CONSIDERAZIONI SULLA PRIMA SETTIMANA DI OSTILITA’ IN UCRAINA, di Roberto Buffagni

CONSIDERAZIONI SULLA PRIMA SETTIMANA DI OSTILITA’ IN UCRAINA

  1. Consultando varie analisi e seguendo le fonti d’agenzia che mi sono parse più equilibrate, mi sono fatto un’idea abbastanza verisimile, per quanto congetturale, della situazione sul campo. Lo schema operativo russo è un esempio da manuale di guerra di manovra, molto somigliante alla campagna sovietica in Manciuria contro il Giappone (1945). L’iniziativa è saldamente in mano dei russi. Il controllo russo dei cieli è quasi completo. Le operazioni principali hanno lo scopo di bloccare le forze ucraine nelle città, aggirarle, e circondarle in una vasta manovra aggirante a tenaglia, che richiederà ancora diverse settimane per concludersi (ovviamente, salvo imprevisti).
  2. L’analisi più informata, equilibrata e persuasiva che ho letto si deve a un analista militare statunitense, Bill Roggio, Senior Fellow di FDD (Foundation for the Defense of Democracies) e direttore del “Long War Journal”. Apparsa il 2 marzo sul sito di FDD, è stata ripubblicata dal “Daily Mail” britannico.[1]
  3. Non è vero che i russi siano in difficoltà, che dessero per scontata una conclusione rapidissima delle operazioni, che l’attacco sia pianificato male.
  4. Si confronti infatti la Blitzkrieg della Wehrmacht contro la Polonia nel 1939, altro esempio da manuale di guerra di manovra. I tedeschi impegnarono due gruppi d’armata, per un totale di 1.5000.000 uomini (in Ucraina, i russi ne impegnano circa 70.000). Bombardarono dal cielo e con l’artiglieria le città polacche, senza riguardo per le vittime civili, che si contarono a migliaia. Uccisi dalla popolazione circa 300 civili tedeschi, i tedeschi risposero fucilando 3000 civili polacchi (“domenica di sangue di Bromberg”) e deportandone 15.000. Le operazioni durarono cinque settimane, dal 1 settembre al 6 ottobre 1939. Rifugiatosi in esilio il governo polacco, la campagna di Polonia si concluse con la resa incondizionata di Varsavia, firmata dal generale polacco Blaskowitz.
  5. L’ONU ha stimato 136 vittime civili nei primi sei giorni di combattimenti. La Russia ha sferrato offensive su cinque fronti, i combattimenti sono durati ininterrottamente per sei giorni. Il numero di caduti civili sarebbe molto basso anche se fosse il triplo della stima ONU. La Russia, evidentemente, si impegna per evitare vittime civili, in vista di una stabilizzazione/riconciliazione dell’Ucraina: l’ucraina e la russa sono popolazioni sorelle, e moltissimi russi hanno parenti in Ucraina. La Russia dispone dei mezzi per effettuare un pesantissimo martellamento delle città ucraine, dal cielo e con l’artiglieria: se li usasse, il numero dei caduti civili si conterebbe a migliaia. Se in futuro il governo russo deciderà di spezzare con il terrore la volontà di combattere della popolazione ucraina, gli basterà ordinarlo ai comandi militari, e ce ne accorgeremo immediatamente: i satelliti registreranno intensi bombardamenti sulle città, con panorami urbani lunari e migliaia di vittime civili, e le immagini delle stragi appariranno su tutte le televisioni occidentali.
  6. In sintesi: l’esito delle operazioni militari è predeterminato. In tempi non lunghi, le FFAA ucraine saranno definitivamente sconfitte. La fornitura di armi agli ucraini non basterà a rovesciare le sorti sul campo; al massimo, prolungherà di un poco le operazioni e costerà altri caduti ai russi. Un’eventuale guerriglia partigiana non può cambiare il risultato del conflitto, anche se può certo aggravare la situazione per i civili ucraini, costare altri caduti ai russi, e indurli a ritorsioni per loro politicamente nocive.
  7. A quanto risulta sinora, non è verosimile che l’Ucraina diventerà “un nuovo Afghanistan” per la Russia, che così vi si impaluderebbe in un conflitto interminabile.
  8. L’obiettivo russo, infatti, non è l’occupazione e la conquista dell’Ucraina, ma la sua neutralizzazione e smilitarizzazione, più il riconoscimento dell’annessione russa della Crimea e dell’indipendenza delle Repubbliche del Donbass.
  9. Se La Russia non riuscisse a raggiungere questi obiettivi de jure perché nessun governo ucraino è disposto a concludere un trattato di armistizio, potrebbe raggiungerli de facto, senza occupare e annettere l’Ucraina.
  10. L’annessione della Crimea è già un fatto. L’indipendenza delle Repubbliche del Donbass è garantita dalla potenza confinante russa. La smilitarizzazione dell’Ucraina potrebbe essere assicurata, al termine della campagna, sbandando le FFAA ucraine, e distruggendo sistematicamente infrastrutture militari, depositi di armi, etc.
  11. Anche la neutralità dell’Ucraina può essere assicurata de facto. Ai russi è sufficiente: a) rivolgere un monito agli USA e alla NATO, che considereranno un casus belli l’ingresso dell’Ucraina nella NATO b) che considereranno un casus belli la violazione dello spazio aereo e delle frontiere ucraine da parte di qualsiasi paese NATO, anche per inviare armamenti c) monitorare, con presidi militari e sorveglianza elettronica, le frontiere ucraine.
  12. Dopo di che, il grosso delle FFAA russe potrebbe rientrare in patria e abbandonare l’Ucraina a se stessa. Questa soluzione, evidentemente, avrebbe gravi costi umani ed economici per l’Ucraina, che sarebbe consegnata all’anarchia: endemici conflitti politico-militari intestini, criminalità dilagante, economia che va a rotoli, emigrazione di massa. Per intenderci, una situazione simile a quella della Libia odierna, dopo l’intervento franco-britannico-americano che ha rovesciato Gheddafi senza insediare un nuovo governo stabile.
  13. Insomma: potrebbe rovesciare le sorti militari del conflitto in Ucraina soltanto l’intervento diretto della NATO. Come ripetutamente chiarito da fonti ufficiali USA, però, esso NON avverrà MAI, per la semplice ragione che un intervento diretto di truppe NATO in Ucraina potrebbe innescare una guerra nucleare con la Russia, la quale è in grado di distruggere Stati Uniti (per tacere delle nazioni europee).
  14. È dunque possibile un coinvolgimento della NATO solo in seguito a incidenti, equivoci, colpi di testa e di mano di singoli paesi NATO: per esempio, se la Polonia decidesse di occupare i territori nell’ovest ucraino, che tra le due guerre furono polacchi e ospitano l’importante città di Lemberg (oggi, Lviv).
  15. È invece impossibile un coinvolgimento diretto della NATO a seguito di una decisione formale dei suoi membri (ossia, in pratica, degli USA).
  16. L’unica altra possibilità di rovesciamento, stavolta politico, delle sorti del conflitto, è il “regime change” in Russia.
  17. È questa, infatti, la strategia che l’Occidente sta perseguendo. Sanzioni economiche, Russia definita “Stato canaglia” e lebbroso morale, messa al bando di tutto ciò che è russo da Dostoevskij ai gatti alle betulle, incoraggiamento di manifestazioni d’opposizione in Russia, apertura di un fascicolo penale presso il Tribunale Internazionale dell’Aja a carico del governo russo, con imputazione per “crimini contro l’umanità”. Tutto ciò, per alimentare disordini tra la popolazione, malcontento delle élites economiche, forze centrifughe negli Stati della Federazione russa, fino a provocare l’implosione del governo federale, e la sostituzione del Presidente V. Putin con un uomo politico gradito all’Occidente. A conclusione, imputazione di Putin davanti alla Corte dell’Aja.
  18. È una replica fedele dello schema operativo adottato con pieno successo contro la Jugoslavia. La differenza è che a) i russi lo hanno studiato con la massima attenzione, e certo hanno predisposto adeguate contromisure b) ma soprattutto, che è impossibile dare l’ultima, decisiva spinta al programma di destabilizzazione mediante la forza militare. Non è possibile bombardare Mosca come fu bombardata Belgrado; né è possibile armare milizie pro-occidentali all’interno della Federazione russa, perché la Russia sta impegnando in Ucraina circa il 15% dei suoi effettivi, e avrebbe risorse più che sufficienti per schiacciarle rapidamente.
  19. In conclusione: l’Ucraina è in trappola. Ad attirarla in questa trappola mortale sono stati, in ordine di responsabilità decrescente: gli USA, la NATO, i paesi UE che hanno collaborato all’operazione Euromaidan del 2014, i dirigenti ucraini insediati dal 2014 in poi.
  20. Il presidente Zelensky e i suoi sostenitori ucraini rifiutano di prendere in considerazione le richieste russe, armano i civili, chiedono l’istituzione di una “no-fly zone” sull’Ucraina, chiamano alla guerra a oltranza, invocano l’aiuto della NATO e della UE.
  21. Non lo avranno.
  22. Glielo dicono ufficialmente, con la massima chiarezza, i dirigenti politici USA: ma il presidente Zelensky e i suoi sostenitori ancora non ci credono, di essere rimasti soli.
  23. Tutto il mondo occidentale rivendica a gran voce la sua totale solidarietà con l’Ucraina in guerra, e tappa la bocca a chiunque s’azzardi a dire una briciola di verità: che questa solidarietà è puramente verbale, e NON PUO’ non esserlo.
  24. Infatti, l’unica solidarietà che conterebbe per l’Ucraina – la solidarietà militare – l’Occidente non soltanto non vuole, ma NON PUO’ darla, perché condurrebbe non soltanto l’Ucraina, ma l’intero mondo sull’orlo del precipizio della completa distruzione.
  25. Tutto ciò, l’Occidente lo sapeva benissimo. Lo sapevano gli USA, lo sapevano i paesi UE, lo sapevano anche il Presidente Zelensky e i suoi sostenitori.
  26. Lo sapevano, ma hanno creduto che bastasse il timore reverenziale al cospetto della superpotenza nordamericana per dissuadere la Russia da un intervento militare. Hanno creduto che la Russia avrebbe continuato a fare quel che ha fatto per quattordici anni, dal Summit NATO 2008 di Bucarest: avanzare proteste diplomatiche, e cercare sempre più affannosamente un’intesa con gli USA.
  27. Hanno creduto possibile integrare de facto l’Ucraina nella NATO, per poi associarvela, al momento politicamente più opportuno, anche de jure.
  28. Integrata de jure nella NATO, l’Ucraina, protetta dall’articolo 5 del trattato, sarebbe stata perfettamente al sicuro: perché certo la Russia non avrebbe rischiato un conflitto diretto con la NATO, con conseguenze incalcolabili.
  29. Si sono sbagliati.
  30. La Russia li ha anticipati, è intervenuta militarmente in Ucraina, sta vincendo la campagna, e verisimilmente non avrà successo, perlomeno prima della conclusione delle operazioni militari, la strategia occidentale di “regime change”.
  31. A questo punto, l’unica mossa politicamente ed eticamente decente che resterebbe ai paesi occidentali, e al Presidente Zelensky che conta su di essi, sarebbe prendere atto della realtà, riconoscere la sconfitta, e condurre una trattativa volta a concludere rapidamente le ostilità e minimizzare i danni per la popolazione ucraina.
  32. Questo purtroppo non avverrà presto, a mio avviso, perché implicherebbe riconoscere che l’ordine internazionale unipolare liberal-progressista a guida USA è finito; e sono compromesse anche le fondamenta ideologiche del liberal-progressismo che strutturano l’intero pensiero dominante nel mondo, in tutte le sue manifestazioni, high-brow, middle-brow e low-brow, per esprimersi con la fortunata formula di Dwight MacDonald.
  33. Se l’UE volesse giustificare la sua esistenza, e riparare ai suoi errori, dovrebbe prendere l’iniziativa di una mediazione efficace e realistica tra gli USA, l’Ucraina e la Russia. Speriamo che lo faccia.

 

[1] https://www.fdd.org/analysis/2022/03/02/putin-not-crazy-russian-invasion-not-failing/?fbclid=IwAR2zh7YXygA3pFZiZAAZZ_xAQ5ULe3Dplq4lqF4LyGmc1Bkw5XCsF0pOSso

 

https://www.dailymail.co.uk/news/article-10569141/Putin-NOT-crazy-Russian-invasion-NOT-failing-writes-military-analyst-BILL-ROGGIO.html

 

Invasioni e migrazioni_di Giuseppe Germinario

Le considerazioni di Daniele Lanza, riprese in calce e il breve scritto di George Friedman toccano un punto dolente e drammatico delle vicende belliche e postbelliche che solitamente è ignorato nei manuali di storia ma che provocano veri e propri sconvolgimenti delle formazioni sociali e immani tragedie collettive che si trascinano ben oltre la fase bellica: quello delle migrazioni. Un fenomeno che nel nostro immaginario rudimentale e privo di memoria viene collocato in lontani periodi storici e in formazioni sociali premoderne; i barbari ai tempi dell’impero romano, le orde dei mongoli dall’Asia Centrale.

Non è purtroppo così. Riguarda ogni tempo, compreso il nostro; ogni formazione sociale, da quelle cosiddette democratiche-liberali a quelle “diversamente” totalitarie; ogni angolo abitato della superficie terrestre nei vari tempi storici.

Da circa una settimana siamo bombardati mediaticamente da una esplosione di commozione e compassione riguardo alle centinaia di migliaia di profughi ucraini in fuga dalla guerra verso l’accogliente Europa con annesso corollario dell’invito alla accoglienza e alla solidarietà.

Di tragedia certamente si tratta; basterebbe incrociare uno sguardo appena distratto sui volti dei fuggitivi per confermarlo.

L’Europa ha già conosciuto almeno tre grandi episodi di esodi biblici negli ultimi cento anni: il più importante durante e dopo la seconda guerra mondiale con quindici milioni di tedeschi, tre dei quali deceduti lungo il percorso, rientrati in quel che restava della grande Germania e altri milioni peregrinanti qua e là per il continente; tra essi la popolazione italiana dell’Istria e Dalmazia. Il più recente, ma non ancora esaurito, quello legato all’implosione della Jugoslavia grazie allo “aiutino” determinante della NATO.

Situazioni nelle quali il frullatore di calcolo politico, risentimento esacerbato e spirito di vendetta produce un amalgama esplosivo nel calderone del quale finiscono inesorabilmente individui e parti di popolazioni conniventi con le scelte tragiche, ma anche componenti indifferenti o estranee, quando pure settori di popolazioni contrarie alle sopraffazioni.

La predominanza assoluta dell’aspetto emotivo nell’affrontare e presentare il fenomeno induce facilmente alla manipolazione e alla strumentalizzazione sino a diventare un formidabile veicolo propagandistico, di annichilimento di ogni punto di vista critico, di demonizzazione definitiva del nemico, specie quando può godere della totale accondiscendenza e complicità del sistema mediatico.

È esattamente quanto sta accadendo con l’ondata di profughi dall’Ucraina in fiamme.

Il primo impulso spingerebbe a contrapporre il clamore e l’attenzione riservata a questo esodo con il silenzio e l’omertà riservata a quello indirizzato in direzione opposta negli anni recenti dalla popolazione di origine russa e russofona, discriminata, annichilita e spesso perseguitata e trucidata, a cominciare dalla strage di Odessa nel 2014 sino a spingere al separatismo di alcune regioni e al silenziamento delle sue voci nel resto del paese.

Una reazione del genere lascerebbe intuire uno dei motivi, in una sorta di legge del contrappasso, ma non a spiegare la complessità delle ragioni dell’evento, tanto meno a giustificarlo.

Ad uno sguardo più attento sono altre le ragioni di fondo e contingenti.

  • Intanto l’Ucraina è diventata terra di esodo grazie al dissesto economico dovuto al passaggio da area centrale e strategica dell’Unione Sovietica ad area periferica, pur ricca di risorse, della Unione Europea; soprattutto però al saccheggio di oligarchie locali, specie nel momento in cui si sono asservite e sono state formate dal mondo occidentale, in particolare statunitense. Una sorta di terra di nessuno nella quale ha ripreso piede una forma esasperata di nazionalismo straccione, sino alle sue estreme consistenti propaggini naziste, radicato nella parte centroccidentale del paese, con la sua ragione d’essere nella russofobia e nella molestia delle popolazioni russofile, con la sua forza derivante soprattutto dal sostegno interessato e determinante degli USA, lato liberal-neocon e quindi della Germania e della pletora di paesi dalla Svezia, alla Polonia. È la vittoria definitiva, ma probabilmente crepuscolare, di quei centri decisori americani in un confronto iniziato in Germania con la morte sospetta di Herrhausen e di Rohwedder ed estesosi nel continente a tutta l’Europa Orientale e alla Russia stessa. Quelle morti nel 1991 segnarono la trasformazione definitiva rispettivamente della Deutsch Bank in una banca di investimento in tutto dedita al trattamento dei titoli speculativi integrata totalmente nel circuito finanziario americano, della Treuhandanstalt, la società di ristrutturazione e liquidazione del patrimonio industriale pubblico della ex RDT in una agenzia di mera liquidazione e colonizzazione della grande industria tedesca orientale con residui margini di iniziativa autonoma nelle piccole attività locali. Una scelta che favorì nella fase di transizione il ricambio rapido delle élites dominanti in Europa Orientale molto più legate e subordinate ai centri decisori politici e imprenditoriali stranieri grazie alle relazioni intessute con essi nel regime cosiddetto “socialista” in una sorta di economia separata. Ne fecero pesantemente le spese la parte di classe dirigente più legata alle attività locali e alle organizzazioni comunitarie. L’Ucraina è arrivata buon ultima al compimento di questo processo traendone il peggio sia come qualità della peggiore classe dirigente compradora, che in termini di saccheggio di risorse e di degrado delle strutture civili ed industriali.

  • A determinare le caratteristiche peculiari dell’attuale esodo che riguarda esclusivamente la parte occidentale e parzialmente quella centrale è l’origine di quelle popolazioni, il relativo sostegno che esse garantiscono all’attuale regime e di conseguenza la permeabilità di queste alla propaganda e all’allarmismo russofobo montati dal regime.

  • Al contrario l’esodo della popolazione sembra essersi arrestato nella zona orientale, nelle zone liberate/occupate (secondo i punti di vista) ed anche nelle città contese del fronte. In quest’ultimo caso vittima del carattere terroristico dell’attività di resistenza delle frange più radicali dell’esercito ucraino piuttosto che partecipe della resistenza.

Dinamiche che evidenziano drammaticamente il vicolo cieco nel quale hanno cacciato il paese una élites ottusa ed avventurista che fonda il proprio potere letteralmente sul sostegno esterno e sulla lacerazione di una popolazione la cui convivenza pacifica e il cui assetto statuale unitario può reggersi solo su una condizione di neutralità militare e di pari dignità delle diverse componenti della popolazione.

Al contrario, per una ovvia legge del contrappasso, il predominio precario della attuale élite ottenuto con un colpo di stato sanguinoso ed eterodiretto, con il separatismo nella sua parte orientale e con l’esodo iniziale di parte della popolazione russofila rischia di ritorcersi nel suo contrario con l’attuale esodo e con l’intervento militare russo.

L’ottusità con la quale l’attuale élite rimuove questa strada non farà che rendere ancora più drammatica la tragedia sino a far diventare l’Ucraina e l’Europa stessa una terra di nessuno dove soddisfare gli appetiti altrui. Dopo l’Ucraina, in Europa attendiamoci qualche altra novità in Bosnia e Serbia. Ne abbiamo accennato più volte nei mesi passati.

Congiunzioni astrali funeste alle quali beotamente si stanno allineando i vari satelliti europei. In prima fila, con il grigiore di un burocrate, il nostro salvatore della patria Mario Draghi.

ENIGMA, di Daniele Lanza
Mi fa impressione dirlo, ma la mappa sotto ricorda in tutto le mappe di ricollocazione di popolazioni e gruppi etnici nell’Europa del 1945-46 (quando i tedeschi cessarono di esistere in Prussia, etc. etc.). Anche questo aspetto – grafici di spostamenti di popolazione – ci riporta al 900 quindi, ai conflitti mondiali e quello freddo successivo (…)
I primi a scappare, sono coloro che meno possono accettare un cambio di direzione, di orbita del proprio paese sotto Mosca, i più timorosi….e lo hanno fatto in massa. Le prime ondate sono forti, le altre che seguiranno lo saranno gradualmente di meno, ma anche così si può stimare per il futuro un numero finale di 2/3 milioni di persone fuori dei confini ucraini.
La fascia più occidentale dell’Ucraina – presumo – è stata risparmiata finora da qualunque operazione non soltanto perchè non considerata russofona e nevralgica, ma anche per offrire un campo libero, un vero e proprio corridoio sicuro e calmo (una regione franca) per permettere alla popolazione civile che volesse spostarsi e lasciare il paese, di farlo in sicurezza.
Ragionando con freddo calcolo : da un punto di vista russo è quasi una perdita accettabile in quanto il flusso migratorio, contribuisce a spurgare la società ucraina di elementi che sarebbero in opposizione ad un corso politico in unità con Mosca : permettono di andarsene a tutta quella fascia di persone che costituirebbe una RESISTENZA silenziosa negli anni a venire (meglio lasciarli volare via dal paese in massa se vogliono).
D’altro canto…..il Cremlino non si rende conto dell’effetto che avranno nell’opinione pubblica europea quei milioni di sfollati. Un giornale nei giorni scorsi ha paragonato – in modo del tutto infelice – questi profughi europei a quelli non europei di altre guerre sottolineandone la maggiore impressione emotiva che suscitano. Esiste del vero (anche se espresso MALE dal giornalista in questione) in questo : la verità è che non si parla di lontani paesi di quello che per noi è il 3° mondo……..non è Afghanistan o Namibia, no. Abbiamo a che fare con un paese europeo le cui città sono in tutto e per tutto uguali alle nostre e i cui abitanti hanno lo stesso colere delle pelle e degli occhi : sarà RAZZISTA come discorso ma E’ così. Questa gente fa e farà decisamente più impressione che non altre ondate di profughi.
Per farla breve, considerando anche questo aspetto, analizzando la situazione nella sua totalità, vien sempre più arduo capire come andrà a finire a questo punto : sia quale sia l’esito delle trattative, il FATTO è avvenuto…..l’ordine europeo (materialmente e psicologicamente) è sovvertito.
Bisogna adattarsi a una nuova era. La seconda guerra fredda.

Gli ucraini prendono il volo

I ministri dell’Interno dell’UE hanno recentemente concordato di attuare misure che garantiranno ai rifugiati ucraini protezione e diritto a muoversi e lavorare nel territorio del blocco

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Destinazioni per i rifugiati ucraini

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La guerra in Ucraina ha creato un esodo attraverso il confine occidentale del Paese. In parte ciò è dovuto al fatto che la maggior parte dei combattimenti si sta svolgendo a est e in parte perché i paesi a ovest sono solidali con la causa dell’Ucraina. (Alcuni rifugiati, tuttavia, sono fuggiti in Russia, per ricordare che i legami familiari, culturali e religiosi tra Russia e Ucraina sono stati ancora interrotti.) In effetti, i ministri degli interni dell’UE hanno recentemente concordato di attuare misure che, contrariamente alle normali procedure, garantiranno all’Ucraina protezione dei rifugiati e diritto a muoversi e lavorare nel territorio del blocco. Questo è un po’ una partenza per l’UE. Negli anni precedenti, la migrazione di massa da luoghi come il Nord Africa, la Siria e l’Afghanistan tendeva a creare tensioni nei paesi membri.

Nel frattempo, la guerra ha anche rinnovato il dibattito sull’espansione della NATO. Per anni Ucraina, Bosnia-Erzegovina e Georgia hanno espresso interesse ad aderire alla NATO, ma la loro adesione è sempre stata improbabile: Ucraina e Georgia, ad esempio, sono bloccate hanno perso territorio a favore della Russia, quindi ammetterle nell’alleanza sarebbe quasi una garanzia militare conflitto con la Russia in futuro, qualcosa che la NATO desidera evitare. In Bosnia ed Erzegovina, l’adesione alla NATO è un sentimento condiviso solo da una parte del Paese; la Repulika Srpska spingerebbe probabilmente a separarsi dal resto del Paese ea ricevere il sostegno russo. Ciò destabilizzerebbe solo la regione.

https://geopoliticalfutures.com/ukrainians-take-flight/?tpa=YjRjZTc0Nzg2MTYwZjc2YzE2NTAxMTE2NDc1MzEyOTVmNDM3NGE&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/ukrainians-take-flight/?tpa=YjRjZTc0Nzg2MTYwZjc2YzE2NTAxMTE2NDc1MzEyOTVmNDM3NGE&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

 

Alternative inesistenti_di Bernard Lugan

Contrariamente a quanto affermano i suoi leader, l’Algeria non è in grado di sostituire parzialmente la Russia nella fornitura di gas all’UE.

Approfittando del pesante contesto geopolitico, l’Algeria afferma di poter compensare parte dei volumi di gas russo aumentando le proprie esportazioni verso l’UE attraverso il gasdotto Transmed che la collega all’Italia. Un semplice effetto di annuncio costruito perché le riserve algerine si stanno esaurendo e tre quarti della sua produzione viene consumata localmente.

Anno dopo anno, l’Europa (UE) importa poco più del 40% del proprio consumo di gas dalla Russia, il 20% dalla Norvegia e tra l’11 e il 12% dall’Algeria.

En 2021, 10e producteur mondial, l’Algérie aurait produit 130 milliards de mètres cubes (mds de m3) de gaz sur une production mondiale de 3850 mds de m3, très loin derrière les Etats-Unis, la Russie, l’Iran et même La Cina.

Inoltre, dei 130 miliardi di m3 prodotti dall’Algeria, è necessario rimuovere:

– 48 miliardi di m3 per la produzione di gas urbano consumato localmente.

– 20 miliardi di m3 per la produzione di energia elettrica, l’Algeria produce il 99% della propria energia elettrica da gas naturale.

– 20 miliardi di m3 per la reiniezione in pozzi petroliferi o sacche di gas.

– 5 miliardi di m3 per il flaring, ovvero la combustione dei gas inutilizzati.

Si tratta di un totale di 93 miliardi di m3 su una produzione totale di 130 miliardi di m3. Ciò significa che l’Algeria ha solo circa 40 miliardi di m3 di gas da esportare. Per avere semplicemente un ordine di grandezza, l’UE importa ogni anno circa 520 miliardi di m3 di gas…

In queste condizioni, a meno che non applichi restrizioni drastiche ai suoi consumi interni, è difficile vedere come l’Algeria possa se non aumentare aneddoticamente le sue consegne nell’UE, a margine, e quindi pretendere di compensare una parte significativa delle consegne. …

A maggior ragione, ed è importante non dimenticare, che il 28 gennaio 2013, intervistato da Maghreb Emergent , Tewfik Hasni, ex vicepresidente di Sonatrach (Società nazionale per la ricerca, produzione, trasporto, lavorazione e commercializzazione di idrocarburi) ed ex CEO di NEAL, la controllata congiunta di Sonelgaz (National Electricity and Gas Company) e Sonatrach, ha dichiarato:

” Tutti gli esperti seri sanno che le nostre riserve garantiscono meno di vent’anni di consumo al ritmo attuale del loro sfruttamento (…) Se prendiamo in considerazione, ad esempio, l’evoluzione dei consumi interni al ritmo attuale, per prendere solo questo A titolo di esempio, Sonelgaz avrà bisogno di 85 miliardi di metri cubi di gas nel 2030 (ricordiamo, 20 miliardi di m3 nel 2022) per la sola produzione di elettricità. Non ci sarà più niente da esportare ” .

Il signor Tewfik Hasni si è poi basato sulla stima del consumo interno che aumenta del 7% all’anno, il che significa che l’Algeria avrà quindi meno quantità da immettere sul mercato.

Il 1 giugno 2014, in una clamorosa dichiarazione resa davanti all’APN (Assemblea Nazionale del Popolo), l’allora Primo Ministro algerino, il Sig. Abdelmalek Sellal ha cercato in questi termini di far conoscere ai deputati il ​​dramma che incombe:

” Entro il 2030 l’Algeria non potrà più esportare idrocarburi, se non in piccole quantità (…). Entro il 2030 le nostre riserve copriranno solo i nostri bisogni interni ” .

Tali proiezioni ufficiali, inoltre, sono state poi stabilite sulla base di dati contestati da alcuni esperti indipendenti per i quali le riserve disponibili erano in realtà inferiori ai volumi annunciati. Senza nuove scoperte, quindi, le esportazioni di gas algerine diminuiranno.

Per quanto riguarda lo shale gas, non può essere la soluzione. Certamente l’Algeria avrebbe enormi riserve in questo campo, ma per produrre un miliardo di metri cubi di gas (MBTu o Million British Thermal Unit ), occorre un milione di metri cubi di acqua dolce. Tuttavia, come tutti i paesi del Maghreb, l’Algeria è gravemente carente di acqua… e ne resterà sempre più a corto a causa dell’aumento della sua popolazione e del cambiamento climatico.

Per l’Algeria, non riuscendo a rilanciare la propria produzione di gas, l’urgenza è quindi di farla durare il più a lungo possibile, e quindi di razionalizzarne l’utilizzo. Tuttavia, al fine di preservare la pace sociale, il governo mantiene tariffe artificialmente basse che si traducono nel destinare una quota considerevole e crescente delle risorse di gas ai consumi delle famiglie e non alle esportazioni generatrici di valuta estera.

A queste condizioni, a parte il “bluff” inteso ad indurre gli investitori a cercare di far finanziare nuove esplorazioni da paesi esteri che, se riuscissero, non entrerebbero in produzione per almeno dieci anni, la proposta di fornitura di gas addizionale dell’Algeria alla UE per compensare la perdita di forniture russe è una vetrina.

http://bernardlugan.blogspot.com/

La Nuova Vecchia Germania, Di  George Friedman

La Nuova Vecchia Germania

Il 2022 non è il 1914 o il 1939, ma una Germania armata è significativa.

Sembra che la Russia avesse due obiettivi distinti ma sovrapposti nell’invadere l’Ucraina. Il primo è stato quello di prendere il controllo del suo confine occidentale, un’area che gli conferisce profondità strategica e che Mosca ritiene essere nella sua sfera di influenza. Il secondo consisteva nel mettere l’uno contro l’altro i membri della NATO, rompendo le fazioni che si opponevano a qualsiasi forma di intervento. Qualunque cosa si dica sul carattere e sul temperamento del presidente Vladimir Putin è irrilevante. Per la Russia, c’è una logica nella strategia. Difendere il proprio Paese è un compito spietato.

Dal punto di vista della Russia, l’Ucraina non dovrebbe avere importanza per nessun paese a meno che quel paese non voglia strangolare la Russia, cosa che non accadrebbe se la NATO non esistesse. Se l’Europa non fosse una base operativa per gli Stati Uniti, il principale avversario della Russia, gli Stati Uniti non sarebbero una minaccia.

Al centro di tutti i calcoli sulla potenza europea c’è la Germania. È da tempo una nullità militare e dal 1991 il suo obiettivo principale è la crescita economica. Ha un’economia massiccia e orientata all’esportazione che richiede una tonnellata di energia e gran parte di quell’energia proviene dalla Russia. (Altre ne arriveranno se e quando il gasdotto Nord Stream 2 sarà online.) I russi hanno pianificato questa crisi con questo in mente.

Come praticamente tutti i paesi, la Germania stava soffrendo per le ricadute economiche della pandemia di COVID-19 quando è iniziata la guerra in Ucraina. La perdita di energia russa non farebbe che peggiorare le cose. Poiché la Germania e la Russia tendono a cooperare su questioni economiche e la Germania ha evitato sia il riarmo militare che gli scontri con la Russia, Mosca pensava che qualunque cosa avesse fatto in Ucraina non avesse alcuna conseguenza per Berlino.

I primi giorni dell’invasione sembravano confermare il pensiero della Russia. In un primo momento, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato con enfasi che non avrebbe consentito la fornitura di armi all’Ucraina dalla Germania. In un altro caso, un aereo britannico che consegnava missili anticarro all’Ucraina si è diretto intorno alla Germania piuttosto che chiedere i diritti di sorvolo. Nel frattempo, Putin ha incontrato il primo ministro ungherese Viktor Orban per concordare un accordo sul gas naturale, ma Orban ha detto di non essere disposto a prendere una posizione ostile nei confronti della Germania. Ciò ha sollevato speranze nel Cremlino che l’alleanza potesse essere divisa. Se anche un paese minore come l’Ungheria, un ex satellite sovietico, era pronto ad allontanarsi dalla NATO, allora le fondamenta del potere americano nella penisola europea si stavano dissolvendo, o almeno così si pensava.

Ma Putin non è riuscito a capire le ansie della Germania nei confronti della Russia. Russia e Germania potrebbero lavorare a stretto contatto nel quadro della NATO, ma se tale quadro si sciogliesse e l’Ucraina cadesse, l’unica cosa che si frappone tra Germania e Russia sarebbe la Polonia. Questo può sembrare paranoico, ma il fatto che la Russia abbia sostanzialmente preso il controllo della Bielorussia l’anno scorso con un colpo di stato incruento e stia cercando di conquistare l’Ucraina ora suggerisce che la paranoia avesse dei meriti.

La posizione strategica tedesca stava crollando. Berlino era in contrasto con i suoi colleghi membri dell’UE e della NATO, la Francia stava emergendo come il principale interlocutore europeo e gli Stati Uniti, il fondamento della sicurezza nazionale tedesca, stavano diventando impazienti se non ostili. Il governo sperava che, nonostante tutte le lamentele sull’Ucraina, gli affari con la Russia potessero continuare senza sosta poiché gli Stati Uniti avrebbero gestito qualsiasi serio confronto militare.

Ma non doveva essere. Washington non ha intrapreso un’azione militare, ovviamente, ma ha imposto alla Russia enormi oneri economici che bloccheranno il flusso di energia verso l’Europa. Il sogno di avere forti legami commerciali con la Russia pur facendo parte della NATO era finito. La Russia lo ha reso impossibile. Berlino è stata costretta a fare ciò che non voleva: scegliere. Ma poi non c’era davvero alcuna scelta. Nonostante il gas russo, la Germania ha affermato che armerà l’Ucraina e, cosa più significativa, si riarmarà con un budget per la difesa notevolmente migliorato.

A parte la rivitalizzazione della NATO, questa potrebbe benissimo essere la conseguenza più importante dell’invasione russa. Ricordiamo che una Germania potente e militarizzata è stata storicamente una forza destabilizzante in Europa. Quando la Germania si unì nel 1871, emerse rapidamente come una potenza economica importante ma insicura, preoccupata per gli attacchi simultanei di Russia e Francia. Le cose ora sono diverse, ovviamente. Il 2022 è un mondo diverso dal 1914 e dal 1939. Ma anche così, la grazia salvifica agli occhi di molti paesi europei è l’attuale debolezza militare. In geopolitica, le soluzioni a un problema possono generarne di nuovi.

La Russia si è messa in una brutta posizione. La frammentazione dell’Europa non è più possibile. Anche se dovesse sconfiggere l’Ucraina, sarebbe molto più vicino a un’Europa ostile, guidata da una Germania appena rimilitarizzata.

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L’invasione dell’Ucraina materializza la minaccia russa in Europa. Intervista a Jean-Robert Raviot

Allarghiamo i punti di vista a paesi con ambizioni da protagonista e comportamenti di fatto completamente allineati. Un bluff che non regge nei momenti di crisi acuta, con il risultato di una ulteriore perdita di credibilità ed autorevolezza_Giuseppe Germinario

L’invasione dell’Ucraina materializza la minaccia russa in Europa. Intervista a Jean-Robert Raviot

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Invadendo l’Ucraina, Mosca ha materializzato la minaccia russa che incombeva sull’Europa. A causa di questa reale minaccia, la NATO si ritrova così rilegittimata, dando corpo all’emergere di una nuova guerra fredda. Intervista a Jean-Robert Raviot, professore all’Università di Parigi Nanterre.

Jean-Robert Raviot è professore all’Università di Parigi Nanterre. È direttore del master di studi russi e post-sovietici e coordinatore del corso bilingue diritto francese – diritto russo. Intervista di Étienne de Floirac.

Come si spiega questo attacco improvviso all’Ucraina da parte della Russia dal 24 febbraio? Potrebbe essere stato un fattore scatenante a causare questa decisione?

Questa invasione russa dell’Ucraina mi ha sbalordito, come ha sbalordito molti osservatori. Pensavo che la pressione militare russa sul confine ucraino sarebbe proseguita in una specie di guerra di nervi. L’obiettivo dichiarato di Vladimir Putin era un obiettivo a lungo termine: ottenere un’Ucraina neutrale, quindi aprire un grande negoziato con gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO per ottenere una revisione completa dell’architettura di sicurezza del continente europeo. Russia rispetto a quella risultante dalla fine della guerra fredda. Ho quindi pensato che la Russia avrebbe aumentato la pressione militare fino a quando non avesse ottenuto almeno un risultato positivo: almeno l’applicazione degli accordi di Minsk-II da parte di Kiev [1], anche la federalizzazione dell’Ucraina, anche, in aggiunta, la proclamazione, da parte di quest’ultima, della sua neutralità e l’abbandono di ogni progetto di adesione alla NATO. È stato un errore. La crescente pressione significava che l’invasione russa dell’Ucraina era già passata dalla fase di un copione a quella di un piano. Sembra plausibile ritenere che sia stato il rifiuto degli Stati Uniti di avviare negoziati con Mosca sulla base dei due progetti di trattati presentati dalla Russia il 17 dicembre 2021 [2] che hanno accelerato lo sviluppo dell’operazione lanciata il 24 febbraio .

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Si può parlare di invasione o questa nozione è poco adatta alla situazione?

Non giochiamo con le parole: questa è un’invasione. Così come l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 è stata preceduta da un’annessione! Direi anche di più: la Russia sta invadendo militarmente l’Ucraina, ma sta anche invadendo le menti di ogni casa europea attraverso la televisione. Questa invasione concretizza una minaccia russa che fino ad ora era, per gli europei occidentali, solo una storia, virtuale, qualcosa di abbastanza astratto e distante. Attraverso questa invasione, la Russia fa rivivere la paura della guerra in patria, dei bombardamenti e dell’esodo, persino la paura della bomba atomica. Con questa invasione, Putin pone la Russia al di fuori di un dogma fondamentale che unisce l’Europa dal 1945: “  L’Europa è pace  ”. Nessuna guerra territoriale tra i popoli europei. In altre parole,Putin ha portato la Russia fuori dalla “civiltà europea”.

La Serbia di Milosevic, accusata di fomentare il genocidio contro gli albanesi del Kosovo, era già stata designata come “uscita dalla civiltà” nel 1999. La NATO aveva effettuato bombardamenti mirati su questo terreno, una cosiddetta guerra preventiva, “a scopo umanitario”. Ma la Russia di Putin non è dello stesso calibro, è una potenza nucleare e, a differenza della Serbia, è in una posizione offensiva. Per gli occidentali, quindi, la controffensiva non può che essere obliqua: sanzioni economiche e finanziarie, esilio dalla “comunità internazionale” in tutti gli ambiti. Potrebbe anche portare a sostenere una resistenza armata che si formerebbe in un’Ucraina che sarà presto occupata, totalmente o parzialmente.

Vladimir Putin, colpevole, ma non responsabile?

Per un realista, la nozione di colpa non fa parte del vocabolario dell’analisi politica e geopolitica. Putin è responsabile? Ovviamente. Chi invade chi? Ancora una volta, non giochiamo con le parole. Ciò che è più interessante è esaminare le cause che hanno portato Putin a pianificare e poi decidere di mettere in atto un’operazione di tale portata. Occorre quindi rischiare di analizzare le intenzioni attraverso la cornice del discorso ufficiale, cercando di intravedere l’universo mentale che ha plasmato questa decisione. Per me, due registri discorsivi consentono di tracciare due catene di causalità, strettamente legate tra loro, che hanno portato a questa decisione.

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La prima catena di causalità è di natura politica e geopolitica: è il registro politico e geopolitico della nuova guerra fredda [3] . La Nuova Guerra Fredda non è una continuazione, ma piuttosto una rinascita della Guerra Fredda vera e propria (1947-1990), avvenuta negli anni 2000 come reazione alla Guerra Fredda degli anni 90. Il freddo nasce da un nuovo desiderio russo di rivedere l’ordinamento europeo. La Russia ritiene che quest’ultima sia stata costruita senza di essa e contro di essa in un momento – gli anni ’90 – in cui era in una posizione debole. Personaggio chiave della Guerra Fredda, ottimo conoscitore dell’URSS, inventore del concetto di contenimentoche servì come base per la Dottrina Truman di contenimento dell’espansionismo sovietico, il grande diplomatico americano George Kennan (1904-2005) avvertì nel 1997 che la decisione di ammettere gli ex satelliti dell’URSS nell’Europa orientale era un “errore fatale  . Oggi misuriamo tutta l’esattezza premonitrice di questa frase…

Nel nuovo contesto internazionale degli anni 2000, segnato dall’uscita degli Stati Uniti dal suo status di superpotenza, quello del dopo Guerra Fredda, e dal ricollocamento del proprio impegno verso il Medio Oriente e l’Asia, nonché attraverso il rapido ascesa della Cina, la Russia cerca di riconquistare il potere sviluppando una “rivalità asimmetrica” con gli Stati Uniti che, per certi aspetti, prende in prestito dal repertorio della Guerra Fredda [5]. La nuova guerra fredda è caratterizzata da un contesto internazionale molto più complesso, fragile e fluttuante del vecchio mondo bipolare. Se la nuova Guerra Fredda ha finito per scaldarsi più velocemente di quella precedente, è perché la posizione asimmetrica della Russia nei confronti dell’Occidente ha amplificato la percezione, da parte dei suoi leader, di una crescente minaccia occidentale. La rivalità asimmetrica che si svolgeva simultaneamente in molteplici teatri operativi – militare-strategico, economico, finanziario, informativo, ideologico – ha destabilizzato il potere russo, lo ha costretto ad adattarsi costantemente e ha notevolmente amplificato la percezione di una minaccia multiforme proveniente dall’Occidente.

Su questa prima catena di causalità geopolitica si innesta una seconda, di ordine civilistico e culturale. È il registro del mondo russo, in virtù del quale la Russia è uno Stato portatore di una civiltà – il mondo russo [6] , rousskii mir – minacciato nella sua stessa esistenza da una latente e diffusa russofobia occidentale – una sorta di stasi che portare i leader occidentali a puntare sempre, più o meno consapevolmente, alla distruzione della Russia per impossessarsi delle sue risorse naturali, controllare i corridoi logistici del continente eurasiatico, anche, oggi, per contenere meglio la Cina. Questa stasi della civiltà russofoba dell’Occidente sarebbe stata la vera ragione dell’invasione della Russia da parte dell’Occidente nel 1812, nel 1941…

Secondo questa visione molto culturalista, che ritroviamo ad esempio nel pensiero di Alexander Solzhenitsyn, l’Ucraina non è una nazione a sé stante, ma il ramo di un grande popolo russo che, definito secondo le categorie di prima del 1917, ne comprendeva tre: Grandi Russi (Russi), Bianchi Russi (Bielorussi) e Piccoli Russi (Ucraini) [7]. La Russia dovrebbe quindi avere il compito di riunire in un’unica entità politica guidata da Mosca la Russia vera e propria, la Bielorussia, l’Ucraina ei russi che vivono negli Stati confinanti (Nord-Kazakistan). Oggi, continuiamo questa logica di pensiero, l’Ucraina sarebbe diventata l’anello debole del mondo russo, perché avrebbe in qualche modo perso la sua coscienza identitaria sotto l’influenza di un nazionalismo ucraino revanscista, anche “neo-nazista”, influenzato, manipolato da fuori. Putin lo ha ribadito molto chiaramente nel lungo discorso, con toni molto identificativi, che ha pronunciato davanti al Consiglio di sicurezza russo il 21 febbraio. In sostanza: l’Ucraina appartiene alla primissima cerchia del mondo russo, non appartiene più a se stessa, poiché i suoi attuali leader stanno spingendo contro la propria storia, l’Ucraina è troppo influenzata dall’Occidente, soprattutto da quando l’Occidente (nel 2014) ha organizzato un colpo di stato per insediare un governo a Kiev che non è solo un cavallo di Troia contro la Russia. Riporto qui i termini di un lungo messaggio pubblicato suTelegramma del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, il 27 febbraio. Dobbiamo quindi porre fine a questa minaccia esistenziale per il mondo russo. E bisogna agire prima che sia troppo tardi: questo spiega i tempi dell’invasione.

La NATO non ha trovato una ragion d’essere in questa nuova guerra?

Era la minaccia sovietica a presiedere alla sua creazione nel 1949, e la scomparsa dell’URSS e del suo blocco l’aveva lasciata in qualche modo orfana. La guerra contro l’Ucraina nel 2022 consacra questa minaccia russa in tutta la sua realtà, la oggettiva pienamente. Questa è una manna dal cielo, perché solo la minaccia russa può legittimare la Nato, che non è mai riuscita a definirsi altro che un baluardo contro Mosca. Perché come altro definirlo? Lo scudo armato del mondo libero e delle democrazie? È difficile, perché la Turchia molto autoritaria di Erdogan ne è un pilastro, e il suo carattere strettamente difensivo minato dall’invasione di Cipro del Nord da parte della Turchia nel 1974, le operazioni svolte per conto della NATO in Serbia poi in Afghanistan…

E la Francia, quale potrebbe essere il suo ruolo?

Per quanto riguarda la Francia, non riesce a svolgere un ruolo positivo nell’attenuazione delle tensioni tra Russia e Occidente. Non è più percepito, a Mosca, come un attore con un grado di autonomia sufficiente per esercitare un’influenza. Mi sembra invece che ci sia un problema di interpretazione dei segnali emessi da gesti e discorsi contraddittori. Testimone il grande divario tra la visita di Macron a Mosca (7 febbraio), dagli accenti quasi gollisti, che mirava a disinnescare la crisi facendo sentire un’altra voce occidentale, e le battute molto guerrafondaie del ministro dell’Economia che dichiarava “una politica economica a tutto campo e guerra finanziaria alla Russia”,come se l’obiettivo primario della politica francese fosse quello di sanzionare la Russia, e non di risparmiare l’Ucraina, che si trova sotto le bombe…

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Giudizi

[1] Gli accordi Minsk-II, firmati il ​​12 febbraio 2015, sono firmati secondo il “Formato Normandia” (Russia-Ucraina-Germania-Francia, con rappresentanti delle autoproclamate repubbliche di Donbass e Lugansk). Russia e Ucraina si accusano a vicenda di non aver mai avuto intenzione di rispettarne i termini. Il 31 gennaio 2022, il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina ha dichiarato che ”  il rispetto degli accordi di Minsk, firmati sotto la minaccia dei russi sotto lo sguardo di tedeschi e francesi, significa la distruzione del Paese  ” .

[2] Proposta russa di avviare negoziati immediati su un ”  trattato tra gli Stati Uniti e la Federazione Russa sulle garanzie di sicurezza  ” da un lato e un ”  accordo sulle misure per garantire la sicurezza della Federazione Russa e degli Stati membri della NATO  ” su l’altra mano. Richieste russe: rinuncia a qualsiasi allargamento della NATO (all’Ucraina e ad altri Stati), nessun armamento aggiuntivo negli Stati che hanno aderito alla NATO dopo il 1997 (tutti gli Stati dell’Est Europa Est), divieto di insediamento di nuove installazioni militari americane sul territorio degli Stati risultanti dall’URSS (paesi baltici).

[3] Jean-Robert Raviot (dir.), Russia: Verso una nuova guerra fredda?, La Documentation française, 2016.

[4] George F. Kennan, “Un errore fatale”, New York Times , 5 febbraio 1997.

[5] Andrei P. Tsygankov, Russia e America. La rivalità asimmetrica , Polity Press, 2019.

[6] Marlene Laruelle, Il ‘mondo russo’. Soft Power e immaginazione geopolitica della Russia , 2015: https://www.ponarseurasia.org/the-russian-world-russia-s-soft-power-and-geopolitical-imagination/

[7] Alexander Solzhenitsyn, Come riorganizzare la nostra Russia? , Fayard, 1990. Prima del 1917, i “Russi”

https://www.revueconflits.com/jean-robert-raviot-russie-ukraine-poutine/

Escalation tra Russia e Ucraina di Mirko Molteni

Escalation tra Russia e Ucraina: Putin riconosce i secessionisti di Donetsk e Lugansk

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Dopo mesi di tensione crescente sui confini fra Russia, Bielorussia e Ucraina, l’annuncio il 15 febbraio 2022 di un parziale ritiro dell’imponente schieramento russo, che avrebbe toccato, fino a quel momento, una punta massima di 147.000 soldati in posizioni avanzate (entro 300 chilometri dai confini ucraini), sembrava aver aperto la prima concreta possibilità di calo della tensione, almeno nel breve periodo.

Ma la sera del 21 febbraio il presidente russo Vladimir Putin ha infine rotto gli indugi, dopo essersi consultato col Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, decidendo di riconoscere le due repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk.

Il discorso di Putin si è caratterizzato anzitutto per l’attacco frontale all’intera classe dirigente ucraina, rea ai suoi occhi di aver fatto diventare il paese una sorta di colonia della NATO: “Gli ucraini” sono dominati da oligarchi interessati solo ai loro soldi e alle loro aziende, nonché a dividere l’Ucraina dalla Russia. Hanno sfruttato lo sconforto dei cittadini e sono arrivati a un colpo di stato, col sostegno da parte degli Stati Uniti, grazie a milioni di dollari al giorno. C’è stata una corruzione dilagante e gli ucraini si sono trovati a essere marionette”.

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Il pericolo strategico per la Russia è enorme e Putin ha ricordato una presenza militare della NATO in Ucraina sotto traccia, ma probabilmente non sfuggita all’intelligence dell’FSB e dell’SVR.

“In Ucraina le armi occidentali sono arrivate con un flusso continuo, ci sono esercitazioni militari regolari nell’ovest dell’Ucraina, l’obiettivo è colpire la Russia. Le truppe della NATO stanno prendendo parte a queste esercitazioni, almeno 10 sono in corso, e i contingenti NATO in Ucraina potrebbero crescere rapidamente. I sistemi di comando delle truppe ucraine sono già integrati con la Nato e l’Alleanza ha iniziato a sfruttare il territorio ucraino con infrastrutture missilistiche”.

Teme che anche in Ucraina sorgano basi come quella di Deveselu in Romania e quella di Redzikowo in Polonia, da cui gli americani possano lanciare a sorpresa missili Tomahawk o anche di nuovo tipo, come i Lockheed PRSM a medio raggio: “L’installazione di missili balistici in Ucraina sarebbe una minaccia contro la Russia europea e gli Urali. I missili Tomahawk possono raggiungere Mosca in 35 minuti, i missili balistici in 7 minuti ed i missili ipersonici in 4 minuti. E’ un coltello alla gola della Russia.

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Hanno cercato di tranquillizzarci dicendo che ci vorrà tempo. Sono stati condotti negoziati ma è scritto in molti documenti ufficiali che la Russia è il nemico numero uno dell’Alleanza Atlantica”.

Così ha parlato chiaro l’uomo del Cremlino, dopo che per settimane ha visto gli Stati Uniti e gli alleati europei della NATO glissare, in sostanza, su precise richieste di sicurezza a cui Mosca vorrebbe dare forma scritta per assicurare una stabilità di lungo periodo che l’Occidente vuole soltanto alle sue condizioni, negando parità negoziale alla controparte.

E ponendo così semi di discordia. Le questioni principali sono rimaste sul tappeto, poiché Stati Uniti e alleati non hanno di fatto tenuto conto finora di nessuna delle preoccupazioni della Russia per la propria sicurezza, per le quali il Cremlino aspira ad arrivare a un trattato scritto. Inoltre, il presidente americano Joe Biden, ha più volte ripetuto che “i russi potrebbero invadere l’Ucraina in ogni momento nei prossimi giorni”, sebbene, curiosamente, lo stesso ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, abbia detto che “la Russia non ha ancora organizzato formazioni d’attacco tra le sue forze schierate vicino ai confini”.

Il 20 febbraio una telefonata del presidente francese Emmanuel Macron al collegar russo Vladimir Putin avrebbe propiziato la possibilità di un vertice Putin-Biden. Ma non promette nulla di buono la ripresa di scontri locali nel Donbass, l’area orientale dell’Ucraina in cui dal 2014 le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, abitate da russofoni, si oppongono all’autorità di Kiev con l’appoggio di Mosca.

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Lo scambio di cannonate e granate di mortaio avrebbe già provocato, fra il 17 e il 21 febbraio, almeno due morti militari fra gli ucraini e due morti civili e uno militare fra i russofoni del Donbass. Le due parti si rimpallano accuse reciproche di provocazione. D’altro canto, il presidente americano Joe Biden per primo non si è fidato dell’annuncio russo di parziale ritiro e di fine delle esercitazioni, convincendo poi a cascata il segretario della NATO Jens Stoltenberg e i governi alleati a ripetere, fra il 16 e il 21 febbraio, che “non si osservano segnali di de-escalation”.

Fra le stime degli ultimi giorni, il 17 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha sostenuto che la Russia avrebbe “fra 169.000 e 190.000 soldati” sui confini, poi il 20 febbraio la tv statunitense CNN ha parlato di “120 gruppi tattici a livello di battaglione schierati a 60 chilometri dal confine con l’Ucraina”, oltre a “35 battaglioni da difesa aerea, 500 aerei da caccia e 50 bombardieri medio-pesanti”.

La CBS dal canto suo, cita fonti CIA secondo cui “ai comandanti dell’esercito russo sono già stati consegnati gli ordini di attacco”. Arduo chiaramente discernere quanto si tratti di indiscrezioni plausibili e quanto di “guerra d’informazioni” per favorire una successiva ricostruzione che addossi solo sui russi la colpa di un conflitto.

Stesso discorso per le scaramucce in Donbass, dove l’atteggiamento offensivo che i miliziani filorussi attribuiscono alle forze di prima linea ucraine potrebbe rendere credibile l’ipotesi che Kiev, sentendosi spalleggiata dalla NATO, tenga alta la tensione nella speranza di recuperare quel territorio.

Ma i russi, a loro volta, hanno ribattuto in quei giorni, sia per bocca del presidente Vladimir Putin sia del suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che “gli Stati Uniti non hanno dato risposte soddisfacenti alle nostre precise richieste in fatto di sicurezza”. In sostanza, l’assicurazione scritta che l’Ucraina non entrerà mai nella NATO, il ritiro delle forze dell’Alleanza Atlantica dai territori degli stati membri dell’Est ammessi nell’ultimo ventennio e il conseguente divieto di basi missilistiche e nucleari sui suddetti territori.

Mosca non ha certo interesse a scatenare di sua iniziativa una guerra che, anche se rimanesse limitata al territorio ucraino, sarebbe dannosa per la sua economia, compromettendo ancor di più i rapporti commerciali con l’Europa Occidentale, già azzoppati dalle sanzioni varate dopo l’annessione della Crimea nel 2014.

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Se infatti i russi hanno il coltello dalla parte del manico per quanto riguarda la dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo, che non potrà essere sostituito in tempi brevi da quello di altri fornitori come il Qatar, essi stessi, di riflesso, non possono sperare di recuperare altrettanto in fretta mancati introiti rivolgendosi ad altri compratori, come la Cina, dato che il commercio del gas si basa su investimenti infrastrutturali di lungo periodo. Ovviamente, comunque, la propensione russa a non iniziare un vero conflitto ad alta intensità va considerata al netto di possibili provocazioni sul territorio del Donbass, a cui stiamo purtroppo già assistendo.

In tutto questo, il 19 febbraio Putin ha lanciato alle potenze occidentali un importante messaggio non verbale dirigendo personalmente esercitazioni delle forze missilistiche nucleari russe, in modo da ribadire la propria capacità di deterrenza strategica, e il 20 febbraio ha dichiarato il prolungamento delle esercitazioni congiunte con la Bielorussia, che sarebbero dovute terminare quel giorno “a causa della situazione critica nel Donbass”.

 

Altolà per la NATO

Pur non nutrendo, probabilmente, una reale intenzione di guerra, il presidente Vladimir Putin doveva in qualche modo mostrare i muscoli, come mai aveva fatto prima d’ora, per dare un chiaro segnale alla NATO, pericolosamente arrivata sui suoi confini nell’arco di un ventennio, fino a rendere prevedibile un’adesione dell’Ucraina.

La situazione è poi parsa anche più grave al Cremlino dopo che nel 2021 le stesse autorità ucraine hanno iniziato a parlare con sempre maggiore insistenza di un possibile “recupero della Crimea”. E’ palese che le tensioni perduranti fra Kiev e Mosca rendano troppo pericoloso l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica, poiché un conflitto fra le due parti, magari scaturito da incidenti orchestrati, obbligherebbe anche l’Italia a una guerra globale contro la Russia in virtù dell’articolo 5 dell’Alleanza.

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Una guerra che, a differenza degli interventi militari oltremare, lontano dalle nostre frontiere, a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni, toccherebbe in modo più o meno diretto il territorio nazionale italiano, anche solo per la presenza di basi americane come quelle di Aviano o Sigonella, con la relativa presenza di ordigni nucleari lanciabili da aerei, nella fattispecie le bombe a caduta libera B61 con potenza massima di 340 chilotoni, come anche a Ghedi, dove essi possono esser utilizzati da equipaggi dell’Aeronautica Militare Italiana in regime di “nuclear sharing” su ordine statunitense.

Ecco perchè, se davvero la crisi dovesse a fatica disinnescarsi in questi giorni a patto di promesse, anche dietro le quinte, di un mantenimento dell’Ucraina in uno status tecnicamente neutrale senza farla aderire alla NATO, si può dire che Putin, “tirando la corda” fino a ottenere almeno questo risultato, abbia fatto, sotto sotto, un favore anche all’Italia.

Su questo non sembrano esserci dubbi e, fra l’altro, riteniamo che gli eventi a cui stiamo assistendo dovrebbero insegnare qualcosa a Washington e a Bruxelles, portando a un generale ripensamento del concetto stesso di allargamento indiscriminato della NATO e, teoricamente, di qualsiasi alleanza.

Un patto solidale per la reciproca difesa militare e che presuppone l’automatismo dell’intervento a protezione di un membro attaccato produce davvero sicurezza solo se limitato a un certo numero di paesi le cui politiche estere e strategiche siano abbastanza coordinate fra loro da poter parlare di comunanza di interessi geopolitici.

Se un’alleanza finisce con l’allargarsi a paesi sempre più lontani, come distanza geografica e interessi, dai suoi primi membri storici ciò aumenta esponenzialmente il rischio che l’alleanza in questione venga a trovarsi a contatto con un numero crescente di aree di confine e di potenziali crisi aggiuntive che complichino il quadro, specialmente se uno dei membri risultasse in qualche modo aggredito da un attore esterno a causa di sue avventatezze o “fughe in avanti”.

In buona sostanza, più alleati, più possibilità che uno, o più, di essi si trovi in frizione, lungo i confini esterni dell’alleanza, con un possibile avversario, trascinando in blocco gli altri alleati in un conflitto non voluto e contrario ai loro reali interessi.

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Anche per le alleanze, quindi, si potrebbe ben parlare di una sorta di “punto culminante”, per usare un’espressione che due secoli fa Karl von Clausewitz, uno dei padri della strategia, applicava alle vittorie campali. Un punto, o meglio un apice, oltrepassato il quale, l’aumento del numero dei membri di una coalizione porta più svantaggi che vantaggi, poiché fa moltiplicare i rischi per la sicurezza, anziché diminuirli, spingendo a ritenere vitali scacchieri e situazioni addizionali che in precedenza non erano percepiti tali.

Grandi alleanze possono quindi portare, per il numero stesso delle nazioni impegolatevisi, più facilmente anche a guerre generali, estese su fronti di migliaia di chilometri. Senza contare che, nello specifico caso Russia-NATO, è stata la stessa espansione a Est a far crescere le preoccupazioni di Mosca che si traducono a loro volta nell’aumento di insicurezza sul versante orientale.

Si giunge quindi al paradosso che, se dal 1999 al 2020 ben 14 paesi dell’Europa Centro-Orientale si sono aggiunti ai 16 membri “storici”, cioè i 12 fondatori dell’alleanza nel 1949, fra cui l’Italia, e i 4 aggregatisi dal 1952 al 1982, che contava l’alleanza fino alla fine del XX secolo, tale processo è stato giustificato dalla necessità presunta di proteggere quelle nazioni dal risorgere della potenza russa, la quale però è stata spronata, e indispettita, proprio dal suddetto allargamento, in un tragicomico scambio fra causa ed effetto.

Se a ciò aggiungiamo che i neo-membri dell’ultimo ventennio sono per la maggior parte nazioni medio-piccole, che di fatto hanno aggiunto poco o nulla alla forza militare complessiva della coalizione, si può dire che l’alleanza si sia sobbarcata spese aggiuntive per la difesa di paesi tendenzialmente molto deboli per soli scopi ideologico-politici, ottenendone in cambio l’aumento dei rischi.

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A tal proposito, va ricordato che lo scorso 17 gennaio 2022 perfino sulla prestigiosa rivista americana di politica estera Foreign Affairs si è dato spazio a simili dubbi, con un articolo di Michael Kimmage secondo cui “è tempo per la NATO di chiudere le sue porte”.

“La NATO soffre di un grave difetto di progettazione: l’estensione profonda nel calderone della geopolitica dell’Europa Orientale è troppo grande, troppo mal definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene”. E inoltre: “Mettere fine all’espansione della NATO sarebbe un atto di autodifesa per l’alleanza stessa, dandole i doni che conferiscono una più grande limitazione e una più grande chiarezza”.

Se l’Alleanza Atlantica s’è infilata in una simile trappola è stato in sostanza per cercare di perpetuare i risultati del post-Guerra Fredda, emarginando, per quanto possibile, la Russia dall’Europa. Ciò conferma che la NATO, fondata nel 1949 per arginare l’espansionismo di una Unione Sovietica che contava sulla forza sovversiva del comunismo, si è trasformata dopo la fine della Guerra Fredda in uno strumento di contrasto della Russia in quanto tale.

In sostanza, gli Stati Uniti, la potenza leader dell’Alleanza Atlantica, e il loro principale alleato, cioè la Gran Bretagna, hanno continuato a diffidare di Mosca anche dopo la caduta del comunismo, mentre la maggior parte dei paesi continentali tendevano a espandere i loro rapporti commerciali con i russi.

Per gli americani e la dirigenza NATO da essi influenzata, è la Russia in sè, indipendentemente dai colori politici dominanti al Cremlino o alla Duma, che va trattata da perenne sorvegliato speciale. Visto dall’ottica anglosassone, l’espansione della NATO e la sua pressione geopolitico-militare per contenere la Russia, servono per impedire un duraturo sodalizio fra una Mosca più democratica, o comunque meno autoritaria rispetto ai tempi del regime comunista, e un’Europa continentale che a quel punto non avrebbe più bisogno della protezione americana, togliendo significato all’esistenza stessa della NATO, per come è stata concepita finora. In qualche modo, la persistenza del “nemico” è necessaria alla continuazione dell’alleanza.

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Anche i russi se ne rendono conto e certo il braccio di ferro è diventato decisivo negli ultimi mesi, essendo ormai Mosca conscia di avere recuperato una forza militare sufficiente a difendere i propri interessi vitali in Europa. Ecco il perchè delle ripetute esercitazioni di massa russe, ineccepibili dal punto di vista del diritto internazionale perchè svolte sul proprio territorio, o su quello dell’alleata consenziente Bielorussia, ma che allarmando Kiev, Washington e Bruxelles, hanno lo scopo di portare finalmente al “dunque” una questione irrisolta da un ventennio e che ha toccato la classica “goccia che fa traboccare il vaso” con l’avvicinarsi di una ventilata ammissione dell’Ucraina nell’alleanza.

 

Biden incoraggia Kiev

La crisi attualmente in corso si è snodata gradualmente a partire dal novembre 2021, ma è il risultato finale di una contrapposizione montata di mese in mese fin dall’insediamento del presidente Joe Biden alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2021, tanto che si può parlare per lo scorso anno di un “primo round” del confronto che potrebbe essere servito a entrambi per “prendere le misure” dell’avversario.

Dopo l’ascesa di Biden, le autorità ucraine devono aver pensato di poter contare su un’amministrazione americana assai più favorevole a Kiev, anche per i passati rapporti d’affari del figlio del presidente, Hunter Biden, con la società ucraino-cipriota Burisma.

Mentre si accrescevano già allora le tensioni in Donbass, fra l’esercito ucraino e le milizie filorusse delle repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, una stretta contro politici ucraini ritenuti filorussi, aveva spinto già in febbraio Mosca a mobilitare un primo gruppo di 3000 paracadutisti non lontano dalla frontiera.

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Ad aggravare le cose è arrivata il 24 marzo 2021 da parte del presidente ucraino Volodymir Zelensky la firma di un decreto volto a sviluppare “strategie di recupero e de-occupazione delle aree del paese temporaneamente occupate”. Ciò ha fatto temere ai russi la possibile organizzazione di azioni militari da parte di Kiev, appoggiate dagli USA, per recuperare il Donbass e/o la Crimea.

La dirigenza ucraina si è sentita a maggior ragione sostenuta dalla nuova amministrazione della Casa Bianca dopo che, il 2 aprile 2021, si è avuto il primo colloquio telefonico fra Zelensky e Biden, il quale ha parlato di “protratta aggressione russa in Crimea”, senza tener conto che la penisola è ormai annessa alla Russia dal 2014 e che la maggioranza della sua popolazione è russa o pro-russa.

Sempre il 2 aprile è stato visto atterrare a Kiev un aereo da trasporto militare americano C-130J partito dalla base NATO di Ramstein (Germania) per missione ignota. Frattanto, i russi portavano il loro schieramento a 40.000 uomini, secondo l’Ucraina, mentre le milizie del Donbass segnalavano azioni di droni, per ricognizione e anche attacco, sulle loro posizioni. Entro il 6 aprile arrivavano a Kiev senza dichiarazione alcuna su scopi e carico, ancora un grosso aereo C-17 proveniente direttamente dagli Stati Uniti, poi un C-130J e un altro C-17 decollati da Ramstein in Germania. Intanto un aereo spia americano strategico RQ-4 Global Hawk ha sorvolato per molte ore la fascia di confine Ucraina-Russia monitorando tutto coi suoi sensori dalla portata di 250 chilometri.

Il 9 aprile gli Stati Uniti si dicevano “pronti a inviare navi nel Mar Nero per la nuova crisi ucraina”, dopo che la Casa Bianca ha comunicato che “lo spiegamento di forze russe sul confine è il maggiore dal 2014”. E il 13 aprile atterravano a Kiev ancora due C-130 USA, uno proveniente da Riga, in Lettonia, l’altro da Stoccarda.

Nel corso di aprile la tensione era aumentata fino a sfociare nelle espulsioni incrociate di 10 diplomatici russi e 10 americani dalle rispettive nazioni. Il 14 aprile s’è verificato un incidente fra unità navali russe del servizio costiero dell’FSB e ucraine della Guardia Costiera nello stretto di Kerc, unico passaggio nello sbarramento geografico che la Crimea russa pone alla costa ucraina sul Mar d’Azov. Al che il 24 aprile i russi hanno decretato fino al 31 ottobre il blocco dello stretto. Intanto, sempre a fine aprile terminavano le esercitazioni russe, pur mantenendosi cospicui depositi avanzati di mezzi pesanti e munizioni, come quello di Pogonovo, in previsione di nuove manovre.

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Nelle settimane seguenti, gli Stati Uniti sono tornati ad adombrare un possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO e a parole si sono detti “disponibili alla trattativa sul disarmo”, pur, di fatto, non tenendo conto dei perduranti timori russi originati dal ritiro unilaterale degli USA, fin dal 2019, dal trattato INF che vietava missili a medio raggio in Europa, nonché dal sospetto che la base antimissile americana di Deveselu, in Romania, operativa dal 2016, e quella in fase di completamento, previsto in questo 2022, di Redzikowo, in Polonia, possano occultare missili offensivi Tomahawk, o di futuro tipo a medio raggio, come lo sperimentale PRSM (Precision Strike Missile), che Lockheed Martin ha collaudato più volte nel 2021 e la cui gittata massima, non dichiarata sarebbe “superiore a 499 km”.

I russi notano che il modulo di lancio verticale Mk.41 dei missili intercettori SM-3 del sistema imbarcato Aegis, e di quello terrestre Aegis Ashore, nel caso delle suddette basi, è utilizzato anche per i Tomahawk, che così potrebbero essere schierati di nascosto troppo vicini alle frontiere russe. Il 28 maggio 2022, ad aggravare la tensione, Washington affermava che “gli Stati Uniti non torneranno nel trattato Open Skies”, sui “cieli aperti”, che garantiva la sorveglianza aerea reciproca, ma da cui già l’amministrazione precedente, quella di Donald Trump, era uscita nel 2020.

Il Cremlino ha risposto ribadendo che “gli USA hanno perso l’occasione di migliorare la situazione della sicurezza in Europa”. Fra il 10 e il 13 giugno, il viaggio di Biden in Europa, in particolare con l’incontro bilaterale col premier britannico Boris Johnson e poi col G7 in Cornovaglia, nonché il summit NATO del 14 giugno, hanno preparato il terreno a una sorta di “chiamata delle democrazie”, in contrasto con l’asse Russia-Cina.

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Tanto per cambiare, negli stessi giorni la US Navy inviava nel Mar Nero l’incrociatore Laboon, con i suoi 56 Tomahawk, come simbolico messaggio verso Mosca. Già il 12 giugno, prima di incontrare il presidente americano a Ginevra 4 giorni dopo, Putin, intervistato dalla NBC, notava: “Le relazioni con gli USA sono al punto più basso degli ultimi anni. Trump era un uomo straordinario, un uomo di talento, Biden invece è un carrierista”.

Biden, dal canto suo, contribuiva senza rendersene conto a preparare i successivi rialzi di tensione, dichiarando: “La Russia non dovrà superare certe linee rosse. Non vogliamo un conflitto, ma reagiremo ad atti ostili. Per l’adesione dell’Ucraina alla NATO, la presenza di truppe russe su parte del territorio ucraino non costituisce un ostacolo. Ma prima di poter entrare nell’alleanza, Kiev dovrà ripulirsi dalla corruzione e soddisfare una serie di requisiti”. Il 16 giugno a Ginevra, al di là delle cortesie diplomatiche, nel summit Biden-Putin permaneva la frattura sui principali punti chiave.

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Come se non bastasse, la pressione navale della NATO nel Mar Nero tornava ad aumentare dal 23 giugno, quando il cacciatorpediniere britannico Defender sfiorava le coste della Crimea e la base russa di Sebastopoli, suscitando cannonate d’avvertimento da unità navali dell’FSB e anche il sorvolo di un bombardiere Sukhoi Su-24M che ha sganciato in mare bombe pure ammonitrici.

La presenza nell’area di due aerei americani da pattugliamento, un EP-3E Aries e un P-8 Poseidon, ha fatto pensare ai russi che l’incidente fosse organizzato per saggiare la loro reazione difensiva. E il 27 giugno la BBC rivelava documenti segreti, misteriosamente “smarriti” presso una fermata d’autobus, da cui s’arguiva che l’incursione della nave inglese era stata volutamente organizzata per provocare Mosca. Il giorno dopo, 28 giugno, iniziava una grossa esercitazione aeronavale nel Mar Nero, la Sea Breeze, attuata da ben 32 nazioni, fra membri della NATO e altri alleati degli Stati Uniti, con 32 navi, 40 aerei e 5.000 militari.

 

Si riaccende la miccia

Fra agosto e settembre del 2021 gli Stati Uniti e gli alleati europei (Italia compresa) sono stati letteralmente scioccati dalla palese sconfitta subita in Afghanistan dal governo di Kabul, favorita dal troppo rapido ritiro delle truppe straniere, che ha buttato alle ortiche vent’anni di impegno (con morti e feriti) occidentale contro i talebani. La storica disfatta delle nazioni NATO ha fatto sì che i governi atlantici e la grande stampa si lasciassero sfuggire l’occasione immediata di additare la Russia per le sue colossali esercitazioni Zapad 2021, tenutesi dal 10 al 16 settembre con dispiegamento di ben 200.000 uomini, con 80 aerei e 760 mezzi di terra, fra carri armati e altri veicoli.

Partecipavano anche contingenti di varie nazioni come la stessa Bielorussia, sul cui territorio si svolgeva il grosso delle manovre, ma anche rappresentanze di Armenia, India, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan e Sri Lanka. Pur monitorate dalla NATO, queste manovre non hanno suscitato così tanta preoccupazione come quelle tenutesi tra fine 2021 e inizio 2022, sebbene coinvolgessero un numero superiore di truppe, senza contare che tre anni prima, l’edizione 2018 della Zapad aveva impegnato, pare, addirittura 300.000 uomini.

Alle soglie dell’autunno 2021 la tensione Est-Ovest è risultata incentivata dal blocco del North Stream 2, la seconda tratta del gasdotto russo-tedesco che corre sul fondo del Mar Baltico evitando il territorio ucraino.

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Per la Germania, una notevole risorsa da 55 miliardi di metri cubi all’anno (per tratta) ma di cui gli stessi tedeschi sono stati costretti a privarsi sotto la spinta politica degli Stati Uniti. Il nuovo gasdotto era ormai pronto, in settembre, quando l’agenzia tedesca per le reti, la Bundesnetzagentur, o BnetzA, ha vietato il passaggio del gas con il pretesto della “posizione di monopolio” di Gazprom.

E da allora il North Stream 2 è ancora tutt’oggi a secco. Superato intanto, a fatica, lo smacco da parte dei talebani, la NATO tornava a guardare a Mosca ed espelleva per presunto spionaggio 8 membri della delegazione diplomatica russa presso la sede dell’alleanza a Bruxelles, decretando inoltre il taglio da 20 a 10 del numero dei componenti della suddetta rappresentanza. Il 20 ottobre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha quindi annunciato la “rottura dei rapporti diplomatici con la NATO a partire dal 1° novembre”, spiegando: “Non ci sono più le condizioni di base per lavorare insieme: la Russia sospenderà la sua missione presso l’Alleanza Atlantica, che non è più interessata a un rapporto equo”.

E’ stato ai primi di novembre che sono iniziate a rimbalzare sulla stampa americana e occidentale in genere, le prime notizie sul fatto che la gran parte delle truppe mobilitate per l’esercitazione Zapad 2021 erano rimaste dislocate a poche centinaia di chilometri dalle frontiere ucraine, con stime iniziali variabili fra 70.000 e 80.000.

Ciò ha fatto sì che il 2 novembre Biden inviasse a Mosca nientemeno che il capo della CIA, William Burns, che peraltro era stato ambasciatore statunitense in Russia dal 2005 al 2008, per ammonire direttamente Putin, del resto in qualche modo suo ex-collega dato il suo passato di ufficiale del KGB. L’impiego di un capo dell’intelligence per una missione diplomatica non è inusuale e già nel 2018 Trump si era avvalso dell’allora capo della CIA Mike Pompeo per preparare le aperture con la Corea del Nord, promuovendolo poi a segretario di Stato.

Ma fra Burns e Putin è probabile che il colloquio riservato sia avvenuto con scambio di reciproche minacce. Nel frattempo, il 12 novembre si apprendeva che “funzionari USA hanno avvisato l’Unione Europea del rischio di invasione russa dell’Ucraina”, esplicitando ormai l’inizio del “secondo round” tuttora in atto. Mosca rispondeva protestando per la partecipazione di bombardieri strategici americani Rockwell B-1B Lancer a esercitazioni nel Mar Nero e inviando a sua volta un paio di Tupolev Tu-160 a volare vicino alla Scozia, sollecitando il decollo su allarme di intercettori Eurofighter Typhoon della Royal Air Force.

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Gli ucraini, intanto, aumentavano a 90.000 soldati la stima delle forze russe schierate, cifra subito ripresa dai media americani. Poco dopo, il 15 novembre, i russi lanciavano un loro messaggio non verbale dimostrando le loro capacità di guerra spaziale con il primo test balistico reale del missile antimissile e antisatellite A-235 Nudol, che dal poligono di Plesetsk ha raggiunto una quota superiore ai 400 chilometri centrando in pieno un vecchio satellite in disuso in orbita polare, l’ex-sovietico Cosmos 1408.

Monito terribile per le forze americane che, in virtù della loro estrema sofisticazione sono anche le più dipendenti al mondo dai satelliti da ricognizione, comunicazione e geoposizionamento. Tutto ciò avveniva nel quadro di tensioni anche fra Stati Uniti e Cina, alleata del Cremlino, motivata dalla questione di Taiwan e anche dalla stipula dell’alleanza AUKUS fra USA, Gran Bretagna e Australia in funzione anticinese.

Il 24 novembre il ministro della Difesa Segei Shoigu si è consultato col collega cinese Wei Fenghe in videoconferenza, lamentando l’esecuzione da parte americana dell’esercitazione Global Thunder con cui le forze aeree strategiche americane si sono addestrate all’attacco atomico contro la Russia: “Questo mese almeno 10 bombardieri pesanti americani si sono addestrati alla specifica ipotesi del lancio di ordigni nucleari sulla Russia, durante le esercitazioni Global Thunder, con voli di avvicinamento sia Est che da Ovest”.

Il 29 novembre, presiedendo a Riga, in Lettonia, una riunione dei ministri degli Esteri della NATO, il segretario Lens Stoltenberg invitava la Russia “alla de-escalation”. Al vertice l’alleanza concordava sul fatto di “affrontare la maggior espansione della sua difesa collettiva dopo la fine della Guerra Fredda”, menzionando “l’assistenza alla Polonia e alle repubbliche baltiche sui confini con Russia e Bielorussia” e l’aumento a 40.000 uomini della Forza di reazione rapida.

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Proprio in Lettonia si svolgevano in quegli stessi giorni le esercitazioni NATO Winter Shield 2021, fino al 4 dicembre. Da Kiev si alimentavano voci di un possibile “colpo di stato” orchestrato da Mosca “attorno all’1-2 dicembre”, poi mai verificatosi.

D’altronde, all’allarme sui 90.000 soldati russi schierati “a 300 km dal confine ucraino”, il Cremlino rispondeva sostenendo che “l’Ucraina ha dislocato metà di tutte le sue forze armate, 125.000 uomini con armi pesante, nel Donbass, aggravando deliberatamente la crisi”.

E il 2 dicembre, nel giorno in cui secondo gli ucraini i russi avrebbero dovuto organizzare un golpe a Kiev, era invece l’FSB ad arrestare in Crimea tre agenti segreti ucraini che avrebbero dovuto far saltare in aria installazioni importanti, come una grande antenna radio per le comunicazioni della Flotta Russa del Mar Nero. Si trattava di Zynovy e Igor Koval (padre e figlio), secondo i russi membri del servizio di sicurezza ucraino SBU, e di Oleksandr Tsylyk, presunto uomo del Direttorato Intelligence del Ministero della Difesa di Kiev.

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Il 4 dicembre 2021 il Washington Post iniziava a diffondere voci di provenienza della CIA e da foto satellitari, secondo cui gli Stati Uniti stimavano possibile “l’invasione dell’Ucraina per l’inizio del 2022 e su più fronti”, vagheggiando il raggiungimento di una forza di 175.000 uomini scaglionati in “100 gruppi tattici” con carri da battaglia e artiglieria.

Il clima in quei giorni iniziava a farsi pesante, col freddo colloquio in videoconferenza fra Putin e Biden il 7 dicembre e la contemporanea (non a caso) attivazione in Alaska del primo esemplare di Long-Range Discrimination Radar (LRDR) alla base aerea Clear. Un nuovo sistema a lunghissimo raggio asservito alla difesa antimissile degli USA e che sarebbe in grado di distinguere le vere testate dalle esche, evitando errori ai missili antimissile di Fort Greely, deputati a fermare gli ordigni provenienti da Russia o Asia.

Non aiutava il “summit delle democrazie” organizzato da Biden il 9-10 dicembre come paravento per riaffermare l’egemonia statunitense sul “mondo libero” emarginando Russia e Cina e cercando di far dimenticare la figuraccia in Afghanistan. A rinfocolare la tensione nel Donbass, frattanto, il 12 dicembre, fonti della repubblica do Donetsk hanno denunciato un attacco ucraino a mezzo di droni, che ha ucciso due miliziani filorussi.

 

Le richieste russe

Il 15 dicembre 2021 il Ministero degli Esteri russo ha consegnato alla vicesegretaria di Stato americana Karen Donfried, in visita a Mosca, le richieste scritte per una duratura stabilizzazione dell’Europa Orientale. Mosca chiedeva, e chiede tuttora, che venga messo nero su bianco il divieto all’Ucraina di entrare nella NATO, mantenendola stato-cuscinetto, oltre al “ritiro delle forze nucleari” sui rispettivi territori nazionali, “perchè le due potenze non usino i territori di paesi terzi per organizzare attacchi contro l’altra parte” e alla proibizione di missili a medio raggio.

Riferimenti, questi, al citato sospetto russo di utilizzo di Deveselu e Redzikowo come basi per Tomahawk o futuri missili a medio raggio più veloci, come il Lockheed PRSM. I russi dicono di puntare a “evitare un confronto militare con l’America, poichè in una guerra nucleare non ci sono né vincitori né vinti”. Fra i dettagli, le richieste comprendono il “mantenere la distanza massima fra le navi e gli aerei delle due parti” e vietare “esercitazioni sopra il livello di brigata vicino ai confini fra Russia e NATO”. Il 18 dicembre il Dipartimento di Stato di Washington cassava le proposte del Cremlino, riassumendo nella formula: “Sì al dialogo con Mosca, ma proposte inaccettabili”.

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Non solo, l’indomani il giornale tedesco Der Spiegel rivelava che il comandante militare della NATO, generale Tod Wolters aveva annunciato in un briefing riservato l’esatto contrario di ciò che chiedeva Mosca, cioè l’aumento delle forze interalleate in Bulgaria e Romania, con la creazione in ognuno dei due paesi di una brigata di 1.500 soldati inquadrata nella Enhanced Forward Presence.

Vedendo che passavano i giorni, ma non giungeva risposta alle proprie richieste, i russi hanno alzato i toni. Il 21 dicembre il viceministro degli Esteri Alexander Grushko ammoniva: “La Russia reagirà in modo proporzionato. Se la NATO installerà sui territori dei suoi membri armi offensive in grado di raggiungere i nostri centri di comando in pochi minuti, noi faremo lo stesso”.

Da Mosca, già in quei giorni si lanciava l’allarme su possibili “provocazioni nel Donbass con mercenari americani”, stimando in “120 i mercenari già presenti in Ucraina per l’addestramento delle forze speciali di Kiev”. Alla fine di dicembre si susseguivano, un primo annuncio russo di “ritiro di 10.000 uomini per la fine delle manovre”, sebbene USA e NATO ribattessero che erano ancora schierati oltre 100.000 uomini, e, fra il 16 e il 31 dicembre 2021, lanci ripetuti di missili ipersonici Zircon da unità navali come dimostrazione di forza russa nel settore degli ipersonici, condita dalla pittoresca decorazione da parte di Putin del capo progettista del missile, Boris Obnosov, col titolo di “Eroe della Russia”, corrispettivo odierno dell’antico “Eroe dell’Unione Sovietica”.

Dopo un’infruttuosa telefonata fra Biden e Putin, il presidente americano ha sentito il 3 gennaio 2022 l’omologo ucraino Zelensky, parlandogli di “reazione risoluta” USA in caso di invasione del suo paese, ma nelle stesse ore il portavoce dei ribelli filorussi del Donbass, Ivan Filiponenko, parlava di concentramenti di truppe ucraine a Valuyskoye, lungo la linea di contatto, “per organizzare un punto di designazione bersagli per l’artiglieria, in previsione di un’offensiva”.

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Lo stesso giorno, a riconferma del clima incerto anche nelle alte sfere, le cinque potenze nucleari del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ossia Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, si premuravano di firmare un memorandum comune che recitava: “Dichiariamo che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare, che non dovrebbe mai essere scatenata”. Il gennaio del 2022 era anche caratterizzato dalla rivolta in Kazakhstan contro il presidente Qasim Jomart Tokayev, fomentata secondo i russi da “forze esterne infiltrate nel paese”.

Da molti considerata una possibile azione di disturbo per “prendere Putin alle spalle” sottraendo il Kazakhstan alla sfera d’influenza del Cremlino, la rivolta veniva in pochi giorni debellata anche grazie a truppe russe e di altri paesi della CSTO, l’Organizzazione di Sicurezza che comprende, oltre alla Russia, anche Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.

L’8 gennaio, sulla scia della rivelazione da parte inglese di un incidente segreto avvenuto “nel tardo 2020” a 320 km al largo della Scozia, dove la fregata Northumberland della Royal Navy sarebbe entrata in collisione con “sottomarino d’attacco russo captato dai sonar”, il nuovo capo di stato maggiore delle forze britanniche, ammiraglio Sir Tony Radakin, ha minacciato che “se i russi taglieranno i nostri cavi di comunicazione sottomarina, sarà considerato un atto di guerra”.

Pochi giorni dopo, fallivano i colloqui del 10 e 12 gennaio, in bilaterale a Ginevra e in ambito Russia-NATO a Bruxelles, fra i capi delegazione americano e russo, la vicesegretaria di Stato Wendy Sherman e il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov. Così come il summit Russia-OSCE del 13 gennaio. Intanto la stampa russa dava risalto con foto e video al primissimo volo dalla pista di Kazan, il 12 gennaio, del primo bombardiere strategico Tupolev Tu-160M interamente di nuova costruzione.

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La stampa americana, intanto, ha seguitato a evocare scenari di totale rottura con Mosca, come quando il 17 gennaio il New York Times ha rilanciato sull’ipotesi di armi nucleari russe dispiegate “vicino alle coste americane”, non solo perchè basate in futuro a Cuba o Venezuela, ma anche per l’avvicinamento dei sottomarini SLBM e in particolare dei misteriosi e colossali siluri-droni Status-6 Poseidon, con testata da 100 megatoni accreditata della capacità di creare maremoti sulla costa USA.

E mentre il 21 gennaio Blinken e Lavrov si incontravano inutilmente a Ginevra, dall’America il Bulletin of the Atomic Scientists, rendeva noto che “anche nel 2022 manterremo il simbolico orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock) alle ore 23.58.20, solo 100 secondi prima della mezzanotte”. E’ dal 2020 che l’associazione scientifica mantiene la lancetta così vicina all’ipotetico scoccare della guerra nucleare, il peggior livello di sempre, anche peggio che nei momenti più cupi della Guerra Fredda.

Quasi a corroborare i timori degli scienziati atomici, e sempre come messaggio verso il Cremlino, alla fine di gennaio l’US Strategic Command, che dalla sede nella base aerea Offutt di Omaha, in Nebraska, comanda la “triade” atomica intercontinentale (missili da rampe terrestri, ordigni sganciati da bombardieri e missili lanciati da sottomarini) ha tenuto le esercitazioni Global Lightning per provare la catena di comando e le comunicazioni fra basi e reparti, nonché la prontezza operativa per prepararsi, su ordine tempestivo, a pigiare i bottoni dell’Apocalisse.

Gli statunitensi hanno collaudato i nuovi terminali di comunicazione detti FAB-T, in grado di collegarsi ai satelliti Milstar anche in condizioni di estesa guerra nucleare e di distruzione di ogni altra telecomunicazione.

Ciò garantisce alle forze nucleari il contatto coi generali e col presidente degli Stati Uniti. Secondo Newsweek, a gennaio 2022 i terminali FAB-T installati erano 37 in basi terrestri e 50 su aeroplani d’attacco nucleare o da ricognizione. Altri sistemi testati sono l’MMPU, il sistema di comunicazioni delle basi dei missili Minuteman III, e il Common Very Low Frequency, a bassa frequenza, imbarcato sui bombardieri invisibili B-2 Spirit. E’ stato provato anche il Presidential and National Voice Conferencing System, con cui il presidente USA può parlare in videoconferenza, a viva voce, coi reparti atomici.

 

Manovre pericolose

Verso la fine di gennaio 2022, è emersa la posizione più moderata della Germania in ambito NATO, dato il suo bisogno di gas russo e il suo interscambio con Mosca. Gli USA hanno dovuto spedire a Berlino il capo della CIA Burns per spronare personalmente il cancelliere Olaf Scholz a tenere ancora bloccato il gasdotto North Stream 2, avviando nel contempo trattative con altri paesi produttori di gas, come il Qatar, per trovare metano alternativo a quello russo a beneficio degli alleati europei, ma sperando anche di poter aumentare le loro quote di esportazioni verso l’Unione Europea del gas liquefatto americano trasportato via nave.

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Ma da subito emergeva la sostanziale insufficienza delle alternative, dato che il Qatar e altri estrattori devono servire primariamente nazioni molto “energivore” come il Giappone o la Corea del Sud e che aumentare l’estrazione e il trasporto si può fare in tempi lunghi, non nell’immediato. Biden ha poi annunciato il rafforzamento del dispositivo militare nei paesi NATO dell’Est, dapprima con “un massimo di 8.500 soldati”, fra cui 2.500 uomini in Polonia e 1.000 di un battaglione di veicoli da combattimento ruotati Stryker in Romania.

Il 30 gennaio, a una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dedicata alla crisi, volavano parole grosse fra l’ambasciatrice statunitense Linda Thomas-Greenfield e l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya, il quale le ha rinfacciato il precedente del 2003, quando l’allora segretario alla Difesa Colin Powell mentì sulle armi biochimiche di Saddam Hussein per giustificare l’invasione americana dell’Iraq.

Nelle stesse ore passavano dal Canale di Sicilia, dopo essere entrate in Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra 6 navi da sbarco russe, cinque della classe Ropucha e una della nuova classe Ivan Gren. Le unità Ropucha (Olenegorsky Gorniak, Kaliningrad, Minsk, Georgi Pobedonosets e Kondopoga) sono vecchie, ma rimodernate. Lunghe 112 metri, dislocano 4080 tonnellate e possono portare 10 carri armati pesanti e 340 soldati ciascuna, o in alternativa 3 carri pesanti, 8 carri leggeri e 12 autoblindo anfibie BTR.

La nave classe Gren, la Pyotr Morgunov, è invece nuovissima, operativa dal 2018, lunga 135 metri e dislocante 6.600 tonnellate. Può far sbarcare 13 carri pesanti, o 40 blindo BTR, e 300 soldati. In totale, la flottiglia porterebbe forse 1.500 soldati e 60 carri.

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Sono state sorvegliate da aerei americani, come i pattugliatori P-8 Poseidon di base a Sigonella o i caccia F-18 Hornet imbarcati sulla portaerei Harry Truman, affiancata dal sottomarino nucleare Georgia, dalla portaerei italiana Cavour e dalla fregata tedesca Schleswig-Holstein. La squadra russa si è poi congiunta con altre navi russe provenienti dal Mar Rosso, via canale di Suez.

Sono l’incrociatore Varyag, il cacciatorpediniere Admiral Tributs e il rifornitore Boris Butoma, reduci da un’esercitazione nell’Oceano Indiano insieme a navi di Cina e Iran. Insieme ad altre unità, per un totale di 15 navi e 40 aerei, i russi hanno poi condotto dal 16 febbraio un’ampia esercitazione, a cui ha presenziato perfino il ministro della Difesa Sergei Shoigu, durante la quale alcuni caccia russi Su-35 hanno intercettato e sfiorato con passaggi ravvicinati un ricognitore statunitense P-8 Poseidon, che evidentemente spiava i movimenti delle navi russe.

Fra gennaio e febbraio, del resto, la flotta russa ha mobilitato 140 navi e sottomarini di tutte le sue flotte, per manovre in alto mare. E mentre unità russe s’allenavano al largo dell’Irlanda, il 1° febbraio ben 4 bombardieri strategici nucleari russi Tupolev Tu-95 hanno volato vicino alla Scozia e sono stati intercettati e allontanati da caccia britannici Eurofighter Typhoon decollati dalla base della RAF di Lossiemouth. Anche sul fronte del Pacifico fervono le manovre russe. Nelle acque delle isole Curili la flotta di Mosca ha scoperto il 12 febbraio “un sottomarino americano”, si dice classe Virginia, che forse spiava le manovre.

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Stando al Ministero della Difesa russo, l’unità subacquea USA avrebbe ignorato gli appelli radio che le intimavano di “emergere immediatamente”. E’ intervenuto il cacciatorpediniere Marshal Shaposhnikov, unità classe Udaloy da 7.000 tonnellate e lunga 163 metri. Per Mosca, la nave “ha usato i relativi mezzi e il sottomarino ha lasciato le acque russe alla massima velocità”. Forse, per “relativi mezzi” i russi intendevano una bomba di profondità intimidatoria?

A Kiev, intanto, sono giunte forniture di armi anglo-americane, specie i missili anticarro Javelin, dotati di doppia carica cava in tandem per poter perforare, in due rapidissime fasi, sia le piastrelle di corazza reattiva aggiuntiva applicate sui carri armati russi, sia la vera e propria corazza dello scafo. Ma non mancano droni turchi Bayraktar TB-2, in parte già acquisiti dall’esercito ucraino, in parte promessi il 3 febbraio dal premier turco Recep Erdogan e dal suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu nel corso di una visita a Kiev.

Erdogan in questa crisi sta tentando di condurre un gioco tutto suo, avendo buoni rapporti sia con i russi, da cui compra i missili antiaerei S-400 in barba agli strali della NATO, sia con gli ucraini, e ancora il 16 febbraio ha reso noto di aspirare a fare da mediatore tra le due nazioni slave. Il 4 febbraio Putin, volato a Pechino ospite del presidente cinese Xi Jinping per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi Invernali, firmava con lui nuovi contratti strategico-economici, rinsaldando l’asse Russia-Cina che, a detta di molti commentatori è stato, nell’arco dell’ultimo ventennio, il risultato finale della politica di emarginazione del colosso russo dall’Europa, voluta primariamente da Stati Uniti e Gran Bretagna.

La tensione era così alta che il 5 febbraio l’agenzia Bloomberg lanciava su internet per errore il flash “la Russia invade l’Ucraina”, ritirandolo poco dopo imbarazzata. Proprio l’inizio delle Olimpiadi Invernali ha contribuito a diffondere l’opinione che la Russia non avrebbe mai attaccato l’Ucraina prima della fine dei giochi, il 20 febbraio, per non violare la consuetudine della “tregua olimpica” auspicabile per tutti i conflitti, e soprattutto per non fare uno sgarro all’amico Xi.

Mentre si aprivano i Giochi di Pechino, atterravano a Jasionka, in Polonia, i primi dei 1.700 soldati americani dell’82a Divisione “Airborne” inviati da Washington di rinforzo a Est, unitamente a 1.000 d’un battaglione di Stryker attesi in Romania e 300 destinati alla Germania.

I militari ucraini, intanto, attuavano esercitazioni perfino nella “zona morta” dell’area radioattiva attorno a Chernobyl, per la precisione presso la città fantasma di Pripjat. L’esercito ucraino ha potuto così compiere esercitazioni in zona urbana con munizioni vere. E il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov sosteneva che “la zona radioattiva dovrebbe fare da scudo” a una vasta parte del confine con la Bielorussia: “E’ una zona difficile da attraversare, con foreste, paludi e fiumi ed è ancora radioattiva”.

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I russi stavano in quel momento rafforzando il loro schieramento in Bielorussia per ulteriori manovre previste dal 10 al 20 febbraio, il che portava ormai la NATO a valutare, su tutta la fascia di confine russo e bielorusso con l’Ucraina, almeno 130.000 uomini.

Dal canto loro, i russi hanno risposto che, su 250.000 componenti totali dell’esercito ucraino, almeno metà sarebbero schierati sulla sola linea di contatto col Donbass “con appostamento offensivo. Il 10 febbraio sono iniziate le manovre russe in Bielorussia, che dovevano terminare il 20 febbraio, ma sono poi proseguite per vari giorni, con dispiegamento di 30.000 soldati, aerei da caccia Sukhoi e missili antiaerei S-400.

Al loro avvio presenziava il capo di stato maggiore delle forze armate russe, quel generale Valery Gerasimov, a cui la NATO ha attribuito la presunta (ma non confermata) “dottrina Gerasimov” sulla guerra asimmetrica e l’infiltrazione, secondo una tendenza propagandistica occidentale a presentare come tipiche solo degli avversari delle democrazie, “malvagi” per definizione, tattiche d’inganno e mascheramento in verità comuni in ogni guerra e in ogni paese.

Una telefonata fra Biden e Putin il 12 febbraio si è arenata sulle rispettive posizioni, mentre atterravano alla base britannica di Fairford 4 bombardieri pesanti americani Boeing B-52, provenienti dalla base di Minot, in North Dakota, come parte della deterrenza verso il Cremlino.

La rete statunitense NBC diffondeva presunte rivelazioni della CIA sui piani russi: “Sono 9 le direttrici che l’esercito russo imboccherebbe in Ucraina. E’ la stima di US Army e CIA secondo cui carri armati di Mosca potrebbero raggiungere Kiev in 48 ore.

La Russia ha schierato ai confini quasi 100 su 168 gruppi tattici a livello battaglione, composti da 800 a 900 soldati ciascuno, mentre altri reparti affluiscono ogni giorno. Sarebbero dispiegate anche 6 unità speciali Spetsnaz: ogni unità è composta da 250 a 300 combattenti d’élite”. Una tale precisione potrebbe non essere dovuta alle sole foto satellitari, pur prodotte e diffuse in gran copia nelle ultime settimane, ma farebbe ipotizzare spie della CIA fra i russi perfino a livelli di comandi o di stati maggiori! A meno che non sia parte della guerra di propaganda.

 

Stretta finale?

Alcuni membri della NATO, come Ungheria e Croazia, si sono sfilati dalle parole d’ordine antirusse, criticando l’alleanza, e la stessa Turchia, che pure è il pilastro del settore Sud Est, di fatto si mantiene in posizione intermedia. All’inizio di febbraio, la CIA stimava che l’offensiva russa potesse scattare già il 16 febbraio, ma prima di tale scadenza, Shoigu ha preannunciato la “fine di alcune manovre” e l’inizio di un parziale ritiro. Il 14 febbraio il Center for Defense Strategies stimava le forze russe schierate su posizioni avanzate in “147.000 soldati su 87 gruppi tattici”.

Il 16 febbraio Biden, dopo aver inviato in Polonia caccia F-15 dell’USAF, ha messo in dubbio il ritiro russo parlando di “assenza di verifiche” e mostrando foto satellitari di “nuovi elicotteri e aerei in arrivo vicino al confine con l’Ucraina”, segnatamente elicotteri da trasporto truppe Mil Mi-8 e da combattimento Mil Mi-24, Mi-35 e Kamov Ka-52 presso il lago Donuzlav, in Crimea, e aerei da caccia Sukhoi Su-34 sulla pista di Primorsko-Akhtarsk, sulla sponda russa del Mar d’Azov.

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Mentre l’intelligence americana rilanciava una nuova data ipotetica d’attacco per il 21 febbraio, dopo la fine delle Olimpiadi Invernali di Pechino, Putin ha ribadito più volte negli ultimi giorni che “se le richieste russe non verranno accettate, prenderemo misure tecnico-militari”. Il 16 febbraio i russi reiteravano comunicati sul ritiro di vari loro reparti: “Le unità carriste del Distretto Militare Occidentale sono state riportate alle loro basi permanenti dopo essere state trasportate per mille chilometri su ferrovia”. Il tutto accompagnato da immagini e video postati su internet.

Poi, il 17 febbraio, il New York Times sembrava per la prima volta ammettere i timori russi relativi alle basi americane di Redzikowo e Deveselu, e il 18 febbraio da Mosca si davano altri esempi del ritiro come “il ridislocamento in altri aeroporti della Russia di 10 bombardieri Sukhoi Su-24 spostati dalla Crimea” e la notifica che “un altro treno militare con personale e attrezzature delle unità di carri armati del Distretto Militare Occidentale è tornato alla sua base permanente di Nizhny Novgorod”. In Occidente, invece, si continuato a pensare a un bluff russo.

Il 18 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha azzardato che la Russia avrebbe schierati in posizione minacciosa contro l’Ucraina, “fra 169.000 e 190.000 soldati”, desunti da rapporti CIA su cui non si può dire dove finisca la realtà e inizi la stima a scopo intimidatorio. Già il giorno prima, il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sosteneva che “la Russia si prepara a combattere perchè stanno facendo scorte di sangue”, per trasfusioni ai feriti.

Spiega: “Ero un soldato. So in prima persona che non fai ciò senza motivo”. Vero è che prepararsi per ogni evenienza non è un delitto, specialmente se si teme che incidenti possano essere fabbricati dall’altra parte. Austin s’è recato poi il 18 febbraio in visita in Polonia e, proprio approfittando della tensione, ha propiziato per l’America un affare da 6 miliardi di dollari concordando la vendita all’esercito polacco di ben 250 carri armati pesanti M1 Abrams.

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Frattanto, dal 17 febbraio si è ricominciato anche a sparare nel Donbass. La milizia di Donetsk per prima ha denunciato quel giorno che “gli ucraini hanno sparato sul villaggio di Mandrykino cinque granate da 82 mm”. I filorussi hanno reagito colpendo un asilo nido a Stanytsia Luhanska, col ferimento di due insegnanti.

Si sono susseguiti scambi di granate su molte località anche nei giorni seguenti e, in particolare, il 18 febbraio a Donetsk sono risuonate le sirene d’allarme, mentre presso il palazzo del governo locale un attentato ha fatto deflagrare l’automobile, una jeep UAZ verde oliva del comandante della Milizia Popolare di Donetsk, Denis Sinenkov, che però si è salvato. La milizia dichiarava inoltre di “aver sventato una infiltrazione di sabotatori ucraini”.

Nelle ore seguenti, i presidenti di Donetsk e Lugansk, Denis Pushilin e Leonid Pasechnik, ordinavano l’evacuazione di donne, vecchi e bambini in Russia, nella zona di Rostov, mobilitando invece tutti gli uomini validi dai 18 ai 55 anni a difesa del territorio. Alla mattina del 21 febbraio, risultavano già 61.000 i civili russofoni che avevano passato il confine, e le autorità del Donbass stimavano che l’obbiettivo era porne in salvo fino a 500.000.

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Sarebbe in atto un gioco di provocazioni reciproche per far precipitare la situazione. Si sa che gli ucraini denunciano la presenza in Donbass di mercenari/contractors russi della compagnia Wagner, ma secondo Mosca e i secessionisti le stesse forze di Kiev si avvarrebbero di mercenari/contractors occidentali delle compagnie Lancaster-6 e Academy (ex Blackwater). Inoltre, il 18 febbraio Lavrov ha detto: “Abbiamo informazioni secondo cui mercenari da Kosovo, Albania e Bosnia-Erzogovina (filoamericani in contrasto con la vicina Serbia filorussa) stanno per essere inviati nel Donbass”.

I miliziani di Donetsk, che conterebbero su una loro rete di spie abbastanza ramificata in tutta l’Ucraina Orientale, ritengono che “l’esercito di Kiev prepara uno sbarco sulla costa del Mar D’Azov, fra i villaggi di Sartana e Kominternovo, a Est di Mariupol” e che “gli ucraini sono già pronti a trasferire presidenza e parlamento da Kiev a Lvov all’inizio delle ostilità”. D’altro canto, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha elencato possibili incidenti orchestrabili dai russi per accusare gli ucraini: “Un attacco terroristico inventato dentro la Russia, la scoperta di una fossa comune, un finto attacco con droni contro civili o un attacco finto o addirittura uno reale usando armi chimiche”.

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Il 19 febbraio le autorità di Donetsk hanno accusato l’agente segreto ucraino Anton Matsanyuk, tuttora detenuto, per l’attentato con autobomba del giorno prima al capomilizia Sinenkov. Inoltre, i militi di Lugansk hanno disinnescato un ordigno esplosivo nascosto da sabotatori sotto il ponte stradale fra Malogvardeysk e il valico di frontiera di Izvarino, su cui transitano gli autobus dei profughi.

La sventata strage avrebbe creato una provocazione anche più grave delle attuali. Le milizie di Lugansk hanno anche dichiarato, il 20 febbraio, d’aver respinto un tentativo di sfondamento del fronte attuato dalla 79° Brigata di paracadutisti di Kiev, che “avrebbe cercato di passare il fiume Seversky Donets ritirandosi con gravi perdite”.

Basta insomma una scintilla per dar fuoco alla prateria, e lo stesso Putin è parso alquanto scettico sulla volontà avversaria di un’intesa: “L’Occidente troverebbe comunque il pretesto per appiopparci nuove sanzioni”.

Il 19 febbraio 2022, insieme all’alleato bielorusso Alksandr Lukashenko, ha assistito di persona, dalla sala comando del Cremlino, a esercitazioni delle forze missilistiche strategiche russe, le RVSN, o Raketnye Vojska Strategičeskogo Naznačenija, ossia “Truppe dei Razzi Strategici da Guerra”, nonché delle forze nucleari dell’Aeronautica e della Marina, che hanno eseguito lanci di missili balistici e da crociera per dimostrare all’Occidente la prontezza operativa del deterrente nucleare russo.

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Le RVSN, guidate dal generale Sergei Karakayev, schierano 320 missili intercontinentali lanciabili da silos sotterranei o da rampe mobili autocarrate. Molti di essi hanno testate multiple MIRV, perciò la RVSN è forte di 1200 testate nucleari.

Nel corso delle manovre, un missile Yars, che porta 4 testate, dal poligono di Plesetsk ha centrato un bersaglio in Kamchatka, distante 5800 km. Nei cieli artici della Novaja Zemlja, caccia Mig-31 hanno sparato gli ordigni ipersonici Khinzal (“pugnale”), mentre navi e sottomarini hanno testato missili da crociera Zircon e Kalibr.

Peraltro, nella continua gara mediatica volta a diffondere inquietudini, la stampa britannica, e soprattutto il Mirror, ha diffuso il 20 febbraio la voce secondo cui i russi penserebbero di impiegare, contro le forze corazzate ucraine, e anche come mezzo per abbattere il morale del nemico, un’arma convenzionale dagli effetti simili a quelli di una bomba atomica miniaturizzata.

Sarebbe la nota bomba termobarica FOAB, dall’inglese per Father of All Bombs, “Padre di tutte le bombe”, che in russo si dice PVB, Pàpa Vseh Bomb, ma il cui acronimo ufficiale è AVBLM, cioè Aviazionnaja Vakuumnaja Bomba Povishennoi Moshnosti, che tradotto letteralmente suonerebbe “bomba a vuoto (“vacuum”) ad alta potenza per aerei”.

Le Forze aerospaziali di Mosca l’hanno sviluppata fin dal 2007 e, dato l’ingombro, può essere portata da un bombardiere Tupolev Tu-160. E’ lunga 7 metri e pesa 7 tonnellate, ma la sua forza equivale a quella di 44 tonnellate di tritolo, grazie a esplosivi segreti in grado di sviluppare altissime pressioni e temperature. Sembra che l’ordigno sia stato impiegato nel 2017 in Siria durante incursioni russe contro l’ISIS e distruggerebbe tutto nel raggio di 300 metri. Sarebbe dunque più potente della bomba termobarica americana MOAB (Madre di tutte le bombe), alias GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast, lunga 9 metri per 9800 kg di peso, che gli USA hanno in servizio dal 2003 e hanno usato in Afghanistan. L’ordigno statunitense avrebbe una forza pari a “sole” 11 tonnellate di tritolo per un raggio letale di 150 metri.

 

Terra e mare

Il braccio di ferro, dunque continua ed è difficile vedere per ora la luce in fondo al tunnel. Quando il 15 febbraio 2022 Putin aveva ricevuto al Cremlino il cancelliere tedesco Scholz per uno dei tanti tentativi di trattativa delle ultime settimane, all’ipotesi di una moratoria limitata, per esempio a 10 anni, sull’entrata dell’Ucraina nella NATO, lo “zar” aveva risposto deciso che “la questione va risolta adesso una volta per tutte”.

Si ha l’impressione che la Russia sia pronta a giocare il tutto per tutto, “ora o mai più”, per porre degli stabili paletti al fronte NATO, magari sperando in cuor suo che lo sbattere contro un muro possa rappresentare il prodromo di una sorta di ricaduta all’indietro dell’intero schieramento occidentale. La partita potrebbe quindi essere epocale, anche perchè ha radici molto antiche.

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L’asse delle potenze marittime anglosassoni, non tollera, storicamente, una potenza terrestre egemone nel Vecchio Continente. Non è un caso che nell’attuale crisi siano stati americani e britannici, anche più degli ucraini, a soffiare sul fuoco paventando l’imminenza di una invasione russa e mostrando inflessibilità sul presunto destino occidentale di Kiev.

E’ la più recente espressione di un timore atavico del mondo inglese, proiettato sugli oceani e le colonie esterne, verso un continente europeo unificato che poteva invaderlo o affamarlo. Già nel XVI secolo era guerra aperta fra l’Inghilterra della regina Elisabetta e la Spagna degli Asburgo, che sotto Carlo V, e ancor più sotto Filippo II la minacciava, anche per motivi religiosi data la recente spaccatura fra cattolici e protestanti. Come sappiamo agli spagnoli andò male il tentativo di sconfiggere gli inglesi con l’Invincibile Armada, la grande flotta cattolica che nel 1588 fu logorata e battuta dai galeoni capitanati da abili corsari ed esploratori del calibro di Sir Francis Drake.

A quel tempo la Russia dello zar Ivan il Terribile era lontana e remota, al di là dei mari ghiacciati boreali, e solo un piccolo nucleo di “merchants adventurers” britannici faceva la spola fra Londra e il porto di Arcangelo, nel Mar Bianco, facendo perfino balenare a Ivan il sogno di proporsi come sposo di Elisabetta e realizzare una “unione personale” (a quell’epoca abbastanza in voga fra le monarchie europee) fra Russia e Inghilterra che avrebbe letteralmente ribaltato il corso successivo della storia.

Così non fu, ma la Russia risultò due secoli dopo un utile alleato dell’Inghilterra contro la Francia di Napoleone Bonaparte, il nuovo nemico che cercava all’inizio del XIX secolo d’unificare l’Europa. Per punire gli inglesi, che col loro denaro finanziavano regolarmente tutte le coalizioni antifrancesi, Napoleone decretò il 21 novembre 1806 il “blocco continentale”, vietando in pratica a tutti gli stati europei di commerciare con l’Inghilterra o di comprare merci britanniche. Alcuni mesi dopo, il 25 giugno 1807, egli saldò all’Impero francese quello russo, stipulando un patto con lo zar Alessandro I incontrandolo su una sontuosa zattera a Tilsit sul fiume Niemen.

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L’incubo di un blocco eurasiatico si era materializzato per gli inglesi, ma fu relativamente breve. L’alleanza franco-russa cominciò a vacillare già nel 1810, poiché i russi cominciarono a violare il blocco continentale e a riavvicinarsi agli inglesi, temendo che Napoleone si stesse accordando con gli Asburgo d’Austria a loro detrimento. Ne scaturì la guerra del 1812, seguita dalla nota invasione della Russia che fu la tomba della Grande Armeè e prologo della definitiva sconfitta del Còrso.

Nonostante i russi le fossero stati utili per abbattere Napoleone, gli inglesi presero durante tutto l’Ottocento a reputarli dei nemici sempre più insidiosi, soprattutto per la loro spinta geopolitica verso i mari caldi.

Così, la Gran Bretagna, con gli alleati Francia e Piemonte, intervenne a fianco della Turchia nella guerra di Crimea del 1853-1856, proprio per impedire che la pressione russa sull’Impero Ottomano li portasse oltre i Dardanelli e giù fino al Mediterraneo, a insidiare la via delle Indie.

Più tardi fu la volta del “Grande Gioco” in Asia Centrale, che ebbe uno dei suoi punti culminanti nell’annessione della regione turkmena di Merv da parte dell’Impero Russo nel 1884, che associata a un collegamento ferroviario la regione del Caspio avrebbe consentito ai russi, secondo il rapporto d’intelligence “The Defence of India”, di spostare almeno 95.000 soldati e calare sull’Afghanistan e poi sull’India.

All’inizio del XX secolo, con l’alba della geopolitica come dottrina, il geografo scozzese Sir John Halford Mackinder formulò per la prima volta nel 1904 una dottrina coerente che, nelle sue linee essenziali, è ancora seguita dall’asse Londra-Washington.

Egli notò che l’immensa area centrale dell’Eurasia, soprattutto fra la regione della Moscovia, degli Urali e della Siberia, che chiamò Heartland (Terra Cuore) era praticamente invulnerabile all’azione delle potenze navali perchè lontana dalle coste e protetta dalle vastissime estensioni delle steppe, dei deserti e della taiga, mentre perfino sul versante

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Nord le difficili acque dell’Oceano Glaciale Artico e le desolate coste della tundra non offrivano comunque appoggi sufficienti per grandi sbarchi. L’Heartland coincideva per la maggior parte col territorio occupato dalla Russia. E con la modernizzazione di quell’impero, favorita dalla costruzione di ferrovie strategiche come la Transiberiana e dall’industrializzazione, l’Heartland poteva mobilitare le sue enormi risorse, spostandole a Est o a Ovest per linee interne, senza che l’Impero Britannico potesse attaccarlo in patria.

Nella Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Russia furono alleate grazie alla mediazione della Francia e al fatto che avevano come nemico comune la Germania, ma dopo la rivoluzione bolscevica si temette sempre più che la Russia potesse in qualche modo coalizzarsi con la Germania e le sue capacità tecnologiche, arrivando a egemonizzare insieme a essa l’Europa e a guadagnare mari caldi da cui minacciare Londra.

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Alla conferenza di Versailles del 1919 Mackinder fu tra i sostenitori della politica atta a dividere la Russia dalla Germania frapponendo fra di esse una barriera di nuovi stati originati dal crollo dell’Impero Zarista e di quello Austroungarico, come la Polonia, la Cecoslovacchia o l’Ungheria.

Tenendo conto del sorgere degli Stati Uniti d’America come nuova potenza mondiale, erede dell’Impero Britannico anche in fatto di potenza marittima, e più tardi aeronautica, lo studioso scozzese perfezionò la sua teoria sostenendo che l’Heartland avrebbe teso a controllare la cosiddetta Inner Crescent, o Mezzaluna interna, cioè le regioni peninsulari e insulari dell’Eurasia come l’Europa Occidentale, il Vicino Oriente, l’India, la Cina, la Corea e il Giappone, emarginando la Outer Crescent, la Mezzaluna Esterna da lui identificata con l’arco che dalle Americhe piegava verso Africa e Australia.

Gli Stati Uniti sarebbero stati espulsi dal sistema di potere mondiale se confinati nel loro emisfero da un Heartland che avesse progressivamente preso il controllo, come impero o più plausibilmente come blocco di alleanze, di ciò che Mackinder chiamò Isola Mondo, o World Island, cioè i tre continenti classici del mondo antico: Europa, Asia, Africa.

 

Sfida secolare

Fu nel 1919 che Mackinder coniò il suo celebre sillogismo: “Chi controlla l’Europa dell’Est controlla (o comanda, nell’originale inglese, egli scrive “commands”) l’Heartland, chi controlla l’Heartland controlla l’Isola Mondo, chi controlla l’Isola Mondo controlla il Mondo”. Già nel 1922 il trattato di Rapallo fra Germania e Russia fece temere un sodalizio del genere, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti, nonostante l’isolazionismo di questi ultimi, si considerarono già alleati di lungo periodo, come testimonia la conferenza navale di Washington che riservò solo al condominio anglosassone la parità delle flotte al vertice della classifica, tenendo il Giappone, e ancor più Francia e Italia, assai distanziati.

Il patto russo-tedesco di Rapallo fu utile per scambi tecnologici e anche per consentire ai militari tedeschi di addestrarsi in segreto nelle steppe russe coi mezzi proibiti dal trattato di Versailles, cioè gli aeroplani, a Lipetzk, i carri armati, a Kazan, e le armi chimiche, a Samara. Ma ancor più esplicito fu il patto Ribbentrop-Molotov (dai rispettivi ministri degli Esteri) del 23 agosto 1939, con cui in pratica Adolf Hitler e Josif Stalin si spartirono la Polonia.

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Se il patto Berlino-Mosca non fu duraturo, fu a causa delle differenze ideologiche, ma non è azzardato dire che la Seconda Guerra Mondiale avrebbe avuto tutt’altro esito se Hitler, durante la visita del ministro degli Esteri sovietico Molotov a Berlino, nel novembre 1940, fosse riuscito a convincerlo a far aderire l’URSS al Patto Tripartito che la Germania aveva appena stipulato con Italia e Germania. Il rifiuto sovietico di un blocco continentale a quattro potenze portò infine il Fuhrer alla disastrosa decisione di invadere la Russia il 22 giugno 1941 con l’Operazione Barbarossa.

Come fra Napoleone e Alessandro, anche fra Hitler e Stalin, la “luna di miele” durò poco e prevalsero i sospetti reciproci. E come la Grande Armeè, anche la Wehrmacht fu inghiottita da pianure gigantesche che annunciavano già il margine occidentale di un Heartland dalle cui profondità scaturivano legioni di carri armati T-34 che non finivano mai.

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Mackinder nel 1943 aggiornò la sua teoria sostenendo che anche lo sviluppo dell’aviazione contribuiva alla superiorità dell’Heartland come fortezza naturale inespugnabile, consentendo di bombardare da basi nell’entroterra le teste di ponte anfibie sulle coste dell’Inner Crescent. Nel dopoguerra la teoria di Mackinder, che intanto era morto nel 1947, fu alla base della dottrina del contenimento dell’Unione Sovietica, quando gli Stati Uniti, con la presidenza di Harry Truman, decisero di rimanere in forze in Europa, a differenza di quando nel 1918 se ne erano tornati in patria appena battuta la Germania del Kaiser.

Fondata la NATO nel 1949, per opporre un antemurale all’espansione del comunismo, gli americani allargarono poi la loro influenza a varie nazioni della “mezzaluna”, dal Pakistan al Giappone, per tentare di imprigionare l’URSS fra i suoi ghiacci. Grazie all’intuito di Henry Kissinger, nel 1972 gli USA riuscirono di fatto perfino ad allearsi con la Cina dell’anziano Mao Zedong, che pur comunista era in rotta con Mosca da anni, ponendo le basi per la successiva apertura agli investimenti occidentali che a partire dalle riforme di Deng Xiao Ping del 1979 avrebbero col tempo portato al boom produttivo cinese che ancora oggi spaventa il mondo.

Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991, sembrava a prima vista tramontata la minaccia, ma la NATO rimase, principalmente per assicurare agli Stati Uniti il controllo dell’Europa Occidentale. La Russia sembrava allora, con la presidenza di Boris Eltsin, condannata alla decadenza e Zbigniew Brezinski ne caldeggiava presso Bill Clinton il depauperamento delle risorse, ma l’attacco della NATO alla Serbia nel 1999 e l’inizio dell’allargamento a Est fecero capire a Mosca che era ora di ricostruire, pian piano, la potenza perduta.

Dal 2000 la leadership di Vladimir Putin e del suo entourage ha così lavorato per contendere agli Stati Uniti lo spazio europeo, peraltro iniziando già nel 2001 a riavvicinarsi alla Cina allora guidata da Jiang Zemin con la firma del trattato SCO, l’Organizzazione di Shanghai.

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Gli anni successivi sono stati caratterizzati dal continuo rafforzamento della NATO, in sostanza, per mantenere i destini strategici della Russia e dell’Europa divisi, sebbene in alcuni casi già Putin avesse mandato segnali forti, come con la guerra in Georgia del 2008, che infatti impedì alla fine l’adesione del paese caucasico all’alleanza. Poi, nel 2014, la rivolta di piazza Maidan a Kiev, appoggiata verosimilmente dalla CIA, e il rovesciamento del presidente filorusso Viktor Yanukovich aprirono la crisi del Donbass e portarono al primo grande scontro, sfociato con l’annessione della Crimea alla Russia e con sanzioni tuttora perduranti. E ora siamo arrivati alla fase successiva, forse decisiva.

Nelle intenzioni di Washington e Londra, qualsiasi rischio vale il tenere in piedi la compattezza della NATO e l’impedire che l’Europa si inserisca in un sistema continentale con Russia e Cina, forse prefigurabile, in parte, nei piani della Nuova Via della Seta, tale da rendere l’Eurasia nel suo complesso autosufficiente rispetto al mondo anglosassone. Sarebbe il compimento dell’Isola Mondo prefigurata da Mackinder.

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La potenza americana non potrebbe verosimilmente sopravvivere, ai livelli attuali, emarginata nel suo emisfero, coi soli mercati e risorse residui, tenuto conto anche del fatto che da ormai 50 anni il dollaro non è più convertibile in oro e se non è carta straccia è ancora per la reputazione da superpotenza degli USA e per lo status di unità di riferimento nel mercato petrolifero. Putin e il suo staff sanno bene tutto ciò e anche da parte loro c’è una propensione al rischio nella crisi attuale, allo scopo perlomeno di arrivare a patti che limitino l’alleanza e, forse, ne costituiscano una prima crepa che possa allargarsi col tempo.

Il Donbass, certo, è un obiettivo da difendere, ma è solo una piccola parte del dramma. Un effetto deleterio lo giocherà senz’altro la brutta abitudine delle democrazie moderne di demonizzare l’avversario ritenendolo “inferiore” e non degno di riconoscimento paritario diplomatico. Il che può solo essere foriero di sventure perchè un Occidente avvitato su sé stesso e vittima del proprio sciovinismo ideologico nei confronti del resto del mondo rischia di giudicare e muoversi in una realtà fittizia, “drogata” dall’ideologia.

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E di ideologia sono morte le dittature del passato compresa l’Unione Sovietica, anche in questo la storia dovrebbe rendere più cauti e flessibili i governi dei paesi NATO. Se, come sembra probabile, da ambo le parti non ci saranno cedimenti, resterà solo il dilemma fra una guerra “calda”, ancorchè regionalizzata, tipo “guerra di Spagna del 1936” per evitare disastri nucleari, con tutto ciò che ne consegue, e una più probabile Seconda Guerra Fredda che significherà anni e anni di nuovi stati d’assedio su scala planetaria.

Se il gioco delle sanzioni e contro-sanzioni si facesse troppo duro e si delineassero blocchi continentali contrapposti, ciò significherebbe l’affossamento, forse definitivo, della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni, peraltro in un clima economico mondiale sorpreso dai venti di guerra a metà del guado, proprio mentre si stava riprendendo a fatica dalle perturbazioni della pandemia Covid-19.

Foto: Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Sukhoi, Russian Helicopters, NATO, TASS e Twitter

Mappe: Alamy, Stratfor e BBC

Vignetta: Alberto Scafella

https://www.analisidifesa.it/2022/02/escalation-tra-russia-e-ucraina-putin-riconosce-i-secessionisti-di-donetsk-e-lugansk/

La guerra in Ucraina. Una svolta per la difesa europea?_di  Nicolas Gros Verheyde

In questi giorni deve aver sorpreso l’improvvisa determinazione della Commissione Europea e della gran parte dei Capi di Governo, in particolare tedesco e francese, nel sostenere la resistenza del governo ucraino all’intervento militare russo e nell’avviare un imponente programma di riarmo, presumibilmente a prevalente beneficio del complesso militare-industriale americano. Dopo i tentennamenti e la cautela rispetto ai timori riguardanti le ricadute negative delle sanzioni, nel giro di ventiquattro ore ogni incertezza sembra svanita sino a raggiungere livelli parossistici di condanna dell’azione militare e di impegno a fornire assistenza militare ai resistenti. Hanno lasciato agli Stati Uniti il comodo ruolo del protagonista in ombra e offerto alla NATO una efficace cortina fumogena alle sue azioni certosine. Si tratta paradossalmente di una rivendicazione disperata di esistenza con atteggiamenti e comportamenti più realistici del re, ma che ne rivelano l’inconsistenza politica, la pericolosità e soprattutto la irresponsabilità rispetto alle sorti dei popoli europei. Siamo al perseguimento di una politica da stato di emergenza che ha trovato nella pandemia l’occasione, il pretesto e la pratica di assuefazione ad esso della popolazione. Con questi atti la UE ha rinunciato ad ogni ambizione ad un ruolo di mediazione tra i contendenti. Non poteva essere altrimenti, visto il peccato originale costitutivo della UE. Da qui a rivelarsi una misera e vanagloriosa mosca cocchiera di decisioni altrui c’è voluto un nulla. L’unico aspetto positivo è la caduta delle maschere: quella della UE come potenziale entità autonoma rispetto all’alleanza atlantica; quella dell’esercito comune europeo, ridotto a strumento di ulteriore integrazione, controllo e subordinazione alla NATO delle forze militari degli stati nazionali europei. La retorica europeista di personaggi come Macron in materia di difesa punta soltanto alla competizione sul ruolo di coprotagonista da assumere nell’agone europeo. Non gli bastano evidentemente i ripetuti ceffoni subiti in Africa e nel Pacifico. In settimana pubblicheremo la tabella di marcia che ha portato all’esplosione di questa crisi. Una tabella dettata molto più dagli Stati Uniti, che dalla Russia. Un tentativo di annichilire l’anello debole, o presunto tale, del sodalizio Russia-Cina e di ricondurre a più miti consigli il gigante asiatico, magari con la prospettiva di poter partecipare alla spartizione delle spoglie. Negli anni ’20 il progetto finì malamente per le decine di paesi che tentarono l’assalto all’Unione Sovietica appena nata; la lezione non è evidentemente bastata. Tanto meno agli utili idioti europei. Buona lettura, Giuseppe Germinario

(B2) Di fronte all’offensiva russa, i paesi europei hanno reagito, tardivamente, in modo alquanto irregolare . Ma hanno reagito . Se non possiamo dire che c’è una difesa europea, possiamo dire che c’è uno spirito di difesa europeo che si sta forgiando, sotto la pressione della crisi.

La reazione europea è eccezionale

È un fatto. Ma anche l’evento è eccezionale. Siamo di fronte a un evento che si verifica solo una volta ogni 30 o 40 anni. L’ultima è stata la guerra nei Balcani all’inizio degli anni ’90 con lo scioglimento della Jugoslavia. Ma la Russia non era direttamente coinvolta. L’altro precedente è più antico: lo schiacciamento della Primavera di Praga nel 1968 e prima ancora l’intervento militare per mettere a tacere la rivoluzione ungherese del 1956. Ma questi fatti risalgono a un’altra epoca, quella della Guerra Fredda. Dove tutti erano abituati, in fondo, a una guerra di blocchi.

Un cambiamento ideologico in atto

Di fronte a ciò, dopo un certo atteggiamento attendista (1), logico stupore per il susseguirsi degli eventi (2), l’Europa si è messa in moto, in maniera unita, concertata e decisa. Gli incontri si susseguono a ritmo frenetico (anche un po’ troppo, si potrebbe dire). E le decisioni si susseguono una dopo l’altra, senza sosta. Accanto agli strumenti classici (aiuti umanitari, assistenza finanziaria (3), sanzioni individuali ed economiche di settore), l’Europa sta innescando una più ampia batteria di sanzioni contro il cuore del Cremlino, gli oligarchi, Swift e la banca centrale (4) . Gli europei hanno compiuto un cambiamento ideologico accettando rapidamente di consegnare armi all’Ucraina (5). Una svolta operata insieme, in modo coordinato e con finanziamenti europei (vedi sotto). È importante sottolineare.

Un’unità rara

Gli europei sono uniti contro questa guerra. Come non lo sono mai stati. Naturalmente ci sono ancora alcune sfumature, dovute più alla storia di ogni paese. Ma non si può più parlare di dissenso. I blocchi e le parole dissonanti svaniscono di fronte allo scontro d’armi. Anche i paesi reputati amici di Mosca (Cipro, Bulgaria, Ungheria) stanno mettendo a tacere la loro opinione per passare sotto la bandiera comune (6).

L’uso di tutti gli strumenti

È una caratteristica di questa crisi. L’Unione Europea è determinata a utilizzare tutti gli strumenti. Tutti ! La pressione politica è reale, con un coordinamento molto stretto con tutti gli alleati (USA, Canada, Regno Unito… ma anche Svizzera). Lo strumento delle “sanzioni” è stato portato all’estremo in pochi giorni. Non importa il costo, come ha appena avvertito il capo della diplomazia europea Josep Borrell: “  Dobbiamo essere preparati a pagarne il prezzo ora, altrimenti il ​​prezzo sarà molto più alto in futuro. Ha inoltre deciso di mobilitare i suoi strumenti militari (come il centro di analisi satellitare dell’Unione) accanto a strumenti più tradizionali (aiuti umanitari, protezione civile, aiuti finanziari).

La mobilitazione del Fondo europeo per la pace: un cambiamento radicale

È soprattutto l’uso della struttura di pace europea per l’acquisto di attrezzature letali che è notevole. Quando conosciamo tutte le fitte che hanno preceduto la nascita di questa nuova capacità europea, destinata a porre rimedio a una lacuna europea, possiamo misurare il tempo percorso. Una decisione tanto più rara in quanto la cifra impegnata (mezzo miliardo di euro) non è trascurabile. Si tratta del 90% dell’importo annuo normalmente assegnato (7) allo strumento.

L’Unione Europea in prima linea

Certo, possiamo dire che l’Europa non impiega mezzi militari diretti. Ma nemmeno l’Alleanza Atlantica. Né nessun altro Stato membro. L’Europa non può fare di più dei propri Stati. Ciò che è straordinario, tuttavia, è il primo posto preso su tutti i fronti dall’Unione Europea. Di solito su un evento, soprattutto in termini di difesa, l’Alleanza Atlantica prende il suo posto non solo in termini militari, ma anche politici. Qui è il contrario. La NATO sembra essere in ritirata. Alla fine, si è riunito solo poche volte: una riunione (ordinaria) dei ministri e un vertice — mentre l’Unione europea si è già riunita quasi dieci volte secondo i nostri resoconti, tra cui due riunioni al vertice, quattro riunioni dei ministri degli Affari esteri, un riunione dei ministri della Difesa, una riunione dei ministri dell’Interno e dell’Energia. Concatenando decisione dopo decisione. Anche in termini di coordinamento militare (8).

Un’assenza: diplomazia e interposizione

L’unico rammarico è che, paradossalmente, nonostante tutti gli sforzi di ciascuno, l’Unione europea rimanga piuttosto assente da quella che è stata la sua forza: la diplomazia. Non è stato nominato alcun rappresentante speciale. Non è stata costituita alcuna squadra di negoziatori. Nessun ministro o capo di stato è stato chiaramente assegnato. E, soprattutto, non è stata formulata una posizione chiara per la composizione del conflitto, a parte i consueti appelli al cessate il fuoco e alla fine della missione sul campo. Ovviamente ci chiamiamo regolarmente. E la presidenza francese del Consiglio dell’Ue ha preso alcune iniziative, molto mediatiche, ma per il momento poco efficaci (vedi riquadro). Possiamo anche sorprenderci che l’Unione europea non abbia iniziato a offrire alle forze avversarie il suo intermediario, al fine di consentire un cessate il fuoco e squadre di osservatori. Probabilmente è troppo presto. Ma forse allora sarà troppo tardi…

(Nicolas Gros-Verheyde)

Una trattativa molto rumorosa e inefficace.Il presidente francese Emmanuel Macron sta facendo ogni sforzo per mantenere il dialogo con Vladimir Putin. È un fatto. E, soprattutto, lo fa sapere a gran voce. Così rumorosamente che viene da chiedersi se sia l'interesse del negoziato a controllare o l'interesse elettorale a predominare. Rimane un problema, il principale: finora questo non ha avuto ripercussioni da parte russa. Al contrario anche. Abbiamo l'impressione che ogni volta che il francese sia felicissimo di aver avuto al telefono la sua controparte russa e di aver ottenuto un microanticipo, il campo avversario si diverte a smentire le sue parole, sia a parole, sia in campo. La realtà è che una trattativa concreta ed efficace non avviene nella pubblica piazza. E soprattutto non da solo. Il presidente francese è automaticamente il più qualificato per negoziare? Non sono sicuro nemmeno se la Francia detiene attualmente la presidenza del Consiglio dell'Unione europea. Non ha mai mostrato talento in questo campo (cfr. Libia, Mali o Libano). Non è nella sua natura. Il principio, storicamente europeo, della coppia di negoziatori (franco-tedeschi), della troika negoziale (del tipo E3 o trio di presidenze), o di unala rinomata missi dominici è sempre stata, e sicuramente rimarrà, la migliore risorsa di una trattativa di stampo europeo. Nessun divertimento solitario. Oppure devi riuscire al primo tentativo (tipo Sarkozy nel 2008 con Georgia).
  1. Le prime reazioni sono state piuttosto morbide con pochi nomi aggiunti a una lista nera). Leggi: L’ Europa si appresta a passare alle sanzioni senza passione .
  2. Se ci basiamo sui vari scenari previsti internamente, dagli analisti della difesa dell’UE, ci troviamo nel peggiore dei peggiori scenari. Leggi: I russi a Mariupol, Odessa o la riva sinistra del Dnepr e Kiev?
  3. Gli aiuti macrofinanziari sotto forma di prestito di 1,2 miliardi di euro sono stati erogati in tempi record (pochi giorni).
  4. Leggi: Swift, Banca Centrale, Oligarchi. Europei e alleati concordano per una terza ondata di sanzioni .
  5. Leggi:  Guerra in Ucraina. Gli europei dimenticano i loro principi e forniscono armi. Un po.
  6. Leggi: European Peace Facility finanzierà attrezzature letali per le forze ucraine
  7. “ Non credo nei benefici delle sanzioni. [Ma] è in corso una guerra. Ora non è il momento di essere intelligenti, ma di essere uniti “, ha affermato lunedì (28 febbraio) il primo ministro ungherese Viktor Orban. Provenienti da un piantagrane europeo, queste parole sono d’oro.
  8. Leggi: Guerra in Ucraina. I ministri della difesa dell’UE mobilitano gli strumenti di difesa europei

File n. 92. L’Europa e la NATO affrontano l’intervento militare russo in Ucraina

(B2) La risposta di europei e alleati alla guerra russo-ucraina del febbraio 2022

La tensione sta crescendo

Martedì 15 febbraio 2022 . ” Più di 60 battaglioni ” di fucili e carri armati motorizzati, ” una decina ” battaglioni di missili Iskander e ” più di 30 battaglioni ” di artiglieria e lanciarazzi sono stati schierati negli ultimi mesi al confine ucraino dalla Russia, come conteggiato dall’estone Foreign Intelligence Service (Välisluureamet) nel suo rapporto sulla sicurezza 2022 pubblicato. Leggi: Il dispiegamento russo al confine ucraino dettagliato dai servizi estoni

mercoledì 16 febbraio 2022 . Plenaria del Parlamento Europeo (ordinaria) . A Strasburgo, i rappresentanti delle tre istituzioni (Consiglio europeo, Commissione europea, Alto rappresentante e Parlamento europeo) manifestano la loro unità .

mercoledì e giovedì 16 e 17 febbraio 2022 . Difesa ministeriale presso la NATO (ordinaria) . La NATO si sta preparando al peggio . La situazione è molto tesa vicino all’Ucraina. Nonostante la promessa della Russia di ritirare le sue truppe, non sta succedendo nulla. La Russia ha attualmente ” truppe sufficienti e capacità sufficienti per lanciare una vera invasione dell’Ucraina con un preavviso minimo o nullo “, avverte il segretario generale Jens Stoltenberg facendo il punto sull’incontro. Specifica: è “ la più grande concentrazione di forze in Europa dalla Guerra Fredda ”. Tutti gli altri soggetti sono eclissati. Leggi anche: La presenza in avanti rafforzata sul fianco orientale dell’Alleanza Atlantica. Stato di gioco e rinforzi annunciati (foglio di memoria)

Giovedì  17 febbraio 2022 . Eccezionale mini-vertice europeo . I 27 capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles si prendono un’ora del loro tempo prima del vertice UE-Africa per inviare un messaggio dissuasivo alla Russia: siamo uniti, non cercate di dividerci .

Sabato 19 febbraio 2022 . Il bombardamento di una scuola a Donetsk suscita una reazione europea. L’Alto Rappresentante, a nome dell’Unione Europea, denuncia in una dichiarazione al  vetriolo la pericolosa “escalation  portata avanti dalla Russia, esortando Mosca a ” degradare ” la situazione mediante ” un sostanziale ritiro ” delle forze militari dalla prossimità dei confini del Ucraina. Le ” violazioni del cessate il fuoco ” lungo la linea di contatto nell’Ucraina orientale, ” l’uso di armi pesanti e il bombardamento indiscriminato di aree civilicostituiscono una flagrante violazione degli accordi di Minsk e del diritto internazionale umanitario, aggiunge. Anche i paesi del G7 stanno reagendo  .

Il tuono di riconoscimento

lunedì 21 febbraio 2022 . Consiglio Affari Esteri (ordinario). Al termine dell’incontro, il presidente russo Vladimir Putin annuncia di voler riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale Luhansk e Donetsk. L’idea di un dialogo Biden-Putin voluto da Emmanuel Macron (Francia) si è schiantata contro il muro della realtà. L’Europa sta per passare alle sanzioni senza passione .

I 27 approvano il principio del sostegno alle scuole militari ucraine nell’ambito del Fondo europeo per la pace (leggi: Verso il sostegno alle scuole militari in Ucraina. Il via libera è concesso )

I ministri approvano l’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina (prestito di 1,2 miliardi di euro), annunciata dal presidente della Commissione europea a gennaio, senza dibattito.

Martedì 22 febbraio 2022 . Consiglio informale Affari esteri (eccezionale) . Gli ambasciatori dei 27 al Coreper II di Bruxelles iniziano a discutere del primo pacchetto di sanzioni. I ministri, a margine del Forum Indo-Pacifico, riuniti a Parigi nel pomeriggio, danno il via libera politico. Il Coreper 2 si riunisce di nuovo in serata per finalizzare un primo pacchetto di sanzioni che si sta mettendo in atto di fronte all’annessione dell’Ucraina orientale .

A Mosca , davanti ai media russi, Vladimir Putin spiega chiaramente la sua scelta e annuncia che il seguito – senza ambiguità – sarà militare. Gli accordi di Minsk sono morti. La Russia ha scelto: preferisce il lato oscuro della forza .

I rapporti interni analizzati dall’Intelligence Analysis Center (IntCen) dell’UE sono molto più pessimisti rispetto alle settimane precedenti. Stanno emergendo scenari, uno peggiore dell’altro. I russi fino a Mariupol, Odessa, o la riva sinistra del Dnepr e Kiev?

mercoledì 23 febbraio 2022 . Coreper . La seconda ondata viene convalidata dai rappresentanti permanenti dei 27, al termine di una procedura scritta accelerata avviata alle 15:00. Le misure sanzionatorie entrano in vigore poco dopo la mezzanotte. La pubblicazione nella Gazzetta ufficiale è stata ritardata. Un nome si è perso per strada. Chi è vicino a Putin e al settore della difesa nel mirino delle sanzioni europee.

1400 esplosioni. È il dato registrato dalla Missione di osservazione dell’OSCE (SMM) nelle province di Luhansk e Donetsk. comunicato stampa )

Inizia l’intervento militare russo in Ucraina

Giovedì 24 febbraio 2022 . Nelle prime ore del mattino, le truppe russe hanno attaccato l’Ucraina su più fronti, attaccando inizialmente le infrastrutture strategiche (basi militari, aeroporti, centrali idroelettriche, ecc.). Leggi:  Attacco russo su più fronti in una mappa .

Questa decisione suscita una risposta unitaria da parte degli alleati e degli europei che condannano con una sola voce, e in tutte le lingue, questa violazione dell’integrità dell’Ucraina e del diritto internazionale. Appelli alla ragione, condanne, sanzioni, citazioni di ambasciatori. Leggi: Europei e alleati condannano in coro l’intervento militare russo in Ucraina… e si incontrano per il futuro .

I parlamentari ucraini parlano con i loro omologhi europei. E chiedi il loro aiuto affinché l’Unione Europea prenda sanzioni molto forti. Leggi: La richiesta di aiuto dei parlamentari ucraini

(Editoriale) Il riferimento da tenere a mente non è la seconda guerra mondiale come alcuni sostengono. Ma l’intervento militare in Ungheria nel 1956. Le somiglianze sono importanti. Ma è anche importante pensare alla prossima mossa. Le forze russe potrebbero non prevalere facilmente in Ucraina. Ma a un certo punto dovremo fare la pace. La Russia attacca violentemente l’Ucraina. Cosa fare: niente, sanzionare o riflettere?

Riunione degli ambasciatori della NATO (NAC) . Gli alleati stanno tenendo consultazioni ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di Washington su richiesta degli Stati baltici e della Polonia. Inizio incontro: 8:30Si stanno compiendo ulteriori passi per rafforzare la deterrenza e la difesa in tutta l’Alleanza, insiste la dichiarazione della NATO . Gli  alleati condannano all’unanimità l’intervento militare .

Vertice europeo, straordinario . I leader dei 27 si sono incontrati nuovamente a Bruxelles alle 20 (gli ambasciatori si sono incontrati al mattino e poco prima del vertice). Obiettivo: proclamare Solidarietà con l’Ucraina e condanna della Russia . Ma soprattutto ascolta quello che ha da dire il presidente ucraino. Parole commoventi per ammissione di tutti. Tra serietà ed emozione. Il presidente ucraino Zelensky da solo contro i 27. E dà il via libera al secondo pacchetto di sanzioni predisposto dalla Commissione europea e dall’Alto rappresentante dell’Ue. Russia. Un secondo pacchetto di sanzioni in via di adozione. Tutti i dettagli! Obiettivo: ferire .

Forze russe (e bielorusse) avanzano verso Kiev

I combattimenti infuriano. Decretata la mobilitazione generale in Ucraina. I bombardamenti su Kiev raddoppiarono di intensità.

venerdì 25 febbraio 2022 . Vertice NATO, straordinario, a VTC (15-18) . Gli alleati si stanno nuovamente consultando in videoconferenza ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di Washington. Questa volta a livello di Capi di Stato e di Governo. La NATO entra in stato di allerta. Gli Alleati rafforzano la loro presenza sul fianco orientale. Si evidenzia l’articolo 5 (Vertice) .

Consiglio Affari esteri, straordinario, a Bruxelles (15-19) . I ministri convalidano formalmente il secondo pacchetto di sanzioni, ma esitano su una terza ondata . Si evidenzia un punto: congelati i beni di Putin e Lavrov. Swift continua.

Il secondo pacchetto di sanzioni è in vigore  con la pubblicazione dei testi in Gazzetta ufficiale poco dopo la mezzanotte.

La riserva EUFOR Althea (circa 500 uomini) viene chiamata come rinforzo in Bosnia-Erzegovina. Necessaria misura precauzionale. “ Stiamo assistendo a provocazioni nei Balcani, in particolare in Bosnia-Erzegovina ”, non esita ad allertare l’Alto Rappresentante Josep Borrell. La riserva EUFOR Althea ha chiamato come rinforzo in Bosnia ed Erzegovina. La paura del contagio russo.

Sabato 26 febbraio 2022 . Molti paesi annunciano la chiusura del loro spazio aereo alle compagnie aeree russe. Europei e Alleati annunciano una serie di misure. Swift, Banca Centrale, Oligarchi. Europei e alleati concordano per una terza ondata di sanzioni .

Gli europei e gli alleati concatenano le decisioni di consegnare armi all’Ucraina. Guerra in Ucraina. Gli europei dimenticano i loro principi e forniscono armi. Un po.

Sul terreno, 198 ucraini sono morti e 1115 persone sono rimaste ferite, riferisce il governo ucraino.

domenica 27 febbraio 2022 . 15:00 I ministri dell’Interno si riuniscono, in videoconferenza, sotto la Presidenza francese dell’Ue. Convengono di attivare la protezione temporanea per i rifugiati ucraini che arrivano in Europa e di coordinare la risposta agli attacchi informatici. La protezione temporanea potrebbe essere attivata per accogliere i civili in fuga dalla guerra in Ucraina. Per la prima volta

18:00 Il Consiglio (straordinario) Affari esteri si riunisce in videoconferenza. Dà il suo accordo politico per la terza ondata di sanzioni, comprese le sanzioni finanziarie annunciate sabato sera, il divieto dei cieli europei agli aerei russi, nonché la sanzione dei bielorussi . Danno il loro sostegno politico a una decisione senza precedenti: il finanziamento  tramite il Fondo europeo per la pace che finanzierà attrezzature letali per le forze ucraine .

I rappresentanti permanenti dei 27 del Coreper 2 plasmano le decisioni assunte politicamente dai ministri.

Lunedì 28 febbraio 2022 , i Ministri della Difesa dei 27 si incontrano (in videoconferenza) per vedere come convertire il finanziamento del Fondo europeo per la pace in sostegno concreto, ha annunciato domenica sera l’Alto Rappresentante. Guerra in Ucraina. I ministri della difesa dell’UE mobilitano gli strumenti di difesa europei

— La Gazzetta ufficiale inizia a pubblicare tutte le decisioni decise durante il fine settimana.

— Il presidente ucraino firma una lettera ufficiale in cui si chiede l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Leggi Diario 01.03.2022

Censurare la mente e il cervello_di Roberto Buffagni

Confermata la notizia che l’Università Milano Bicocca ha annullato un corso su Dostoevskij di Paolo Nori. Ometto ogni considerazione in merito alle libertà di pensiero, insegnamento, cultura, che evidentemente non interessano più.
Per comprendere la Russia, conoscere Dostoevskij è molto importante. Non solo: per comprendere i complessi rapporti tra Europa e Occidente, e la Russia – un immenso paese a cavallo tra Europa ed Asia, Occidente e Oriente – conoscere Dostoevskij, che li meditò per tutta la vita, è indispensabile.
La ratio di questo provvedimento è dunque la seguente: NON VOLER CAPIRE la Russia.
La Russia è stata designata come nemico dalla UE, e dall’Italia in essa. UE e Italia hanno compiuto atti di guerra: invio di armamento offensivo all’Ucraina, sequestro attivi Banca Nazionale Russa. Noi italiani e la UE siamo cobelligeranti dell’Ucraina, anche se non ce ne siamo ancora accorti.
La Russia è il nostro nemico, e con questo atto dichiariamo che NON vogliamo capire il nostro nemico. Evidentemente, riteniamo di non averne bisogno. Riteniamo che la superiorità delle nostre forze economiche e militari, e della nostra ideologia liberal-progressista, sia così soverchiante da rendere superfluo ogni sforzo di comprendere la cultura, la mentalità, il modo di sentire e di agire nel mondo del nostro nemico russo.
La Russia è una grande potenza, che dispone del maggiore arsenale nucleare al mondo. Essa ha esperito, nel corso dei secoli e ancora di recente, tragici conflitti bellici, che hanno messo in forse la sua stessa esistenza: ma pur attraversando immani sciagure, è sempre riuscita a ritrovarsi, a resistere, a sconfiggere i suoi nemici, facendo appello a forze che, per brevità, usiamo chiamare “patriottismo” e “nazionalismo”; ma che si radicano, nell’anima e nella memoria storica dei singoli e dei popoli, a una profondità ctonia che solo grandi uomini come Dostoevskij sanno parzialmente scandagliare: “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte.”
Sono queste, le vere e più potenti armi del nostro nemico russo. L’armamento convenzionale e nucleare è soltanto uno strumento materiale, certo indispensabile, al servizio di quelle forze ctonie e della traduzione razionale di esse ad opera della dirigenza politica e militare russa.
D’altronde, implicitamente lo conferma la strategia bellica euroamericana, che punta al “regime change” in Russia. Il “regime change”, infatti, può aver successo solo quando si riesca a sfaldare la solidarietà tra dirigenti e popolo, e a innescare il processo centrifugo di frammentazione della nazione, ossia a piegare e poi dissolvere “patriottismo” e “nazionalismo” nell’anima dei singoli russi, popolo e dirigenti.
I dirigenti politici russi hanno ripetutamente e ufficialmente chiarito che stanno conducendo il conflitto odierno a difesa di un interesse vitale della nazione. “Interesse vitale”, nel linguaggio delle relazioni internazionali, significa un interesse che lo Stato, e il popolo che esso organizza, deve difendere a tutti i costi. “A tutti i costi” significa che si è disposti a difendere l’interesse vitale con tutte, ripeto tutte, le proprie forze, armamento nucleare compreso.
Ma a noi non serve, capire il nostro nemico. Non abbiamo bisogno di intendere le sue motivazioni, i suoi riflessi condizionati, l’equazione personale dei suoi dirigenti politici, le tradizioni culturali e la mentalità del suo popolo, il suo modo di amare e di odiare, di provare compassione e disprezzo, il significato che esso dà a parole come “onore”, “casa”, “famiglia”, “madre”, “padre”, “Dio”, “patria”; né quali corde esse tocchino nell’anima sua: perché non crediamo che esista l’anima, o non crediamo che ce l’abbia il nostro nemico.
Nella nostra tradizione culturale europea, questo atteggiamento di arrogante rifiuto di capire ha un nome: “hybris”. Ne hanno chiarito il significato le opere che stanno a fondamento della nostra civiltà: le tragedie e le epopee della classicità greca.
La frase che oggi sentiamo ripetere sui media, che “la prima vittima della guerra è la verità”, risale a Eschilo, il maggiore dei tragici greci. Eschilo combatté contro l’Impero persiano. Fu autore di una tragedia, “I persiani”, scritta dal punto di vista del nemico esistenziale dell’Ellade contro il quale aveva combattuto vittoriosamente a Maratona, Platea, Salamina. A Maratona cadde suo fratello Cinegiro. Sulla propria tomba, Eschilo fece scrivere questo epitaffio: «Codesta tomba Eschilo ricopre, d’Atene figlio, padre fu Euforione: vittima di Gela dalle ricche messi. Il suo valor potrebber ben ridirlo di Maratona il piano e il Medo chiomato.»
La conseguenza fatale di “hybris” è “nèmesis”, la punizione degli Déi. A pagare il prezzo della giustizia divina può essere il colpevole di “hybris”, ma anche la sua famiglia, i suoi discendenti, il suo popolo. L’infrazione alla legge divina che commette chi si renda colpevole di “hybris” è questa: per la grecità, l’uomo sta a metà tra l’animale e il dio. Se precipita nell’animalità, o tenta di elevarsi alla divinità, l’uomo viola l’ordine del cosmo. La némesis divina lo rimette al suo posto, e ripristina l’ordine del cosmo.
Gli animali non hanno bisogno di sforzarsi di capire l’altro, perché non ne sono in grado. Gli Dèi non hanno bisogno di sforzarsi di capire l’altro, perché già sanno.
A quanto pare, noi, noi italiani, noi europei, non possiamo capire il nostro nemico perché non ne siamo in grado; e non abbiamo bisogno di capirlo, perché già sappiamo tutto di lui.

Putin ha accidentalmente avviato una rivoluzione in Germania, di Jeff Rathke

L’Europa tra timide velleità di resistenza e precipitosi ripiegamenti sotto l’ombrello atlantico. L’intervento militare russo in Ucraina deve costringere a centrare il focus dell’analisi e del confronto politico sul continente in cui viviamo quando la stretta che si prospetta sta spingendo alla ulteriore normalizzazione di tutta la classe dirigente e dell’intero ceto politico. I costi saranno però sempre più pesanti e drammatici, difficilmente sostenibili. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’invasione dell’Ucraina sta innescando un drammatico capovolgimento della grande strategia di Berlino.

Di  , presidente dell’American Institute for Contemporary German Studies della Johns Hopkins University.

La politica tedesca è normalmente caratterizzata da una cauta continuità, finemente equilibrata e lenta ad adattarsi alle mutevoli circostanze. Ma resta in grado di sorprendere. Nella scorsa settimana, il cancelliere Olaf Scholz e il suo governo hanno compiuto una rivoluzione nella politica estera tedesca, scartando nel giro di pochi giorni le ipotesi superate dei sogni di Berlino del dopo Guerra Fredda e stabilendo una rotta per il confronto con la Russia che porterà un aumento drammaticamente risorse e modernizzare le forze armate del Paese.

Ogni giorno ha portato nuove rotture con la tradizione tedesca. Il 27 febbraio, in una sessione straordinaria del parlamento tedesco (la prima riunione domenicale in assoluto), Scholz ha descritto l’attacco russo all’Ucraina come un “punto di svolta” che ha richiesto uno sforzo nazionale tedesco per preservare l’ordine politico e di sicurezza in Europa . Scholz ha annunciato la creazione di un fondo una tantum di 100 miliardi di euro (113 miliardi di dollari) per l’esercito tedesco quest’anno e ha impegnato la Germania a spendere il 2% del PIL per la difesa d’ora in poi. Ha evidenziato i contributi della Germania alla NATO e ha ampliato gli impegni, inclusa la sua presenza deterrente in Lituania e la messa a disposizione dei sistemi di difesa aerea tedeschi degli Stati membri dell’Europa orientale. Ha sottolineato il ruolo nucleare della Germania nella NATO e ha indicato che il governo avrebbe probabilmente acquisito velivoli F-35 invece dell’acquisto F/A-18 Super Hornet precedentemente pianificato. Il cancelliere ha sottolineato le responsabilità di Berlino all’interno della NATO, ma allontanandosi dallo stile della politica di difesa tedesca ha anche definito queste misure come garantire la sicurezza nazionale della Germania.mezzo milione di manifestanti in tutto il centro di Berlino.

Ed era solo domenica. Il giorno prima, il governo ha abbandonato la sua posizione come una delle ultime resistenze transatlantiche contro l’esclusione delle banche russe dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT e il ministero della Difesa ha annunciato che avrebbe fornito 1.000 sistemi anticarro e 500 armi antiaeree Stinger all’Ucraina, invertendo la politica di lunga data della Germania contro la fornitura di armi alle zone di crisi. (Berlino ha anche revocato le prese chiave ai paesi terzi che forniscono attrezzature di origine tedesca all’Ucraina.) Queste mosse storiche si sono aggiunte alle dure sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea a Mosca entro 24 ore dall’inizio dell’invasione russa, misure che ha colpito anche la Germania, dal momento che la Russia è uno dei primi cinque partner di esportazione e importazioneal di fuori dell’UE. Solo cinque giorni fa, il 22 febbraio, Scholz ha deciso di interrompere il processo di certificazione per il gasdotto Nord Stream 2.

In sette giorni, la Germania ha eliminato il suo più grande progetto energetico russo, ha imposto sanzioni che causeranno notevoli dolori in patria e ha istituito un corso che renderà la Germania il più grande investitore europeo della difesa, con i velivoli più avanzati e una crescente presenza in avanti nel centro e Europa orientale. Ci si può chiedere se i detrattori devoti della Germania a Washington se ne accorgeranno. Come è successo così rapidamente, quando i funzionari tedeschi avevano difeso così tenacemente le loro politiche di status quo per così tanto tempo?

La sfacciata brutalità della guerra del presidente russo Vladimir Putin all’Ucraina è la ragione più importante. Scholz e il suo governo hanno compiuto ogni sforzo diplomatico per evitare la guerra, inclusa la visita di Scholz il 15 febbraio a Mosca, in cui ha cercato di salvare il processo di Minsk. Putin ha avanzato le sue rimostranze percepite e la storia distorta – che Scholz in seguito ha definito “ridicolo” – e attraverso il suo riconoscimento delle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk ha effettivamente ucciso gli accordi di Minsk. Scholz e il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock sapevano per esperienza personale che la Russia aveva chiuso le strade della diplomazia.

I nuovi schieramenti politici della Germania hanno aperto la strada a questa rivoluzione. Il Partito socialdemocratico di Scholz (SPD) governa con i Verdi guidati dai valori e i Liberi Democratici liberali, entrambi i quali sostengono una linea più dura verso Mosca. Le ambizioni di trasformazione energetica del governo, che fissavano un obiettivo di neutralità del carbonio per il 2045, hanno ora acquisito una dimensione di sicurezza nazionale. Ciò potrebbe complicare la certezza a breve termine di un’adeguata fornitura di gas naturale, ma il ministro dell’Economia e del clima tedesco Robert Habeck dei Verdi ha colto la crisi russa come ulteriore giustificazione per accelerare la transizione verso le energie rinnovabili e costruire la rete energetica. Scholz ha formulato l’obiettivo per la Germania di costruire due terminali di gas naturale liquefatto “il prima possibile” come parte di uno sforzo nazionale per superare la sua dipendenza dai singoli fornitori.

All’interno del suo stesso partito, il pragmatico Scholz ha sostenuto una rivalutazione dell’approccio obsoleto dell’SPD nei confronti della Russia, basato sulla reciproca dipendenza economica e sull’eredità del controllo degli armamenti. L’invasione di Putin ha offerto a Scholz l’opportunità di cancellare la lavagna e non ha perso tempo. Di fronte a indifendibili azioni russe, l’ala “dialogativa” dell’SPD ha visto sgretolarsi le sue argomentazioni. Il più visibile sostenitore delle posizioni filo-russe , l’ex cancelliere Gerhard Schröder dell’SPD, è stato preso di mira dall’intera dirigenza del partito per le sue posizioni nei consigli di amministrazione di società energetiche russe come Nord Stream AG, Rosneft e, di recente, Gazprom (sebbene sia ancora in sospeso). Schröder è passato in poche settimane dall’essere una delle risorse più preziose della Russia in Germania a una responsabilità politica.

Infine, un po’ di merito va all’amministrazione Biden. Nonostante le pressioni del Congresso degli Stati Uniti e della comunità di politica estera, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha costruito con cura una partnership sulla politica russa, prima con la cancelliera Angela Merkel attraverso la dichiarazione congiunta di luglio 2021 sulla sicurezza energetica e poi difendendo l’approccio della Germania, anche durante il febbraio di Scholz. 7 visitaa Washington. Biden ha dovuto affrontare il contraccolpo dei repubblicani e di alcuni democratici, ma si è reso conto che un cambiamento nella politica tedesca della Russia avrebbe dovuto venire da Berlino, non essere imposto da Washington. Se Biden avesse ceduto alle richieste di sanzioni unilaterali degli Stati Uniti sul Nord Stream 2, avrebbe generato una risposta difensiva da parte del governo tedesco che avrebbe reso inconcepibile il completo ribaltamento della Russia di Scholz.

IL RESOCONTO DI UN AMERICANO A KIEV_tratto da visionetv.it

IL RESOCONTO DI UN AMERICANO A KIEV
Quando oggi ho scritto il post sulla prevedibile durata della prima fase della guerra, non avevo letto questo resoconto, tradotto da Visione TV, che sta facendo un ottimo lavoro (link del video tradotto dall’inglese nel primo commento).
E’ la dimostrazione che il pensiero può ricostruire la verità di una guerra, anche senza conoscere i fatti, purché sia graniticamente impermeabile alla propaganda.
Le azioni dei belligeranti, infatti, anche di quelli che la propaganda dipinge come mostri, sono sempre razionali e ragionevoli, tenuto conto dell’obiettivo che essi hanno.
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Oggi è sabato 26 febbraio ed è il terzo giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
La gente in USA non sembra capire niente di quello che concerne siffatta invasione, continuano a dire che la Russia sta fallendo nel suo attacco perché non ha preso le infrastrutture, non ha colpito ad esempio il sistema elettrico, non ha distrutto i ripetitori del telefono oppure ancora non ha colpito le riserve idriche, continuano a dire che non capiscono perché la Russia sembra avanzare per poi fermarsi ogni volta che incontra qualche una resistenza. E’ davvero mancanza di immaginazione da parte dei commentatori americani.
Perché vedete il modo americano di fare le cose è andare e distruggere una nazione, distruggere tutto, distruggere il sistema elettrico, i ripetitori telefonici , le riserve idriche, basta distruggere tutto, per poi avanzare, ma questo non è fare la guerra, questo è spianare tutto, annichilire il nemico. E lo abbiamo visto fare così tante volte in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, cioè hanno provato a farlo in Siria.
Ma allora cosa vogliono fare i russi? Non vogliono distruggere l’Ucraina, la vogliono prendere intatta, e non vogliono fare del male ai civili, perché dovrebbero voler far loro del male? Dal loro punto di vista se fanno male ai civili si creano dei nemici, quindi vogliono prendere l’Ucraina intatta, cambiarne la leadership politica e mettere una leadership che sia in linea con la Russia per ricavarne un alleato sulla lunga distanza. Ma se nel fare questo fanno del male ai civili, poi saranno proprio loro a mandare via il regime diretto da Mosca, non prendiamoci in giro. Vogliono un regime di marionette a cui gli ucraini siano più o meno indifferenti, non vogliono mettere nessuno al potere dopo aver reso la vita degli ucraini miserabile.
Quindi come stanno mettendo in atto la loro strategia? Stanno invadendo il paese in maniera molto rapida ed è sotto gli occhi di tutti quanto velocemente stiano invadendo l’Ucraina, senza colpire alcuna infrastruttura civile, ma solo colpendo obiettivi militari, e ogni volta che raggiungono una città e trovano una resistenza, intendo una seria resistenza da parte dell’esercito ucraino, si fermano e arretrano. In questo modo stanno li accerchiando, basta guardare una mappa. E’ una strategia tanto semplice quanto efficace, e stanno facendo questo in tutte le maggiori città, tipo a Kiev e Karkov, accerchiano le città e poi che fanno? Semplice: aspettano. Se circondi una città alla fine cadrà, non c’è un finale diverso.
Altra cosa che la gente sembra non capire è che vogliono prendersi l’esercito, e questo è il motivo per cui se vedete non ci sono state battaglie con centinaia o migliaia di morti o feriti. I russi è come se stessero prendendo l’Ucraina in punta di piedi. Per quel che riguarda lo spazio aereo, i russi posseggono lo spazio aereo ucraino al 100%. Ogni aereo che passa è russo. Non possiamo pensare all’esercito russo come all’esercito arretrato della seconda guerra mondiale, quello che vediamo oggi è l’esercito russo moderno, con una strategia ben precisa per catturare Ucraina ed esercito ucraino intatti. I russi hanno capito che una volta che avranno cambiato la leadership politica al paese, dovranno avere un esercito in loco che si prenda cura della nazione e delle persone.
E’ per questo che, come ho già detto, quando incontrano una resistenza maggiore, si fermano e arretrano. In occidente questa cosa è interpretata come debolezza, dicono che la Russia avanza molto velocemente ma poi non concretizza, perché è debole. Per la gente i russi sono deboli perché non sbaragliano l’esercito ucraino, e questo solo perché gli americani quando vanno in guerra fanno questo. distruggono l’esercito, e qualsiasi cosa che incontrino sul loro cammino, a loro non interessa. Ma ai russi si. ai russi invece interessa.
Una cosa che un mio amico mi ha fatto notare, una cosa che se ci si pensa è anche ovvia, è che i vertici militari ucraini, i generali e gli altri sono andati all’accademia militare insieme ai russi, erano compagni di scorribande fin da quando magari avevano 18 o 19 anni, bevevano insieme, uscivano insieme, si conoscono, si conoscono bene e non si vogliono uccidere tra di loro. Magari le loro vite si sono separate, ma gli anni passati insieme li mettono in una posizione in cui hanno qualcosa in comune e di certo non vogliono uccidersi l’uno con l’altro.
Una volta che i russi posseggono il cielo, lo sappiamo, ci mettono un attimo a colpire una zona e annichilirla causando una crisi umanitaria dalle proporzioni gigantesche ma loro non lo hanno fatto e non lo faranno. Come so questo? Perché hanno avuto tre giorni per farlo e niente, non l’hanno fatto. Sto facendo questo stupido video da un motel in centro a Kiev, pensate che potrei mai fare un video e avere linea internet se i russi facessero sul serio con l’Ucraina?
Mentre in occidente pensano che Putin e la Russia siano il male, la personificazione dell’anticristo. Non capiscono, non lo capite, e i vostri leader occidentali non vogliono di certo che capiate, leaders come Boris Johnson, Joe Biden, vogliono che vi immaginiate questa storia come un film della Marvel dove c’è il cattivo da demonizzare ed il cattivo è Putin, mentre gli americani insieme agli altri sono i cappelli bianchi, i bravi ragazzi che vinceranno il confronto.
Quello che mi da fastidio, e forse non è una cosa saggia da dire finché mi trovo qui in Ucraina, è che il regime di Zelensky invece vorrebbe vedere gli ucraini morti, non avrebbero problemi ad avere una crisi umanitaria. E come lo so? Lo so perché hanno dato le munizioni alla gente, da quel che so almeno 10 mila ak47. Se non hai pratica con un’arma del genere, puoi diventare molto pericoloso per la gente intorno a te e anche per te stesso. ci vogliono anni di training per imparare e sapere dove stai mettendo le mani, non è come nei film, è una cosa davvero pericolosa e davvero puoi farti seriamente male. Il regime di Zelensky non solo distribuisce le armi ma insegna alla gente come fabbricare ed utilizzare le molotov, vogliono fomentare la guerra, vogliono che la gente comune combatta contro i russi.
I russi hanno un esercito professionista, per cui se incontrano qualcuno di armato per la strada, sia un civile oppure un militare, gli sparano, non fanno discorsi. E se è un civile sarà il soggetto perfetto per una operazione fotografica in cui ritrarranno il civile morto per colpa del russo cattivo, e sarà presentato al mondo come scusa per le altre nazioni che verranno coinvolte come ad esempio gli Stati Uniti, fino a far arrivare la situazione ad un punto tale che le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili.
E’ il regime di Zelensky che sta facendo qualcosa di demoniaco, perché deve essere demoniaco il fatto di incoraggiare i civili a fare qualcosa di cosi pericoloso e irresponsabile. Inoltre il regime di Zelensky ha di fatto messo nelle mani dei civili artiglieria pesante, e come è normale e giusto, i russi hanno il diritto di distruggere queste armi, e quindi saranno costretti a colpire anche dei civili. Mettiamo il caso che una cosa del genere avvenga in mezzo a dei condomìni, ci saranno i russi che nel tentativo di disarmare gli ucraini si troveranno costretti ad uccidere i civili. Il regime di Zelensky ha distribuito queste armi in aree popolose proprio perché vuole che una cosa del genere accada.
Vi racconterò anche qualcos’altro che il regime di Zelensky sta facendo: stanno impedendo a tutti gli uomini tra 18 e 60 anni di lasciare la nazione, se provano ad andarsene sono arrestati e arruolati immediatamente nell’esercito ucraino. Così succede che molti uomini stanno scappando dalle città. Ma non scappano dai russi, scappano dall’essere arruolati a forza. Non hanno paura che i russi distruggano le loro abitazioni o facciano loro del male.
Ora le donne, i bambini e gli anziani stanno nascondendo gli uomini tra i 18 ed i 60 anni, e non è una cosa che ho sentito dire, ma che so personalmente di gente che conosco, con cui lavoro, con cui sono uscito, sono andato a bere insieme, al ristorante insieme, ci ho fatto affari. Hanno dovuto lasciare Kiev per la paura di essere costretti con la forza ad entrare nell’esercito ucraino. Gente di mezza età come me, bravissimi business men magari, che però sono delle schiappe a fare i soldati con in mano un’arma, senza un briciolo di esperienza.
Il governo ucraino, il regime di Zelensky sta facendo tutto questo. E perché lo stanno facendo? Beh non costringi certo i tuoi uomini ad arruolarsi a forza se pensi che stai vincendo, o sbaglio? No di certo. E seconda cosa, attraverso questo sistema coatto crei un’intera classe di rifugiati che ha paura di te, governo, non certo dei russi. Così in occidente si rivendono quei filmati di gente che scappa dalle città e vi dicono e voi dite ” guarda scappano perché hanno paura dei russi”, no, assolutamente, non è così, hanno paura del regime di Zelensky.
Ma se dovessi dire cosa mi spaventa di più, è dare armi in mano ai cittadini che non sanno nemmeno come utilizzarle, perché il solo fatto di dar loro delle armi non li rende assassini perfetti. Poi accade che li trovano i russi e cosa succede? Cosa succede con un’arma che nemmeno sanno come utilizzare? Succede che i russi sparano, e così si ha inutile spargimento di sangue, per un’arma che nemmeno dovrebbero avere tra le mani. E questo è davvero diabolico. Da qui come ho già detto il regime ci può costruire una photo op perfetta.
Non pensate che le cose che vi sto dicendo le stia dicendo perché sono pro Russia o pro Putin, a me non interessano le opinioni qui, ma solo i fatti, e questa è la verità. Sono qui a Kiev in centro e sto ancora aspettando che i russi invadano la città, quindi so ciò di cui sto parlando. E nulla di ciò che sto dicendo viene detto dai media mainstream, o sbaglio? Guardate, tiro ad indovinare perché nemmeno li seguo i media americani o europei perché so che sono solo un ammasso di menzogne.
Probabilmente quello che state ascoltando qui non lo avete mai sentito altrove, benissimo, lo sentite adesso. Cosa vi ho sempre detto in questo canale? Pensate con la vostra testa e chiedetevi sempre perché qualcosa che sta avvenendo, sta avvenendo nel modo in cui avviene. Qui non ci sono casualità, c’è sempre chi pensa alle cose affinché avvengano in un certo modo, e sicuramente questo è ciò che hanno fatto i russi, i russi hanno pensato ad ogni singola mossa.
L’unica cosa che c’è da sperare è che il regime di Zelensky fallisca nel tentativo che sta mettendo in atto di coinvolgere in questo conflitto America ed Europa, e che il regime crolli o se ne vada, e che la Russia sia in grado quindi di prendere l’Ucraina intera senza feriti o morti, o con il numero minore possibile. Se le cose non vanno così, la nazione intera sarà distrutta, milioni di persone verranno ricollocate, milioni di persone verranno uccise e questa è esattamente la stessa cosa avvenuta in Iraq. Speriamo di non avere un secondo Iraq.
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