Gli squilibri interni e internazionali, a cura di Jacopo1949

Con grande piacere,vi propongo la traduzione integrale di un capitolo del bestseller cinese de 2021 “置身事内:中国政府与经济发展》Potere intrinseco: Governo cinese e sviluppo economico di Lan Xiaohuan, professore associato (con incarico) della Scuola di Economia dell’Università Fudan.

Molti importanti opinionisti cinesi hanno raccomandato il libro, così come Lan, che ha conseguito il dottorato in Economia presso l’Università della Virginia nel 2012.

Wang Shuo, capo redattore dell’autorevole media cinese Caixin, lo ha raccomandato perché “rivela, in un linguaggio profano, come il principale attore dell’economia cinese – il governo – svolge il suo ruolo nel tenere il passo con lo sviluppo economico del Paese”. Se dovessi tirare a indovinare, il titolo del libro ha due livelli di interpretazione: uno è quello di mettersi nella situazione di capire le azioni del governo, e l’altro è quello di cogliere come le conseguenze si ripercuotono su tutti”.


Dopo l’ingresso nella Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, la Cina è diventata rapidamente la “fabbrica del mondo” e nel 2010 il valore aggiunto del settore manifatturiero ha superato quello degli Stati Uniti, diventando il primo al mondo. Nel 2019, il valore aggiunto del settore manifatturiero ha rappresentato il 28% del totale mondiale (Figura 7-1). Le esportazioni del Paese non sono solo elevate in termini di volume, ma anche di tecnologia, con il 30% delle esportazioni nel 2019 classificate come “prodotti ad alta tecnologia” e circa un quarto del totale delle esportazioni globali di tali prodotti ad alta tecnologia. Grazie all’enorme volume di produzione locale, la catena industriale globale sta convergendo in Cina e i fornitori locali si stanno rafforzando. Di conseguenza, il modello di esportazione della Cina non è più semplicemente un modello di “lavorazione per conto terzi” e la maggior parte del valore delle esportazioni viene creato a livello locale.

Nel 2005, per ogni 100 dollari esportati dal Paese, 26 dollari erano il valore dei componenti importati dall’estero e solo 74 dollari il valore dei componenti esportati.

Nel 2015, il valore delle forniture provenienti dall’estero è sceso dal 26% al 17%.

Dietro questi grandi successi, ci sono due problemi. Il primo è uno squilibrio nella struttura interna dell’economia: l’enfasi posta sulla produzione e sugli investimenti è relativamente poco attenta al benessere e al consumo delle persone, con il risultato di un consumo interno insufficiente rispetto all’enorme capacità produttiva e l’esportazione di prodotti che non possono essere assorbiti. Questo ci porta al secondo problema: l’instabilità della domanda estera e i conflitti commerciali. Negli ultimi 20 anni, la quota della Cina nel settore manifatturiero mondiale è aumentata dal 5% al 28%, in corrispondenza di un calo della quota del G7 dal 62% al 37%, mentre la quota di tutti gli altri Paesi è rimasta pressoché invariata (Figura 7-1). Non si tratta solo di un cambiamento radicale nel panorama economico cinese, ma anche di un cambiamento drammatico nella struttura economica dei Paesi sviluppati. Non sorprende affatto che di fronte a questo drastico adeguamento siano emersi conflitti commerciali e persino guerre commerciali.

La prima sezione di questo capitolo analizza gli squilibri della struttura economica interna, che sono direttamente collegati ai modelli di sviluppo economico dei governi locali e che influenzano anche gli squilibri del commercio estero. La seconda sezione esamina l’impatto e il contraccolpo dell’economia cinese sui Paesi stranieri, utilizzando come esempio la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. In questo contesto, nel 2020 il governo centrale ha proposto di “promuovere la formazione di un nuovo modello di sviluppo in cui il principale mercato domestico sia il pilastro e i cicli nazionali e internazionali si rafforzino a vicenda”. La sezione 3 analizza le condizioni necessarie per un tale modello e le relative riforme.

Sezione I. Basso consumo e sovraccapacità

La caratteristica più evidente dello squilibrio strutturale della nostra economia è il sottoconsumo. Nel 2018, la quota dei consumi delle famiglie sul PIL è stata solo del 44%, rispetto a quasi il 70% negli Stati Uniti e a circa il 55% nell’UE e in Giappone. (2) Dagli anni ’80 al 2010, la quota dei consumi totali (consumi delle famiglie + consumi delle amministrazioni pubbliche) sul PIL è scesa dal 65% al 50%, di ben 15 punti percentuali, prima di risalire gradualmente al 55% (Figura 7-2). La quota dei consumi delle famiglie sul PIL è passata dal 54% degli anni ’80 al 39% del 2010, con un calo di 15 punti percentuali. Il divario tra i consumi totali e i consumi finali della popolazione nella figura è rappresentato dai consumi pubblici, che sono rimasti relativamente stabili a circa l’11% del PIL.

Quando si assiste a un calo dei consumi in rapporto al PIL, si verifica una delle due cose: o diminuisce la quota di PIL a disposizione della popolazione, oppure la popolazione risparmia una quota maggiore del proprio reddito e il tasso di risparmio aumenta. In realtà, sono accadute entrambe le cose. Come si può vedere nella Figura 7-3, tra gli anni ’90 e il 2010, il reddito disponibile in percentuale del PIL è sceso dal 70% al 60%, con un calo di 10 punti percentuali, prima di risalire gradualmente al 65%. Il tasso di risparmio, invece, è aumentato di 10 punti percentuali rispetto al 25% dell’inizio del XXI secolo ed è diminuito solo negli ultimi anni. Sia il calo che l’aumento sono strettamente legati al modello di sviluppo economico guidato dai governi locali e hanno un impatto macroeconomico significativo.

Elevato risparmio della popolazione

Il nostro tasso di risparmio è molto elevato e negli anni ’90 ha raggiunto il 25-30%. Nello stesso periodo il tasso di risparmio negli Stati Uniti era solo del 6-7% e nei principali Paesi europei, come Germania e Francia, del 9-10%. Si ritiene che il Giappone abbia un alto tasso di risparmio, ma è solo del 12-13%. Le differenze nei tassi di risparmio tra i Paesi possono essere spiegate dalla cultura, dalle abitudini e persino dalla lingua e dalla sensibilità. Forse i cinesi sono sempre stati particolarmente parsimoniosi e non riescono a permettersi di spendere soldi. Alcuni anni fa è stato condotto uno studio affascinante sul rapporto tra lingue e tassi di risparmio nel mondo. Molte lingue (ad esempio l’inglese) hanno i tempi, quindi quando si parla di “passato”, “presente” e “futuro”, la grammatica deve cambiare, creando un senso di “distacco”. “Il futuro non è la stessa cosa del presente, quindi perché preoccuparsi del futuro quando si può vivere il presente? Per questo motivo le persone che parlano questa lingua hanno un tasso di risparmio più basso. Molte lingue (ad esempio il cinese e il tedesco) non hanno il tempo, e l'”io del passato”, l'”io di oggi” e l'”io di domani” si susseguono, per cui le persone hanno un tasso di risparmio più elevato. Ci sono molte altre teorie fantasiose, ma la lingua, la cultura e i costumi non cambiano nel tempo e non possono spiegare gli alti e bassi del nostro tasso di risparmio negli ultimi anni, quindi dobbiamo cominciare ad analizzare i cambiamenti dell’ambiente economico. La spiegazione prevalente è l’effetto combinato della pianificazione familiare, dell’insufficiente spesa del governo per il sostentamento delle persone (sanità,istruzione) e dell’aumento dei prezzi delle abitazioni. In seguito alla pianificazione familiare, la percentuale di bambini nella popolazione è diminuita rapidamente e la percentuale di persone in età lavorativa (14-65 anni) è aumentata, rendendo questi ultimi la principale fonte di risparmio. La riduzione del numero di figli ha ridotto l’efficacia della “crescita dei figli per la vecchiaia” e i genitori hanno dovuto aumentare i loro risparmi per la pensione. All’inizio del XXI secolo, solo i figli hanno iniziato a lavorare e con l’urbanizzazione, la riforma dell’edilizia commerciale e l’aumento dei prezzi degli immobili, non solo hanno dovuto risparmiare per una casa, sposarsi e crescere la generazione successiva, ma hanno anche dovuto condividere la pensione e le spese mediche di diversi genitori e persino dei nonni. Diversi elementi di questo processo sono legati alle amministrazioni locali. Il primo è l’aumento dei prezzi delle case, strettamente legato al modello di urbanizzazione guidato dai governi locali attraverso la “finanza fondiaria” e la “finanza della terra” (Capitoli 2 e 5). Nelle aree in cui l’offerta di terreni è limitata e i prezzi delle case aumentano rapidamente, le persone devono risparmiare per pagare gli acconti e i mutui, il che naturalmente aumenta il tasso di risparmio e riduce i consumi. Sebbene l’aumento dei prezzi delle case aumenti la ricchezza dei proprietari e possa teoricamente stimolare i consumi e ridurre il risparmio, l'”effetto ricchezza” dell’aumento dei prezzi delle case non è significativo, poiché la maggior parte dei proprietari possiede una sola casa, dispone di una liquidità limitata e i livelli di consumo sono ancora ampiamente limitati dal reddito. Nel complesso, quindi, l’aumento dei prezzi delle case ha ridotto i consumi e aumentato i risparmi.

In secondo luogo, il modello di sviluppo del governo locale, che privilegia la terra rispetto alle persone, ha portato a spendere una grande quantità di risorse per la costruzione di infrastrutture e la promozione degli investimenti, mentre la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone, come l’istruzione pubblica e la sanità, è stata relativamente inadeguata (Capitolo 5). Inoltre, per ragioni istituzionali, l’offerta di mercato di istruzione e assistenza sanitaria è limitata e i prezzi dei servizi di mercato sono elevati, per cui le famiglie devono aumentare i propri risparmi per far fronte a queste spese. Questo ha portato a un fenomeno unico: l’alto tasso di risparmio degli anziani in Cina. In generale, le persone risparmiano quando sono giovani e spendono quando sono vecchie, quindi il tasso di risparmio degli anziani è generalmente basso. Tuttavia, anche il tasso di risparmio dei nostri anziani è elevato, poiché devono sovvenzionare le spese abitative dei figli e l’istruzione della terza generazione, oltre alle proprie spese mediche. Inoltre, le amministrazioni locali pianificano la fornitura di servizi pubblici su base annuale in base alle dimensioni della popolazione iscritta al registro delle famiglie, il che non soddisfa le esigenze della popolazione residente che non ha un’iscrizione al registro delle famiglie. Queste persone hanno difficoltà a portare le mogli e i figli a vivere con loro, e quindi il loro consumo di beni durevoli, abitazioni e istruzione è basso. Hanno aumentato i loro risparmi e inviato denaro alle loro famiglie al di fuori dei confini regionali. Il gran numero di questi lavoratori espatriati contribuisce anche al tasso di risparmio complessivo.

Quota di popolazione a basso reddito

Le famiglie spendono poco non solo perché hanno un alto tasso di risparmio e possono risparmiare, ma anche perché davvero non hanno soldi. Dall’inizio del XXI secolo, la quota del reddito delle persone nella distribuzione complessiva della torta economica è diminuita, fino a 10 punti percentuali, prima di risalire di 5 punti percentuali (Figura 7-3). Non è sorprendente che questo cambiamento nel corso dello sviluppo economico sia stato seguito da un aumento. Nelle prime fasi di sviluppo, il processo di industrializzazione richiede input intensivi di capitale, la cui quota è naturalmente più alta che in una società agricola. Tra la metà e la fine degli anni ’90, il processo di industrializzazione ha cominciato ad accelerare e una gran parte del lavoro agricolo è stato trasferito ai settori industriali, cosicché la quota del lavoro rispetto al capitale è diminuita.

Inoltre, all’interno del settore industriale, le imprese statali avevano il compito di stabilizzare l’occupazione e i salari, impiegando un numero maggiore di lavoratori e rappresentando una quota maggiore dei salari rispetto alle imprese private, quindi la riforma su larga scala delle imprese statali a metà e fine anni ’90 ha anche ridotto la quota di reddito da lavoro nell’economia. Con lo sviluppo dell’economia, l’aumento del settore dei servizi, che è più intensivo di manodopera rispetto ai settori industriali, ha fatto risalire la quota del reddito da lavoro.

In questo processo di trasformazione strutturale, i governi locali hanno promosso l’industrializzazione in modo da accelerare l’aumento della quota del capitale e la diminuzione della quota del lavoro. I capitoli da 2 a 4 descrivono il modello di investimento e finanziamento locale, che è quello di “impresa, produzione, scala e capitale”. I governi locali sono disposti a sostenere i “grandi progetti” e a fornire varie sovvenzioni, tra cui terreni a basso costo, tassi di interesse agevolati sui prestiti e sgravi fiscali, che stimolano le imprese a investire maggiormente in capitale e a ridurre la domanda di manodopera. Sebbene l’industria cinese sia ancora generalmente ad alta intensità di manodopera rispetto a quella dei Paesi sviluppati, c’è effettivamente una distorsione dovuta all’eccessivo investimento di capitale nell’industria rispetto alle dimensioni dell’enorme forza lavoro cinese. Da un lato, la diminuzione delle tariffe sui beni strumentali importati ha aumentato gli investimenti di capitale; dall’altro, la concentrazione dell’industria sulla costa sud-orientale ha portato a una migrazione di popolazione su larga scala, mentre le politiche relative alla registrazione delle famiglie e ai terreni hanno fatto aumentare i prezzi delle abitazioni e il costo del lavoro, che non favoriscono il benessere dei lavoratori migranti. La “carenza di manodopera” è un fenomeno ricorrente e le aziende sono quindi più propense a investire in capitale. Naturalmente, il fatto che le imprese utilizzino più capitale quando il prezzo del capitale scende rispetto a quello del lavoro dipende dalla sostituibilità del capitale e del lavoro nel processo produttivo. Le odierne tecnologie informatiche hanno reso le macchine sempre più “intelligenti” e capaci di fare un numero sempre maggiore di cose, e sono maggiormente sostituibili alla manodopera, per cui, quando il prezzo delle macchine diminuisce rispetto alla manodopera, esse spiazzano la manodopera. Ad esempio, la Cina è il più grande utilizzatore di robot industriali al mondo, rappresentando il 30% del mercato mondiale dei robot industriali nel 2016, e una delle ragioni principali è l’aumento del costo del lavoro.

Dal punto di vista del reddito, se la quota della popolazione nella distribuzione dell’economia nazionale diminuisce, la quota del governo e delle imprese deve aumentare. Allo stesso modo, dal punto di vista della spesa, una diminuzione della quota di consumi da parte della popolazione porterà a un aumento della quota di spesa da parte del governo e delle imprese, la maggior parte della quale viene spesa per gli investimenti. In altre parole, il reddito della popolazione viene trasferito al governo e alle imprese e diventa infrastrutture come strade e ferrovie ad alta velocità, impianti e macchinari, mentre la quota di beni di consumo come automobili ed elettrodomestici per la popolazione è relativamente più bassa. Inoltre, esiste anche una componente della spesa totale che viene effettuata dagli altri paesi, vale a dire le nostre esportazioni. Il calo della quota di spesa per consumi non corrisponde solo a un aumento della quota di investimenti, ma anche a un aumento della quota di esportazioni. Per molto tempo, quindi, gli investimenti e le esportazioni sono stati i principali motori della crescita del PIL del Paese, mentre i consumi interni sono stati relativamente fiacchi.

Come valutare questo modello di sviluppo economico? Innanzitutto, è importante notare che le cifre sopra citate sono in termini relativi, non in termini assoluti. L’economia nel suo complesso è in rapida espansione e la quota di reddito della popolazione, sebbene relativamente bassa, è in rapido aumento. Anche i livelli di consumo e di spesa stanno aumentando rapidamente, anche se a ritmi diversi.In termini di crescita economica, un aumento della quota di capitale significa un aumento della quantità di capitale pro capite, che è una tappa necessaria per la produttività e l’industrializzazione. Il nostro Paese ha attraversato in pochi decenni il processo di industrializzazione che ha richiesto all’Occidente diverse centinaia di anni, ed è inevitabile che attraversi una fase di accumulazione di capitale. Lo stesso è avvenuto per l’Europa, l’America e il Giappone. I lettori conosceranno il “movimento di recinzione” britannico e la descrizione di Marx del processo di accumulazione del “capitale primitivo“. Uno dei temi centrali della “nuova storia capitalista” emersa negli ultimi anni è il processo “coercitivo” di accumulazione del capitale in Europa e in America, come l’oppressione delle colonie da parte delle potenze europee e la schiavitù negli Stati Uniti. Nel miracolo dell’Asia orientale, i cittadini hanno dimostrato una grande operosità, un alto livello di risparmio, un alto livello di investimento e un’accumulazione di capitale ben nota in tutto il mondo. Il nostro Paese non fa eccezione. Oltre al duro lavoro delle persone, l’accumulo di capitale è stato accelerato da vari meccanismi. Ad esempio, la “compravendita unificata” di grano e la “forbice” tra i prezzi dei prodotti industriali e agricoli durante l’economia pianificata sono state utilizzate per trasferire le risorse in eccesso dall’agricoltura all’industria. Nelle città, le banche hanno abbassato i tassi di interesse sui prestiti alle imprese per ridurre il costo del capitale e stimolare gli investimenti e l’industrializzazione. Per tenere a galla le banche e garantire i loro margini di profitto, i tassi di interesse pagati dalle banche alla popolazione per i loro risparmi sono stati abbassati. Questo “disincentivo finanziario” riduce il reddito della popolazione. I bassi tassi di interesse hanno anche aumentato il tasso di risparmio e ridotto i consumi per poter risparmiare a sufficienza.

In questo contesto, il rapporto del 19° Congresso del Partito ha rivisto la principale contraddizione della nostra società in “contraddizione tra il crescente bisogno del popolo di una vita migliore e uno sviluppo squilibrato e insufficiente”. Il cosiddetto “squilibrio” comprende sia gli squilibri urbani-rurali e regionali, sia il divario tra ricchi e poveri (Capitolo 5), sia gli squilibri strutturali dell’economia, come gli investimenti e i consumi. Un aspetto importante dell'”inadeguatezza” si riferisce alla bassa percentuale di reddito delle persone e alla mancanza di un senso di “accesso”.

In risposta al problema della bassa percentuale di reddito delle persone, il 19° Congresso del Partito ha proposto di “migliorare la qualità dell’occupazione e del reddito delle persone” e ha specificato i seguenti principi: “Eliminare le carenze del meccanismo istituzionale che ostacolano la mobilità sociale del lavoro e dei talenti, in modo che tutti abbiano l’opportunità di raggiungere il proprio sviluppo attraverso il duro lavoro”. Migliorare il meccanismo di consultazione e coordinamento tra governo, sindacati e imprese e costruire relazioni sindacali armoniose. Aderire al principio della distribuzione in base al lavoro, migliorare il meccanismo istituzionale di distribuzione in base ai fattori e promuovere una distribuzione più razionale e ordinata del reddito. Incoraggiare il lavoro duro e la prosperità rispettosa della legge, espandere il gruppo di reddito medio, aumentare il reddito dei lavoratori a basso reddito, regolamentare il reddito eccessivo e bandire il reddito illegale. Insistiamo sulla necessità di ottenere una crescita simultanea dei redditi dei residenti di pari passo con la crescita economica e un aumento simultaneo della retribuzione del lavoro di pari passo con l’aumento della produttività del lavoro. Ampliare i canali per i redditi da lavoro e da proprietà dei residenti. Svolgere la funzione del governo di regolare la redistribuzione, accelerare la perequazione dei servizi pubblici di base e ridurre il divario nella distribuzione del reddito”.

Se le persone spendono una quota fissa del loro reddito per i consumi, non è sufficiente mantenere la crescita del reddito delle famiglie “in sincronia” con la crescita economica per aumentare la quota dei consumi nel PIL. Nel novembre 2020, il vicepremier Liu He ha pubblicato un articolo sul Quotidiano del Popolo intitolato “Accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo in cui il ciclo nazionale principale è quello principale e i cicli nazionali e internazionali si promuovono reciprocamente”, in cui ha affermato che “dovremmo aderire alla direzione della prosperità comune, migliorare il modello di distribuzione del reddito, espandere il gruppo a reddito medio e sforzarci di rendere il reddito medio più elevato. L’articolo afferma che “dovremmo aderire alla direzione della prosperità comune, migliorare il modello di distribuzione del reddito, espandere il gruppo di reddito medio e sforzarci di far crescere il reddito dei residenti più velocemente della crescita economica”.

Per attuare questi principi, sono necessarie molte riforme specifiche. Il capitolo 2 introduce le riforme della spesa pubblica, richiedendo ai governi locali di aumentare la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone. Il capitolo 3 introduce riforme nel sistema di valutazione dei funzionari, imponendo ai funzionari locali di concentrarsi sulla spesa per il sostentamento delle persone e di affrontare il problema degli squilibri e delle inadeguatezze. Il capitolo 5 introduce le riforme del mercato dei fattori, che mirano ad aumentare i redditi da lavoro e a ridurre i prezzi degli alloggi e l’onere del debito della popolazione per aumentare i consumi. Ecco un altro esempio: la riforma del trasferimento di capitale dalle imprese statali ai fondi di previdenza sociale.

Nella distribuzione del reddito nazionale, il calo della quota di reddito delle famiglie corrisponde in gran parte a un aumento della quota di reddito trattenuta dalle imprese (cioè il “risparmio delle imprese”). Per aumentare il reddito della popolazione, è necessario trasferire le risorse aziendali trattenute alla popolazione. Le imprese private hanno una redditività complessiva superiore a quella delle aziende di Stato, quindi hanno più redditi da capitale o “risparmi lordi”, ma tutto questo denaro viene investito ed è ancora insufficiente, quindi i “risparmi netti” sono negativi e devono essere finanziati. Le imprese statali, invece, hanno guadagni complessivi e “risparmi lordi” inferiori a quelli delle imprese private, ma i loro “risparmi netti” sono positivi. Sebbene il “risparmio netto” sia positivo, il tasso medio di distribuzione dei dividendi delle imprese di Stato è inferiore a quello delle imprese private. Nel 2017, il Consiglio di Stato ha proposto di trasferire il patrimonio netto delle aziende di Stato (centrali e locali), comprese le istituzioni finanziarie, ai fondi di previdenza sociale, con un rapporto di trasferimento uniforme del 10%. Questa riforma, che coinvolge trilioni di yuan di capitale e interessi profondamente intrecciati, sarà difficile, ma deve essere portata a termine con determinazione. Alla fine del 2019 è stato completato il trasferimento di 1.300 miliardi di yuan dalle imprese centrali. Al momento in cui scriviamo, all’inizio del 2020, il trasferimento delle aziende di Stato locali è ancora in corso.

Sovraccapacità, debito, squilibri esterni

In un mondo sempre più aperto, gli squilibri interni sono accompagnati da squilibri esterni. Il PIL è costituito da tre componenti principali: consumi, investimenti ed esportazioni nette (esportazioni meno importazioni). Dall’adesione alla Organizzazione Mondiale del Commercio, la quota degli investimenti e delle esportazioni nette è aumentata notevolmente (Figura 7-4), mentre la quota dei consumi è fortemente diminuita (Figura 7-2). Questa struttura economica è fragile e insostenibile. Da un lato, la domanda estera è fortemente influenzata dai cambiamenti politici ed economici all’estero ed è difficile da controllare; dall’altro, è impossibile mantenere la quota degli investimenti al di sopra del 40%. Gli investimenti in eccesso rispetto alla capacità di consumo possono diventare capacità in eccesso e sprechi. La quota degli investimenti sul PIL dei Paesi sviluppati in Europa e negli Stati Uniti è solo del 20-23%.

Se è vero che da un punto di vista contabile gli investimenti possono aumentare i valori attuali del PIL, se le attività create dall’investimento non portano a una maggiore produttività, a redditi più alti e a consumi più elevati in futuro, l’investimento non crea ricchezza sostanziale ed è uno spreco. Se il governo prende in prestito denaro per costruire una strada e molte persone la utilizzano, riducendo i costi di pendolarismo e logistica e aumentando la produttività, si tratta di un buon investimento. Ma se il governo continua a scavare e riparare, o si limita a costruire strade fuori dai sentieri battuti, il costo economico non sarà recuperato. Le entrate generate da questi progetti sono di gran lunga inferiori ai costi e il risultato è un debito sempre crescente. Anche se il PIL della città aumenta, le risorse vengono in realtà sprecate. Questi esempi non sono rari. Queste perdite non sono ancora state calcolate, ma prima o poi saranno registrate nei libri contabili.

Lo squilibrio tra investimenti e consumi non è un problema nuovo. Già nel 2005-2007, il reddito e i consumi delle famiglie in rapporto al PIL sono scesi al minimo (Figure 7-2 e 7-3). Il governo era già consapevole di questo problema e nel 2007 l’allora premier Wen Jiabao dichiarò che “l’economia cinese ha enormi problemi, che rimangono problemi strutturali e che rendono l’economia cinese instabile, squilibrata, non coordinata e non sostenibile”, come “la mancanza di coordinamento tra investimenti e consumatori e l’eccessiva dipendenza della crescita economica da investimenti e dalle esportazioni estere”.

Tuttavia, quando nel 2008 è scoppiata la crisi finanziaria globale, le esportazioni cinesi sono diminuite drasticamente e per aumentare gli investimenti è stato introdotto il piano “4 trilioni“, che ha portato a un ulteriore aumento della quota degli investimenti sul PIL dal già elevato 40% al 47% (Figura 7-4), che ha compensato il calo del PIL causato dalla diminuzione delle esportazioni nette e stabilizzato la crescita economica, ma ha anche rafforzato gli squilibri strutturali. Tra il 2007 e il 2012, la quota dei consumi, la quota del reddito familiare e il tasso di risparmio sono rimasti pressoché invariati (Grafici 7-2 e 7-3). La mancanza di reddito e di consumi interni, così come l’assenza di domanda estera, hanno naturalmente dato alle imprese meno incentivi a investire nelle industrie reali, con il risultato che una grande quantità di investimenti è stata destinata alle infrastrutture e al settore immobiliare, facendo salire i prezzi delle case e dei terreni e aumentando l’onere del debito e i rischi (Capitoli 3-6). Solo dopo il 18° Congresso del Partito nel 2012 è stata introdotta gradualmente una “riforma strutturale dal lato dell’offerta” sistematica.

A causa della bassa quota di consumo in Cina, anche con un tasso di investimento molto elevato, non tutta la produzione può essere consumata completamente e l’eccedenza deve essere esportata. Il fatto che le nostre esportazioni siano sempre maggiori delle nostre importazioni significa che ci devono essere altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti, le cui importazioni sono sempre maggiori delle loro esportazioni. A causa delle nostre enormi dimensioni, anche l’impatto sul commercio internazionale è enorme e l’aggiustamento economico che ne deriva non sarà facile.

Naturalmente, il mercato interno e quello internazionale sono due facce della stessa medaglia: gli squilibri interni possono portare a squilibri internazionali e gli squilibri internazionali possono a loro volta portare a squilibri interni. I nostri squilibri interni, con più produzione e meno consumo, rendono necessaria l’esportazione del surplus. D’altra parte, quando gli Stati Uniti spendono molto e acquistano da noi a prezzi elevati, le risorse corrispondenti vengono dirottate dai consumatori nazionali ai produttori d’esportazione per soddisfare la domanda estera, il che aggrava lo squilibrio tra consumo interno e produzione. Gli Stati Uniti hanno consumato grandi quantità di risorse a causa della guerra globale al terrorismo, mentre il settore immobiliare nazionale ha continuato a riscaldarsi e la ricchezza delle persone si è apprezzata, aumentando i consumi, che in gran parte sono stati soddisfatti dalle importazioni dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno così accumulato un enorme debito estero, di cui uno dei maggiori debitori è la Cina, che ha anche aggravato i nostri squilibri economici interni. All’indomani della crisi finanziaria globale, sia la Cina che gli Stati Uniti hanno avviato un difficile processo di aggiustamento e riequilibrio. L’aggiustamento della Cina comprendeva, tra l’altro, “riforme strutturali dal lato dell’offerta”, riforme del mercato dei fattori e l’introduzione di una strategia di sviluppo basata su un “grande ciclo interno, con cicli internazionali e interni che si promuovono a vicenda”. Negli Stati Uniti, questo aggiustamento è stato accompagnato dalla polarizzazione politica, dall’aumento del protezionismo commerciale e da altri fenomeni.

Sezione 2: Il conflitto commerciale USA-Cina

Il grado di equilibrio della struttura economica interna di ciascun Paese si riflette nella posizione della bilancia dei pagamenti. La nostra produzione interna non viene interamente assorbita dai consumi e dagli investimenti interni, quindi le esportazioni superano le importazioni e il conto corrente (che può essere inteso semplicemente come una sintesi delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi) è in attivo, con un’esportazione esterna netta. Gli Stati Uniti non hanno una produzione interna sufficiente a soddisfare le loro esigenze di consumo e investimento, quindi le importazioni superano le esportazioni e le partite correnti sono in deficit, con un’importazione esterna netta. Il Grafico 7-5 illustra gli squilibri della bilancia dei pagamenti dagli anni ’90 ad oggi, con alcuni Paesi in avanzo (sopra la linea nera, maggiore di zero) e altri in deficit (sotto la linea nera, minore di zero).

Logicamente, il saldo aggregato globale delle partite correnti dovrebbe essere pari a zero quando i Paesi si compensano a vicenda. Nelle statistiche reali, tuttavia, questo saldo si aggira intorno allo 0,3% del PIL globale, a causa degli sfasamenti temporali dei trasporti o delle false dichiarazioni dovute all’evasione fiscale, ecc. Negli anni ’90 lo squilibrio era meno grave, intorno allo 0,5% del PIL globale o meno. Lo squilibrio è aumentato a partire dall’inizio del XXI secolo, raggiungendo un picco prima della crisi finanziaria globale, pari a circa l’1,5-2% del PIL mondiale. Dopo la crisi, gli squilibri si sono attenuati e sono scesi a meno dell’1% del PIL mondiale. In secondo luogo, il deficit globale delle partite correnti è costituito in gran parte dagli Stati Uniti, mentre il surplus è costituito soprattutto da Cina, Europa e Medio Oriente. Il rapido sviluppo della Cina dopo la sua adesione alla Organizzazione Mondiale del Commercio ha aumentato la sua quota di surplus globale in misura considerevole e ha anche portato a un “superciclo” per le materie prime come il petrolio, che ha visto i prezzi del petrolio salire alle stelle e il surplus del Medio Oriente aumentare in modo significativo. All’indomani della crisi finanziaria, la spesa dei consumatori statunitensi è diminuita, mentre la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto negli Stati Uniti ha rivoluzionato la loro dipendenza dalle importazioni di gas naturale e petrolio, trasformandoli nel più importante produttore ed esportatore di petrolio e gas al mondo, con un conseguente forte calo del prezzo internazionale del petrolio e del gas, che ha ridotto sia il deficit della bilancia dei pagamenti statunitense che il surplus del Medio Oriente. Nel 2017, la Cina ha superato il Canada come maggior importatore di greggio statunitense.

Gli Stati Uniti sono in grado di assorbire le esportazioni estere nette degli altri Paesi grazie alla loro forza economica e allo status di valuta di riserva internazionale del dollaro. Ogni anno gli Stati Uniti importano più di quanto esportano, il che equivale a un costante “prestito” di risorse dall’estero, che li rende il più grande debitore del mondo. Ma quasi tutto il debito estero è denominato in dollari, e in linea di principio gli Stati Uniti possono sempre “stampare dollari per pagare i propri debiti” senza andare in default. In altre parole, finché il mondo si fiderà ancora del valore del dollaro, gli Stati Uniti potranno continuamente scambiarlo con prodotti e risorse reali di altri Paesi, un vero e proprio “privilegio esorbitante” che nessun altro Paese possiede. Di tutto il deficit commerciale degli Stati Uniti, la quota del deficit bilaterale con la Cina è aumentata, passando da un quarto nei primi anni del XXI secolo al 50-60% negli ultimi cinque anni. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno sempre visto la Cina come il loro principale rivale, nonostante i conflitti commerciali con molti paesi.

Shock tecnologici

L’impatto dell’aumento della produzione cinese e del commercio USA-Cina sui posti di lavoro statunitensi non è realmente rilevante. Gli shock tecnologici e le sfide per gli Stati Uniti sono più tangibili dell’effetto sulla occupazione,e questo è il motivo per cui il conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti e il contenimento tecnologico degli Stati Uniti sono destinati a prolungarsi. Anche se l’industria manifatturiera rappresenta un’occupazione a una sola cifra negli Stati Uniti, continua ad essere una fonte di innovazione tecnologica, con il 60-70% della spesa statunitense in R&S e dei brevetti aziendali provenienti da aziende manifatturiere. (25)

Variazione relativa nella scienza e nella tecnologia tra Stati Uniti e Cina (gli indicatori statunitensi sono impostati a 1) Fonte: dati sul valore aggiunto manifatturiero della Banca Mondiale; domande di brevetto internazionali dell’OMPI; pubblicazioni internazionali dell’Indice Nature.

La figura 7-7 mostra l’evoluzione dei nostri indicatori rispetto agli Stati Uniti. In primo luogo, il valore aggiunto manifatturiero, che nel 1997 era solo 0,14 quello degli Stati Uniti, ha superato gli Stati Uniti nel 2010 ed era 1,76 volte quello degli Stati Uniti nel 2018. La seconda è la tecnologia, misurata dal numero di domande di brevetti internazionali, che proviene dal sistema Patent Cooperation Treaty (PCT) dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO). Da quando il sistema è diventato operativo nel 1978, gli Stati Uniti hanno perso il primo posto nel mondo per la prima volta nel 2019 a favore della Cina. Ancora una volta, le scienze di base sono misurate dal numero di pubblicazioni internazionali di alto livello, noto come Nature Index. Nel 2012, il numero della Cina era solo 0,24 quello degli Stati Uniti, leggermente superiore a Germania e Giappone, ma nel 2019 ha raggiunto 0,66 quello degli Stati Uniti, tre volte quello della Germania e 4,4 volte quello del Giappone.

Questi indicatori quantitativi non sono ovviamente pienamente rappresentativi della qualità. Ma nell’industria e nella tecnologia, non c’è qualità senza una base quantitativa. Inoltre, queste cifre sono il flusso annuale di nuovi dati, non lo stock accumulato. In termini di base tecnologica accumulata, come il numero di brevetti e il livello di ricerca scientifica, la Cina è ancora molto indietro rispetto agli Stati Uniti. È come se un giovane, dopo anni di duro lavoro, guadagnasse finalmente più di un milione di dollari all’anno e raggiungesse il livello di un dirigente d’azienda, ma i dirigenti più anziani guadagnano milioni di dollari all’anno da decenni e hanno accumulato molta più ricchezza e risorse familiari del giovane. Ma il flusso di milioni di dollari all’anno manda un segnale forte: i giovani non sono più quelli di una volta, hanno la capacità di guadagnare, lo slancio è forte, il futuro è promettente, ed è solo una questione di tempo prima che accumulino una fortuna familiare. C’è un ritardo nel riconoscimento della qualità dei prodotti “made in China”, che è molto più alta oggi che dieci anni fa. Lo stesso vale per la tecnologia e la scienza.

Per i paesi all’avanguardia della scienza e della tecnologia, l’invenzione e l’applicazione di nuove tecnologie iniziano generalmente con la ricerca scientifica e i laboratori, poi passano all’applicazione della tecnologia e ai brevetti, e infine alla produzione industriale di massa su larga scala. Ma per un paese in via di sviluppo che è un ritardatario, la sequenza è spesso invertita: inizia con la produzione, imparando facendo, accumulando tecnologia ed esperienza, e poi lentamente migliorando la tecnologia e creando alcuni brevetti secondo i suoi bisogni. Nel 2010, il valore aggiunto manifatturiero della Cina ha superato quello degli Stati Uniti, e nel 2019, il numero di domande di brevetti internazionali ha superato quello degli Stati Uniti. E al ritmo attuale di crescita delle pubblicazioni scientifiche, la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti intorno al 2025 (Figura 7-7).

Per i paesi in ritardo di sviluppo, quindi, la produzione industriale è la base del progresso tecnologico. Non esiste al mondo una potenza di innovazione tecnologica che non sia anche una potenza manifatturiera (o almeno lo era). Il modo giusto per entrare nella catena industriale globale è attraverso il settore manifatturiero, che non solo ha un effetto di apprendimento, ma anche un forte effetto di agglomerazione e di scala. Nell’ultimo decennio circa, la capacità delle catene manifatturiere cinesi di irrobustirsi ha attirato le aziende straniere lungo la catena di fornitura ad aprire fabbriche in Cina, mentre anche i produttori nazionali a monte e a valle stanno crescendo rapidamente e l’effetto sinergico di innovazione delle filiere è forte. La categoria più importante delle esportazioni cinesi è quella delle apparecchiature per la tecnologia delle comunicazioni e dei relativi prodotti elettronici (ad esempio i telefoni cellulari), che nel 2005 rappresentavano il 43% del valore dei componenti importati dall’estero e solo il 57% del valore creato localmente. Nel 2015, tuttavia, il valore proveniente dall’estero era sceso al 30%. (26)

Mi riferisco all’esempio dell’iPhone prodotto da Apple. Anni fa, i media e gli analisti fecero circolare l’idea che un iPhone “made in China” sarebbe stato venduto a centinaia di dollari, ma il valore apportato dalla Cina continentale sarebbe stato di soli due o tre dollari per l’assemblaggio da parte di Foxconn. Negli ultimi due anni, di tanto in tanto, si vede ancora citare questa cifra, ma è ben lontana dalla verità. Ogni anno Apple pubblica un elenco dei suoi 200 principali fornitori, che rappresentano il 98% delle materie prime, della produzione e dell’assemblaggio di Apple. Nell’edizione 2019 dell’elenco, sono presenti in totale 40 società provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong, di cui 30 società continentali, comprese diverse società quotate in borsa.

Nel mercato delle azioni A esiste da tempo il cosiddetto “concetto di catena della frutta”, che comprende società quotate in borsa come Lanshi Technology, che produce cover per iPhone, Ovation, che produce moduli per fotocamere, Geer, che produce unità audio, e Desai, che produce batterie. Sebbene sia difficile stimare l’esatto valore aggiunto dalla catena industriale cinese (inclusa Hong Kong) in un iPhone, alcuni “teardown report” nazionali e internazionali stimano i prezzi dei vari componenti, suggerendo che le aziende cinesi (inclusa Hong Kong) contribuiscono a circa il 20% del valore dell’hardware dell’iPhone.

In teoria, il commercio tra Stati Uniti e Cina non danneggia necessariamente l’innovazione tecnologica statunitense. Anche se alcune delle aziende più deboli perdessero il loro vantaggio nei confronti della Cina, i loro profitti si ridurrebbero, sarebbero costrette a ridurre le spese di R&S e le attività di innovazione e potrebbero infine cessare l’attività. Ma per molte grandi aziende, spostando la produzione in Cina, vicino al mercato più grande e in più rapida crescita del mondo, si guadagnerebbe molto di più, che potrebbe essere investito in R&S negli Stati Uniti per continuare a innovare e migliorare il proprio vantaggio competitivo, e in definitiva la capacità di innovazione complessiva degli Stati Uniti non sarebbe necessariamente influenzata negativamente. Ma nella politica e nei media statunitensi ha prevalso negli anni una mentalità conservatrice e probabilmente continuerà una politica di repressione tecnologica nei confronti della Cina. Se il più grande mercato del mondo e il più forte centro per la scienza e l’innovazione dovessero allontanarsi, sarebbe una grande perdita per entrambe le parti e per il mondo. Dopo tutto, la Cina ha ancora molta strada da fare in termini di qualità della ricerca di base e di efficienza nella trasformazione dei risultati scientifici, e sarebbe impossibile per gli Stati Uniti trovare un altro grande mercato nel mondo. Senza un mercato, sarà difficile per le aziende statunitensi sostenere le loro elevate spese di R&S e mantenere il loro vantaggio tecnologico a lungo termine. Allo stesso tempo, sebbene l’elevata pressione sulla tecnologia possa frustrare le aziende cinesi nel breve termine, molte tecnologie nazionali relativamente arretrate hanno anche guadagnato opportunità di mercato e possono aumentare la quota di mercato e i ricavi, il che a sua volta porterà a un ciclo virtuoso di “mercato – R&S – iterazione – mercato più grande” e, in ultima analisi, alla sostituzione interna. Ma tutto ciò presuppone che il mercato interno cinese possa effettivamente continuare a crescere, che i consumi nazionali possano continuare ad aumentare e che possano davvero sostenere il modello del “doppio ciclo” di un “grande ciclo interno”.

Sezione 3: Il riequilibrio e il grande ciclo interno

Nel 2019, il PIL della Cina è stato equivalente al PIL mondiale del 1960 (al netto dei fattori di prezzo). Tuttavia, il modello di sviluppo passato è insostenibile, con un grave squilibrio tra la struttura interna ed esterna dell’economia, e la situazione internazionale sta diventando sempre più complessa, per cui nel 2020 il Governo centrale propone di “accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo con un grande ciclo interno e un ciclo interno e internazionale che si rafforza reciprocamente”. Si tratta di un cambiamento nella strategia di sviluppo.

Dal punto di vista dell’analisi proposta in questo capitolo, la chiave di questa trasformazione strategica è l’aumento del reddito e dei consumi delle persone. Sebbene il governo continui ad enfatizzare la “riforma strutturale dal lato dell’offerta”, “offerta” e “domanda” non sono due cose diverse, ma modi diversi di vedere la stessa cosa. Ad esempio, dal punto di vista dell’offerta si tratta di regolare la capacità produttiva, mentre dal punto di vista della domanda si tratta di adeguare la spesa per investimenti; dal punto di vista dell’offerta si tratta di riqualificare le industrie, mentre dal punto di vista della domanda si tratta di migliorare i livelli di reddito e le strutture di consumo. La Conferenza centrale per il lavoro economico del dicembre 2020 ha proposto di “mantenere saldamente la linea principale della riforma strutturale sul lato dell’offerta, di concentrarsi sulla gestione della domanda, di sbloccare i blocchi, di colmare le carenze, di collegare la produzione, la distribuzione, la circolazione e il consumo e di formare un livello superiore di equilibrio dinamico in cui la domanda tira l’offerta e l’offerta crea la domanda”.

Per aumentare i redditi delle persone, l’urbanizzazione deve continuare, con la concentrazione della popolazione nelle città, soprattutto quelle grandi. Sebbene l’industria manifatturiera sia il principale veicolo della produttività e del progresso tecnologico, gli attuali sviluppi tecnologici e l’esperienza dei Paesi sviluppati dimostrano che un ulteriore sviluppo dell’industria manifatturiera non può assorbire più posti di lavoro. In seguito alla globalizzazione delle catene industriali, si assiste a un crescente grado di standardizzazione e la maggior parte delle operazioni viene eseguita da macchine. La fascia alta del settore manifatturiero è ad alta intensità di capitale, tanto che i lavoratori nelle officine automatizzate sono pochi. Sebbene il settore manifatturiero sia stato forte negli Stati Uniti, sta assorbendo sempre meno occupazione (Figura 7-6) e questo processo non si sta invertendo. La soluzione alla crescita dell’occupazione e del reddito deve quindi essere una grande espansione del settore dei servizi, che può avvenire solo nelle città densamente popolate. Non solo i negozi e i ristoranti tradizionali hanno bisogno di essere sostenuti dal traffico pedonale, ma anche i nuovi taxi online, i corrieri e i take away dipendono tutti da una popolazione densa. Per proseguire l’urbanizzazione, la popolazione residente deve essere dotata di servizi pubblici adeguati per poter vivere e lavorare in città. Ciò comporta la riforma dei mercati dei fattori, compreso il sistema di registrazione delle famiglie e il sistema fondiario, come spiegato in dettaglio nel capitolo 5.

Per aumentare il reddito e i consumi delle persone, è necessario sottrarre maggiori risorse al governo e alle imprese per destinarle ai cittadini. La chiave della riforma è cambiare il ruolo dei governi locali nell’economia, frenando i loro impulsi di investimento, riducendo la spesa per la produzione e aumentando la spesa per il benessere delle persone. Ciò avrà quattro importanti implicazioni. In primo luogo, l’aumento della spesa per il sostentamento delle persone cambierà il modello di urbanizzazione che vede la “terra al di sopra delle persone” e renderà le città “incentrate sulle persone”, in modo che i residenti possano vivere e lavorare in pace e soddisfazione, al fine di ridurre i risparmi ed espandere i consumi. In secondo luogo, aumentando la spesa per il sostentamento delle persone, i governi locali possono limitare la spesa produttiva per gli investimenti. Nell’attuale fase di sviluppo economico, gli investimenti industriali sono diventati molto complessi e lo spreco degli investimenti approssimativi del passato sta diventando sempre più grave, riducendo le risorse reali disponibili per il settore abitativo. Inoltre, il processo di investimento industriale è per lo più irreversibile, quindi una volta che i governi locali sono coinvolti, non è facile uscirne (Capitolo 3). Anche se le imprese locali non sono competitive, il governo potrebbe essere costretto a continuare a fornire loro trasfusioni di sangue, eliminando le risorse e riducendo l’efficienza del mercato nazionale (Capitolo 4). In terzo luogo, la promozione di un ciclo domestico di grandi dimensioni richiede l’aggiornamento della tecnologia e la conquista di vari snodi chiave. L’elemento centrale del progresso tecnologico sono le “persone”. Pertanto, l’aumento della spesa del governo locale per l’istruzione e l’assistenza sanitaria rappresenta un investimento in capitale umano, che nel lungo periodo favorisce il progresso tecnologico e lo sviluppo economico. In quarto luogo, aumentare la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone e frenare gli impulsi agli investimenti può anche ridurre la dipendenza dei governi locali dai modelli di sviluppo “land finance” e “land finance”, limitare il loro uso della terra per aumentare la leva finanziaria e le risorse di credito, ridurre la loro dipendenza dai prezzi della terra e aiutare a Stabilizzare i prezzi delle abitazioni e impedire che i consumi vengano erosi da un ulteriore aumento dell’indebitamento della popolazione (Capitolo 5).

Per aumentare il reddito delle persone, è necessario anche ampliare i redditi da capitale e sviluppare diversi canali di finanziamento diretto, in modo che un maggior numero di persone abbia l’opportunità di condividere i frutti della crescita economica, il che implica la riforma del sistema finanziario e dei mercati dei capitali. Tuttavia, come si è detto nel Capitolo 6, il finanziamento e l’investimento sono due facce della stessa medaglia: se il corpo principale delle decisioni di investimento rimane invariato, con i governi locali e le imprese statali che continuano a dominare, il sistema di finanziamento concentrerà inevitabilmente le risorse e i rischi a loro favore, rendendo difficile la promozione sostanziale di un sistema di finanziamento diretto con la partecipazione di una più ampia gamma di attori.

La strategia del “doppio cerchio” enfatizza il “riequilibrio” e l’espansione del grande mercato interno, sottolineando al contempo la necessità di aprirsi al mondo esterno. Se le esportazioni creano più posti di lavoro e reddito nel settore manifatturiero, anche le importazioni possono creare più posti di lavoro e reddito nei servizi, tra cui il commercio, i magazzini, la logistica, i trasporti, la finanza e i servizi post-vendita. Con l’aumento della produttività cinese e il continuo apprezzamento del renminbi nel lungo periodo, l’espansione delle importazioni aumenterà il potere d’acquisto reale dei cittadini, amplierà le loro scelte di consumo e aumenterà il loro tenore di vita, continuando ad aumentare l’attrattiva del nostro mercato a livello internazionale.

Non esiste mai un mercato astratto e privo di ostacoli. La scala e l’efficienza dei mercati devono essere gradualmente migliorate dalla creazione alla perfezione, e un mercato perfetto è un risultato dello sviluppo economico, non un prerequisito. In un Paese con un territorio vasto e una popolazione numerosa, la creazione e il collegamento di un unico mercato nazionale di beni ed elementi, nonché l’interconnessione di beni e persone, non è meno difficile di una mini-globalizzazione e richiede anni di costruzione e istituzionalizzazione. Negli ultimi decenni, il rapido sviluppo di tutti i tipi di infrastrutture, dalle ferrovie a Internet, ha gettato solide basi per lo sviluppo di un grande mercato nazionale unificato e ha anche eliminato alcune delle barriere del vecchio sistema. In futuro, solo continuando a promuovere riforme orientate al mercato di vari fattori, espandendo l’apertura e trasformando realmente il ruolo dei governi locali da orientato alla produzione a orientato ai servizi, potremo realizzare l’enorme potenziale del mercato interno e spingere la Cina tra i paesi a medio e alto reddito.

1

Per un elenco specifico e una breve descrizione delle aziende, si rimanda all’articolo di Ning Nanshan “From Apple’s Top 200 Global Suppliers in 2019″ pubblicato sul suo sito web pubblico: “I 200 principali fornitori globali nel 2019: uno sguardo alla catena dell’industria elettronica globale in evoluzione”.

https://jacopo1949.substack.com/p/gli-squilibri-interni-e-internazionali?utm_source=post-email-title&publication_id=406229&post_id=98251230&isFreemail=true&utm_medium=email

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Ucraina, 26a puntata_verso l’annientamento dell’esercito ucraino_con il col Douglas McGregor

Il colonnello McGregor continua nella sua lucida analisi dell’andamento del conflitto ucraino. Tutta la narrazione occidentale contrasta con gli elementi e le argomentazioni esposte da questo ufficiale. Il vicolo cieco in cui si sta cacciando la NATO la espone a decisioni drammatiche e catastrofiche. Qui la dudplicazione con sottotitoli in italiano della conversazione, tratta dal link originale https://www.youtube.com/watch?v=AZjQp8YA6UM . Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Questo è un punto di svolta repubblicano Di John Green

La prolungata lotta per il martelletto da speaker ha creato le circostanze per il cambiamento a Washington, specialmente nel partito repubblicano? Per la prima volta in oltre un secolo, ci sono voluti 15 turni di votazioni, lusinghe, compromessi e quasi una scazzottata per selezionare un presidente della Camera. Il MSM ha riferito allegramente dello “spettacolo di clown repubblicani”, prevedendo che il conflitto avrebbe diviso il partito. Hanno persino fantasticato che potesse risultare in un presidente democratico, in una Camera dei rappresentanti repubblicana a maggioranza. Che dolce vittoria sarebbe. Bene, i repubblicani non si sono sciolti, i democratici non hanno tirato fuori un ribaltamento e il MSM era cieco a qualcosa di molto più significativo.

I Democratici hanno fatto un casino, di nuovo. Hanno avuto l’opportunità di scegliere il tipo di oratore con cui avrebbero voluto lavorare e l’hanno sprecata. Se avessero avuto i loro cappucci pensanti, si sarebbero resi conto che era a loro vantaggio votare per Kevin McCarthy, il repubblicano. Probabilmente avrebbero anche potuto negoziare alcune concessioni da McCarthy per il loro sostegno, perché voleva il lavoro davvero, davvero tanto. Se i Democratici lo avessero fatto, avrebbero potuto trascinare McCarthy oltre il traguardo, e lui sarebbe diventato il portavoce nonostante la resistenza nel suo stesso partito, prima che dovesse fare concessioni a quella resistenza.

Sarebbe stato tutto come al solito alla Camera. La leadership repubblicana parlerebbe in grande, ma farebbe poco, proprio come piace ai democratici. La base repubblicana diventerebbe disillusa, frustrata e inizierebbe a pensare di saltare le prossime elezioni. Continuerebbe a non esserci alcuna responsabilità per le promesse non mantenute. Il ritorno al controllo democratico richiederebbe una breve attesa di due anni. Per i democratici sarebbe come una bella vacanza lunga prima di tornare al lavoro.

Ma invece, i Democratici hanno votato all’unanimità e in modo coerente per qualcuno che non sarebbe mai stato votato presidente, indipendentemente dal numero di turni di votazione avvenuti. La loro base rabbiosa preferirebbe vedere gesti di sfida infantili piuttosto che astute manovre tattiche. Cominciano a vedere il costo di quell’errore tattico.

Il Republican Freedom Caucus ha rifiutato di votare per Kevin McCarthy fino a quando non hanno ottenuto concessioni – e il ragazzo le ha ottenute. McCarthy desiderava così tanto il lavoro che era disposto a rinunciare a quasi tutto per ottenerlo. Il Freedom Caucus l’ha capito e ha giocato un magistrale gioco di pollo. Hanno molto. E quello che hanno ottenuto potrebbe finire per cambiare la mentalità dell’intero partito repubblicano.

Il Freedom Caucus ha ottenuto:

  • Una promessa di promuovere diversi atti legislativi conservatori
  • Un impegno per i vincoli fiscali
  • Indagini sulla corruzione dello stato profondo
  • E, cosa più significativa, le regole cambiano

Quelle modifiche alle regole includono cose come venire effettivamente al lavoro per svolgere il lavoro che gli elettori hanno eletto al Congresso e leggere i progetti di legge prima di votarli (sì, hanno davvero approvato progetti di legge senza leggerli per anni). Forse il cambiamento di regola più significativo è quello che consente a un singolo membro della Camera di chiedere un voto per rimuovere il Presidente. Se McCarthy esce dalla linea, possono ricominciare da capo la gara per il suo lavoro. Hanno la capacità di ritenere responsabile l’Oratore. Che nuovo concetto: responsabilità nel governo. Non credo che l’abbiamo mai visto.

Quindi, cosa succede quando il presidente McCarthy fa qualche passo a destra (politicamente e moralmente) e la sua popolarità esplode? Passerà dall’essere un ostaggio dei conservatori a un entusiasta sostenitore della loro agenda?

Sta cominciando a fare quei piccoli passi. Si sta preparando a rimuovere molti dei democratici più ripugnanti dai loro incarichi di commissione. La base è estasiata. Adam Schiff, Eric Swalwell e Ilhan Omar possono ringraziare San Fran Nan per aver stabilito quel precedente, un altro errore tattico.

Sta mantenendo la sua promessa di portare in aula i conti che la base vuole. I progetti di legge finora approvati dalla Camera includono tutto il necessario per dare ulcere ai Democratici.

  • Rescindere alcuni saldi messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate
  • Atto di protezione dei sopravvissuti all’aborto nati vivi
  • Legge sulla protezione della riserva petrolifera strategica americana dalla Cina
  • Istituzione del comitato ristretto sulla concorrenza strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese

Certo, questi progetti di legge saranno probabilmente eliminati al Senato o posti il ​​veto dal Presidente. Almeno il presidente sta facendo quello che ha il potere di fare: far registrare a tutti i democratici della Camera il sostegno all’uccisione di neonati (ovvero sopravvissuti all’aborto). Far sapere agli elettori di quei Democratici dove punta la bussola morale del loro rappresentante è anche una misura di responsabilità – no?

McCarthy sta persino parlando di rilasciare tutte le 14.000 ore di filmati di sicurezza dall’insurrezione del 6 gennaio di matti cosplay disarmati e fotografi selfie. Il panico sta prendendo piede tra i democratici. Apparentemente, non vogliono che il pubblico veda davvero cosa è successo quel giorno.

La base conservatrice sta iniziando a elogiare il presidente McCarthy, e lui lo adora. Qualche altro repubblicano imparerà dall’esperienza di McCarthy? Capiranno che è sicuro smettere di essere la moglie maltrattata della politica? Che possono reagire e vincere? I repubblicani capiranno finalmente che quando una parte vuole la libertà e l’altra la tirannia, non è il momento della cortesia e del compromesso? È il momento di combattere. Si renderanno conto che il successo di Trump non è stato un’anomalia? Il suo spirito combattivo è stato il modo in cui ha avuto successo – e loro possono fare lo stesso.

Quanto sarà diversa Washington se i repubblicani smettessero di fare la vittima, iniziassero ad ascoltare gli elettori e si comportassero senza paura per loro? So che è chiedere molto e non accadrà dall’oggi al domani. Ma stiamo vedendo quei piccoli passi. I prossimi due anni potrebbero essere molto interessanti, grazie a un colossale errore tattico di democratici troppo sicuri di sé.

John Green è un rifugiato politico del Minnesota, ora residente in Idaho. Ha scritto per American Thinker e per American Free News Network . Può essere seguito su Facebook o contattato all’indirizzo greenjeg@gmail.com .

Immagine:  Vikram Gupchup

IL COMPITO PRINCIPALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

Nota

Qualche mese dopo l’insediamento del governo Berlusconi, la rivista
“Palomar” pubblicava un numero tematico su “La destra oggi”, con le
risposte di molti collaboratori, abituali e non.

Si ripropone il contributo, tenuto conto della persistenza delle simili
“sfide” al governo Meloni

IL COMPITO PRINCIPALE

  1. Tra le molte cose che il centrodestra deve realizzare la principale – e ovviamente più difficile – è ricostruire lo Stato, intendendo per tale non solo gli apparati pubblici, ridotti per lo più, ad un insieme di burocrazie quasi sempre inefficienti e spesso rissose, ma l’ “idea” (e il concetto) di quello, che va smarrendosi anche e soprattutto per l’identificazione che, nella coscienza collettiva, se ne fa con il rovinoso spettacolo offerto dalle amministrazioni pubbliche. Dato il quale, il problema che si pone è, nello specifico, individuare quale ne sia – tra i molti – l’aspetto più importante, anche al limitato fine di non fare di questo intervento un trattato, di volume proporzionale all’entità dei disastri ereditati. Questo è, senza dubbio, la separazione che il tramonto della Repubblica ha in parte subito, ma in altra, prevalente, incentivato, tra governati e governanti e di cui fanno fede la crescente disaffezione elettorale e i referendum disertati, per citare solo gli indicatori più verificabili, e forse più importanti. Ed è evidente che tale disaffezione è stata coltivata alacremente, non solo per interesse, ma anche per mentalità, dalla sinistra. Ciò per più ragioni: il leninismo, è stato, nel XX secolo, la più compiuta e coerente espressione di una mentalità oligarchica, con un partito d’illuminati destinato a guidare le masse, inconsapevoli o poco consapevoli, alla costruzione della società senza classi; peraltro a una certa tecnocrazia di sinistra è naturale credere che la soluzione dei problemi politici, sociali ed economici sia attingibile con strumenti tecnici (mentre talvolta, spesso, è così, e talaltra no: in genere più sono realmente decisivi, meno si prestano a soluzioni “tecniche”); altro errore ricorrente è ragionare in termini di potere e poteri, facendo di tutto o questioni di amministrazione (più in basso), o di governo (più in alto), quando l’importanza di questi è relativa rispetto alle categorie “essenziali” della politica, come l’autorità, la legittimità, l’integrazione: ossia quelle che fondano un potere legittimo, consentito, e proprio per questo, più facilmente obbedito. Quest’ultimo errore è stato mutuato da un liberalismo decadente, e spesso inconsapevole dei propri presupposti: in effetti ragionare di poteri, prescindendo da ciò che li fonda, equivale a vagheggiare un potere autoreferenziale, che si sostiene da sé, senza l’ausilio di principi di legittimità, teocratico o democratico che siano; e così, non sollevato dall’alto, né sostenuto dal basso, si regge come il barone di Münchausen che si afferrava il codino per non sprofondare nella palude. Ma è certo che, se quel sistema è idoneo nelle favole, nel mondo reale il tonfo è assicurato. Ed è già avvenuto il 13 maggio: l’immensa concentrazione di potere che negli anni ’96-’98 ha denotato il regime dell’Ulivo è stata prima erosa a livello locale, poi ribaltata a livello nazionale. A conferma che un potere non sostenuto dal consenso “profondo”, è “una tigre di carta” di maoista memoria: rotocalchi, RAI, quotidiani, Parlamento, Procure, enti locali e sindacati, par condicio e soprattutto la federazione di burocrazie che si riconoscono nell’Ulivo non è riuscita ad evitare il rigetto dello stesso da parte della comunità nazionale.

Il primo servizio che il centrodestra può rendere alla nazione (ed a se medesimo, avendo un consenso molto superiore alla parte avversa), è di rimettere le cose a posto, garantendo che, d’ora in poi, chi governa abbia autorità e legittimità; che la legalità non sia uno slogan e un’arma selettivamente puntata contro gli oppositori, ma concretamente, e generalmente, applicata; che i funzionari dello Stato siano dei civil servants, e non un misto tra efori spartani  e monarcomachi (ugonotti o gesuiti). Ricostruire il tessuto di uno Stato-comunità, in cui alla separazione tra governanti e governati, si sostituisca la distinzione tra chi comanda e chi obbedisce; ricondurre così ad unità (e riconciliare) i termini essenziali dell’unità politica, che come scriveva Proudhon, non possono “mai né essere assorbiti l’uno dall’altro, né escludersi”[1], è il compito principale.

  1. Agli albori del costituzionalismo moderno, dello Stato liberal-democratico borghese, era sottolineato il carattere di stabilità della legge, ed ancor di più della Costituzione; ciò rispondeva non solo all’esigenza di un diritto stabile, di applicazione prevedibile e “misurabile”, ma anche all’aspirazione ad un assetto istituzionale “ideale” e perfetto, razionale nello scopo di offrire un mezzo di soluzione ad ogni contingenza storica e ad ogni conflitto. Tale elemento, necessario, tendeva a porre in ombra l’altro aspetto – e funzione – della costituzione: di essere il “principio dinamico dell’unità politica” ovvero di dover coniugare stabilità e divenire, movimento e durata, consenso e potere, esistenza ed azione politica. Questo secondo profilo è stato evidenziato e posto in luce da pensatori politici, giuristi e filosofi, in particolare dallo scorcio del XIX secolo in poi. Renan, Hauriou, Schmitt, Smend, Gentile vi hanno contribuito: dalla definizione di Renan della Nazione come “un plebiscito di tutti i giorni”, alla concezione dell’istituzione di Hauriou[2]; dalla costituzione quale “principio del divenire dinamico dell’unità politica” di Schmitt [3], al giudizio di Gentile: “lo Stato – malgrado il suo nome – non è nulla di statico. E’ un processo. La sua volontà è una sintesi risolutrice di ogni immediatezza” [4]; fino alla tesi di Smend [5]. Ed è a Smend che dobbiamo la più approfondita e concreta teoria dell’integrazione come momento centrale dell’unità politica e della coesione comunitaria. Scriveva Smend che: “Se la realtà della vita dello Stato si presenta come la produzione continua della sua realtà in quanto unione sovrana di volontà, la sua realtà consisterà nel suo sistema di integrazione. E questo, cioè la realtà dello Stato in generale, è compreso correttamente solo se concepito come l’effetto unitario di tutti i fattori di integrazione che, conformemente alla legislatività dello spirito rispetto al valore, si congiungono sempre di nuovo e automaticamente in un effetto d’insieme unitario” [6], e in un altro passo sostiene che: “La comunità, il gruppo, lo Stato non devono essere intesi come un Io collettivo riposante su se stesso, ma come la struttura unitaria della vita individuale, come dialettica che realizza e trasforma dinamicamente l’essenza del singolo e dell’intero” [7], e quindi “Esso, cioè, non è un intero immobile emanante singole espressioni di vita, leggi, atti diplomatici, sentenze, atti amministrativi, ma piuttosto esiste come tale solo in queste singole espressioni di vita, in quanto attivazioni di una connessione spirituale complessiva, e nelle ancora più importanti innovazioni e trasformazioni che hanno come oggetto esclusivo questa stessa connessione. Lo Stato vive ed esiste solo in questo processo di rinnovamento costante, di rigenerazione continua del vissuto” [8]
  2. Nel tramonto della “prima Repubblica”, e soprattutto nella sua fase terminale, cioè il regime dell’Ulivo, è stato fatto proprio l’inverso: si è prodotto e ricercato non “l’unione spirituale di volontà” ma la distribuzione del potere tra le oligarchie organizzate.

Basta dare i poteri necessari alle persone morali e competenti ri-sintetizzano gli idola del centro-sinistra, e le cose andranno a posto. Ma tale ragionamento non sta in piedi: non solo perché – e ciò è la ragione minore – il problema diviene in tal caso quali sono i poteri necessari e chi sceglie le persone morali e competenti. E con ciò ci si avvicina al nodo essenziale: ovvero del chi decide su necessità, moralità e competenza. Se è il “popolo”, il “potere maggioritario” di Hauriou, consenso ed integrazione si accrescono: se invece è un qualche sinedrio partitocratico-istituzionale, la cui maggiore sollecitudine è di escludere e rovesciare le scelte popolari, con i vari mezzi noti, dai ribaltoni in giù, l’uno e l’altro si riducono. Ma, più ancora, un tale ragionamento è concettualmente errato: a costituite una comunità, un’unità politica, necessari sono il governo e i governati, e il rapporto che s’instaura tra l’uno e gli altri. Lo Stato, questo ente dalle tante definizioni, prima di essere Stato-apparato, è Stato-comunità, e prima ancora un’idea, che vive nel (e del) rapporto tra i cittadini e tra questi e i governanti. Il problema dei poteri è importante, ma secondario rispetto a quelli: se assetto e distribuzione di questi fossero decisivi, sarebbero sufficienti a garantire l’unità ed effettività del comando. La storia mostra che non è così: sono legittimità ed autorità a garantire che l’assetto dei poteri vigente sarà accettato dai “sudditi”, e non l’inverso, che sia un “buon” assetto di poteri  ad assicurare e sostenere un’autorità legittima.

Per il consenso popolare, così sottovalutato, si è pensato invece che bastassero articolesse, interviste al Tg, o nei casi più importanti, i dibattiti nei vari Sciuscià e simili. I governati, in tale visione, avevano la funzione dello spettatore distaccato, dell’osservatore che plaude o dissente, ma, per carità, senza agire; l’essenziale non era la partecipazione ma che non disturbassero i manovratori (e la manovra). Una rappresentazione del popolo molto politically correct. Un esempio chiaro e sintetico ce l’ha dato l’on. Rutelli, in occasione del referendum del 7 ottobre 2001 (sulla riforma federale della Costituzione, fatta dall’Ulivo sul piede di partenza del governo) disertato da circa due terzi del corpo elettorale a conferma della solenne indifferenza verso le “realizzazioni” del centro-sinistra. Diceva, tutto contento, il (soi-disant? ) capo dell’opposizione “Ottimo il risultato del referendum, una prova di maturità e serietà” (Libero 9 ottobre 2001)” (il corsivo è nostro).

In altre parole il coinvolgimento dei governati è un plus, un “optional”, irrilevante; l’essenziale è osservare le forme di procedimenti legalmente validi: con ciò si pensa all’impossibile, quanto perseguita surrogazione della legalità alla legittimità. Che il problema reale  – e decisivo –   non sia quello dell’osservanza delle forme, ma del far osservare i comandi, e che questo è tanto più facile quanto più i destinatari dei medesimi lo fanno spontaneamente e generalmente; che, come scriveva Hauriou vi sia una “sovranità di sudditanza” che si esercita non solo all’intervenire ogni tanto con rivoluzioni, sommosse e così via, ma, assai più frequentemente, col non obbedire, è cosa che non rientra nella Weltanschauung – per così dire – ulivista.

La quale, di converso, dev’essere la (prima) preoccupazione del centro destra. Non che ne manchino delle altre, d’indubbia importanza: ma questa è decisiva, ed osservarla costituisce, in se, un fatto positivo e determinante, perché realmente costitutivo dell’unità politica . Certo, avere un governo stabile e in condizione di governare; un’amministrazione efficiente, fornitrice di servizi e non consumatrice di risorse; una giustizia che non sia come la rana di Galvani, generalmente nell’immobilità della morte ma, ogni tanto agitantesi per la “scossa” del “caso sociale” (o del nemico politico), è determinante per il futuro dell’Italia: ma ricostituire l’integrazione della comunità lo è di più. Senza la quale i due “estremi” necessari e indefettibili dell’unità politica, stanno o in opposizione espressa  – con pericolo grave e pressante per la comunità – o in una evidente indifferenza, foriera di decadenza, spesso lunga, ma ancor più, priva di sbocchi.

In mezzo, tra governanti e governati, si trova l’ampia gamma dei poteri “forti”, comprese le “cupole” delle varie corporazioni, la cui reazione – aperta ed espressa, o più spesso occulta e indiretta – è, ed ancor più sarà, dura, proporzionale al ridimensionamento (se non alla “detronizzazione”) di questi che una maggiore integrazione tra governanti e governati comporta. Ma è un rischio che bisogna correre. Non foss’altro perché una delle lezioni più evidenti dell’ultimo quinquennio è che, ormai, non vale più la regola dell’on. Andreotti che “il potere logora chi non ce l’ha”: all’Ulivo l’overdose di potere – pari, se non superiore a quella della DC (e alleati) negli anni cinquanta nel ’96- 2001 non ha portato (o mantenuto) un voto in più. Voto che forse avrebbero potuto ottenere, ove avessero governato meglio, il che avrebbe significato scontentare (almeno) alcune corporazioni forti: avendo preferito il consenso delle quali, non hanno guadagnato quello del corpo elettorale. E questo dev’essere di conforto – e monito – al centro destra, ad onorare il patto col popolo, anche a scapito della tregua con le corporazioni.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] P.J. Proudhon Contradictions politiques. Théorie du mouvement constitutionnel au XX siècle. Paris 1952, p. 215.

[2] V. M. Hauriou Précis de droit constitutionnel, laddove scrive “dell’organizzazione formale dell’ordine sociale concepito come un sistema animato d’un movimento lento ed uniforme”, op. cit., p. 71 ss.

[3] Verfassungslehre, trad. it., p. 18, Milano 1983, cui si rimanda

[4] Genesi e Struttura della società, ed. Firenze 1987, p. 103

[5] “Elezioni, dibattiti parlamentari, formazioni di gabinetto, referendum popolari: sono tutte funzioni integrative. In altre parole, non trovano la loro giustificazione, come insegna – per la sua origine giuridica – la teoria dominante degli organi e delle funzioni dello Stato, soltanto nel fatto che i rappresentanti dello Stato e del popolo in quanto intero vengono insediati” ma piuttosto “esse integrano, cioè creano di volta in volta, per parte loro, l’individualità politica del popolo nel suo insieme e perciò producono il presupposto del suo attivarsi in modo comprensibile sotto l’aspetto giuridico e materialmente positivo o negativo sotto quello materiale”; e prosegue “il diritto elettorale deve condurre in primo luogo alla formazione di partiti e quindi alla produzione di maggioranze, e non semplicemente di singoli deputati. Nello Stato parlamentare il popolo non è già in sé politicamente presente e viene poi ulteriormente qualificato, di elezione in elezione, in una particolare direzione politica: e da una formazione di gabinetto all’altra, esso ha invece una sua esistenza come popolo politico, come unione sovrana di volontà, principalmente in virtù di una sintesi politica specifica in cui soltanto giunge sempre di nuovo ad esistere in generale come realtà statale”, v. Rudolf Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, trad. it., Milano 1988, p. 93-95.

[6] Op. cit. p. 111

[7] Op. cit. p. 272

[8] Op. cit. p. 272

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Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale, di Big Serge

Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale

A poco a poco, e poi improvvisamente

Ferro, Cenere e Sangue

Dalla decisione a sorpresa della Russia di ritirarsi volontariamente dalla sponda occidentale di Kherson nella prima settimana di novembre, ci sono stati pochi cambiamenti drammatici nelle linee del fronte in Ucraina. In parte, ciò riflette il prevedibile clima del tardo autunno nell’Europa orientale, che lascia i campi di battaglia impregnati d’acqua e intasati di fango e inibisce notevolmente la mobilità. Per centinaia di anni, novembre è stato un brutto mese per tentare di spostare gli eserciti su qualsiasi distanza significativa, e come un orologio abbiamo iniziato a vedere video di veicoli bloccati nel fango in Ucraina.

Il ritorno della guerra posizionale statica, tuttavia, riflette anche l’effetto sinergico dell’aumento dell’esaurimento ucraino insieme all’impegno russo a logorare e privare pazientemente la restante capacità di combattimento dell’Ucraina. Hanno trovato un luogo ideale per raggiungere questo obiettivo nel Donbas.

Nel romanzo di Ernest Hemingway, The Sun Also Rises , a un personaggio un tempo ricco, ora sfortunato, viene chiesto come sia andato in bancarotta. “Due modi”, risponde, “gradualmente e poi all’improvviso”. Un giorno potremmo chiedere come l’Ucraina ha perso la guerra e ricevere più o meno la stessa risposta.

Verdun Redux

È lecito affermare che i media del regime occidentale hanno fissato uno standard molto basso per i reportage sulla guerra in Ucraina, data la misura in cui la narrativa mainstream è disconnessa dalla realtà. Nonostante questi standard bassi, il modo in cui la battaglia in corso a Bakhmut viene presentata alla popolazione è davvero ridicolo. L’asse Bakhmut viene presentato al pubblico occidentale come una perfetta sintesi di tutti i tropi del fallimento russo: in poche parole, la Russia sta subendo perdite orribili mentre lotta per catturare una piccola città con un’importanza operativa trascurabile. I funzionari britannici, in particolare, sono stati molto espliciti nelle ultime settimane insistendo sul fatto che Bakhmut ha poco o nessun valore operativo .

La verità è letteralmente l’opposto di questa storia: Bakhmut è una posizione chiave di volta operativamente critica nella difesa ucraina, e la Russia l’ha trasformata in una fossa mortale che costringe gli ucraini a sacrificare un numero esorbitante di uomini per mantenere la posizione fino a quando possibile. In effetti, l’insistenza sul fatto che Bakhmut non sia operativamente significativo è leggermente offensivo per il pubblico, sia perché una rapida occhiata a una mappa lo mostra chiaramente nel cuore della rete stradale regionale, sia perché l’Ucraina ha gettato un numero enorme di unità nel lì davanti.

Facciamo un passo indietro e consideriamo Bakhmut nel contesto della posizione complessiva dell’Ucraina a est. L’Ucraina ha iniziato la guerra con quattro linee difensive operabili nel Donbass, costruite negli ultimi 8 anni sia come parte integrante della guerra in ebollizione con LNR e DNR, ma anche in preparazione di una potenziale guerra con la Russia. Queste linee sono strutturate attorno ad agglomerati urbani con collegamenti stradali e ferroviari tra loro e possono essere approssimativamente enumerate come segue:

Linee difensive dell’Ucraina a est (mappa da me)

Il Donbas è un luogo particolarmente adatto per costruire formidabili difese. È altamente urbanizzata e industriale (Donetsk era l’oblast più urbano dell’Ucraina prima del 2014, con oltre il 90% della popolazione che viveva nelle aree urbane), con città e paesi dominati dai tipici robusti edifici sovietici, insieme a prolifici complessi industriali. L’Ucraina ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio a migliorare queste posizioni e gli insediamenti in prima linea sono pieni di trincee e postazioni di fuoco chiaramente visibili nelle immagini satellitari. Un recente video dall’asse Avdiivka dimostra l’estensione delle fortificazioni ucraine.

Quindi, rivediamo lo stato di queste cinture difensive. La prima cintura, che correva all’incirca da Severodonetsk e Lysychansk a Popasna, è stata spezzata in estate dalle forze russe. La Russia ha ottenuto un importante passo avanti a Popasna ed è stata in grado di iniziare il rollup completo di questa linea, con la caduta di Lysychansk all’inizio di luglio.

A questo punto, la linea del fronte si trova direttamente su quella che ho etichettato come la 2a e la 3a cintura difensiva ucraina, ed entrambe queste cinture ora sanguinano pesantemente.

La cattura di Soledar da parte delle forze di Wagner ha interrotto il collegamento tra Bakhmut e Siversk, mentre intorno a Donetsk, il sobborgo fortemente fortificato di Marinka è stato quasi completamente ripulito dalle truppe ucraine, e la famigerata posizione chiave di volta ucraina ad Avdiivka (il luogo da cui bombardano la popolazione civile della città di Donetsk) viene fiancheggiata da entrambe le direzioni.

La linea del fronte intorno ad Avdiivka (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Queste posizioni sono assolutamente fondamentali per l’Ucraina. La perdita di Bakhmut significherà il crollo dell’ultima linea difensiva che ostacola Slavyansk e Kramatorsk, il che significa che la posizione orientale dell’Ucraina si contrarrà rapidamente fino alla sua quarta (e più debole) cintura difensiva.

L’agglomerato di Slavyansk è una posizione di gran lunga peggiore da difendere per l’Ucraina rispetto alle altre cinture, per diversi motivi. Innanzitutto, essendo la cintura più a ovest (e quindi la più lontana dalle linee di partenza di febbraio 2022), è la meno migliorata e meno fortificata delle cinture. In secondo luogo, molte delle “cose ​​buone” intorno a Slavyansk si trovano a est della città, comprese sia le alture dominanti che le principali autostrade.

Tutto questo per dire che l’Ucraina è stata molto ansiosa di mantenere la linea Bakhmut, poiché questa è una posizione di gran lunga preferibile da mantenere, e di conseguenza ha riversato unità nel settore. I livelli assurdi dell’impegno delle forze ucraine in quest’area sono stati ben notati, ma proprio come un rapido ripasso, fonti ucraine pubblicamente disponibili individuano almeno 34 brigate o unità equivalenti che sono state schierate nell’area di Bakhmut. Molti di questi sono stati schierati mesi fa e sono già distrutti, ma per l’intero arco della battaglia in corso questo rappresenta un impegno sorprendente.

Unità ucraine intorno a Bakhmut (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Le forze russe, principalmente le unità Wagner PMC e LNR, stanno lentamente ma inesorabilmente facendo crollare questa roccaforte ucraina facendo un uso liberale dell’artiglieria. A novembre, l’ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha ammesso che l’artiglieria russa sull’asse Bakhmut godeva di un vantaggio di circa 9 a 1 sul tubo, il che sta trasformando Bakhmut in una fossa mortale.

La battaglia viene presentata in occidente come quella in cui i russi – solitamente stereotipati come soldati detenuti impiegati da Wagner – lanciano assalti frontali alle difese ucraine e subiscono perdite orribili nel tentativo di sopraffare la difesa con numeri puri. Il contrario è molto più vicino alla verità. La Russia si sta muovendo lentamente perché appiana le difese ucraine con l’artiglieria, poi si spinge avanti con cautela in queste difese polverizzate.

L’Ucraina, nel frattempo, continua a incanalare unità per riempire più o meno le trincee con nuovi difensori. Un pezzo del Wall Street Journal sulla battaglia, mentre cercava di presentare una storia di incompetenza russa, includeva accidentalmente un’ammissione di un comandante ucraino sul campo che diceva: “Finora, il tasso di cambio delle nostre vite per le loro favorisce i russi. Se continua così, potremmo esaurirci”.

I paragoni sono stati fatti liberamente (e non posso prendermene il merito) con una delle battaglie più infami della prima guerra mondiale: la sanguinosa catastrofe di Verdun. Sebbene non sia il caso di esagerare il valore predittivo della storia militare (nel senso che una conoscenza approfondita della prima guerra mondiale non consente di prevedere gli eventi in Ucraina), sono comunque un grande appassionato di storia come analogia, e lo schema tedesco di Verdun è un’utile analogia per ciò che sta accadendo a Bakhmut.

La battaglia di Verdun fu concepita dall’alto comando tedesco come un modo per paralizzare l’esercito francese attirandolo in un tritacarne preconfigurato. L’idea era di attaccare e conquistare un’altura difensiva cruciale, un terreno così importante che la Francia sarebbe stata costretta a contrattaccare e tentare di riconquistarla. I tedeschi speravano che la Francia impegnasse le proprie riserve strategiche in questo contrattacco in modo che potessero essere distrutte. Sebbene Verdun non sia riuscito a indebolire completamente la potenza di combattimento francese, è diventata una delle battaglie più sanguinose della storia del mondo. Una moneta tedesca che commemorava la battaglia raffigurava uno scheletro che pompava sangue dalla terra: una metafora visiva agghiacciante ma appropriata.

“The World Blood Pump” – commemora il tritacarne a Verdun

Qualcosa di simile si è effettivamente verificato a Bakhmut, nel senso che la Russia sta premendo su uno dei punti più sensibili della linea del fronte, attirando unità ucraine da uccidere. Pochi mesi fa, sulla scia del ritiro della Russia dalla Cisgiordania Kherson, gli ucraini hanno parlato con entusiasmo di continuare i loro sforzi offensivi con un attacco a sud in Zaparozhia per tagliare il ponte di terra verso la Crimea, insieme ai continui sforzi per sfondare nel nord di Lugansk. Invece, le forze di entrambi questi assi sono state reindirizzate a Bakhmut, al punto che questo asse sta prosciugando attivamente la forza di combattimento ucraina in altre aree. Fonti ucraine, precedentemente piene di ottimismo, ora concordano inequivocabilmente sul fatto che non ci saranno offensive ucraine nel prossimo futuro. Mentre parliamo,L’Ucraina continua a incanalare forze nell’asse Bakhmut .

Al momento, la posizione dell’Ucraina intorno a Bakhmut si è gravemente deteriorata, con le forze russe (in gran parte fanteria Wagner supportata dall’artiglieria dell’esercito russo) che stanno facendo progressi sostanziali su entrambi i fianchi della città. Sul fianco settentrionale, la cattura di Soledar ha spinto le linee russe a una distanza ravvicinata dalle autostrade nord-sud, mentre la cattura quasi simultanea di Klishchiivka sul fianco meridionale ha spinto le linee del fronte alle porte di Chasiv Yar (saldamente nella retroguardia operativa di Bakhmut ).

La linea di contatto attorno a Bakhmut, 20 gennaio 2023 (Mappa da me)

Gli ucraini non sono attualmente accerchiati, ma è facilmente distinguibile il continuo strisciare delle posizioni russe sempre più vicine alle rimanenti autostrade. Attualmente, le forze russe hanno posizioni entro due miglia da tutte le restanti autostrade. Ancora più importante, la Russia ora controlla le alture sia a nord che a sud di Bakhmut (la città stessa si trova in una depressione circondata da colline) dando alla Russia il controllo del fuoco su gran parte dello spazio di battaglia.

Attualmente sto anticipando che la Russia libererà la linea difensiva Bakhmut-Siversk entro la fine di marzo. Nel frattempo, la messa a nudo delle forze ucraine su altri assi aumenta la prospettiva di decisive offensive russe altrove.

Al momento, il fronte è costituito grosso modo da quattro assi principali (il plurale di asse, non l’attrezzo a lama), con consistenti agglomerati di truppe ucraine. Questi consistono, da sud a nord, degli assi Zaporozhia, Donetsk, Bakhmut e Svatove (vedi mappa sotto). Lo sforzo per rafforzare il settore Bakhmut ha notevolmente diluito la forza ucraina su questi altri settori. Sul fronte Zaporozhia, ad esempio, al momento ci sono potenzialmente solo cinque brigate ucraine in linea.

Al momento, la maggior parte della potenza di combattimento russa è disponibile, e sia le fonti occidentali che quelle ucraine sono (in ritardo) sempre più allarmate per la prospettiva di un’offensiva russa nelle prossime settimane. Attualmente, l’intera posizione ucraina a est è vulnerabile perché è, in effetti, un enorme saliente, vulnerabile agli attacchi da tre direzioni.

Due obiettivi di profondità operativa in particolare hanno il potenziale per distruggere la logistica e il sostegno ucraini. Questi sono, rispettivamente, Izyum nel nord e Pavlograd nel sud. Una spinta russa lungo la sponda occidentale del fiume Oskil verso Izyum minaccerebbe contemporaneamente di tagliare e distruggere il raggruppamento ucraino sull’asse Svatove (S sulla mappa) e recidere la vitale autostrada M03 da Kharkov. Raggiungere Pavlograd, d’altra parte, isolerebbe completamente le forze ucraine intorno a Donetsk e interromperebbe gran parte del transito dell’Ucraina attraverso il Dneiper.

Il piano Big Serge (mappa mia)

Sia Izyum che Pavlograd si trovano a circa 70 miglia dalle linee di partenza di una potenziale offensiva russa, e offrono quindi una combinazione molto allettante, essendo sia operativamente significative che relativamente gestibili. A partire da ieri, abbiamo iniziato a vedere progressi russi sull’asse Zaporozhia. Mentre questi consistono, al momento, principalmente in ricognizioni in forze che spingono nella “zona grigia” (quell’ambiguo fronte interstiziale), RUMoD ha rivendicato diversi insediamenti presi, che potrebbero presagire una vera spinta offensiva in questa direzione. Il indizio chiave sarebbe un assalto russo a Orikhiv, che è una grande città con una vera guarnigione ucraina. Un attacco russo qui indicherebbe che è in corso qualcosa di più di un attacco di indagine.

A volte è difficile analizzare la differenza tra ciò che prevediamo accadrà e ciò che vogliamo che accada. Questo, certamente, è ciò che sceglierei se fossi responsabile della pianificazione russa: un viaggio verso sud lungo la riva occidentale del fiume Oskil sull’asse Kupyansk-Izyum e un attacco simultaneo verso nord oltre Zaporozhia verso Pavlograd. In questo caso, credo che limitarsi a schermare Zaporozhia a breve termine sia preferibile piuttosto che impantanarsi in una battaglia urbana lì.

Non sappiamo se la Russia tenterà davvero di farlo. La sicurezza operativa russa è molto migliore di quella dell’Ucraina o delle sue forze per procura (Wagner e la milizia LNR/DNR), quindi sappiamo molto meno sugli schieramenti della Russia che su quelli dell’Ucraina. Indipendentemente da ciò, sappiamo che la Russia gode di una forte preponderanza della potenza di combattimento, lo sappiamo bene, e ci sono succosi obiettivi operativi a portata di mano.

Per favore, signore, ne voglio ancora

La vista a volo d’uccello di questo conflitto rivela un’affascinante meta-struttura della guerra. Nella sezione precedente, sostengo una visione del fronte strutturato attorno alla Russia che sfonda progressivamente le cinture difensive ucraine in sequenza. Penso che un simile tipo di struttura narrativa progressiva si applichi all’aspetto della generazione della forza di questa guerra, con la Russia che distrugge una sequenza di eserciti ucraini.

Permettetemi di essere un po’ più concreto. Sebbene l’esercito ucraino esista almeno in parte come un’istituzione continua, il suo potere di combattimento è stato distrutto e ricostruito più volte a questo punto attraverso l’assistenza occidentale. Molteplici fasi – cicli di vita, se vuoi – possono essere identificate:

  • Nei primi mesi della guerra, l’esercito ucraino esistente fu per lo più spazzato via. I russi hanno distrutto gran parte delle forniture indigene di armi pesanti dell’Ucraina e hanno distrutto molti quadri al centro dell’esercito professionale ucraino.
  • Sulla scia di questa prima frantumazione, la forza di combattimento ucraina è stata rafforzata trasferendo praticamente tutte le armi d’epoca sovietiche nelle scorte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Questo ha trasferito veicoli e munizioni sovietici, compatibili con le capacità ucraine esistenti, da paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca, ed è stato per lo più completato entro la fine della primavera del 2022. All’inizio di giugno, ad esempio, fonti occidentali hanno ammesso che le scorte sovietiche erano state prosciugate .
  • Con l’esaurimento delle scorte del Patto di Varsavia, la NATO ha iniziato a sostituire le capacità ucraine distrutte con equivalenti occidentali in un processo iniziato durante l’estate. Di particolare rilievo erano gli obici come l’americano M777 e il francese Caesar.

La Russia ha essenzialmente combattuto molteplici iterazioni dell’esercito ucraino – distruggendo la forza prebellica nei primi mesi, poi combattendo unità che sono state rifornite dalle scorte del Patto di Varsavia, e ora sta degradando una forza che dipende in gran parte dai sistemi occidentali.

Ciò ha portato all’ormai famosa intervista del generale Zaluzhny con l’economista in cui ha chiesto molte centinaia di carri armati principali, veicoli da combattimento di fanteria e pezzi di artiglieria. In effetti, ha chiesto un altro esercito, dato che i russi sembrano continuare a distruggere quelli che ha.

Voglio sottolineare alcune aree particolari in cui le capacità dell’Ucraina sono chiaramente degradate oltre i livelli accettabili, e osservare come ciò si colleghi allo sforzo della NATO per sostenere lo sforzo bellico ucraino.

Primo, artiglieria.

La Russia ha dato la priorità all’azione di controbatteria ormai da molte settimane e sembra avere un grande successo nel cacciare e distruggere l’artiglieria ucraina.

Sembra che ciò coincida in parte con il dispiegamento di nuovi sistemi di rilevamento della controbatteria “penicillin” . Questo è un nuovo strumento piuttosto pulito nell’arsenale russo. La guerra di controbatteria consiste generalmente in un pericoloso tango di pistole e sistemi radar. Il radar di controbatteria ha il compito di rilevare e localizzare le armi del nemico, in modo che possano essere distrutte dai propri tubi – il gioco è più o meno analogo a squadre nemiche di cecchini (l’artiglieria) e osservatori (il radar) che tentano di darsi la caccia a vicenda – e di ovviamente, ha senso sparare anche ai sistemi radar dell’altra parte, per accecarli, per così dire.

Il sistema Penicillin offre nuove potenti capacità alla campagna di controbatteria della Russia perché rileva le batterie di artiglieria nemiche non con il radar, ma con la localizzazione acustica. Emette un boom di ascolto che, in coordinamento con alcuni componenti del terreno, è in grado di localizzare i cannoni nemici attraverso il rilevamento sismico e acustico. Il vantaggio di questo sistema è che, a differenza di un radar a controbatteria, che emette onde radio che rivelano la sua posizione, il sistema Penicillin è passivo: sta semplicemente fermo e ascolta, il che significa che non offre al nemico un modo semplice per localizzarlo. esso. Di conseguenza, nella guerra di controbatteria, l’Ucraina attualmente non dispone di un buon modo per accecare (o meglio, assordare) i russi. Inoltre, le capacità di controbatteria russe sono state potenziate grazie all’aumento dell’uso del drone Lancet contro le armi pesanti.

Il boom acustico della penicillina ascolta il suono delle pistole nemiche

Tutto questo per dire che ultimamente la Russia ha distrutto un bel po’ di artiglieria ucraina. il Ministero della Difesa russo ha sottolineato il successo della controbatteria. Ora, so che a questo punto stai pensando: “perché dovresti fidarti del Ministero della Difesa russo?” Abbastanza giusto: fidiamoci ma verifichiamo.

Il 20 gennaio, la NATO ha convocato una riunione presso la base aerea di Ramstein in Germania, sullo sfondo di un nuovo massiccio pacchetto di aiuti messo insieme per l’Ucraina. Questo pacchetto di aiuti contiene, guarda caso, un’enorme quantità di pezzi di artiglieria. Secondo i miei calcoli, gli aiuti annunciati questa settimana includono quasi 200 tubi di artiglieria. Diversi paesi, tra cui Danimarca ed Estonia, stanno inviando all’Ucraina letteralmente tutti i loro obici . Chiamami pazzo, ma dubito seriamente che diversi paesi deciderebbero spontaneamente, esattamente nello stesso momento, di inviare all’Ucraina il loro intero inventario di pezzi di artiglieria se l’Ucraina non dovesse affrontare livelli di crisi di perdite di artiglieria.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno adottato misure nuove e senza precedenti per fornire proiettili all’Ucraina. Proprio la scorsa settimana, hanno attinto alle sue scorte in Israele e Corea del Sud , tra i rapporti secondo cui le scorte americane sono così esaurite che ci vorrà più di un decennio per ricostituirsi .

Rivediamo le prove qui e vediamo se possiamo trarre una conclusione ragionevole:

  1. I funzionari ucraini ammettono che la loro artiglieria è superata di 9 a 1 nei settori critici del fronte.
  2. La Russia schiera un sistema di controbatteria all’avanguardia e aumenta il numero di droni Lancet.
  3. Il Ministero della Difesa russo afferma di aver cacciato e distrutto in gran numero i sistemi di artiglieria ucraini.
  4. La NATO si è affrettata a mettere insieme un massiccio pacchetto di sistemi di artiglieria per l’Ucraina.
  5. Gli Stati Uniti stanno facendo irruzione nelle scorte critiche schierate in avanti per rifornire l’Ucraina di proiettili.

Personalmente ritengo ragionevole, alla luce di tutto ciò, presumere che il braccio di artiglieria dell’Ucraina sia stato in gran parte distrutto e che la NATO stia tentando di ricostruirlo ancora una volta.

Il mio regno per un carro armato

Il principale punto di discussione nelle ultime settimane è stato se la NATO fornirà o meno all’Ucraina i principali carri armati. Zaluzhny ha accennato a un parco di carri armati ucraini gravemente impoverito nella sua intervista con l’Economist, in cui ha chiesto centinaia di MBT. La NATO ha tentato di fornire una soluzione di ripiego fornendo all’Ucraina vari veicoli corazzati come il Bradley IFV e lo Stryker, che ripristinano una certa mobilità, ma dobbiamo dire inequivocabilmente che questi non sono in alcun modo sostituti degli MBT, e sono di gran lunga inferiori in entrambi protezione e potenza di fuoco. Il tentativo di utilizzare Bradley, ad esempio, nel ruolo di MBT non funzionerà.

Buongiorno

Finora, sembra che l’Ucraina riceverà una piccola manciata di carri armati Challenger dalla Gran Bretagna, ma si parla anche di donare Leopardi (di marca tedesca), Abrams (americani) e Leclercs (francesi). Come al solito, l’impatto sul campo di battaglia della ricezione dei carri armati da parte dell’Ucraina è stato ampiamente sopravvalutato (sia dagli scagnozzi ucraini che dai russi pessimisti) e minimizzato (dai trionfalisti russi). Suggerisco una via di mezzo.

Il numero di carri armati che può essere ragionevolmente fornito all’Ucraina è relativamente basso, semplicemente a causa dell’onere di addestramento e sostentamento. Tutti questi carri armati utilizzano munizioni diverse, parti speciali e richiedono un addestramento specializzato. Non sono il tipo di sistemi che possono essere semplicemente portati fuori dal lotto e direttamente in combattimento da un equipaggio non addestrato. La soluzione ideale per l’Ucraina sarebbe quella di ricevere solo Leopard A24, poiché questi potrebbero essere disponibili in quantità decenti (forse un paio di centinaia) e almeno sarebbero standardizzati.

Un leopardo turco bruciato in Siria

Dovremmo anche notare, ovviamente, che è improbabile che questi carri armati occidentali cambino le regole del gioco sul campo di battaglia. Il Leopard ha già mostrato i suoi limiti in Siria sotto operazione turca. Nota la seguente citazione da questo articolo del 2018:

“Dato che i carri armati sono ampiamente gestiti dai membri della NATO – tra cui Canada, Paesi Bassi, Danimarca, Grecia e Norvegia – è particolarmente imbarazzante vederli distrutti così facilmente dai terroristi siriani quando dovrebbero eguagliare l’esercito russo”.

In definitiva, il Leopard è un MBT abbastanza banale progettato negli anni ’70 surclassato dal russo T-90. Non è un terribile pezzo di equipaggiamento, ma non è certo un terrore da campo di battaglia. Subiranno perdite e saranno logorati proprio come lo era il parco carri armati dell’Ucraina prima della guerra. Tuttavia, ciò non cambia il fatto che un esercito ucraino con poche compagnie di leopardi sarà più potente di uno senza di loro.

Penso che sia giusto dire che le seguenti tre affermazioni sono tutte vere:

  1. Ricevere un miscuglio di carri armati occidentali creerà un difficile onere di addestramento, manutenzione e sostentamento per l’Ucraina.
  2. I carri armati occidentali come il Leopard hanno un valore di combattimento limitato e verranno distrutti come qualsiasi altro carro armato.
  3. I carri armati occidentali aumenteranno la potenza di combattimento dell’esercito ucraino fintanto che saranno sul campo.

Ora, detto questo, a questo punto non sembra che la NATO voglia dare all’Ucraina i principali carri armati. Inizialmente è stato suggerito che i carri armati dal deposito potessero essere rispolverati e consegnati a Kiev, ma il produttore ha dichiarato che questi veicoli non sono funzionanti e non saranno pronti per il combattimento fino al 2024 . Ciò lascia solo la possibilità di immergersi direttamente nei parchi carri armati della NATO, cosa che finora sono reticenti a fare.

Come mai? Il mio suggerimento sarebbe semplicemente che la NATO non crede nella vittoria ucraina. L’Ucraina non può nemmeno sognare di spostare la Russia dalla sua posizione senza un’adeguata forza di carri armati, e quindi la reticenza a consegnare i carri armati suggerisce che la NATO pensa che questo sia comunque solo un sogno. Invece, continuano a dare la priorità alle armi che sostengono la capacità dell’Ucraina di combattere una difesa statica (da qui le centinaia di pezzi di artiglieria) senza indulgere in voli di fantasia su una grande spinta corazzata ucraina in Crimea.

Tuttavia, data l’intensa febbre della guerra che si è accumulata in occidente, è possibile che lo slancio politico ci imponga la scelta. È possibile che abbiamo raggiunto il punto in cui la coda scodinzola, che la NATO sia intrappolata nella sua stessa retorica di sostegno inequivocabile fino a quando l’Ucraina non otterrà una vittoria totale, e potremmo ancora vedere i Leopard 2A4 bruciare nella steppa.

Sommario: La morte di uno Stato

L’esercito ucraino è estremamente degradato, avendo subito perdite esorbitanti sia di uomini che di armi pesanti. Credo che i KIA ucraini si stiano avvicinando a 150.000 a questo punto, ed è chiaro che le loro scorte di tubi di artiglieria, proiettili e veicoli corazzati sono in gran parte esaurite.

Mi aspetto che la linea difensiva Bakhmut-Siversk venga ripulita prima di aprile, dopodiché la Russia si spingerà verso l’ultima (e più debole) cintura difensiva intorno a Slavyansk. Nel frattempo, la Russia ha in riserva una notevole potenza di combattimento, che può essere utilizzata per riaprire il fronte settentrionale sulla riva occidentale dell’Oskil e riavviare le operazioni offensive a Zaporozhia, mettendo in grave pericolo la logistica ucraina.

Questa guerra sarà combattuta fino alla sua conclusione sul campo di battaglia e terminerà con una decisione favorevole per la Russia.

Coda: una nota sui colpi di stato

Sentiti libero di ignorare questo segmento, poiché è un po’ più nebuloso e non è concretamente correlato agli eventi in Ucraina o in Russia.

Abbiamo visto molte voci divertenti sui colpi di stato in entrambi i paesi: Putin ha il cancro al piede e il suo governo crollerà, Zelensky sta per essere sostituito con Zaluzhny, e così via. Patrioti in controllo e tutta quella roba buona.

In ogni caso, ho pensato di scrivere solo in generale sul perché i colpi di stato e le rivoluzioni non sembrano mai portare a regimi democratici carini e coccolosi, ma invece quasi sempre portano al passaggio del controllo politico ai servizi militari e di sicurezza.

La risposta, si potrebbe pensare, è semplicemente che questi uomini hanno le armi e il potere per accedere alle stanze importanti in cui vengono prese le decisioni, ma non è solo questo. Si riferisce anche a un concetto nella teoria dei giochi chiamato punti Schelling .

Un punto Schelling (dal nome del signore che ha introdotto il concetto, un economista di nome Thomas Schelling) si riferisce alla soluzione che le parti scelgono dato uno stato di incertezza e nessuna capacità di comunicare. Uno degli esempi classici per illustrare il concetto è un gioco di coordinazione. Supponiamo che a te e a un’altra persona vengano mostrati quattro quadrati ciascuno: tre sono blu e uno è rosso. A ciascuno di voi viene chiesto di scegliere un quadrato. Se scegliete entrambi la stessa casella, ricevete un premio in denaro, ma non potete parlarvi delle vostre scelte. Come scegli? Bene, la maggior parte delle persone sceglie razionalmente il quadrato rosso, semplicemente perché è ben visibile – risalta, e quindi presumi che anche il tuo partner sceglierà questo quadrato. Il quadrato rosso non è migliore, di per sé, è solo ovvio.

In uno stato di tumulto politico, o addirittura di anarchia, il sistema lavora verso i punti Schelling – figure e istituzioni ovvie che irradiano autorità, e sono quindi la scelta evidente per assumere il potere e impartire comandi.

I bolscevichi, ad esempio, lo capirono molto bene. Immediatamente dopo aver dichiarato il loro nuovo governo nel 1917, inviarono commissari nei vari edifici per uffici a San Pietroburgo dove avevano sede le burocrazie zariste. Trotsky notoriamente si presentò una mattina all’edificio del ministero degli Esteri e annunciò semplicemente di essere il nuovo ministro degli Esteri. I dipendenti lo deridevano: chi era? come ha fatto a presumere di essere al comando? – ma per Trotsky il punto era insinuarsi su un punto Schelling. Nello stato di anarchia che cominciava a diffondersi in Russia, le persone cercavano naturalmente qualche ovvio punto focale di autorità, ei bolscevichi si erano abilmente posizionati come tali rivendicando il controllo sulle cariche e sui titoli burocratici. Dall’altra parte del conflitto civile, l’opposizione politica ai bolscevichi si raggruppò attorno agli ufficiali dell’esercito zarista, perché anch’essi erano punti di Schelling, in quanto avevano già titoli e posizione all’interno di una gerarchia esistente.

Tutto questo per dire che in caso di colpo di stato o di collasso dello stato, praticamente non si formano mai nuovi governi sui generis, ma nascono sempre da istituzioni e gerarchie preesistenti. Perché, quando cadde l’Unione Sovietica, l’autorità politica passò alle Repubbliche? Perché queste Repubbliche erano punti Schelling, rami che si possono afferrare per mettersi al sicuro in un fiume caotico.

Lo dico semplicemente perché sono stanco di storie fantasmagoriche sulla liquidazione del regime in Russia e persino sulla dissoluzione territoriale. La caduta del governo di Putin non porterà e non può portare a un regime acquiescente, adiacente all’Occidente, perché non ci sono istituzioni di potere reale in Russia che siano così disposte. Il potere ricadrebbe sui servizi di sicurezza, perché sono punti Schelling, ed è lì che va il potere.

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-the-world-blood

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Guardare e comprendere il multipolarismo_con Gianfranco La Grassa

Costruire uno strumento interpretativo adeguato a comprendere il contesto politico e geopolitico. Un impegno che non può prescindere dai tempi dettati dalla contingenza storica. Attardarsi, però, nella riproposizione pedissequa degli schemi interpretativi che hanno orientato le vicende politiche del secolo scorso porta sicuramente a posizioni fuorvianti e conclusioni sempre più paradossali. Ne parlo con Gianfranco La Grassa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v26e3zo-guardare-e-comprendere-il-multipolarismo-con-gianfranco-la-grassa.html

 

Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 1a parte

Massimo Morigi

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 7

PRIMA PARTE DELLO STATO DELLE COSE DELL ULTIMA RELIGIONE POLITICA

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Il mutamento dell’equilibrio di potere dell’UE, di Adriano Bosone

Tra il 2020 e il 2022, tre eventi geopolitici fortemente dirompenti hanno alterato gli equilibri di potere all’interno dell’Unione Europea, aumentando l’influenza dei paesi del sud e dell’est del blocco a scapito dei paesi tradizionalmente più influenti del nord. Queste nuove dinamiche di potere non solo daranno forma alla politica interna ed estera dell’UE nei prossimi anni, ma probabilmente porteranno a un conflitto interno più in basso che metterà ancora una volta alla prova l’unità interna del blocco.

Tre anni turbolenti

Il primo dei tre eventi dirompenti è stata la Brexit. Il Regno Unito ha lasciato il blocco nel gennaio 2020 dopo anni di negoziati iniziati con il referendum del giugno 2016. La Gran Bretagna era stata in precedenza uno dei più forti sostenitori del blocco del libero scambio, della deregolamentazione e della limitata integrazione sociale, economica e politica nel continente. Per decenni, il Regno Unito è stato anche un alleato dei paesi dell’Europa settentrionale (e soprattutto nordica) che difendevano un’Europa aperta con un approccio pro-business agli affari economici ed erano scettici sulla federalizzazione dell’UE. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, quindi, ha creato un’opportunità per i paesi dell’Europa meridionale, che tendono a difendere un’UE più interventista che protegga le proprie economie dalla concorrenza esterna, mettendo insieme allo stesso tempo risorse finanziarie in tutto il continente per finanziare politiche a livello di blocco.

Subito dopo la Brexit è arrivata la pandemia di COVID-19, che ha provocato la prima ondata di blocchi in tutta l’UE nel marzo 2020. Il devastante impatto umano ed economico della pandemia ha consentito all’Unione europea di compiere passi senza precedenti, tra cui l’avvio di un massiccio Pacchetto di stimolo da 750 miliardi di euro nel luglio 2020 che includeva sovvenzioni e prestiti per i suoi membri, con Italia e Spagna che hanno ricevuto le maggiori somme di denaro. In particolare, i 27 Stati membri dell’UE hanno consentito alla Commissione europea di prendere in prestito nei mercati finanziari per loro conto per pagare il pacchetto, una politica che si era rivelata impossibile da attuare durante la crisi finanziaria solo un decennio prima a causa della ferma opposizione dei governi del nord Europa. In una certa misura, il nord ha sostenuto il pacchetto 2020 perché, a differenza della crisi dell’eurozona del 2009, i danni economici nell’Europa meridionale non è stato il risultato di politiche fiscali irresponsabili ma di eventi al di fuori del loro controllo. Tuttavia, sia in scala che soprattutto nel modo in cui è stato finanziato, il pacchetto di stimoli non ha precedenti nella storia europea recente ed è stato un segnale forte di un’Europa meridionale più influente. In quanto tale, ha stabilito un precedente per le future risposte alle crisi.

Il terzo evento geopolitico che ha alterato l’equilibrio di potere nell’Unione europea è stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, che ha portato a un picco dell’inflazione in tutta Europa a causa di forniture energetiche più limitate e più costose. Le ricadute economiche della guerra e le conseguenti interruzioni delle esportazioni di energia russe hanno visto i governi europei (di nuovo) introdurre grandi pacchetti di stimolo, oltre a cercare disperatamente forniture alternative di gas naturale per evitare il razionamento del gas e i blackout. Anche le industrie ad alta intensità energetica in tutto il continente in settori che vanno dal cemento ai fertilizzanti sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività. La guerra rappresentava sia un rischio che un’opportunità per i paesi dell’Europa centrale e orientale, che per decenni avevano messo in guardia sulla minaccia della Russia alla pace nel continente, e avevano chiesto una maggiore presenza delle truppe della NATO nella regione e una posizione più aggressiva dell’UE nei confronti di Mosca . Sotto la pressione della Polonia e degli Stati baltici, l’Unione europea ha imposto sanzioni economiche e politiche alla Russia, aumentando gli aiuti finanziari, umanitari e militari all’Ucraina. In particolare, la guerra ha anche costretto la Germania a rompere con la sua politica decennale che cercava di mantenere separate le tensioni politiche tra la Russia e l’Occidente dalle massicce importazioni tedesche di gas naturale russo. Berlino’

Forse ancora più cruciale, la guerra ha anche dato alla NATO un rinnovato senso di intenti che era in linea con le opinioni dell’Europa centrale e orientale, meno di tre anni dopo che il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiarato l’alleanza militare “cerebralmente morta” e promosso alternative europee a cooperazione NATO. Il fatto che Svezia e Finlandia abbiano rotto la loro neutralità storica per aderire all’alleanza di sicurezza occidentale ha realizzato l’aspirazione di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia di circondare completamente la Russia nella regione baltica e ha aperto la porta a una più profonda cooperazione di sicurezza baltico-nordica.

Infine, la guerra ha anche accresciuto l’importanza strategica dei paesi dell’Europa meridionale, che dall’oggi al domani sono diventati attori chiave nella spinta dell’Unione europea a diversificare le sue forniture di gas naturale lontano dalla Russia. I molteplici terminali GNL della Spagna e dell’Italia e le loro connessioni di gasdotti con il Nord Africa contrastare con l’elevata dipendenza della Germania dai gasdotti provenienti dalla Russia, e mettere Madrid e Roma al centro dei piani in corso per moltiplicare e diversificare i fornitori di energia dell’Unione Europea. Inoltre, i significativi investimenti dell’Europa meridionale nelle energie rinnovabili (compresa l’energia solare, che ha un enorme potenziale nei paesi baciati dal sole del Mediterraneo) amplieranno ulteriormente il suo ruolo nel mix energetico del blocco nei prossimi anni, soprattutto se il Nord Europa è disposto pagare le infrastrutture necessarie per distribuire l’energia in tutto il continente. Ironia della sorte, la crisi energetica dell’Europa ha anche portato Bruxelles a tollerare i paesi che utilizzano più carbone , che è stata una vittoria a breve termine per gli utenti di carbone pesante come la Polonia e altri paesi della regione.

L’impatto che va avanti

Gli effetti della Brexit, della pandemia di COVID-19 e della guerra in Ucraina sono stati visibili nel 2022, ma il loro impatto continuerà nel 2023 e oltre. Ora che il tabù del prestito congiunto dell’UE è stato infranto, i governi dell’Europa meridionale continueranno a spingere per prestiti congiunti per finanziare iniziative a livello continentale in aree che vanno dal cambiamento climatico alle infrastrutture energetiche. Nel frattempo, la Commissione europea (che nel 2020 ha sospeso le regole dell’UE sui limiti del debito sovrano e del deficit fiscale in modo che i paesi potessero spendere per uscire dalla pandemia) sta spingendo per una riprogettazione delle regole prima che vengano reintrodotte nel 2024. Sotto la pressione del sud, le nuove regole si concentreranno probabilmente su obiettivi più flessibili relativi alla crescita a lungo termine e alla sostenibilità del debito rispetto alle regole attuali, che sono più orientate verso il raggiungimento di obiettivi a breve termine, dimostrato quasi impossibile da raggiungere . Inoltre, l’Unione europea utilizzerà misure protezionistiche in Cina e negli Stati Uniti per giustificare il proprio aumento di aiuti di Stato , sovvenzioni e altre forme di assistenza a settori strategici della sua economia, il che è anche in linea con le opinioni dell’Europa meridionale su come il blocco dovrebbe funzionare.

I prossimi anni offriranno anche nuove opportunità all’Europa centrale e orientale per aumentare la loro capacità di guidare la direzione strategica dell’Unione europea. La Polonia e gli Stati baltici useranno la loro ritrovata influenza sulla politica estera dell’UE per garantire che le sanzioni contro la Russia siano mantenute e, se possibile, ampliate. Chiederanno inoltre (e contribuiranno a) una maggiore presenza di truppe NATO nella regione e spingeranno contro qualsiasi piano francese per attuare iniziative di difesa che potrebbero competere con l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti. Un cessate il fuoco in Ucraina è improbabile nel 2023, il che significa che la Polonia ei suoi alleati baltici raggiungeranno probabilmente questi obiettivi a breve e medio termine. Ancora più importante, la Polonia sta emergendo come una delle principali potenze militari in Europa grazie ad anni di aumento delle spese per la difesa e di modernizzazione militare, una tendenza che l’invasione russa dell’Ucraina accelererà. Questo, combinato con il fatto che la Polonia è una delle economie più dinamiche dell’Unione Europea, significa che il peso di Varsavia negli affari europei è destinato ad aumentare solo nei prossimi anni.

Un cambiamento permanente?

Sebbene questi spostamenti di potere in Europa saranno visibili nel 2023, potrebbero non essere permanenti. Una volta che il senso di urgenza legato alla pandemia e alla guerra sarà svanito, i paesi del Nord Europa potrebbero decidere che la combinazione di regole fiscali più flessibili e massicce spese dell’UE sostenute dal debito congiunto non è una politica responsabile o sostenibile. Ciò potrebbe comportare un significativo respingimento contro queste misure alla fine di questo decennio a causa dei timori di una nuova crisi finanziaria nell’Unione europea.

Questo potenziale cambiamento di atteggiamento dipenderà in gran parte dalla Germania, perché molte delle attuali politiche dell’UE sono state rese possibili dal fatto che due dei tre membri del governo di coalizione tedesco sono economicamente progressisti. Privando Bruxelles della decisiva leadership tedesca, Berlino si concentrò maggiormente sugli affari interni nell’ultimo anno, in risposta alle crescenti crisi economiche ed energetiche, ha anche concesso ai governi dell’Europa meridionale spazio per elevare il proprio profilo nel blocco. Ma le prossime elezioni generali in Germania (previste per il 2025) potrebbero riportare al potere i conservatori e, con loro, posizioni più aggressive sull’integrazione fiscale dell’UE. Le prime ribellioni contro le politiche più lassiste del debito e del deficit dell’Unione Europea sono probabili anche in paesi come Paesi Bassi, Svezia, Austria e Danimarca se la ripresa economica del blocco dalle crisi attuali avverrà più velocemente del previsto. Anche senza un ritorno al conflitto nord-sud sulla politica fiscale, la volatilità dei mercati finanziari causata da significativi rialzi dei livelli del debito sovrano (soprattutto nei paesi meridionali come l’Italia) potrebbe essere un campanello d’allarme per l’Unione europea affinché cambi direzione.

L’influenza dei paesi dell’Europa centrale e orientale deve affrontare limiti propri. L’influenza della Polonia sulla politica dell’UE è cresciuta nel 2022, ma il paese è ancora sotto la minaccia di sanzioni da parte della Commissione europea a causa di controversie relative allo stato di diritto che potrebbero portare al congelamento di miliardi di euro di fondi dell’UE. E mentre la Polonia è una voce di spicco nella politica relativa alla Russia, i paesi pro-UE come Estonia, Lettonia e Lituania non condividono necessariamente le opinioni euroscettiche della Polonia sull’integrazione continentale, il che significa che potrebbero esserci divisioni tra i governi dell’Europa centrale e orientale che sono i principali falchi russi. Inoltre, la guerra in Ucraina ha isolato l’Ungheria, che è stato lasciato solo a opporsi ad alcune delle sanzioni contro la Russia. Ma Ungheria e Polonia sono ancora allineate e si sostengono a vicenda su questioni sociali, culturali, sullo stato di diritto e istituzionali che irritano la maggior parte degli Stati membri occidentali dell’UE e limitano la cooperazione con loro. I sondaggi di opinione suggeriscono che l’opposizione filoeuropea della Polonia ha buone possibilità di vincere le elezioni generali alla fine del 2023 (il che migliorerebbe le relazioni di Varsavia con Bruxelles). Tuttavia, i tempi di guerra tendono anche a favorire i governi in carica, il che significa che i leader euroscettici della Polonia potrebbero assicurarsi un altro mandato, che limiterebbe la sua influenza sulla politica dell’UE al di là delle questioni di sicurezza.

Finora, l’Unione europea è riuscita a rimanere unita nonostante i cambiamenti sismici avvenuti tra il 2020 e il 2022. Ma l’effetto di questi cambiamenti sulla politica dell’UE potrebbe svanire con il tempo. Le tendenze protezionistiche in Cina e, in misura minore, negli Stati Uniti daranno ai membri dell’UE che sostengono l’intervento statale una continua giustificazione per le loro opinioni, il che significa che tali politiche probabilmente persisteranno. Ma è improbabile che il Nord Europa rimanga passivo alle politiche fiscali promosse dal Sud Europa per paura di un aumento del rischio morale e il rischio di nuove crisi del debito nel Mezzogiorno. Inoltre, lo scetticismo di alcuni paesi dell’Europa orientale nei confronti di un’ulteriore integrazione politica ed economica dell’UE si scontrerà probabilmente con le opinioni più favorevoli all’integrazione dell’Europa occidentale. Dal punto di vista della sicurezza, l’ascesa militare della Cina non riunirà l’Unione europea nello stesso modo in cui l’ha fatto l’invasione russa dell’Ucraina, il che si tradurrà in dibattiti interni sul futuro sia della NATO che dell’integrazione della difesa in Europa. Ciò significa che mentre il cambiamento in corso nelle dinamiche di potere interne non rappresenta un’immediata minaccia esistenziale per l’Unione Europea, attualmente vengono piantati i semi per nuovi scontri che probabilmente giungeranno al culmine più avanti nel decennio – e quando lo faranno, il l’unità del blocco sarà ancora una volta messa alla prova.

https://worldview.stratfor.com/article/eus-shifting-balance-power

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IL BICCHIERE MEZZO PIENO, Teodoro Klitsche de la Grange

IL BICCHIERE MEZZO PIENO

Tra le innovazioni del decreto 150/2022, c’è l’estensione dei reati procedibili solo a querela dell’offeso, onde creare un barrage ai processi penali e così ridurne il numero. Il tutto, si sostiene, in linea con gli obiettivi di efficienza del processo e del sistema penale. Ancorché il tutto possa prestarsi ad un’inferiore deterrenza della prescrizione sanzionatoria (e così al di essa effetto dissuasorio) la rimessione alla parte lesa della facoltà di “far partire” il procedimento, ne facilita – a vantaggio della medesima – le condotte risarcitorie e riparatorie del reato, con soddisfazione – almeno parziale – dell’interesse della vittima.

Nello stato in cui versa la giustizia italiana, non possono che essere benvenute disposizioni che consentono una migliore soddisfazione dell’interesse privato, peraltro “alleggerendone” gli oneri per lo Stato. Tuttavia sono i presupposti di soluzioni come questa a dover essere criticati; vediamo perché.

Scriveva Hegel che lo “Stato è la realtà della libertà concreta”, in quanto, brevemente, coniuga gli interessi particolari con l’interesse della generalità così che né l’universale si compie senza l’interesse particolare, né che gli individui vivano solo per questo, senza che vogliano, in pari tempo, l’universale.

Più “tecnicamente”, da giurista, Jhering collegava l’interesse particolare al generale, attraverso i meccanismi giuridici, in particolare la sanzione, che, come Carnelutti avrebbe sottolineato, è un avvaloramento del precetto normativo con la quale si penalizza la condotta conforme o contraria a quella, sacrificando o soddisfacendo l’interesse particolare.

Anche per questo Jhering scrisse quel best seller giuridico che è La lotta per il diritto (Kampf ums Recht) ancora oggi, a circa un secolo e mezzo dalla pubblicazione, continuamente riedito. Nell’edizione Laterza degli anni ’30, con un’avvertenza preliminare di Croce che, sorprendentemente, ne sottolineava l’alto valore etico, scrivendo: “Può far maraviglia che questo elevamento della lotta pel diritto sopra le considerazioni utilitarie sia sostenuto da un pensatore che nella sua speciale trattazione filosofica dell’argomento, Der Zweck im Recht (1877-83), riportò il principio del diritto all’egoismo… Ma tant’è: nel Jhering il sentimento morale era più forte dei suoi presupposti e della sua logica filosofica” e proseguiva che a questa concezione “valse il forte rilievo dato agli individui e ai loro bisogni e ai fini che si propongono nel formare il diritto; se anche gli piacque interpretarli e chiamarli, poco felicemente, egoistici”.

La ragione per cui lottare (Kampf) per il proprio diritto soggettivo, al tempo stesso si risolve nel realizzare  quello oggettivo è che il diritto che non è applicato, per cui non si lotta, è un diritto… teorico. Cioè che nega la propria essenza di attività (ragione) pratica. Come le idee di Platone, confinato in un iperuranio normativo, senza un demiurgo che lo porti in terra.

Se la funzione del demiurgo è rivestita soltanto dalla vittima zelante probabilmente l’effettività dell’attuazione (cioè la soddisfazione dell’interesse pubblico all’ordine sociale) e così l’oggettivazione lascerà a desiderare.

Ciò premesso quel che più sorprende di questa soluzione è che se ne vuole misurare (almeno nella rappresentazione che ne danno molti mass-media) l’efficacia non dal calo dei reati commessi ma da quello dei processi che ne conseguono.

Di per se che non si celebri il processo dopo il reato perché manca la querela, non significa che il reato non sia avvenuto (né che il reo non lo reiteri), ma solo, per l’appunto, che manca la querela. Anzi, sbrigarsela con un risarcimento e non con la detenzione non fa calare le trasgressioni, ma aumentare le possibilità di “farla franca”. In particolare per i rei dotati di disponibilità finanziarie.

C’è da aggiungere che tale modo di ragionare, in particolare se presentato come “momento” decisivo delle riforme, è figlio di una visione burocratica del mondo; è l’universo visto dall’angolo visuale della scrivania, ma tale punto di osservazione non permette una percezione “a giro d’orizzonte” e prenderla per quella principale è frutto di una deformazione professionale, spesso ripetuta. Se invece di centomila processi da iniziare se ne hanno settantamila, onde la durata degli stessi dimezza, non vuol dire (neppure) che l’efficacia dell’amministrazione della giustizia penale è migliorata, ma solo che ha minore lavoro da sbrigare. Tuttavia la funzione della giustizia penale in ispecie, di assicurare l’ordine sociale non ci guadagna un gran che. Ciò non significa che la riforma sia disprezzabile, ma che non è il caso di intonare peana né confidare in grandi risultati da un bicchiere mezzo pieno.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Ucraina, 25a puntata_degenerazioni ed adattamenti di regime Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Un conflitto prolungato mette a dura prova la tenuta di qualsiasi regime. Un vero e proprio test, fondato sul sangue e sul sacrificio della popolazione, che può portare alla degenerazione e al disfacimento di uno stato e del tessuto sociale, come ad una capacità di adattamento e di rinnovamento impensabili in tempi di ordinaria amministrazione. In questo conflitto stiamo assistendo ad una dinamica speculare, vedremo se irreversibile. Se da una parte, quella russa, si sta affermando, anche nel senso comune, la realtà di un confronto esistenziale con l’intero blocco occidentale, dall’altra il regime ucraino è aggrappato ad una disperata resistenza fondata sull’aiuto esterno pressoché esclusivo, con tutte le degenerazioni che questa comporta: quello di un regime e di una economia e società fondato sullo stato di guerra e sulla speculazione del più infimo livello. Più simile, quest’ultima ad una struttura per bande di fatto anomica e prive di regole per come le intendiamo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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