quali la normalizzazione di conflitti, lo svolgimento di eventi congiunti in ambito culturale e didattico, lo sviluppo della cooperazione economica, il supporto alla collaborazione in materia di politica estera, il sostegno all’attività delle imprese russe in Africa e dei loro partner.

Abbiamo molti progetti e il nostro operato è molto apprezzato dai colleghi africani. Per quanto riguarda la pandemia, decine di Paesi africani hanno ricevuto aiuti da noi per risolvere la questione dell’approvvigionamento di tamponi, dispositivi di protezione individuale, farmaci. La collaborazione su questo fronte continua ancora oggi. I Paesi africani come anche quelli asiatici e latinoamericani stanno manifestando il loro interesse per avviare sul proprio territorio la produzione del nostro vaccino Sputnik V e al momento i nostri organi competenti preposti alla risoluzione di tali questioni stanno valutando i potenziali candidati per avviare nuove linee di produzione. Infatti, servono grandi quantità di dosi. Abbiamo ottime esperienze in Guinea e Sierra Leone: quando vi fu l’Ebola, i nostri medici installarono un ospedale da campo e avviarono in Guinea la produzione del vaccino specifico.

L’esperienza dell’Ebola ha aiutato molto i nostri esperti a elaborare il vaccino contro l’infezione da coronavirus impiegando una piattaforma creata già per contrastare l’Ebola. Pertanto, a mio avviso, abbiamo all’attivo molti progetti interessanti. Ci siamo, tra l’altro, accordati per incrementare il numero di borse di studio che renderemo disponibili ai Paesi africani. Quanto al tema della cooperazione economica, poche settimane fa abbiamo creato l’Associazione per la cooperazione economica della Federazione Russa con i Paesi africani. Dunque, non appena saranno rimosse le restrizioni legate al coronavirus, sono sicuro che tutti questi progetti saranno realizzati con più entusiasmo che mai. Per adesso continuiamo a lavorare da remoto.

— Abbiamo parlato di USA e di Europa. Veniamo ora al mondo arabo. Non posso non partire dalla questione siriana. Che voto darebbe al Ceasar Act statunitense che ha interessato non solo la Siria ma anche i più prossimi partner di Damasco? Quali nuove soluzioni possono essere implementate per migliorare la situazione umanitaria del Paese in relazione anche alle difficili condizioni economiche?

— Il piano Ceasar Act prevede in sostanza l’introduzione di sanzioni considerate uno strumento per inibire la leadership della Repubblica araba siriana. In realtà queste sanzioni, così come i precedenti pacchetti di sanzioni, partono da USA, UE e diversi altri alleati statunitensi e colpiscono chiaramente i comuni cittadini siriani. Proprio ieri a New York il Consiglio di sicurezza ha discusso di come migliorare la situazione umanitaria in Siria e i nostri colleghi occidentali hanno insistito in maniera estremamente compiaciuta di essere nel giusto dichiarando che le sanzioni servono esclusivamente a limitare l’operato di funzionari e rappresentanti di quello che loro definiscono “regime” e che i comuni cittadini non ne soffrono perché le sanzioni non sono comminate su materiale umanitario quale i farmaci, il cibo e altri generi di prima necessità.

Attacco aereo della coalizione in Siria (foto d'archivio)
© AFP 2020 / ARIS MESSINIS

Tuttavia, sono menzogne perché nessuna spedizione di questi prodotti viene inviata in Siria da questi Paesi, ad eccezione di piccoli lotti. La Siria tratta principalmente con Russia, Iran, Cina, alcuni Paesi arabi e altri Paesi che comprendono quanto sia fondamentale superare la presente situazione di difficoltà e ripristinare le relazioni con la Repubblica araba siriana. Sempre più Paesi, anche del Golfo Persico, stanno decidendo di riavviare l’attività diplomatica in Siria e sempre più Paesi comprendono che è inaccettabile in ottica di diritti umani continuare con queste sanzioni.

Le sanzioni sono state annunciate in via unilaterale e sono illegittime. Proprio ieri o l’altroieri il segretario generale dell’ONU António Guterres ha rinnovato a questi Paesi che hanno annunciato sanzioni in via unilaterale contro uno determinato Paese in via di sviluppo il proprio invito (che già aveva espresso 6 mesi fa) a interrompere le sanzioni almeno durante l’emergenza sanitaria. L’Occidente rimane cieco di fronte a queste esortazioni sebbene la stragrande maggioranza dei Paesi membri dell’ONU abbia supportato questi inviti. Cercheremo di trattare ulteriormente questo tema. All’ONU si approvano speciali risoluzioni che dichiarano le sanzioni unilaterali illegittime e si conferma che solo le sanzioni in linea con il Consiglio di sicurezza debbono essere seguite poiché costituiscono l’unico strumento legale fondato sul diritto internazionale. Nel complesso sulla regolamentazione della questione siriana stiamo lavorando attivamente nell’ambito del “formato di Astana” con i partner turchi e iraniani. Di recente con il primo ministro russo Yury Borisov ci siamo recati in visita a Damasco. Il presidente Assad e i suoi ministri ci hanno confermato il loro impegno a mantenere quegli impegni che sono stati raggiunti tra governo e opposizione ad Astana.

A Ginevra è ripreso il lavoro del comitato costituzionale, si è tenuta la seduta della commissione redazionale. Le parti stanno giungendo a un accordo di intenti sul futuro della Siria: questo garantirà di avviare il lavoro per la riforma della Costituzione. Si restringe gradualmente lo spazio controllato dai terroristi: oramai è limitato alla zona di de-escalation di Idlib. In fase di graduale implementazione, anche se non tanto rapidamente quanto previsto, sono gli accordi russo-turchi in merito alla necessità di distinguere i comuni oppositori aperti al dialogo con il governo dai terroristi ritenuti tali dal Consiglio di sicurezza. Ma i nostri colleghi turchi si sono impegnati e noi collaboriamo con loro.

Preoccupa la situazione sulla sponda orientale dell’Eufrate dove sono dislocati in maniera illecita dei soldati americani i quali fomentano le tendenze separatiste dei turchi contenendo invece la naturale predisposizione dei curdi di dialogare con il governo. E chiaramente questo preoccupa sia in ottica di integrità territoriale della Repubblica araba siriana sia per la rischiosità che le azioni degli USA rappresentano in relazione alla questione curda. Come sapete, la questione è all’ordine del giorno non solo per la Siria, ma anche per Iran, Iraq, Turchia. Dunque, è un tema delicato per l’intera regione.

Gli americani sono abituati a ricorrere a questi espedienti per creare il caos che, sperano, si riuscirà a gestire. Loro non se ne interessano, ma le conseguenze per la regione possono essere catastrofiche se continuano a promuovere queste idee separatiste. Nell’ultimo periodo hanno annunciato alcune decisioni prese da questo gruppo illegittimo americano dislocato nella Siria orientale: il gruppo avrebbe siglato con i dirigenti curdi un accordo che consente a una società petrolifera americana di estrarre idrocarburi dal territorio della sovrana nazione siriana. Si tratta di una gravissima violazione di tutti i principi di diritto internazionale. Pertanto, i problemi nella Repubblica araba siriana sono davvero tanti.

Tuttavia, la situazione è stata significativamente normalizzata rispetto a qualche anno fa e l’operato del formato di Astana e le nostre iniziative hanno ovviamente svolto un ruolo decisivo. All’ordine del giorno ora vi sono la risoluzione dei cogenti problemi umanitari e la ripresa delle attività economiche interrotte per via della guerra. In queste direzioni ci impegneremo per mantenere il dialogo con gli altri Paesi, fra cui Cina, Iran e India. Crediamo sia importante coinvolgere organizzazioni ed enti dell’ONU agli eventi finalizzati a smobilitare in un primo luogo gli aiuti umanitari per la Siria e in seconda battuta aiuti internazionali per il risanamento di economia e infrastrutture. Il lavoro da fare non è poco, ma almeno ora sappiamo in che direzione muoverci.

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik
© SPUTNIK . ALEKSEY KUDENKO
Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ai corrispondenti di Sputnik

— L’ambasciata russa in Libia ha ripreso a operare poche settimane fa. Questa rappresentanza potrebbe diventare in qualche modo una piattaforma di dialogo tra l’Esercito nazionale libico e il governo di accordo nazionale?

— La nostra ambasciata continua come prima a lavorare dalla Tunisia. A Tripoli la nostra ambasciata tornerà, spero, presto, non appena ci garantiranno un grado basilare di sicurezza. Nella città vi è una serie di ambasciate che continua a operare come prima, ma la sicurezza lì è molto instabile, pertanto è stato deciso che i nostri diplomatici per ora lavoreranno dalla Tunisia. In merito alla intermediazione tra l’Esercito nazionale libico e il governo di accordo nazionale come primo avamposto in Libia l’ambasciata intrattiene chiaramente contatti con tutte le parti libiche.

La questione qui è però ben più ampia e di gettare ponti tra parti in conflitto se ne occupa attivamente Mosca. I Ministeri di Esteri e Difesa stanno tentando di far convergere gli sforzi per trovare soluzioni di compromesso che consentano di risolvere la crisi libica. Non è un lavoro facile. Ricordo che tutti i problemi della Libia di oggi cominciarono nel 2011 quando la NATO, nonostante quanto disposto dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, commise una gravissima violazione della risoluzione ONU e attaccò militarmente la Libia per deporre il regime di Gheddafi. Quest’ultimo fu macabramente ucciso sotto gli applausi di approvazione dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton, scena che fu trasmessa in diretta. Fu terribile.

Da allora noi, ossia chiunque voglia ripristinare ciò che è stato distrutto dalla NATO, stiamo tentando di rendere possibile l’attuazione di un qualche processo internazionale. I tentativi sono già stati diversi: si sono tenute conferenze a Parigi, Palermo e Abu Dhabi; è stato siglato l’accordo di Skhirat nel 2015, ecc. nel corso di un lungo periodo la maggior parte dei player esterni hanno puntato a collaborare con una delle forze politiche su cui avevano puntato. Noi sin dall’inizio abbiamo rifiutato questo approccio e, considerati i nostri contatti preesistenti e le relazioni di lunga data, abbiamo iniziato a collaborare con tutti senza distinzione di colore politico sia a Tripoli (dove si trova il Consiglio presidenziale e il Governo di accordo nazionale) sia a Tobruk (dove sono siti il parlamento e il Palazzo dei rappresentanti).

Più volte tutti i leader dei vari gruppi si sono recati in visita in Russia. Abbiamo tentato anche di organizzare incontri privati tra il comandante dell’Esercito nazionale libico Haftar e il capo del governo di accordo nazionale Sarraj. Sono stati a Mosca a inizio di quest’anno prima della Conferenza di Berlino. In gran parte grazie a questi sforzi che abbiamo profuso insieme ai colleghi turchi, egiziani ed emiratini siamo riusciti ad avanzare proposte che hanno determinato il successo della Conferenza di Berlino. Il cui esito è stata l’adozione di un’importante dichiarazione in seguito approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Purtroppo, in questa fase è stata prestata poca attenzione al fatto che le idee proposte dalla comunità internazionale venissero approvate dalle parti libiche.

La crisi in Libia
© SPUTNIK . ANDREY STENIN

Alcuni nostri partner sono partiti dal presupposto che, non appena la comunità internazionale avesse preso una qualche decisione, sarebbe poi rimasto solo da convincere i player interni alla Libia per trovare un accordo. Oggi capiamo che avevamo ragione quando rifiutavamo questo approccio perché è risultato che questi accordi adottati a Berlino non sono stati pienamente elaborati dalle parti libiche. In sostanza, Berlino ha creato una buona base, ma ora bisogna rifinire i dettagli. E in tal senso vi sono diverse opportunità positive: il capo del parlamento di Tobruk, il signore Saleh, e il presidente del governo di accordo nazionale Saraj sono a favore del cessate il fuoco, della pace duratura e della ripresa dei lavori nel formato 5+5 che consente la risoluzione delle questioni di carattere militare e la ripresa dei negoziati sugli affari economici, anzitutto in merito alla risoluzione equa dello sfruttamento delle risorse naturali libiche. Una importante iniziativa è stata proposta da Saleh: il suo intento è far sì che vengano considerati gli interessi non solo di Tripolitania e Cirenaica, ma anche del Fezzan, l’area meridionale della Libia che non è stata spesso menzionata nelle precedenti discussioni.

Pertanto, ci sono già idee sul tavolo che devono essere validate mediante il confronto tra le parti. Una certa importanza l’ha rivestita l’incontro convocato in Marocco tra le parti libiche coinvolte. Adesso con i nostri colleghi siamo continuando a contribuire a questi sforzi congiunti. Pochi giorni fa ad Anakra si sono tenute le consultazioni con i nostri colleghi turchi. Continuiamo a sforzarci in questo senso, parliamo con Egitto e Marocco. Contatto per telefono i miei colleghi marocchino ed egiziano. Di recente ho parlato anche con il ministro italiano degli Esteri il quale per evidenti ragioni è altamente interessato a contribuire alla risoluzione della questione libica. A mio avviso, al momento si sono venute a creare condizioni favorevoli, cercheremo di sostenere questo processo virtuoso e di dare il nostro contributo.

Riteniamo di fondamentale importanza porre fine il prima possibile alla pausa che dura da più di 6 mesi con la nomina di un rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU per la questione libica. Il rappresentante precedente a febbraio è andato in pensione e da allora António Guterres non è riuscito per qualche motivo a risolvere la questione della nomina del successore. Vi è motivo di credere che alcuni Paesi occidentali stiano tentando di favorire i propri candidati, ma la nostra posizione è molto semplice: è necessario che il rappresentante venga concordato in linea con l’Unione africana. È una cosa evidente: la Libia è un membro attivo dell’Unione africana e quest’ultima vuole contribuire alla risoluzione del problema. Ho descritto in maniera diffusa la situazione. Vi è comunque modo di essere cautamente ottimisti.

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Direttore IFRI, il principale centro studi francese per le relazioni internazionali fondato da Thierry de Montbrial, Thomas Gomart riceve Hadrien Desuin di Conflits nel suo ufficio per discutere della Russia e delle sue relazioni con gli Stati Uniti e la Cina. Thomas Gomart ha appena pubblicato The Return of Geopolitical Risk, The Strategic Triangle Russia, China, United States , Paris, Institut de l’Entreprise, 2016, 56 p., Prefazione di Patrick Pouyanné.

Conflitti: vedete che la globalizzazione del commercio si scontra con il ritorno della geopolitica.

Il “commercio gentile” di Montesquieu è ormai vissuto. Il commercio ha iniziato a ristagnare nel 2009-2010 mentre lo scambio di informazioni continua a crescere in modo esponenziale. La globalizzazione sta accelerando in termini tecnologici ma si sta restringendo in termini politici e istituzionali. È un ritorno alla logica del potere. La comunità imprenditoriale ha visto mercati emergenti, non potenze emergenti, una sfortunata assenza.

 

Conflitti: il triangolo tra Russia, Cina e Stati Uniti ha continuato a strutturare il mondo dal 1971, ma oggi non è di troppo la Russia in questo trio? 

Il 1971 vede il viaggio di Nixon in Cina. Il segmento debole del triangolo è quindi la Cina. E Nixon ci va proprio per indebolire l’URSS. 45 anni dopo, il segmento debole è la Russia, che sta lottando per rimanere nel trio. Tuttavia, la Cina continuerà a crescere, gli Stati Uniti sono in un declino molto relativo e la Russia continua a ripiegare. Cina e Stati Uniti: 35% della ricchezza mondiale, Russia meno del 3%. Nel 1991, le economie cinese e sovietica erano comparabili. Oggi l’economia russa rappresenta il 20% dell’economia cinese. La Russia sta cercando di tenere il passo con Washington e Pechino con risorse paragonabili a quelle di Francia e Regno Unito. “Povero potere”, è in una fortissima distorsione tra le sue ambizioni e i suoi mezzi.

 

Da leggere anche:  Cina, Stati Uniti, UE: chi vincerà la guerra?

Conflitti: la Russia aveva annunciato un perno per l’Asia che le sanzioni europee potrebbero accelerare.

Gli occidentali non sono riusciti ad ancorare la Russia nella loro struttura euro-atlantica alla fine della guerra fredda. Grazie a legami storici, culturali e umani di ogni tipo, l’Unione Europea è il principale partner commerciale della Russia con il 50% del suo commercio estero. Fondamentalmente è la porta della Russia verso la globalizzazione. Le sanzioni chiudono questa porta, ma le élite russe ragionano molto di più delle nostre in termini geopolitici. Per loro, la Russia è anche una potenza del Pacifico che deve partecipare al perno mondiale verso l’Asia.

 

Dopo l’annessione della Crimea, la Russia vuole dimostrare di essere una grande nazione che sta costruendo una partnership con la Cina, in particolare nel campo energetico. Ma l’asimmetria tra i due paesi è enorme! Inoltre, l’ultimo conflitto militare russo-cinese risale al 1969, è ancora nella memoria. Il perno della Russia verso il Pacifico deve quindi essere qualificato e inteso anche come una narrazione o “discorso” geopolitico.

Conflitti: c’è lo stesso una complementarità energetica russo-asiatica che pesa molto …

Certamente con la Cina ma anche con il Giappone e la Corea. Putin ritiene che il principale successo della sua politica estera sia il trattato sul confine sino-russo del 2005. Presso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, russi e cinesi cooperano per la stabilizzazione dell’Asia centrale, fino al Iran. Ma l’80% della popolazione russa vive in territorio europeo e continua a guardare ad ovest anche se cerca alternative. Ci riuscirà? Non ne sono sicuro.

 

Conflitti: ”  Ho preso la Russia come il generale de Gaulle ha preso la Francia  ” ha dichiarato una volta Vladimir Poutine. In che misura la sovranità di Putin è una versione russa del gollismo? 

Non siamo riusciti ad andare oltre la visione di un Putin gollista o cechista. Per i circoli diplomatici e intellettuali, Putin è un cechista che non riuscirà a uscire dalla sua matrice. Per gli ambienti economici e militari, è un gollista che ha restaurato la grandezza del suo paese. Non puoi confrontare. Fondamentalmente, la Russia non ha alleanze, cosa che la Francia gollista non aveva.

Leggi anche:  Nient’altro che la Terra: la geopolitica gaulliana prima di de Gaulle

 

In effetti, abbiamo un problema geopolitico con la Russia e la Russia ha un problema geoeconomico con noi. La gestione della crisi ucraina è stata delegata alla Commissione Europea, quando l’Unione Europea non è un attore geopolitico. Inoltre, Bruxelles ha incoraggiato l’integrazione regionale in tutto il mondo, ad eccezione dello spazio post-sovietico.

Queste sono due contraddizioni molto forti che hanno reso improbabile una partnership con la Russia. Inoltre, l’Europa è molto a disagio con potenze come Russia e Turchia.

Quanto a Putin, prova una grande condiscendenza nei confronti del progetto europeo in cui non crede. La Brexit non può che ancorarlo a questa convinzione.

Conflitti: anche i paesi dell’Europa centrale hanno spinto per il confronto …

Abbiamo un’Europa composita, tutti usano l’Unione europea per promuovere i propri interessi. Questi piccoli paesi hanno un peso che non avrebbero mai potuto avere al di fuori dell’Unione. Il partenariato orientale è influenzato, ad esempio, dall’influenza polacco-svedese. Questa questione del vicinato europeo ha forti risonanze storiche con due parole non dette: Turchia e Russia.

Conflitti: energia, militare e digitale sono tre grandi potenze che strutturano il mondo secondo te, perché hai scelto il digitale? Stiamo parlando di una “bomba digitale”, non stiamo fantasticando sulla guerra digitale?

Sul digitale, gli Stati Uniti dispongono dei principali attori. Per parafrasare John Connally e la sua formula del dollaro , potresti dire ”  Internet è il nostro sistema, ma è un tuo problema  “. Internet è il centro nevralgico del sistema mondiale. Chi domina Internet domina il centro nevralgico e quindi domina il mondo. Internet è anche il mezzo principale per mantenere il controllo sui suoi principali alleati giapponesi ed europei.

https://www.revueconflits.com/entretien-russie-chine-etats-unis-qui-est-de-trop-hadrien-desuin/

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere, di George Friedman

Qui sotto un breve resoconto delle inquietudini che attraversano il mondo. Una breve considerazione: checché ne pensino il Senatore Fiano e il Partito Democratico tutto l’Europa non è più un’isola felice esente da conflitti militari già dagli anni ’90; il fattore di pace interna piuttosto che l’Unione Europea è stata comunque la NATO, con tutti i vincoli di dipendenza e sottomissione connessi. Una pace interna che comunque non ha evitato sanguinosi conflitti interni agli stati, in particolare quelli più sensibili all’influenza russa. Nelle more, pare che in Bielorussia alcuni cecchini stiano sparando alla folla dagli edifici circostanti. Un canovaccio già sperimentato in Ucraina e in Siria, prodromo di un colpo di mano imminente. La Russia si farà cogliere questa volta di sorpresa? Quanto influirà la crisi di entrate da gas e petrolio sulle sue modalità di risposta? Intanto la Francia ha posizionato in Grecia, di fronte alla Turchia altri due Rafale e una fregata, a tutela della libertà di navigazione nel mar Egeo. Pare meno disposta dell’Italia a farsi mandar via da quelle acque. La fregata LIMNOS (classe ELLI) della Marina Nazionale greca ′′ è stata colpita ′′ da una nave della Marina turca. Il PD continua a chiamare tutto questo pace_Giuseppe Germinario

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere

Recensioni settimanali di ciò che è sui nostri archivi.

A cura di: Geopolitical Futures

Potenze medie nell’Indo-Pacifico . Martedì, il Giappone ha accettato di prestare al Vietnam circa 345 milioni di dollari per acquistare sei navi da pattugliamento marittimo giapponesi . Il Giappone ha distribuito navi della guardia costiera usate nel sud-est asiatico negli ultimi anni, ma quelle nuove sono considerate un sostanziale miglioramento per il Vietnam in un momento in cui le sue acque costiere sono soggette a una maggiore pressione cinese. Come abbiamo spiegato , la maggior parte della competizione per il controllo nel Mar Cinese Meridionale si svolge nella cosiddetta zona grigia. E questa è un’area in cui il Giappone è forse anche meglio attrezzato degli Stati Uniti per aiutare gli Stati richiedenti del Mar Cinese Meridionale. Nel frattempo, l’India ha incoraggiato la Russia a essere maggiormente coinvolta negli affari indo-pacifici, proponendo, ad esempio, un meccanismo di consultazione trilaterale che coinvolge il Giappone .

Questi tipi di giocatori di medio livello nella regione sono tutti limitati in quello che possono fare per bilanciare l’azione della Cina, e interessi fortemente contrastanti renderanno difficile formare qualsiasi tipo di fronte unito contro Pechino . Ma per paesi come il Vietnam e l’India che temono di essere coinvolti nel fuoco incrociato di un grande conflitto di potere a somma zero tra Cina e Stati Uniti, più siamo, meglio è.

Disordini bielorussi, continua . Continuano le proteste in Bielorussia contro i risultati delle elezioni presidenziali . Le forze di sicurezza hanno usato granate stordenti e hanno sparato proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. Il ministero degli Interni ha confermato che le autorità hanno ucciso un uomo che avrebbe tentato di lanciare un ordigno esplosivo. Ha anche annunciato che più di 2.000 persone sono state detenute in varie città del paese.

L’opposizione si sta comportando come previsto. Gli ex candidati alla presidenza Andrei Dmitriyev e Sergei Cherechen intendono presentare un reclamo alla Commissione elettorale centrale contestando i risultati delle elezioni. Nel frattempo, Svetlana Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione più popolare, ha lasciato la Bielorussia per la Lituania, dove ha ringraziato i cittadini bielorussi per la partecipazione alle elezioni, sottolineando che “il popolo bielorusso ha fatto la sua scelta”, invitando i suoi sostenitori a rispettare la legge piuttosto che affrontare la polizia .

I governi occidentali, compreso Washington, hanno espresso preoccupazione per la situazione. Alcuni hanno condannato il presidente Alexander Lukashenko per aver utilizzato violenza politicamente motivata, mentre altri hanno chiesto il dialogo per risolvere la questione.

Intelligenza aggiuntiva

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO, di Antonio de Martini

Qui sotto una serie di considerazioni di Antonio de Martini sulla situazione del Libano. Lo scritto, aggiornato, in parte già riportato su questo sito, è di circa otto anni fa, ma torna di grande attualità alla luce dei movimenti in corso in quella regione al netto dei grandi limiti e azzardi che anche la classe dirigente iraniana, in buona compagnia dei tanti suoi avversari, ha compiuto_Giuseppe Germinario

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO

di antoniochedice

Il mio amico Nachik Navot, del cui patriottismo non è lecito dubitare, ha lasciato il servizio come vice capo del Mossad e che ormai temo non sia più tra noi perché non risponde più alle mie  mail,( ora dovrebbe sfiorare il secolo..)mi regalò due articoli che pubblicai sul mio blog. www.corrieredellacollera.com  il 6 luglio 2012 egli scrisse parole lucide sulla situazione mediorientale che conosceva bene essendo stato in servizio anche in Iran e in India.

Ecco il link al suo articolo che consiglio di leggere

https://corrieredellacollera.com/2012/07/06/fortress-israel-la-sindrome-dell-olocausto-e-il-senso-della-vera-sicurezza-senza-cui-non-ce-pace-di-nachik-navot/

Una delle considerazioni, a mio avviso più più importanti che ci ha lasciato, è che se Israele vorrà ottenere una pace duratura, dovrà liberarsi della “ sindrome della Fortezza Israele” e crearsi nuove motivazioni e azioni per vivere in armonia coi suoi vicini.

Questa sindrome è frutto di una imposizione altrui dato il trattamento inumano europeo inflitto agli ebrei con l’Olocausto. Gli Israeliani si sentono assediati, da tutti e per sempre, e si comportano di conseguenza. Peccando spesso di “overeaction” aggiungo io.

E’ comprensibile, che  questa situazione abbia avuto implicazioni culturali negative sullo sviluppo iniziale  dello Stato di Israele ma,  il numero di israeliani e membri delle Diaspore consapevoli che vada superata, cresce ogni giorno di più.

Ho deciso di fare riferimento a Nachik ( diminutivo di Menachem) per introdurre la pedina “ Israele” nel tragico gioco della crisi libanese, dove a tutta prima – e in questa fase- sembrerebbe assente perché il proscenio  è occupato dall’ambasciatrice statunitense Dorothy Shea cui piace molto il ruolo di Proconsole e ha l’empatia di un celenterato.

I libanesi hanno dovuto più volte ricordarle l’esistenza della Convenzione di Vienna del 1969 con cui si conveniva il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi ospitanti.

Oggi il Libano, unico paese del vicino e medio oriente a guida cristiana ed economia liberista, vive una profonda crisi morale, politica ed economica causata in parte dalla diluizione della identità culturale di cui tutti si dicono fieri a parole, e in parte dalle pressioni di una violenza inusitata esercitata dalla amministrazione americana che ha il duplice scopo di promuovere la firma  di

un trattato di pace con Israele ( dai tempi di Sadat nessuno vuole firmare senza che sia prima conclusa la pace coi palestinesi, a pena la morte) e di rassicurare l’alleato circa il  concreto pericolo incombente rappresentato dal partito Hezbollah che conta su un elettorato del 50% della popolazione, dispone di  un esercito ben addestrato di ventimila uomini e trentamila riservisti  e di un arsenale missilistico inizialmente composto da missili obsoleti ( Zelzal 2 e 3) che grazie ad un ammodernamento artigianale, alla possibilità di lancio da mezzi mobili e al loro numero,  si ritiene possano distruggere il grosso delle infrastrutture israeliane concentrate su un territorio circoscritto e mescolate con la popolazione.

Si tratta di un dilemma che nessun governo può accettare. Israele, nato per difendere gli ebrei, sarebbe il solo paese in cui la loro vita sarebbe a continuo repentaglio.

L’ANTEFATTO

Rubricare come “organizzazione terroristica” un partito politico che prende il 50% dei voti alle elezioni politiche, non è stata la scelta più intelligente dell’amministrazione USA in un’area in cui scelte intelligenti non ne fa da almeno un trentennio.

Ma andiamo per ordine lasciando da parte il contenzioso palestinese che ci porterebbe ad allargare troppo questa esposizione e che è il convitato di pietra di ogni situazione in quest’area.

1Nel 1975 scoppiò a Beirut , per ragioni che non interessano in questa sede, una guerra tra i palestinesi rifugiati in Libano e una fazione politica locale che si allargò a tutte le componenti politiche  e tribali dell’area.

La guerra , durò fino al 1990 circa, fece centomila vittime e scosse dalla fondamenta quella che era la società più progredita e cosmopolita del mondo arabo. Ogni fazione si trovò degli sponsor politici e militari, ottenne sovvenzioni al punto che- in piena guerra- la lira libanese si apprezzò sul dollaro. L’esercito mantenne la neutralità ( che risultò preziosa per la ricostruzione della concordia nazionale)  e si assisté al paradosso che combatterono tutti tranne i soldati.

2 Presi dalla sindrome “ Fortress Israel” i militari di Tsahal immaginarono una operazione suscettibile di allargare i confini nord del paese spingendo via le popolazioni di confine  che non ostacolavano i guerriglieri palestinesi e le loro incursioni.

Obbiettivi strategici:  bonificare l’area, impadronirsi delle sorgenti del fiume Litani, liberare il fianco del Giabal Druso ( una setta eterodossa dell’Islam che collabora da sempre con gli israeliani al punto di fornire una brigata all’Esercito), mostrare di voler annettere il territorio del sud Libano ed eventualmente rilasciarlo in cambio di un formale trattato di pace.

L’operazione  lanciata nel 1982 chiamata “ Pace in Galilea” mirava anche  a dare sicurezza ai kibbutz della alta Galilea esposti ai blitz palestinesi, ebbe successo militare ma si risolse in un fallimento politico completo. Nessuno degli obbiettivi fu raggiunto, nemmeno parzialmente, anche per gli eccessi di violenza commessi come la strage di Sabra e Châtila.

https://corrieredellacollera.com/2012/09/18/obama-punisce-israele-sharon-ha-ordinato-e-voluto-la-strage-di-sabra-e-chatila-ingannando-gli-u-s-a-se-netanyau-non-lascia-obama-potrebbe-rincarare-la-dose-con-unaltra-accusa-terribile-l/

Israele si trattenne però una fascia frontaliera di dieci km facendo così nascere un movimento di resistenza non significativo da parte di una organizzazione caritativa già esistente chiamata Hezbollah e creata per scopi assistenziali da due religiosi, l’Imam Moussa Sadr e Monsignor Grégoire Haddad, cristiano di rito greco ortodosso.

Israele evacuò la zona a seguito di pressioni USA, ma Hezbollah si vantò – con mentalità tipicamente orientale- di essere all’origine della ritirata con le sue imprese.

Fu l’inizio della gestazione dell’Hezbollah che oggi conosciamo.

Negli anni, la  placida assistenza ai partigiani palestinesi, divenne azione  sistematica  fino al punto da indurre l’Esercito israeliano a progettare un’altra, più circoscritta, sortita  fuori della

“ Fortress Israel” per dare una lezione ai “contadini”. E questo fu il secondo errore di cui tratteremo più tardi.

La principale conseguenza della fine della guerra in Libano fu la cessazione degli aiuti finanziari da parte di tutti i partecipanti indiretti che avevano – con gli stipendi ai combattenti – sostenuto il corso della lira libanese.

Deflazione lampo e disoccupazione generale.

IL DOPOGUERRA

Unici a mantenere attivi, riconvertendoli,  i finanziamenti furono gli iraniani ( avevano piegato i francesi con un ennesimo attentato e questi si decisero a restituire 700 milioni del miliardo di dollari anticipato dallo scià per dotarsi di tecnologia nucleare che L’Ayatollah Khomeini aveva bollato come empia in una fatwa, e chiesto la restituzione dell’anticipo).

Isolati dagli USA a seguito dei noti eventi rivoluzionari, gli iraniani ruppero l’accerchiamento cercando di far leva sul proletariato sciita ed allargando il giro anche visivamente: cento euro al mese se Ali si fa crescere la barba ( segno di pietas), altri cento se tua moglie si mette il velo; duecento se obblighi  anche tua figlia a fare altrettanto….

Un padre di famiglia sbarcava il lunario e il partito di Allah ( Hezbollah) fungeva da ufficiale pagatore e beneficiario di una palpabile crescita di immagine che contrastava la narrativa dell’isolamento.

L’intesa politica, il controllo del partito da parte degli elementi sciiti, e la fornitura di armi furono le logiche conseguenze della intesa anti crisi.

Gli occidentali curavano l’élite e l’Iran il sottoproletariato.

L’élite viaggiava per il mondo e il sottoproletariato scavava bunker.

Quando gli israeliani, a seguito di un ennesimo sconfinamento con sparatoria, attaccarono credendo di fare una passeggiata militare di rappresaglia, dovettero ritirarsi con perdite e il generale di brigata israeliano comandante della spedizione, fu rimosso. Rimediarono con un bombardamento.

Fu cosi che Hezbollah passò dalla millanteria levantina al rango di unica potenza militare che aveva battuto gli israeliani in campo aperto.  Divenne, con un estorto consenso governativo, una sorta di Stato nello stato con l’incarico di gestire eventuali proxy war contro Israele senza coinvolgere il governo legale.

L’inizio della guerra in Siria – un altra guerra di aggressione esterna presa per guerra civile-  ha offerto a Hezbollah l’opportunità di rodare i suoi soldati e di agire di concerto ad altri volontari cristiani che sono intervenuti a sostegno dei cristiani di Siria minacciati fin nella decapoli dove risiedono dai tempi di Cristo di cui parlano ancora la lingua aramaica.

Furono i diecimila volontari di Hezbollah a liberare le colline del Kalamoun che riaprirono le comunicazioni tra Damasco e il Libano e determinarono l’esito delle battaglie in corso.

LA SITUAZIONE POLITICA ATTUALE

Sono in corso pressioni politiche, giornalistiche e finanziarie sul presidente della Repubblica, il generale Michel  AOUN  e su suo genero Gebran BASSIL ( fino a poco fa ministro degli Esteri) .

Le pressioni USA sul Libano mirano a costringere l’Esercito Libanese a confrontarsi con l’Hezbollah, che è più numeroso, più esperto, collaudato in combattimento e meglio armato ad onta delle dichiarazioni del generale Frank Mckenzie che da Washington incoraggia moderatamente allo scontro,  in supporto all’ambasciatrice che attribuisce la crisi monetaria sul cambio del dollaro  all’Hezbollah, dicendo però che gli USA sono pronti ad aiutare qualora Hezbollah venga “ allontanato dal governo”, il che è già stato fatto, istallando un governo tecnico giudicato però insoddisfacente.

La diplomatica da la colpa della crisi  “ alla corruzione praticata da decenni”. Questa dichiarazione è contraddittoria con la consapevolezza che il Libano, appunto per decenni,  è stato prospero al punto di essere definito “ la Svizzera del Medio Oriente” e con il fatto – noto a chiunque abbia letto un libro – che la corruzione impera nell’area – e non solo- da almeno due millenni, al punto di essere contemplata dal codice di Hammurabi.

LA SITUAZIONE MILITARE OGGI

LA MINACCIA A ISRAELE

Sembra che le modifiche artigianali ai vecchi missili iraniani ZELZAL 2 del costo di poche migliaia di dollari, consistano nell’inserimento di un sistema di guida cinese, l’adozione del navigatore  GLONASS , il GPS russo, in aggiunta a quello occidentale e un arsenale già pronto di circa 200 missili ribattezzati Fateh 100 siano all’origine dell’allarme rosso Israeliano.

Circa un anno e mezzo fa, una pioggia di missiletti lanciata in Galilea su località disabitate di Israele, ha permesso di capire che il sistema originale antiaereo “ Iron Dome” possa al massimo acquisire ed abbattere da 150  a 200 intrusi volanti su 250 lanciati contemporaneamente.

Valutazioni di Stato Maggiore attribuiscono a Hezbollah una capacità massima di lancio di poco più di mille missili in un giorno.

Inviarne 400 assieme metterebbe in crisi lo Stato maggiore  israeliano che sarebbe costretto a scegliere se difendere prioritariamente le infrastrutture strategiche ( la raffineria di Haïfa, gli aeroporti, l’impianto nucleare di Dimona, Il quartiere generale dell’Esercito, o le basi principali di Tsahal a Kyria o Tel Nof ,  Nevatim e Hatzor.) oppure la popolazione finora rimasta sostanzialmente indenne da urti militari importanti.

Gli israeliani valutano che la portata di 250 km , il carico esplosivo oscillante tra i 500 e i 900 kg, produrrebbero danni non riparabili anche quanto a sicurezza della popolazione esposta in gran parte alla tentazione di far uso della seconda nazionalità che molti hanno conservato. Israele mancherebbe alla sua missione di protezione degli ebrei sul suo territorio e la bilancia demografica, già sospettata di essere, deficitaria diverrebbe palesemente fallimentare.

Hezbollah ha insomma messo a punto un “ Game Changer” del quadro geopolitico.

Di qui l’esigenza di eliminare il pericolo per Israele e ristabilire l’equilibrio per gli USA.

LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE

ISRAELE

La partita di scacchi in corso é così configurabile: Israele può scegliere di ricorrere alla sindrome “ Fortress Israel” – anche per distrarre dalla crisi economica interna, facendo passare in seconda fila l’annessione della valle del Giordano e  potenziando così la sua leadership- e organizzare una sortita nucleare contro l’Iran e/o contro Hezbollah, approfittando della fase pre elettorale americana (tutti i blitz iniziati dagli israeliani sono stati fatti in questa fase pre elettorale), ma pagherebbe un prezzo valutabile in 300/400 missili sui suoi obbiettivi vitali concentrati in un fazzoletto di territorio, col pericolo che i piloti al ritorno dalla loro missione rischierebbero di non ritrovare né la base di partenza e forse neppure la famiglia.

L’Iran si troverebbe, dopo uno scontro mortale, ad aver cavato le castagne dal fuoco all’Arabia Saudita, il suo rivale storico.

Lo scontro, non conviene a nessuno. Si ripeterebbe la certezza della MAD (Mutual Assured Destruction ) che animò la guerra fredda.

La soluzione del dilemma sembra essere stata stata individuata con la stessa logica del 1982 che ha portato al fallimento della operazione “ pace in Galilea”: costringere Il governo libanese a scontrarsi con Hezbollah chiedendo al governo di disarmarlo e cacciarlo dalla maggioranza di coalizione che governa il paese. ( Nasrallah,  il loro capo, non è un chierichetto e sa che la cacciata dalla maggioranza sarebbe solo l’inizio, quindi resisterebbe fin dal primo cenno).

IL LIBANO

Gli esiti grotteschi delle primavere arabe, l’indefinito protrarsi della guerra in Yemen,la “sirizzazione” della Libia, la penetrazione incruenta della Russia nel fianco destro della NATO, il ripudio delle organizzazioni internazionali promosse dall’America che tutti amavamo,  la perdita della leadership mondiale per gli innumeri errori in Medio Oriente  – e negli States col COVID e la questione razziale – hanno ridotto la credibilità e il prestigio di mediatori dei diplomatici e politici USA a livelli impensabili solo dieci anni fa.

Non potendo accettare tutte le “ istruzioni” ricevute, il Libano  ha trovato una soluzione di compromesso: fuori tutti dal governo che viene affidato a un tecnico assistito da tecnici.  Piiché i tecnici sono neutrali a favore o contro qualcuno, il problema si è riproposto e lo zio Sam ha applicato ala cura russa ( – 50% del rublo in due settimane)  e quella turca ( – 50 % del valore della lira turca in due settimane). Oggi  con la lira libanese si ottengono dollari a 10.000 contro uno; le banche concedono accesso limitato ai conti per 30 dollari al giorno e la popolazione ha il 50% di disoccupati, erogazione limitata di acqua e elettricità e scontri di piazza.

Le pressioni sul Presidente sono diventate attacchi personali e metà della popolazione attribuisce ogni colpa a Hezbollah, l’altra metà all’America.

L’ARABIA SAUDITA

Il regno sta affrontando – e perdendo- una guerra calda in Yemen e una fredda col Katar e l’Oman. Ha già perso la guerra di Siria ed è in preda a convulsioni interne a livello della élite e di famiglia reale, mentre l’”unrest” di Al Kaida e della provincia est sciita a influenza iraniana.

Far tornare al potere Saïd Hariri  – il premier libanes che ha scatenato lo show-down con le sue dimissioni che avrebbero dovuto essere brevi e vittoriose – è per il Crownprince un affare di vita o di morte. Nella sua ottica malata, Mohammed ben Salman ha bisogno che il LIbano firmi la pace con Israele per poi poterla firmare anche lui è dare il via al piano Marshall per la penisola araba che dovrebbe portare alla pace generale  per tutti e lui al trono di Riad.

Ha un sistema di sicurezza impeccabile, ma la perfezione non è di questo mondo.

GLI USA

Anche Trump e Pompeo devono affrontare un difficile dilemma :

1: continuare a bulleggiare  selvaggiamente con sistemi di macelleria sociale – il Libano, forti dell’ottenuto, complice, inspiegabile, silenzio Vaticano- un piccolo paese che ha creato l’alfabeto e il commercio internazionale, da sempre amico dell’Occidente che ospita pacificamente un numero di profughi pari alla propria popolazione e sul quale si scaricano tutte le tensioni del Levante.

2: aiutare Israele a capire che è il momento di uscire dalla “Fortress Israel” con tutte le garanzie di una mediazione internazionale decisa e con le idee chiare di cui gli USA siano primi tra pari.

3: Affrontare l’aléa di una ennesima guerra in cui potranno annientare l’Iran e il Libano, ma il loro alleato israeliano subirà tutti i colpi e regnerà su un cimitero.

LA SIRIA

Esausta e vittoriosa  deve fare i conti con l determinazione USA che insiste nelle sanzioni e nell’aiuto a curdi e turchi per tenerla occupata e ha rincarato la dose inserendo la moglie di Assad- ASMA- nella lista dei criminali d punire con le sanzioni. Lei che pochi mesi fa è uscita da una feroce lotta contro il cancro ed è sempre stata lontana dalla politica e vicina al marito.

La viltà di questo atteggiamento mostra quanto gli USA siano disperati e a corto di idee: peggio di una battaglia perduta contro una fragile donna che aveva rifiutato le migliori cure russe pur di non lasciare il suo popolo e suo marito. La Siria distrutta nelle infrastrutture e nel commercio, ha ancora carte da giocare: dai rifornimenti a Hezbollah, ai tunnel segreti per entrare in Israele e al finanziamento di una intifada ben più cruenta in caso di annessione della valle del Giordano.

HEZBOLLAH

E forte nel suo territorio; rispettato da tutti perché “ fa quel che dice e dice quel che fa”,

In caso di attacco potrà contare sull’appoggio diretto di Iran e Siria e quello indiretto di Cina, Indonesia e Russia, ma anche dei palestinesi della striscia di Gaza e in una Intifada palestinese .

Ma sopratutto nei missile FATEH 100 e nel coltello che ogni arabo sa manovrare con maestria specie nelle notti senz luna.

Intanto il Libano, preda di stupidi privi di scrupoli, Domanica 5 luglio si farà sentire : tutti i libanesi alle sette ora Italia e nove ora di Beirut, in contemporanea su Facebook, you tube e in tutte le TV locali faranno sentire a tutto volume la loro voce di resistenza. Sintonizzatevi su

https://www.facebook.com/BaalbeckInternationalFestival/live/

Oppure

https://www.youtube.com/watctch?v=KQ0K8UE651E&feature=YouTube.be 

Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Qui sotto un lungo articolo di Vladimir pubblicato sulla rivista americana National Interest https://nationalinterest.org/feature/vladimir-putin-real-lessons-75th-anniversary-world-war-ii-162982? . Importante la sede che ha ospitato il saggio; altrettanto importante il messaggio lanciato. I canali di comunicazione con gli Stati Uniti non sono stati evidentemente tutti recisi; al di là della inevitabile retorica distensivistica traspare la constatazione della fase policentrica ormai irreversibile_Giuseppe Germinario

Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Il presidente russo offre una valutazione completa dell’eredità della seconda guerra mondiale, sostenendo che “Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che l’Occidente i paesi si occuperebbero di problemi di sicurezza senza tener conto dei propri interessi “.

Sono trascorsi settantacinque anni dalla fine della Grande Guerra Patriottica . Diverse generazioni sono cresciute negli anni. La mappa politica del pianeta è cambiata. L’ Unione Sovietica che rivendicò una vittoria epica e schiacciante sul nazismo e salvò il mondo intero è sparita. Inoltre, gli eventi di quella guerra sono diventati a lungo un ricordo lontano, anche per i suoi partecipanti. Allora perché la Russia celebra il nono maggio come la più grande festa? Perché la vita si ferma quasi il 22 giugno? E perché si sente un nodo alla gola?

Di solito dicono che la guerra ha lasciato una profonda impronta nella storia di ogni famiglia . Dietro queste parole, ci sono destini di milioni di persone, le loro sofferenze e il dolore della perdita. Dietro queste parole c’è anche l’orgoglio, la verità e la memoria.

Per i miei genitori, la guerra significava le terribili prove dell’assedio di Leningrado, dove morì mio fratello di due anni, Vitya. Era il posto dove mia madre riuscì miracolosamente a sopravvivere. Mio padre, nonostante fosse esente dal servizio attivo, si offrì volontario per difendere la sua città natale. Ha preso la stessa decisione di milioni di cittadini sovietici. Combatté contro la testa di ponte Nevsky Pyatachok e fu gravemente ferito. E più passano gli anni, più sento il bisogno di parlare con i miei genitori e conoscere meglio il periodo di guerra delle loro vite. Tuttavia, non ho più l’opportunità di farlo. Questo è il motivo per cui faccio tesoro nel mio cuore delle conversazioni che ho avuto con mio padre e mia madre su questo argomento, nonché della piccola emozione che hanno mostrato.

Persone della mia età e credo sia importante che i nostri figli, nipoti e pronipoti comprendano il tormento e le difficoltà che i loro antenati hanno dovuto sopportare. Devono capire come i loro antenati sono riusciti a perseverare e vincere. Da dove viene la loro forza di volontà pura e incessante che ha stupito e affascinato il mondo intero? Certo, stavano difendendo la loro casa, i loro figli, i loro cari e le loro famiglie. Tuttavia, ciò che condividevano era l’amore per la loro terra natale, la loro Patria. Quella sensazione profonda e intima si riflette pienamente nell’essenza stessa della nostra nazione ed è diventata uno dei fattori decisivi nella sua eroica, sacrificale lotta contro i nazisti.

Mi chiedo spesso: cosa farebbe la generazione di oggi? Come agirà di fronte a una situazione di crisi? Vedo giovani dottori, infermiere, a volte neolaureati che vanno nella “zona rossa” per salvare vite umane. Vedo i nostri militari che combattono il terrorismo internazionale nel Caucaso settentrionale e hanno combattuto fino alla fine in Siria. Sono così giovani. Molti militari che facevano parte del leggendario, immortale 6 ° Paracadutisti società erano 19-20 anni. Ma tutti dimostrarono che meritavano di ereditare l’impresa dei guerrieri della nostra terra natale che la difesero durante la Grande Guerra Patriottica.

Questo è il motivo per cui sono fiducioso che una delle caratteristiche distintive dei popoli della Russia sia l’adempimento del loro dovere senza dispiacersi per se stessi quando le circostanze lo richiedono. Valori come l’altruismo, il patriottismo, l’amore per la loro casa, la loro famiglia e la Patria rimangono fino ad oggi fondamentali e integrali nella società russa. Questi valori sono, in larga misura, la spina dorsale della sovranità del nostro paese.

Oggi abbiamo nuove tradizioni create dal popolo, come il Reggimento Immortale. Questa è la marcia della memoria che simboleggia la nostra gratitudine, così come la connessione vivente e i legami di sangue tra le generazioni. Milioni di persone escono per le strade portando le fotografie dei loro parenti che hanno difeso la loro Patria e sconfitto i nazisti. Ciò significa che le loro vite, le loro prove e sacrifici, così come la Vittoria che ci hanno lasciato non saranno mai dimenticate.

Abbiamo la responsabilità del nostro passato e del nostro futuro di fare del nostro meglio per impedire che queste orribili tragedie si ripetano. Quindi, sono stato costretto a pubblicare un articolo sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Grande Guerra Patriottica. Ho discusso questa idea in diverse occasioni con leader mondiali e hanno dimostrato il loro sostegno. Al vertice dei leader della CSI tenutosi alla fine dello scorso anno, siamo tutti d’accordo su una cosa: è essenziale trasmettere alle generazioni future il ricordo del fatto che i nazisti furono sconfitti prima di tutto dal popolo sovietico e che i rappresentanti di tutte le repubbliche dell’Unione Sovietica hanno combattuto fianco a fianco in quella battaglia eroica, sia in prima linea che nella parte posteriore. Durante quel summit, ho anche parlato con le mie controparti del difficile periodo prebellico .

Quella conversazione ha suscitato scalpore in Europa e nel mondo. Significa che è davvero giunto il momento di rivisitare le lezioni del passato. Allo stesso tempo, ci furono molte esplosioni emotive, insicurezze mal mascherate e forti accuse che seguirono. Agendo per abitudine, alcuni politici si affrettarono a sostenere che la Russia stava cercando di riscrivere la storia. Tuttavia, non sono riusciti a confutare un singolo fatto o confutare un singolo argomento. È davvero difficile, se non impossibile, discutere con i documenti originali che, a proposito, possono essere trovati non solo negli archivi russi, ma anche negli archivi stranieri.

Pertanto, è necessario esaminare ulteriormente le ragioni che hanno causato la guerra mondiale e riflettere sui suoi complicati eventi, tragedie e vittorie, nonché sulle sue lezioni, sia per il nostro paese che per il mondo intero. E come ho detto, è fondamentale fare affidamento esclusivamente su documenti d’archivio e prove contemporanee evitando qualsiasi speculazione ideologica o politicizzata.

Vorrei ancora una volta ricordare il fatto ovvio. Le cause profonde della seconda guerra mondiale derivano principalmente dalle decisioni prese dopo la prima guerra mondiale . Il trattato di Versailles divenne un simbolo di grave ingiustizia per la Germania. Sostanzialmente implicava che il paese dovesse essere derubato, costretto a pagare enormi riparazioni agli alleati occidentali che hanno prosciugato la sua economia. Il maresciallo francese Ferdinand Foch, che servì come comandante supremo alleato, diede una descrizione profetica di quel trattato: “Questa non è pace. È un armistizio da vent’anni”.

Fu l’umiliazione nazionale che divenne un terreno fertile per sentimenti radicali di vendetta in Germania . I nazisti giocarono abilmente sulle emozioni della gente e costruirono la loro propaganda promettendo di liberare la Germania dall’eredità di Versailles e riportare il paese al suo antico potere, spingendo essenzialmente il popolo tedesco in guerra. Paradossalmente, gli stati occidentali, in particolare il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno contribuito direttamente o indirettamente a questo. Le loro imprese finanziarie e industriali investirono attivamente in fabbriche e impianti tedeschi che fabbricano prodotti militari. Inoltre, molte persone nell’aristocrazia e nell’establishment politico hanno sostenuto movimenti radicali, di estrema destra e nazionalisti che erano in aumento sia in Germania che in Europa .

L ‘”ordine mondiale di Versailles” ha causato numerose controversie implicite e conflitti apparenti. Girarono attorno ai confini dei nuovi stati europei stabiliti casualmente dai vincitori nella prima guerra mondiale. Quella delimitazione dei confini fu quasi immediatamente seguita da dispute territoriali e rivendicazioni reciproche che si trasformarono in “bombe a tempo”.

Uno dei maggiori risultati della prima guerra mondiale fu l’istituzione della Società delle Nazioni. C’erano grandi aspettative per quell’organizzazione internazionale di garantire pace duratura e sicurezza collettiva. Era un’idea progressiva che, se seguita in modo coerente, poteva effettivamente impedire che si ripetessero gli orrori di una guerra globale.

Tuttavia, la Società delle Nazioni dominata dalle potenze vittoriose di Francia e Regno Unito si dimostrò inefficace e fu appena sommersa da discussioni inutili. La Società delle Nazioni e il continente europeo in generale non hanno ascoltato le ripetute chiamate dell’Unione Sovietica a stabilire un sistema equo di sicurezza collettiva e firmare un patto dell’Europa orientale e un patto del Pacifico per prevenire l’aggressione. Queste proposte sono state ignorate.

La Società delle Nazioni non è riuscita a prevenire conflitti in varie parti del mondo, come l’attacco dell’Italia all’Etiopia, la guerra civile in Spagna , l’aggressione giapponese contro la Cina e l’Anschluss d’ Austria . Inoltre, nel caso del tradimento di Monaco che, oltre a Hitler e Mussolini , coinvolse leader britannici e francesi, la Cecoslovacchia fu smantellata con la piena approvazione della Società delle Nazioni. Vorrei sottolineare a questo proposito che, a differenza di molti altri leader europei di quel tempo, Stalin non si disonora incontrandosi con Hitler che era noto tra le nazioni occidentali come un politico abbastanza rispettabile ed era un gradito ospite nelle capitali europee .

Anche la Polonia era impegnata nella spartizione della Cecoslovacchia insieme alla Germania. Decisero insieme in anticipo chi avrebbe ottenuto quali territori cecoslovacchi. Il 20 settembre 1938, l’ambasciatore polacco in Germania Józef Lipski riferì al ministro degli Esteri polacco Józef Beck sulle seguenti assicurazioni fatte da Hitler: “… in caso di conflitto tra Polonia e Cecoslovacchia sui nostri interessi a Teschen, il Reich avrebbe stare dalla Polonia “. Il leader nazista ha persino sollecitato e avvisato che la Polonia ha iniziato ad agire “solo dopo che i tedeschi occupano i Sudeti”.

La Polonia era consapevole che senza il supporto di Hitler, i suoi piani annessionisti erano destinati a fallire. Vorrei citare a questo proposito un resoconto della conversazione tra l’ambasciatore tedesco a Varsavia Hans-Adolf von Moltke e Józef Beck che ebbe luogo il 1 ° ottobre 1938 e si concentrò sulle relazioni polacco-ceche e sulla posizione del Soviet Unione in questa materia. Dice: “Beck ha espresso vera gratitudine per il trattamento leale accordato [agli] interessi polacchi alla conferenza di Monaco, nonché per la sincerità delle relazioni durante il conflitto ceco. L’atteggiamento di Führer e cancelliere è stato pienamente apprezzato dal governo e il pubblico [della Polonia]. ”

La spartizione della Cecoslovacchia fu brutale e cinica. Monaco distrusse persino le garanzie formali e fragili rimaste sul continente. Ha dimostrato che gli accordi reciproci erano privi di valore. Fu il tradimento di Monaco a fungere da “innesco” e rese inevitabile la grande guerra in Europa.

Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Perché? Il fatto che una volta i loro paesi abbiano infranto i loro impegni e sostenuto il tradimento di Monaco, con alcuni di loro che hanno persino partecipato alla divisione della presa, non è l’unica ragione. Un altro è che è in qualche modo imbarazzante ricordare che durante quei drammatici giorni del 1938, l’Unione Sovietica fu l’unica a difendere la Cecoslovacchia.

L’Unione Sovietica, conformemente ai suoi obblighi internazionali, compresi gli accordi con la Francia e la Cecoslovacchia, ha cercato di impedire che accadesse la tragedia. Nel frattempo, la Polonia, alla ricerca dei suoi interessi, stava facendo del suo meglio per ostacolare l’istituzione di un sistema di sicurezza collettiva in Europa. Il ministro degli affari esteri polacco Józef Beck ne scrisse direttamente nella sua lettera del 19 settembre 1938 al summenzionato ambasciatore Józef Lipski prima dell’incontro con Hitler: “… l’anno scorso, il governo polacco ha respinto quattro volte la proposta di aderire all’Internazionale interferire in difesa della Cecoslovacchia “.

La Gran Bretagna, così come la Francia, che era all’epoca il principale alleato di cechi e slovacchi, scelsero di ritirare le loro garanzie e abbandonare questo paese dell’Europa orientale al suo destino. In tal modo, hanno cercato di dirigere l’attenzione dei nazisti verso est in modo che la Germania e l’Unione Sovietica si scontrassero inevitabilmente e si sanguinassero a vicenda.

Questa è l’essenza della politica occidentale di pacificazione, che è stata perseguita non solo verso il Terzo Reich, ma anche verso altri partecipanti al cosiddetto Patto anticomprano: l’Italia fascista e il Giappone militarista. In Estremo Oriente, questa politica culminò con la conclusione dell’accordo anglo-giapponese nell’estate del 1939, che diede a Tokyo una mano libera in Cina. Le principali potenze europee non erano disposte a riconoscere il pericolo mortale rappresentato dalla Germania e dai suoi alleati per il mondo intero. Speravano che sarebbero rimasti intatti dalla guerra.

Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che i paesi occidentali avrebbero affrontato le questioni di sicurezza senza tener conto dei suoi interessi. In effetti, potrebbero persino creare un fronte antisovietico, se necessario.

Tuttavia, l’Unione Sovietica fece del suo meglio per sfruttare ogni possibilità di creare una coalizione anti-Hitler. Nonostante – lo dirò di nuovo – il doppio scambio da parte dei paesi occidentali. Ad esempio, i servizi di intelligence riferirono alla leadership sovietica informazioni dettagliate sui contatti dietro le quinte tra Gran Bretagna e Germania nell’estate del 1939. L’importante è che quei contatti fossero abbastanza attivi e praticamente coincidessero con i negoziati tripartiti tra la Francia , La Gran Bretagna e l’URSS, che sono state invece deliberatamente protratte dai partner occidentali. A questo proposito, citerò un documento dagli archivi britannici. Contiene istruzioni per la missione militare britannica arrivata a Mosca nell’agosto del 1939. Afferma direttamente che la delegazione avrebbe dovuto proseguire i negoziati molto lentamente e che il governo del Regno Unito non era pronto ad assumere alcun obbligo esplicitato in dettaglio e limitare la sua libertà di azione in qualsiasi circostanza. Noterò anche che, a differenza delle delegazioni britannica e francese, la delegazione sovietica era guidata dai massimi comandanti dell’Armata Rossa, che aveva l’autorità necessaria per “firmare una convenzione militare sull’organizzazione della difesa militare di Inghilterra, Francia e URSS contro l’aggressione in Europa “.

La Polonia ha giocato il suo ruolo nel fallimento di quei negoziati in quanto non voleva avere alcun obbligo nei confronti della parte sovietica. Anche sotto la pressione dei loro alleati occidentali, la leadership polacca ha respinto l’idea di un’azione congiunta con l’Armata Rossa per combattere contro la Wehrmacht. Fu solo quando venne a sapere dell’arrivo di Ribbentrop a Mosca che J. Beck con riluttanza e non direttamente, attraverso diplomatici francesi, notificò alla parte sovietica: “… in caso di azione comune contro l’aggressione tedesca, cooperazione tra Polonia e Unione Sovietica L’Unione non è fuori discussione, in circostanze tecniche che rimangono da concordare. ” Allo stesso tempo, ha spiegato ai suoi colleghi: “… Ho accettato questa formulazione solo per motivi di tattica, e la nostra posizione centrale nei confronti dell’Unione Sovietica è definitiva e rimane invariata”.

In queste circostanze, l’Unione Sovietica ha firmato il patto di non aggressione con la Germania. È stato praticamente l’ultimo dei paesi europei a farlo. Inoltre, è stato fatto di fronte a una vera minaccia di guerra su due fronti: con la Germania a ovest e con il Giappone a est, dove erano già in corso intensi combattimenti sul fiume Khalkhin Gol.

Stalin e il suo entourage, infatti, meritano molte legittime accuse. Ricordiamo i crimini commessi dal regime contro il suo stesso popolo e l’orrore delle repressioni di massa. In altre parole, ci sono molte cose per cui i leader sovietici possono essere rimproverati, ma la scarsa comprensione della natura delle minacce esterne non è una di queste. Hanno visto come sono stati fatti i tentativi di lasciare sola l’Unione Sovietica per trattare con la Germania e i suoi alleati. Tenendo presente questa vera minaccia, hanno cercato di guadagnare tempo prezioso necessario per rafforzare le difese del Paese.

Oggi sentiamo molte speculazioni e accuse contro la Russia moderna in relazione al Patto di non aggressione firmato allora. Sì, la Russia è lo stato successore legale dell’URSS e il periodo sovietico – con tutti i suoi trionfi e tragedie – è una parte inalienabile della nostra storia millenaria. Tuttavia, ricordiamo che l’Unione Sovietica ha dato una valutazione giuridica e morale del cosiddetto patto Molotov-Ribbentrop. Il Soviet Supremo nella sua risoluzione del 24 dicembre 1989 denunciò ufficialmente i protocolli segreti come “un atto di potere personale” che non rifletteva in alcun modo “la volontà del popolo sovietico che non ha alcuna responsabilità per questa collusione”.

Eppure altri stati hanno preferito dimenticare gli accordi che portano le firme dei nazisti e dei politici occidentali, per non parlare di dare valutazioni legali o politiche di tale cooperazione, inclusa la silenziosa acquiescenza – o persino il diretto abbattimento – di alcuni politici europei nei barbari piani del nazisti. Basterà ricordare la cinica frase pronunciata dall’ambasciatore polacco in Germania J. Lipski durante la sua conversazione con Hitler del 20 settembre 1938: “… per risolvere il problema ebraico, noi [i polacchi] costruiremo in suo onore … uno splendido monumento in Varsavia.”

Inoltre, non sappiamo se esistessero “protocolli” segreti o allegati agli accordi di un certo numero di paesi con i nazisti. L’unica cosa che resta da fare è prendere la parola per questo. In particolare, i materiali relativi ai colloqui anglo-tedeschi segreti non sono ancora stati declassificati. Pertanto, esortiamo tutti gli Stati a intensificare il processo di rendere pubblici i loro archivi e pubblicare documenti precedentemente sconosciuti della guerra e dei periodi prebellici, come ha fatto la Russia negli ultimi anni. In questo contesto, siamo pronti per un’ampia cooperazione e progetti di ricerca congiunti che coinvolgono gli storici.

Ma torniamo agli eventi immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Era ingenuo credere che Hitler, una volta fatto con la Cecoslovacchia , non avrebbe fatto nuove rivendicazioni territoriali. Questa volta le affermazioni riguardavano il suo recente complice nella spartizione della Cecoslovacchia – Polonia. Qui, l’eredità di Versailles, in particolare il destino del cosiddetto corridoio di Danzica, è stata ancora una volta utilizzata come pretesto. La colpa della tragedia che la Polonia ha poi subito ricade interamente sulla leadership polacca, che ha impedito la formazione di un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica e si è basata sull’aiuto dei suoi partner occidentali, gettando la propria gente sotto il rullo compressore della macchina di distruzione di Hitler.

L’offensiva tedesca è stata montata in pieno accordo con la dottrina della guerra lampo. Nonostante la feroce, eroica resistenza dell’esercito polacco, l’8 settembre 1939 – solo una settimana dopo lo scoppio della guerra – le truppe tedesche si stavano avvicinando a Varsavia. Il 17 settembre, i leader militari e politici della Polonia erano fuggiti in Romania, abbandonando il suo popolo, che ha continuato a combattere contro gli invasori.

La speranza della Polonia per l’aiuto dei suoi alleati occidentali era vana. Dopo che fu dichiarata la guerra contro la Germania, le truppe francesi avanzarono solo poche decine di chilometri nel territorio tedesco. Tutto sembrava una semplice dimostrazione di azione vigorosa. Inoltre, il Consiglio di guerra supremo anglo-francese, che tenne il suo primo incontro il 12 settembre 1939 nella città francese di Abbeville, decise di annullare del tutto l’offensiva in vista dei rapidi sviluppi in Polonia. Fu allora che iniziò la famigerata guerra fasulla. Ciò che Gran Bretagna e Francia fecero fu un palese tradimento dei loro obblighi nei confronti della Polonia.

Più tardi, durante le prove di Norimberga, i generali tedeschi spiegarono il loro rapido successo in Oriente. L’ex capo dello staff operativo dell’alto comando delle forze armate tedesche, il generale Alfred Jodl ha ammesso: “… non abbiamo subito la sconfitta già nel 1939 solo perché circa 110 divisioni francesi e britanniche di stanza in Occidente contro 23 divisioni tedesche durante la nostra guerra con la Polonia è rimasto assolutamente inattivo “.

Ho chiesto il recupero dagli archivi dell’intero corpus di materiali relativi ai contatti tra l’Unione Sovietica e la Germania nei drammatici giorni di agosto e settembre 1939. Secondo i documenti, il paragrafo 2 del Protocollo segreto al non-tedesco-sovietico Il patto di aggressione del 23 agosto 1939 affermava che, in caso di riorganizzazione territoriale-politica dei distretti che costituivano lo stato polacco, il confine delle sfere di interesse dei due paesi avrebbe “attraversato i fiumi Narew, Vistola e San” . In altre parole, la sfera di influenza sovietica includeva non solo i territori che ospitavano principalmente la popolazione ucraina e bielorussa, ma anche le terre storicamente polacche nell’interfaccia di Vistola e Bug. Questo fatto è noto a pochi in questi giorni.

Allo stesso modo, pochi sanno che, subito dopo l’attacco alla Polonia, nei primi giorni di settembre 1939 Berlino ha fortemente e ripetutamente invitato Mosca a unirsi all’azione militare. Tuttavia, la leadership sovietica ignorò quelle chiamate e progettò di evitare di impegnarsi negli sviluppi drammatici il più a lungo possibile.

Fu solo quando divenne assolutamente chiaro che la Gran Bretagna e la Francia non avrebbero aiutato il loro alleato e la Wehrmacht poteva occupare rapidamente l’intera Polonia e quindi apparire sugli approcci a Minsk che l’Unione Sovietica decise di inviare, la mattina del 17 A settembre, le unità dell’Armata Rossa entrano nei cosiddetti confini orientali, che oggi fanno parte dei territori di Bielorussia, Ucraina e Lituania.

Ovviamente, non c’erano alternative. Altrimenti, l’URSS si troverebbe ad affrontare seriamente maggiori rischi perché – lo dirò di nuovo – il vecchio confine sovietico-polacco passava solo a poche decine di chilometri da Minsk. Il paese dovrebbe entrare nell’inevitabile guerra con i nazisti da posizioni strategiche molto svantaggiose, mentre milioni di persone di diverse nazionalità, tra cui gli ebrei che vivono vicino a Brest e Grodno, Przemyśl, Lvov e Wilno, sarebbero lasciati morire per mano di i nazisti e i loro complici locali – antisemiti e nazionalisti radicali.

Il fatto che l’Unione Sovietica abbia cercato di evitare di affrontare il conflitto crescente il più a lungo possibile e non fosse disposta a combattere fianco a fianco con la Germania era il motivo per cui il vero contatto tra le truppe sovietiche e tedesche avveniva molto più a est dei confini concordato nel protocollo segreto. Non si trovava sul fiume Vistola, ma più vicino alla cosiddetta Curzon Line, che nel 1919 fu raccomandata dalla Triple Intente come confine orientale della Polonia.

Come è noto, non ha senso usare l’umore congiuntivo quando parliamo degli eventi passati. Dirò solo che, nel settembre del 1939, la leadership sovietica ebbe l’opportunità di spostare i confini occidentali dell’URSS ancora più a ovest, fino a Varsavia, ma decise di non farlo.

I tedeschi hanno suggerito di formalizzare il nuovo status quo. Il 28 settembre 1939 Joachim von Ribbentrop e V. Molotov firmarono a Mosca il Trattato di confine e di amicizia tra la Germania e l’Unione Sovietica , nonché il protocollo segreto sulla modifica del confine di stato, secondo il quale il confine era riconosciuto al limite delimitato dove i due eserciti si trovavano di fatto.

Nell’autunno del 1939, l’Unione Sovietica, perseguendo i suoi obiettivi strategici militari e difensivi, iniziò il processo di incorporazione di Lettonia, Lituania ed Estonia. La loro adesione all’URSS è stata attuata su base contrattuale, con il consenso delle autorità elette. Ciò era in linea con il diritto internazionale e statale di quel tempo. Inoltre, nell’ottobre 1939, la città di Vilna e l’area circostante, che in precedenza aveva fatto parte della Polonia, furono restituite in Lituania. Le repubbliche baltiche all’interno dell’URSS conservarono i loro corpi di governo, la loro lingua e rappresentarono le strutture statali superiori dell’Unione Sovietica.

Durante tutti questi mesi ci fu una lotta diplomatica e politico-militare invisibile in corso e un lavoro di intelligence. Mosca capì che stava affrontando un nemico feroce e crudele e che una guerra segreta contro il nazismo stava già accadendo. E non c’è motivo di prendere dichiarazioni ufficiali e note formali sul protocollo di quel tempo come prova di “amicizia” tra URSS e Germania. L’Unione Sovietica aveva contatti commerciali e tecnici attivi non solo con la Germania, ma anche con altri paesi. Considerando che Hitler tentò ancora e ancora di attirare l’Unione Sovietica nello scontro della Germania con il Regno Unito. Ma il governo sovietico rimase fermo.

L’ultimo tentativo di persuadere l’URSS ad agire insieme fu fatto da Hitler durante la visita di Molotov a Berlino nel novembre 1940. Ma Molotov seguì accuratamente le istruzioni di Stalin e si limitò a una discussione generale sull’idea tedesca dell’Unione Sovietica che si univa al Patto tripartito firmato da Germania, Italia e Giapponenel settembre 1940 e diretto contro il Regno Unito e gli Stati Uniti. Non c’è da stupirsi che già il 17 novembre Molotov abbia dato le seguenti istruzioni al rappresentante plenipotenziario sovietico a Londra Ivan Maisky: “Per vostra informazione … Nessun accordo è stato firmato o era destinato a essere firmato a Berlino. Abbiamo appena scambiato le nostre opinioni a Berlino … e questo è stato tutti … Apparentemente, i tedeschi e i giapponesi sembrano ansiosi di spingerci verso il Golfo e l’India. Abbiamo rifiutato la discussione su questa questione poiché riteniamo inappropriati tali consigli da parte della Germania. ” E il 25 novembre la leadership sovietica lo ha definito del tutto un giorno presentando ufficialmente a Berlino le condizioni inaccettabili per i nazisti, tra cui il ritiro delle truppe tedesche dalla Finlandia, il trattato di mutua assistenza tra Bulgaria e URSS e un certo numero di altre . Pertanto ha deliberatamente escluso qualsiasi possibilità di aderire al Patto. Tale posizione ha sicuramente plasmato l’intenzione del Fuehrer di scatenare una guerra contro l’URSS. E già a dicembre, mettendo da parte gli avvertimenti dei suoi strateghi sul disastroso pericolo di una guerra a due fronti, Hitler approvò il piano Barbarossa. Lo fece con la consapevolezza che l’Unione Sovietica era la forza maggiore che gli si opponeva in Europa e che l’imminente battaglia in Oriente avrebbe deciso l’esito della guerra mondiale. E non aveva dubbi sulla rapidità e il successo della campagna di Mosca.

E qui vorrei evidenziare quanto segue: i paesi occidentali, infatti, concordarono in quel momento con le azioni sovietiche e riconobbero l’intenzione dell’Unione Sovietica di garantire la sua sicurezza nazionale. In effetti, il 1 ° ottobre 1939 Winston Churchill, il Primo Lord dell’Ammiragliato allora, nel suo discorso alla radio disse: “La Russia ha perseguito una fredda politica di interesse personale … Ma che gli eserciti russi dovrebbero stare su questa linea [si intende il nuovo confine occidentale] era chiaramente necessario per la sicurezza della Russia contro la minaccia nazista “. Il 4 ottobre 1939, parlando alla House of Lords, il segretario agli Esteri britannico Halifax disse: “… va ricordato che le azioni del governo sovietico furono di spostare il confine essenzialmente sulla linea raccomandata alla Conferenza di Versailles da Lord Curzon …

Nelle comunicazioni informali con il rappresentante plenipotenziario sovietico Maisky, i diplomatici britannici e i politici di alto livello hanno parlato ancora più apertamente. Il 17 ottobre 1939 il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri RA Butler gli confidò che i circoli del governo britannico credevano che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di riportare l’Ucraina occidentale e la Bielorussia in Polonia. Secondo lui, se fosse stato possibile creare una Polonia etnografica di dimensioni modeste con una garanzia non solo dell’URSS e della Germania, ma anche della Gran Bretagna e della Francia, il governo britannico si sarebbe ritenuto abbastanza soddisfatto. Il 27 ottobre 1939, il consigliere senior di Chamberlain H.Wilson affermò che la Polonia doveva essere ripristinata come stato indipendente sulla base etnografica, ma senza l’Ucraina occidentale e la Bielorussia.

Vale la pena notare che nel corso di queste conversazioni sono state anche esplorate le possibilità di migliorare le relazioni britannico-sovietiche. Questi contatti hanno ampiamente gettato le basi per la futura alleanza e la coalizione anti-Hitler. Churchill si distinse tra altri politici responsabili e lungimiranti e, nonostante la sua famigerata antipatia per l’URSS, era stato a favore della cooperazione con i sovietici anche prima. Nel maggio del 1939, disse alla Camera dei Comuni, “Saremo in pericolo mortale se non riuscissimo a creare una grande alleanza contro l’aggressione. La peggiore follia sarebbe quella di scacciare qualsiasi cooperazione naturale con la Russia sovietica”. E dopo l’inizio delle ostilità in Europa, al suo incontro con Maisky il 6 ottobre 1939, confidò che non c’erano contraddizioni serie tra Regno Unito e URSS e, quindi, non c’era motivo di relazioni tese o insoddisfacenti. Ha anche detto che il governo britannico era ansioso di sviluppare relazioni commerciali e disposto a discutere qualsiasi altra misura che potesse migliorare le relazioni.

La seconda guerra mondiale non è avvenuta dall’oggi al domani, né è iniziata inaspettatamente o all’improvviso. E l’aggressione tedesca contro la Polonia non era dal nulla. Fu il risultato di una serie di tendenze e fattori della politica mondiale di quel tempo. Tutti gli eventi prebellici andarono a posto per formare una catena fatale. Ma, senza dubbio, i principali fattori che hanno predeterminato la più grande tragedia nella storia dell’umanità sono stati l’egoismo di stato, la codardia, la pacificazione dell’aggressore che stava guadagnando forza e la riluttanza delle élite politiche a cercare un compromesso.

Pertanto, è ingiusto affermare che la visita di due giorni a Mosca del ministro degli Esteri nazista Ribbentrop sia stata la ragione principale dell’inizio della seconda guerra mondiale. Tutti i paesi leader sono in una certa misura responsabili del suo scoppio. Ognuno di loro ha commesso errori fatali, credendo con arroganza di poter superare in astuzia gli altri, assicurarsi vantaggi unilaterali per se stesso o stare lontano dall’imminente catastrofe mondiale. E questa miopia, il rifiuto di creare un sistema di sicurezza collettiva è costato milioni di vite e perdite tremende.

Detto questo, non intendo assolutamente assumere il ruolo di giudice, accusare o assolvere chiunque, per non parlare dell’avvio di un nuovo ciclo di confronto internazionale di informazioni nel campo storico che potrebbe mettere i paesi e le persone ai margini. Credo che siano gli accademici con un’ampia rappresentanza di scienziati rispettati provenienti da diversi paesi del mondo a cercare una valutazione equilibrata di ciò che è accaduto. Tutti abbiamo bisogno della verità e dell’obiettività. Da parte mia, ho sempre incoraggiato i miei colleghi a costruire un dialogo calmo, aperto e basato sulla fiducia, per guardare al passato comune in modo autocritico e imparziale. Tale approccio consentirà di non ripetere gli errori commessi allora e di garantire uno sviluppo pacifico e di successo per gli anni a venire.

Tuttavia, molti dei nostri partner non sono ancora pronti per il lavoro congiunto. Al contrario, perseguendo i loro obiettivi, aumentano il numero e la portata degli attacchi informativi contro il nostro paese, cercando di farci fornire scuse e sentirci in colpa, e adottare dichiarazioni completamente ipocrite e motivate politicamente. Pertanto, ad esempio, la risoluzione sull’importanza del ricordo europeo per il futuro dell’Europa, approvata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, ha accusato direttamente l’URSS insieme alla Germania nazista di scatenare la seconda guerra mondiale. Inutile dire che non si fa menzione di Monaco.

Credo che tali “scartoffie” – poiché non posso chiamare questa risoluzione un documento – che è chiaramente inteso a provocare uno scandalo, sono piene di minacce reali e pericolose. In effetti, è stato adottato da un’istituzione di tutto rispetto. E cosa mostra questo? Purtroppo, questo rivela una politica deliberata volta a distruggere l’ordine mondiale del dopoguerra, la cui creazione è stata una questione di onore e responsabilità per gli Stati, un numero di rappresentanti dei quali hanno votato oggi a favore di questa ingannevole risoluzione. Pertanto, hanno contestato le conclusioni del Tribunale di Norimberga e gli sforzi della comunità internazionale per creare dopo le vittoriose istituzioni internazionali universali del 1945. Consentitemi di ricordare al riguardo che il processo stesso di integrazione europea che porta alla creazione di strutture pertinenti, incluso il Parlamento europeo, è diventato possibile solo grazie agli insegnamenti tratti dal passato e alla sua accurata valutazione giuridica e politica. E coloro che mettono deliberatamente in discussione questo consenso minano le basi dell’intera Europa postbellica.

Oltre a rappresentare una minaccia ai principi fondamentali dell’ordine mondiale, ciò solleva anche alcune questioni morali ed etiche. Dissacrare e insultare la memoria è meschino. La meschinità può essere deliberata, ipocrita e piuttosto intenzionale come nella situazione delle dichiarazioni commemorative del 75 °anniversario della fine della seconda guerra mondiale menzionare tutti i partecipanti alla coalizione anti-Hitler ad eccezione dell’Unione Sovietica. La meschinità può essere codarda come nella situazione in cui i monumenti eretti in onore di coloro che hanno combattuto contro il nazismo vengono demoliti e questi atti vergognosi sono giustificati dai falsi slogan della lotta contro un’ideologia sgradita e una presunta occupazione. La cattiveria può anche essere sanguinosa come nella situazione in cui coloro che escono contro i neonazisti e i successori di Bandera vengono uccisi e bruciati. Ancora una volta, la cattiveria può avere manifestazioni diverse, ma ciò non lo rende meno disgustoso.

Trascurare le lezioni della storia porta inevitabilmente a un duro rimborso. Sosterremo fermamente la verità sulla base di fatti storici documentati. Continueremo ad essere onesti e imparziali sugli eventi della seconda guerra mondiale. Ciò include un progetto su larga scala per istituire la più grande collezione russa di documenti d’archivio, materiale cinematografico e fotografico sulla storia della seconda guerra mondiale e sul periodo prebellico.

Tale lavoro è già in corso. Molti nuovi materiali, recentemente scoperti o declassificati sono stati usati anche nella preparazione di questo articolo. A questo proposito, posso affermare con tutta la responsabilità che non esistono documenti d’archivio che confermerebbero l’ipotesi che l’URSS intendesse iniziare una guerra preventiva contro la Germania. La leadership militare sovietica seguì davvero una dottrina secondo la quale, in caso di aggressione, l’Armata Rossa avrebbe prontamente affrontato il nemico, avrebbe iniziato l’offensiva e avrebbe fatto la guerra sul territorio nemico. Tuttavia, tali piani strategici non implicavano alcuna intenzione di attaccare prima la Germania.

Naturalmente, gli storici hanno a disposizione documenti di pianificazione militare, lettere di istruzione del quartier generale sovietico e tedesco. Infine, conosciamo il vero corso degli eventi. Dal punto di vista di questa conoscenza, molti discutono delle azioni, degli errori e dei giudizi errati della leadership militare e politica del Paese. A questo proposito, dirò una cosa: insieme a un enorme flusso di disinformazione di vario genere, i leader sovietici hanno anche ricevuto informazioni vere sull’imminente aggressione nazista. E nei mesi prebellici, hanno preso provvedimenti per migliorare la prontezza al combattimento del paese, incluso il reclutamento segreto di una parte dei responsabili del servizio militare per l’addestramento militare e la ridistribuzione di unità e riserve dai distretti militari interni ai confini occidentali .

La guerra non è stata una sorpresa, la gente se l’aspettava, preparandosi. Ma l’attacco nazista era davvero senza precedenti in termini di potere distruttivo. Il 22 giugno 1941, l’Unione Sovietica affrontò l’esercito più forte, più mobilitato e competente del mondo con il potenziale industriale, economico e militare di quasi tutta l’Europa che lavorava per esso. Non solo la Wehrmacht, ma anche i satelliti tedeschi, contingenti militari di molti altri stati del continente europeo, hanno preso parte a questa invasione mortale.

Le più gravi sconfitte militari nel 1941 portarono il paese sull’orlo della catastrofe. Il potere di combattimento e il controllo dovevano essere ripristinati con mezzi estremi, mobilitazione a livello nazionale e intensificazione di tutti gli sforzi dello stato e del popolo. Nell’estate del 1941, milioni di cittadini, centinaia di fabbriche e industrie iniziarono ad essere evacuate sotto il fuoco nemico ad est del paese. La produzione di armi e munizioni, che aveva iniziato ad essere fornita al fronte già nel primo inverno militare, fu lanciata nel più breve tempo possibile e, nel 1943, i tassi di produzione militare della Germania e dei suoi alleati furono superati. Entro sei mesi, il popolo sovietico fece qualcosa che sembrava impossibile. Sia in prima linea che in casa. È ancora difficile capire, capire e immaginare quali incredibili sforzi, coraggio,

L’enorme potere della società sovietica, unito dal desiderio di proteggere la loro terra natale, si ribellò contro la potente macchina d’invasione nazista a sangue freddo, armata fino ai denti. Si alzò per vendicarsi del nemico, che aveva spezzato, calpestato la vita pacifica, i piani e le speranze della gente.

Certo, paura, confusione e disperazione stavano prendendo il sopravvento su alcune persone durante questa terribile e sanguinosa guerra. Ci furono tradimento e diserzione. La dura scissione causata dalla rivoluzione e dalla guerra civile, dal nichilismo, dalla beffa della storia nazionale, dalle tradizioni e dalla fede che i bolscevichi tentarono di imporre, specialmente nei primi anni dopo l’ascesa al potere – tutto ciò ebbe il suo impatto. Ma l’atteggiamento generale della maggioranza assoluta dei cittadini sovietici e dei nostri compatrioti che si sono trovati all’estero era diverso: salvare e proteggere la Patria. Fu un impulso reale e irrefrenabile. Le persone cercavano supporto nei veri valori patriottici.

Gli “strateghi” nazisti erano convinti che un enorme stato multinazionale potesse essere facilmente portato al tallone. Pensavano che l’improvviso scoppio della guerra, la sua spietatezza e le insopportabili difficoltà avrebbero inevitabilmente aggravato le relazioni interetniche. E che il paese potrebbe essere diviso in pezzi. Hitler dichiarò chiaramente: “La nostra politica nei confronti dei popoli che vivono nella vastità della Russia dovrebbe essere quella di promuovere qualsiasi forma di disaccordo e divisione”.

Ma fin dai primi giorni, era chiaro che il piano nazista aveva fallito. La fortezza di Brest è stata protetta fino all’ultima goccia di sangue dai suoi difensori di oltre 30 etnie. Durante la guerra, l’impresa del popolo sovietico non conobbe confini nazionali, sia nelle battaglie decisive su larga scala che nella protezione di ogni punto d’appoggio, ogni metro di terra natia.

La regione del Volga e gli Urali, la Siberia e l’Estremo Oriente, le repubbliche dell’Asia centrale e della Transcaucasia divennero la dimora di milioni di sfollati. I loro residenti condividevano tutto ciò che avevano e fornivano tutto il supporto possibile. L’amicizia dei popoli e l’aiuto reciproco sono diventati una vera fortezza indistruttibile per il nemico.

L’Unione Sovietica e l’Armata Rossa, indipendentemente da ciò che qualcuno sta cercando di dimostrare oggi, hanno dato il contributo principale e cruciale alla sconfitta del nazismo. Questi erano eroi che combatterono fino alla fine circondati dal nemico a Bialystok e Mogilev, Uman e Kiev, Vyazma e Kharkov. Hanno lanciato attacchi vicino a Mosca e Stalingrado, Sebastopoli e Odessa, Kursk e Smolensk. Liberarono Varsavia, Belgrado, Vienna e Praga. Hanno preso d’assalto Koenigsberg e Berlino.

Contendiamo verità autentiche, non verniciate o imbiancate sulla guerra. Questa verità umana, nazionale, dura, amara e spietata, ci è stata tramandata da scrittori e poeti che hanno attraversato il fuoco e l’inferno delle prove sul fronte. Per la mia generazione, così come per gli altri, le loro storie oneste e profonde, i romanzi, la penetrante prosa di trincea e le poesie hanno lasciato il segno nella mia anima per sempre. Onorare i veterani che hanno fatto tutto il possibile per la Vittoria e ricordare coloro che sono morti sul campo di battaglia è diventato il nostro dovere morale.

E oggi, il semplice e grande nelle sue linee essenziali del poema di Alexander Tvardovsky “Sono stato ucciso vicino a Rzhev …” dedicato ai partecipanti alla sanguinosa e brutale battaglia della Grande Guerra Patriottica al centro della prima linea sovietico-tedesca sono sorprendenti. Solo nelle battaglie per Rzhev e Rzhevsky Salient dall’ottobre 1941 al marzo 1943, l’Armata Rossa perse 1.154, 698 persone, tra cui feriti e dispersi. Per la prima volta, chiamo queste figure terribili, tragiche e tutt’altro che complete raccolte da fonti d’archivio. Lo faccio per onorare il ricordo dell’impresa di eroi noti e senza nome, che per varie ragioni erano immeritatamente e ingiustamente poco discussi o non menzionati affatto negli anni del dopoguerra.

Lascia che ti citi un altro documento. Questo è un rapporto del febbraio 1954 sulla riparazione dalla Germania della Commissione Alleata per le riparazioni guidata da Ivan Maisky. Il compito della Commissione era definire una formula in base alla quale la Germania sconfitta avrebbe dovuto pagare per i danni subiti dai poteri vincitori. La Commissione ha concluso che “il numero di giorni di soldato trascorsi dalla Germania sul fronte sovietico è almeno 10 volte superiore a quello di tutti gli altri fronti alleati. Il fronte sovietico doveva anche gestire i quattro quinti dei carri armati tedeschi e circa i due terzi di Aereo tedesco “. Nel complesso, l’URSS rappresentava circa il 75% di tutti gli sforzi militari intrapresi dalla coalizione anti-Hitler. Durante il periodo di guerra, l’Armata Rossa “raddrizzò” 626 divisioni degli Stati dell’Asse, di cui 508 tedeschi.

Il 28 aprile 1942, Franklin D. Roosevelt disse nel suo discorso alla nazione americana: “Queste forze russe hanno distrutto e stanno distruggendo più potenza armata dei nostri nemici – truppe, aerei, carri armati e pistole – di tutte le altre Nazioni Unite mettere insieme”. Winston Churchill nel suo messaggio a Joseph Stalin del 27 settembre 1944, scrisse “è l’esercito russo che ha strappato le viscere alla macchina militare tedesca …”.

Tale valutazione ha risuonato in tutto il mondo. Perché queste parole sono la grande verità, di cui nessuno dubitava allora. Quasi 27 milioni di cittadini sovietici persero la vita sui fronti, nelle carceri tedesche, morirono di fame e furono bombardati, morirono nei ghetti e nelle fornaci dei campi di sterminio nazisti. L’URSS ha perso uno su sette dei suoi cittadini, il Regno Unito ha perso uno su 127 e gli Stati Uniti hanno perso uno su 320. Sfortunatamente, questa cifra delle perdite più gravi e gravi dell’Unione Sovietica non è esaustiva. Il lavoro scrupoloso dovrebbe essere continuato per ripristinare i nomi e le sorti di tutti coloro che sono morti: soldati dell’Armata Rossa, partigiani, combattenti sotterranei, prigionieri di guerra e campi di concentramento e civili uccisi dagli squadroni della morte. È nostro dovere E qui, membri del movimento di ricerca, associazioni militari-patriottiche e di volontariato, progetti come il database elettronico “Pamyat Naroda”, che contiene documenti d’archivio, svolgono un ruolo speciale. E, sicuramente, è necessaria una stretta cooperazione internazionale in un compito umanitario così comune.

Gli sforzi di tutti i paesi e tutti i popoli che hanno combattuto contro un nemico comune hanno portato alla vittoria. L’esercito britannico ha protetto la sua patria dall’invasione, ha combattuto i nazisti e i loro satelliti nel Mediterraneo e nel Nord Africa. Le truppe americane e britanniche liberarono l’Italia e aprirono il Secondo Fronte. Gli Stati Uniti hanno commesso potenti e devastanti attacchi contro l’aggressore nell’Oceano Pacifico. Ricordiamo gli enormi sacrifici fatti dal popolo cinese e il loro grande ruolo nella sconfitta dei militaristi giapponesi. Non dimentichiamo i combattenti di Fighting France, che non si innamorarono della vergognosa capitolazione e continuarono a combattere contro i nazisti.

Inoltre saremo sempre grati per l’assistenza fornita dagli Alleati nel fornire all’Armata Rossa munizioni, materie prime, cibo e attrezzature. E quell’aiuto fu significativo – circa il 7 percento della produzione militare totale dell’Unione Sovietica.

Il nucleo della coalizione anti-Hitler iniziò a prendere forma immediatamente dopo l’attacco all’Unione Sovietica, dove gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo sostenevano incondizionatamente nella lotta contro la Germania di Hitler. Alla conferenza di Teheran del 1943, Stalin, Roosevelt e Churchill formarono un’alleanza di grandi potenze, accettarono di elaborare la diplomazia della coalizione e una strategia comune nella lotta contro una comune minaccia mortale. I leader dei Big Three avevano una chiara comprensione del fatto che l’unificazione delle capacità industriali, di risorse e militari dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito darà una supremazia incontrastata al nemico.

L’Unione Sovietica ha adempiuto pienamente ai suoi obblighi verso i suoi alleati e ha sempre offerto una mano. Pertanto, l’Armata Rossa ha sostenuto lo sbarco delle truppe anglo-americane in Normandia effettuando un’operazione Bagration su larga scala in Bielorussia. Nel gennaio del 1945, avendo sfondato il fiume Oder, pose fine all’ultima potente offensiva della Wehrmacht sul fronte occidentale delle Ardenne. Tre mesi dopo la vittoria sulla Germania, l’URSS, in pieno accordo con gli accordi di Yalta, dichiarò guerra al Giappone e sconfisse l’esercito di Kwantung, che aveva un milione di abitanti.

Nel luglio del 1941, la leadership sovietica dichiarò che lo scopo della guerra contro gli oppressori fascisti non era solo l’eliminazione della minaccia che incombeva sul nostro paese, ma aiutava anche tutti i popoli d’Europa che soffrivano sotto il giogo del fascismo tedesco. Entro la metà del 1944, il nemico fu espulso praticamente da tutto il territorio sovietico. Tuttavia, il nemico doveva essere finito nella sua tana. E così l’Armata Rossa iniziò la sua missione di liberazione in Europa. Ha salvato intere nazioni dalla distruzione e dalla schiavitù e dall’orrore dell’Olocausto. Furono salvati al costo di centinaia di migliaia di vite di soldati sovietici.

È anche importante non dimenticare l’enorme assistenza materiale fornita dall’URSS ai paesi liberati per eliminare la minaccia della fame e ricostruire le loro economie e infrastrutture. Ciò avveniva quando le ceneri si estendevano per migliaia di miglia da Brest a Mosca e al Volga. Ad esempio, nel maggio del 1945, il governo austriaco chiese all’URSS di fornire assistenza con il cibo, poiché “non aveva idea di come nutrire la sua popolazione nelle prossime sette settimane prima del nuovo raccolto”. Il cancelliere di stato del governo provvisorio della Repubblica austriaca Karl Renner descrisse il consenso della leadership sovietica a inviare cibo come un atto salvifico che gli austriaci non avrebbero mai dimenticato.

Gli Alleati istituirono congiuntamente il Tribunale militare internazionale per punire i criminali nazisti politici e di guerra. Le sue decisioni contenevano una chiara qualificazione giuridica dei crimini contro l’umanità, come il genocidio, la pulizia etnica e religiosa, l’antisemitismo e la xenofobia. Direttamente e senza ambiguità, il Tribunale di Norimberga ha anche condannato i complici dei nazisti, collaboratori di vario genere.

Questo vergognoso fenomeno si è manifestato in tutti i paesi europei. Figure come Pétain, Quisling, Vlasov, Bandera, i loro scagnozzi e seguaci – sebbene fossero travestiti da combattenti per l’indipendenza nazionale o la libertà dal comunismo – sono traditori e macellatori. Nella disumanità, hanno spesso superato i loro padroni. Nel loro desiderio di servire, come parte di speciali gruppi punitivi, eseguirono volentieri gli ordini più disumani. Erano responsabili di eventi sanguinosi come le sparatorie di Babi Yar, il massacro di Volhynia, l’incendio di Khatyn, gli atti di distruzione di ebrei in Lituania e Lettonia.

Anche oggi la nostra posizione rimane invariata: non ci possono essere scuse per gli atti criminali dei collaboratori nazisti, per loro non esiste uno statuto di limitazioni. È quindi sorprendente che in alcuni paesi coloro che sono sorrisi dalla cooperazione con i nazisti siano improvvisamente equiparati ai veterani della Seconda Guerra Mondiale. Credo che sia inaccettabile equiparare i liberatori con gli occupanti. E posso solo considerare la glorificazione dei collaboratori nazisti come un tradimento della memoria dei nostri padri e nonni. Un tradimento degli ideali che univano i popoli nella lotta contro il nazismo.

A quel tempo, i leader dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito affrontarono, senza esagerare, un compito storico. Stalin , Roosevelt e Churchill rappresentavano i paesi con diverse ideologie, aspirazioni statali, interessi, culture, ma dimostravano una grande volontà politica, si alzavano al di sopra delle contraddizioni e delle preferenze e mettevano in primo piano i veri interessi della pace. Di conseguenza, sono stati in grado di raggiungere un accordo e raggiungere una soluzione di cui tutta l’umanità ha beneficiato.

I poteri vittoriosi ci hanno lasciato un sistema che è diventato la quintessenza della ricerca intellettuale e politica di diversi secoli. Una serie di conferenze – Teheran, Yalta, San Francisco e Potsdam – hanno gettato le basi di un mondo che per 75 anni non ha avuto una guerra globale, nonostante le contraddizioni più acute.

Il revisionismo storico, le cui manifestazioni osserviamo ora in Occidente, e principalmente riguardo al tema della Seconda Guerra Mondiale e al suo esito, è pericoloso perché distorce grossolanamente e cinicamente la comprensione dei principi di sviluppo pacifico, stabiliti a le conferenze di Yalta e San Francisco nel 1945. Il principale risultato storico di Yalta e di altre decisioni dell’epoca è l’accordo per creare un meccanismo che consenta alle potenze leader di rimanere nel quadro della diplomazia nel risolvere le loro differenze.

Il ventesimo secolo ha portato a conflitti globali su vasta scala e nel 1945 sono entrate in scena anche le armi nucleari in grado di distruggere fisicamente la Terra. In altre parole, la risoluzione delle controversie con la forza è diventata pericolosamente pericolosa. E i vincitori della seconda guerra mondiale lo capirono. Hanno capito ed erano consapevoli della propria responsabilità nei confronti dell’umanità.

Il racconto cautelativo della Società delle Nazioni è stato preso in considerazione nel 1945. La struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata sviluppata in modo da rendere le garanzie di pace il più concrete ed efficaci possibile. È così che sono nati l’istituzione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e il diritto di veto come privilegio e responsabilità.

Qual è il potere di veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ? Per dirla senza mezzi termini, è l’unica alternativa ragionevole a uno scontro diretto tra i principali paesi. È una dichiarazione di uno dei cinque poteri secondo cui una decisione è inaccettabile e contraria ai suoi interessi e alle sue idee sul giusto approccio. E altri paesi, anche se non sono d’accordo, danno questa posizione per scontata, abbandonando ogni tentativo di realizzare i loro sforzi unilaterali. Quindi, in un modo o nell’altro, è necessario cercare compromessi.

Un nuovo confronto globale è iniziato quasi immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale ed è stato a volte molto feroce. E il fatto che la guerra fredda non sia cresciuta fino alla terza guerra mondiale è diventata una chiara testimonianza dell’efficacia degli accordi conclusi dai Grandi Tre. Le regole di condotta concordate durante la creazione delle Nazioni Unite hanno permesso di minimizzare ulteriormente i rischi e di tenere sotto controllo lo scontro.

Naturalmente, possiamo vedere che il sistema delle Nazioni Unite attualmente sta vivendo una certa tensione nel suo lavoro e non è così efficace come potrebbe essere. Ma l’ONU svolge ancora la sua funzione principale. I principi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono un meccanismo unico per prevenire una grande guerra o un conflitto globale.

Le richieste che sono state fatte abbastanza spesso negli ultimi anni per abolire il potere di veto, per negare opportunità speciali ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono in realtà irresponsabili. Dopotutto, se ciò dovesse accadere, le Nazioni Unite diventerebbero in sostanza la Società delle Nazioni – un incontro per discorsi vuoti senza alcun effetto sui processi mondiali. Come è noto è noto. Ecco perché le potenze vittoriose si avvicinarono alla formazione del nuovo sistema dell’ordine mondiale con la massima serietà cercando di evitare la ripetizione degli errori dei loro predecessori.

La creazione del moderno sistema di relazioni internazionali è uno dei maggiori risultati della seconda guerra mondiale. Anche le contraddizioni più insormontabili – geopolitiche, ideologiche, economiche – non ci impediscono di trovare forme di convivenza pacifica e interazione, se c’è il desiderio e la volontà di farlo. Oggi il mondo sta attraversando un periodo piuttosto turbolento. Tutto sta cambiando, dall’equilibrio globale di potere e influenza ai fondamenti sociali, economici e tecnologici di società, nazioni e persino continenti. In epoche passate, cambiamenti di tale portata non sono quasi mai avvenuti senza importanti conflitti militari. Senza una lotta di potere per costruire una nuova gerarchia globale. Grazie alla saggezza e alla lungimiranza delle figure politiche delle Potenze Alleate, è stato possibile creare un sistema che si è frenato da manifestazioni estreme di tale competizione oggettiva, storicamente inerente allo sviluppo del mondo.

È nostro dovere – tutti coloro che si assumono la responsabilità politica e soprattutto i rappresentanti delle potenze vittoriose nella seconda guerra mondiale – garantire che questo sistema sia mantenuto e migliorato. Oggi, come nel 1945, è importante dimostrare volontà politica e discutere insieme del futuro. I nostri colleghi – Xi Jinping, Macron, Trump e Johnson – hanno appoggiato l’iniziativa russa di tenere una riunione dei leader dei cinque Stati con armi nucleari, membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Li ringraziamo per questo e speriamo che un incontro faccia a faccia possa aver luogo il prima possibile.

Qual è la nostra visione dell’agenda per il prossimo vertice? Innanzitutto, a nostro avviso, sarebbe utile discutere i passi per sviluppare principi collettivi negli affari mondiali. Parlare francamente delle questioni relative al mantenimento della pace, al rafforzamento della sicurezza globale e regionale, al controllo strategico degli armamenti, nonché agli sforzi congiunti per contrastare il terrorismo, l’estremismo e altre importanti sfide e minacce.

Un punto speciale all’ordine del giorno della riunione è la situazione dell’economia globale. E soprattutto, superare la crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus. I nostri paesi stanno adottando misure senza precedenti per proteggere la salute e la vita delle persone e per sostenere i cittadini che si sono trovati in situazioni di vita difficili. La nostra capacità di lavorare insieme e in concerto, come veri partner, mostrerà quanto sarà grave l’impatto della pandemia e quanto velocemente l’economia globale emergerà dalla recessione. Inoltre, è inaccettabile trasformare l’economia in uno strumento di pressione e confronto. Le questioni più comuni includono la protezione dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, oltre a garantire la sicurezza dello spazio informativo globale.

L’agenda proposta dalla Russia per il prossimo vertice dei Cinque è estremamente importante e rilevante sia per i nostri paesi che per il mondo intero. E abbiamo idee e iniziative specifiche su tutti gli articoli.

Non vi è dubbio che il vertice di Russia, Cina , Francia , Stati Uniti e Regno Unito possa svolgere un ruolo importante nel trovare risposte comuni alle sfide e alle minacce moderne e dimostrerà un impegno comune per lo spirito di alleanza, per quegli alti ideali e valori umanistici per i quali i nostri padri e nonni stavano combattendo spalla a spalla.

Attingendo a una memoria storica condivisa, possiamo fidarci l’uno dell’altro e dobbiamo farlo. Ciò servirà come solida base per negoziati di successo e azioni concertate per migliorare la stabilità e la sicurezza del pianeta e per il benessere e il benessere di tutti gli Stati. Senza esagerare, è nostro comune dovere e responsabilità verso il mondo intero, verso le generazioni presenti e future.

Vladimir Putin è Presidente della Federazione Russa. 

Iran, Cina e Russia: alleati ad hoc?, di Michel Nazet

I media occidentali sono stati ossessionati dalle posizioni anti-occidentali dell’Iran sin dalla Rivoluzione islamica del 1979 e dal suo presunto desiderio di acquisire armi nucleari. Le relazioni dell’Iran con la Russia, come con la Cina, sono quindi un po ‘il volto nascosto della politica estera iraniana e ne sono state completamente nascoste, fino ai piani per la (ri) costituzione dell’Eurasia per la Russia e la Terra Via della seta per la Cina.

 

I legami con la Cina sono attestati dai rapporti tra i Parti e i Cinesi, quindi dall’esistenza della via della seta che attraversava, dal II E  secolo prima di J. – C., tutto il nord della Persia, ed era un vettore di scambi di tutti i tipi. La Persia, la Cina e gran parte della Russia furono persino brevemente unificate dai mongoli tra il 1227 e il 1259, prima che il loro impero si spezzasse.

Quindi le relazioni con la Cina furono ridotte. Con la Russia, sono diventati sempre più difficili, la rimozione di Mosca a Persia numerosi territori nel XIX °  secolo (vedi mappa a pagina 47). Nel 1920, i comunisti incoraggiarono la creazione di una repubblica effimera di Gilan nel nord del paese; nel 1945 e nel 1946, Stalin cerca ancora di strappare l’Azerbaigian e il Kurdistan dalla Persia all’Iran. Queste minacce portano l’Iran a rivolgersi all’Alleanza occidentale e aderire al Patto di Baghdad.

L’Iran è alla ricerca di nuovi partner

La logica geopolitica contemporanea degli ultimi decenni ha avvicinato l’Iran alla Russia e alla Cina. Rompendo con gli Stati Uniti, sentendosi minacciato dall’accerchiamento delle potenze sunnite, molte delle quali sono ostili nei suoi confronti, traumatizzati dal suo isolamento durante la guerra con l’Iraq, Teheran adotta una politica estera “anti-egemonica”, neutralista e terzo mondo.

Pertanto, l’Iran si oppone principalmente agli Stati Uniti, influenti nel Golfo Persico, che si oppongono all’adesione al rango di potere internazionale dell’Iran.

Inoltre, ha sentito parlare a nome dei paesi del Sud, rifiutando il Washington Consensus (1) e facendo una campagna per un pianeta multipolare. Questo impegno si riflette in una posizione eminente all’interno del movimento non allineato, di cui Teheran è diventato il quartier generale dal 2012 e di cui Hassan Rohani è l’attuale segretario generale.

Queste posizioni hanno portato l’Iran ad avvicinarsi al suo vicino russo e alla Cina, che sono anche parte di una sfida all’attuale ordine mondiale e di una sfida a un egemonismo americano percepito come dinamico e minaccioso …

Verso un “nuovo impero mongolo”?

Di conseguenza, le relazioni tra i tre stati si sono intensificate solo a causa di molti interessi comuni (sensazione di essere circondati dagli Stati Uniti, lotta contro il terrorismo di ispirazione jihadista e traffico di droga in generale ed eroina in particolare).

L’Iran è quindi diventato, negli ultimi anni, un partner privilegiato della Russia, nell’ambito di un partenariato di cooperazione militare del 2001 rafforzato all’inizio del 2015, per gli acquisti di armi (quindi i missili antiaerei avanzati S-300 tra cui Mosca ha appena sbloccato la consegna), l’energia nucleare civile (costruzione della centrale di Bouchehr ), il settore del gas. Più recentemente, a marzo 2015, a seguito dell’embargo russo sui prodotti agricoli europei, l’Iran e la Russia hanno firmato un importante contratto che promuove le esportazioni iraniane di prodotti della pesca e dei prodotti lattiero-caseari, nonché i trasferimenti finanziari.

Allo stesso tempo, le relazioni economiche tra Iran e Cina si sono sviluppate fortemente dal 2004. Nonostante le pressioni, Pechino non applica le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite. La Cina è quindi diventata dall’inizio del decennio il primo partner economico dell’Iran (l’Unione Europea, da tempo in prima fila, essendo caduta al quarto posto); importa principalmente idrocarburi (50% di petrolio iraniano esportato) e prodotti petrolchimici. Il commercio, che ha raggiunto i 30 miliardi di dollari nel 2010, ora supera i 40 miliardi con l’obiettivo di 100 miliardi all’anno.

 

Allo stesso modo, mentre l’Iran ha posizioni molto vicine a quelle formulate dai BRICS e vi è collusione da parte degli organi di stampa iraniani, russi e cinesi, questo paese è diventato un osservatore presso la Shanghai Cooperation Organization ( dove Pechino e Mosca siedono già) nel 2005 e potrebbero diventare membri a pieno titolo al vertice di Ufa a luglio 2015. Infine, recentemente, il 3 aprile 2015, l’Iran ha aderito come membro fondatore dell’iniziativa bancaria cinese Asian Investment Bank , la Asian Infrastructure Investment Bank , alla quale gli Stati Uniti e il Giappone hanno rifiutato di aderire …

Sembra quindi prendere forma un asse Mosca-Teheran-Pechino che Thomas Flichy di La Neuville ha descritto come “il  nuovo impero mongolo (2)” e che Zbigniew Brzezinski aveva previsto dagli anni ’90.

Un’entità improbabile …

I tre paesi, plasmati da un acuto sentimento nazionale, sono lungi dall’avere dimensioni geografiche e umane comparabili. Sentono anche il bisogno assoluto di aprirsi agli Stati occidentali che rappresentano una domanda di solventi e sono fornitori di capitale e tecnologia … La loro capacità di opporsi all’egemonia è quindi limitata e irregolare.

Hanno anche interessi che possono rivelarsi divergenti. Ognuno aspira, sulla scala del continente asiatico, un luogo strategico che, se geograficamente complementare, compete anche con quello dei suoi due partner. Questa divergenza di interessi può quindi alimentare solo ulteriori motivi e sospetti, concretizzati dalle posizioni ambivalenti di Cina e Russia, ieri durante il conflitto iracheno-iraniano, oggi sull’energia nucleare iraniana. La Russia, in particolare, può sinceramente desiderare che Teheran acquisisca armi atomiche? D’altra parte, le controversie del passato hanno perso parte del loro significato poiché i due paesi non hanno più un confine terrestre dalla rottura dell’URSS. Né esiste, per il momento, una lotta per l’influenza in Asia centrale, anche nel Tagikistan della cultura iraniana. Qui la rivalità riguarda Mosca e Pechino.

 

Infine, questi paesi hanno poco in comune culturalmente e ideologicamente. I loro sistemi sociali non hanno nulla di paragonabile.

Tutto sommato, l’Iran, la Cina e la Russia condividono indubbiamente una visione divergente del mondo da quella trasmessa dall’Occidente, mentre la loro vicinanza geografica autorizza l’implementazione di complementarità economiche e collusione strategica. Ma hanno particolarità irriducibili che, se non ostacolano un inevitabile riavvicinamento, impediscono loro di essere troppo fuse. L’Iran ha quindi il suo progetto geopolitico per diventare una potenza regionale la cui influenza si estenderebbe sia al Medio Oriente che all’Asia centrale al fine di cessare di essere “una potenza limitata”. A medio termine, questo progetto prevede migliori relazioni con l’Occidente e anche con la Turchia, la chiave per il mondo di lingua turca.

Anche se la sua realizzazione, un vasto programma, richiederà non solo una normalizzazione del potere iraniano, ma anche una pacificazione regionale attualmente fuori portata, la straordinaria diplomazia iraniana, che si dice non sia mai buona come quando opera sul precipizio, tra cui lavoro…

 

  1. I principi delle politiche liberali incoraggiate dal FMI sono così chiamati: deregolamentazione, privatizzazioni, apertura, rigore di bilancio, ecc.
  2. Thomas Flichy di La Neuville, Cina, Iran, Russia, un nuovo impero mongolo? Lavauzelle, 2013.
  3. https://www.revueconflits.com/iran-chine-russie-allies-de-circonstance-michel-nazet/

THE TMP THEORY. (TMP=Trump-Macron-Putin), di Pierluigi Fagan

A fine agosto in occasione del G7 di Biarritz, a seguito del lungo colloquio tra Macron e Trump, avanzammo l’ipotesi di un patto tra i due per il quale Macron avrebbe cercato si risolvere il contenzioso russo-ucraino, con successiva normalizzazione dei rapporti tra UE e Russia (quindi uscire dallo stato sanzionatorio), onde permettere a Trump di invitare Putin al successivo vertice in Florida nel 2020, come per altro Trump aveva annunciato possibile. Su questa supposta operazione di diplomazia inclusiva si sommano una serie di interessi, alcuni a favore, altri contro.

Trump cerca di perseguire il dialogo con Mosca dalla sua elezione ma è stato a lungo tenuto sotto scacco dal Russiagate poi terminato in un nulla di fatto. Ora è sotto procedura di impeachment però questo non pregiudica la sua operatività in politica estera. Il fine è noto a chiunque sappia due-cose-due di geopolitica. Ostracizzando al contempo Russia e Cina, gli USA si creano un nemico bicefalo che compensa mancanze con punti di forza. Potenza militare la Russia ma non economica, potenza economica ma non militare la Cina, un vero capolavoro di stupidità strategica. Il fatto è che buona parte del Deep State americano non ha nulla di specifico contro la Cina mentre confinare la Russia nel corner dei nemici assoluti ha grande utilità soprattutto per alimentare la macchina militar-industriale, NATO annessa. Di contro, per Trump ed il suo gruppo di potere, le posizioni sono esattamente inverse. La Russia potrebbe su base gas-petrolifera addirittura esser un partner come lo è stato per lungo tempo prima dell’affaire ucraino (si pensi anche a gli sviluppi siberiano-polari che avevano portato alla nomina a Segretario di Stato dell’ex CEO di Exoxn-Mobil, Rex Tillerson, grande amico dei russi) , il nemico strutturale e prospettico è obiettivamente la Cina in quanto la partita dei poteri mondiali è certo economico-finanziaria e non certo militare, spingere i primi ad unirsi ai secondi è esattamente il contrario di ciò che fece a sui tempo Kissinger ai tempi di Mao e Nixon, quando Cina ed URSS erano oltretutto allineate ideologicamente.

Putin certo è consapevole delle trappole insite in questo disegno e certo non ha nessuna intenzione di ri-orientarsi strategicamente dal formato “strana coppia” (RUS-CHI) come la chiama Limes, ad un improbabile nuova amicizia con gli infidi occidentali però, realisticamente, ottenere una qualche possibilità di “bilanciamento” avrebbe un suo appeal. Questo aumenterebbe il potere negoziale russo ed aiuterebbe la Russia ad aprirsi ventagli di possibilità sul prezzo a cui vendere i suoi patrimoni energetici fossili e potersi comprare tecnologia per far fare qualche salto alla sua industria.

Macron ne otterrebbe molti vantaggi. Il prestigio del ruolo di Ministro degli Esteri nella diarchia di Aquisgrana in cui Merkel è il Ministro del Tesoro, la possibilità del ruolo di intermediario primo con ricadute di affari con i russi a seguire, la diminuzione del peso geopolitico dell’Europa del’Est vs Europa dell’Ovest, un credito nei confronti di Trump ma anche di Putin, la titolarità per portare avanti la sua idea di parziale sganciamento dell’Europa dalla NATO che è la precondizione per i progetti di costituzione di una potenza militare europea che è l’unica carta che le permetterebbe di sedersi al tavolo della nuova fase di geopolitica multipolare.

Merkel di fatto è già da tempo e nonostante le roboanti dichiarazioni pubbliche contrarie, di fatto partner commerciale coi russi, si pensi al raddoppio del North Stream 2. Per altro, larga parte della confindustria tedesca e della politica bavarese sarebbe entusiasta di una normalizzazione. Pubblicamente però non si espone per salvaguardare equilibri interni contrari e soprattutto per non creare tensioni con quell’Europa dell’Est che è il suo bacino egemonico naturale. Lascia fare a Macron con l’aria di chi deve pur permettere al junior partner di avere il suo protagonismo.

Zelensky ha ricevuto poteri largamente maggioritari in Ucraina anche se le minoranze nazionaliste sono agguerrite e poco disposte al disgelo. Nei fatti, il gruppo di potere attorno a Zelensky bada a gli interessi ucraini e l’Ucraina dopo esser stata sedotta dall’amministrazione Obama che ha pilotato il colpo di stato travestito da insurrezione popolare, è stata nei fatti abbandonata. La situazione economica e sociale in Ucraina è pessima ed è su questo scontento palese che Zelensky sta costruendo la sua fortuna politica. La relazione a due vie tra Ucraina e Russia è di logica geo-storica, si può far davvero poco per trovare una logica sostitutiva e certo non senza il favore di Trump, Macron e Merkel che nei fatti vanno in direzione opposta.

Contro questo movimento si segnano: l’Europa dell’Est in perenne paranoia anti-russa, i britannici al solito inorriditi dalle pretese geopolitiche degli euro-continentali viepiù se saldate in relazioni coi russi (l’incubo Heartland di Mackinder), la NATO che dal felice esito di questo movimento vedrebbe fortemente ridimensionati i suoi interessi (con un bel po’ di generali e funzionari disoccupati, nonché parte del complesso industriale americano connesso in crisi), buona parte del Deep State americano, i democratici americani, i loro alleati liberali europei.

Ecco allora che si fa fatica a trovare oggi notizie sul felice esito della riunione “formato Normandia” (Macron, Merkel, Putin, Zelensky) di ieri a Parigi, sia sulla stampa nazionale che internazionale, molto meglio la notizia del ban alle Olimpiadi e forse Mondiali di calcio, per presunto doping russo. Una spessa cortina di silenzio intorno alla notizia che quando data, è data con sospetto corredato da sfiducia e dubbi.

Nei fatti però, dopo Biarritz, Macron è andato in Ucraina e si è sentito spesso con Putin, Zelensky si è telefonato con Putin quattro volte, hanno cominciato e sono a buon punto nello scambio dei prigionieri reciproci, hanno annunciato una sospensione delle ostilità in Donbass sebbene non sempre rispettata da chi ha evidentemente interessi contrari (nazionalisti ucraini e del Donbass), ieri si sono stretti la mano e parlato a quattro occhi fissando un successivo piano di diplomazia attiva a scadenza marzo 2020. Difficile chiudere in tempo e con venti contrari il processo per firmare una pace ad aprile e revocare le sanzioni a maggio per il G8 americano che è a giugno, con le elezioni americane a novembre. Però sembra che più d’uno abbia voglia di provarci, vedremo …

Certo va notato che il tema “pace e diplomazia” non riscuote grande successo d’attenzione presso le opinioni pubbliche occidentali, il che denota una forte contraddizione adattiva a quello che volenti o nolenti sarà lo statuto multipolare del nuovo equilibrio mondiale. Meglio spingere senza tregua ad odiare qualcuno e poi inveire contro l'”odio dilagante”, no?

commenti:

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10219535446952376

 

Russia? Non solo gas ed armi, di Max Bonelli

 

Russia? Non solo gas ed armi

 

L’atterraggio dell’aereo è ben eseguito ma brusco, senza nessun riguardo

per gli ammortizzatori del carrello. Quando esco, una mattinata soleggiata mi accoglie all’aeroporto di Rostov sul Don. Mi rendo conto che la mia pesante giacca invernale è fuori luogo, per adesso, anche se siamo a metà ottobre nella grande città del sud della Russia alle porte del Caucaso. Siamo nell’area che storicamente apparteneva ai cosacchi del Don e l’aeroporto è intitolato all’Ataman cosacco Anatolj Solovjanenko. I cosacchi del Don hanno protetto il confine sud della Russia fin dai tempi di Pietro il Grande. L’aeroporto rimodernato per i mondiali di calcio è uno dei più importanti di tutta la Russia; collega la città di Rostov, circa 3 milioni di abitanti, con moltissimi altri centri dello stato-continente federazione di Russia. Già vedere la modernità delle struttura aeroportuale mi aveva fatto affiorare il ricordo di tanti articoli letti sui media atlantici di una Russia retrogada che si sostiene  a forza di vendite di armi e gas. Ma la discrepanza tra questo teatro mediatico e la realtà è aumentata a dismisura nelle 4 ore buone di macchina tra Rostov ed il confine con la Repubblica di Donetsk. Una distesa ininterrotta di migliaia di ettari di campi arati da trattori enormi e dall’aspetto moderno. Ricchi villaggi con case rinnovate o costruite recentemente dai tetti rossi fiammanti indice di una ricchezza diffusa tra gli imprenditori agricoli e tutto l’indotto che ruota intorno al settore.(1)

Un periodo d’oro per l’agricoltura in Russia che ha portato il paese a rivaleggiare con il Canada come esportatore di grano e renderlo nel 2017 il terzo produttore assoluto dopo Cina ed India di cui la produzione però si riversa per gran parte sul mercato interno. Gli Usa hanno una produzione di grano pari a poco più la metà di quella Russa.

La produzione cerealicola è solo la punta di diamante di una produzione agricola che sta conoscendo crescita in tutti i campi dal settore dell’allevamento per passare da quello ortofrutticolo e che grazie alle sanzioni dei paesi occidentali ha avuto sviluppo anche il settore di trasformazione di questi prodotti di base. Copie di formaggi francesi ed italiani sono ormai reperibili a buon mercato negli alimentari delle grandi città. Certo copie spesso non comparabili agli originali ma comunque produzione che prima del 2014 non trovava ne spazi ne incentivi da parte dello stato.

Uno dei maggiori incentivi sono sicuramente i bassi prezzi del carburante

che qui per i privati sta a 64 centesimi di euro al litro.

Questo balzo in avanti del paese nel settore agricolo è  uno dei  grossi successi della politica di Putin. La battaglia del grano vinta dallo “Zar” ha nel porto fluviale di Rostov uno degli importanti centri di smistamento. Qui le enormi chiatte smistano i carichi nei mercantili, che attraversando il mare di Azov e il ponte dello stretto della Crimea di Kerch, portano il grano russo nel Mar Nero e da lì nelle varie zone del mondo.

Il grano usato come strumento geopolitico, se si pensa che sia Venezuela che Siria hanno avuto accesso agevolato a questa risorsa. Strumento stabilizzante della politica russa in quei paesi.

Ma non solo, Egitto ed altri paesi arabi nelle loro crisi cicliche di aumento di prezzi alimentari sanno in caso di necessità di potersi rivolgere ad un altro interlocutore che non siano USA e Canada.

Questo aspetto della politica estera Russa viene volutamente censurato dai nostri media. In viaggio su strade provinciali non sempre perfette in questa  grande regione del sud della Russia europea, mi rendo conto con i miei occhi di quanto sia grande questa trasformazione e la ricchezza che essa produce. Il traffico è intenso, soprattutto di grandi automezzi e appena passiamo un centro abitato è un susseguirsi di bar, trattorie, bancarelle; segno di opportunità di commercio continue nella zona. Il conducente che mi sta portando al confine con la Repubblica Popolare di Donetsk,mi fa presente che la terra di Rostov è un po’ inferiore come qualità a quella della repubblica in quanto più argillosa. Facendo la tara sul patriottismo locale, deve essere vero; le enormi zolle sui campi testimoniano una terra che ha bisogno di trattori di massima potenza, come testimoniano la popolarità dei trattori Zavody, CNH -Kamaz  sui campi, esemplari giganteschi che emettono una visibile scia di fumo.

Con il passare delle ore ci avviciniamo al posto di confine Ustinovka. Si iniziano a vedere monumenti ai caduti della seconda guerra mondiale, ricordo dei sanguinosi scontri avvenuti oltre 70 anni fa. Dalla strada appaiono ben curati; la politica di Putin ha sempre sottolineato il significato unificante della “grande guerra patriottica”, definizione riattualizzata dopo il golpe in Ucraina e la guerra in Donbass.

L’obiettivo dei nazisti ieri e della Nato oggi erano e sono gli stessi: lo smembramento dell’immenso territorio dell’ex URSS vero continente minacciato dagli artigli del neoliberismo.

Il più importante di questi monumenti è il mausoleo di Matveyev Kurgan, posto su una altura strategica sul fiume Mius, su cui si incerniò una importante linea di difesa tedesca, avendo la bassa collina un valore strategico, dominando essa quel tratto di pianura del sud della Russia.

Decine di migliaia di anime russe sono sepolte su questi campi di grano tra i papaveri rossi come recitava in una sua canzone De Andrè.

Lo stato russo sta rinnovando radicalmente il mausoleo che diventerà un importante museo sulla guerra.

Segno di finanze statali non proprio malmesse e non potrebbe essere altrimenti visto che la Russia si appresta a superarci come riserve auree, continuando  a vendere titoli di stato statunitensi per acquistare tonnellate di oro.

In realtà essendo le nostre riserve auree depositate all’estero, il nostro controllo su di esse è meramente teorico, specialmente in un paese occupato come l’Italia; ma questa è un argomento che esula da questo articolo.

Ritornando ai dati economici della Russia, per me rimane un mistero come persona di buon senso, come un paese che ha un tasso di disoccupazione stabile sotto il 5% (4,5 2019), una inflazione che sta andando sotto il 5% nel 2019 viene costantemente additata come economia debole dipendente dal petrolio. Ma sono una persona di buon senso e non un economista quindi non percepisco la realtà come si deve ed a volte mi viene il dubbio che i dati economici siano un tantinello usati come una coperta corta, tirata  a coprire le convenienze del potere.

 

 

Max Bonelli

 

(1)

https://www.export.gov/article?id=Russia-Agricultural-Equipment

 

 

 

 

1 112 113 114 115 116 119