atto estremo, di Alessandro Visalli

David Goldman, in Asiatimes.com, ricostruisce il dialogo tra Xi Jimping, Macron e Scholz come l’avvio di una iniziativa diplomatica senza precedenti. Una vera e propria “rivoluzione diplomatica”. Effetto di circostanze particolarissime, nelle quali l’eccessiva proiezione americana e la reazione, parimenti eccessiva, russa hanno lasciato il mondo in quello che chiama un “vuoto diplomatico”. Gli Usa hanno cercato di accerchiare la Russia, inducendo l’Ucraina ad abbandonare il quadro di Minsk II, la Francia e la Germania non sono state in grado di smarcarsi dai ditkat americani e questi errori combinati aprono lo spazio, sostiene l’autore, per una mediazione cinese che è stata richiesta anche dalla stessa Ucraina il 1 marzo. Il paese asiatico è nella posizione ideale perché non compromesso e perché ha ottimi rapporti con entrambi i paesi belligeranti.
Quello che gli Usa non hanno più, dopo la fornitura di armi, l’intransigenza a chiudere ogni compromesso prima della guerra e, forse soprattutto, l’uso della “bomba nucleare finanziaria” di cui parliamo dopo.
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Anche la recentissima decisione di non acquistare più idrocarburi (misura rifiutata dall’Europa), che ha portato oggi ad un aumento dell’8% del prezzo al barile, crea distanza tra le parti.
Citando il sito guancha.cn l’autore riporta le proposte di Xi per il sostegno a Francia e Germania per la creazione di un quadro di sicurezza europeo che sia equilibrato, efficace e sostenibile. Partendo da un compromesso che si richiami al quadro di Minsk II nel quale l’Ucraina abbandoni la domanda di adesione alla Nato, l’indipendenza (anche non totale) delle regioni di confine e la cessione della Crimea in cambio di impegni sostanziali alla ricostruzione da parte di Ue e Cina, il ritiro delle sanzioni alla Russia.
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Uno schema simile segnerebbe la piena sconfitta della strategia Usa e lo smarcamento della Ue dal dominus oltreoceano.
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Dominus che potrebbe aver compiuto un errore strategico di primissima grandezza, secondo William Pesek nella stessa testata, spendendo una arma da fine del mondo finanziario che ha una sola cartuccia. Tutti i paesi del mondo, a partire dalla lezioni delle crisi finanziarie della fine degli anni ottanta e dei primi novanta, si dotarono di ingenti riserve finanziarie e favorirono gli investimenti all’estero come assicurazione verso il rischio di crisi di fiducia. Ma, a ben vedere, questa strategia parte da una premessa nascosta: che le riserve non siano congelabili e restino disponibili in caso di urgente bisogno.
Congelando circa la metà (la parte non detenuta in oro e altri beni reali) dei 630 miliardi di dollari delle riserve russe, e i patrimoni dei suoi miliardari all’estero, l’amministrazione americana ha inferto un colpo molto duro alla Russia. Ma ha anche disintegrato, in mondovisione, la fiducia nel carattere liquido ed esigibile delle riserve sovrane.
Dylan Grice di Calderwood Capital ha dichiarato in proposito di non aver mai visto armi finanziarie di questa portata. Una “arma finale” che si può usare una sola volta. Questa mossa segna, semplicemente, la fine dell’egemonia del dollaro e l’inizio di un nuovo mondo.
La ragione è semplice, se anche avere ben un terzo del Pil in riserve può essere messo fuori gioco con un clic, allora tutti ne trarranno la conclusione che quello internazionale “non è reale denaro”. Cina e Giappone, che hanno enormi riserve di debito del Tesoro Usa, denominato in dollari, solo la prima oltre 1.100 miliardi, ora sanno che possono essere rese inconvertibili con una semplice decisione sovrana al momento del bisogno. Cercheranno nuove risorse di riserva (probabilmente “reali”) e di ridurre l’interconnessione tra riserve, conti presso le Banche Centrali e sistema finanziario in generale. Come afferma il professore della Cornell University Eswar Prasad, quando la polvere si depositerà la Cina, la Russia e tutti gli altri si libereranno del dominio del dollaro, o ci proveranno. Certo, ci vorrà tempo e non sarà facile. La ricerca di “porti sicuri” sarà lunga e difficile, criptovalute (altrettanto vulnerabili e pericolose), oro (insufficiente), commodities, …
Una sola cosa sembra certa a tutti: il sistema finanziario del dopoguerra sarà diverso. E con esso il mondo.

Due posizioni dei centri decisori e una analisi di esperti americani_a cura di Giuseppe Germinario

Pubblichiamo questo scritto per presentare quattro importanti documenti che rivelano l’esistenza negli Stati Uniti di un dibattito aperto ed esplicito sulle diverse opzioni e strategie, di fatto in netto contrasto tra di esse, che dovrebbero informare la politica estera americana, specie nei confronti dei due principali competitori geopolitici: la Russia e la Cina. A differenza di quanto avviene in Europa, colpisce la trasparenza del dibattito in corso, alimentato dalla presenza di una vasta opinione pubblica e di un radicato movimento politico a sostegno di ciascuna delle tesi. Tesi che, comunque, non ostante la presenza di componenti iperoltranziste, le quali nel peggiore dei casi , comunque, come rivelato dai due articoli di Defense One, propugnano un atteggiamento più “attivo” certamente, ma che tengano in considerazione ed accettino, almeno momentaneamente, le posizioni acquisite da Putin sul terreno. Niente del genere in Europa, con una classe dirigente comunitaria e degli stati nazionali pressoché del tutto allineata alle posizioni più oltranziste e cieche.  Segno che le loro ragioni di esistenza e sopravvivenza dipendono soprattutto dai loro legami di dipendenza e dall’assenza congenita di una qualsiasi organica capacità autonoma di movimento. 

Il primo documento, pubblicato qui sotto, è importante certamente per la radicalità del suo contenuto, ma soprattutto per la qualità dei sottoscrittori. Tutti direttamente implicati delle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa; espressioni di settori e centri decisori potentissimi, di apparati la cui inerzia è in grado di forzare pesantemente le linee di condotta della gestione dell’amministrazione centrale americana. La vicenda della possibile cessione dei Mig29 polacchi all’Ucraina, per interposizione della NATO, è particolarmente illuminante. Non è solo il segnale di una cautela dei polacchi rispetto all’avventurismo statunitense; è il segno della capacità di azione di questi centri nell’orchestrare provocazioni e determinare le linee di condotta. E’ chiaro che il contrasto proviene da interessi anche personali ben radicati, ma anche da due punti di vista ben radicati nell’amministrazione americana; una ritiene la condotta russa fondata su un bluff, le cui carte andrebbero scoperte; l’altra la ritiene una condotta irreversibile da affrontare diplomaticamente senza rischiare ulteriormente un disastroso confronto militare generalizzato. Molto dipenderà dalla saldezza e dalla coerenza della leadership russa e dalla solidità del sodalizio sino-russo; altrettanto dipenderà dal sorgere quantomeno di un movimento di opinione europeo contrario a questo oltranzismo da avanspettacolo offerto dalle classi dirigenti europee. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Lettera aperta per la No-Fly Zone limitata.

Esprime una posizione interna alla dirigenza americana secondo la quale i russi stanno bluffando e non sono disposti ad arrivare sino ad un conflitto diretto con la NATO. Bisogna, quindi, andare a vedere il loro bluff e provocarli con una “no-fly zone”. I russi cederanno

Noi sottoscritti esortiamo l’amministrazione Biden, insieme agli alleati della NATO, a imporre una No-Fly Zone limitata sull’Ucraina a partire dalla protezione per gli aiuti umanitari corridoi concordati nei colloqui tra funzionari russi e ucraini giovedi. I leader della NATO dovrebbero comunicare ai funzionari russi che non cercano direttamente il confronto con le forze russe, ma devono anche chiarire che non tollereranno gli attacchi russi su aree civili.
La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ha causato enormi devastazioni e perdite di vita per gli ucraini. La sua guerra di aggressione premeditata, non provocata e ingiustificata ha creato la più grande crisi nel continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante gli sforzi davvero eroici dei soldati ucraini e dei cittadini medi per resistere al
saccheggio delle forze russe, l’esercito di Putin è pronto per ulteriori attacchi alle principali città, compresa la capitale Kiev. Mirare a edifici residenziali, ospedali e governo complessi, così come le centrali nucleari, le forze russe saranno responsabili di un bilancio delle vittime ancora più alto.
La comunità internazionale ha risposto rapidamente attraverso una serie senza precedenti di sanzioni e un aumento significativo dell’assistenza militare letale per aiutare l’Ucraina a difendersi. Ma è necessario fare di più per prevenire vittime e potenziali vittime su larga scala e un bagno di sangue.
Il presidente Biden e il segretario generale della NATO Stoltenberg hanno affermato che né gli Stati Uniti né la NATO ingaggeranno le forze russe sul terreno in Ucraina. Cosa noi
cerchiamo è il dispiegamento di aerei americani e della NATO non in cerca di confronto
con la Russia ma per scongiurare e scoraggiare i bombardamenti russi che si tradurrebbero in massicce perdite di vite ucraine. Questo si aggiunge alla richiesta dei leader ucraini per A-10 e MIG-29 per aiutare gli ucraini a difendersi, cosa che anche noi fortemente sosteniamo.
Già più di un milione di ucraini sono fuggiti dal loro paese per sfuggire alla brutalità scatenata da Putin. Le stime suggeriscono che quel numero potrebbe raggiungere i 5 milioni, più del 10 per cento della popolazione. Diverse migliaia di ucraini sono già morti
L’ultima aggressione di Putin, in aggiunta agli oltre 14.000 uccisi dopo la prima invasione di Putin dell’Ucraina a partire dal 2014. L’Ucraina sta affrontando un grave disastro umanitario; gli effetti si fanno sentire in tutto il continente europeo e oltre.
Il ritornello “mai più” è emerso sulla scia dell’Olocausto, e gli ucraini lo sono chiedendosi se tale impegno si applica a loro. È tempo per gli Stati Uniti e la NATO di intensificare il proprio aiuto agli ucraini prima che altri civili innocenti ne cadano vittime.
La follia omicida di Putin. Gli ucraini stanno difendendo coraggiosamente il loro paese e
loro libertà, ma hanno bisogno di più aiuto da parte della comunità internazionale. Stati Uniti- La NATO devono imporre la No-Fly Zone per proteggere i corridoi umanitari e militari aggiuntivi i mezzi per l’autodifesa ucraina sono disperatamente necessari e necessari ora.
(Nota: le affiliazioni sono solo a scopo identificativo; gli individui firmano per loro responsabilità personale.)

1. Anders Aslund, Senior Fellow, Stockholm Free World Forum
2. Stephen Blank, Senior Fellow/Foreign Policy Research Institute
3. Gen. (Ret.) Philip Breedlove, Former Supreme Allied Commander Europe
4. Paula Dobriansky, Former Under Secretary of State for Global Affairs
5. Eric S. Edelman, Former Under Secretary of Defense
6. Evelyn Farkas, Former Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia,
Ukraine, Eurasia
7. Daniel Fried, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Poland
8. Andrew J. Futey, President, Ukrainian Congress Committee of America
9. Melinda Haring, Deputy Director, Atlantic Council Eurasia Center
10. John Herbst, Former U.S. Ambassador to Ukraine
11. LtG (Ret.) Ben Hodges, Former Commanding General, United States Army
Europe
12. Glen Howard, President, Jamestown Foundation
13. Donald Jensen, Johns Hopkins University
14. Ian Kelly, Former U.S. Ambassador to Georgia and OSCE
15. John Kornblum, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Germany
16. Shelby Magid, Associate Director, Atlantic Council Eurasia Center
17. Robert McConnell, Co-Founder, U.S.-Ukraine Foundation
18. Claire Sechler Merkel, Senior Director, McCain Institute for International
Leadership
19. David A. Merkel, Former Deputy Assistant Secretary of State and
Director, National Security Council
20.Barry Pavel, Senior Vice President and Director, Atlantic Council Scowcroft
Center for Strategy and Security
21. Herman Pirchner, President, American Foreign Policy Council
22. Michael Sawkiw, Jr., Director, Ukrainian National Information Service
23. Leah Scheunemann, Deputy Director, Atlantic Council Transatlantic Security
Initiative
24. Benjamin L. Schmitt, Former European Energy Security Advisor, U.S.
Department of State
25. William Taylor, Former U.S. Ambassador to Ukraine
26. Alexander Vershbow, Former U.S. Ambassador to Russia and NATO
4. Ian Brzezinski, Former Deputy Assistant Secretary of Defense
5. Orest Deychakiwsky, Former Policy Adviser, U.S. Helsinki Commission
6. Larry Diamond, Senior Fellow, Hoover Institution and Freeman Spogli
Institute for International Studies, Stanford University

27. Kurt Volker, Former U.S. Ambassador to NATO and Special Representative for
Ukraine Negotiations

https://www.politico.com/f/?id=0000017f-6668-ddc5-a17f-f66d48630000&nname=playbook&nid=0000014f-1646-d88f-a1cf-5f46b7bd0000&nrid=0000015d-a357-df20-adff-b3ff37130000&nlid=630318&fbclid=IwAR1lVN3VlvDwG5uDkvkRizkO_Aao0Kvuh2CzegNZCJ3VpiuuaicCJLTPLmg

Qui sotto invece un dibattito tra quattro importanti accademici, analisti e personaggi politici che manifestano tutt’altre posizioni, ben presenti, sia pure in posizione minoritaria, nei centri decisori americani e ben recepiti da una parte sempre più larga di opinione pubblica ed di elettorato. Per chi non avesse particolare dimestichezza con l’inglese è possibile digitare il comando dei sottotitoli. La posizione analizza lo sviluppo della crisi, ne attribuisce la responsabilità agli Stati Uniti e argomenta perché i russi andranno sino in fondo nella difesa di questo interesse per loro vitale.

GUARDA: Mearsheimer e McGovern sull’Ucraina

Il Prof. John Mearsheimer e l’ex specialista della CIA Russia Ray McGovern discutono del conflitto ucraino e della politica degli Stati Uniti nei confronti di Mosca, presentati dal Comitato per la Repubblica a Washington.

 

Qui sotto ancora due articoli della rivista Defense One, prossima agli ambienti militari che traccia le possibili modalità di intervento diretto in Ucraina delle forze della NATO. Questa è un’ulteriore linea interna alla dirigenza americana che non vuole correre il rischio di un confronto diretto della NATO con la Russia; vuole, però, interporre una forza ONU a guida Usa nel conflitto per ottenere il massimo e concedere il minimo nella trattativa tra Russia ed Ucraina.

Metti gli stivali americani in Ucraina per difendere una zona di sicurezza approvata dalle Nazioni Unite

Ha funzionato in Siria.

Il discorso del presidente Biden sullo stato dell’Unione, che ha chiesto al resto del mondo di uscire più forte della Russia dalla crisi ucraina, coglie bene una vera strategia americana. L’esito della crisi rimane sconosciuto, ma l’ordine di sicurezza collettiva internazionale basato su regole, sotto la guida americana, ha finora risposto abbastanza bene. Eppure, lo straordinario isolamento economico e diplomatico di Mosca, e il rafforzamentodelle difese orientali della NATO, non può garantire che la Russia alla fine non invaderà l’Ucraina e creerà, con milioni di rifugiati ucraini, un’enorme crisi finanziaria per gli Stati Uniti e gli stati europei. Quasi sicuramente gli ucraini organizzeranno un’insurrezione, ma mentre ciò farà aumentare i costi di Mosca, è improbabile che costringa la Russia a ritirarsi presto.

Così anche una Russia indebolita dall’azione internazionale e dall’insurrezione potrebbe ancora essere la vincitrice, se l’ordine internazionale emergesse da questa crisi ancora più debole geograficamente, economicamente e psicologicamente. Il compito uno per quell’ordine internazionale è quindi garantire che ciò non accada, e ciò richiederà più azioni con maggiori rischi e costi. Una di queste azioni che è stata sollevata , anche dal presidente Zelenskyy, è una no-fly zone sul territorio ucraino. Questo è stato rapidamente abbattuto per molte buone ragioni . Ma il germe dell’idea ha merito, se affrontato diversamente. Qui il conflitto in Siria può essere istruttivo, in particolare, l’efficacia delle zone di sicurezza, per ridurre il conflitto, consentire l’assistenza umanitaria e, infine, produrre cessate il fuoco.

Una zona sicura umanitaria

Il governo ucraino dovrebbe essere incoraggiato a fare appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché approvi una risoluzione ai sensi del capitolo VI , che istituisca una zona di sicurezza umanitaria con un regime di cessate il fuoco nei territori ucraini confinanti con i suoi vicini occidentali. (Una risoluzione ai sensi del Capitolo VII , che consentirebbe l’applicazione legale con le truppe sotto il controllo delle Nazioni Unite, sarebbe migliore ma senza dubbio impossibile.) Un modello di questo tipo di dispiegamento di peacekeeper alle frontiere è la risoluzione 1701 , che pose fine all’incursione israeliana in Libano nel 2006.

Ci si può aspettare che la Russia ponga il veto a tale risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sulla quale l’amministrazione e gli alleati dovrebbero tentare il suo passaggio all’Assemblea Generale, come si è visto con la Risoluzione Uniting for Peace , che autorizzò l’intervento del 1950 in Corea. La scorsa settimana, una risoluzione simile dell’Assemblea Generale che condanna la Russia in Ucraina ha ottenuto la stragrande maggioranza .

Tale zona consentirebbe al governo ucraino e alle organizzazioni non governative, in collaborazione con la comunità internazionale, di allestire campi per gli sfollati interni in fuga dai combattimenti senza lasciare l’Ucraina, riducendo drasticamente i costi di sostegno e reinsediamento dei rifugiati nei paesi terzi. La posizione e la profondità della Zona dipenderebbero dalla posizione delle forze russe al momento della sua istituzione, nonché da vari fattori economici, etnici, di trasporto e geografici e dalla posizione dei paesi vicini alla Zona. Ma dovrebbe includere almeno la città strategica di Leopoli.

Il governo ucraino dovrebbe rinunciare alle operazioni militari lanciate dalla zona, ma in caso contrario la sovranità ucraina e le normali operazioni del governo continuerebbero nella zona. Una zona consentirebbe al governo ucraino in extremis di trasferirsi verso ovest sul proprio territorio piuttosto che fuggire all’estero. Ciò è fondamentale per qualsiasi tipo di “vincere” di compromesso per l’Ucraina poiché eviterebbe, se in esilio, di competere con un regime fantoccio di Mosca con una presenza nel paese. E per essere chiari, l’obiettivo finale non è una groppa di Ucraina, ma il ritorno del legittimo controllo del governo ucraino su tutto il paese.

Un ruolo militare statunitense

Quali paesi risponderanno all’appello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di inviare truppe per monitorare i confini della Zona e difenderla in caso di attacco? (Date le paure russe, la NATO come istituzione deve starne fuori.) La nostra esperienza con i conflitti passati indica che i governi schiereranno forze solo se lo stesso Consiglio di sicurezza avrà approvato una risoluzione (di nuovo, improbabile a causa del veto della Russia), o se il Gli Stati Uniti inviano le proprie truppe. Affinché questa idea abbia successo, quindi, il Presidente dovrebbe invertire, in misura limitata, la sua posizione ” no US boots-in-Ucraina “, ma per buone ragioni.

L’impegno sarebbe limitato e non sfiderebbe direttamente le forze russe. Per rassicurare i russi di nessun intento offensivo, le forze americane e altre forze esterne sarebbero limitate nel numero e nelle armi. Gli Stati Uniti potrebbero fornire monitoraggio aereo “oltre l’orizzonte” e rinforzi a terra per scoraggiare o rispondere agli attacchi contro queste forze. Nessun conflitto sarebbe iniziato se non con una decisione russa di attaccare le forze invitate in Ucraina dal suo governo legale e con un mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e una missione umanitaria.

L’esperienza siriana

In Siria, la Russia non ha agito contro le zone di sicurezza nel nord o nel sud-est contenenti truppe turche o statunitensi, anche se poche, con un’eccezione , contro le forze turche nel 2020. I russi hanno spesso minacciato ritorsioni contro le truppe statunitensi e turche e i loro siriani partner (e occasionalmente attacchi aerei israeliani) ma con quell’unica eccezione non ha intrapreso azioni letali.

Uno dei motivi per cui la zona di sicurezza ha funzionato in Siria è che ciascuna parte conosceva le linee rosse degli altri e non aveva alcun bisogno impellente di attraversarle. La Russia aveva ottenuto una vittoria disordinata e limitata in Siria sostenendo un governo amico e preservando le sue basi militari. Scacciare definitivamente gli americani, i turchi e gli israeliani, lì per le loro pressanti ragioni di sicurezza e umanitarie, sarebbe stato gradito ma non avrebbe generato un beneficio aggiuntivo sufficiente per bilanciare i rischi significativi. Supponendo che la zona di sicurezza ucraina sia relativamente piccola, potrebbe applicarsi una dinamica simile. Nessuna offensiva militare potrebbe o vorrebbe essere lanciata da esso, quindi non crea alcun motivo convincente per la Russia per rischiare di iniziare un conflitto con gli Stati Uniti.

A dire il vero, una zona di sicurezza non porrà fine alla guerra con una vittoria. Piuttosto, dovrebbe essere visto come una di una serie di mosse per negare il successo della Russia, insieme a sanzioni, disaccoppiamento economico e invio di armi all’Ucraina. Apre la porta a un compromesso diplomatico. L’amministrazione Biden ha segnalato la sua apertura a tale risultato nella sua lettera di gennaio alla Russia e dovrebbe dare seguito anche mentre i combattimenti continuano.

Ovviamente, l’approccio della zona di sicurezza comporta rischi, sia per le truppe coinvolte che per l’escalation russo-americana, in particolare perché il conflitto ucraino è esistenziale per la Russia in un modo in cui non lo era la Siria. Ma il mondo, e gli Stati Uniti, si trovano già in una situazione molto rischiosa. Inoltre, il successo americano nella creazione di una coalizione globale si basa sul presupposto che tutti condivideranno il sacrificio e i rischi. Ciò include non solo quegli stati spinti a vendere più petrolio con meno profitti, o accettare ondate di rifugiati, o nel caso della Germania, rinunciare a Nordstream 2, ma anche gli Stati Uniti, che finora sono stati poco esposti a costi e rischi. In fondo, la lotta dell’Ucraina non riguarda la forza e le risorse, perché la coalizione che gli Stati Uniti hanno messo insieme è enormemente più forte e più ricca della Russia. Piuttosto, è tutta una questione di coraggio e volontà politica.

James Jeffrey è presidente del programma per il Medio Oriente presso il Wilson Center; un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, Iraq e Albania; ed ex inviato speciale presso la coalizione globale per sconfiggere l’ISIS e capo missione in Siria.

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/put-us-boots-ukraine-defend-un-approved-security-zone/362978/

Istituire una zona di pace nell’Ucraina occidentale

L’invio di truppe straniere per difendere un territorio finora incontrastato è l’unico modo per preservare un’Ucraina libera e prevenire il prossimo attacco di Putin.

Nessuno sa fino a che punto Vladimir Putin della Russia spingerà il suo brutale attacco all’Ucraina. I commentatori occidentali inizialmente presumevano che Putin avrebbe consentito l’esistenza di uno stato ucraino, meno il Donbas, sotto un governo fantoccio una volta conquistate Kiev, Kharkiv e Mariupol; Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è stato giustiziato; e istituito un ampio corridoio costiero tra la Crimea e la regione del Donbas. Ma dopo una telefonata del 3 marzo con Putin, il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che “il peggio deve ancora venire” e che l’ obiettivo di Putin è prendere tutta l’Ucraina e cancellare la nazione. Pochi giorni dopo, Putin ha  minacciato di porre fine allo stato ucraino a meno che la resistenza non si fermasse.

Finora, la risposta principale del mondo sono state le sanzioni. È uno sforzo significativo e ha dimostrato l’unità degli Stati democratici. Tuttavia, le sanzioni funzionano solo contro i governi che sono effettivamente preoccupati per il benessere economico a lungo termine della loro gente. È del tutto evidente che Putin sacrificherà tale benessere per obiettivi immediati e il prestigio della potenza militare. Gli sforzi per fornire all’Ucraina armi aggiuntive sono tatticamente importanti, ma le forze ucraine sono semplicemente troppo piccole per sostenere una guerra convenzionale contro la Russia.

Se deve esserci un futuro per la nazione ucraina, l’Occidente deve agire immediatamente per stabilire una zona di mantenimento della pace e di soccorso umanitario nell’Ucraina occidentale non occupata. Questa “Zona di pace” sarebbe mantenuta da truppe completamente armate, della NATO, delle ” Forze di difesa dell’Unione europea ” dell’UE o, sebbene sia un’aspirazione difficile, una coalizione di stati non europei apparentemente sotto l’autorità dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite . La zona avrebbe lo scopo sia di proteggere i civili che di preservare una parvenza di indipendenza per il popolo ucraino. Se richiesto dal presidente Zelenskyy, tale azione sarebbe pienamente conforme al diritto internazionale. Come ha ripetutamente affermato Zelenskyy—più recentemente sulla scia del bombardamento russo di una centrale nucleare — “solo un’azione urgente da parte dell’Europa può fermare le truppe russe”.

Invece di affrontare le forze russe nelle loro attuali operazioni, queste forze di pace, completamente attrezzate per il combattimento, potrebbero stabilire posizioni difensive in quelle aree dell’Ucraina che i soldati di Putin non hanno ancora raggiunto, comprese le oblast di Lviv, Volyn, Zakarpattia, Rivne, Ternopil, Khmeinytski , Ivano-Frankivsk, Chernivitsi, Zhytornyr, Vinnytsia e le sezioni settentrionale e costiera di Odessa non ancora contestate. Ovviamente, la città centrale sarebbe Leopoli, dove si sono già trasferite la maggior parte delle ambasciate e molti profughi e che The Economist ha già soprannominato “ il luogo del piano Bs.” L’obiettivo sarebbe quello di creare una barriera protettiva attorno a ciò che può essere salvato di un’Ucraina sovrana che sopravviverà all’evento quasi inevitabile della caduta di Kiev e delle regioni orientali. E, sì, includerebbe una no-fly zone, ma esclusivamente al di sopra dell’area protetta.

Una volta stabilite in posizione, queste forze di pace non intraprenderebbero alcuna azione offensiva contro le forze russe che operano nel resto dell’Ucraina, ma rimarrebbero completamente preparate a difendere se stesse e il territorio che proteggono. Questi non sarebbero i “peacekeeper” leggermente armati che si sono dimostrati ampiamente inefficaci nelle passate operazioni delle Nazioni Unite. Queste forze eviteranno di avviare ostilità, ma agiranno come un potente deterrente per altre ostilità. D’ora in poi sarà una scelta di Putin se vuole combattere l’Europa, e forse il mondo, una guerra che sa che la Russia non può vincere. È probabile che una guerra del genere lo rovescerebbe, l’esito che più teme.

Escalation per de-escalation

Ironia della sorte, ciò applicherebbe una logica strategica che è stata attribuita, forse in modo alquanto impreciso, all’attuale strategia militare russa: escalation per de-escalation o escalation del controllo. In questo caso, l’escalation è la presenza di truppe occidentali nell’Ucraina non conquistata. La riduzione dell’escalation è che costringerà Putin a limitare la sua azione a ciò che afferma di fare : “liberare” il Donbas e sostituire il regime ucraino, che senza un’azione occidentale diretta è impossibile da fermare. La presenza della forza di mantenimento della pace stabilirebbe una linea rossa deterrente e ferma che consentirebbe, anzi, attirerebbe Putin a dichiarare vittoria e indietreggiare. In breve, la minaccia di un’ulteriore guerra è ciò che reprimerebbe la guerra in corso, che è una definizione efficace di deterrenza.

Il concetto reale è derivato dall’interpretazione degli scritti russi sull’uso delle armi nucleari che implicavano che l’escalation dell’uso della forza, usando piccole armi nucleari tattiche contro una forza avversaria, potrebbe indurre l’avversario a rinunciare a qualsiasi ulteriore sforzo per portare un potere ancora maggiore ( una forza convenzionale più grande o persino armi nucleari strategiche) nel conflitto. L’escalation per deescalation è stata descritta come “l’escalation di un conflitto da un livello di conflitto a un livello di violenza che fa cessare le operazioni militari da parte dell’avversario [che] sarebbe solo un esempio di come la Russia potrebbe cercare di controllare l’escalation di un conflitto. ” Come si applica alle forze nucleari statunitensi, il concetto è stato respintonella testimonianza al Congresso della leadership militare congiunta degli Stati Uniti. Ma al di fuori della posizione nucleare, corrisponde bene agli elementi della convenzionale “deterrenza per negazione”. Una forza forte, ben equipaggiata e ben addestrata (come i contingenti NATO) posta in posizioni protette ma in grado di manovrare è un deterrente che le risposte iterative non possono eguagliare.

Le prove di operazioni inette in Ucraina potrebbero non riflettere la vera competenza delle forze armate russe complessive. Ma suggerisce che spingere contro una forza di mantenimento della pace pronta al combattimento, alla fine sostenuta dalla NATO, non è una sfida che i comandanti militari russi vorrebbero affrontare.

Quali forze sono necessarie?

La fanteria leggera di tipo forza di reazione rapida formerebbe il bordo d’attacco o confine della Zona di Pace, con armature, artiglieria e forze armate combinate mantenute a distanza. Queste forze più pesanti non sarebbero una singola riserva centralizzata; sarebbero stabiliti in tutta la zona, ma in posizioni che non segnalano un’offensiva in avanti.

Preferibilmente la barriera di fanteria leggera non includerebbe truppe statunitensi (per evitare di entrare nella narrativa di Putin), ma sarebbe composta da nazioni europee della NATO e/o dell’UE, o altri membri volontari delle Nazioni Unite. Ci sono, infatti, un certo numero di nazioni che potrebbero essere disposte a fornire truppe se sovvenzionate e sostenute dall’Occidente. Le forze più pesanti sarebbero costruite attorno ad almeno tre divisioni dell’esercito americano o del corpo dei marines degli Stati Uniti (o equivalenti). Il messaggio chiaro: non intendiamo avanzare per creare una guerra generale, ma non ci ritireremo.

Le forze ucraine non farebbero parte della forza di mantenimento della pace/difensiva, ma sarebbero autorizzate a ritirarsi negli accampamenti all’interno della zona se accettassero di cessare le operazioni all’interno delle aree contese dell’Ucraina. Gli attacchi delle forze ucraine dalla Zona di Pace non sarebbero stati consentiti.

Il movimento delle forze della zona di pace avverrebbe principalmente con il trasporto via terra attraverso la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria o la Romania, e preferibilmente tutti questi. L’inserimento dell’elicottero è una possibilità, ma sarebbe meglio ridurre al minimo fino a quando la Zona di Pace non sarà inizialmente istituita e dichiarata. Se Odessa rimane non occupata, le forze potrebbero essere spostate su nave o moto d’acqua dalla Romania, dalla Bulgaria o dalla Turchia.

La potenza aerea di copertura sarebbe basata al di fuori dell’Ucraina, ma potrebbe essere presente sopra la Zona di Pace, se necessario, una volta stabilita la zona. Lo scopo è proteggere la zona, non recuperare ciò che è perduto. Predominano i caccia e gli aerei di supporto aereo ravvicinato; a meno che non ne seguisse una guerra generale, non ci sarebbe alcun ruolo per i bombardieri a lungo raggio.

Una tale posizione operativa sarebbe conforme all’esercito americano, all’aeronautica americana o alla dottrina congiunta? Affatto. Le operazioni di combattimento statunitensi si basano sul portare la battaglia al nemico nel territorio controllato dal nemico. Tuttavia, le circostanze uniche e tragiche della situazione richiedono un approccio creativo che trascenda la dottrina. L’obiettivo è preservare la sovranità ucraina in quelle aree non ancora sotto l’occupazione russa, al fine di fornire supporto umanitario al popolo ucraino e mantenere vivo un futuro indipendente per loro evitando una guerra generale con la Russia. Questo non è realizzabile attraverso semplici sanzioni. Né può essere raggiunto attraverso la guerra informatica.

Causerebbe una guerra nucleare?

L’ovvia paura che rende le nazioni occidentali diffidenti nei confronti di un intervento aperto in un conflitto ingiusto che potrebbe distruggere il presunto “ordine mondiale liberale” è la paura della guerra nucleare. La mia tesi è che questa possibilità può essere gestita limitando lo sforzo militare per preservare il territorio ancora sotto il controllo del governo ucraino. Per quanto terrificanti possano essere le prospettive di uno scambio nucleare, la deterrenza dovrebbe reggere, anche nella mente di Putin, se si evita il conflitto sul territorio russo o con le forze russe.

Le operazioni offensive che spingono i russi fuori del tutto dall’Ucraina sarebbero l’esito ideale per il conflitto, ma anche questo rispecchia la narrativa di Putin e potrebbe provocare una risposta incerta. Tali operazioni rimarrebbero di competenza delle forze militari (e civili) ucraine. La difesa dell’Ucraina non occupata è del tutto diversa.

Sostenere che una Zona di Pace istituita richiederebbe l’uso di armi nucleari russe significa sostenere che una guerra nucleare è inevitabile durante la vita di Vladimir Putin. Se questo è vero, allora il mondo non ha altra scelta che arrendersi alle sue crescenti richieste.

L’invasione dell’Ucraina non riguarda semplicemente il futuro dell’Ucraina. Riguarda il futuro globale in cui le invasioni dell’Ucraina diventano la norma. Forse è necessaria una piccola quantità di rischio riguardo a un esito nucleare. Ci siamo già stati durante la Guerra Fredda e la deterrenza ha prevalso. Putin è una creatura della Guerra Fredda.

Ha senso una difesa statica? Quale sarà il risultato?

I pianificatori operativi sosterranno che la difesa statica inerente a tale operazione nella Zona di Pace non ha un buon senso militare. E, dal punto di vista di un conflitto totale, hanno ragione. Tale linea d’azione limita la manovra operativa che è vista come la chiave della guerra moderna e forse l’attributo più desiderabile per qualsiasi forza militare. Consentirebbe una manovra tattica, ma rinuncerebbe al vantaggio dell’attacco multiasse e dell’inganno operativo.

Tuttavia, gli obiettivi, ancora una volta, non includono la distruzione delle forze nemiche, ma il mantenimento dell’attuale status quo in un territorio specifico. È per controllare il re del nemico, non per uccidere le sue pedine. I confronti con gli sforzi difensivi falliti nella storia possono essere inevitabili, ma ciò che va ricordato è che le difese forti falliscono solo quando il nemico ha forze sostanzialmente superiori, o quando le difese sono fiancheggiate; la linea Maginot è l’esempio classico. Le forze russe sono inferiori a una NATO combinata e non stanno dimostrando bene le loro capacità potenziali in Ucraina. Il potenziale per una svolta o un fiancheggiamento di una difesa ben preparata della Zona di Pace è relativamente modesto.

Quale effetto sulla narrazione?

Un’ulteriore preoccupazione sarebbe il potenziale effetto sulla “narrativa” riguardo a quale parte è l’aggressore. Putin potrebbe affermare che l’istituzione della forza di mantenimento della pace costituisce un “attacco” della NATO?

Il presidente russo a vita ha definito le sanzioni ” simili a un atto di guerra” e ha minacciato che la Russia sarà in guerra con qualsiasi nazione che fornisca o ospiti aerei ucraini. Indubbiamente, cercherà di schierare qualsiasi forza di mantenimento della pace come attacco.

Tuttavia, non è riuscito a cogliere la narrazione. Numerose nazioni hanno imposto sanzioni e fornito all’Ucraina sofisticate armi anticarro e antiaeree e Putin non è stato in grado di fermare queste azioni e non ha dichiarato loro guerra. Né è stato in grado di far girare queste azioni a sostegno delle sue argomentazioni. La chiave per i governi occidentali nel continuare a dominare la narrativa sarà usare il termine “peacekeeper” in ogni affermazione, forse come ogni seconda parola.

La messa in sicurezza immediata delle centrali nucleari ucraine di Rivne e Khmeinytski – un’azione che la forza di pace dovrebbe intraprendere in ogni caso – manterrebbe anche il predominio occidentale della narrativa date le preoccupazioni espresse in tutta Europa sugli attacchi russi alle centrali nucleari a est. Una chiara giustificazione per la forza di pace è prevenire un disastro di tipo Chernobyl causato dagli attacchi russi alle centrali nucleari.

Non ripetiamo la storia

La possibilità di istituire una Zona di Pace protetta è già in discussione in Europa. Il primo ministro portoghese Antonio Costa ha lasciato intendere che il suo governo era disposto a mettere in campo le sue (certamente piccole) forze in Ucraina. Questa discussione non è ancora penetrata nella consapevolezza degli americani e non vi è alcuna indicazione che l’amministrazione del presidente Biden stia prendendo in considerazione l’opzione. Ma dovrebbe essere discusso apertamente e ampiamente qui e considerato ora mentre può ancora essere implementato.

Alcuni esperti hanno sostenuto che gli obiettivi di Putin sono limitati. Cioè, come spesso si dice, speranza non strategia. Alcuni sostengono che non ci siano parallelismi storici poiché “il mondo è così diverso ora” a causa della tecnologia o della disponibilità di informazioni (soft power), ma questa potrebbe essere una citazione del 1939. Fonti russe affermano che Putin si considera il nuovo Stalin. Questo è stato a lungo suggerito . Tuttavia, i parallelismi con il 1939 sono ancora maggiori; Il Donbas è in gran parte i Sudeti di Putin, “l’ultima richiesta d’Europa” di Hitler. L’Ucraina è pronta a diventare la Cecoslovacchia di Putin: il resto del Paese che Hitler ha annesso mentre un mondo indifferente non ha reagito. Fortunatamente, questa volta il mondo ha reagito, ma non ha ancora reagito abbastanza.

Evitare gli errori del passato è più che una questione pratica; è anche una questione morale.

La protezione di ciò che resta dell’Ucraina è un obbligo morale. Salverebbe molte vite ucraine (e forse quelle dei coscritti russi). La decisione del popolo ucraino di muoversi verso il governo democratico e l’integrazione nella società europea è stata ispirata e incoraggiata dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Rinunciare ad agire al di là dell’imposizione di sanzioni economiche è un tradimento della fiducia e sarebbe una grave battuta d’arresto per la democrazia ovunque. Perché una nazione dovrebbe rivolgersi alla democrazia se il risultato sarà l’invasione, la morte e la sottomissione da parte di uno stato autoritario più potente?

La vera “ trappola di Tucidide ” non è il timore di nascere potenze rivali, ma di permettere che il futuro sistema internazionale venga definito dal principio che gli antichi ateniesi insegnarono con violenza ai Meliani: “i forti fanno quello che vogliono, i deboli soffrono quello che dovere.” Melos non è stato semplicemente catturato; i suoi uomini furono massacrati e le donne ridotte in schiavitù. Melos è stato ripopolato dai russi, correzioni, voglio dire, coloni ateniesi.

Questo è il futuro che Vladimir Putin (e Xi Jinping) vogliono realizzare . Soggiogare l’Ucraina sarebbe il passo più significativo per trasformare quel futuro in realtà. Per impedirlo, per preservare un mondo che lotta costantemente per la legge e la giustizia, è necessario preservare il territorio finora incontrastato dell’Ucraina istituendo e imponendo una Zona di Pace.

Sì, il risultato più probabile sarebbe un’Ucraina orientale (controllata dalla Russia) e un’Ucraina occidentale (indipendente e sovrana). Ma ciò conserverebbe la speranza che, come la Germania orientale e occidentale, l’Ucraina sarà di nuovo unita in un futuro al di là di Putin. Le sanzioni non lo faranno. Il cyber non lo farà. La guerra offensiva comporta grandi rischi. Una zona di pace forzata è l’opzione che vale la pena prendere.

Sam J. Tangredi è titolare della cattedra Leidos di Future Warfare Studies presso l’US Naval War College. È l’autore, più recentemente, di Anti-Access Warfare: Countering A2/AD Strategies. Le opinioni espresse sono completamente sue e non riflettono necessariamente le opinioni ufficiali dell’US Naval War College, del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti o di qualsiasi altra agenzia del governo degli Stati Uniti. 

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/establish-zone-peace-western-ukraine/362939/

Putin ha accidentalmente avviato una rivoluzione in Germania, di Jeff Rathke

L’Europa tra timide velleità di resistenza e precipitosi ripiegamenti sotto l’ombrello atlantico. L’intervento militare russo in Ucraina deve costringere a centrare il focus dell’analisi e del confronto politico sul continente in cui viviamo quando la stretta che si prospetta sta spingendo alla ulteriore normalizzazione di tutta la classe dirigente e dell’intero ceto politico. I costi saranno però sempre più pesanti e drammatici, difficilmente sostenibili. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’invasione dell’Ucraina sta innescando un drammatico capovolgimento della grande strategia di Berlino.

Di  , presidente dell’American Institute for Contemporary German Studies della Johns Hopkins University.

La politica tedesca è normalmente caratterizzata da una cauta continuità, finemente equilibrata e lenta ad adattarsi alle mutevoli circostanze. Ma resta in grado di sorprendere. Nella scorsa settimana, il cancelliere Olaf Scholz e il suo governo hanno compiuto una rivoluzione nella politica estera tedesca, scartando nel giro di pochi giorni le ipotesi superate dei sogni di Berlino del dopo Guerra Fredda e stabilendo una rotta per il confronto con la Russia che porterà un aumento drammaticamente risorse e modernizzare le forze armate del Paese.

Ogni giorno ha portato nuove rotture con la tradizione tedesca. Il 27 febbraio, in una sessione straordinaria del parlamento tedesco (la prima riunione domenicale in assoluto), Scholz ha descritto l’attacco russo all’Ucraina come un “punto di svolta” che ha richiesto uno sforzo nazionale tedesco per preservare l’ordine politico e di sicurezza in Europa . Scholz ha annunciato la creazione di un fondo una tantum di 100 miliardi di euro (113 miliardi di dollari) per l’esercito tedesco quest’anno e ha impegnato la Germania a spendere il 2% del PIL per la difesa d’ora in poi. Ha evidenziato i contributi della Germania alla NATO e ha ampliato gli impegni, inclusa la sua presenza deterrente in Lituania e la messa a disposizione dei sistemi di difesa aerea tedeschi degli Stati membri dell’Europa orientale. Ha sottolineato il ruolo nucleare della Germania nella NATO e ha indicato che il governo avrebbe probabilmente acquisito velivoli F-35 invece dell’acquisto F/A-18 Super Hornet precedentemente pianificato. Il cancelliere ha sottolineato le responsabilità di Berlino all’interno della NATO, ma allontanandosi dallo stile della politica di difesa tedesca ha anche definito queste misure come garantire la sicurezza nazionale della Germania.mezzo milione di manifestanti in tutto il centro di Berlino.

Ed era solo domenica. Il giorno prima, il governo ha abbandonato la sua posizione come una delle ultime resistenze transatlantiche contro l’esclusione delle banche russe dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT e il ministero della Difesa ha annunciato che avrebbe fornito 1.000 sistemi anticarro e 500 armi antiaeree Stinger all’Ucraina, invertendo la politica di lunga data della Germania contro la fornitura di armi alle zone di crisi. (Berlino ha anche revocato le prese chiave ai paesi terzi che forniscono attrezzature di origine tedesca all’Ucraina.) Queste mosse storiche si sono aggiunte alle dure sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea a Mosca entro 24 ore dall’inizio dell’invasione russa, misure che ha colpito anche la Germania, dal momento che la Russia è uno dei primi cinque partner di esportazione e importazioneal di fuori dell’UE. Solo cinque giorni fa, il 22 febbraio, Scholz ha deciso di interrompere il processo di certificazione per il gasdotto Nord Stream 2.

In sette giorni, la Germania ha eliminato il suo più grande progetto energetico russo, ha imposto sanzioni che causeranno notevoli dolori in patria e ha istituito un corso che renderà la Germania il più grande investitore europeo della difesa, con i velivoli più avanzati e una crescente presenza in avanti nel centro e Europa orientale. Ci si può chiedere se i detrattori devoti della Germania a Washington se ne accorgeranno. Come è successo così rapidamente, quando i funzionari tedeschi avevano difeso così tenacemente le loro politiche di status quo per così tanto tempo?

La sfacciata brutalità della guerra del presidente russo Vladimir Putin all’Ucraina è la ragione più importante. Scholz e il suo governo hanno compiuto ogni sforzo diplomatico per evitare la guerra, inclusa la visita di Scholz il 15 febbraio a Mosca, in cui ha cercato di salvare il processo di Minsk. Putin ha avanzato le sue rimostranze percepite e la storia distorta – che Scholz in seguito ha definito “ridicolo” – e attraverso il suo riconoscimento delle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk ha effettivamente ucciso gli accordi di Minsk. Scholz e il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock sapevano per esperienza personale che la Russia aveva chiuso le strade della diplomazia.

I nuovi schieramenti politici della Germania hanno aperto la strada a questa rivoluzione. Il Partito socialdemocratico di Scholz (SPD) governa con i Verdi guidati dai valori e i Liberi Democratici liberali, entrambi i quali sostengono una linea più dura verso Mosca. Le ambizioni di trasformazione energetica del governo, che fissavano un obiettivo di neutralità del carbonio per il 2045, hanno ora acquisito una dimensione di sicurezza nazionale. Ciò potrebbe complicare la certezza a breve termine di un’adeguata fornitura di gas naturale, ma il ministro dell’Economia e del clima tedesco Robert Habeck dei Verdi ha colto la crisi russa come ulteriore giustificazione per accelerare la transizione verso le energie rinnovabili e costruire la rete energetica. Scholz ha formulato l’obiettivo per la Germania di costruire due terminali di gas naturale liquefatto “il prima possibile” come parte di uno sforzo nazionale per superare la sua dipendenza dai singoli fornitori.

All’interno del suo stesso partito, il pragmatico Scholz ha sostenuto una rivalutazione dell’approccio obsoleto dell’SPD nei confronti della Russia, basato sulla reciproca dipendenza economica e sull’eredità del controllo degli armamenti. L’invasione di Putin ha offerto a Scholz l’opportunità di cancellare la lavagna e non ha perso tempo. Di fronte a indifendibili azioni russe, l’ala “dialogativa” dell’SPD ha visto sgretolarsi le sue argomentazioni. Il più visibile sostenitore delle posizioni filo-russe , l’ex cancelliere Gerhard Schröder dell’SPD, è stato preso di mira dall’intera dirigenza del partito per le sue posizioni nei consigli di amministrazione di società energetiche russe come Nord Stream AG, Rosneft e, di recente, Gazprom (sebbene sia ancora in sospeso). Schröder è passato in poche settimane dall’essere una delle risorse più preziose della Russia in Germania a una responsabilità politica.

Infine, un po’ di merito va all’amministrazione Biden. Nonostante le pressioni del Congresso degli Stati Uniti e della comunità di politica estera, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha costruito con cura una partnership sulla politica russa, prima con la cancelliera Angela Merkel attraverso la dichiarazione congiunta di luglio 2021 sulla sicurezza energetica e poi difendendo l’approccio della Germania, anche durante il febbraio di Scholz. 7 visitaa Washington. Biden ha dovuto affrontare il contraccolpo dei repubblicani e di alcuni democratici, ma si è reso conto che un cambiamento nella politica tedesca della Russia avrebbe dovuto venire da Berlino, non essere imposto da Washington. Se Biden avesse ceduto alle richieste di sanzioni unilaterali degli Stati Uniti sul Nord Stream 2, avrebbe generato una risposta difensiva da parte del governo tedesco che avrebbe reso inconcepibile il completo ribaltamento della Russia di Scholz.

LA PARTITA STRATEGICA AMERICANA, di Pierluigi Fagan

LA PARTITA STRATEGICA AMERICANA.

Il primo giorno del conflitto russo-ucraino scrissi che l’obiettivo americano era l’estromissione della Russia dallo SWIFT e sono bastati quattro giorni per raggiungerlo, pare. Ho scritto anche che Putin avrebbe messo i fatti sotto le parole perché le relazioni politiche con l’Occidente non consentivano più si sperare di modificare lo stato delle cose con altri mezzi. Ho anche evidenziato che la frase del russo pronunciata al primo giorno di attacco: “… risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”, andava perciò presa nella sua letteralità, il che le dava un sapore molto inquietante.

Sul piano geopolitico, tutto ciò porta ad intravedere una nuova condizione del tavolo di gioco. Gli USA hanno ottenuto presto il loro obiettivo, separare per lungo tempo in maniera profonda ed irreversibile, l’Europa dalla Russia. La Russia è nei fatti, oggi, l’untouchable del sistema internazionale e vale per lei come per chiunque altro manterrà con lei rapporti organici. Come molti hanno notato, l’altro giorno, alcuni paesi europei sono passati dall’esclusione dell’opzione SWIFT per cause di forza maggiore al veloce riallineamento sulla possibilità di applicare il bando. Non si ottiene un riallineamento così ordinato e soprattutto veloce su una questione così concreta e complessa in un giorno chiacchierando o urlando al telefono con brutte o belle parole, anche qui ci vogliono i fatti. Cos’ha mosso Scholz, Macron e Draghi a passare dalla solita melina ad addirittura inviare armi sul fronte di guerra facendola diventare una propria guerra?

Sebbene a noi i fatti appaiano in una sequenza di scoperte quotidiane, ci sono strategie lungamente pensate da parte quantomeno dei due principali giocatori del gioco, USA e Russia. Sono le strategie ad ordinare la sequenza dei fatti. Putin non è pazzo, gli americani non sono dei cialtroni giunti alla fine del loro tempo come alcuni hanno letto nel ritiro dall’Afghanistan. Sono due potenze e stanno giocando la partita al pieno delle loro forze.

La previsione, per altro relativamente facile, è che ora gli USA potranno rispolverare un vecchio arnese comparso nella politica delle relazioni tra blocchi, qualcosa di simile al TTIP. Biden ha sicuramente promesso agli europei, un nuovo trattato commerciale pieno di belle speranze, per compensare delle obiettive e destabilizzanti perdite che il pacchetto sanzioni-SWIFT-bando della Russia nel girone degli intoccabili che colpirà gli europei forse anche più che i russi stessi.

Ricordo brevemente che il TTIP venne promosso da Obama, come il suo omologo TPP nell’area del Pacifico, riscuotendo perplessità in patria, silenziosa ambiguità da parte degli europei, allungando i tempi delle trattative fino a che i democratici persero le elezioni in favore di Trump. Trump, decise di giocare la partita strategica diversamente, non tanto nella strategia generale quanto nella tattica. Il TTIP scomparve del tutto mentre il TPP venne abbandonato dagli USA. Il Giappone se ne fece allora promotore ulteriore tant’è che poi è stato firmato come CPTPP nel 2018 tra 11 Paesi dell’area. La Cina ha chiesto da tempo l’ammissione al CPTPP, ma la procedura va a rilento. Una nuova versione del TTIP riprenderà quindi la vecchia strada strategica stante che quella strategia elaborata allora lo è stata dalla stessa élite che oggi ha riferimento in Biden.

Sarà per Biden più facile farlo digerire internamente poiché sarà redatto in forma meno problematica per gli americani, il mercato americano ne vedrà al contempo con più chiarezza necessità ed opportunità. Da subito, è probabile che gli USA dovranno compensare cadute di fornitura su gas e grano con esportazioni, ma la catena delle conseguenze alimenterà nel tempo molto più flusso vantaggioso per l’economia americana.

Sarà meno problematico per gli americani anche perché gli europei non potranno trattare quasi nulla non avendo alternative, ed avendo anche una certa fretta di compensare il disastro economico provocato dagli eventi e loro gestione, almeno da quanto si vede già nei primi quattro giorni.

Creerà un sistema commerciale di grande massa, il primo della nuova globalizzazione 2.0 che passa dalla forma globale anni ’90-’20, alla forma multipolare basata su regioni. Per quanto la partita multipolare sia ancora lunga, il polo occidentale a guida americana così formato, sarà obiettivamente il polo di prima massa e la massa, facendo gravità, ordina.

Per altro, l’annunciata strategia Biden di compattamento delle “democrazie di mercato” in competizione soprattutto con la Cina, ha già perseguito concretamente questa strada con la prima riunione del nuovo TTC (Trade and Technology Council) lo scorso settembre a Pittsburgh. Per ora il TCC è focalizzato sul campo tecnologico, digitale, conversione ecologica, ma le sue annunciate dieci commissioni di lavoro sembravano già pronte ad allargare il campo. È chiaro che tutti i normali attriti di contrapposto interesse che già segnarono le trattative TTIP, ora verranno spianate nel minor tempo possibile.

Indirettamente, una Europa conformata al sistema New-TTIP, sarà oggettivamente impedita a continuare i suoi ambigui rapporti con la Cina, ci saranno opportune clausole per recintare l’Europa entro i limiti giuridici del Trattato. Il che, di contro, servirà anche nelle partite con l’altra parte del mondo, la parte asiatica. A questo punto non ci sarà più una collezione di Stati europei con cui fare bilaterali, per i Paesi ASEAN, gli stessi CPTPP, il RECEP con dentro anche la Cina etc. A questo punto il New-TTIP che conterà USA-EU-UK (AUSTRALIA-NZ sono già nel CPTPP mentre Australia con USA ed UK sono nel nuovo trilaterale di sicurezza AUKUS) conterà più del 50% del Pil mondiale. Impossibile per tutta l’area dentro un giro di compasso con punta conficcata nell’ovest euroasiatico, pensare di fare affari con altri che non siano nel cerchio magico. Una seconda carta questa giocata forse ieri per allineare gli staterelli europei, nel senso che aprirà nuova opportunità di egemonia larga, economica per gli europei, geopolitica per gli USA.

Il New-TTIP, a questo punto, sarà portato in dote al già operante CPTPP con gli undici asiatici-pacifici, tramite gli USA (con il nuovo NAFTA ovvero USMCA -USA-Messico-Canada-, firmato da Trump)nche diventeranno perno centrale dei due trattati. Così si mettono a posto anche le ambigue relazioni che molti asiatici-pacifici hanno con la Cina. L’India non avrà altra scelta che aderirvi per obiettivo interesse ed a quel punto, mancanza di alternative altrettanto valide. Quest’ultima ipotesi non è liscia, l’India sa tutto questo e l’India non ha minore interesse multipolare di Russia e Cina, tant’è che il suo primo pronunciamento ONU sull’invasione russa è stata l’astensione.

Tutto ciò corroborerà anche la riformulazione della partita energetica ricordando che l’energia fa struttura, ha bisogno di forti shock esogeni per riformularsi dopodiché -riformulata- diventa una gabbia di interdipendenza strutturale difficilmente reversibile. Si vedrà come s’intende sopperire alle eventuali cadute di forniture russe (saltano tubi in Ucraina? Putin chiude i rubinetti? Alza i prezzi all’impazzata? Arriva energia dagli USA e dal Medio Oriente? Si sdoganano le trivellazioni in tutto il Mediterraneo che nella parte est è pieno di gas?) nel breve. Quella energetica è una partita molto complessa che meriterebbe analisi specifiche che qui non possiamo dettagliare. Ma possiamo immaginare la forte spinta che tutto ciò porterà al nuovo “piano straordinario per la conversione green”, le cui promesse di business avranno fatto crollare anche le ultime resistenze germano-italiane.

È infatti chiaro che poiché agli shock si reagisce in modo straordinario, la linea Macron-Draghi di ampliare le forme e l’entità del debito comunitario avrà ora nuove e più evidenti ragioni. Come nel kintsugi giapponese, l’arte di rimettere assieme i cocci è il “riparare con l’oro”.

Questo lo vedo con una certa nitidezza, altro non riesco a vedere. Nel senso che non so dire se Putin e Xi hanno previsto tutto ciò, se e come Putin continuerà a giocarsi la partita in Ucraina, fin dove è intenzionato ad arrivare col suo sinistro “conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia” minacciato agli europei, se Biden riuscirà a salvare la sua performance interna nelle mid-term e poi nel secondo mandato. Anche se si aprisse una trattativa e poi uno stallo e magari anche un accordo nella partita ucraina, tutto ciò è già successo ed è irreversibile.

Ricordo infine che se questo è il più ampio quadro strategico dal punto di vista americano, Putin in realtà non ha alcuna alternativa strategica. Semplicemente, se accettasse la NATO in Ucraina avrebbe missili con testate nucleari a non più di tre minuti da Mosca, mentre Mosca avrebbe gli Stati Uniti a molti minuti di distanza, il che in termini di “first strike”, annulla per molti versi la parità strategica. Sono dunque due partite ben diverse e quella americana, sembra nei fatti già vinta o comunque molto ben avviata.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/02/28/la-partita-strategica-americana/

La proposta di trattato russo Di: George Friedman

Qui sotto un importante articolo di George Friedman per tema la proposta di trattato russo offerta agli Stati Uniti e alla NATO e i due testi inviati il 15 dicembre dal Ministro degli Esteri Russo.

La proposta, apparentemente e semplicisticamente, può essere interpretata come un atto propagandistico, pur di rilievo; destinato in fondo nel peggiore dei casi a rimanere un episodio di quel confronto mediatico e propagandistico con scarse implicazioni dirette nella dinamica dei rapporti diplomatici e del confronto multipolare. Una impressione suffragata dall’accoglienza distratta offerta dai media italiani, dalla sufficienza che traspare dalle penne più o meno illustri, comunque scontatamente ossequiose e dall’assenza al momento di valutazioni da parte delle maggiori riviste di approfondimento di geopolitica del mondo occidentale; probabilmente un tentativo di lasciar scivolare nell’indifferenza il passo diplomatico.

In realtà è insolito, di fatto irrituale, il fatto che il testo di una proposta di trattato, specie di questa importanza strategica, sia pubblicizzato dalla parte proponente prima di essere quantomeno valutato e discusso, sondato nei normali canali diplomatici.

Rappresenta piuttosto l’indizio della drammaticità crescente dello stato delle relazioni diplomatiche tra due dei tre principali attori geopolitici, gli Stati Uniti e la Russia, in un contesto internazionale sempre più inquieto ed affollato di nuovi protagonisti. Un modo, probabilmente, di far uscire allo scoperto la controparte da una tattica strisciante di avvolgimento o di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Colpisce, pertanto, il diverso atteggiamento delle due parti in causa.

I primi impegnati da oltre trent’anni in una politica di accerchiamento e pericoloso avvicinamento al cuore della nazione russa una volta fallito il tentativo di destabilizzazione, disgregazione e predazione interna di quel paese, ma con una opinione pubblica ancora del tutto impreparata a sostenere i costi ed i rischi di una politica così espansiva ed aggressiva. Una condotta che ha fatto strame degli impegni e delle garanzie di neutralità dei paesi sganciatisi dal Patto di Varsavia concordate con Gorbaciov, del principio di integrità degli stati scaturiti dalla dissoluzione del blocco sovietico nel momento stesso in cui se ne chiede il rispetto per alcuni di essi, in particolare la Georgia e soprattutto l’Ucraina; un indirizzo, una condotta stridente con i proclami di rispetto dei diritti delle minoranze, tanto cari alla UE e agli Stati Uniti, tranne quando, nella fattispecie, queste siano costituite dalle popolazioni russe rimaste prigioniere, senza praticamente diritto di cittadinanza, degli stati sorti dalla divisione amministrativa della Unione Sovietica, disegnata per altri fini politici. Una condotta portata alle estreme conseguenze con il colpo di stato in Ucraina del 2014, lo smacco più cocente della presidenza di Putin. Un processo niente affatto lineare con diversi sgradevoli imprevisti nel carniere: lo smacco in Georgia, la relativa autonomia ed indipendenza acquisita dalla Turchia nei confronti della NATO ed il suo inedito rapporto di collaborazione conflittuale con la Russia, sancito dal recente avvicinamento con l’Armenia, sostitutivo di quello apertamente ostile del secolo passato. Un atteggiamento e una inerzia che impedisce, al momento, di giocare la carta dell’Ucraina per sganciare la Russia dalla Cina, ma con grave smacco dei centri euroorientali ed in parte tedeschi e scandinavi in grado di lucrare notevolmente sulla postura russofoba.

I secondi impegnati con maggior successo in una politica, comunque, ancora di contenimento, una volta superata definitivamente l’illusione della possibilità di integrazione nell’area occidentale su basi più paritarie e non di mera resa.

Difficile però interpretarne le motivazioni determinanti.

Potrebbe essere un gesto obbligato, al limite della disperazione, teso ad interrompere in qualche maniera il processo di logoramento e arretramento e a portare allo scontro in una situazione meno sfavorevole.

Potrebbe al contrario essere un gesto calcolato in un contesto molto più aperto ed incerto. Gli ultimi otto mesi sono stati ricchi di episodi salienti:

  • l’assemblea primaverile della NATO che ha sancito un dualismo di indirizzi, con i paesi dell’Europa Orientale impegnati sul fronte russo e quelli dell’Europa Centro-Occidentale adibiti a retrovia e dirottati verso il Pacifico e l’Africa Mediterranea
  • l’avvento di un governo tedesco più filoamericano che renderà più stridente la contradizione tra l’allineamento geopolitico e la relativa autonomia geoeconomica di quel paese; in trepidante attesa di quello che potrà avvenire l’anno prossimo in Francia. Non a caso l’acceso confronto elettorale  transalpino sia già finito sotto il mirino delle due fazioni americane
  • lo stallo diplomatico evidenziato dal colloquio tra Biden e Putin
  • il crescente sodalizio tra Russia e Cina, sancito dall’ultimo colloquio tra Putin e Xi Jin Ping, tenutosi appena prima della proposta russa di trattato e sempre più sostenuto dall’incapacità americana di scegliersi coerentemente l’avversario principale, pur avendolo individuato
  • l’emergere definitivo nello scacchiere asiatico di stati in grado non solo di partecipare a sistemi di alleanze preconfezionate, ma di condizionare pesantemente le azioni e gli indirizzi dei tre paesi più importanti dal punto di vista economico e militare
  • soprattutto l’esito dell’intervento americano in Afghanistan e in particolare le modalità di gestione del ritiro e del dopo-intervento in quell’area, con il corollario della crescente e profonda avversione all’interventismo nella popolazione, ma anche tra gli stessi militari statunitensi

Non sarà semplice affogare da parte americana l’iniziativa nelle tattiche dilatorie tese a procrastinare i comportamenti di questi ultimi trenta anni.

Il passo diplomatico russo è destinato dunque a mettere a nudo la reale consistenza di queste dinamiche. Ad evidenziare in particolare che la carta più importante in mano alla attuale gruppo dirigente di avventurieri statunitensi rimane la possibilità di fomentare conflitti con truppe di terzi sul terreno, in questo caso europee. Non solo! Potrebbe dare una grande spinta ad un chiarimento definitivo nello scontro politico in corso da anni negli Stati Uniti che ha per oggetto la natura dei rapporti con la Russia e le modalità di scontro e conflitto con la Cina. L’esito delle presidenziali americane di un anno fa parevano aver segnato l’epilogo definitivo di una guerra. Si è rivelato l’esito mal riuscito di una battaglia di un gruppo dirigente incapace di dare coerenza politica ai propri proclami e di creare la coesione interna necessaria e indispensabile all’esercizio di potenza e di influenza esterna, dibattuto com’è nel suo proposito insopprimibile di egemonia mondiale e di guida predestinata. Il terreno di coltura di colpi di mano incontrollati e dall’esito catastrofico del quale l’Ucraina è senz’altro uno dei focolai più pericolosi. Putin conta su una sola certezza: sa benissimo chi è l’interlocutore con il quale trattare dei problemi del continente europeo. Il rumore dei grandi assenti tra i destinatari del documento è nelle orecchie di chi vuol sentire. Dalla sua gioca il fatto che due punti caldi nel mondo (Taiwan e Ucraina) sono troppi anche per la più grande potenza militare, al netto di giochi di corridoio_Buona lettura, Giuseppe Germinario

La proposta di trattato russo

Di: George Friedman

Abbiamo operato con un modello della Russia. Avendo perso i suoi territori non russi con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, alla Russia mancano i cuscinetti che la proteggevano. Il suo imperativo nazionale è recuperare quegli stati di confine, formalmente o informalmente. Potrebbero essere occupati dalle forze russe o, per lo meno, governati da governi nativi che escludono la presenza delle potenze occidentali e si coordinano con Mosca. I russi hanno raggiunto questo obiettivo nel Caucaso meridionale attraverso la diplomazia e lo stazionamento di forze di pace russe nella regione. Hanno aumentato il loro potere in Asia centrale. Ma la regione critica per la Russia è a ovest, di fronte all’Europa occidentale, agli Stati Uniti e alla NATO. Lì, la perdita della Bielorussia e dell’Ucraina ha posto un problema critico. Il confine orientale dell’Ucraina è solo a circa 300 miglia (480 chilometri) da Mosca e l’Ucraina è alleata con gli Stati Uniti e le potenze europee, informalmente se non come parte della NATO.

La strategia della Russia fino a questo punto era stata quella di evitare l’intervento militare diretto contro le forze ostili e utilizzare misure ibride per costruire influenza e ottenere il controllo. Questo è quello che è successo nel Caucaso. Questo è anche quello che è successo in Bielorussia, dove un’elezione contestata ha lasciato il presidente Alexander Lukashenko in una posizione debole, e Mosca ha usato il suo potere per assicurare la posizione di Lukashenko e controllare gli eventi a Minsk. L’ ondata di rifugiati verso il confine polacco ha messo la Polonia sulla difensiva e ha creato un senso di crisi in Polonia. Per quanto riguarda la Bielorussia, è stata semplicemente l’arena scelta dalla Russia, un satellite preso a bassa voce.

Mentre la Russia stava reclamando i suoi cuscinetti, abbiamo rivolto la nostra attenzione all’Ucraina, che, come ho detto, è il cuscinetto chiave. È vasto, minaccia direttamente la Russia e dall’Ucraina la Russia potrebbe minacciare anche l’Occidente. In effetti, tra la Bielorussia nella pianura nordeuropea e il controllo dell’Ucraina sui Carpazi, la Russia non solo poteva difendersi, ma anche minacciare un attacco all’Europa dal Mar Baltico al Mar Nero.

I russi hanno mobilitato le forze lungo i confini dell’Ucraina – da est, nord e sud – e, senza fare minacce palesi, hanno creato una situazione in cui sembrava possibile un’invasione dell’Ucraina. Ho scritto la scorsa settimana dubitando che i russi avrebbero tentato una complessa occupazione di un paese ostile perché le possibilità di fallimento, anche contro una resistenza minima, erano reali e perché i russi non potevano prevedere le azioni americane. Se intervenisse, gli Stati Uniti probabilmente interverrebbero a terra, ma possiedono anche arsenali di missili anticarro lanciati da aerei o navi nel Mar Baltico e nel Mar Nero. Come si evolverebbe questo conflitto non è noto e gli Stati Uniti potrebbero non scegliere una controparte militare. Ma la Russia non poteva saperlo, né poteva rischiare di agire sull’intelligence, che spesso si sbaglia.

Per completare la ricostruzione dell’Unione Sovietica, i russi devono prima neutralizzare gli Stati Uniti senza un’azione militare. La migliore strategia per questo è neutralizzare la NATO, le cui forze militari sono limitate ma comunque significative. Ancora più importante, una risposta americana alla Russia senza la disponibilità del territorio della NATO e senza il sostegno politico degli alleati della NATO complicherebbe la dinamica militare e politica dell’azione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano già indicato la loro cautela minacciando il sistema bancario russo se ci fosse stata una guerra in Ucraina, piuttosto che minacciare un’azione militare.

Pertanto, prima ancora che la Russia prendesse in considerazione un’azione militare in Ucraina, doveva neutralizzare politicamente i (già cauti) Stati Uniti, e la chiave era paralizzare la NATO e in particolare la Germania. La Germania vede la Russia come una fonte cruciale di energia, un partner commerciale che potrebbe crescere di importanza e un problema da evitare. Ancora più importante per esso è l’Europa, di cui la NATO è un elemento cruciale, non tanto come forza militare, ma come un’altra forza che tiene insieme l’Europa. Come potenza dominante in Europa (al di fuori della Gran Bretagna), la Germania ha l’imperativo nazionale di mantenere la sua posizione economica dominante, che le conferisce una grande influenza sul comportamento degli europei in materia militare.

Per la Germania, quindi, una guerra non sarebbe adatta alle sue esigenze. Rischierebbe un conflitto che potrebbe indebolire gravemente l’economia europea in un momento delicato. La Germania vede la Polonia come un problema difficile poiché è nella NATO, ma la posizione della Polonia nei confronti della Russia non soddisfa gli interessi della Germania. La Germania vorrebbe ovviamente un cuscinetto contro la Russia in Bielorussia e Ucraina, ma non se ciò significa enormi costi economici e aumento del potere americano in Europa. Gli Stati Uniti dominano la NATO e un conflitto esteso massimizzerebbe le considerazioni militari americane e minimizzerebbe le preoccupazioni economiche tedesche. In breve, mentre potrebbe esserci una serie di posizioni sulle mosse della Russia in Europa, la Germania, la potenza leader, deve evitare la guerra e pagherà un prezzo per questo. La neutralizzazione degli Stati Uniti da parte della Russia passa attraverso la NATO, l’Europa e in particolare la Germania. Se hanno punti di vista divergenti, una difesa americana unilaterale contro la Russia diventa molto rischiosa.

Arriviamo così allo straordinario documento che la Russia ha consegnato la scorsa settimana. Il documento è mirato alla NATO. La clausola chiave è l’articolo 5: “Le Parti si astengono dallo schierare le proprie forze armate e armamenti, anche nel quadro di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, nelle aree in cui tale dispiegamento potrebbe essere percepito dall’altra Parte come una minaccia per sua sicurezza nazionale, ad eccezione di tale spiegamento all’interno dei territori nazionali delle Parti”.

In altre parole, la Russia chiede il diritto di limitare il dispiegamento delle truppe statunitensi nei paesi della NATO se i russi si sentono minacciati da tale dispiegamento. L’effetto immediato sarebbe che, mentre la Polonia potrebbe rafforzare la propria forza, gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dalla Polonia se la Russia si sentisse minacciata, cosa che dice di fare. Naturalmente, se la Federazione Russa reintegrasse gli ex territori sovietici nel suo sistema politico, cosa che penso sia una possibilità, allora la Russia sarebbe liberata dall’articolo 5.

Ci sono altre clausole che garantiscono che gli Stati Uniti rifiuteranno il documento. È quindi una domanda interessante perché i russi l’abbiano creato. Potrebbe essere concepito come una piattaforma negoziale, ma è troppo distorta dall’interesse russo per essere una piattaforma praticabile per Washington. Un’altra possibilità è che sia per il consumo interno russo, a dimostrazione del fatto che la Russia parla agli Stati Uniti come un potente pari da rispettare. Oppure potrebbe essere che dopo la risposta iniziale degli americani alle minacce russe – che il loro sistema bancario sarebbe stato danneggiato – i russi leggessero gli Stati Uniti come riluttanti a rispondere in Ucraina.

La chiave dal mio punto di vista è che nessuno vuole una guerra in Ucraina perché sarebbe lunga e sanguinosa, e il vantaggio geografico andrebbe alla Russia. Una proposta sul tavolo, per quanto assurda, può dare alle nazioni caute l’opportunità di capitolare mentre sembrano preferire un corso diplomatico a risposte militari irrazionali. Gran parte dell’Europa non è disposta a combattere per l’indipendenza dell’Ucraina. Gli Stati Uniti, preoccupati per la libera diffusione del potere russo attraverso la forza militare, potrebbero scegliere un intervento. Questa proposta potrebbe essere vista in Europa come una “base di discussione”, limitando le opzioni americane.

Un’invasione dell’Ucraina sarebbe piena di rischi per la Russia. Il fallimento o la resistenza prolungata trasformerebbero la Russia da una potenza riemergente in una nazione da scartare. Il presidente russo Vladimir Putin ovviamente sa che questo documento sarà respinto, ma nel suo contesto, il rifiuto tornerà alle controproposte, ed è possibile che la NATO e gli Stati Uniti diano un po’ di terreno in cambio dell’eliminazione di alcune delle clamorose richieste russe. Oppure Putin vuole che tutti lo vedano in termini non menzionati – come un ultimatum – e nel panico.

In ogni caso, il pezzo chiave della ricostruzione russa – l’Ucraina – è sul tavolo, e il documento confonde così completamente le questioni, chiedendo cambiamenti fondamentali nel modo in cui operano gli Stati Uniti, che qualcosa può essere concesso sotto la pressione europea. Putin non ha nulla da perdere da questo documento e qualcosa da guadagnare. Presumo che la risposta americana sarà quella di rifiutare i colloqui basati sul documento.

https://geopoliticalfutures.com/the-russian-treaty-proposal/?tpa=YTIwZWNmYjhiYWU4M2YyZWY4M2VjMzE2NDA4Nzg0MzdiZjI1ZjY&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-russian-treaty-proposal/?tpa=YTIwZWNmYjhiYWU4M2YyZWY4M2VjMzE2NDA4Nzg0MzdiZjI1ZjY&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

IL TESTO DEI DUE DOCUMENTI

17/12/2021 13:30

ACCORDO TRA LA FEDERAZIONE RUSSA E GLI STATI UNITI D’AMERICA SULLE GARANZIE DI SICUREZZA

 

 La Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America, di seguito denominati le Parti,

Guidati dai principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite 1970 anno, l’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, nonché le disposizioni della Dichiarazione di Manila del 1982 sulla risoluzione pacifica delle controversie internazionali, la Carta per la sicurezza europea del 1999, l’Atto fondatore del 1997 sulle relazioni reciproche, la cooperazione e sicurezza tra la Russia e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico;

Ricordando l’inammissibilità nelle loro reciproche, nonché in generale nelle relazioni internazionali, dell’uso della forza o della minaccia della forza in qualsiasi altro modo incompatibile con le finalità ei principi della Carta delle Nazioni Unite;

sostenere il ruolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali;

Riconoscendo la necessità di unire gli sforzi per rispondere efficacemente alle sfide e alle minacce contemporanee alla sicurezza in un mondo globalizzato e interdipendente;

procedendo dalla stretta osservanza del principio di non ingerenza negli affari interni, compreso il rifiuto di sostenere organizzazioni, gruppi e individui che propugnano un cambio di governo incostituzionale, nonché qualsiasi azione volta a modificare il sistema politico o sociale di uno dei contraenti feste;

nel senso di migliorare l’esistente o creare ulteriori meccanismi di interazione efficaci e prontamente avviati per risolvere problemi e disaccordi problematici emergenti attraverso un dialogo costruttivo basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento degli interessi e delle preoccupazioni reciproche in materia di sicurezza, nonché per sviluppare una risposta adeguata alle sfide e minacce nel campo della sicurezza;

sforzandosi di evitare qualsiasi scontro militare e conflitto armato tra le Parti e rendendosi conto che uno scontro militare diretto tra di esse può portare all’uso di armi nucleari, che avrebbe conseguenze di vasta portata;

Riaffermando che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e che non dovrebbe mai essere scatenata, oltre a riconoscere la necessità di compiere ogni sforzo per prevenire il pericolo di una tale guerra tra Stati nucleari;

Riaffermando i propri obblighi ai sensi dell’Accordo sulle misure per ridurre il rischio di una guerra nucleare tra l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e gli Stati Uniti d’America del 30 settembre 1971, l’Accordo tra il governo dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e il governo degli Stati Uniti d’America sulla prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sovrastante del 25 maggio 1972, l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sull’istituzione di centri di riduzione del rischio nucleare di 15 settembre 1987 e l’Accordo tra l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti d’America sulla prevenzione delle attività militari pericolose del 12 giugno 1989 anno;

hanno convenuto quanto segue:

 

Articolo 1.

Le parti interagiscono sulla base dei principi di indivisibile ed eguale sicurezza, fatta salva la reciproca sicurezza, e per tali finalità:

non intraprendere azioni e non svolgere attività che incidono sulla sicurezza dell’altra Parte, non parteciparvi e non supportarla;

non attuare misure di sicurezza adottate da ciascuna Parte individualmente o nell’ambito di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione, che pregiudicherebbero gli interessi di sicurezza fondamentali dell’altra Parte.

 

Articolo 2.

Le Parti si adoperano per garantire che qualsiasi organizzazione internazionale, alleanza militare o coalizione a cui partecipa almeno una delle Parti, rispetti i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite.

 

 

Articolo 3.

Le Parti non utilizzeranno il territorio di altri Stati allo scopo di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra Parte, o altre azioni che ledano gli interessi fondamentali di sicurezza dell’altra Parte.

 

Articolo 4.

Gli Stati Uniti d’America si impegnano a escludere un’ulteriore espansione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico in direzione orientale, a rifiutare di ammettere all’alleanza Stati che in precedenza facevano parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Gli Stati Uniti d’America non stabiliranno basi militari sul territorio di stati che erano precedentemente membri dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e non sono membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, non utilizzeranno le loro infrastrutture per alcuna attività militare o svilupperanno una cooperazione militare bilaterale con loro.

 

Articolo 5.

Le Parti si astengono dal dispiegare le proprie forze armate e armi, anche nell’ambito di organizzazioni internazionali, alleanze o coalizioni militari, in aree in cui tale dispiegamento sarebbe percepito dall’altra Parte come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, ad eccezione di tali dispiegamento nei territori nazionali delle Parti.

Le parti si astengono dal pilotare bombardieri pesanti equipaggiati per armi nucleari o non nucleari e dal trovare navi da guerra di superficie di tutte le classi, anche all’interno di alleanze, coalizioni e organizzazioni, in aree, rispettivamente, al di fuori dello spazio aereo nazionale e al di fuori delle acque territoriali nazionali, da dove possono impegnare obiettivi nel territorio dell’altra Parte.

Le parti mantengono il dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi per prevenire pericolose attività militari in mare aperto e nello spazio aereo sopra di esso, compreso l’accordo sulla distanza massima di rendez-vous tra navi da guerra e aerei.

 

Articolo 6

Le Parti si impegnano a non dispiegare missili terrestri a medio e corto raggio al di fuori del proprio territorio nazionale, nonché in quelle aree del proprio territorio nazionale da cui tali armi sono in grado di colpire obiettivi sul territorio nazionale dell’altra Parte.

 

Articolo 7.

Le Parti escludono il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale e restituiscono tali armi già dispiegate al di fuori del territorio nazionale al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato nel territorio nazionale. Le parti elimineranno tutte le infrastrutture esistenti per il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale.

Le Parti non addestreranno personale militare e civile di paesi non dotati di armi nucleari all’uso di tali armi. Le parti non conducono esercitazioni e addestramento di forze polivalenti, compreso lo sviluppo di scenari con l’uso di armi nucleari.

 

Articolo 8.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data di ricezione dell’ultima notifica scritta dell’attuazione delle necessarie procedure nazionali da parte delle Parti.

Fatto in duplice esemplare, ciascuno in lingua russa e inglese, entrambi i testi facenti ugualmente fede.

 

 

Per la Federazione Russa

Per gli Stati Uniti d’America

17/12/2021 13:26

ACCORDO SULLE MISURE DI SICUREZZA DELLA FEDERAZIONE RUSSA E DEGLI STATI MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DELL’ATLANTICO DEL NORD

Progetto

La Federazione Russa e gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), di seguito denominati i Partecipanti,

riaffermando la volontà di migliorare le relazioni e approfondire la comprensione reciproca;

Riconoscendo che per rispondere efficacemente alle sfide moderne e alle minacce alla sicurezza in un mondo interdipendente, è necessario unire gli sforzi di tutti i Partecipanti;

Convinti della necessità di prevenire attività militari pericolose e ridurre così la probabilità che si verifichino incidenti tra le proprie forze armate;

rilevando che gli interessi di sicurezza di ciascun Partecipante richiedono di aumentare l’efficacia della cooperazione multilaterale, rafforzare la stabilità, la prevedibilità e la trasparenza in campo politico-militare;

riaffermando il loro impegno nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e della cooperazione in Europa, dell’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche, sulla cooperazione e sulla sicurezza tra la Federazione Russa e il Trattato Nord Atlantico Organizzazione del 1997, il Codice di condotta relativo agli aspetti di sicurezza politico-militare del 1994, la Carta per la sicurezza europea del 1999 e la Dichiarazione di Roma “Relazioni NATO-Russia: una nuova qualità” dei Capi di Stato e di governo della Federazione Russa del 2002 e Stati membri della NATO;

hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1.

I partecipanti alle loro relazioni sono guidati dai principi di cooperazione, eguale e indivisibile sicurezza. Non rafforzano la loro sicurezza individualmente, nel quadro di un’organizzazione internazionale, un’alleanza militare o una coalizione a scapito della sicurezza degli altri.

I partecipanti alle reciproche relazioni si impegnano a risolvere pacificamente tutte le controversie internazionali, nonché ad astenersi da qualsiasi uso della forza o dalla minaccia di un suo uso in qualsiasi modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.

I Partecipanti si impegnano a non creare condizioni o situazioni che possano rappresentare o essere considerate come una minaccia alla sicurezza nazionale degli altri Partecipanti.

I partecipanti eserciteranno moderazione nella pianificazione militare e durante le esercitazioni per ridurre i rischi di possibili situazioni pericolose, aderendo agli obblighi previsti dal diritto internazionale, compresi quelli contenuti negli accordi intergovernativi sulla prevenzione degli incidenti in mare al di fuori delle acque territoriali e nello spazio aereo sovrastante , nonché negli accordi intergovernativi sulla prevenzione di attività militari pericolose.

Articolo 2.

Per risolvere problemi e risolvere situazioni problematiche, i Partecipanti utilizzano meccanismi di consultazioni urgenti su base bilaterale e multilaterale, compreso il Consiglio Russia-NATO.

I partecipanti su base regolare e volontaria si scambiano valutazioni delle minacce moderne e delle sfide alla sicurezza, forniscono informazioni reciproche su esercitazioni e manovre militari, le principali disposizioni della dottrina militare. Al fine di garantire la trasparenza e la prevedibilità delle attività militari, vengono utilizzati tutti i meccanismi e gli strumenti esistenti di misure volte a rafforzare la fiducia.

Per mantenere i contatti di emergenza tra i Partecipanti, sono organizzate linee telefoniche “calde”.

Articolo 3.

I partecipanti confermano di non vedersi l’un l’altro come avversari.

I partecipanti mantengono un dialogo e interagiscono per migliorare i meccanismi di prevenzione degli incidenti in alto mare e nello spazio aereo sopra di esso (principalmente nel Baltico e nella regione del Mar Nero).

Articolo 4.

La Federazione Russa e tutti i partecipanti che dal 27 maggio 1997 erano stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, di conseguenza, non dispiegano le loro forze armate e armi sul territorio di tutti gli altri stati europei, oltre alle forze di stanza in questo territorio dal 27 maggio 1997 anno. In casi eccezionali, quando si verificano situazioni legate alla necessità di neutralizzare la minaccia alla sicurezza di uno o più Partecipanti, tali collocamenti possono essere effettuati con il consenso di tutti i Partecipanti.

Articolo 5.

I Partecipanti escludono il dispiegamento di missili a terra a medio e corto raggio in aree da cui sono in grado di colpire bersagli sul territorio di altri Partecipanti.

Articolo 6

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, accettano obblighi che precludono un ulteriore allargamento della NATO, inclusa l’adesione dell’Ucraina, così come di altri stati.

Articolo 7.

I partecipanti, che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, si rifiutano di condurre qualsiasi attività militare sul territorio dell’Ucraina, così come in altri stati dell’Europa orientale, della Transcaucasia e dell’Asia centrale.

Al fine di escludere il verificarsi di incidenti, la Federazione Russa e i partecipanti che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico non condurranno esercitazioni militari e altre attività militari al di sopra del livello di brigata in una striscia di larghezza e configurazione concordate su ciascun lato del la linea di confine della Federazione Russa e gli stati che sono con essa in un’alleanza militare, nonché i membri che sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.

Articolo 8.

Il presente Accordo non pregiudica e non sarà interpretato come lesivo della responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, nonché i diritti e gli obblighi dei membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Articolo 9.

Il presente Accordo entra in vigore dalla data in cui le notifiche di consenso ad essere vincolati da più della metà degli Stati firmatari sono depositate presso il depositario. Per quanto riguarda uno Stato che ha dato tale notifica in una data successiva, il presente Accordo entrerà in vigore alla data della sua trasmissione.

Ciascuna Parte del presente Accordo può recedere dallo stesso inviando l’apposita notifica al depositario. Il presente Accordo termina per tale Partecipante [30] giorni dopo il ricevimento di detta notifica da parte del depositario.

Il presente Accordo è stato redatto in russo, inglese e francese, i cui testi fanno ugualmente fede, ed è conservato negli archivi del depositario, che è il governo…

Fatto in [città …] [XX] giorno [XXX] mese [20XX].

UE, Italia, Francia, Germania! Il triangolo imperfetto_di Giuseppe Germinario

Grande emozione e tanta enfasi tra i protagonisti della firma del trattato del Quirinale. Peccato che a così grandi aspettative ostentate non sia corrisposta una corrispondente ed adeguata attenzione nella stampa italiana, relegata ben addentro alle pagine interne, alle spalle della scontata sequela su green pass e coronavirus; sorprendentemente almeno un qualche minimo accenno nella stampa transalpina. Un oscuramento che stigmatizza intanto un aspetto: la credibilità di Draghi, evidentemente, non coincide e non ha un effetto di trascinamento significativo su quella dell’Italia; il destino e le fortune politiche di uno sono evidentemente separati da quelli dall’altra. Il dubbio che il segno politico concreto dell’iniziativa si discosti pesantemente dall’immagine e dalla narrazione che si è voluto offrire si insinua nelle menti meno coinvolte dalla propaganda; tutto questo a cominciare dalla forma stessa adottata prima ancora di entrare ad esaminare i contenuti. Il valzer iniziato con il trattato bilaterale di Aquisgrana tra Francia e Germania nel 2019 e proseguito con quello odierno sottoscritto da Francia e Italia richiama l’immagine di un triangolo incompiuto.

Per essere un direttorio autorevole armato della volontà di imprimere una svolta al processo di costruzione della Unione Europea nella forma avrebbe dovuto concludersi con un accordo trilaterale o quantomeno con un ulteriore bilaterale tra Italia e Germania dai contenuti del tutto corrispondenti a quello di Aquisgrana; per essere un sodalizio latino-mediterraneo credibile in grado di sostenere il confronto con le altre due aree geopolitiche costitutive della UE avrebbe dovuto comprendere almeno la Spagna, per quanto ancora essa dibattuta storicamente tra Francia e Germania.

Nel primo caso la coerenza avrebbe richiesto tutt’al più un accordo tra capi di governo tale da definire le condotte nel Consiglio Europeo e in sede di Commissione Europea, quindi nelle sedi preposte; nel secondo avrebbe sancito definitivamente anche nella forma l’Unione Europea come il terreno di confronto e cooperazione tra stati nazionali raggruppati in sfere di influenza e di interessi più omogenei.

La scelta più o meno consapevole di adottare la forma così impegnativa e costrittiva del trattato tra stati sotto le spoglie del lirismo europeista avulso e nemico degli stati nazionali non fa che accentuare i limiti, i vincoli e le ambiguità della costruzione europea tali da rimuovere piuttosto che porre chiaramente sul terreno e possibilmente risolvere i problemi e i conflitti latenti, sino a renderli progressivamente dirompenti; con il risultato finale di rivelare finalmente nella NATO più che nella UE il reale fattore, per altro esogeno, di relativa coesione politica di gran parte del continente. In mancanza saranno i trattati stessi ad essere progressivamente svuotati di contenuti o dimenticati.

I rapporti di cooperazione rafforzata, pur nella loro ambiguità, sono qualcosa di diverso e di poco compatibile con la forma del trattato, checché ne dicano gli estensori di quest’ultimo, in quanto riconoscono implicitamente la trasversalità interna agli stati del confronto politico ed esplicitamente la loro coerenza e subordinazione agli indirizzi della Commissione Europea. I due trattati, in particolare quello più esteso e specifico tra Italia e Francia, di fatto formalizzano ed irrigidiscono il confronto tra stati all’esterno del circuito istituzionale.

Dubbi e riserve che non sono affatto attenuati dall’esame del merito delle clausole, pur avendo queste ultime più la forma di una dichiarazione di intenti che di impegni cogenti in entrambi i trattati, ma maggiormente in quello franco-tedesco.

Quest’ultimo deve pagare certamente pegno alla funzione di apripista, ma può permettersi di indugiare maggiormente nella retorica europeista grazie al ruolo di leadership locale dei due paesi.

Essendo carenti di aspetti cogenti e piuttosto pleonastici nella stesura, non rimane che individuare nell’enfasi attribuita ai singoli aspetti le diversità, le affinità e soprattutto le intenzioni riposte in questi due atti in attesa di conoscere i protocolli aggiuntivi, sempre che siano resi disponibili.

In quello di Aquisgrana prevale nettamente l’enfasi sul ruolo del sodalizio franco-tedesco nell’agone mondiale, con la ciliegina della richiesta velleitaria di un seggio alemanno all’ONU; nell’esplicita richiesta di coinvolgimento delle Germania nell’area subsahariana con un effetto solo secondario di trascinamento della UE.

Riguardo al contesto europeo la postura generale franco-tedesca è quella di due paesi impegnati a determinare genericamente gli indirizzi e l’organizzazione della Unione Europea; quella del trattato quirinalizio è piuttosto di due paesi impegnati ad adeguarsi all’indirizzo, specie giuridico, della Comunità, per quanto si possa parlare di indirizzo giuridico coerente di essa.

L’unico afflato europeista decisamente retorico presente in quello di Aquisgrana viene riservato alla collaborazione ed integrazione persino giuridica delle aree transfrontaliere, in particolare dei distretti; un vecchio cavallo di battaglia della retorica europeista non a caso più incisivo e pernicioso nei confronti dell’organizzazione statale francese che di quella teutonica.

Un ambito curato anche in quello italo-francese ma senza enfasi ed articolato in ambiti più definiti tra i due stati.

Un altro ambito comune trattato nei due accordi riguarda la forza e il complesso industriale militare.

In quello franco-germanico il tono è più generico ed enfatico; nell’altro è più scontato e precisato.

La ragione del primo risiede sicuramente nei trascorsi storici particolarmente drammatici tra i due paesi, come pure nella loro collocazione, con la Francia dibattuta in tre scenari geografici, dei quali uno prettamente terraneo dal quale sono arrivati i guai peggiori. Sono però il presente e le prospettive future a dettare le scelte. Al destino manifesto di duratura concordia verso una meta ed una casa comune annunciato nel patto corrisponde un percorso a dir poco contraddittorio se non controcorrente. A fronte di un paio di progetti industriali integrati in stato di avanzamento corrisponde lo stallo totale in materia di controllo e gestione dell’armamento strategico nucleare, di gestione delle comunicazioni, di indirizzo e addestramento comune delle due forze militari e di sviluppo di una logistica comune. Poca cosa rispetto a progetti più importanti (Gaia, il nuovo caccia europeo, semiconduttori, ect) in colpevole ritardo, ancora ai prodromi, con un divario terribile da colmare; troppo presto per distinguere il fumo dall’arrosto, la velleità dalla volontà. Il paradosso maggiore risiede in una Germania che di fatto predilige il coordinamento e l’integrazione militare con paesi come l’Olanda, la Repubblica Ceca e la Danimarca e di un corpo militare francese assai poco disposto a condividere i propri asset strategici, specie nel nucleare, nella missilistica e in aviazione, per quanto fragili e malconci, con un paese quasi del tutto privo di conoscenze in quei settori.

Dal lato italico il quadro generale della cooperazione ed integrazione militare appare almeno in apparenza molto più scontato con la parte francese che dimostra di avere le idee molto chiare e gli italiani a giocare di rimessa e limitare i danni quando non arriva a infliggersi la zappa sui piedi. La tradizione tutta italica di adesione a qualsivoglia avventura militare occidentale in giro per il mondo e di delega agli organismi internazionali delle decisioni non fanno che alimentare queste altrui aspettative. Lo si nota già nelle facilitazioni previste alla mobilità delle truppe molto più fruttuose per la Francia, visti i suoi interessi nel Mediterraneo, che per l’Italia, assente nello scenario Atlantico e renano. La decisione, improvvida quantomeno nei tempi, di affidare integralmente all’ESA (Agenzia Spaziale Europea) la gestione dei propri fondi del settore spaziale, presa dal quel campione dell’interesse nazionale del Ministro Colao, nonché l’esito nefasto del tentativo di controllo dei cantieri navali francesi STX da parte di Fincantieri, non fa che confortare ulteriormente questa impressione di subordinazione ed ignavia ormai ben sedimentata.

Non a caso l’intervento comune in questi ambiti sia specificato molto meglio nel trattato franco-italiano.

I due anni trascorsi tra un trattato e l’altro hanno con ogni evidenza modificato notevolmente il contesto che ha portato alla loro stesura.

Allora si trattava di contrapporre un polo europeista a guida franco-tedesca all’anomalia della politica estera trumpiana, all’insorgere dell’ondata “sovranista” in Italia, in Ungheria e alla Brexit.

Oggi si tratta di riportare nell’alveo dell’eterno confronto-scontro della competizione franco-tedesca la progressiva formazione di almeno tre aree culturali e di cooperazione distinte di stati europei. In queste sono comprese quella costitutiva dell’Europa Orientale e dei paesi sede di paradisi fiscali (Irlanda, Austria, Olanda) controllata con sempre maggiore difficoltà dalla Germania; l’altra latino-mediterranea, potenzialmente dirompente, ma tutta da inventare, comprensiva almeno di Italia, Spagna e Francia.

Una prima lettura dell’accordo italo-francese potrebbe indurre a coltivare l’illusione di un’area così strategica.

La diversa qualità del ceto politico, delle classi dirigenti e degli assetti istituzionali dei due paesi e il pesante ed evidente squilibrio tra questi dovrebbero ricondurci a considerazioni più prosaiche e prudenti.

Se a questo si aggiunge il sostegno entusiastico espresso dall’amministrazione Biden, parecchi altri dubbi dovrebbero dissolversi sulla reale natura dell’accordo. Un paese che non riesce e la sua corrispondente amministrazione che, a differenza di Trump, probabilmente nemmeno intende districare il groviglio di interessi economici che la avviluppano alla Cina, principale avversario-nemico strategico, con il suo appoggio all’accordo intende paradossalmente, ma non troppo, non tanto inibire tentazioni autonome pressoché velleitarie della classe dirigente tedesca dalla leadership americana a favore delle relazione con cinesi e russi, quanto di farle capire e ricordare che gli indirizzi e gli impulsi geoeconomici relativamente autonomi devono ormai sempre più essere ricondotti e sottomessi alle dinamiche geopolitiche di un contespo multipolare.

Il trattato di Aquisgrana ha seguito infatti metodi e significati opposti rispetto a quello dell’Eliseo del 1963 allorquando fu snaturato nel significato solo dal repentino voltafaccia tedesco sotto pesante pressione americana e vide l’esclusione dell’Italia, per il suo eccessivo e cieco filoatlantismo.

IL RAPPORTO TRA ITALIA E FRANCIA

Il giudizio sul “trattato del Quirinale” non può differire di molto dal suo equivalente di due anni fa.

Vi è un punto in realtà realmente qualificante per i due paesi e disconosciuto nei commenti: l’attenzione riservata al settore agricolo. Sia l’Italia che la Francia fondano gran parte del proprio investimento in agricoltura sul prodotto tipico con un relativo ridimensionamento da parte francese, anche per ragioni di ambientalismo liturgico, di alcune produzioni intensive di allevamento e vegetali su vasti territori e con una significativa riduzione negli ultimi tempi dei contributi finanziari europei elargiti di fatto a compensazione del sostegno finanziario francese alla Unione Europea. Un aspetto che mette in concorrenza tra loro le economie agricole dei due paesi, ma che li spinge a fare fronte comune contro la Commissione Europea tutta impegnata a penalizzare questo tipo di coltivazione.

Paradossalmente, quindi, più un fattore di polarizzazione all’interno della UE che di coesione.

Per il resto la sospensione di giudizio sul trattato pende purtroppo a sfavore di un rapporto più equilibrato tra i due paesi.

La Francia infatti dispone ancora a differenza dell’Italia:

  • di una organizzazione statale, pur insidiata dal regionalismo europeista, ancora sufficientemente centralizzata, con la presenza di una classe dirigente e dirigenziale compresa quella militare, preparata e in buona parte diffidente se non ostile all’attuale presidenza, tale da consentire la definizione e il perseguimento di una strategia; quella italiana in antitesi è frammentata e ridondante nelle competenze in modo tale da consentire flessibilità e capacità di adattamento passivo e reazione surrettizia;

  • di una grande industria strategica, pubblica e privata, anche se fragilizzata, specie nell’aspetto finanziario, da alcune scelte imprenditoriali e tecnologiche sbagliate; l’Italia, dal canto suo, continua a vivere e ad emergere in qualche maniera grazie alla presenza prevalente della piccola e media industria in gran parte però dipendente produttivamente da circuiti produttivi e imprenditoriali stranieri;

  • di un sistema universitario riorganizzato in sei grandi poli in grado di offrire nuovamente, rispetto a questi ultimi anni, una buona formazione e specializzazione tecnico-scientifica. Il numero e la qualità di ingegneri e ricercatori ha infatti ricominciato a risalire;

  • di un sistema finanziario e bancario più centralizzato e indipendente reso possibile dalla presenza della grande industria, da una gestione coordinata delle risorse finanziarie ricavate dalle attività agricole e dalla rendita monetaria garantita dalla gestione dell’area africana francofona; un vantaggio che le ha consentito di codeterminare, assieme alla Germania, anche se in posizione subordinata, le regole europee di regolazione del sistema bancario e finanziario con la supervisione statunitense;

  • di un sistema di piccole e medie imprese, al contrario il quale, a differenza di quello italiano, sta rasentando l’irrilevanza e trascinando il paese verso un cronico deficit commerciale e dei pagamenti, sempre meno compensato dalla fornitura di servizi evoluti e che costringe sempre più il paese ad assorbire la propria rendita finanziaria e a dipendere ulteriormente dai dictat tedeschi e dalle scorribande e acquisizioni americane. Con un peso dell’industria che non arriva nemmeno al 18% del prodotto francese, non a caso la stampa transalpina batte ormai da anni sul problema della reindustrializzazione del paese come fattore di coesione sociale, di riduzione degli enormi squilibri territoriali e di acquisizione di potenza. Un elemento che dovrebbe mettere sotto altra luce il lirismo professato a piene mani nel trattato sui propositi di collaborazione, integrazione e scambio imprenditoriali in questo ambito. Qualcosa di particolarmente evidente assurto agli onori della cronaca nel settore automobilistico in un rapporto di gran lunga peggiorativo rispetto a quello detenuto dalla componentistica italiana rispetto all’industria tedesca.

Una situazione non irreversibile a patto di avere una classe dirigente e un ceto politico non genuflesso e capace.

Per concludere giudicare l’accordo franco-italiano soprattutto dal punto di vista propagandistico e dal vantaggio di immagine offerto a Macron in vista delle prossime elezioni presidenziali risulta troppo limitativo se non proprio fuorviante. Tant’è, come già sottolineato, che la stampa francese lo ha del tutto ignorato, quella italiana lo ha glissato e relegato, per altro per breve termine, nelle pagine interne.

Il peso politico di questo accordo rischia di essere molto più soffocante per l’Italia, soprattutto per la qualità della nostra classe dirigente che prescinde dalla validità di numerosi suoi esponenti spesso relegati in funzioni periferiche e di second’ordine, ma anche purtroppo del nostro ceto politico nella sua quasi totalità.

Una ulteriore cartina di tornasole della direzione, oltre alla già citata decisione nel settore aerospaziale a favore dell’ESA presa da Colao & C., sarà l’esito de:

  • la vicenda TIM dove si prospetta il pericolo di una divisione dei compiti tra la gestione americana della rete strategica e quella francese del sistema multimediale italiani con la eventuale compartecipazione, bontà loro, italiana

  • la vicenda OTO-Melara con la possibile cessione ad un gruppo industriale del complesso militare franco-tedesco.

Chissà se questa volta sarà sufficiente per la nostra sopravvivenza la capacità tutta italica di adeguamento passivo e di atteggiamento erosivo così brillantemente esposto da Antonio de Martini. In mancanza non resterà che sperare nel “buon cuore” statunitense, possibilmente preoccupato di un dominio franco-tedesco che potrebbe indurre dalla condizione di dipendenza privilegiata a giungere realmente ad una forma di qualche indipendenza politico-economica dall’egemone americano e di rivalsa rispetto al tradimento britannico della Brexit. Nel caso ancora più nefasto, il placet americano così entusiasta al trattato del “Quirinale” potrebbe essere il segnale di via libera ad una aggregazione dell’Italia nel tentativo di mantenere una parvenza di influenza della Francia nell’Africa francofona; soprattutto di uno spolpamento definitivo del Bel Paese, anche come compensazione dell’affronto subito dalla Francia ad opera di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia sulla faccenda dei sommergibili e sulla sua silenziosa esclusione di fatto dal quadrante strategico del Pacifico, pur essendo lì presente con qualche residuo coloniale. A meno di un tracollo di Macron e della macronite. Solo a quel punto il giochino a fasi alterne, tra i tanti passi quello di affidare la maggior parte dei comandi militari nella periferia della NATO alla forza militare più limitata ed infiltrata, la Germania e al potenziale ribelle qualche pacca e qualche osso, potrà richiedere qualche nuova variante.

NB_Qui sotto il testo dei due trattati oggetto dell’articolo

aquisgrana 2019

TRATTATO DEL QUIRINALE ITA FRANCIA

“L’America ha nostalgia della guerra fredda”, di Emmanuel Todd

“L’America ha nostalgia della guerra fredda”

Emmanuel Todd il 14 ottobre 2021Lo storico Emmanuel Todd fa un clamoroso ritorno con una conferenza in cui contrappone la società americana a quella russa (14 ottobre 2021). Mostra cifre di supporto che il più malato non è quello che pensi. Vede anche su scala planetaria, anche nei nostri paesi, la fine della democrazia e la sua sostituzione con sistemi oligarchici (appropriazione del potere da parte di una minoranza).

La sua conferenza davanti all’associazione Dialogo franco-russo è disponibile sul web. Ecco il riassunto per i lettori di Herodote.net.

Tutto è iniziato con lo stupore dello storico per la “russofobia” che ha conquistato gli Stati Uniti. Nel 1989 i sondaggi davano, dopo 45 anni di “guerra fredda” , il 62% di buone opinioni rispetto all’URSS. Nel 2021 siamo al 22% delle buone opinioni sulla Russia, come se Putin fosse più repressivo di Stalin, Krusciov e Breznev messi insieme… o più minaccioso di Xi Jinping, il nuovo uomo forte cinese.

Emmanuel Todd spiega questa aberrazione con il fatto che gli Stati Uniti hanno nostalgia della Guerra Fredda, che gli ha permesso di dominare il mondo come nessun’altra potenza prima, oltre a offrire alla sua classe operaia un miglioramento senza precedenti delle loro condizioni.

Questa “nostalgia di giorni felici”  (!) non è priva di fondamento…

Nel suo primo libro del 1976 ( The Final Fall , Robert Laffont), Emmanuel Todd predisse l’implosione dell’URSS alla luce dell’aumento della mortalità infantile , prova di una società in via di disgregazione (un popolo può fare qualsiasi cosa a sostegno dei suoi leader tranne che mette in pericolo i suoi figli).

Oggi, quando la Russia viene presentata come un paese alla deriva, cosa osserviamo? Che la mortalità infantile sia più bassa in questo Paese (4,9 decessi di bambini sotto un anno per mille nascite) che negli Stati Uniti (5,6). Non è tutto. L’aspettativa di vita è in aumento in Russia, pur essendo ancora bassa, mentre è in calo negli Stati Uniti dall’inizio del 21° secolo nonostante la spesa sanitaria straordinariamente elevata (16,5% del prodotto interno lordo contro meno del 12% nei normali paesi avanzati) .

La causa è l’epidemia di oppiacei e l’alcolismo nelle popolazioni operaie (bianche) delle aree dismesse. Questo calo è correlato all’aumento del tasso di suicidi (14,5 per 100.000 abitanti contro probabilmente 11,5 in Russia). Queste morti “riflettono la distruzione della classe operaia americana” , ha detto Emmanuel Todd. Sottolinea al confronto la “  stabilità”  del sistema sociale russo, nonostante un tenore di vita molto più basso: “Se si confermano queste tendenze, significa che il modello sociale russo si sta avvicinando al modello europeo e che gli Stati Uniti sono allontanandosi dal modello dell’Europa occidentale” .

Lo storico guida il punto con il tasso di carcerazione: “  Nel 2016 avevamo 655 incarcerati ogni 100.000 abitanti negli Stati Uniti e solo 328 in Russia. Questo è il tasso più alto del mondo, non è una società normale! “ Questa incarcerazione di massa colpisce specificamente la minoranza nera. È l’altro lato del malessere americano con la cattiva sorte fatta ai lavoratori.

Alla luce di questi indicatori demografici, che parlano più forte degli indicatori economici, e come specialista dei sistemi familiari , Emmanuel Todd analizza la democrazia americana e la sua trasformazione dalla seconda guerra mondiale. Confessa la sua paura che gli Stati Uniti, per i quali nutre un incontenibile affetto, conoscano il destino dell’URSS in una riedizione di The Final Fall.

Il razzismo nel cuore della democrazia americana

In origine, gli Stati Uniti non erano predisposti a diventare e rimanere una grande democrazia. Come la società inglese da cui provengono, sono caratterizzati da un modello familiare di tipo “nucleare assoluto”  : è la famiglia limitata alla coppia e ai loro figli, questi ultimi che escono di casa da adulti senza avere la certezza dell’eredità . Questo modello differisce dalla famiglia nucleare del Bacino di Parigi, dove l’eredità è necessariamente condivisa tra tutti i figli, così come dallo stesso modello inglese temperato da un’aristocrazia dove l’eredità va al maggiore. 

Il risultato è una società molto individualista e diseguale negli Stati Uniti, che porta alla concentrazione delle fortune e all’eventuale avvento di un’oligarchia (governo di minoranza). Se il Paese ha evitato questo, lo deve alla presenza sul suo suolo di amerindi e soprattutto neri discendenti di schiavi africani.

Queste sono sia la vergogna che il collante della democrazia americana. Come Alexis de Tocqueville due secoli fa, tutti capiscono che se ne vergognano. Ma il cemento?…

Quando ottennero l’indipendenza nel 1783, gli Stati Uniti contavano quattro milioni di abitanti, di cui 700.000 schiavi africani . I promotori dell’indipendenza erano essi stessi piantatori della Virginia che possedevano molti schiavi. Per motivi di coesione sociale, hanno designato i neri come portatori della differenza umana, un modo per cancellare le differenze di classe tra i coloni. Così hanno la cittadinanza limitata alle persone bianche libere ( ” persone bianche libere” ) dal Naturalization Act del 26 settembre 1790. È l’unico evento di cittadinanza basato sul colore della pelle nel mondo moderno!

Non stupiamoci. La democrazia ha bisogno di uno spaventapasseri per pensare a se stessa come una comunità unita e per funzionare, come ha osservato Emmanuel Todd in un precedente saggio. Gli ateniesi potevano così cooperare ignorando le loro differenze sociali perché avevano la soddisfazione di dominare insieme schiavi e metic. Più vicino a noi, sotto la Terza Repubblica, la sinistra riuscì a instaurare la democrazia invitando tutti i francesi alla comunione nel “dovere di civilizzare le razze inferiori” (Jules Ferry).

In questo modo, attraverso l’individualismo sfrenato, il culto della libera impresa e appoggiandosi a risorse naturali pressoché illimitate, gli americani arrivarono a metà del XX secolo a produrre oltre il 40% della ricchezza mondiale rappresentando solo il 6% della popolazione umana. .

L’URSS, il miglior nemico dell’America

Gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza senza combattere, a differenza dell’antica Roma o dell’Inghilterra vittoriana! Si sono certamente impegnate in molte guerre ma sempre contro avversari insignificanti . L’unico avversario alla loro misura era la Germania, ma l’affrontarono solo in agonia, nel 1918 e nel 1944. Dopo la seconda guerra mondiale, riuscirono a mettere le mani sulla potenza industriale della Germania (11,6% dell’industria mondiale nel 1929). grazie al sacrificio di venti milioni di sovietici. “Il controllo americano sulla Germania sono le armi russe!” » scherza Emmanuel Todd.

Veniamo al paradosso fondamentale della potenza americana: deve il suo culmine (e il suo crollo) alla minaccia sovietica, da Stalin a Breznev, senza che i due nemici si scambiassero mai colpi. Emmanuel Todd insiste: “Il potere russo è stato associato a un grande momento di benessere nella vita degli Stati Uniti, con una classe operaia prospera, l’ascesa di uno stato sociale , la  piena occupazione, un keynesismo che va da sé, di un’America globalmente responsabile con il Piano Marshall. […] La competizione russa è stato il momento più bello della storia americana. “

Fu per evitare che la Grecia fosse travolta dalla ribellione comunista che gli Stati Uniti ebbero l’idea del Piano Marshall nel 1947. Fu per legare la Germania Ovest al blocco occidentale che promossero la creazione della CECA nel 1950 (European Coal and Steel Community), al culmine della Guerra Fredda (vittoria di Mao in Cina, invasione della Corea , golpe a Praga, blocco di Berlino, ecc.). La costruzione dell’Europa è come la NATO il frutto della guerra fredda; non sarebbe mai successo senza la minaccia sovietica.

È anche per cancellare l’umiliazione inflitta da Mosca con il lancio dello Sputnik che gli americani hanno intrapreso la conquista dello spazio, anche camminando sulla Luna . Infine, ultimo ma non meno importante , Washington ha promosso lo stile di vita americano in tutto il mondo libero con tutti i lati seducenti del soft power  : Coca-Cola, Hollywood, James Dean, West Side Story , American Motors, Lewis, ecc.

Con raddoppiata energia, Washington trascinò Mosca in una corsa agli armamenti che i sovietici non potevano vincere. Seguì un crollo dell’URSS e la sua implosione graduale grazie alla moderazione di Mikhail Gorbaciov . Tutti hanno visto lì il definitivo trionfo della democrazia americana e il pensatore americano Francis Fukuyama ha guadagnato la fama annunciando La fine della storia  !

L’America vittima del suo trionfo

Oggi, al termine della sua riflessione sugli Stati Uniti iniziata nel 2002 ( Dopo l’Impero ), Emmanuel Todd non è lontano dal dire, in opposizione a Fukuyama e ad imitazione di Orazio  : “la Russia sconfitta ha sconfitto il suo fiero vincitore”  !

Il paradosso nasce innanzitutto dal fatto che l’ideologia “progressista” veicolata dai comunisti ha alimentato la lotta dei neri americani per la loro emancipazione. I governanti americani dovevano necessariamente trattenere i loro colpi contro Martin Luther King e altri, salvo squalificarsi nella loro lotta contro l’URSS condotta in tutto il mondo in nome dei diritti umani e della libertà…

Ma, garantendo l’uguaglianza formale dei diritti ( Civil Rights Act ) e l’abolizione della “Jim Crow” leggi nel 1960 , neri americani inferto un colpo fatale per ciò che ha reso il collante della democrazia americana, il loro. Scaffalature! A che serviva la solidarietà tra le classi sociali quando i bianchi non avevano più nulla da difendere?

Seguì il disfacimento del welfare state e nel decennio successivo gli economisti della scuola di Chicago, raggruppati attorno a Milton Friedman, riuscirono a imporre le loro idee contro quelle di Keynes. Era il trionfo del neoliberismo , secondo il quale i profitti degli azionisti fanno la prosperità delle aziende e la felicità delle persone. In nome della quale i governi hanno deregolamentato le leggi sociali e le tutele per i lavoratori. Hanno anche incoraggiato le aziende a delocalizzare le fabbriche in paesi a basso salario, con tutte le conseguenze che vediamo oggi e sulle quali non ci soffermeremo.

Così, l’emancipazione dei neri americani, di cui nessuno si lamenterà, ha portato alla crisi della democrazia americana. Oggi si tratta di poter ”  definire una coscienza collettiva indipendentemente dalla questione razziale  ” , ha detto Todd La cosa è desiderabile. È possibile? Questa è un’altra domanda che lo storico affronta con avidità.

L’impossibile ritorno al passato

La fissazione americana per la Russia potrebbe essere spiegata dal desiderio inconscio di tornare ai “giorni felici” della Guerra Fredda. Ma logicamente, è contro la Cina che gli Stati Uniti dovrebbero dirigere le proprie forze se quest’ultima ha i motivi aggressivi che le vengono attribuiti. In questo caso, avrebbero tutto l’interesse a stringere un’alleanza contro di essa con la Russia, nello stesso modo in cui Nixon si riallacciava spettacolarmente a Mao nel 1972 per contrastare Breznev!

Se invece la Cina, fedele ai suoi duemila anni di storia, si preoccupa solo di proteggersi, allora gli americani potranno inseguire a loro piacimento i russi con la loro vendicatività. Senza profitto per nessuno perché le società sono cambiate e non si tornerà alla democrazia imperiale del dopoguerra come dimostra Emmanuel Todd.  

– L’istruzione primaria, la chiave per la democrazia

Tornando indietro nei secoli, lo storico osserva che la democrazia è stata ovunque resa possibile dall’alfabetizzazione di massa. Questo fu acquisito molto presto negli Stati Uniti, come osservò Tocqueville negli anni ’20 dell’Ottocento.

È stato acquisito in Russia prima della prima guerra mondiale con metà dei coscritti in grado di leggere e scrivere. Questo lo spiega, cioè la spinta rivoluzionaria che portò alla caduta dello zarismo con la Rivoluzione del febbraio 1917 . Sul perché questa rivoluzione democratica sia stata fuorviata dai bolscevichi nell’ottobre 1917 , al punto da generare uno stato totalitario di estrema ferocia, la spiegazione sta forse nel sistema familiare caratteristico della vecchia società russa…

Secondo le categorie sviluppate da Emmanuel Todd, la famiglia russa, a differenza di quella nucleare americana, è di tipo comunitario, con un patriarca circondato dai figli, dalla nuora e dai figli. Si tratta di un modello strettamente egualitario, con anche un alto status delle donne e la pratica dell’esogamia (matrimonio al di fuori del clan), in cui si contrappone al modello comunitario del mondo arabo-musulmano. Si trova in paesi come la Cina o regioni come il Limosino, insomma in tutti i luoghi che hanno accolto favorevolmente l’ideologia comunista!

A questo modello familiare in crisi all’inizio del XX secolo, il comunismo autoritario potrebbe presentarsi come un modello alternativo (rigorosa uguaglianza tra tutti e sottomissione a una figura patriarcale).

In tutto il mondo, quindi, l’alfabetizzazione di massa ha preceduto e consentito l’avvento della democrazia. Ma per fortuna non ci siamo fermati qui. Le società sviluppate del dopoguerra hanno sperimentato un rapido aumento dell’istruzione superiore. Da questo bene risultava un male con la comparsa di una nuova divisione sociale tra i colti “più alti” (Bac + 3, 4 o più) e gli altri.

– Istruzione superiore, morte della democrazia

Emmanuel Todd, in modo molto intuitivo e senza pretese, stima che il 25% della popolazione sia la soglia istruita “superiore” dalla quale la società è frammentata.

Il fenomeno è facile da capire: nell’Ottocento, quando i diplomati in Francia si contavano a portata di mano, un autore come Victor Hugo doveva scrivere in una lingua accessibile a tutti se voleva vendere anche un po’ di libri. Inutile dire che ci riuscì meravigliosamente ( Les Misérables circolava così di mano in mano anche nelle officine). Oggi, qualsiasi plumitif non ha più questo vincolo. Può gergare a piacimento con la certezza che troverà abbastanza lettori tra i colti “superiori” . Quindi non ha più paura di mostrare il suo disprezzo di classe per l’istruzione “inferiore” .

Questa frammentazione sociale fa ingrassare il cavolo della classe dominante che gioca con essa per deviare a suo profitto il sistema elettorale e appropriarsi del potere. I francesi lo sanno meglio di chiunque altro dal referendum fallito del 2005; è fuori questione aspettare le elezioni per un cambio di politica. Questo fenomeno è globale ed Emmanuel Todd lo vede con risentimento come la morte della democrazia: “Oggi il buon concetto di confronto tra paesi non è democrazia. Adottiamo l’ipotesi che tutti i sistemi oggi siano de facto oligarchici. Ciò che differenzia i russi e i cinesi dall’occidente è che sanno di trovarsi in una non democrazia oligarchica” .

Trascrizione gratuita della conferenza di Emmanuel Todd (14 ottobre 2021) a cura di André Larané

Cina e Stati Uniti, una partita aperta_con Gianfranco Campa

Sul campo i due principali contendenti iniziano a sfidarsi sempre più apertamente. La competizione economica è sempre meno esaustiva; è parte ed è sussunta sempre più alle dinamiche geopolitiche. Le apparenze ci mostrano una potenza in costante ascesa, la Cina ed una in crescente difficoltà, gli Stati Uniti; una con un quadro dirigente da anni stretto attorno ad un leader, l’altra in preda a continue fibrillazioni. Una ascesa che può portare ad una condizione di soffocamento dettata dalla posizione geografica, una stabilità che può tradire una difficoltà di ricambio e di alternative all’attuale gruppo dirigente sino ad un decennio fa garantiti da avvicendamenti più o meno concordati dalla parte cinese. Dalla parte americana una difficoltà attutita dalle numerose opzioni disponibili sul campo e dalle possibilità di ricambio offerte dalle sorprendenti e violente fibrillazioni in corso da anni nella classe dirigente. Nel mezzo un corteo di paesi in parte paralizzati dalla situazione sempre più caotica, in parte disposti ad approfittare degli spazi offerti dalle incertezze e dalla complessità del quadro politico; tutti al proprio interno spesso dibattuti tra le varie opzioni e le varie cordate di interessi. Almeno sino a quando la natura conflittuale tra i due principali contendenti prenderà il sopravvento e costringerà alla scelta di campo netta rendendo sempre più ardua ed impegnativa, anche se lucrosa nel lungo periodo, una posizione di neutralità o quantomeno di attesa. Tra questi la Russia sembra godere delle migliori opportunità. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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DAL MONDO DI IERI AL MONDO DI OGGI, di Pierluigi Fagan

DAL MONDO DI IERI AL MONDO DI OGGI (Aggiornamenti geopolitici) Come saprete, è stato varato l’AUKUS che sancisce una più stretta alleanza militare tra Australia-UK-USA ed i francesi se la sono presa non poco. Primo perché hanno perso una precedente commessa miliardaria concordata con gli australiani, secondo perché non sono stati ritenuti partner per la nuova avventura occidentalista in quel del Pacifico / orlo asiatico dove pure hanno trascorsi coloniali, terzo perché non sono stati neanche avvertiti per tempo e l’hanno appreso poco prima delle comunicazioni ufficiali. Ne è conseguito il ritiro degli ambasciatori per consultazioni. La faccenda, ma più in generale il “momento” ha molti aspetti da commentare.
Il primo aspetto è il riconfermarsi della svolta realista della dottrina estera degli USA. L’impostazione del programma di politica estera di Trump, si vociferava esser stato benedetto da Kissinger, il principe dei realisti americani per lungo tempo in ritirata dato il dominio delle impostazioni dette “liberali” ma sarebbe più simmetrico dire “idealiste” in politica delle Relazioni internazionali. In sostanza, l’impostazione realista leggeva praticamente quasi più nessun interesse per l’Europa, una partecipazione affettuosa agli interessi di Israele ed Arabia Saudita in Medio Oriente ma non più di tanto, un sostanziale agnosticismo verso la Russia. Tutta l’attenzione quindi, andava puntata sull’Asia, l’hot spot del mondo oggi e sempre più nei prossimi decenni e dentro questo frame, la messa a fuoco di varie strategia competitive e di contenimento, se non peggio, verso il vero main competitor degli USA: la Cina. Per effetto dei vari vestiti valoriali coi quali s’incarta la strategia, molti non hanno percepito questo ri-orientamento che invero risale al “Pivot to Asia” di Obama-Clinton del 2012. Con qualche variante ovvero ancor meno interesse verso il Medio Oriente e meno agnosticismo verso la Russia anche se non è chiaro, al momento, in favore di cos’altro, portando a conseguenza l’asse strategico col ritiro dall’Afghanistan che sì sta in Asia ma non la parte di Asia che interessa Washington, la nuova amministrazione Biden sembra sviluppare la stessa strategia. Del resto, chiunque dotato di intelligenza strategica ed al netto delle diverse inclinazioni ideologiche, al posto di un presidente americano, avrebbe pensato e poi fatto, più o meno, la stessa cosa. Biden all’inizio ha buttato lì la versione liberale della strategia con l’alleanza delle democrazie contro la Cina, un consiglio di qualche esperto di think tank ma non così esperto e con i piedi per terra, ora pare sia passato al “io vado chi vuole mi segue, poi facciamo i conti”.
Il secondo aspetto che discende dal primo è il definitivo spostamento deciso dell’asse di attenzione e competizione geopolitica verso l’Asia-Pacifico. Ne consegue il “senso di abbandono” provato sia nel Medio Oriente che in Europa. Segnalo che in Medio Oriente, vanno avanti da tempo tessiture che hanno portato a ricomporre la frattura tra i tre fratelli-coltelli delle famiglie regnanti di Arabia Saudita, EAU e Qatar, il che dovrebbe portare anche ad abbassare le antipatie reciproche tra Egitto e Turchia. Ma queste tessiture riguardano anche l’annosa inimicizia tra Arabia Saudita ed Iran, un gran lavoro diplomatico che va avanti da mesi e che è sfociato in un meeting tenuto a Baghdad ad agosto dove per la prima volta erano presenti Egitto, Kuwait, EAU, Giordania, il ministro degli esteri della Turchia mentre quello dell’Iran ha incontrato i suoi omologhi del Kuwait ed EAU. Ufficialmente non ci sarebbero stato incontri diretti AS-Iran, ma molti pensano di sì anche perché, come detto, i due si parlano da tempo a riparo da orecchie indiscrete.
Bene, a quel meeting era presente anche Macron. A riguardo ci si potrebbe domandare se Macron fosse lì in missione delegata anche dagli USA o fosse lì di propria iniziativa. Questo secondo caso direbbe che non solo gli USA, ma anche la Francia ha una sua autonoma agenda geopolitica. In questo caso la faccenda dei sottomarini australiani sarebbe solo una nuova puntata di un “liberi tutti” di tono multipolare, in cui partner prima tra loro in cordata, cominciano a giocare ognuno la propria partita. In questo caso, chissà se la vecchia commessa Iran-Total concordata dopo l’accordo sul nucleare iraniano firmato ai tempi di Obama e poi saltato (come saltarono accordi anche con l’ENI) con la non ratifica da parte di Trump, potrebbe tornare d’attualità, cosa più irriterebbe gli americani dopo che questi hanno irritato Parigi?
Oltre a varie ragioni geopolitiche, segnalo due ragioni per questi tentativi di pax-islamica. La prima è che il Covid ha messo in ginocchio più o meno tutti dal punto di vista economico, ma alcuni più di altri. Ovvio cerchino tutti di riprendersi, nessuno è tanto più forte degli altri da potersi permettere di approfittare della debolezza generale, quindi tutti sono obbligati a sospendere le varie competizioni per curarsi dalla ferite pandemiche. La seconda è che c’è una poco nota, veramente drammatica, crisi idrica. L’Eufrate ha perso quasi metà della sua portanza. Ben tredici organizzazioni umanitarie collegate all’ONU segnalano che 5 milioni di siriani e nove milioni di iracheni sono a rischio avanzato di “catastrofe umanitaria”. Ma altri dicono che oltre a siccità e crollo delle precipitazioni dovute al cambiamento climatico che solo qualche coglione prezzolato seguito da sciami di coglioni decerebrati continuano a negare su Internet, c’è anche una responsabilità turca che ha dighe a monte del corso del fiume. A volte le crisi sono benefiche, poiché crisi viene dal greco κρίσις che voleva dire “scelta, decisione” chissà che tipi di decisioni queste crisi congiunte porteranno a prendere i rissosi stati musulmani della regione. E chissà che ruolo di mediazione occuperà la Francia. E chissà cosa ne pensa Biden.
Il terzo aspetto riguarda l’Europa. Tutto ciò che oggi notiamo nella strategia USA era da tempo previsto, io ne scrissi su un libro quattro anni fa e non perché sia veggente, ma perché se si fanno analisi e non commento polemico nelle guerre tra immagini di mondo, il dato di fatto di una divergenza di interesse e di interessi tra USA ed Europa, emergeva chiaro e semplice. All’Europa occidentale piacerebbe fare affari con la Russia, ma a quella orientale ed in definitiva anche agli USA no. All’Europa tutta piacerebbe fare affari con la Cina ma agli USA no. La NATO è a corto di ragioni strategiche come tutte le cose nate settanta anni fa in altri tempi, in altro mondo. Gli USA non hanno più la potenza di spesa del passato ed il tavolo della roulette si è ampliato, tocca decidere dove porre le fiches, tocca “scegliere”. Gli USA essendo uno Stato possono riorientare la propria strategia e declinarne le tattiche, l’Europa no perché non è uno Stato ma una congerie di Stati, staterelli, burocrazie, geo-storie, culture ed economie diverse e storicamente tra loro diffidenti ed in competizione. Quindi gli USA possono ignorare la NATO e dedicarsi a costruire la propria rete di alleanze nel Pacifico, dopo l’AUKUS, venerdì prossimo, dovrebbe tenersi il vertice QUAD con USA-Australia-Giappone-India e vedremo quanta volontà di attrito mostreranno giapponesi per altro in crisi di governo e l’India di Modi a pezzi dal punto di vista economico per via del Covid su cui ha sparato cifre di contagi e morti di pura fantasia (la più “grande democrazia” del mondo, vabbe’ …). Agli europei, invece, una NATO sgonfiata, pone problemi insormontabili, perché gli “europei” non sono “uno” Stato, né mai lo saranno perché non è possibile sotto tutti i possibili punti di vista conduciate l’analisi, a meno di non sostituire la razionalità analitica con la fantasia delirante. Ne seguono varie cose che qui non possiamo approfondire, come il piano di Difesa europea, il mitico ed impossibile esercito europeo, la forza militare di pronto intervento su base 6000 uomini delle tre armi che però serve a poco, l’industria militare, la totale assenza di competitività sulle nuove tecnologie, la stessa dipendenza dai chip di altri e tanto altro, veri e propri drammi irrisolvibili come il riarmo tedesco, il problema nucleare che ha risolto la sola Francia, il seggio al Consiglio di Sicurezza, il con quali soldi finanzi la spesa militare dentro cornici di bilancio unioniste stabilite ai primi anni ’90 quando si credeva che la storia fosse finita ed il mondo diventava un unico mercato etc. etc. .
Simpatica (e sintomatica) l’iniziativa britannica di cancellare l’uso delle metriche di peso e misura europee in favore del proprio sistema imperiale, definire il proprio “numero-peso-misura” è un classico dell’atto di piena sovranità. E dire che appena qualche anno fa stavamo tutti in paranoia per il Grande Governo Mondiale Unificato! Nulla descrive meglio il cambiamento storico del cambiamento del contenuto paranoide.
Un quarto aspetto riguarderebbe la Cina. Cina che dopo aver creato il RCEP ha chiesto formalmente venerdì di entrare nel CP-TTP. Cosa significhino queste sigle e cosa significhi questa richiesta e come andrà a finire se cioè verrà accettata o meno (verrà accettata) non c’è spazio qui per approfondire. Diremo solo che gli interessi economici intra-asiatici vanno da una parte, quelli di difesa e militari potranno anche andare da un’altra, questa non è una contraddizione, è pura logica da sistema multipolare. Con simpatica sincronia, tra giovedì e venerdì si è tenuto anche il 21° incontro della SCO (Russia-India-Cina-Pakistan-quattro repubbliche centro asiatiche, Bielorussia ed Armenia osservatori ed Afghanistan invitato speciale). Ma senza che ovviamente qui nessuno ne sapesse niente, è stata anche ratificata ufficialmente la cooptazione dell’Iran, cosina non proprio da poco. Ma c’è stato anche un incontro CSTO, un’alleanza militare con al centro la Russia e di corona i centro-asiatici che avrebbero dovuto ratificare l’istituzione di una armata comune di impiego ed azione rapida, un po’ come stanno discutendo gli europei. I sistemi asiatici si stanno organizzando per digerire il buco afgano in qualche modo e non solo questo.
Si noti la sincronia tra riunione SCO con cooptazione Iran, la domanda ufficiale cinese di adesione al CP-TPP e l’annuncio AUKUS prima del prossimo QUAD.
Insomma, le cronache multipolari come vedete sono in pieno sviluppo e non sono facili da raccontare e spiegare, si sta creando una matassa complessa ed i più, anche a livello di analisti, fanno fatica stargli appresso e capirne i sottostanti, quindi gli sviluppi. Meno male che ci sono i social in cui il primo che passa può raccontare la sua mirabolante versione del Risiko planetario, come abbiamo visto nella “settimana del commento” a seguito della sensibilizzazione ai fatti afghani, fiumi di parole che hanno aiutato a capire praticamente nulla di ciò che è successo, del perché e di ciò che succederà. Ma tanto è flusso eracliteo, tutto scorre, qualcuno affoga, altri fanno il loro distratto bagnetto d’attenzione, poi la vita normale tra nazisti del green pass ed evasori vaccinali, riprende la sua giusta, centrale, ribalta. Fino a quando quello che accade nel mondo “grande e terribile” non ci ribalterà tutti, vaccinati e non.

A proposito di difesa comune europea_ a cura di Giuseppe Germinario

Proseguiamo il dibattito avviato con i due articoli su NATO e Unione Europea http://italiaeilmondo.com/2021/08/17/la-nato-riprende-il-vantaggio-nel-suo-braccio-di-ferro-con-lue-di-hajnalkavincze/ e http://italiaeilmondo.com/2021/08/12/stati-uniti-nato-e-unione-europea-lillusione-di-un-addio-il-miraggio-dellautonomia_di-giuseppe-germinario/prendendo spunto dall’ennesima riproposizione, ricorrente nei settanta anni trascorsi, della costituzione di un esercito europeo. E’ opportuno ricordare che la proposta partì in primo luogo e non a caso dagli Stati Uniti, negli anni ’50, con il tentativo di costituzione della CED (Comunità Europea di Difesa) in fase di costituzione della NATO, antecedente alla costituzione del Patto di Varsavia. Trovò l’opposizione diffusa di numerosi ambienti militari europei, in particolare della Francia; fu ridimensionato una volta compreso dagli ambienti francesi e britannici che il pallino era passato ormai definitivamente in mano americana, non ostante le velleità franco-britanniche naufragate definitivamente con il fallimento dell’intervento congiunto sa Suez nel ’56 e che il potenziamento industriale della Germania Federale era di supporto al successo delle mire egemoniche statunitensi e al contenimento delle ambizioni anglo-transalpine. Anche in questa occasione, come pure nel congresso di Le Havre, la rumorosa ma poco significativa opzione federalista europea, intrisa di lirismo e liturgie, si rivelò uno strumento, sino ad un certo punto inconsapevole, della costruzione egemonica americana. La CED, in realtà, non si limitava ad un progetto di mera alleanza militare. Prevedeva oltre  ad un livello spinto di integrazione delle strutture militari, un analogo livello spinto di integrazione del complesso industriale legato agli interessi della difesa atlantica. Il piano Marshall era essenzialmente propedeutico a questo progetto. L’esito del confronto portò alla fine all’accordo parziale sulla NATO e sulla CECA; come noto, non si fermò nel prosieguo a quello stadio.

L’equivoco, del tutto connaturato alla prosecuzione degli attuali legami, prosegue ancora oggi confondendo in un unico calderone i propositi di autonomia con quelli di rafforzamento del legame atlantico.

Sulla falsariga di un dibattito, per altro in Italia del tutto superficiale e parolaio, sia pure con le dovute eccezioni, proponiamo alcuni interessanti articoli di militari francesi apparsi sul sito www.theatrum-belli.com. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Far convergere le esigenze dei militari in un sistema di forze.
Per il GCA (2S) Jean-Tristan VERNA, l’acquisizione di attrezzature comuni può urtare con la necessaria conservazione di una parte essenziale della sovranità in difesa. Oltre i produttori, sta ai militari riunirsi per far convergere le proprie esigenze in un sistema di forze.

Esercito europeo: la via della sovranità attraverso i
materiali?

“Difesa europea”, “difesa dell’Europa” o ancora più “esercito europeo”: qualunque sia l’ampiezza e la profondità, dibattiti, opinioni e commenti portano sempre prima o poi alla questione dell’equipaggiamento delle forze e dell’organizzazione della difesa.

Quante volte abbiamo sentito critiche ai massimi livelli, l’aberrazione
rappresentata dalla quantità dei diversi tipi di veicoli corazzati, aeroplani di combattimento, di fregate che equipaggiano gli eserciti del continente. E le ingiunzioni per creare “Airbus” per veicoli navali e blindati, ecc. seguono di conseguenza.
È da dimenticare che questa situazione è il risultato di diversi secoli di guerre intra-europee, conclusasi solo da due generazioni di decisori politici! Le basi industriali della difesa nazionale sono l’impronta lasciata dalla necessità che la maggior parte degli stati europei ha avuto per garantire la propria autonomia industriale, per preservare la lpropria integrità territoriale, realizzare le proprie ambizioni, addirittura garantire la propria neutralità, su tutto la sovranità.
Questo articolo si propone di dare un contributo alla definizione dei contorni della sovranità sull’equipaggiamento delle forze armate. Questa definizione può anche consentire un vero inventario delle sovranità; leggi nazionali che tracciano il percorso che un giorno potrebbe permetterci di mostrare questa sovranità a livello sovranazionale.
In questo campo, il primo fondamento della sovranità è la libertà di progettazione dell’attrezzatura 50. Nasce dalla libertà di sviluppo partendo da esigenze militari e di capacità.
Nei nostri giorni felici di “Pax Europea”, prima ancora della dispersione industriale, è spesso la mancata condivisione di questa esigenza che porta alla grande diversità di materiali da un paese all’altro. Quello che qualcuno considera una semplice questione di abitudine o conservatorismo
riflette piuttosto il carattere fortemente culturale che attribuisce agli eserciti nazionale a causa del loro ruolo nella strategia nazionale, la storia della loro guerre, la natura del loro reclutamento, a volte molto antico e ancorato alla cultura nazionale.
Ci ritroviamo così con linee di forza la cui inflessione non è facile: popoli del mare e antiche tribù dell’entroterra, nazioni centrate sull’Europa e conquistatori di imperi dimenticati, non tutti si ritrovano spontaneamente sulla stessa concezione dei loro bisogni militari, nonostante sette decenni
di standardizzazione della NATO. Uno metterà i suoi elicotteri da trasporto nelle forze aeree, l’altro nelle forze di terra, con notevoli differenze nell’implementazione, si prenderà di mira l’aereo da caccia versatile mentre altri costituiranno sempre flotte diversificate; una giurerà per il cingolato quando la ruota avrà il favore del vicino. Non bisogna dimenticare gli interminabili dibattiti tra fanti intorno al numero dei combattenti del cellula di combattimento di base, che alla fine determina l’architettura del veicolo che li porta a bordo!
Questa necessità di padroneggiare la progettazione iniziale dei materiali è accompagnata dal problema di poterli far evolvere secondo gli insegnamenti operativi, adottati per l’integrazione di nuove tecnologie, ecc.
Rapidamente, un pezzo di attrezzatura può prendere una configurazione molto lontana da
quello originale. Un buon esempio è la progressiva divergenza di configurazione di TRANSALL francesi e tedeschi, il cui impiego a lungo termine era molto diverso.
Infine, un materiale non può essere progettato senza il suo sistema di supporto, vale a dire come sarà realizzato il suo mantenimento in condizioni operative. La visione del supporto ha un forte impatto sulla progettazione iniziale dell’attrezzatura: il motore di un veicolo blindato deve essere sostituibile rapidamente sul campo, oppure si sceglierà un supporto di tipo industriale su base logistica, con soluzioni tecniche più vicine a quelle utilizzate per le apparecchiature ad uso civile? Se i sensori integrati verranno utilizzati o meno per tutti i tipi di materiali? Anche in questo caso, le culture militari europee sono spesso incompatibili. Alcuni eserciti favoriscono ancora il supporto più vicino alla zona di combattimento, mentre altri ritengono che questo approccio non corrisponde più alle realtà operative e tecniche.
Mantenere il controllo sulla scelta delle funzionalità operative delle apparecchiature e soluzioni tecniche che consentano di raggiungerle, avendo la libertà di evolvere, decidere come sostenerlo durante il periodo d’uso, questa è la prima base di sovranità in materia di equipaggiamento militare.
Un secondo fondamento di sovranità, sul quale non è utile indugiare a lungo come è ovvio, è la libertà di utilizzo dei materiali.
Un insieme politico sovrano, nazionale o sovranazionale, deve poter dispiegare e utilizzare liberamente i propri mezzi militari ovunque se ne presenti la necessità fatto sentire, e senza altre restrizioni che quelle imposte dalla legge internazionale. Siamo ben consapevoli dei limiti posti alla distribuzione e all’uso operativo di materiali acquistati dagli Stati Uniti in adozione della procedura FMS51. Anche la Francia li ha sperimentati con il lancia missili JAVELIN; sta acquistando, e presto armerà, i droni REAPER nonostante questi ostacoli alla sua libertà di azione.
Dovremmo fare della libertà di esportare un altro fondamento di sovranità?

C’è un dibattito sulla realtà dell’imperativo economico dell’esportazione che consentirebbe di contenere i costi di acquisizione delle attrezzature e di compensare il basso volume di serie “nazionali”. L’armonizzazione dei bisogni a livello sovranazionale sarebbe forse un argomento imperativoper superarlo.
Ma esportare non è solo una leva economica. È uno strumento di politica estera, di influenza sulla scena geopolitica, un consolidamento dei legami con gli alleati. Essere in grado di esportare o distribuire l’equipaggiamento militare secondo gli interessi strategici è quindi legato alla nozione di sovranità, ed è rilevante porre sistematicamente la questione della sua “esportabilità” quando un materiale entra nel design, quindi in produzione.
Libertà di progettazione, supporto ed evoluzione, libertà di utilizzo operativo, libertà di esportare, queste sono le basi che possono essere considerate nel definire la sovranità applicata all’equipaggiamento di un esercito, nazionale o sovranazionale che sia.
Ovviamente, ogni tipo di materiale apre sfide e difficoltà specifiche che sarebbe tedioso sviluppare: per non parlare dei mezzi di deterrenza nucleare, i materiali convenzionali innumerevoli che non presentano gli stessi problemi dei sistemi di comando e dei sistemi informativi integrati, o anche complessi sistemi di sistemi, molto in voga nel ristretto club delle nazioni tecno-connesse.
Ma ci sono abilità successive comuni a tutti i tipi di materiali: competenze umane, politiche e risorse per la ricerca e tecnologia, ormai strettamente legata alla R&T nel mondo civile, il controllo
dei diritti di proprietà intellettuale, autonomia di regolamentazione e fissazione di standard tecnici e ambientali, la decisione sulla politica di investimento e sulle procedure amministrative per allocazione dei budget e gestione del progetto di armamento, ecc.; tutte aree in cui lo sforzo complessivo è stato messo in atto in qualche decennio per costruire i mezzi di deterrenza francese
autonoma è un buon esempio storico. Cambiamento culturale di strategia che fu imposta agli eserciti francesi in quel momento oltre la celebrazione.
L’accettazione di questi fondamenti porta, in linea di principio, a tenerne conto e considerazione nella definizione della politica per l’acquisizione e la fabbricazione di materiale, se questa politica è completa o si applica a una famiglia di attrezzature, o anche ad attrezzature personalizzate.

La Francia ha provato questo esercizio con la teoria dei tre cerchi, ripresa nei suoi libri bianchi del 2008 e del 2013.
Ad un primo cerchio chiamato “della sovranità”, definendo le capacità critiche da padroneggiare a livello nazionale, si aggiunge un circolo di “interdipendenza”europeo” che presuppone una convergenza di specifiche tecniche e operative e una equilibrata condivisione industriale. Finalmente arriva il cerchio di “Ricorso al mercato mondiale”, per i mezzi la cui fornitura può essere garantita senza rotture o restrizioni.
Conosciamo le difficoltà sollevate da questa categorizzazione delle acquisizioni.
L’ambizione di sovranità portata dal “primo cerchio” passa attraverso la capacità di liberare le risorse umane ed economiche necessarie alla sua messa in opera. Se consideriamo che queste capacità di sovranità includono piattaforme complesse nucleari e le correlate spazio,
sistemi di intelligence, il dominio “cyber” e alcune altre molto sofisticate come i missili, le capacità tecnologiche per coordinare e i bilanci da mobilitare saturano abbastanza rapidamente le capacità nazionali.
Al di là delle disposizioni procedurali che esso presuppone (ad esempio, specifiche procedure di acquisizione), interdipendenza (europea) definita attraverso il secondo cerchio, è tanto più critico
rendersi conto che si tratta di attaccare due posizioni in cui è difficile irrompere: le culture degli
interessi militari e industriali, con la loro componente sociale. È da notare la forza che queste realtà impongono sul desiderio di armonizzazione e cooperazione, passata e presente.
Per quanto riguarda l’uso del mercato globale, attenzione a considerarlo come garanzia assoluta. Lo sfortunato episodio delle munizioni di piccolo calibro conosciuto dalla Francia qualche anno fa non va dimenticato. Cosa succede quando una crisi generalizzata fa precipitare tutti i poveri clienti
verso un numero limitato di produttori? La rapida saturazione di trasporto strategico durante l’ascesa o la fine delle grandi operazioni è un esempio di questi potenziali colli di bottiglia.
Tradurre il desiderio di costruire punti di forza in materiali comuni sovranazionali efficaci dal punto di vista operativo e alla portata delle capacità richiede quindi il superamento di queste difficoltà in termini di acquisizione: verso quale ambizione strategica e sovrana dobbiamo guidare la definizione delle capacità critiche? Che corpus condiviso di dottrine militari funge da riferimento per la definizione tecnica di hardware, gestione della configurazione e sistema di supporto?
Come organizzare la produzione industriale e le attività di supporto in servizio? Su quali basi politiche possiamo costruire flussi con il resto del mondo, sia per la fornitura che per l’esportazione?
Avvertimento !

La mancanza di una politica estera e di una catena di Comando europeo che si impone ai paesi membri, l’appetito per alcuni di questi verso le principali apparecchiature di origine americana, le difficoltà ricorrenti nell’organizzare un’industria delle armi a livello continentale in gran parte private e in parte di proprietà di fondi americani, sono tutti temi da trattare a livello politico in via preliminare ad ogni lancio di grandi idee relative al campo militare ben detto !
Per quanto riguarda i militari, cosa possono fare?
In primo luogo, richiamare l’imperativo del realismo: a livello nazionale, garantire che non lasciamo andare la preda delle capacità sovrane esistenti per l’ombra della costituzione delle capacità comuni dai contorni e dai metodi di attuazione mal definiti o mal concepiti. Allora, nella misura in cui il
processo politico sarebbe impegnato a condurre verso questo “esercito europeo”che periodicamente torna all’ordine del giorno, rivendicare un posto importante da far valere alle precauzioni da prendere sul campo della tecnica e dell’attrezzatura; un argomento che è facilmente assente dalle preoccupazioni dei diplomatici.
Seconda azione possibile, concentrarsi sulla proposta di soluzioni tecniche transitorie e affidabili, partendo dall’esistente. Questa azione può essere basata su una pratica antica; quella della convivenza di eserciti nazionali all’interno della NATO, anche quando la loro integrazione non è completa, come è stato il caso degli eserciti francesi per quarant’anni. Ed esistono già esempi in Europa, come il trasporto aereo europeo Comando (EATC) creato nel 2010.
Infine, senza negare le forti radici culturali di ogni esercito nazionale e senza sottovalutare l’impatto degli specifici interessi strategici di certe nazioni, i militari avranno interesse a sviluppare la condivisione dei loro approcci tecnici, tattici e logistici.
Ogni nazione imprime un marchio specifico sul proprio esercito, a seconda che si sia scelto di costruire un modello di esercito completo e autonomo, o ci si accontenti di alcune “nicchie di eccellenza”; a seconda che si chieda loro di preservare o non una capacità di “nazione quadro”.

La cultura di un esercito è ispirata con la stessa forza dalle scadenze di impegno fissate dalle
decisioni politiche, dal suo approccio nei rapporti con le popolazioni presenti in lontani teatri operativi, dalla sua capacità di comprendere le operazioni a lungo termine, il livello di integrazione di fattori umani nello sviluppo e nell’uso dei suoi materiali.
Avere una visione realistica e condivisa di questi aspetti culturali è l’unico modo per arrivare a specifiche tecnico-operative convergenti.
Occorre quindi un forum ufficiale di discussione e riflessione su questi temi, che possa apparire tecnico e militare-centrico. Infatti, se i militari hanno il loro posto nei dibattiti europei a livello politico-militare e strategico, sarà altrettanto importante fornire loro un quadro formale per
riflettere e discutere sulla preparazione di sistemi di forze condivisi tra nazioni.

50 Il termine “materiali” è comodo da usare ma è riduttivo. Tieni presente che copre anche
molti materiali numerabili, di varia complessità, sistemi d’arma la cui efficacia non può essere
solo attraverso le loro connessioni con il loro ambiente, i sistemi informativi, ecc.

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