I nodi al pettine, di Roberto Buffagni

Crisi ucraina. È arrivato al pettine il nodo dell’espansione NATO verso Est.
È stato un errore strategico di prima grandezza che George Kennan, l’architetto della politica di contenimento dell’URSS nel secondo dopoguerra, definì “the most fateful error of American policy in the entire post-Cold War era.” La Russia potrebbe accettare la presenza di un’alleanza militare a guida USA ai propri confini solo se fosse una colonia americana, guidata da un governo fantoccio, e/o si disgregasse in entità politiche troppo deboli per opporsi alla volontà degli USA (è il caso dell’Europa dopo la IIGM). Ve ne fu la possibilità nel 1991, con l’implosione dell’URSS; ma dopo un periodo di terribile sfacelo, la Russia ha ritrovato una direzione politica capace di difendere la sovranità nazionale.
La situazione è molto semplice. Nel 1832, gli Stati Uniti pubblicano la Dottrina Monroe: il Nord e il Sud del continente americano non sono più aperti alla colonizzazione. Nessun paese del continente americano può stringere alleanze militari con potenze straniere. La dottrina Monroe formalizza una regolarità strategica. Ogni potenza deve, per sopravvivere e conservare la propria autonomia, avere una zona d’influenza che la protegga. Chi non ha una propria zona d’influenza fa parte di una zona d’influenza altrui, e gli è subalterno (in forme diverse, dalla colonia all’alleanza).
La Russia, che è una grande potenza, per restarlo ha bisogno di una zona d’influenza, e dunque non può accettare la presenza di un’alleanza militare straniera ai propri confini. Probabilmente ha scelto questo momento per iniziare il rollback della NATO perché ritiene che a) la riforma delle sue FFAA e l’adozione di sistemi d’arma innovativi le aprano una finestra di opportunità in caso di guerra b) gli Stati Uniti siano in difficoltà (conflitti interni endemici, ripetute sconfitte militari) c) in caso di scontro diretto, gli Stati Uniti rischierebbero una guerra su due fronti, se la Cina decidesse di cogliere l’occasione per occupare Taiwan; o addirittura su tre fronti, se anche l’Iran ne approfittasse.
L’errore strategico dell’espansione a Est della NATO forma una coppia infernale con l’altro errore strategico di prima grandezza commesso dagli USA, stavolta rispetto alla Cina.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti non avevano più alcun interesse a conservare l’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon aveva opportunamente costruito in funzione antisovietica. Gli USA, invece, hanno infittito i rapporti economici e politici con la Cina, e addirittura hanno delocalizzato colà importanti settori della loro manifattura, alcuni dei quali direttamente collegati alla sicurezza nazionale; così aiutando fattivamente la Cina a sviluppare potenza economica, scientifico-tecnologica, militare, e a divenire insomma una grande potenza capace di minacciare la loro egemonia nel continente asiatico. Secondo logica capitalistica questa è stata una mossa razionale (teoria dei costi comparati di Ricardo). Secondo logica geopolitica è stata una follia suicida.
La ratio della politica americana verso la Cina nei decenni seguenti l’implosione dell’URSS è conforme all’ideologia liberal-progressista. I dirigenti americani si sono raccontati che se la Cina fosse divenuta un paese ricco, si sarebbe trasformata in una democrazia liberal-capitalistica; e siccome le democrazie liberal-capitalistiche non fanno la guerra ma il pacifico commercio, la Cina sarebbe divenuta un utile e simpatico partner nel mondo a guida americana.
In questa favola che i dirigenti americani si sono raccontati per addormentarsi meglio, e per incassare, da svegli, montagne di dollari, ci sono due elementi tolti di peso dal genere fantasy: 1) che quando un paese diventa ricco si trasforma automaticamente in una democrazia liberal-capitalistica, come se la tradizione culturale dei popoli contasse zero 2) che le democrazie liberal-capitalistiche non facciano la guerra ma il pacifico commercio (basta leggere un manuale di storia degli Stati Uniti per capire che non è vero).
Oggi, gli Stati Uniti si sono resi conto che la Cina è il loro principale avversario. La mossa obbligata sarebbe dunque dividere Russia e Cina, stabilendo buoni rapporti con la Russia: il che implicherebbe anzitutto il rollback della NATO. Però, da un canto gli USA temono di perdere, così, l’egemonia sull’Europa, e che si realizzi l’incubo di Mackinder (coesione tra Germania e Russia, dominio sull’Heartland). Dall’altro, temono che un avvicinamento alla Russia sia inteso dai cinesi come un segno di debolezza, e li spinga a occupare Taiwan. Per di più, gli Stati Uniti dovrebbero smentire tutta l’ideologia liberal-capitalistica che da trent’anni è la base della loro propaganda: e a quanto pare, a questa ideologia liberal-capitalistica credono sul serio anche i dirigenti americani.
Non è la prima volta che una persuasione ideologica in diretta contraddizione con le realtà geopolitiche provoca una sconfitta strategica. Ad esempio, la sincera fede cattolica di Filippo II gli impedì di accettare ogni proposta di un minimo di tolleranza religiosa nelle Fiandre, così alimentando una guerra infinita che impaludò gli eserciti e prosciugò le risorse imperiali, provocò indirettamente la sconfitta spagnola nel conflitto con l’Inghilterra, inaugurò la fine dell’egemonia spagnola in Europa (vittoria francese a Rocroi) e nel mondo (Inghilterra e Paesi Bassi iniziano a dominare gli oceani).
In teoria, l’Europa avrebbe tutto l’interesse a stare alla finestra, profittando dei conflitti in corso e della crisi dell’egemonia americana. Ma l’Europa fa parte della zona d’influenza americana, e non ha alcuna autonomia strategica. Quindi, i vari Stati europei chiacchierano a vanvera, e vengono ascoltati dalle potenze in conflitto per pura cortesia diplomatica. Gli europei poi, e in particolare gli italiani, commentando questa crisi ucraina danno prova di una tragicomica confusione mentale. Probabilmente, gli sviluppi di questa crisi, con la possibile, anzi probabile catena di reazioni e controreazioni tra USA e Russia che provocherà, faranno gradualmente chiarezza. La lezione ci costerà molto cara.

Strategia di forza di Mosca_di Rob Lee

Al di là delle valutazioni strettamente militari, questo articolo è importante per due elementi e soprattutto per il pulpito da cui proviene: il riconoscimento di fatto dell’inadempienza degli accordi di Minsk da parte ucraina; il coinvolgimento della Turchia, sia pure con ambizioni relativamente autonome, nel disegno apertamente ostile perpetrato dalla NATO ai danni della Russia, ormai a ridosso dei suoi stessi confini. Il regime ucraino attuale è nato da un colpo di stato; poggia su un sistema di satrapi maneggioni dalla precaria base sociale; sta letteralmente portando alla rovina un paese dotato di grandi risorse e in passato di significative capacità tecnologiche; in un paese a prevalente composizione russa e russofona sta adottando politiche sempre più apertamente ostili e discriminatorie che hanno portato ad una dura repressione interna e ad una secessione di fatto di una sua regione orientale, nonché all’ascesa di forze naziste le cui vestigia e trascorsi hanno fatto impallidire le imprese degli stessi nazisti tedeschi. La situazione è resa più drammatica e pericolosa dal contesto geopolitico e in particolare dalla situazione politica interna agli Stati Uniti. Ad una compagine presidenziale che manifesta segni crescenti di scarsa lucidità e capacità di tenere il polso della situazione corrisponde la possibilità di colpi di mano incontrollati ed incontrollabili di particolari centri decisori. Una situazione nella quale una qualsiasi provocazione potrà innescare il conflitto aperto. E di teste calde disposte ad essere strumento di questi maneggi l’Ucraina ne è piena. Un coagulo di interessi tesi a mantenere strettamente nell’ovile occidentale russofobo l’intera Europa e ad annichilire una classe dirigente russa sempre più costretta ad una alleanza con i cinesi da posizioni di debolezza, meno spendibile quindi da parte di questi ultimi, rappresenta la mistura dalla quale estrapolare calcoli e azzardi tanto sbagliati, quanto drammaticamente disastrosi, specie per gli europei._Giuseppe Germinario

Quanto sono ambiziosi gli obiettivi di politica estera della Russia e quanta forza Mosca ritiene di dover impiegare per raggiungerli? Mosca ha presentato vari ultimatum , ma la questione più critica e urgente è che il Cremlino ora considera l’Ucraina come un paese permanentemente ostile che continua ad aumentare le sue capacità di difesa. Le speranze russe di migliorare le relazioni con il presidente Volodymyr Zelensky sono state deluse nel 2021, e Mosca è ora concentrata sulla riduzione del rischio per la sicurezza a lungo termine rappresentato dall’Ucraina, inclusa l’interruzione della sua espansione della cooperazione in materia di difesa con la NATO. Tuttavia, questa è una delle richieste più irrealistiche e difficili da soddisfare per la NATO, in particolare perché l’Ucraina sta sviluppando missili a lungo raggio a livello nazionale. Questa impasse diplomatica suggerisce un rischio significativo di un’escalation militare russa in Ucraina con pochi ovvi scostamenti.

Numerosi articoli recenti hanno suggerito che i costi di una potenziale invasione sono troppo alti o che lo scopo di un’operazione militare russa in Ucraina sarebbe quello di occupare territorio . Una migliore spiegazione delle attuali azioni di Mosca è che fanno parte di una campagna di coercizione. Se Mosca non riesce a convincere gli Stati Uniti ad accettare alcune delle sue richieste e costringere l’Ucraina a fare concessioni, potrebbe considerare la forza militare come l’ultima risorsa per cambiare quello che considera uno status quo inaccettabile. Il comportamento russo suggerisce di ritenere che i costi dell’inazione sarebbero maggiori dei costi di una significativa escalation militare in Ucraina, in particolare dopo aver esaminato gli eventi in Ucraina durante l’estate e l’autunno. Gli obiettivi militari di Mosca si concentrerebbero sull’imposizione di costi inaccettabili all’Ucraina distruggendo unità militari, infliggendo vittime, facendo prigionieri di guerra o degradando la capacità dell’Ucraina di difendersi. La Russia potrebbe scegliere di impadronirsi del territorio per aumentare i costi su Kiev, ma questo probabilmente non sarebbe l’obiettivo finale. Mosca potrebbe raggiungere i suoi obiettivi scatenando la capacità di fuoco superiore della Russia senza un’invasione o lanciando un breve raid punitivo con un ritiro pianificato. Queste opzioni avrebbero meno rischi e costi rispetto a un’invasione su larga scala progettata per occupare molto più territorio.

Dalla deterrenza alla competenza

Le attuali attività della Russia sono una continuazione del potenziamento militare condotto vicino all’Ucraina a marzo e aprile 2021 e le sue forze armate sono ora in una posizione migliore per una grande offensiva. Ad aprile, la Russia aveva un numero leggermente inferiore di gruppi tattici di battaglione – unità di armi combinate formate da fucili motorizzati, carri armati, fanteria navale o battaglioni aviotrasportati con accessori di supporto – vicino all’Ucraina rispetto ad oggi , oltre a rinforzi aeronautici e navali . Come parte di tale accumulo, la Russia si è schierata un certo numero di gruppi tattici di battaglione, sistemi di lancio multiplo di razzi, sistemi di missili balistici a corto raggio Iskander-M e altre unità della 41a armata combinata del distretto militare centrale con sede in Siberia a postazioni di sosta vicino al confine con l’Ucraina. Quelle forze erano integrate da unità con sede più vicino all’Ucraina dai distretti militari meridionali e occidentali della Russia e unità dalle forze aviotrasportate russe. Lo ha annunciato il ministro della Difesa russo Sergei Shoigualla fine dell’accumulo primaverile che l’equipaggiamento della 41a armata combinata sarebbe rimasto vicino all’Ucraina fino all’esercitazione russo-bielorussa Zapad 2021 a settembre, ma la maggior parte dell’equipaggiamento non ha preso parte all’esercitazione e non è stata rimandata indietro poi in Siberia. Ciò indicava che l’esercizio non era il vero scopo del loro dispiegamento.

Le minacce della Russia contro l’Ucraina sono ora più pericolose perché, in definitiva, le sue minacce pubbliche all’inizio di quest’anno sono fallite. Ho discusso in precedenzache l’accumulo della primavera 2021 era una dimostrazione progettata per dissuadere la NATO e gli Stati Uniti dall’adottare politiche “anti-russe”, come andare avanti con l’adesione dell’Ucraina alla NATO o un’ulteriore cooperazione di difesa della NATO con l’Ucraina, minacciando di usare in modo asimmetrico la forza militare contro Ucraina. Tre fattori probabilmente hanno influenzato la tempistica dell’accumulo di primavera. In primo luogo, è stato un promemoria per Washington del potere militare di Mosca e un dialogo forzato con l’amministrazione Biden per chiarire le relazioni USA-Russia. In secondo luogo, l’accumulo è avvenuto solo un mese dopo che il presidente ucraino Zelensky ha deciso di chiudere tre canali televisivi controllati da Viktor Medvedchuk, un caro amico del presidente Vladimir Putin. La Russia ha adottato un approccio più conciliantedopo l’inaugurazione di Zelensky con la speranza di raggiungere un accordo sul Donbas, che includeva la sostituzione del più aggressivo Vladislav Surkov con Dmitry Kozak come referente del Cremlino per i negoziati con l’Ucraina. Tuttavia, i funzionari russi hanno ritenuto che Kiev non fosse all’altezza degli impegni assunti dal vertice in Normandia del 2019, che includeva la concessione di uno status speciale al Donbas. Nel 2020, dopo aver raggiunto un tentativo di accordo sull’istituzione di un consiglio consultivo con la Russia, Kiev si è ritirata dall’accordo dopo le critiche interne. Mosca ha concluso che la politica interna ucraina avrebbe impedito qualsiasi progresso nell’attuazione degli accordi di Minsk senza pressioni esterne. Secondo il quotidiano russo Kommersant, le speranze della Russia per un accordo diplomatico con l’Ucraina sono crollate nel 2021 e i funzionari russi hanno iniziato a intensificare la pressione sul loro vicino.

Dopo la fine della preparazione primaverile, Kiev ha continuato a perseguire politiche che hanno fatto arrabbiare i funzionari russi. Medvedchuk è stato posto agli arresti domiciliari a maggio. In risposta, Putin ha dedicato l’intero discorso di apertura alla prossima riunione del Consiglio di sicurezza russo sugli sviluppi in Ucraina, inclusa un’appassionata difesa di Medvedchuk . Ha accusato Kiev di “ripulire il loro ambiente politico” e ha suggerito che l’Ucraina si stava trasformando “lentamente ma costantemente, in un antipode della Russia, un’anti-Russia”. Un mese dopo, Putin ha reagito con rabbia dopo che il parlamento ucraino ha adottato una legge sui popoli indigeni, che non includeva i russi (non includeva nemmeno gli ucraini). Ha paragonato le conseguenze della legge a quelle di “una specie di arma di distruzione di massa ”. Ad agosto, Zelensky ha sanzionato diverse entità russe e bloccato diversi siti Web russi, tra cui il fornitore di servizi digitali Rostelecom e i giornali Moskovsky Komsomolets e Vedomosti .

Il terzo fattore che spiega i tempi della formazione primaverile è stata la vittoria dell’Azerbaigian nella seconda guerra del Nagorno-Karabakh. L’Azerbaigian ha vinto con il supporto critico della Turchia, che includeva ufficiali turchi che operavano sui veicoli aerei da combattimento senza pilota TB2 che hanno svolto un ruolo così cruciale. La guerra è stata la prima volta che una potenza esterna ha usato la forza militare nell’ex Unione Sovietica ed è stata solo l’ultima di una serie di scontri tra Russia e Turchia. I due paesi avevano recentemente combattuto per le province siriane di Idlib e Aleppo e per la Libia nella primavera del 2020. Inoltre, Ankara ha venduto droni da combattimento TB2 agli ex stati sovietici, tra cui Turkmenistan, Kirghizistan, Azerbaigian e Ucraina. Mosca probabilmente vedeva l’Ucraina come un luogo in cui poteva confrontarsi con la cooperazione di difesa turca con i vicini della Russia e collegava le azioni di Ankara alla più ampia critica del Cremlino al sostegno strisciante della NATO a Kiev.

Se uno degli obiettivi della Russia del rafforzamento primaverile era quello di scoraggiare un ulteriore sostegno della NATO all’Ucraina, gli eventi dell’estate e dell’autunno hanno dimostrato il suo fallimento. Una settimana dopo il vertice del giugno 2021 tra i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin, il Regno Unito ha inviato la fregata HMS Defense attraverso le acque territoriali della Crimea, facendo infuriare i funzionari russi . Una nave della guardia costiera russa ha sparato colpi di avvertimento da dietro la fregata britannica e funzionari russi hanno affermato che i bombardieri russi Su-24 hanno sganciato bombe aeree sul suo cammino. La Russia non ha mai pubblicato filmati di questo e i giornalisti britannici sull’HMS Defender non hanno mai riferitoed sul presunto uso di bombe, il che indica che i funzionari russi stavano mentendo, ma ha dimostrato quanto seriamente Mosca considerasse l’evento. Il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha avvertito che chiunque si impegni in atti futuri simili ” verrà preso di mira “. Il giorno prima dell’incidente, il Regno Unito ha firmato un memorandum di attuazione su un accordo di armi navali con Kiev. L’ultimo accordo di prestito di 1,7 miliardi di sterline con Kiev per la produzione congiunta di navi missilistiche, cacciatori di mine e altre armi navali. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno fornito un ulteriore equipaggiamento per un valore di 60 milioni di dollari , autorizzato dall’amministrazione Biden ad agosto, oltre a ulteriori missili guidati anticarro Javelin. Gli Stati Uniti hanno anche firmato un quadro di difesa strategicala Carta sul partenariato strategico con l’Ucraina .

È proseguita anche la cooperazione in materia di difesa tra Kiev e Ankara. I due paesi hanno portato avanti un accordo per la produzione su licenza di droni TB2 , il drone che ha svolto un ruolo fondamentale nella guerra del Nagorno-Karabakh, in Ucraina. La Turchia ha consegnato ulteriori TB2 alla Marina ucraina a luglio e il Ministero della Difesa ucraino ha annunciato l’intenzione di acquistare altri 24 TB2 a settembre. Alla fine di ottobre, l’Ucraina ha condotto il suo primo attacco aereo con un drone TB2 su un obice D-30 nel Donbas occupato dalla Russia. Questo sciopero ha dimostrato che la Turchia ha esportato la TB2 senza restrizioni sul loro utilizzo nel Donbas.

I droni TB2 non alterano in modo significativo l’equilibrio di potere tra Ucraina e Russia, ma lo fanno tra le forze ucraine e i ribelli sostenuti dalla Russia nel Donbas. Se l’Ucraina continuasse a usarli nella regione, la Russia sarebbe costretta a contrastarli direttamente con l’esercito russo – abbattendoli o prendendo di mira i loro aeroporti con missili a lungo raggio – o schierando segretamente sistemi di difesa aerea o di guerra elettronica più capaci al Donbas.

Dal punto di vista di Mosca, lo sciopero del TB2 e l’incidente dell’HMS Defender sono stati di pubblico imbarazzo che hanno messo alla prova la credibilità della Russia, soprattutto dopo la pubblicità che circonda la preparazione primaverile e il vertice con Biden. Quindi, non sorprende che il Cremlino abbia deciso di cambiare approccio. La Russia ha ritenuto inaccettabile lo status quo e ha visto le linee di tendenza minare la sua posizione. Le sue misure coercitive in primavera non sono riuscite a scoraggiare la modernizzazione della difesa dell’Ucraina, il sostegno della NATO a Kiev o le politiche “anti-russe” adottate dal presidente Zelensky. Di conseguenza, Mosca ha cambiato il suo approccio da deterrenza a coercizione.

In contrasto con i funzionari russi che hanno fornito giustificazioni per la loro costituzione e menzionato le linee rosse in termini vaghi durante la primavera, Mosca sta ora formulando richieste concrete alla NATO e agli Stati Uniti ed esempi specifici di azioni che violerebbero le loro linee rosse. Queste richieste sono legate a una breve scadenza imposta dalla Russia con la minaccia di una risposta “militare-tecnica e militare” se le concessioni non vengono concesse, che sono tutti segni distintivi della coercizione. La Russia ha schierato circa il 32% dei gruppi tattici del suo battaglione militare vicino all’Ucraina, una cifra che secondo la comunità dell’intelligence statunitense potrebbe salire al 60%. Rispetto alla primavera, la Russia ha inviato ancora più equipaggiamento dal 41 °Combined Arms Army e un certo numero di gruppi tattici di battaglione e equipaggiamento della 1a armata di carri armati con base a Mosca, vicino ai confini dell’Ucraina.

Questo accumulo inizialmente si concentrava sul dispiegamento di equipaggiamenti pesanti e unità con base lontano dall’Ucraina, il che significa che Mosca potrebbe aumentare rapidamente le sue capacità militari vicino all’Ucraina schierando unità più leggere, come battaglioni aviotrasportati, e unità basate da 200 a 450 miglia dal confine. Durante la scorsa settimana, i video hanno mostrato l’equipaggiamento militare del distretto militare orientale della Russia che si muoveva verso ovest sui treni, tra cui la 155a brigata di fanteria navale della flotta del Pacifico, unità di carri armati e fucili motorizzati , sistemi di difesa aerea Buk-M2, sistemi di missili a lancio multiplo BM-27 Uragan e altri sistemi di missili balistici a corto raggio Iskander-M. Lo ha annunciato il ministero della Difesa russoun’ispezione rapida della prontezza al combattimento del distretto il 14 gennaio per testare la capacità delle unità di completare le missioni dopo aver condotto movimenti a lunga distanza. Lo hanno annunciato anche funzionari russi e bielorussiche le loro forze prenderanno parte a un’esercitazione congiunta che durerà fino al 20 febbraio, compreso il dispiegamento di uno squadrone di caccia Su-35S russo, due battaglioni di difesa aerea S-400 e un battaglione di difesa aerea Pantsir-S in Bielorussia e a terra attrezzatura. È interessante notare che alcune delle unità che si schiereranno in Bielorussia proverranno dal distretto militare orientale. Ovviamente, questo significa anche che la Russia avrà unità militari lungo il confine settentrionale dell’Ucraina, mettendo Kiev e altre località a rischio ancora maggiore. Se il distretto militare orientale e le forze aviotrasportate russe contribuiscono entrambi con 10-15 gruppi tattici di battaglione ciascuno, la Russia avrà quasi i 100 gruppi tattici di battaglione valutati dalla comunità dell’intelligence statunitensesarebbe schierato vicino all’Ucraina. Inoltre, diverse grandi navi da sbarco della flotta baltica russa hanno lasciato il Mar Baltico e sono probabilmente dirette verso il Mar Nero. Una maggiore capacità anfibia russa nella regione potrebbe costringere l’Ucraina a inviare più unità per difendere la sua costa meridionale, allargando ulteriormente le sue forze.

In contrasto con l’aumento pubblico di questa primavera, questa volta la Russia ha compiuto uno sforzo concertato per oscurare i suoi movimenti, spostando le attrezzature di notte, ruotando le unità tra i campi di addestramento e bloccando i siti Web utilizzati per il monitoraggio dei treni . In breve, la Russia sta ponendo le condizioni in cui potrebbe condurre una significativa escalation militare, inclusa un’invasione di terra su larga scala, con breve preavviso e con poco preavviso, dando maggiore peso alle sue minacce. Questo accumulo non è una routine di “sferragliare” e si discosta dal normale comportamento e retorica russi. Inoltre, i funzionari russi si stanno mettendo all’angolo impegnandosi a dare una risposta forte a meno che non ricevano concessioni. Se non raggiunge alcuni dei suoi obiettivi dichiarati, Mosca subirà un costo per la sua credibilità se non si intensificherà.

Il problema della Russia è l’Ucraina

La Russia non usa la forza per fare la guerra, ma per raggiungere obiettivi politici specifici. Il loro elenco di richieste include un arresto completo dell’espansione della NATO, limiti al dispiegamento di missili intermedi ea corto raggio e la fine della cooperazione di difesa degli Stati Uniti e dei paesi della NATO con l’Ucraina. Sebbene la Russia sia interessata a un dialogo più ampio sull’architettura della sicurezza europea, l’Ucraina è la questione più urgente e importante di Mosca, il che spiega le richieste della Russia di risolvere rapidamente la questione. Nessuna delle altre richieste della Russia, come la fine dell’ulteriore espansione della NATO, spiega perché Mosca è così determinata a forzare la questione in questo momento, dal momento che non vi è alcuna indicazione che altri paesi, inclusa l’Ucraina, potrebbero aderire alla NATO nel prossimo futuro.

La retorica dei funzionari russi sull’Ucraina è aumentata in modo significativo nel 2021. Sia Putin che l’ ex presidente Dmitry Medvedev hanno scritto saggi dall’espressione forte sull’Ucraina rispettivamente a luglio e ottobre. Putin ha scritto minacciosamente : “Sono fiducioso che la vera sovranità dell’Ucraina è possibile solo in collaborazione con la Russia”, due settimane dopo l’adozione del disegno di legge sui popoli indigeni ucraini. Medvedev ha definito la leadership ucraina “vassalli”e ha sostenuto che ulteriori colloqui con Kiev erano inutili, il che ha posto le basi per l’accumulo dell’autunno e il fulcro dei negoziati della Russia con Washington, non con Kiev. Una delle preoccupazioni più specifiche sollevate dal presidente Putin e da altri funzionari russi è la potenziale minaccia rappresentata dai missili a lungo raggio con base in Ucraina, che potrebbero raggiungere Mosca in pochi minuti . Dato lo stallo dei negoziati sull’attuazione dell’accordo di Minsk, la Russia ha concluso che l’Ucraina rimarrà un vicino ostile per il prossimo futuro e Kiev continua a rafforzare le sue capacità difensive. Se la Russia non può imporre la neutralità all’Ucraina, Mosca cercherà di impedire all’Ucraina di migliorare la sua deterrenza convenzionale.

Le opzioni militari del Cremlino

Nel valutare l’analisi costi-benefici di Mosca sull’uso della forza in Ucraina, è importante considerare non solo i probabili costi di un’escalation in questo momento, ma anche i costi della mancata azione. Non ci sono prove che un membro della NATO abbia preso in considerazione la possibilità di fornire missili a lungo raggio all’Ucraina, ma altre forme di cooperazione in materia di difesa con Kiev si sono costantemente intensificate. Mosca vuole anticipare ulteriori consegne di armi prima che l’Ucraina riceva armi strategicamente significative che potrebbero cambiare l’equilibrio militare, a differenza dei missili guidati anticarro Javelin forniti dagli Stati Uniti. Sebbene sia molto più efficace oggi rispetto al 2014, l’esercito ucraino non dispone di forti capacità di fuoco a lungo raggio, in particolare rispetto alla Russia.

Per quanto riguarda l’Ucraina, alla Russia mancano molti strumenti per influenzare Kiev oltre alla forza militare. Pertanto, Mosca probabilmente crede che una significativa escalation militare ora sarebbe meno costosa oggi che in futuro se l’Ucraina continua a rafforzare le sue capacità militari. Se l’Ucraina avesse missili a lungo raggio, potrebbe minacciare le città o le infrastrutture militari russe, limitando la capacità della Russia di utilizzare le minacce militari per costringere Kiev. In particolare, le aree di raccolta in cui le forze russe hanno ammassato le loro attrezzature a Yelnya e Pogonovo sono oltre la portata dei missili balistici tattici Tochka-U ucraini.

Un’invasione su larga scala non è l’unica linea d’azione della Russia nell’ambito di una campagna di coercizione. Ci sono più livelli di forza militare che Mosca potrebbe impiegare a seconda di quanto siano ambiziosi i suoi obiettivi. Più ambizioso è l’obiettivo, maggiore sarà la forza necessaria per modificare il calcolo costi-benefici di Kiev e della NATO. Se la Russia è determinata a imporre modifiche costituzionali in Ucraina o una versione modificata degli accordi di Minsk, è improbabile che raggiunga questo obiettivo a meno di un’invasione di terra o di un uso massiccio di incendi che potrebbero minacciare la sopravvivenza dello stato ucraino.

La presa e l’occupazione del territorio potrebbero essere un mezzo per aumentare la pressione su Kiev, ma l’occupazione del territorio non sarebbe l’obiettivo finale. Se la Russia avesse cercato di occupare più territorio, le ultime settimane di ultimatum pubblici sarebbero state controproducenti, dando semplicemente all’Ucraina e alla NATO più tempo per prepararsi. Alcune analisi hanno menzionato potenziali opzioni per impadronirsi di un ponte terrestre tra il Donbas e la Crimea, un’operazione a Odessa o anche un tentativo di occupare l’Ucraina occidentale . Se lo scopo è costringere la leadership ucraina, allora un’invasione di terra ha senso solo se mette l’Ucraina in una posizione più insostenibile o minacciata. Né un ponte di terra né un’operazione a Odessa avrebbero probabilmente raggiunto quel risultato, ma un’offensiva verso Kiev potrebbe.

L’attuale posizione delle forze russe indica un’invasione di terra verso la capitale ucraina come un’opzione più probabile. Rispetto alla primavera, quando molti dei rinforzi sono stati inviati in Crimea, la Russia ha ora dispiegato una quota significativa delle sue forze, principalmente la 41a armata combinata, a Yelnya , nel nord dell’Ucraina. Questi sono in aggiunta alle unità della 1a armata di carri armati schierate a Pogonovo, 100 miglia a nord-est del confine con l’Ucraina. Kiev si trova a circa 110 miglia dal confine settentrionale con la Russia e Mosca sta schierando i suoi rinforzi nelle regioni dove potrebbero lanciare offensive dai confini settentrionali e nord-orientali dell’Ucraina. La Russia ha anche iniziato a spostare attrezzature in accampamenti più piccoli vicino al confine nelle regioni di Bryansk, Belgorod e Kursk . Il trasferimento di unità russe in Bielorussia per l’imminente esercitazione aumenta la minaccia posta lungo il confine settentrionale dell’Ucraina.

L’opzione offensiva di terra più probabile è che l’esercito russo si concentri sulla distruzione di unità militari ucraine a est del fiume Dnepr, infliggendo vittime, facendo prigionieri di guerra, distruggendo attrezzature militari e degradando le capacità di difesa. Ciò potrebbe includere un ritiro pianificato – un’incursione punitiva – possibilmente dopo una o due settimane. Potrebbe anche comportare l’occupazione di un terreno fuori Kiev e la minaccia della capitale a meno che le richieste della Russia non vengano soddisfatte. Tale operazione assomiglierebbe più da vicino a una versione più aggressiva della guerra russa in Georgia nel 2008 rispetto alla sua annessione della Crimea. Infliggendo pesanti perdite all’esercito ucraino, facendo prigionieri di guerra e degradando le capacità di difesa di Kiev, la Russia potrebbe potenzialmente alterare la struttura degli incentivi di Zelensky in modo sufficiente da indurre dolorose concessioni.

Se Mosca ha obiettivi più limitati, come scoraggiare qualsiasi futuro TB2 ucraino o attacchi di artiglieria nel Donbas, potrebbe raggiungerli con meno forza. Ciò potrebbe includere l’abbattimento dei droni TB2 se volano vicino al Donbas o prendono di mira i loro aeroporti con munizioni a lungo raggio. La Russia potrebbe anche dichiarare una no-fly zone o annunciare che l’esercito russo avrebbe risposto a qualsiasi ulteriore attacco di artiglieria ucraina nel Donbas con una risposta aperta da parte dell’esercito russo. Questi passi sono troppo limitati per costringere Kiev a offrire importanti concessioni politiche, ma potrebbero alterare le azioni dell’Ucraina nel Donbas.

Un’altra opzione militare a meno di un’invasione potrebbe comportare l’impiego della capacità di fuoco superiore della Russia con artiglieria, sistemi di lancio multiplo, missili balistici a corto raggio, missili da crociera e altre armi di stallo, mirando alle posizioni militari ucraine. Una campagna di attacchi missilistici e di artiglieria potrebbe limitarsi a prendere di mira specifiche capacità militari ucraine, ad esempio unità di artiglieria ucraine che hanno sparato su posizioni nel Donbas, o potrebbe infliggere migliaia di vittime all’esercito ucraino e degradare significativamente le sue capacità militari, compresi gli attacchi sulle difese aeree e sugli aeroporti ucraini. La Russia potrebbe anche iniziare con un uso più limitato della forza, come artiglieria e attacchi missilistici, e intensificare se le sue richieste non vengono soddisfatte. Queste opzioni includerebbero probabilmente l’uso di sistemi di guerra informatica ed elettronica, a sostegno di un’operazione militare più ampia o da soli. In effetti, anche se la Russia non invadesse il territorio bielorusso, potrebbe impiegare sistemi di guerra elettronica dalla Bielorussia per interrompere le comunicazioni e il comando e controllo ucraini a Kiev, o forse per interferire con gli aerei da ricognizione statunitensi, come il radar di attacco al bersaglio E-8 Joint Surveillance. Sistemi, che condividono informazioni con l’Ucraina.

Queste opzioni militari più limitate metterebbero i militari russi meno a rischio di un’invasione di terra. I giavellotti ucraini e altre armi a corto raggio sarebbero di scarsa utilità se la Russia decidesse di fare affidamento sulle sue armi di stallo e la Russia possiede un vantaggio significativo nelle capacità di fuoco a lungo raggio. Un uso più limitato della forza probabilmente non comporterebbe la massima risposta da parte della NATO. Washington sarebbe disposta a perseguire le sue più forti sanzioni contro l’economia russa se la Russia avesse abbattuto una TB2 ucraina o avesse preso di mira specifiche unità ucraine? Il problema con queste opzioni più limitate è che probabilmente non risolverebbero il problema principale della Russia: un’Ucraina ostile che sta aumentando le sue capacità di deterrenza convenzionale. Quindi è più probabile un’opzione più aggressiva.

La Russia è in una posizione di forza per forzare la questione ora. I distretti militari meridionali e occidentali dell’esercito russo, che condividono il confine con l’Ucraina, hanno completato le due precedenti esercitazioni strategiche annuali del personale di comando, Kavkaz 2020 e Zapad 2021 , che ruotano ogni anno e si concentrano sulla lotta contro un conflitto convenzionale ad alta intensità. Il riarmo della flotta del Mar Nero dal 2014 è stato in gran parte completato, con la messa in servizio di più di una dozzina di sottomarini diesel e navi di superficie in grado di trasportare missili da crociera Kalibr, e le forze di terra russe sono state riequipaggiatecon dodici brigate Iskander-M dal 2010. L’esercito russo continua a riarmarsi e rimarrà più potente di quello dell’Ucraina in termini assoluti. Tuttavia, la sua forza relativa nei confronti dell’Ucraina probabilmente diminuirà nel tempo, visti gli attuali sforzi di modernizzazione dell’Ucraina, che ora incentivano un’operazione militare russa.

Inoltre, la Russia si è preparata allo scontro. La sua economia è oggi in una posizione molto più forte – le riserve internazionali sono attualmente ai massimi storici – rispetto a quando Mosca ha invaso l’Ucraina ed è intervenuta in Siria nel 2014-2015 durante una grave recessione economica. La repressione di Mosca sull’opposizione interna ha anche ridotto la minaccia di gravi proteste. Il sondaggio più recentedal Levada Center indipendente ha indicato che metà dei russi incolpa gli Stati Uniti o la NATO per la crisi, ma solo il quattro per cento incolpa la Russia. L’approvazione interna probabilmente non è un gran freno per Putin se decide di intensificare contro l’esercito ucraino. Tuttavia, questo potrebbe cambiare se le forze russe danneggiano città ucraine come Poltava e Kharkiv o causano vittime civili. Questo è un altro motivo per cui un’incursione punitiva limitata contro l’esercito ucraino è un’opzione più interessante.

Non sottovalutare la volontà della Russia di combattere

È impossibile essere sicuri di cosa stia pensando Putin, ma il comportamento attuale di Mosca è lontano dalla routine. La Russia ha schierato quasi un intero esercito di armi combinate dalla Siberia e sta inviando una grande forza dal distretto militare orientale in Bielorussia. La portata di questo dispiegamento di potenza di combattimento terrestre non ha precedenti per la Russia post-sovietica. Gli ultimatum accompagnati da funzionari russi che si impegnano pubblicamente in una risposta militare significano che la Russia subirà un costo di credibilità se non agisce o ottiene concessioni. Il presidente Putin probabilmente ha accettato che la Russia potrebbe aver bisogno di usare la forza militare se la NATO e l’Ucraina si fossero rifiutate di fare marcia indietro quando ha autorizzato un secondo accumulo questo autunno. Mosca sta segnalando di ritenere che i costi dell’inazione siano superiori ai costi dell’impiego della forza attuale. Dato il fallimento dei precedenti tentativi della Russia di dissuadere la NATO dall’estendere il sostegno all’Ucraina, non dovremmo sottovalutare la probabilità che la Russia condurrà una significativa escalation militare in Ucraina se alcune delle sue richieste non saranno soddisfatte. Tuttavia, ciò potrebbe non accadere immediatamente. La variante COVID-19 Omicron si sta ora diffondendo in Russia e le Olimpiadi inizieranno in Cina tra due settimane. La guerra Russia-Georgia nel 2008 si è verificata durante le precedenti Olimpiadi tenutesi in Cina e Mosca probabilmente vuole evitare di distogliere nuovamente l’attenzione da Pechino. L’imminente esercizio congiunto con la Bielorussia si concluderà il 20 febbraio, lo stesso giorno della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi. Inoltre, l’equipaggiamento è ancora in viaggio dal distretto militare orientale e la Russia deve ancora impegnare la maggior parte delle forze aviotrasportate vicino all’Ucraina. Tuttavia,

Un’errata interpretazione degli obiettivi politici della Russia e delle sue più probabili opzioni militari può portare a scarsi consigli politici. Molti argomenti per scoraggiare un’invasione russa presuppongono che la Russia intenda occupare vaste parti del territorio ucraino per lunghi periodi di tempo e suggeriscono ulteriori consegne di missili anti-guida Javelin o StingerMANPADS, che potrebbe essere efficace come parte di un’insurrezione. Tuttavia, se la Russia non prevede di occupare centri abitati, queste armi avranno scarso impatto e non sarebbero efficaci nel scoraggiare queste opzioni militari russe. Se gli Stati Uniti tentassero di consegnare il tipo di armi in grado di alterare l’equilibrio militare tra Russia e Ucraina, come missili a lungo raggio o sistemi di difesa missilistica, Mosca quasi sicuramente ne impedirebbe la consegna con un’escalation militare. Migliori opzioni di deterrenza non avrebbero effetto a meno che la Russia non avesse condotto una significativa escalation, facendo di Mosca l’iniziatore. Un tale approccio peggiorerebbe la situazione della sicurezza della Russia, negando potenzialmente qualsiasi vantaggio in termini di sicurezza che sperava di ottenere aumentando l’escalation in Ucraina.

https://www.fpri.org/article/2022/01/moscows-compellence-strategy/

DOV’E’ LA VIRTU’ CIVILE E LA PACE, TRA I MARINAI O I GIORNALISTI ?_di Antonio de Martini

DOV’E’ LA VIRTU’ CIVILE E LA PACE, TRA I MARINAI O I GIORNALISTI ?
L’ispettore generale della Marina tedesca – vice ammiraglio Kay -Achim Schoenbach,- ha fatto ieri un passo falso che gli é costato la carriera.
Ha dichiarato – durante un convegno di specialisti in India- che la storia della minaccia di invasione dell’Ucraina era “un nonsenso”.
Visto l’ambiente e i personaggi presenti il termine andrebbe tradotto più realisticamente con “fregnaccia” e ha anche aggiunto che Putin é solo alla ricerca di rispetto ( anche in questo caso la corretta traduzione sarebbe “riconoscimento”.)
A completare la situazione di imbarazzo in cui si sono trovate le appiattite autorità tedesche, ha anche aggiunto che la Crimea é da sempre stata considerata russa e non tornerà indietro.
Invitato nel pomeriggio a ritrattare quanto dichiarato al mattino, ha concesso di aver fatto “un errore” , ma non di aver detto cosa non vera.
Infine,” per non nuocere alla Marina e alla Repubblica Federale tedesca” ( notate che non ha detto alla Germania) ha rassegnato le dimissioni.
Crolla, con questa dichiarazione, la credibilità – di fatto inesistente- della narrativa USA ( e anglo tedesca) della minaccia russa all’Ucraina e le servili manfrine della RAI e dei loro aedi con i reportage “dal fronte”.
Mi torna in mente la frase di Churchill alla conferenza di Teheran detta a Stalin “ in guerra la verità é tanto preziosa da doverla proteggere con una guardia del corpo di menzogne ( a bodyguard of lies)”.
Ma allora c’era la guerra….
Adesso chi é che la vuole? Noi italiani certamente NO e se il prossimo presidente della Repubblica italiana dovesse insistere a calpestare l’articolo 11 della Costituzione, dovrà risponderne
E, a quel che é dato di constatare da questo avvenimento, nemmeno i tedeschi bruciano dall’ansia di morire per Kiev.
Ecco, state assistendo al paradosso di un militare che sacrifica la propria carriera e famiglia per scongiurare una minaccia alla pace, mentre vedete ogni sera una pletora di giornalisti, non solo italiani, disposti a far scoppiare una guerra pur di salvare lo stipendio, raccontando le bugie somministrate dai fautori della guerra e dell’avventura.

Il futuro del concetto strategico della NATO, Di  Antonia Colibasanu

Il futuro del concetto strategico della NATO

Il dibattito che porta a nuovi documenti è importante quanto i documenti stessi.

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Il 2022 porterà due importanti eventi diplomatici per la comunità transatlantica. In primo luogo, a marzo, l’Unione europea adotterà la sua bussola strategica, un documento destinato a stabilire una visione comune sulla sicurezza e la difesa dell’UE e quindi a definire, per quanto vagamente, la nozione di “autonomia strategica” dell’Europa. Quindi, al vertice di Madrid di giugno, la NATO adotterà il suo nuovo Concetto strategico, che definisce la strategia dell’alleanza, delineandone lo scopo e i compiti fondamentali in materia di sicurezza e identificando le sfide e le opportunità che deve affrontare nel mutevole contesto di sicurezza. E come tutti questi documenti, servono anche a uno scopo politico in quanto segnalano al mondo come l’UE e la NATO vedono la difesa, la sicurezza e i legami transatlantici.

Ma il dibattito che porta alla firma dei documenti è più importante della formulazione finale. Le questioni sollevate da ora in poi e le discussioni sulle loro risposte dipingono una nuova realtà europea che sta prendendo forma, che potrebbe lasciare il posto a un aumento del bilateralismo oa uno stretto coordinamento regionale all’interno della NATO e tra specifici Stati membri su questioni strategiche fondamentali.

Il passato

La fine della Guerra Fredda ha offerto alla NATO e all’UE un’opportunità unica di espandersi verso est. I costi per farlo erano minimi, i benefici della globalizzazione erano molti e l’assenza di uno sfidante regionale lo rendeva relativamente sicuro. Ma poiché la Russia e la Cina sono diventate potenze regionali e la crisi economica del 2008 ha messo in luce le debolezze della globalizzazione, l’UE e la NATO hanno dovuto adattarsi alle nuove realtà globali.

L’UE ha risposto ristrutturandosi come meglio poteva, un processo complicato dalla lotta per mantenere il consenso tra membri che non condividono molti interessi. La NATO, un’organizzazione militare dominata da una potenza non europea, si è adattata sviluppando funzioni politiche che assicurano la collaborazione e il coordinamento degli Stati membri e, dal 2008, un focus pratico sulla costruzione del suo fianco orientale e della linea di contenimento tra il Baltico e il il mare nero.

Durante quel periodo, la definizione di “difesa e sicurezza” è diventata molto diversa per l’Europa orientale e occidentale. Una Russia risorgente era una questione di sicurezza nazionale per gli stati membri dell’UE orientale, quindi hanno speso di più per aumentare le capacità militari della NATO. Gli stati membri occidentali dell’UE hanno lottato con problemi economici e flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente, cose su cui la NATO può fare poco. Nel frattempo, la realtà della Cina che diventa una potenza regionale in Asia ha aumentato le preoccupazioni degli Stati Uniti per il Pacifico. Questo, a sua volta, ha fatto sì che Washington chiedesse agli europei di alzare il tiro nella NATO e garantire la propria sicurezza. Con un Regno Unito post-Brexit che cerca di rinnovare i legami con il Commonwealth e si interessa maggiormente anche al Pacifico,

La Francia ha proposto che l’UE sviluppi una posizione comune in materia di sicurezza e difesa. La Francia manterrà la presidenza di turno dell’UE nei primi sei mesi del 2022 e il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il 9 dicembre che tra le priorità francesi per i prossimi mesi c’è quella di aumentare la capacità dell’UE di difendere i propri confini. Contestualmente, il presidente della Commissione europea ha annunciato una conferenza sulla difesa in vista della firma di Strategic Compass a marzo. Più volte, il termine “autonomia strategica” è emersa come la soluzione per costruire la sicurezza e la difesa dell’UE. Aspettati che faccia lo stesso nei prossimi mesi.

Il presente

È un concetto importante perché, come abbiamo detto prima, gli Stati membri hanno minacce diverse. Alcune di queste minacce cambiano – in effetti, molte lo hanno fatto a causa della fragilità e dell’incertezza dell’economia globale post-2008 – ma altre no. Alcuni sono mitigati in modo più appropriato da un’istituzione piuttosto che da un’altra. Ad esempio, la natura delle minacce contro l’Europa orientale, e per estensione contro gli Stati Uniti, implica una crescente influenza russa, compreso un rafforzamento militare, a est. La soluzione per una tale minaccia riguarda la difesa e la deterrenza e quindi rientra nell’ambito della NATO piuttosto che dell’UE. Gli europei occidentali e meridionali stanno affrontando problemi di sicurezza socio-economica, qualcosa che rientra nell’ombrello dell’UE e chiede a Bruxelles di fornire una soluzione.

Non sorprende che il dibattito sul Concetto strategico e sul significato di autonomia strategica sarà una funzione degli interessi divergenti dei membri. E la risoluzione è ancora più complessa di quanto appaia a prima vista. Per prima cosa, il contesto di sicurezza in Europa si sta deteriorando grazie in parte ai problemi socioeconomici, compresa la migrazione, causati dalla pandemia di COVID-19. Questi problemi interesseranno in modo diverso i diversi paesi dell’UE, il che significa che il processo di negoziazione tra ovest e est e nord e sud deve garantire un equilibrio tra gli interessi di tutti gli Stati membri.

Poi ci sono gli Stati Uniti, che hanno di gran lunga l’esercito più forte di tutti i membri della NATO. C’è una crescente pressione negli Stati Uniti affinché Washington risolva alcuni problemi da sola. Gli europei devono assicurarsi che gli Stati Uniti possano mantenere la loro garanzia di sicurezza all’Europa oltre il fianco orientale, dove Washington ha un interesse strategico a frenare l’influenza russa. Promettere di aumentare la spesa per la difesa, come hanno fatto molti membri, è un buon modo per mantenere impegnati gli Stati Uniti, ma funziona solo per così tanto tempo. L’Europa è quindi sotto pressione per spendere soldi veri in misure di difesa reali in un momento economicamente difficile.

Terzo, tutti nella NATO e in Europa hanno interessi diversi nell’Indo-Pacifico. La Francia, ad esempio, si è apertamente lamentata del fatto che il Regno Unito lavora contro i suoi interessi nel Pacifico, pur ammettendo che l’UE dovrebbe collaborare con il Regno Unito su tutte le questioni relative alla migrazione. Il Regno Unito ha sostenuto e ha persino contribuito alla formazione del fianco orientale. Inoltre, le relazioni dell’Europa con la Cina stanno plasmando la politica nell’Indo-Pacifico – e mentre la maggior parte degli stati dell’Europa orientale sono al fianco degli Stati Uniti, non tutti lo sono.

Infine, e forse la cosa più importante, c’è la semantica, perché con la semantica vengono le interpretazioni politiche. Ci sono importanti distinzioni tra i significati francese e inglese della parola “autonomia”, che hanno già creato tensioni e incomprensioni. Gli anglofili – coloro che preferiscono l’inglese come lingua preferita (in questo gruppo contano gli europei dell’est) – intendono l’autonomia come “indipendenza” nel senso di uguaglianza con gli altri giocatori, mentre i francofili la intendono come “autorità” o “decentramento”, nel senso di autogoverno in materia di difesa. In effetti, costruire un “esercito europeo” o una difesa europea “sovrano” che sia completamente indipendente e uguale agli Stati Uniti rimane impossibile per molti anni a venire. Autonomia, nel senso francofilo di costruire un ruolo europeo più forte nel quadro dell’Alleanza atlantica, può essere visto come una metafora per una maggiore responsabilità europea. Ciò sarebbe particolarmente utile se gli europei avessero l’ambizione, come hanno suggerito attraverso recenti discorsi e documenti, di agire come credibili primi soccorritori di fascia alta dentro e intorno all’Europa in un’emergenza in cui le forze statunitensi potrebbero essere impegnate altrove entro il 2030.

Il dibattito sulla semantica sta sollevando un’altra domanda: stiamo parlando di UE o di responsabilità strategica europea? Il modo in cui è strutturata la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE consente all’UE di intraprendere modestamente operazioni di risposta alle crisi. Scenari impegnativi di impegno e deterrenza necessitano del sostegno della NATO, così come degli Stati Uniti e del Regno Unito Pertanto, se l’autonomia strategica deve essere costruita sulle fondamenta della PSDC, sarebbe necessario rafforzare le relazioni pratiche stabilite tra PSDC e così- chiamati paesi terzi. Ciò stabilirebbe il meccanismo affinché l’UE possa accedere alle risorse e alle strutture della NATO. Ma è probabile che tali discussioni siano complesse poiché farebbero riferimento a modalità pratiche che renderebbero operativo il partenariato NATO-UE.

Il futuro

Affinché l’autonomia strategica europea o la responsabilità europea crescano all’interno della NATO come propone la Francia, Parigi deve assicurarsi il consenso di Londra e Berlino. Il nuovo governo tedesco ha suggerito che manterrà l’impegno della NATO in investimenti per la difesa e che è dedicato ai piani della NATO. Berlino sarà la prima a preoccuparsi dell’interpretazione politica del termine autonomia ea sottolineare la necessità dell’unità dell’Europa. Per la Germania, qualsiasi discussione sulla “sovranità” europea è accettabile se è collegata alla NATO e alle sue capacità di difesa. Il Regno Unito, nel frattempo, sta negoziando la sua posizione con l’UE e sta cercando di costruire legami bilaterali con paesi europei come la Polonia e altri al di fuori dell’Europa, ma è convinto che l’Europa debba aumentare la sua responsabilità strategica all’interno della NATO dallo status quo operativo del alleanza.

Di tutti i membri della NATO, gli Stati Uniti sono i più interessati a un’Europa più strategicamente responsabile. Washington lo ha detto fin dall’amministrazione Obama. I vantaggi sono abbastanza evidenti. Gli europei potrebbero assumersi maggiori responsabilità per il Mediterraneo occidentale e parti del Nord Africa e rendere possibile la difesa collettiva senza la necessità che le divisioni americane si precipitino in soccorso. E anche se le discussioni in corso falliscono, prevarranno le relazioni bilaterali o le alleanze regionali sia all’interno dell’UE che della NATO.

Il dibattito intorno al Concetto strategico della NATO, insieme a quello sull’autonomia strategica europea, è complesso e impegnativo. Considerando gli attuali problemi socio-economici che gli Stati Uniti e l’Europa stanno affrontando, non solo è difficile raggiungere il consenso, data la moltitudine di questioni che i paesi stanno affrontando, ma è anche difficile che le discussioni vengano interpretate allo stesso modo. Tuttavia, se il dibattito porta a un compromesso che faciliti una maggiore responsabilità europea attraverso l’autonomia strategica, promette l’opportunità di un rinnovato legame tra Stati Uniti ed Europa.

https://geopoliticalfutures.com/the-future-of-natos-strategic-concept/

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian, Di  Ekaterina Zolotova

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian

Mosca sta facendo del suo meglio per invogliare Baku ad unirsi alla sua alleanza eurasiatica.

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La Russia ha trascorso gran parte del 2021 cercando di ristabilire i cuscinetti persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ha dispiegato truppe al confine occidentale con l’Ucraina, ha aumentato l’integrazione con la Bielorussia, ha continuato la sua missione di mantenimento della pace nel Caucaso e ha approfondito la cooperazione con le nazioni dell’Asia centrale. Nel 2022 Mosca sposterà la sua attenzione su un Paese del Caucaso meridionale che da anni è in bilico tra Occidente e Russia: l’Azerbaigian. E lo farà utilizzando l’Unione economica eurasiatica, un blocco regionale post-sovietico che domina, come strumento di coercizione.

mano nascosta

Il mese scorso, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha visitato Bruxelles su invito del segretario generale della NATO. Durante il loro incontro, Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian è un partner affidabile della NATO e mantiene stretti legami con gli alleati della NATO, in particolare la Turchia. Commenti come questi irritano il Cremlino, che vuole limitare il più possibile la presenza della Nato lungo la sua periferia. L’Azerbaigian è una parte fondamentale di questa strategia, poiché separa la Russia dalle forze della NATO in Turchia.

Le zone cuscinetto della Russia
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Di recente, Mosca ha utilizzato una combinazione di cooperazione economica e coinvolgimento militare (nella forma della sua operazione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh) per mantenere il suo punto d’appoggio nel Caucaso. Ma considerando i suoi crescenti problemi economici e l’assortimento di altre priorità, la capacità della Russia di competere per l’influenza economica qui si sta indebolendo. Ad esempio, rappresenta solo il 5% delle esportazioni azere, mentre l’Italia e la Turchia (entrambi paesi della NATO) rappresentano rispettivamente il 30% e il 18%. Baku sta anche aumentando la cooperazione militare con la Turchia, che ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.

Mosca, però, ha una mano nascosta da giocare. L’Azerbaigian è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas verso l’Occidente. Oggi, circa il 68 percento delle esportazioni totali del paese sono petrolio greggio e prodotti correlati e il 15,9 percento sono gas di petrolio e altri idrocarburi gassosi. Il Cremlino, che comprende meglio della maggior parte delle insidie ​​del fare affidamento così pesantemente sulle esportazioni di energia, probabilmente prevede che Baku vorrà diversificare le sue vendite all’estero per ridurre la sua vulnerabilità economica. Ma questo sarà difficile per un paese come l’Azerbaigian, considerando il livello di concorrenza e la mancanza di domanda per i suoi prodotti non energetici. Così, alla vigilia della visita del presidente dell’Azerbaigian a Bruxelles, il Cremlino ha ricordato a Baku i vantaggi della sua partnership.

Pochi giorni prima che Aliyev partisse per la riunione della NATO, il presidente onorario del Consiglio economico eurasiatico, un organismo di regolamentazione dell’Unione economica eurasiatica, ha affermato che l’Azerbaigian potrebbe ottenere lo status di osservatore nel blocco, di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. L’adesione all’unione doganale del blocco potrebbe avere vantaggi significativi per l’Azerbaigian, che riceve circa il 18% delle sue importazioni dalla Russia.

Mosca ha anche fornito sottili accenni altrove sui vantaggi della sua cooperazione. Diverse pubblicazioni dei media russi hanno recentemente propagandato i forti legami tra l’Azerbaigian ei membri dell’EAEU. Ad esempio, l’affiliato azero del sito web russo Sputnik News ha pubblicato un articolo il mese scorso evidenziando i vantaggi dell’adesione. Secondo la pubblicazione, l’adesione dell’Azerbaigian alla EAEU aumenterebbe le esportazioni del settore agricolo e non petrolifero del paese di 280 milioni di dollari. Ha inoltre affermato che l’adesione potrebbe aumentare il prodotto interno lordo dell’Azerbaigian dello 0,6 percento rispetto ai livelli attuali e che ogni residente dell’Azerbaigian trarrebbe profitto di 1.013 dollari, un importo sostanziale in un paese il cui PIL pro capite è di soli 4.202 dollari.

Il Cremlino ha anche recentemente menzionato un sondaggio del 2018 del Centro analitico per il governo della Federazione Russa che ha rilevato che quasi il 40% della comunità imprenditoriale dell’Azerbaigian accoglierebbe con favore relazioni economiche più strette con l’UEE. Questi numeri, spera il Cremlino, suoneranno allettanti in un paese la cui economia si sta riprendendo dalla pandemia, ma lentamente. Sebbene l’Azerbaigian abbia sofferto meno degli effetti economici della pandemia rispetto ai suoi vicini, in gran parte a causa delle sue esportazioni di energia, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione (principalmente verso la Russia) rimangono problemi significativi.

Il commercio dell'Azerbaigian
(clicca per ingrandire)

Tuttavia, la Russia sa che non può fare affidamento esclusivamente sul mercato interno dell’UEE per attirare l’Azerbaigian, poiché anche le economie di alcuni degli altri membri del blocco sono in difficoltà. Pertanto, l’EAEU è in trattative per un accordo di libero scambio permanente con l’Iran. (Le due parti hanno firmato un accordo commerciale provvisorio nel 2018.) Il blocco ha anche accordi di libero scambio con Serbia, Vietnam e Singapore, e entro il 2025, India, Israele ed Egitto saranno aggiunti all’elenco. Ciò significa che unendosi al blocco, l’Azerbaigian avrà accesso a una serie di mercati aggiuntivi, non solo a quelli dei suoi cinque membri.

Un altro vantaggio è che aiuterebbe a domare le ostilità con il rivale storico dell’Azerbaigian, l’Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che il suo paese non si opporrà all’adesione dell’Azerbaigian se contribuirà alla pace regionale. La dichiarazione è un chiaro ramoscello d’ulivo visti i frequenti scontri tra i due Paesi.

Ostacoli

Ma ci sono anche ostacoli nel percorso della Russia per trascinare l’Azerbaigian nell’UEE. In primo luogo, acquisire l’appartenenza, o anche lo status di osservatore, può essere un processo lungo che richiede il consenso tra tutti i membri dell’EAEU. Dati i requisiti legali per l’adesione al blocco, nonché le tensioni in corso con l’Armenia, i negoziati potrebbero complicarsi. Mosca potrebbe dover provvedere per un po’ all’Azerbaigian per mantenerlo interessato, il che è difficile da fare data la concorrenza nella regione.

In secondo luogo, Baku deve considerare le reazioni degli altri suoi alleati. L’Azerbaigian sta aumentando il commercio con i paesi europei e stringendo alleati con la Turchia. Preferisce trovare un equilibrio tra Occidente e Russia, piuttosto che schierarsi.

In terzo luogo, l’EAEU ha problemi interni propri. Gli Stati membri non sono d’accordo su una serie di questioni e non sono sempre disposti a concedere per colmare le loro divisioni. È anche in competizione per l’influenza con la Comunità degli Stati Indipendenti, un’altra istituzione guidata dalla Russia che consiste di nazioni post-sovietiche. Inoltre, il mercato comune della UEE è ancora in evoluzione, con problemi sul funzionamento del mercato comune del gas e dell’energia e la migrazione dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati.

In definitiva, l’Azerbaigian deve vedere i vantaggi dell’adesione; gli azeri medi devono sostenere il processo di integrazione; e non ci devono essere limiti alla libera circolazione delle merci, anche attraverso la regione del Nagorno-Karabakh, piena di conflitti. Senza che queste condizioni siano soddisfatte, è improbabile che l’Azerbaigian voglia unirsi al blocco. Sarà difficile da raggiungere nel medio termine, ma per Mosca questo è il momento migliore per fare la sua mossa, poiché Baku cerca partner affidabili per rilanciare la sua economia e i suoi partner tradizionali sono impantanati nei propri problemi. Tirare l’Azerbaigian nell’UEE sarebbe una vittoria per il Cremlino. Non è un percorso facile, ma è quello che Mosca seguirà per tutto il prossimo anno.

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Un ultimatum russo a sorpresa: nuove bozze di trattati per il rollback della NATO, di gilbertdoctorow

Continuiamo ad offrire alcuni punti di vista sulla questione cruciale che regolerà in qualche maniera le dinamiche geopolitiche e la vita quotidiana interna ai paesi. E’ la volta di una puntuale sintesi dell’approccio russo alle relazioni estere, in particolare con gli Stati Uniti, edita da uno dei maggiori esperti americani in materia. Cerchiamo di sopperire alla vacua superficialità con la quale si affronta, con rare eccezioni, la tematica. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Un ultimatum russo a sorpresa: nuove bozze di trattati per il rollback della NATO

La pubblicazione di un paio di giorni fa sul sito web del Ministero degli Affari Esteri RF delle sue bozze di trattato per la revisione totale dell’architettura di sicurezza europea¹ è stata ripresa dai nostri principali media mainstream. Il New York Times non ha perso tempo a pubblicare un articolo dei suoi giornalisti più esperti sulla Russia, Andrew Kramer e Steven Erlanger: “La Russia presenta le richieste per un nuovo accordo di sicurezza con la NATO”. Da parte sua, il Financial Times ha riunito i suoi principali esperti Max Seddon a Mosca, Henry Foy a Bruxelles e Aime Williams a Washington per inventare “la Russia pubblica le richieste di sicurezza della ‘linea rossa’ per la Nato e gli Stati Uniti”.

Entrambe le ammiraglie della carta stampata in lingua inglese hanno identificato correttamente la principale novità dell’iniziativa russa, racchiusa nella parola “richieste”. Tuttavia, non hanno esplorato la domanda “e se”, come e perché queste “richieste” vengono presentate di fatto, se non di nome, come un “ultimatum”, come le considero.

Gli stessi articoli di giornale sono tè debole. Riassumono i punti esposti nei progetti di trattati russi. Ma non sono in grado di fornire un’interpretazione di ciò che l’iniziativa russa significa per l’immediato futuro di tutti noi.

Normalmente sarebbero stati alimentati manualmente da tali analisi dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e dal Pentagono. Tuttavia, questa volta Washington ha rifiutato di commentare, dicendo che ora sta studiando i trattati russi e avrà la sua risposta tra una settimana circa. Nel frattempo, l’affidabile cagnolino americano Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, non ha ritenuto necessario riflettere e ha respinto categoricamente le richieste russe in quanto inaccettabili. Anche gli stati membri della NATO “in prima linea” nei paesi baltici hanno posto il veto di riflesso a qualsiasi colloquio con i russi su queste questioni.

Tuttavia, anche il FT e il NYT capiscono quanto valga l’opinione del signor Stoltenberg o l’opinione dell’Estonia e si sono trattenuti a dare il proprio pollice in su o in giù. Entrambi analizzano le bozze di trattati principalmente in relazione all’attuale ammassamento di truppe russe al confine con l’Ucraina. Presumono che se i russi non riceveranno alcuna soddisfazione per le loro richieste, lo useranno per giustificare un’invasione. Ci viene detto che in un’eventualità del genere scoppierà una nuova Guerra Fredda nel Vecchio Continente, come se quella fosse la fine di tutto il clamore.

In parte, il problema con questi media è che i loro giornalisti e le loro redazioni sono stonate per quanto riguarda le cose russe. Sono insensibili alle sfumature e incapaci di vedere cosa c’è di nuovo qui nel contenuto e ancor più nella presentazione dei testi russi. La debolezza è in parte imputabile al problema comune dei giornalisti: il loro orizzonte temporale risale a quanto accaduto la scorsa settimana. Mancano di prospettiva.

In quello che presenterò di seguito, cercherò di affrontare queste carenze. Non invocherò il tempo storico, che potrebbe riportarci indietro di settant’anni all’inizio della prima guerra fredda o addirittura di trent’anni alla fine di quella guerra fredda, ma limiterò il mio commento al tempo che circonda l’ultimo tale appello russo per trattati per regolare l’ambiente di sicurezza nel continente europeo, 2008 – 2009 sotto l’allora presidente Dmitry Medvedev. Questo rientra nell’orizzonte temporale della scienza politica.

Presterò particolare attenzione al tono di questa iniziativa russa e cercherò di spiegare perché i russi hanno tracciato le loro “linee rosse” sulla sabbia proprio adesso. Tutto ciò porterà alla conclusione che non è solo il presidente Volodymyr Zelensky a Kiev che dovrebbe preoccuparsi delle condizioni dei rifugi antiaerei locali, ma anche tutti noi a Bruxelles, Varsavia, Bucarest, ecc., da questa parte dell’Atlantico, e a Washington, DC, New York e in altri importanti centri del continente americano. Stiamo osservando quello che potrebbe essere chiamato Cuban Missile Crisis Redux.

* * * *

Ognuno di noi commentatori ha le proprie date di inizio per le narrazioni che offriamo al pubblico dei lettori. Nel mio caso, scelgo di iniziare con il discorso del presidente Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2007. Quel discorso in sé era molto insolito, come ha spiegato Putin dai suoi primi momenti al leggio:

“La struttura di questa conferenza mi permette di evitare un’eccessiva cortesia e la necessità di parlare in termini diplomatici tondi, piacevoli ma vuoti. Il formato di questa conferenza mi permetterà di dire cosa penso veramente dei problemi di sicurezza internazionale. E se i miei commenti sembrano eccessivamente polemici, pungenti o inesatti ai nostri colleghi, allora ti chiederei di non arrabbiarti con me. Dopotutto, questa è solo una conferenza. E spero che dopo i primi due o tre minuti del mio discorso [l’ospite della conferenza] non accenda la luce rossa laggiù”.

Ciò lo ha portato a fornire la seguente affermazione audace:

“Sono convinto che siamo arrivati ​​a quel momento decisivo in cui dobbiamo pensare seriamente all’architettura della sicurezza globale. E dobbiamo procedere cercando un ragionevole equilibrio tra gli interessi di tutti i partecipanti al dialogo internazionale».

In una parola, le preoccupazioni e il processo di soluzione proposto attraverso il rinnovamento dell’architettura della sicurezza che vediamo oggi nelle ultime bozze di trattati della Russia risalgono al 2007, quando Vladimir Putin si è espresso pubblicamente sull’argomento in quello che potrebbe essere descritto come il covo dell’establishment della sicurezza mondiale.

Con il senatore John McCain e altri campioni dell’egemonia globale americana che lo fissavano increduli dalle prime file, in quel discorso Vladimir Putin ha esposto in dettaglio il rifiuto della Russia del mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti come fonte di tensioni internazionali, il ricorso a soluzioni militari, una corsa agli armamenti e la proliferazione nucleare. L’egemonia statunitense era antidemocratica e impraticabile, ha affermato.

Il discorso è stato anche degno di nota per la menzione di Putin del meschino trattamento che il suo paese ha ricevuto da parte degli americani in seguito alla disgregazione dell’URSS negli anni ’90 fino al nuovo millennio. La questione chiave è stata l’espansione della NATO verso est, includendo i paesi dell’ex Patto di Varsavia e, infine, le ex repubbliche dell’URSS, gli Stati baltici.

Quoto:

“Si scopre che la NATO ha messo le sue forze in prima linea sui nostri confini e continuiamo a rispettare rigorosamente gli obblighi del trattato e non reagiamo affatto a queste azioni. Penso sia ovvio che l’espansione della NATO non ha alcuna relazione con la modernizzazione dell’Alleanza stessa o con la garanzia della sicurezza in Europa. Al contrario, rappresenta una seria provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca. E abbiamo il diritto di chiederci: contro chi è destinata questa espansione? E che fine hanno fatto le assicurazioni fatte dai nostri partner occidentali dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono queste dichiarazioni oggi? Nessuno li ricorda nemmeno».

Il discorso di Putin del 2007 è stato espresso come una denuncia. Veniva da un paese che si era ancora solo parzialmente ripreso dalla devastazione economica che aveva subito negli anni ’90 durante una transizione mal gestita dall’economia di comando sovietica a un’economia di mercato. Più precisamente, il suo era un paese con capacità militari notevolmente diminuite rispetto alla superpotenza sovietica da cui è emerso indipendente. In una certa misura, l’incredulità tra il contingente americano e alleato a Monaco di Baviera è nata proprio dall’audacia della Russia ancora gracile di sfidare i poteri costituiti.

Nelle settimane e nei mesi successivi al discorso di Putin a Monaco, gli Stati Uniti si sono ripresi dallo shock per la sua denuncia pubblica e sono passati rapidamente al contrattacco, lanciando una guerra dell’informazione sulla Russia che è con noi oggi. Dai giorni conclusivi dell’amministrazione Bush, attraverso l’intera amministrazione Obama, tranne quando il nuovo accordo sul controllo degli armamenti START veniva negoziato e firmato entro il breve periodo chiamato “ripristino”, gli Stati Uniti hanno usato ogni mezzo giusto e cattivo per screditare la Russia prima la comunità globale nella speranza di isolare il Paese e relegarlo allo status di paria. Le sanzioni commerciali contro la Russia sono state imposte per la prima volta dagli Stati Uniti nel 2012 con il Magnitsky Act. Gli Stati Uniti hanno notevolmente ampliato la loro politica di sanzioni contro la Russia in seguito all’annessione della Crimea nel marzo 2014.Grazie alla catastrofe aerea dell’MH17 di quell’estate, un evento ‘false flag’ di prima grandezza, tutta l’Europa è stata portata a bordo. La politica delle sanzioni è stata rinnovata ancora una volta dall’UE proprio venerdì scorso.

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Guardando indietro al 2008, quando Vladimir Putin ha passato la presidenza al suo sostituto, Dmitry Medvedev, vediamo che la revisione dell’architettura di sicurezza europea era uno degli obiettivi politici chiave della presidenza Medvedev. Ne ha parlato in un discorso pronunciato a Berlino nel giugno 2008. La cancelliera tedesca Angela Merkel è stata tra le prime a respingere la proposta, affermando che gli accordi di sicurezza dell’Europa avevano già preso forma concreta.

Nel novembre 2009 ha finalmente pubblicato sul suo sito web una bozza di trattato sulla sicurezza europea. Contestualmente, il ministro degli Esteri Lavrov ha presentato ufficialmente il documento al Consiglio dei ministri dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) allora riunitosi ad Atene.

Il mio libro di saggi intitolato Stepping Out of Line , pubblicato nel 2013, ha un paio di capitoli dedicati all’iniziativa di Medvedev, che ho concluso fosse ostacolata da un concetto povero ulteriormente indebolito da una cattiva esecuzione.²

La bozza di accordo era prima di tutto un patto di non aggressione tra e tra tutti gli Stati interessati nello spazio atlantico-euroasiatico. Stabilirebbe un quadro di riunioni deliberative in cui tutti gli Stati membri ascolterebbero casi di minacce di uso della forza o uso effettivo della forza contro qualsiasi Stato membro. Tuttavia, la non aggressione era solo una vetrina, descrivendo qualcosa che tutti potevano capire e a cui dire “amen”. Il secondo obiettivo dichiarato era garantire la sicurezza collettiva dei suoi membri in base al principio che nessuno Stato o gruppo di Stati potrebbe promuovere la propria sicurezza a spese di altri Stati membri.

Quello che mancava al progetto di trattato sulla sicurezza europea era proprio la definizione di cosa costituisse il rafforzamento della propria sicurezza a spese dell’altro. Per gli europei il trattato potrebbe servire solo allo scopo di tributo alla Russia, stabilendo un nuovo importante forum per esprimere eventuali rimostranze che potrebbe avere sull’espansione della NATO, il sistema di difesa missilistico e altre misure sponsorizzate dagli Stati Uniti che migliorano la sicurezza occidentale a spese dello stato russo. sicurezza.

Il vuoto del progetto di trattato è stato un fallimento di Medvedev e dei suoi immediati assistenti che lo hanno redatto. Nel febbraio 2010, durante la regolare Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Sergei Lavrov ha compiuto un coraggioso sforzo per salvare l’iniziativa Medvedev proponendo che l’attuale OSCE fosse riprogettata come veicolo per garantire la sicurezza collettiva. La Russia stava dicendo che la NATO doveva rinunciare al suo predominio in Europa e cedere il posto a un’OSCE rinvigorita. Molto poco del discorso di Lavrov è stato riportato dai media occidentali.

Il fatto che sia stato tranquillamente sepolto da tutte le parti riceventi può essere attribuito alla posizione molto debole della stessa Russia in quel momento. La vittoriosa campagna russa contro la Georgia nel 2008 è stata vista dai professionisti della difesa in Occidente in modo molto diverso da ciò che il pubblico in generale capiva. Per i professionisti, l’esercito russo ha dimostrato di non aver fatto molti progressi rispetto alle forze mal equipaggiate e guidate che l’URSS ha dispiegato in Afghanistan o che la Federazione russa ha dispiegato in Cecenia negli anni ’90. Il fatto è che la postura di Medvedev era quella di un supplicante , che tratta da una mano debole. Si noti, tuttavia, che le preoccupazioni russe erano esattamente le stesse evocate dal Cremlino oggi mentre promuove i suoi nuovi progetti di trattati.

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Fino ai giorni scorsi non abbiamo più sentito parlare di progetti di trattati russi per alterare l’architettura di sicurezza dell’Europa. Invece negli anni successivi ci sono stati ripetuti casi di lamentele pubbliche russe sulle attività degli Stati Uniti e della NATO che considera minacciose. Una di queste forti lamentele è arrivata nel gennaio 2016 con l’uscita di un film documentario intitolato World Order . Questa è stata una critica devastante dell’egemonia globale degli Stati Uniti giustificata in nome della “promozione della democrazia” e dei “diritti umani” sin dalla caduta dell’Unione Sovietica. nel 1992.

Seguendo i punti espressi nel discorso di Vladimir Putin a Monaco del 2007, World Order illustra attraverso filmati grafici e la testimonianza di autorità mondiali indipendenti le tragiche conseguenze, la diffusione del caos e della miseria, risultanti dal “cambio di regime” e dalle “rivoluzioni colorate” progettati dagli Stati Uniti. ‘, di cui il violento rovesciamento del regime di Yanukovich in Ucraina nel febbraio 2014 è stato solo l’ultimo esempio.

Il titolo del film è seguito al discorso di Putin alla riunione del 70 ° anniversario dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 che aveva come messaggio centrale che l’ordine mondiale si basa sul diritto internazionale, che a sua volta ha come fondamento la Carta delle Nazioni Unite. Infrangendo la Carta e facendo la guerra senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a partire dall’attacco della NATO alla Serbia nel 1999 e continuando con l’invasione dell’Iraq nel 2003 fino ai suoi bombardamenti illegali in Siria, gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO hanno scosso i fondamenti del diritto internazionale.

Gli intervistati stranieri in World Order comprendevano una selezione impressionante e diversificata di leader in vari settori, tra cui il regista americano Oliver Stone; Thomas Graham, ex direttore del Consiglio di sicurezza nazionale per la Russia sotto George W. Bush; l’ex direttore dell’FMI Dominique Strauss-Kahn; l’ex presidente del Pakistan Perwez Musharraf; l’ex ministro degli esteri francese Dominique Villepin; l’ex presidente israeliano Shimon Peres; il fondatore di Wikileaks Julian Assange; e vice leader del partito Die Linke nel Bundestag tedesco, Sahra Wagenknecht.

Strauss-Kahn, Musharraf e altri hanno accusato gli Stati Uniti di complottare e distruggere i leader stranieri che osano opporsi al controllo totale dell’America sui flussi globali di denaro, merci e persone. Wagenknecht ha affrontato la questione della sottomissione della Germania ai Diktat americani e della sua sovranità de facto circoscritta. Le dichiarazioni hanno sostenuto la tesi di lunga data di Putin, reiterata nel film, che gli alleati dell’Europa occidentale degli Stati Uniti non sono altro che vassalli.

Il messaggio chiaro del film era che la “promozione della democrazia” guidata dagli Stati Uniti e la sua diffusione di “valori universali” non saranno tollerati e che la Russia ha stabilito alcune linee rosse, come contro l’espansione della NATO in Ucraina o Georgia, su cui combattere fino alla morte utilizzando tutte le sue risorse.

Tuttavia, per quanto forte e pungente fosse questo film documentario nell’esporre il punto di vista del Cremlino sulla sicurezza globale ed europea, era solo una denuncia , niente di più. Lo menziono in dettaglio sopra per dimostrare la continuità delle preoccupazioni russe che questa settimana sono arrivate al culmine con l’uscita dei progetti di trattati all’esame della NATO e degli Stati Uniti.

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Cosa c’è di nuovo oggi nell’iniziativa russa sulla sicurezza europea? Sia il contenuto che la presentazione sono nuovi.

Contrariamente ai trattati di Dmitry Medvedev del 2008-2009, le ultime bozze di testi russi sono tutti contenuti esposti in modo metodico ed esauriente. Si riferiscono direttamente alle attività degli Stati Uniti e della NATO negli ultimi anni che la Russia considera le più minacciose per la sua sicurezza e quindi le più discutibili.

È chiaro che il trattato principale è con gli Stati Uniti e che il trattato con la NATO è un trattato sussidiario. Ciò riflette l’insistente visione del Cremlino che la verbosità della NATO sul suo essere un’alleanza guidata dal consenso è spazzatura e che la realtà è il dominio americano e la direzione della NATO. Questo punto di vista spazza via qualsiasi obiezione da parte di uno qualsiasi degli Stati membri della NATO, come ad esempio le obiezioni immediate che provenivano dagli Stati baltici e dalla Polonia, secondo cui è necessario il loro consenso alle modifiche proposte, per non parlare della necessità di consultare altre parti interessate , vale a dire l’Ucraina. Il Cremlino intende chiaramente isolare Washington nel processo negoziale per questi trattati, prima di fare passi da gigante con gli altri membri della NATO.

Nello spirito dei Dieci Comandamenti, quasi tutto il contenuto è in negativo, in divieti.

Rispetto alla proposta di trattato con gli Stati Uniti, troviamo quanto segue:

“[Le Parti] non attueranno misure di sicurezza adottate da ciascuna Parte individualmente o nel quadro di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione che potrebbero minare gli interessi di sicurezza fondamentali dell’altra Parte.

“Le Parti non utilizzeranno i territori di altri Stati al fine di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra Parte o altre azioni che influiscano sui principali interessi di sicurezza dell’altra Parte.

“Gli Stati Uniti d’America si impegnano a prevenire un’ulteriore espansione verso est dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ea negare l’adesione all’Alleanza degli Stati dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

“Gli Stati Uniti d’America non stabiliranno basi militari nel territorio degli Stati dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che non siano membri dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, utilizzeranno le loro infrastrutture per attività militari o svilupperanno con loro una cooperazione militare bilaterale .

“Le Parti si asterranno dal pilotare bombardieri pesanti equipaggiati per armamenti nucleari o non nucleari o dal dispiegare navi da guerra di superficie di qualsiasi tipo, anche nell’ambito di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, nelle aree rispettivamente al di fuori dello spazio aereo nazionale e delle acque territoriali nazionali, da dove possono attaccare obiettivi nel territorio dell’altra Parte.

“Le Parti si impegnano a non dispiegare missili a raggio intermedio e a corto raggio lanciati da terra al di fuori dei loro territori nazionali, nonché nelle aree dei loro territori nazionali, da cui tali armi possono attaccare obiettivi nel territorio nazionale dell’altra Parte .

“Le Parti si asterranno dal dispiegare armi nucleari al di fuori dei loro territori nazionali e restituiranno tali armi già dispiegate al di fuori dei loro territori nazionali al momento dell’entrata in vigore del Trattato nei loro territori nazionali. Le Parti elimineranno tutte le infrastrutture esistenti per il dispiegamento di armi nucleari al di fuori dei loro territori nazionali”.

Per quanto riguarda il progetto di trattato con la NATO, richiamo particolare attenzione alle seguenti disposizioni:

“Le Parti devono esercitare moderazione nella pianificazione militare e nello svolgimento di esercitazioni per ridurre i rischi di eventuali situazioni pericolose in conformità con i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale, compresi quelli stabiliti negli accordi intergovernativi sulla prevenzione di incidenti in mare al di fuori delle acque territoriali e nello spazio aereo sopra , nonché negli accordi intergovernativi sulla prevenzione di attività militari pericolose.

“Per affrontare le questioni e risolvere i problemi, le Parti utilizzeranno i meccanismi delle consultazioni urgenti bilaterali o multilaterali, compreso il Consiglio NATO-Russia.

“Le Parti ribadiscono di non considerarsi avversarie.

“Le Parti manterranno il dialogo e l’interazione sul miglioramento dei meccanismi per prevenire gli incidenti in alto mare (principalmente nei Paesi baltici e nella regione del Mar Nero).

“La Federazione Russa e tutte le Parti che erano Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico rispettivamente dal 27 maggio 1997, non dispiegheranno forze militari e armi sul territorio di nessuno degli altri Stati in Europa oltre alle forze di stanza su tale territorio a partire dal 27 maggio 1997. ….

“Le Parti non dispiegheranno missili terrestri a medio e corto raggio in aree che consentano loro di raggiungere il territorio delle altre Parti.

“Tutti gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico si impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento della NATO, inclusa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati.

“Le Parti che sono Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico non condurranno alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa orientale, del Caucaso meridionale e dell’Asia centrale”.

I progetti di trattati non creano una nuova architettura di sicurezza quanto smantellano l’architettura esistente aggiunta dalla metà degli anni ’90 dagli Stati Uniti e dai suoi alleati attraverso l’espansione della NATO a est, esercitazioni militari vicino ai confini e allo spazio aereo russi, “temporanee” stazionamento di personale e attrezzature in posizioni avanzate in avvicinamento ai confini russi.

Se accettati nella loro forma attuale, questi trattati rappresenterebbero una capitolazione totale da parte degli Stati Uniti su tutto ciò che quattro amministrazioni successive hanno cercato di ottenere per contenere la Russia e metterla in una piccola gabbia alla periferia dell’Europa.

Le richieste hanno una portata così sorprendente che dobbiamo chiederci perché la Russia sta correndo il rischio apparentemente enorme di avanzarle, e lo fa pubblicamente. Inoltre, perché adesso?

Ho due spiegazioni da avanzare: la prima è l’incrollabile fiducia che Vladimir Putin e i suoi colleghi hanno nel loro attuale vantaggio tattico sugli Stati Uniti nel teatro delle operazioni europeo e vantaggio strategico sugli Stati Uniti sul territorio americano se arriva la spinta spingere.

Tre anni fa Putin ha usato il suo discorso annuale sullo stato dell’Unione per mostrare i nuovi sistemi d’arma che la Russia aveva testato con successo e che stava ora mettendo in produzione in serie, in particolare i missili ipersonici che possono eludere tutti i sistemi ABM conosciuti. Ha poi affermato che per la prima volta nella sua storia moderna la Russia ha superato gli Stati Uniti nello sviluppo e nell’impiego di sistemi di armi strategiche. Mentre gli Stati potrebbero svilupparsi allo stesso modo con il tempo, i russi andrebbero ancora più avanti.

Putin ha inoltre affermato che mentre in passato gli Stati Uniti avevano considerato gli oceani la loro difesa naturale contro le conquiste militari dall’estero, gli ultimi missili russi, abbastanza piccoli da essere trasportati in container su navi mercantili, su fregate o su sottomarini, hanno trasformato il oceani adiacenti nel punto debole del paese. I russi potrebbero posizionare le loro armi appena fuori dalla zona economica di 200 miglia e raggiungere comunque obiettivi militari chiave sul territorio degli Stati Uniti in pochi minuti. Vale a dire che la Russia potrebbe ora fare ciò che a Krusciov era stato negato il diritto di fare nel 1962 posizionando missili sovietici a Cuba.

Durante il suo discorso di presentazione, Putin ha sperato che gli Stati Uniti e i suoi partner occidentali se ne accorgessero, facessero i calcoli e alterassero il loro comportamento minaccioso. Invece, i media occidentali tendevano a trattare le armi russe come un bluff, o come uno stratagemma elettorale per fare appello ai suoi elettori nella campagna presidenziale allora in corso, o come qualcosa al di là della capacità dei russi di produrre in quantità sufficienti e con velocità per rappresentare un minaccia prima che gli USA possedessero lo stesso.

Un anno fa, il presidente russo ha nuovamente richiamato l’attenzione sullo spiegamento dei nuovi sistemi d’arma e ha esortato gli Stati Uniti a reagire in modo appropriato. Naturalmente, ancora una volta Washington non ha fatto nulla. Invece l’amministrazione statunitense ha continuato ad aumentare il livello di minaccia della Cina e a liquidare la Russia come nient’altro che spoiler che guidano un paese in declino.

Infine, possiamo concludere che Vladimir Vladimirovich e la sua squadra hanno deciso di agire, e di agire ora, in forza della superiorità strategica di cui credono di godere. Dato il modo molto cauto con cui Putin ha sempre condotto gli affari di governo negli ultimi vent’anni, chiunque pensi che il Cremlino stia bluffando o calcolando male farebbe meglio a ricredersi.

Ora c’è anche un secondo fattore di supporto per spiegare la decisione dei russi di pubblicizzare quello che è essenzialmente un ultimatum agli USA. Quel fattore è la Cina. Non per niente Putin e Xi hanno avuto una videoconferenza ampiamente pubblicizzata questa settimana durante la quale il presidente cinese ha dato il suo pieno sostegno alle richieste russe di risoluzione della crisi di sicurezza in Europa e ha detto esplicitamente che il rapporto tra Cina e Russia è superiore a un’alleanza.

Ora cosa potrebbe esserci di più alto di un’alleanza? Sicuramente questo suggerisce un patto di mutua difesa, nel senso che ciascuna parte verrà in aiuto dell’altra secondo necessità se minacciata o attaccata.

Possiamo presumere che ci sia qualcosa di scritto tra russi e cinesi per dare a Putin la fiducia di avere la Cina alle spalle mentre si avventura in uno scontro diplomatico e forse militare con gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO.

Eppure, quale sarebbe il valore di un simile pezzo di carta? Dove cercheresti riparazione se i cinesi non riuscissero a consegnare e la NATO marciasse a Mosca? No, il valore della videoconferenza con Xi è altrove. Come i loro 100.000 soldati ammassati al confine ucraino, i russi stanno usando il sostegno cinese per spaventare a morte Washington, il che potrebbe ben presumere che i cinesi coordineranno le proprie azioni militari contro Taiwan, contro le forze navali statunitensi nel sud della Cina Mare e oltre per presentare agli Stati Uniti una guerra su due fronti invincibile, servendo i propri interessi cinesi.

Se la situazione politica a Washington impedisse un pensiero così lucido, credo che i russi ricorreranno alla loro capacità del tutto indipendente di puntare una pistola alla testa dell’establishment americano, attraverso lo stazionamento delle sue forze missilistiche appena al largo, che non ha ancora stato fatto.

Il modo in cui andrà a finire dipenderà dalla natura della risposta degli Stati Uniti alla prossima mossa della Russia, che potrebbe, nelle circostanze dell’ostruzionismo di Washington, essere quell’invasione dell’Ucraina di cui si è tanto parlato nelle ultime settimane. Sarebbe avventato, a questo punto, abbozzare tutti gli scenari possibili. Ma siamo sicuramente nel momento in cui ‘il tarlo gira’.

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In conclusione, richiamo l’attenzione del lettore su un ulteriore dettaglio della presentazione: chi è stato il messaggero per conto del Cremlino.

Negli ultimi anni, le persone intorno a Vladimir Putin hanno scherzato riguardo alle potenze straniere, “se non possono trattare con Lavrov [ministro degli affari esteri della RF], allora dovranno trattare con Shoigu [ministro della difesa della RF]”. A giudicare dalle ultime due settimane, inserirei un’altra personalità in questa equazione: Sergei Alekseevich Ryabkov, viceministro degli affari esteri.

Ryabkov è in giro da molto tempo, ma fino ad ora non abbiamo avuto sue notizie. Si è diplomato alla prestigiosa MGIMO, la scuola superiore che tradizionalmente formava i candidati accelerati del corpo diplomatico sovietico-russo. Ha servito diversi anni presso l’ambasciata russa a Washington e parla correntemente l’inglese. Nel nuovo millennio ha avuto responsabilità relative alla non proliferazione e alla gestione dei rapporti con l’Europa. Il suo titolo attuale è viceministro.

Poiché le relazioni con gli Stati Uniti e l’UE si sono infiammate nelle ultime settimane a causa dell’accumulo di forze russe al confine con l’Ucraina, Ryabkov ha parlato con la stampa e lo ha fatto in modo poco diplomatico e sfacciato . Quando una settimana fa un giornalista gli ha chiesto come avrebbero reagito a qualcosa alcuni dei “partner occidentali” della Russia, ha risposto di scatto: “Non abbiamo partner in Occidente, solo nemici. Ho smesso di usare la parola “partner” qualche tempo fa”.

La messa in mostra del bulldog Ryabkov al Cremlino fa parte del cambio di tono, della nuova assertività di Putin e della sua squadra a cui mi riferisco sopra.

E per non perdere il punto, un altro portavoce intransigente del Cremlino, Dmitry Kiselyov, direttore di tutti i servizi di informazione della televisione di stato russa, ha aperto stasera il suo programma settimanale di notizie “Vesti Nedeli” con l’osservazione: “La Russia ha fatto un’offerta agli Stati Uniti Stati che non può rifiutare. Il momento della verità [момент истины] è arrivato”.

©Gilbert Doctorow, 2021

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¹https://mid.ru/ru/foreign_policy/rso/nato/1790818/?lang=en

²”Il progetto di trattato di Medvedev sulla sicurezza europea: morto all’arrivo” e “Il progetto di trattato della Russia sulla sicurezza europea: Sergei Lavrov in soccorso”

³”https://consortiumnews.com/2016/01/02/hearing-the-russian-perspective/

https://gilbertdoctorow-com.translate.goog/2021/12/19/a-surprise-russian-ultimatum-new-draft-treaties-to-roll-back-nato/?fbclid=IwAR0Ml8uVwuNHyN1Z99EwVdoR_3WrPgJpeAiwQdoi5sYv88I4t7rtliHRth4&_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it

Inerzia e punti di svolta_ di Giacomo Gabellini

Nell’ottica statunitense, l’Ucraina continua a rappresentare una pedina preziosa, sistematicamente impiegata per mettere alle corde la Russia nell’attuale fase ma potenzialmente riciclabile, in un’ottica di medio-lungo periodo, come merce di scambio in nome di un riavvicinamento tra Washington e Mosca funzionale al contenimento della Cina. Prospettiva apparentemente inconcepibile, alla luce del fervore anti-russo che anima gli ambienti neoconservatori fortemente sovrarappresentati all’interno dello “Stato profondo”, ma pur sempre presente nel novero delle opzioni strategiche e proprio per questo pro-fondamente temuta dai leader russofobi e ultra-atlantisti della “nuova Europa”. I quali non perdono occasione per trascinare l’imbelle Unione Europea verso una posizione di crescente ostilità nei confronti della Russia – dai risultati catastrofici dal punto di vista sia economico che strategico – proprio perché persuasi che il rango dei loro Paesi, e i relativi dividendi di natura economica e (geo)politica che ne derivano, risulti direttamente subordinato al grado di rilevanza che gli Stati Uniti attribuiscono all’accerchiamento della Russia.
Osservata dal punto di vista strettamente geopolitico, infatti, la dottrina del rollback applicata da Washington nei confronti della Federazione Russa denota una smaccata illogicità di fondo. Prima d’ora, gli Stati Uniti non si sono mai trovati nelle condizioni di affrontare un avversario come la Repubblica Popolare Cinese, che va ogni giorno di più attrezzandosi per soverchiare gli Usa sotto il profilo economico, tecnologico e militare. Attualmente, gli sforzi della Casa Bianca e del Congresso si concentrano sulla rottura del legame di dipendenza sviluppato dalle imprese multinazionali statunitensi nei confronti della manifattura cinese, attraverso la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento, la rinazionalizzazione delle industrie strategiche e l’imposizione di nuovi standard produttivi concepiti appositamente per colpire l’ex Celeste Impero.
Ammesso – e non concesso – che l’ambiziosissimo progetto giunga effettivamente a realizzazione, occorreranno comunque decenni per riconfigurare le filiere, rimpatriare gli impianti delocalizzati a partire dai primi anni ’80 e rimodellare la globalizzazione in base ai propri interessi specifici. I numeri, d’altra parte, sono largamente favorevoli alla Cina, dal punto di vista sia demografico che economico. Per cui, insistono i più illustri esponenti della corrente di pensiero realista, è tempo di abbandonare le velleità di dominio maturate durante il breve periodo unipolare e prendere atto che gli Stati Uniti non dispongono più dei mezzi né dell’autorità sufficiente per piegare il resto del mondo alle proprie direttive. All’inizio degli anni ’70, quando gli Stati Uniti erano alle prese con la dispendiosissima e fallimentare Guerra del Vietnam, fu una constatazione di questo genere a spingere Nixon e Kissinger a superare le barriere di carattere ideologico consustanziali alla Guerra Fredda per aprire alla Repubblica Popolare Cinese e condannare l’Unione Sovietica a un fatale isolamento politico ed economico.
All’epoca, Washington conseguì il risultato capitalizzando politicamente i timori e le questioni aperte tra Mosca e Pechino, a coronamento di un meticoloso lavoro preparatorio che denotava una profonda consapevolezza circa le opportunità potenzialmente costruttive offerte dallo scenario multipolare in via di costituzione. Oggi, la logica della strategia imporrebbe ai decisori statunitensi l’adozione di un approccio altrettanto pragmatico, implicante cioè la predisposizione di una manovra di avvicinamento verso il Cremlino basata sul riconoscimento degli interessi nazionali russi e la strumentalizzazione delle non inesistenti divergenze tra Mosca e Pechino. In primo luogo perché la Russia «non ha la taglia per scalare la vetta del potere planetario. Ma è la quantità marginale che gettando il suo peso sull’uno o sull’altro piatto della bilancia può decidere della partita fra Stati Uniti e Cina»; un’alleanza tra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese raggiungerebbe la massa critica per «squilibrare il parallelogramma delle forze a danno di Washington». Un’intesa con il Cremlino, viceversa, permetterebbe a Washington di riposizionare nell’area dell’Indo-Pacifico le risorse attualmente dedicate all’accerchiamento della Federazione Russa in Europa orientale, Caucaso e Medio Oriente, e focalizzare così l’attenzione sulla questione di gran lunga più cogente, costituita dall’ascesa della Cina e dalla rapidità con cui Pechino continua implacabilmente ad erodere i residui vantaggi di cui godono ancora gli Usa.
Non è un caso che il più convinto sostenitore della linea della normalizzazione dei rapporti con Mosca sia proprio Henry Kissinger, il principale architetto dell’intesa sino-statunitense del 1972. In un’intervista rilasciata a «The Atlantic» nel 2016, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale e segretario di Stato di Nixon raccomandava di guardare alla Russia «non come a un avversario, ma come a un partner con cui trovare una soluzione».
Sulla strada che conduce all’attuazione delle direttive kissingeriane si ergono una serie di ostacoli formidabili, a partire dall’impellente necessità dell’apparato dirigenziale Usa di preservare un “nemico perfetto” attraverso cui (tentare) tenere insieme i pezzi di una società domestica frustrata, impoverita e pericolosamente avviata verso la disgregazione, e legittimare allo stesso la sopravvivenza di un’organizzazione obsoleta e sempre più contestata come la Nato. La quale costituisce a sua volta la migliore garanzia per la perpetuazione dell’occupazione militar-strategica statunitense di un teatro di primaria importanza come l’Europa, che nella visione profondamente influenzata dalle teorizzazioni di Mackinder e Brzezinski tuttora imperante nel mondo degli “apparati” di Washington risulta imprescindibile per prevenire qualsiasi forma di collaborazione tra Russia ed Europa (leggi: Germania) in grado di ridimensionare la supremazia Usa. Di qui la decisione statunitense di pianificare la sovversione degli equilibri politici interni all’Ucraina per trasformarla in un cuneo da frapporre tra Mitteleuropa e Russia votato all’isolamento dell’Heartland, e intensificare al contempo la pressione militare (espansione della Nato, moltiplicazione delle esercitazioni dell’Alleanza Atlantica in Europa orientale), economica (inasprimento delle sanzioni) e politica (strumentalizzazione del caso Naval’nyj e delle proteste in Bielorussia) sulla Russia.
Kissinger è stato tra i pochissimi – nell’intervista a «The Atlantic», è egli stesso a definire minoritaria” la sua scuola di pensiero – a cogliere la natura spiccatamente difensiva delle mosse compiute da Vladimir Putin a partire dal 2014, e a rendersi conto che nessun leader russo avrebbe mai potuto accettare la prospettiva, resa particolarmente concreta dal colpo di Stato di “Euro-Majdan”, di ritrovarsi la Nato saldamente impiantata in Crimea e alle porte dello stesso bassopiano sarmatico attraversato dalle armate di Napoleone ed Hitler. L’annessione della penisola, attuata con il consenso schiacciante della popolazione locale, ha preservato il controllo russo sull’importantissimo porto di Sebastopoli, mentre l’appoggio garantito alle repubbliche secessioniste di Luhans’k e Donec’k ha permesso alla Federazione Russa di frapporre un imprescindibile cuscinetto fra sé e la Nato. Le cui porte rimangono aperte non solo per l’Ucraina, ma anche per la Georgia, come dichiarato sia dal segretario di Stato Blinken che dal segretario generale dell’Alleanza Stoltenberg. Ai due Paesi, la possibilità era già stata prospettata durante il vertice della Nato di Bucarest dell’aprile 2008, pochi mesi prima che Saakashvili ordinasse l’attacco contro Abkhazia e Ossezia del Sud innescando l’escalation culminata con la sconfitta militare della Georgia ad opera della Russia. A dispetto di quanto prospettato da alcuni6, le intenzioni del Cremlino non vertono sull’annessione del Donbass sulla falsariga del precedente della Crimea, ma sulla stretta osservanza degli Accordi di Minsk, implicanti la concessione di uno statuto speciale alle regioni di Luhans’k e Donec’k (dove i russi etnici sono in maggioranza) che assicuri alla Russia una “quinta colonna” interna allo Stato ucraino di cui avvalersi per influenzare il processo decisionale di Kiev – per lo stesso, identico motivo, la leadership ucraina ostacola l’applicazione dell’intesa raggiunta in Bielorussia e ne invoca la revisione.
A ennesima riprova del fatto che, ristabilito l’equilibrio strategico grazie alla messa a punto di un formidabile arsenale nucleare, la priorità odierna della Russia consiste nel sigillare i propri confini occidentali, consolidando la propria influenza entro gli ex satelliti al fine di ricostituire legami politico-economico-commerciali con il proprio “estero vicino” confluito sotto l’ombrello militar-strategico statunitense e impedire un’ulteriore espansione della Nato verso est. Una logica pressoché analoga si riscontra nella sempre più spiccata propensione del Cremlino a raggiungere compromessi tattici con la Turchia dell’ambiguo e inaffidabile Erdoğan, e ad attingere alla vasta gamma di strumenti di guerra ibrida per intervenire in scenari critici quali quello libico e, soprattutto, siriano. Dove «sul campo i proiettili russi colpiscono i nemici di Assad, ma simbolicamente sono una sorta di “fuoco di interdizione” a un intervento occidentale, per evitare uno scontro diretto tra grandi potenze. In qualche modo, i russi stanno “segnando” il proprio spazio di influenza» nel tentativo di ricavarsi aree strategiche in cui operare per far fronte alla crescente aggressività degli Stati Uniti e della Nato. La cui ostinata renitenza a riconoscere a Mosca qualsiasi legittimità nell’esercizio di influenza nel proprio “estero vicino” ha portato alla formazione di una sorta di “vallo eurasiatico” che, nelle intenzioni di Washington, dovrebbe «interrompere arterie secolari, in grado di assicurare la circolazione di beni materiali, culture, costumi, tradizioni, religioni, dialogo interetnico che si era sviluppata dall’antichità all’età di mezzo, dall’era moderna a quella contemporanea fino ai nostri giorni».
differenza di quella originaria, per di più, la nuova “cortina di ferro” appare strutturalmente votata a produrre frizioni anziché (relativa) stabilità, soprattutto perché priva di una collocazione geografica fissa. Essa non corre più “da Stettino a Trieste”, ma da Murmansk a Sebastopoli, sfiorando la direttrice San Pietroburgo-Rostov. La “linea del fronte” si è quindi spostata 1.200 km più a est, a una distanza dal cuore storico, demografico ed economico della Russia mai così pericolosamente ridotta dai tempi di Ivan in Grande. La presenza della Nato a ridosso dei confini russi priva il Cremlino dello spazio necessario a qualsiasi forma di arretramento, costringendo Mosca a reagire a ogni iniziativa dello schieramento nemico con la durezza e l’imprevedibilità ravvisabili in qualsiasi soggetto che si ritrovi nelle condizioni di dover fronteggiare minacce di tipo esistenziale. Di qui l’inequivocabilità con cui Putin ha indicato nel mantenimento dell’Ucraina in uno stato di neutralità geopolitica e nella permanenza della Bielorussia entro la sfera d’influenza russa – con o senza Lukašenko – le due “linee rosse” di cui non verrà d’ora in poi tollerata in alcun modo la violazione.
Come ha osservato Stephen Cohen, eminente russologo statunitense recentemente scomparso, «l’epicentro politico della “nuova Guerra Fredda” non si trova più nella lontana Berlino, come accadeva nei tardi anni ’40, ma direttamente ai confini della Russia, all’altezza dei Paesi baltici, dell’Ucraina e di un’altra ex repubblica sovietica, la Georgia. Da ciascuno di questi fronti potrebbe scaturire la scintilla in grado di scatenare una guerra […], perché il blocco sovietico che un tempo fungeva da cuscinetto tra la Nato e la Russia non esiste più», grazie all’espansione dell’Alleanza Atlantica verso est avviata nella seconda metà degli anni ’90 per iniziativa di Washington. Un processo che George Kennan, massimo architetto della dottrina del containment, aveva caldamente sconsigliato di innescare già nel 1997; a suo avviso, l’allargamento della Nato avrebbe infatti «infiammato le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militariste in seno all’opinione pubblica russa; prodotto un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa; rigettato le relazioni tra est e ovest nel clima della Guerra Fredda e indirizzato la politica estera di Mosca verso direzioni a noi sfavorevoli».
I decisori di Washington hanno puntualmente ignorato il monito di Kennan, in nome di una hybris imperiale che continua ancora oggi a definire le direttrici strategiche statunitensi nonostante il palese declino politico, economico e sociale che attanaglia il Paese. Lo si evince dall’ostinazione con cui l’apparato dirigenziale Usa si prodiga per impedire che gli equilibri geopolitici mondiali assumano una configurazione multipolare, nell’ambito di una “fatica di Sisifo” intrapresa in base all’illusoria convinzione di poter invertire un processo storico ineluttabile. Anche a costo di spingere il pianeta sull’orlo del disastro.Tratto da facebook

DA MAYERLING A MINSK, di Antonio de Martini

DA MAYERLING A MINSK
La guerra si avvicina.
Alle minacce di “ sanzioni economiche mai viste” fatte dai portavoce dell’occidente circa l’Ucraina, la Russia ha risposto, per bocca del suo capo minacciando brutalmente “sanzioni militari”.
Pensando che l’Ucraina sarebbe stata filo russa per sempre, all’atto dello scioglimento dell’URSS, le conferirono la Crimea e un grande stock di armi nucleari pensando di scaricare dei costi.
Ora paventano l’adesione ucraina alla NATO.
La Russia di Eltsin, all’atto della stesura delle intese con gli USA , diede per assodata l’esistenza sempiterna di una serie di protettivi stati cuscinetto appartenenti all’ex patto di Varsavia e non pretese di mettere nero su bianco.
Succede quando si vuole restare nell’ombra e nei negoziati ci si fa rappresentare da un alcolista.
Gli ex paesi dell’est si stanno, ad uno a uno, facendo incantare dall’idea che aderire alla NATO sia lo stesso che aderire all’Europa e con questo si sono fatti sfuggire la possibilità di creare un blocco di stati neutrali in grado di diventare aghi della bilancia.
Pensavano anche loro che non ci sarebbe più stata una rivalità russo americana da arbitrare.
Per ovviare al grande errore di ingenuità commesso, i russi hanno fatto un colpo di mano in Crimea che ha sorpreso gli USA, provocando una crescente aggressività politico-economica ma non militare ( come deciso da Chamberlain contro la Germania nel 36 in attesa di riarmare).
Gli Stati Europei, troppo poco e troppo tardi, vogliono distinguersi dalla NATO creando in esercito europeo distinto.
I russi pensano , come Hitler con Danzica e Saddam col Kuwait, di aver avuto mano libera e progettano un colpo di mano sull’Ucraina o almeno sul Donetz.
Adesso siamo in balia del menomo errore di valutazione di un elenco sterminato di cretini chiamati “ le cancellerie” che hanno una tradizione centenaria di giudizi errati e esiti terribili.
Nessuno invoca più la “ pace in terra agli uomini di buona volontà “.
Anche il Papa divaga sul sociale e i migranti e monta il presepe senza la scritta tradizionale.
Ken Follet, nel suo ultimo best seller natalizio evoca il caso della guerra mondiale per errori che tradiscono le intenzioni, ma nessuno dice che dal 1914 in poi ogni errore fu provocato e sfruttato con abilità per distruggere un rivale ingombrante.

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome, di Alastair Crooke

Casa

11 dicembre 2021 // Le crisi

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome

L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente, scrive Alastair Crooke

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke
Tradotto dai lettori del sito Les-Crises

© Foto: REUTERS / Kevin Lamarque

Parlando all’Aspen Security Forum due settimane fa, il generale Milley ha ammesso che il secolo americano è finito, una consapevolezza che avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa, si potrebbe dire. Eppure, che sia tardi o meno, questa dichiarazione sembra segnalare un importante cambiamento strategico: “Stiamo entrando in un mondo tripolare, con Stati Uniti, Russia e Cina come grandi potenze. [e] Solo mettendo tre su due aumenta la complessità “, ha detto Milley.

Più recentemente, in un’intervista alla CNN, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Biden, ha affermato che è stato un errore cercare di cambiare la Cina: “L’America non sta cercando di contenere la Cina: non è una nuova guerra fredda. Le osservazioni di Sullivan arrivano una settimana dopo che il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti non stavano cercando un “conflitto fisico” con la Cina, nonostante le crescenti tensioni. “Questa è una competizione”, ha detto Biden.

Questo in effetti sembrava segnalare qualcosa di importante. Ma è davvero così? L’uso della parola “competizione” è una terminologia un po’ strana e richiede un po’ di decrittazione.

L’intervistatore della CNN Fareed Zakaria ha chiesto a Sullivan: cosa è stato ottenuto dalla Cina dopo tutto il tuo duro discorso, cosa è stato negoziato? Si potrebbe immaginare una risposta che descriva come Biden pensa di gestire al meglio questi interessi in competizione in un complesso mondo tripolare. Beh, quella non era la linea di Sullivan. “Brutta domanda”, ha detto senza mezzi termini: non chiedere informazioni sugli accordi bilaterali, chiedi cos’altro abbiamo.

Il modo corretto di guardare a questo, ha detto Sullivan, è: “Abbiamo stabilito i termini per una concorrenza effettiva in cui gli Stati Uniti siano in grado di difendere i propri valori e promuovere i propri interessi, non solo nella regione indo-pacifica, ma anche Intorno al mondo. Quando si tratta dei nostri alleati in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa sono allineati su questioni commerciali e tecnologiche per garantire che la Cina non possa “abusare dei nostri mercati”; e poi sul fronte indo-pacifico, siamo andati avanti in modo da poter ritenere la Cina responsabile delle sue azioni. “

“Vogliamo creare la situazione in cui due grandi potenze opereranno all’interno di un sistema internazionale per il prossimo futuro – e vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori americani: è più di una disposizione favorevole in cui il Gli Stati Uniti e i suoi alleati possono modellare le regole di condotta internazionali sui tipi di questioni che saranno fondamentalmente importanti per il popolo del nostro paese [America] e per i popoli del mondo “, ha affermato. -aggiunge.

L’obiettivo dell’amministrazione Biden non era cercare una trasformazione politica in Cina, ha detto Sullivan, ma modellare l’ordine internazionale in un modo che servisse i suoi interessi e quelli di altre democrazie che la pensano allo stesso modo: “Vogliamo le condizioni per questa coesistenza in il sistema internazionale favorevole agli interessi e ai valori americani. Vogliamo che le regole del gioco riflettano una regione indo-pacifica aperta, equa e libera, un sistema economico internazionale aperto e il rispetto dei valori e degli standard fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nelle istituzioni internazionali, ha dichiarato. . Sarà una competizione mentre andiamo avanti. “

Sullivan propone molto chiaramente un ordine mondiale basato su “regole di condotta internazionali” che si svilupperebbe attorno ad un interesse strategico centrale (quello dell’America), senza preoccuparsi delle conseguenze che potrebbero derivarne per gli altri. Questo “sistema internazionale aperto, equo e libero” è solo uno strumento per la globalizzazione del sistema neoliberista occidentale finanziarizzato. Josh Rogin ha scritto questa settimana: “L’internazionalismo a guida americana, nonostante i suoi difetti e i suoi passi falsi, rimane l’ultima, la migliore speranza per l’umanità. “

E per intenderci, quando sentiamo parlare di un sistema economico aperto e libero favorevole agli interessi americani, non sono gli “interessi del 99%” a essere sanciti nel sistema, ma quelli della classe finanziaria dell’1%. , che pretendono il diritto di spostare denaro e beni ovunque, in qualsiasi momento, senza restrizioni.

Il riferimento di Sullivan ai diritti umani riflette lo “spirito” dell’UE, dove la dottrina dello stato di diritto europeo è servita come dispositivo pratico per estendere l’autorità centrale dell’Unione senza riscrivere i trattati. O, in questo caso simile, che gli Stati Uniti espandano la propria autorità e procedano senza dover concludere accordi bilaterali con la Cina (o la Russia) o chiunque altro. Sullivan è stato molto chiaro su questo punto: gli accordi negoziati con la Cina non erano il “parametro di riferimento” giusto per giudicare il successo della politica statunitense.

Inizialmente, nessuno in Europa si è preoccupato molto quando la Corte europea ha “scoperto” che nei trattati dell’UE era nascosta una supremazia generale dei valori e del diritto dell’UE (sebbene a prima vista non fosse così evidente). Questa tranquilla reazione, tuttavia, è in gran parte dovuta al fatto che la competenza dell’UE era ancora piuttosto limitata all’epoca.

Successivamente, il trasferimento graduale della sovranità nazionale a un interesse strategico centralizzato (Bruxelles) divenne il principale motore di quella che è stata definita “integrazione attraverso il diritto”. Nel tempo, una lettura approfondita dei trattati (per i trattati europei, leggi la “consacrazione” di Sullivan della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ha offerto nuove ragioni per sottoporre le politiche nazionali democratiche a una lettura sovranazionale. “

Allo stesso modo, la Dichiarazione universale dei diritti umani offrirà probabilmente a Sullivan nuove ragioni e possibilità per armare il testo e piegare alleati e “avversari” alla disciplina di interesse strategico centrale (altrimenti nota come Washington).

Quindi, quello che sembrava segnalare un cambiamento significativo nel pensiero americano, dopo un po’ di decrittazione, si è rivelato nulla del genere. La competizione tra le grandi potenze non è altro che l’ordine globale globalista, incentrato sugli Stati Uniti e basato su regole. Gli Stati Uniti si astengono dal “trasformare” (cioè fomentare una rivoluzione colorata) il Partito Comunista Cinese, perché non possono; questo strumento si applica ancora ai piccoli pesci (es. Nicaragua).

Da un lato, abbiamo visto le conseguenze di questo approccio centralizzato alle “regole” – praticato a Bruxelles oa Washington: ne deriva una sorta di torpore soporifero. Tutte le energie sono dedicate a mantenere a galla il fragile sistema (che si tratti delle regole del gioco dell’UE o degli Stati Uniti), piuttosto che trovare soluzioni reali. Si aprono divisioni che politicamente è impossibile contenere; il risentimento aumenta; le crisi sono gestite e non risolte; giochiamo con il tempo; le riforme sono graduali e poi improvvisamente unilaterali; e, alla fine, regna l’immobilità. In Europa si chiama Merkelismo (dal nome del Cancelliere tedesco).

Dopo il tranquillo vertice del G20 a Roma e la COP26 a Glasgow, sembra che stiamo iniziando a vedere la Merkelizzazione del mondo. La sensazione che rimane è quella di un meccanismo (due in realtà se includiamo l’UE), che produce suoni convincenti di macchine ruggenti e che fa sperare in qualche risultato, ma che non porta alla fine a poco o nulla – ad eccezione di un crescente deficit democratico, con il trasferimento a una tecnocrazia sovranazionale di decisioni che prima erano di competenza dei parlamenti.

D’altra parte, per quanto grave sia (date le crisi economiche che affrontiamo), il suo più grande ” peccato ” (come ha detto Sullivan) è la sua richiesta di ” regole ” globali, il cui fondamento è semplicemente “Gli interessi e i valori degli Stati Uniti e dei suoi alleati e partner”. Sullivan sostiene che gli Stati Uniti non cercano più di trasformare il sistema cinese (il che è positivo), ma insiste sul fatto che la Cina operi all’interno di un “ordine” costruito attorno agli interessi e ai valori degli Stati Uniti – in breve[in francese nel testo, ndr]. E come ha sottolineato Sullivan, lo sforzo diplomatico americano deve mirare a costringere la Cina a conformarsi a questo sistema. Da nessuna parte si parla dei costi per gli alleati, che dovrebbero rinunciare ai rapporti con la Cina o la Russia, per compiacere Biden.

Il peccato più grande , molto semplicemente, è che il tempo di queste ambizioni arroganti sia passato. L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente. Cina e Russia – le altre due componenti del mondo tripartito del generale Milley – lo hanno detto abbastanza chiaramente: rifiutano le lezioni dell’Occidente.

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke, 15-11-2021

UE, Italia, Francia, Germania! Il triangolo imperfetto_di Giuseppe Germinario

Grande emozione e tanta enfasi tra i protagonisti della firma del trattato del Quirinale. Peccato che a così grandi aspettative ostentate non sia corrisposta una corrispondente ed adeguata attenzione nella stampa italiana, relegata ben addentro alle pagine interne, alle spalle della scontata sequela su green pass e coronavirus; sorprendentemente almeno un qualche minimo accenno nella stampa transalpina. Un oscuramento che stigmatizza intanto un aspetto: la credibilità di Draghi, evidentemente, non coincide e non ha un effetto di trascinamento significativo su quella dell’Italia; il destino e le fortune politiche di uno sono evidentemente separati da quelli dall’altra. Il dubbio che il segno politico concreto dell’iniziativa si discosti pesantemente dall’immagine e dalla narrazione che si è voluto offrire si insinua nelle menti meno coinvolte dalla propaganda; tutto questo a cominciare dalla forma stessa adottata prima ancora di entrare ad esaminare i contenuti. Il valzer iniziato con il trattato bilaterale di Aquisgrana tra Francia e Germania nel 2019 e proseguito con quello odierno sottoscritto da Francia e Italia richiama l’immagine di un triangolo incompiuto.

Per essere un direttorio autorevole armato della volontà di imprimere una svolta al processo di costruzione della Unione Europea nella forma avrebbe dovuto concludersi con un accordo trilaterale o quantomeno con un ulteriore bilaterale tra Italia e Germania dai contenuti del tutto corrispondenti a quello di Aquisgrana; per essere un sodalizio latino-mediterraneo credibile in grado di sostenere il confronto con le altre due aree geopolitiche costitutive della UE avrebbe dovuto comprendere almeno la Spagna, per quanto ancora essa dibattuta storicamente tra Francia e Germania.

Nel primo caso la coerenza avrebbe richiesto tutt’al più un accordo tra capi di governo tale da definire le condotte nel Consiglio Europeo e in sede di Commissione Europea, quindi nelle sedi preposte; nel secondo avrebbe sancito definitivamente anche nella forma l’Unione Europea come il terreno di confronto e cooperazione tra stati nazionali raggruppati in sfere di influenza e di interessi più omogenei.

La scelta più o meno consapevole di adottare la forma così impegnativa e costrittiva del trattato tra stati sotto le spoglie del lirismo europeista avulso e nemico degli stati nazionali non fa che accentuare i limiti, i vincoli e le ambiguità della costruzione europea tali da rimuovere piuttosto che porre chiaramente sul terreno e possibilmente risolvere i problemi e i conflitti latenti, sino a renderli progressivamente dirompenti; con il risultato finale di rivelare finalmente nella NATO più che nella UE il reale fattore, per altro esogeno, di relativa coesione politica di gran parte del continente. In mancanza saranno i trattati stessi ad essere progressivamente svuotati di contenuti o dimenticati.

I rapporti di cooperazione rafforzata, pur nella loro ambiguità, sono qualcosa di diverso e di poco compatibile con la forma del trattato, checché ne dicano gli estensori di quest’ultimo, in quanto riconoscono implicitamente la trasversalità interna agli stati del confronto politico ed esplicitamente la loro coerenza e subordinazione agli indirizzi della Commissione Europea. I due trattati, in particolare quello più esteso e specifico tra Italia e Francia, di fatto formalizzano ed irrigidiscono il confronto tra stati all’esterno del circuito istituzionale.

Dubbi e riserve che non sono affatto attenuati dall’esame del merito delle clausole, pur avendo queste ultime più la forma di una dichiarazione di intenti che di impegni cogenti in entrambi i trattati, ma maggiormente in quello franco-tedesco.

Quest’ultimo deve pagare certamente pegno alla funzione di apripista, ma può permettersi di indugiare maggiormente nella retorica europeista grazie al ruolo di leadership locale dei due paesi.

Essendo carenti di aspetti cogenti e piuttosto pleonastici nella stesura, non rimane che individuare nell’enfasi attribuita ai singoli aspetti le diversità, le affinità e soprattutto le intenzioni riposte in questi due atti in attesa di conoscere i protocolli aggiuntivi, sempre che siano resi disponibili.

In quello di Aquisgrana prevale nettamente l’enfasi sul ruolo del sodalizio franco-tedesco nell’agone mondiale, con la ciliegina della richiesta velleitaria di un seggio alemanno all’ONU; nell’esplicita richiesta di coinvolgimento delle Germania nell’area subsahariana con un effetto solo secondario di trascinamento della UE.

Riguardo al contesto europeo la postura generale franco-tedesca è quella di due paesi impegnati a determinare genericamente gli indirizzi e l’organizzazione della Unione Europea; quella del trattato quirinalizio è piuttosto di due paesi impegnati ad adeguarsi all’indirizzo, specie giuridico, della Comunità, per quanto si possa parlare di indirizzo giuridico coerente di essa.

L’unico afflato europeista decisamente retorico presente in quello di Aquisgrana viene riservato alla collaborazione ed integrazione persino giuridica delle aree transfrontaliere, in particolare dei distretti; un vecchio cavallo di battaglia della retorica europeista non a caso più incisivo e pernicioso nei confronti dell’organizzazione statale francese che di quella teutonica.

Un ambito curato anche in quello italo-francese ma senza enfasi ed articolato in ambiti più definiti tra i due stati.

Un altro ambito comune trattato nei due accordi riguarda la forza e il complesso industriale militare.

In quello franco-germanico il tono è più generico ed enfatico; nell’altro è più scontato e precisato.

La ragione del primo risiede sicuramente nei trascorsi storici particolarmente drammatici tra i due paesi, come pure nella loro collocazione, con la Francia dibattuta in tre scenari geografici, dei quali uno prettamente terraneo dal quale sono arrivati i guai peggiori. Sono però il presente e le prospettive future a dettare le scelte. Al destino manifesto di duratura concordia verso una meta ed una casa comune annunciato nel patto corrisponde un percorso a dir poco contraddittorio se non controcorrente. A fronte di un paio di progetti industriali integrati in stato di avanzamento corrisponde lo stallo totale in materia di controllo e gestione dell’armamento strategico nucleare, di gestione delle comunicazioni, di indirizzo e addestramento comune delle due forze militari e di sviluppo di una logistica comune. Poca cosa rispetto a progetti più importanti (Gaia, il nuovo caccia europeo, semiconduttori, ect) in colpevole ritardo, ancora ai prodromi, con un divario terribile da colmare; troppo presto per distinguere il fumo dall’arrosto, la velleità dalla volontà. Il paradosso maggiore risiede in una Germania che di fatto predilige il coordinamento e l’integrazione militare con paesi come l’Olanda, la Repubblica Ceca e la Danimarca e di un corpo militare francese assai poco disposto a condividere i propri asset strategici, specie nel nucleare, nella missilistica e in aviazione, per quanto fragili e malconci, con un paese quasi del tutto privo di conoscenze in quei settori.

Dal lato italico il quadro generale della cooperazione ed integrazione militare appare almeno in apparenza molto più scontato con la parte francese che dimostra di avere le idee molto chiare e gli italiani a giocare di rimessa e limitare i danni quando non arriva a infliggersi la zappa sui piedi. La tradizione tutta italica di adesione a qualsivoglia avventura militare occidentale in giro per il mondo e di delega agli organismi internazionali delle decisioni non fanno che alimentare queste altrui aspettative. Lo si nota già nelle facilitazioni previste alla mobilità delle truppe molto più fruttuose per la Francia, visti i suoi interessi nel Mediterraneo, che per l’Italia, assente nello scenario Atlantico e renano. La decisione, improvvida quantomeno nei tempi, di affidare integralmente all’ESA (Agenzia Spaziale Europea) la gestione dei propri fondi del settore spaziale, presa dal quel campione dell’interesse nazionale del Ministro Colao, nonché l’esito nefasto del tentativo di controllo dei cantieri navali francesi STX da parte di Fincantieri, non fa che confortare ulteriormente questa impressione di subordinazione ed ignavia ormai ben sedimentata.

Non a caso l’intervento comune in questi ambiti sia specificato molto meglio nel trattato franco-italiano.

I due anni trascorsi tra un trattato e l’altro hanno con ogni evidenza modificato notevolmente il contesto che ha portato alla loro stesura.

Allora si trattava di contrapporre un polo europeista a guida franco-tedesca all’anomalia della politica estera trumpiana, all’insorgere dell’ondata “sovranista” in Italia, in Ungheria e alla Brexit.

Oggi si tratta di riportare nell’alveo dell’eterno confronto-scontro della competizione franco-tedesca la progressiva formazione di almeno tre aree culturali e di cooperazione distinte di stati europei. In queste sono comprese quella costitutiva dell’Europa Orientale e dei paesi sede di paradisi fiscali (Irlanda, Austria, Olanda) controllata con sempre maggiore difficoltà dalla Germania; l’altra latino-mediterranea, potenzialmente dirompente, ma tutta da inventare, comprensiva almeno di Italia, Spagna e Francia.

Una prima lettura dell’accordo italo-francese potrebbe indurre a coltivare l’illusione di un’area così strategica.

La diversa qualità del ceto politico, delle classi dirigenti e degli assetti istituzionali dei due paesi e il pesante ed evidente squilibrio tra questi dovrebbero ricondurci a considerazioni più prosaiche e prudenti.

Se a questo si aggiunge il sostegno entusiastico espresso dall’amministrazione Biden, parecchi altri dubbi dovrebbero dissolversi sulla reale natura dell’accordo. Un paese che non riesce e la sua corrispondente amministrazione che, a differenza di Trump, probabilmente nemmeno intende districare il groviglio di interessi economici che la avviluppano alla Cina, principale avversario-nemico strategico, con il suo appoggio all’accordo intende paradossalmente, ma non troppo, non tanto inibire tentazioni autonome pressoché velleitarie della classe dirigente tedesca dalla leadership americana a favore delle relazione con cinesi e russi, quanto di farle capire e ricordare che gli indirizzi e gli impulsi geoeconomici relativamente autonomi devono ormai sempre più essere ricondotti e sottomessi alle dinamiche geopolitiche di un contespo multipolare.

Il trattato di Aquisgrana ha seguito infatti metodi e significati opposti rispetto a quello dell’Eliseo del 1963 allorquando fu snaturato nel significato solo dal repentino voltafaccia tedesco sotto pesante pressione americana e vide l’esclusione dell’Italia, per il suo eccessivo e cieco filoatlantismo.

IL RAPPORTO TRA ITALIA E FRANCIA

Il giudizio sul “trattato del Quirinale” non può differire di molto dal suo equivalente di due anni fa.

Vi è un punto in realtà realmente qualificante per i due paesi e disconosciuto nei commenti: l’attenzione riservata al settore agricolo. Sia l’Italia che la Francia fondano gran parte del proprio investimento in agricoltura sul prodotto tipico con un relativo ridimensionamento da parte francese, anche per ragioni di ambientalismo liturgico, di alcune produzioni intensive di allevamento e vegetali su vasti territori e con una significativa riduzione negli ultimi tempi dei contributi finanziari europei elargiti di fatto a compensazione del sostegno finanziario francese alla Unione Europea. Un aspetto che mette in concorrenza tra loro le economie agricole dei due paesi, ma che li spinge a fare fronte comune contro la Commissione Europea tutta impegnata a penalizzare questo tipo di coltivazione.

Paradossalmente, quindi, più un fattore di polarizzazione all’interno della UE che di coesione.

Per il resto la sospensione di giudizio sul trattato pende purtroppo a sfavore di un rapporto più equilibrato tra i due paesi.

La Francia infatti dispone ancora a differenza dell’Italia:

  • di una organizzazione statale, pur insidiata dal regionalismo europeista, ancora sufficientemente centralizzata, con la presenza di una classe dirigente e dirigenziale compresa quella militare, preparata e in buona parte diffidente se non ostile all’attuale presidenza, tale da consentire la definizione e il perseguimento di una strategia; quella italiana in antitesi è frammentata e ridondante nelle competenze in modo tale da consentire flessibilità e capacità di adattamento passivo e reazione surrettizia;

  • di una grande industria strategica, pubblica e privata, anche se fragilizzata, specie nell’aspetto finanziario, da alcune scelte imprenditoriali e tecnologiche sbagliate; l’Italia, dal canto suo, continua a vivere e ad emergere in qualche maniera grazie alla presenza prevalente della piccola e media industria in gran parte però dipendente produttivamente da circuiti produttivi e imprenditoriali stranieri;

  • di un sistema universitario riorganizzato in sei grandi poli in grado di offrire nuovamente, rispetto a questi ultimi anni, una buona formazione e specializzazione tecnico-scientifica. Il numero e la qualità di ingegneri e ricercatori ha infatti ricominciato a risalire;

  • di un sistema finanziario e bancario più centralizzato e indipendente reso possibile dalla presenza della grande industria, da una gestione coordinata delle risorse finanziarie ricavate dalle attività agricole e dalla rendita monetaria garantita dalla gestione dell’area africana francofona; un vantaggio che le ha consentito di codeterminare, assieme alla Germania, anche se in posizione subordinata, le regole europee di regolazione del sistema bancario e finanziario con la supervisione statunitense;

  • di un sistema di piccole e medie imprese, al contrario il quale, a differenza di quello italiano, sta rasentando l’irrilevanza e trascinando il paese verso un cronico deficit commerciale e dei pagamenti, sempre meno compensato dalla fornitura di servizi evoluti e che costringe sempre più il paese ad assorbire la propria rendita finanziaria e a dipendere ulteriormente dai dictat tedeschi e dalle scorribande e acquisizioni americane. Con un peso dell’industria che non arriva nemmeno al 18% del prodotto francese, non a caso la stampa transalpina batte ormai da anni sul problema della reindustrializzazione del paese come fattore di coesione sociale, di riduzione degli enormi squilibri territoriali e di acquisizione di potenza. Un elemento che dovrebbe mettere sotto altra luce il lirismo professato a piene mani nel trattato sui propositi di collaborazione, integrazione e scambio imprenditoriali in questo ambito. Qualcosa di particolarmente evidente assurto agli onori della cronaca nel settore automobilistico in un rapporto di gran lunga peggiorativo rispetto a quello detenuto dalla componentistica italiana rispetto all’industria tedesca.

Una situazione non irreversibile a patto di avere una classe dirigente e un ceto politico non genuflesso e capace.

Per concludere giudicare l’accordo franco-italiano soprattutto dal punto di vista propagandistico e dal vantaggio di immagine offerto a Macron in vista delle prossime elezioni presidenziali risulta troppo limitativo se non proprio fuorviante. Tant’è, come già sottolineato, che la stampa francese lo ha del tutto ignorato, quella italiana lo ha glissato e relegato, per altro per breve termine, nelle pagine interne.

Il peso politico di questo accordo rischia di essere molto più soffocante per l’Italia, soprattutto per la qualità della nostra classe dirigente che prescinde dalla validità di numerosi suoi esponenti spesso relegati in funzioni periferiche e di second’ordine, ma anche purtroppo del nostro ceto politico nella sua quasi totalità.

Una ulteriore cartina di tornasole della direzione, oltre alla già citata decisione nel settore aerospaziale a favore dell’ESA presa da Colao & C., sarà l’esito de:

  • la vicenda TIM dove si prospetta il pericolo di una divisione dei compiti tra la gestione americana della rete strategica e quella francese del sistema multimediale italiani con la eventuale compartecipazione, bontà loro, italiana

  • la vicenda OTO-Melara con la possibile cessione ad un gruppo industriale del complesso militare franco-tedesco.

Chissà se questa volta sarà sufficiente per la nostra sopravvivenza la capacità tutta italica di adeguamento passivo e di atteggiamento erosivo così brillantemente esposto da Antonio de Martini. In mancanza non resterà che sperare nel “buon cuore” statunitense, possibilmente preoccupato di un dominio franco-tedesco che potrebbe indurre dalla condizione di dipendenza privilegiata a giungere realmente ad una forma di qualche indipendenza politico-economica dall’egemone americano e di rivalsa rispetto al tradimento britannico della Brexit. Nel caso ancora più nefasto, il placet americano così entusiasta al trattato del “Quirinale” potrebbe essere il segnale di via libera ad una aggregazione dell’Italia nel tentativo di mantenere una parvenza di influenza della Francia nell’Africa francofona; soprattutto di uno spolpamento definitivo del Bel Paese, anche come compensazione dell’affronto subito dalla Francia ad opera di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia sulla faccenda dei sommergibili e sulla sua silenziosa esclusione di fatto dal quadrante strategico del Pacifico, pur essendo lì presente con qualche residuo coloniale. A meno di un tracollo di Macron e della macronite. Solo a quel punto il giochino a fasi alterne, tra i tanti passi quello di affidare la maggior parte dei comandi militari nella periferia della NATO alla forza militare più limitata ed infiltrata, la Germania e al potenziale ribelle qualche pacca e qualche osso, potrà richiedere qualche nuova variante.

NB_Qui sotto il testo dei due trattati oggetto dell’articolo

aquisgrana 2019

TRATTATO DEL QUIRINALE ITA FRANCIA

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