La debolezza dell’approccio di Israele alla guerra _ Di  George Friedman

La debolezza dell’approccio di Israele alla guerra

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Il Medio Oriente si è trasformato in uno stato di combattimento estremo. Il crollo del sistema di governo in tutta la regione ha aperto nuovi fronti di guerra. Storicamente, tali situazioni sono state gestite dall’esercito israeliano. Questa realtà di base – che Israele è la forza militare dominante nella regione – rimane. Ma c’è una nuova dimensione del conflitto. Dobbiamo considerare se la strategia militare israeliana può essere definitiva – cioè se Israele ha la capacità di continuare a imporre la sua volontà ai suoi nemici su territori più vasti. In un certo senso, gli israeliani hanno alcune opzioni, nessuna delle quali è necessariamente attraente.

Il problema inizia con Hamas. Dopo l’attacco del 7 ottobre, Israele si è trovato di fronte a un dilemma: riteneva di dover distruggere Hamas in modo schiacciante. La strategia israeliana, quindi, è stata quella di imporre ad Hamas un sistema progettato per distruggere le sue capacità. In teoria, questo sembrava ragionevole. In pratica, è stato difficile da eseguire. Si è tradotta in attacchi massicci in tutta Gaza. Se Israele fosse stato più moderato, la strategia avrebbe potuto funzionare. Invece, ha attaccato i suoi nemici in battaglie sempre più intense che non hanno mai sopraffatto Hamas, permettendogli così di sopravvivere.

In altre parole, Israele pensava che colpendo ripetutamente Hamas avrebbe avuto la meglio. Non è stato così. La debolezza dell’approccio israeliano consisteva nel fatto che si svolgevano sempre le stesse operazioni con gli stessi risultati. Non era così che Israele faceva la guerra in passato. La guerra era condotta con una capacità tattica chiara e limitata. Nel caso di Hamas, questa chiarezza non esisteva: l’idea di attaccare su più fronti è diventata un principio. Anche in questo caso, non si tratta di un approccio irragionevole, fino a quando non si verifica una situazione in cui gli attacchi multipli sono semplicemente insufficienti a distruggere il nemico. Israele doveva condurre una guerra incentrata non sulla ridondanza, ma su un’attenta pianificazione. La questione ora è cosa ne pensiamo della strategia di Israele. Non è riuscito a distruggere Hamas e ha cercato di risolvere il problema moltiplicando le sue tattiche, e a parte i costi delle relazioni pubbliche, ha permesso al nemico di sopravvivere e di creare un altro sistema.

In particolare, le limitate capacità di Israele sono diventate una questione politica, con vari elementi che hanno sostenuto una varietà di attacchi, nessuno dei quali è stato efficace. Non è chiaro se Israele sia in grado di adattarsi. Nel contesto della guerra è molto difficile abbandonare una strategia. Implica la convinzione di un fallimento, ma spesso non ha un intento chiaro. Questo è ora il problema fondamentale che Israele deve affrontare. Israele dovrebbe essere sufficientemente vittorioso a questo punto per porre fine alla guerra, ma non è in quella posizione, né è in grado di cambiare la sua concezione della guerra per raggiungere un certo grado di vittoria, indipendentemente da ciò che dice il suo governo.

Ad onor del vero, molti Paesi hanno avuto questo problema. Ma Israele non ha avuto questo problema in passato, e quindi è una vera sfida per l’adattamento. In prospettiva, la domanda è dove andranno a finire le forze armate israeliane. Per Israele, la soluzione sembra essere spaventosa: Continuerà questa strategia semplicemente perché la capisce meglio degli altri. Non sono convinto che le forze israeliane siano in grado di condurre attacchi con ripetizioni infinite in guerra in quest’epoca.

Gli obiettivi di Israele in Siria

Le forze israeliane sembrano intenzionate a occupare a lungo le aree strategiche delle Alture del Golan.

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Di Andrew Davidson

L’improvvisa fuga di Bashar Assad dalla Siria ha lasciato un vuoto di potere. I ribelli che lo hanno rovesciato sono impegnati a rassicurare l’opinione pubblica e i leader stranieri che la transizione sarà ordinata e il più possibile pacifica. Nel frattempo, però, le potenze straniere si stanno giocando la posizione – nessuna più drammaticamente di Israele, le cui forze di terra occupano ora le alture del Golan, un tempo demilitarizzate, e i cui attacchi aerei in meno di una settimana hanno demolito i resti delle capacità militari della Siria. Di conseguenza, qualsiasi governo emerga in Siria sarà praticamente indifeso, e opererà a piacimento di qualsiasi potenza straniera in grado di esercitare la maggiore influenza o forza – il che va benissimo per Israele.

Poco dopo la fuga di Assad dal Paese, le forze israeliane si sono spostate nella zona cuscinetto controllata dalle Nazioni Unite nelle Alture del Golan, un altopiano di 1.800 chilometri quadrati che domina Israele, Siria, Giordania e Libano. Rispondendo alle accuse secondo cui l’invasione avrebbe violato l’Accordo sul disimpegno del 1974, che istituì la zona cuscinetto e pose fine alla Guerra dello Yom Kippur, i funzionari israeliani hanno affermato che la caduta del regime di Assad ha segnato la fine dell’accordo e che il controllo israeliano delle alture del Golan e del Monte Hermon è vitale per la sicurezza di Israele. La preoccupazione immediata di Israele è che i disordini siriani possano estendersi al suo territorio, una minaccia da cui può difendersi meglio se le truppe israeliane mantengono il controllo delle alture.

Tuttavia, l’occupazione israeliana non sembra destinata a essere temporanea. Domenica, il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che l’esercito si sta preparando a trascorrere i mesi invernali sul versante siriano del Monte Hermon, esortando al contempo il governo ad aumentare il bilancio della difesa. Lo stesso giorno, il governo israeliano ha approvato un piano per raddoppiare la popolazione nella regione contesa. Nonostante ciò, Ahmad al-Sharaa, il nuovo leader de facto della Siria, meglio conosciuto con il suo nome di battaglia Abu Mohammed al-Golani, ha dichiarato che il suo Paese, “stanco di guerra”, non si lascerà trascinare in un’altra guerra – anche se ha accusato Israele di perpetrare una “escalation ingiustificata” con falsi pretesti.

Non che la Siria, nelle sue condizioni attuali, possa fare molto per resistere. Dalla caduta di Assad, Israele ha condotto centinaia di attacchi aerei su obiettivi militari in Siria. Ha colpito navi da guerra siriane nei porti di Al-Bayda e Latakia, oltre a campi d’aviazione, attrezzature militari, cache di armi, impianti di produzione di armi e siti di armi chimiche. Israele ha anche dichiarato di aver distrutto più del 90% delle capacità di difesa aerea della Siria, il che significa che i suoi aerei possono continuare a operare liberamente nello spazio aereo siriano. Secondo Katz, è importante per Israele distruggere le “capacità strategiche” potenzialmente minacciose e garantire che gli estremisti non mettano le mani su armi pericolose. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato di aver comunicato ai nuovi leader siriani che Israele è pronto a usare la forza per impedire all’Iran di ristabilirsi nel Paese. Tuttavia, è probabile che le limitazioni di personale impediscano a Israele di avanzare più in profondità in Siria o di affrontare direttamente il nuovo governo siriano.

Nonostante il chiaro elemento difensivo alla base degli attacchi di Israele, quest’ultimo sembra intenzionato a occupare a lungo la zona cuscinetto, soprattutto alla luce dei piani del governo di trasferire più civili israeliani nell’area. Il controllo di punti strategici nelle Alture del Golan permetterà a Israele di condurre operazioni offensive anche in seguito.

Ma Israele non è l’unico a considerare come trarre vantaggio dalla transizione del governo siriano. L’elenco delle principali potenze straniere interessate a plasmare il futuro della Siria è lungo e comprende Turchia, Iran, Russia e Stati Uniti. La distruzione delle capacità militari siriane da parte di Israele ha lasciato i nuovi leader estremamente deboli e vulnerabili all’influenza esterna. Le maggiori ricompense potrebbero arrivare a coloro che, come Israele, si muovono più velocemente.

Andrew Davidson è attualmente uno stagista della GPF e sta completando un master in relazioni internazionali. Prima di entrare a far parte della GPF, ha prestato servizio nell’esercito degli Stati Uniti per 11 anni.

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“Il PRANZO DI BABELE”, di Cesare Semovigo

“Il PRANZO DI BABELE”

La sconfitta del governo di Bashar al-Assad rappresenta uno frattura epocale nella geopolitica mediorientale. Con la caduta della fragile fù Repubblica Siriana, i riabilitati miliziani di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e dell’Esercito Siriano Libero (ESL), dopo aver piegato lo spazio tempo anti-Newtoniano, conquistano la capitale. Gettano la Siria in una dimensione indefinibile ad alto rischio e le probabilità che l’area venga investita da una cronica instabilità esponenziale, sono altissime.

Forse, proprio per questo, nessuno osa fare chiarezza nella rappresentazione dei media generalisti, quasi come per esorcizzare e allontanare il momento nel quale, la consapevolezza delle masse narcotizzate del mondo “libero” dovrà fare i conti con se stessa e le sue dinamiche autoassolutorie di impero centralizzato decadente. Con solerzia, le muse dei media occidentali, ingessate dall’eccessivo uso di tossine metabloccanti, ci rassicurano, consolando prima di tutto loro stesse; attraverso la ripetizione di slogan come: “la Siria ha scelto ! “, “Finalmente liberi”, si compie il paradosso suicida di una propaganda ridondante, nuda nel manifestare i suoi intenti e quindi controproducente rispetto alla finalità ipnotica perdente.

Lasciate si compia con una disarmante scioltezza il destino del “designated survivor” al-Joulani. Partì JIadista, giunse “moderato”, suo malgrado artefice di un destino folgorante, analizzando il quale, non faccio fatica a immaginare possiate ora interrogarvi rispetto alla credibilità della sua ascesa, Avatar folgorato sulla strada di Damasco.

L’esercito siriano, ormai eroso da anni di conflitto e logorato da una crisi interna senza precedenti, si è arreso alle forze Salafite jihadiste e Turcomanne, segnando la fine del controllo dell’ultimo esponente degli Al Assad su un paese diviso e tribalizzato all’ennesima potenza, ormai incapace fisiologicamente di sopportare un altro scontro sanguinoso.

Un ruolo fondamentale nel contenimento dell’ISIS e di altre formazioni jihadiste era stato svolto dal Gruppo Wagner che operava in stretta collaborazione con le unità governative siriane. Questo contributo è stato dettagliato nel libro “Io, comandante Wagner” di Andrei Kolesnikov, ex ufficiale con legami diretti con i contractor russi. Kolesnikov descrive non solo l’ampio supporto logistico e operativo fornito, ma anche le difficoltà strutturali dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), spesso caratterizzato da un’organizzazione efficiente e da un morale basso. Wagner è stato essenziale per compensare queste debolezze, fornendo una guida tattica e un’efficace forza d’urto nelle battaglie più critiche. Ma ecco la ciliegina sulla torta: l’escalation sia da parte di Israele che della Turchia, insieme alle gesta quasi shakespeariane di al-Julani, potrebbero non essere così casuali come sembrano. È forse una musica orchestrata da potenze maggiori?

Tra le unità più celebri assistite dal Gruppo Wagner spiccano i “Cacciatori dell’ISIS”, un’unità specializzata nella contro-guerriglia e nel recupero di posizioni chiave, e le “Tiger Brigades”, comandate dal carismatico generale Suheil al-Hassan, una delle figure più iconiche della guerra civile siriana. Al Hassan, noto per il suo stile operativo diretto e per le sue vittorie chiave, fu determinante durante l’assedio di Aleppo, un’operazione che segnò una svolta decisiva per il regime di Assad. La sua capacità di combinare attacchi mirati con una strategia di assedio prolungato ha reso le Tiger Brigades un simbolo del successo tattico siriano.

Tuttavia, con il progressivo trasferimento del Gruppo Wagner verso altri teatri operativi, come la Libia e il Sahel, si è verificato un indebolimento evidente delle linee governative siriane. La ritirata dei “musicisti”, che avevano svolto un ruolo di coordinamento critico, ha lasciato un vuoto che l’Esercito Arabo Siriano non è stato in grado di colmare. Privato di un coordinamento tattico di alto profilo e logorato da anni di conflitto, il SAA ha mostrato segni di rilassamento nel mantenimento delle posizioni.

Questa situazione ha dato il via a un effetto domino, in cui la mancanza di leadership strategica ha accelerato lo smembramento del fronte governativo. L’assenza di un supporto esterno disciplinato e la progressiva frammentazione delle forze leali hanno lasciato il terreno fertile per l’avanzata di forze jihadiste come HTS, contribuendo in modo determinante alla caduta del regime di Assad.

La “Pistola Fumante” dell’Offensiva HTS/ESL

L’attacco partito da Idlib, ironicamente ribattezzato “califfato di Idlibistan”, ha messo in evidenza la complessità delle formazioni ribelli e jihadiste attive nel quadrante settentrionale della Siria. Questa galassia di gruppi in tutto ben 13 agisce con una sorprendente coesione operativa:

  1. Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Abu Mohammad al-Julani, ex comandante di Jabhat al-Nusra (Salafiti), che si pone come principale forza egemone nella regione.
  2. Brigate dell’Esercito Siriano Libero (ESL), parzialmente aggregate sotto l’ombrello turco e utilizzate da Ankara come strumento di pressione militare e politica.
  3. Milizie jihadiste minori, tra cui fazioni salafite e turcomanne finanziate da monarchie del Golfo, con particolare coinvolgimento del Qatar, che continua a supportare attori non statali con una chiara matrice ideologica.

L’offensiva, lanciata con impressionante rapidità entro 48 ore dagli incontri diplomatici ad Ankara, sembra essere stata sostenuta da un apparato logistico e militare di alto livello. Testimonianze locali e analisi satellitari indicano il coinvolgimento di forniture militari avanzate Standard Nato di origine Turca, Blindati Pantera (Giordania), UAV Shaheen (droni armati e da ricognizione – Giordania -), MRLS ruotati e Grad, Artiglieria AA ruotata 50 mm (affusti USA anni 50), Binate 20 mm su Toyota, sistemi di comunicazione sicuri e una logistica paragonabile a quella di eserciti regolari. Proprio il ruolo dell’industria scintillante giordana Jadara sarà la protagonista di un’inchiesta che seguirà a breve nella quale faremo chiarezza su questa realtà molto moderna e ben connessa con companys blasonate occidentali e quale è stato il suo ruolo in questa operazione e di chi abbia fornito il supporto satellitare e di targeting ai droni Shaheen che dal primo giorno di invasione hanno attirato la mia attenzione ed il fatto che nessuno ne ha fatto menzione mi ha convinto ad occuparmene, come vedrete, con risultati “esplosivi” a partire dai suoi illustri azionisti da una parte e da chi non ti saresti mai aspettato nel consiglio di amministrazione in questa parte del globo.

Questo livello di sofisticazione, unito alla coincidenza temporale con i colloqui del 23-24 novembre, solleva più di un sospetto su una possibile convergenza di interessi tra i principali attori della regione. Interessante è la tattica simile a quella usata dagli Ucraini a Kursk; in questo casa è risultata vincente, ma come vedremo dietro la staccionata il nulla. Tralascio i rumors circa gli addestratori di Budanov per i droni, vorrei non fosse vero per non confermare quella nota trash da distopic B movie alla quale siamo ormai abituati da tempo.

Interpretazioni Strategiche

La mobilitazione di Hay’at Tahrir al-Sham e delle altre fazioni che operano nella regione di Idlib può essere interpretata come parte di una strategia più ampia per contenere l’influenza iraniana, limitare la capacità di Hezbollah e spezzare ulteriormente l’asse sciita, secondo studi condotti dal Middle East Policy Council e dalla International Crisis Group. L’ottica anti-iraniana e antisciita sarebbe corroborata dal contributo di attori come il Qatar, già noto per il sostegno finanziario e politico a gruppi salafiti, il cui ruolo chiave nell’alimentare la galassia jihadista di Idlib mira a rafforzare la presenza sunnita in contrapposizione al blocco sciita. Nell’analisi di Stratfor e di alcuni report investigativi pubblicati da Al Jazeera, emerge inoltre il possibile coinvolgimento di intelligence occidentali e turche: la sofisticazione delle operazioni sul campo, compresi i sistemi UAV di ultima generazione e tecnologie di comunicazione avanzate, suggerisce una partnership non ufficiale, mediata da Ankara, con apparati euro-atlantici interessati a limitare l’influenza iraniana. Questa sinergia, da molti considerata un piano coordinato, potrebbe in realtà essere una convergenza di interessi differenti che si incontrano e si rafforzano in una dinamica assai più complessa, come ipotizzato anche dai colleghi analisti del Brookings Institution, lasciando aperti interrogativi sulla natura e la direzione futura di tale alleanza de facto in una Siria già segnata da anni di conflitto.

L’incredibile sincronia tra gli incontri diplomatici di alto livello ad Ankara e il successivo inizio delle ostilità è difficile da interpretare come una semplice combinazione fortuita. Piuttosto, appare come il risultato di una convergenza tattica tra attori con obiettivi complementari: indebolire il regime di Damasco, arginare l’influenza iraniana e consolidare il controllo turco sulle aree settentrionali della Siria. Sebbene non si possa parlare con certezza di un’alleanza formale tra Turchia, Qatar e potenze occidentali, emergono chiari segnali di una complementarietà strategica, dove interessi autonomi si sovrappongono nel perseguire obiettivi comuni.

La “pistola fumante” dell’offensiva HTS/ESL non sta solo nelle armi avanzate o nei sofisticati sistemi di intelligence, ma anche nella precisa tempistica con cui è stata orchestrata. Questa operazione, condotta con il tacito avallo — o almeno la neutralità benevola — di vari attori internazionali, ha portato a una nuova destabilizzazione del Levante.

Le Conseguenze di un Levante Rimodellato

Le implicazioni di questa offensiva vanno ben oltre la Siria settentrionale. L’azione militare ha ulteriormente frammentato il territorio siriano, lasciando il Libano ancora più isolato e aumentando le difficoltà logistiche per Hezbollah. La comunità internazionale, intanto, sembra sempre più distante dal trovare una soluzione politica condivisa, lasciando la Siria intrappolata in un conflitto di lunga durata che alimenta la precarietà regionale. Se l’obiettivo di Ankara, Israele e delle monarchie del Golfo era ridisegnare l’assetto del Levante, l’offensiva HTS/ESL potrebbe essere vista come un passo determinante in questa direzione, ma con costi umani e politici enormi.

Mentre gli attori regionali ricalibrano le loro strategie, Israele e Turchia emergono come due protagonisti principali. Pur senza formalizzare un’alleanza, entrambi sembrano perseguire interessi strategici complementari, sfruttando l’opportunismo che accomuna queste due potenze regionali.

La trasformazione di HTS, sotto la guida di Abu Mohammad al-Julani, da organizzazione jihadista a potenziale forza governativa, apre scenari inquietanti. La leadership di al-Julani, un tempo affiliata ad al-Qaeda, solleva interrogativi sulla sostenibilità di questa “nuova Siria”, ma ancor più sul ruolo delle potenze che hanno, direttamente o indirettamente, facilitato questa transizione. La sceneggiatura, degna di un film di Carpenter, racconta tradimenti e reazioni tossiche (l’Occidente e quella fidanzata difficile chiamata verità) che segnano un capitolo amaro. Come la parabola del nostro Nicolas Cage salafita, che dopo l’arresto rieducativo nelle carceri dorate del più famoso servizio segreto cinematografico, vive ora il meritato successo, rendendo orgogliosi i suoi produttori: i padri dell’epopea dell’Hollywoodismo.

Mi riferisco allo script scadente, visto e rivisto, della narrativa decadente del “Nuovo Secolo Americano”. Fonti anonime spoilerano persino il titolo del film: al-Julani alla ricerca del tesoro per conto dei Templari.

Il suo discorso “magnum” (camicia da “Barbudos” pacatezza da condottiero salafita) che lo ha lanciato nell’olimpo della storia moderna, è avvenuto nella più iconico luogo di culto della tradizione ottomana in Siria: la Moschea di Tekkiye Süleymaniye (o Moschea Süleymaniye) a Damasco. Tutte le strade portano ad Ankara e Tel Aviv.

Geopolitica degli intrighi e menti raffinatissime.

Questa volta abbiamo intersecato un lavoro certosino di fonti con la ricerca di piccole note stampa insignificanti, tuttavia senza le intuizioni scaturite dai primi droni israeliani sulla Siria durante le operazioni contro Hezbollah, le varie localizzazioni e tracce radar parziali dagli aeroporti di partenza fino all’appoggio indiretto idf a htf colpendo i ponti sulla linea logistica delle retrovie di Homs non saremmo riusciti ad condurvi insieme a noi a ritroso fino realizzare l’algoritmo logico e fattuale che ha prodotto queste nostre solide ipotesi. Ma a volte le risposte più serie si nascondono dietro le battute più leggere. Proprio in questi momenti ci rendiamo che “essi vivono” insieme a noi come nei film John Carpenter, il maestro del surrealismo esoterico.

Ankara: convergenze o alleanze?

Prendiamo il recente incontro tra Ronen Bar, capo dello Shin Bet israeliano, e İbrahim Kalın, capo dell’Organizzazione Nazionale di Intelligence turca (MIT). Questo summit non proprio alla luce del sole si è svolto ad Ankara il 16-17 novembre 2024, in un fine settimana che potrebbe sembrare come tanti.

Ma ecco la ciliegina sulla torta: l’escalation sia da parte di Israele che della Turchia, insieme alle gesta quasi shakespeariane di al-Julani, potrebbero non essere così casuali come sembrano. È forse una musica orchestrata da potenze maggiori?

L’obiettivo dell’incontro? Discutere il possibile ruolo della Turchia nella ripresa dei negoziati per uno scambio di prigionieri con Hamas. E qui entra in gioco l’Egitto, che secondo le fonti israeliane, dovrebbe mantenere il ruolo di mediatore principale, nonostante il Qatar abbia messo temporaneamente in pausa i suoi sforzi di mediazione, in attesa di vedere un autentico spirito di collaborazione tra Israele e Hamas.

Il balletto degli ostaggi e le pressioni su Hamas

La questione degli ostaggi detenuti da Hamas rappresenta un nodo cruciale nelle dinamiche regionali. Fonti israeliane indicano che la liberazione degli ostaggi è al centro di intense trattative, con Israele che sollecita un intervento più deciso da parte degli Stati Uniti per esercitare pressioni su Hamas. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, vede in una risoluzione positiva di questa crisi un’opportunità per rafforzare la sua posizione politica interna.

Nel frattempo, il Qatar ha sospeso i suoi sforzi di mediazione, dichiarando che riprenderà solo quando entrambe le parti dimostreranno una reale volontà di dialogo. Questo ritiro ha aperto spazi per la Turchia, che, riallacciando i legami con i Fratelli Musulmani, potrebbe assumere un ruolo più attivo nel processo, sebbene non come mediatore principale.

Questi incontri suggeriscono una ricalibrazione delle relazioni tra Turchia e NATO, con Ankara che cerca di rafforzare la sua posizione all’interno dell’Alleanza, mentre persegue parallelamente i propri interessi regionali.

 

Le manovre israeliane nel sud della Siria e in Libia

 

Israele sta ampliando il suo raggio d’azione oltre Gaza, concentrandosi sul sud della Siria e sulle comunità druse. Alcuni analisti ipotizzano che Netanyahu stia considerando mosse per consolidare il controllo su queste aree strategiche, sia per motivi di sicurezza che per rafforzare la sua posizione politica interna.

Parallelamente, emergono speculazioni su possibili iniziative israeliane nel sud della Libia, volte a stabilire alleanze con tribù locali per estendere la propria influenza nel Nord Africa.

Il bello viene ora: nonostante le relazioni tra Israele e Turchia siano tese, aggravate dalle critiche incendiarie del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nei confronti delle operazioni militari israeliane a Gaza, i due paesi sembrano avere una capacità quasi camaleontica di mantenere i canali di comunicazione aperti. È un po’ come vedere due ex amanti che, nonostante si lancino i cocci, non riescono a smettere di mandarsi messaggi erotici di mezzanotte.

Il 23 novembre, un altro incontro si svolge in uno scenario meno pubblicizzato. I dettagli sono oscuri, le fonti scarse, ma gli echi di discussioni sulla sicurezza regionale tra figure chiave suggeriscono che il plot si infittisce.

Poi, il 24 novembre, il segretario generale della NATO, l’lOlandese Rutte, incontra a porte chiuse alcune delle stesse figure chiave. Gli argomenti? Coordinamento su sicurezza e, forse, un po’ di diplomazia preventiva. E come un buon dramma siriano, tutti sanno che oggi alleati possono essere domani avversari.

Numerosi rilevamenti geolocalizzati indicano che la mobilitazione dei ribelli sia avvenuta nei pressi della base militare turca di Gaziantep, uno snodo strategico da cui storicamente transita un notevole volume di rifornimenti destinati alle operazioni turche in Siria. Subito dopo tali incontri, HTS ed ESL hanno lanciato una campagna contro le residue difese del regime di Assad a Idlib, evidenziando un alto grado di organizzazione e un supporto logistico avanzato. Parlare di coincidenze risulta dunque arduo: la stretta vicinanza temporale tra i vertici di alto livello e l’offensiva solleva il sospetto di una regia comune o, quanto meno, di un tacito coordinamento mirato a sfruttare la vulnerabilità del regime siriano e dei suoi alleati.

Faccio presente ai colleghi che ancora non ho letto una sacrosanta interpretazione del funambolico attentato ai gioielli dell’industria bellica di Ankara, appioppato — perdonatemi il volgare — alle armate di San Sebastiano Curde, che a quanto pare, dopo aver rinnegato anche l’Odisseo del PKK, attendevano questo epilogo degno dell’Anabasi, ma in direzione inversa e senza ritorno. Spero possa perdonarmi Senofonte per questa mia misera licenza per niente eroica nell’immagine che fornisce.

E come sempre, nel grande gioco del Medio Oriente, le alleanze sono come le onde del mare: vengono, vanno, e talvolta travolgono.

E mentre il mondo osserva, analizza e ipotizza, le manovre imperialiste di USA, Turchia e Israele potrebbero essere interpretate come un’orchestrazione coordinata, un trio che danza sul filo del rasoio geopolitico, con la Siria come scacchiera.

Gli ultimi sviluppi sul campo siriano si inseriscono in una più ampia strategia di contenimento dell’Iran, che sta progressivamente erodendo la capacità di Teheran di mantenere il suo storico corridoio logistico verso il Mediterraneo. Con la caduta di Assad e il conseguente vuoto di potere a Damasco, il cosiddetto “Asse della Resistenza” — composto da Siria, Hezbollah e Iran — si trova di fronte a sfide sempre più pressanti.

Hezbollah, tradizionalmente il pilastro sciita nell’area, è stato costretto sulla difensiva. I suoi ritiri oltre il fiume Litani e le crescenti difficoltà logistiche hanno minato la sua capacità operativa. Inoltre, la perdita di accesso diretto e sicuro alla Siria complica ulteriormente il rifornimento delle sue linee e la sua capacità di resistenza contro Israele. La situazione è aggravata dall’attivismo della Turchia, che sostiene milizie di etnia turcomanna e finanzia forze anti sciite, e dal coinvolgimento di intelligence euro-atlantiche, spesso coordinate con attori del Golfo a matrice salafita. Questa pressione multiforme che combina tattiche militari, finanziamenti regionali e operazioni di intelligence ha reso quasi impossibile per Teheran mantenere la solidità della sua influenza su Damasco, Beirut e lungo il confine siriano-libanese. L’Iran si trova così a fronteggiare una coalizione di interessi regionali e internazionali che, pur agendo in maniera non sempre coordinata, converge sull’obiettivo comune di ridurre l’influenza iraniana nel Levante.

Parallelamente, Israele ha approfittato della debolezza dell’asse sciita per intensificare i suoi attacchi mirati contro obiettivi strategici in Siria. L’attivismo di Tel Aviv, unito all’azione turca e al sostegno delle monarchie del Golfo alle formazioni jihadiste, configura una situazione in cui l’asse Damasco-Teheran-Beirut è sempre più accerchiato e indebolito. Questa pressione non solo impedisce all’Iran di espandere la propria sfera d’influenza, ma pone in seria discussione la sua stessa capacità di mantenere una presenza efficace nell’area.

La posizione dell’Iran, quindi, è in bilico, intrappolata tra la necessità di consolidare le sue alleanze e l’impossibilità di contrastare efficacemente una pressione combinata, che si manifesta sia sul piano militare che su quello economico e politico. Se il corridoio iraniano verso il Mediterraneo dovesse cedere definitivamente, le implicazioni strategiche sarebbero enormi, non solo per Teheran, ma per l’intero equilibrio regionale.

Questa offensiva, scattata a poche ore dalla fragile tregua tra Israele e Hezbollah, sembra mirare a scalzare ulteriormente le residue posizioni governative in Siria. L’isolamento del Libano via terra dall’Iran e l’indebolimento dell’asse Damasco-Teheran-Beirut costituiscono obiettivi strategici chiari, perseguiti con azioni ben sincronizzate e metodicamente pianificate. L’apparente passività di alcune unità governative siriane durante l’offensiva, unite a segnalazioni di abbandono di posizioni senza distruggere depositi di armi e mezzi, potrebbe riflettere protocolli di pressione o persuasione negoziata operati da intelligence turche (MIT) e partner occidentali. Ah, chiedo perdono al Mossad, che non si offenda, è dato per scontato.

Da un lato, la Turchia continua a coltivare rapporti con HTS, offrendo un canale di legittimazione per l’organizzazione, nel tentativo di mantenere la pressione su Assad e, al contempo, contenere la presenza curda. Dall’altro, i successi di HTS consentono ad Ankara di consolidare la sua influenza su una fascia strategica del nord della Siria, che le permette di proiettare potere sulla regione senza un coinvolgimento diretto e costoso. La complementarità di obiettivi con Israele appare evidente: entrambi perseguono, con modalità diverse, la frammentazione dell’asse sciita e il contenimento dell’Iran.

Israele e il “bottino di guerra”: Eau de Escalation (N°5)

Israele, sempre pragmatico e spietato nelle sue mosse geopolitiche, sembra uscire da questa crisi come il principale vincitore. La caduta di Assad segna un duro colpo per l’asse sciita, isolando il Libano dall’Iran e costringendo Hezbollah a ritirarsi oltre il fiume Litani. Ma il vero colpo da maestro potrebbe essere l’annessione di fatto del Golan, un progetto che Israele ha cullato per decenni e che, grazie alla disgregazione siriana, si avvicina sempre di più alla realtà.

Con la disintegrazione del potere centrale siriano, Tel Aviv ha iniziato a ventilare progetti di intesa con la comunità drusa del sud della Siria. Gli elementi chiave di questo piano comprende la concessione del doppio passaporto — una strategia già applicata ai drusi del Golan, quasi tutti cittadini israeliani — e una narrazione di protezione e integrazione che mira a cementare il controllo israeliano sull’area. Questo non solo rafforzerebbe la sicurezza ai confini settentrionali, ma fornirebbe a Netanyahu, noto per la sua abilità camaleontica, un “bottino di guerra” politico capace di rilanciare la sua carriera.

Bibi Netanyahu, sempre fedele al motto mai lasciare che una crisi vada sprecata, potrebbe infatti vendere questo risultato come un successo senza precedenti. Un sequel politico inaspettato per un leader longevo e opportunista, che ha fatto del rischio calcolato la sua cifra distintiva. Persino il miglior giocatore d’azzardo non avrebbe potuto prevedere che la disintegrazione della Siria avrebbe offerto una ricompensa così ricca e insperata. Ma Netanyahu non è solo un rischiatutto: è il tipo di uomo che non solo punta tutto al tavolo da gioco, ma riesce anche a convincere gli altri che il mazzo è segnato a suo favore (il banco, in ogni caso, tende a dargli le carte che desidera).

Sebbene non vi siano prove definitive di un’alleanza formale tra Turchia e Israele, la complementarità dei loro obiettivi strategici appare evidente. La frammentazione della Siria, l’isolamento dell’Iran e la marginalizzazione dell’asse sciita servono sia gli interessi di Ankara che quelli di Tel Aviv. La Turchia ottiene un’enclave operativa nel nord della Siria, utile per contenere i curdi e proiettare potere nella regione. Israele, dal canto suo, elimina un nemico storico e si garantisce una sicurezza strategica senza precedenti lungo il confine settentrionale.

Questa complementarità potrebbe non essere frutto di un coordinamento esplicito, ma il risultato è tanto efficace quanto lo sarebbe una vera alleanza. Ankara e Tel Aviv stanno riscrivendo le regole del gioco in Medio Oriente, ciascuna perseguendo i propri interessi ma sfruttando le stesse dinamiche regionali.

Tralascio colpevolmente le scuse Israeliane, attendo la prossima: Abbiamo portato il sale pensando fosse Cartagine. Preventivamente nelle migliori delle tradizioni, in fede Mosè D…. Sorry Bibi.

Rapporti di buon vicinato

Alla luce della situazione, diviene sempre più evidente la presenza di un complesso intreccio di interessi regionali e internazionali. La convergenza di interessi occulti salafiti, qatarioti, turcomanni, oltre agli immancabili servizi anglo-occidentali, combinati al supporto logistico turco, sembra orchestrare un’azione coordinata atta a contenere i successi del Cremlino sul fronte ucraino e a ridisegnare gli equilibri del Levante, in particolare mirando alla marginalizzazione dell’asse sciita e alla frammentazione del fronte della resistenza.

L’imminente transizione politica negli Stati Uniti, con l’arrivo della futura amministrazione Trump, potrebbe accelerare ulteriormente le iniziative militari e diplomatiche di attori regionali, intenzionati a consolidare posizioni prima che nuove politiche estere possano ridefinire le priorità globali in un contesto saldato alle più che pronosticate contromisure del tutt’altro che sconfitto stato profondo.

La Giordania, pur essendo uno dei principali punti di transito per gli armamenti verso la Siria, si è sempre dichiarata estranea alla proliferazione non controllata. Tuttavia, il ruolo di questo crocevia logistico resta controverso, e l’ampia disponibilità di armi avanzate nelle mani di HTS pone interrogativi inquietanti. Quali meccanismi hanno consentito che tali forniture raggiungessero un gruppo jihadista? E quanto della frammentazione siriana può essere attribuito a errori — o strategie discutibili — nei programmi di armamento internazionale?

il Qatar, l’Italia e il denaro che parla la lingua dei Fratelli Musulmani

Che il Qatar sia da anni il “salvadanaio globale” dei Fratelli Musulmani non è un mistero per chi osserva la politica mediorientale con occhio lucido. Doha, attraverso Qatar Charity e altre strutture finanziarie, si è distinta come epicentro di un’attività capillare: finanziamenti a moschee, centri islamici e progetti educativi con chiara matrice politico-religiosa, specialmente in Europa. Larry Johnson descriverebbe il metodo con la freddezza tipica della CIA: “Non serve mandare armi quando puoi inviare milioni. La religione è un fiume, il denaro è la sua sorgente”. Ed è esattamente ciò che è avvenuto, soprattutto in Italia, uno dei principali terreni di coltura dell’influenza qatariota.

Il libro Qatar Papers di Georges Malbrunot e Christian Chesnot ha squarciato il velo. I finanziamenti milionari qatarioti sono arrivati direttamente nelle mani delle comunità islamiche più vicine all’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), a sua volta collegata all’influenza dei Fratelli Musulmani. Non parliamo di “charity”, ma di una strategia ben congegnata. Dai centri islamici in Lombardia fino a moschee in Toscana e Sicilia, Doha ha riversato fondi per consolidare quella che si potrebbe definire “una testa di ponte culturale mascherata da tolleranza religiosa”. È soft power, con implicazioni profonde e di lungo termine: non solo religione, ma un’architettura politica che plasma il pensiero.

L’Italia, spesso inconsapevole o troppo compiacente, è stata il terreno perfetto. La Qatar Investment Authority (QIA), con i suoi 335 miliardi di dollari, non si limita a finanziare infrastrutture: possiede quote in banche, alberghi di lusso e settori strategici italiani. I soldi del Qatar, ammantati di legalità, comprano accesso e influenza.

Primavere Arabe e la caduta dei Fratelli Musulmani: un passo indietro per prepararne due avanti

Dopo le Primavere Arabe, i Fratelli Musulmani erano destinati al trionfo. La vittoria di Mohamed Morsi in Egitto sembrava l’incipit di una nuova era islamista. Poi arrivò il 2013. Il golpe militare di Abdel Fattah al-Sisi, sostenuto dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, ha decapitato il movimento in modo sistematico. Arresti, esecuzioni, un’intera generazione di quadri politici distrutta. I Fratelli sono passati da vincitori ad appestati Quando la politica fallisce i carri armati risolvono il problema. E Al-Sisi risolse, ma il prezzo fu alto: un regime che oggi appare come una fortezza di sabbia, sostenuta da corruzione e spese militari folli.

Eppure, i Fratelli non sono mai scomparsi. Come un fiume carsico, si sono nascosti, sostenuti in esilio da Doha e dalla Turchia di Erdoğan, dove hanno trovato protezione e risorse. Il Qatar è il cuore finanziario, la Turchia il braccio politico e militare. Questo rinascimento islamista preoccupa Al-Sisi, che non ha dimenticato l’ombra lunga della Fratellanza. Gli scontri verbali degli ultimi giorni tra il Cairo e Ankara riflettono questa tensione: Erdoğan gioca su più tavoli, alimenta le frange islamiste per tenere Al-Sisi sotto pressione, mentre rafforza il proprio ruolo di mediatore nella crisi siriana e palestinese.

 

 

Al-Sisi sotto assedio: l’Egitto tra crisi economica e ricatti geopolitici

 

La disputa con l’Etiopia per la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) è solo la punta dell’iceberg. Per proteggere il controllo sul Nilo, Al-Sisi ha inviato uomini, armi e denaro ai governi alleati in Somalia e Eritrea, nel tentativo di isolare Addis Abeba.

Ma mentre l’Egitto combatte questa battaglia a sud, un’altra tempesta si avvicina da nord. Israele, con il suo approccio “preventivo” come lo definisce Scott Ritter “capolavoro artistico sionista di sopravvivenza politica e territoriale”, guarda all’Egitto come all’anello debole. Gli 8 miliardi di dollari offerti da Israele ad Al-Sisi per ospitare i palestinesi nel Sinai non sono stati accettati. E qui il problema: Israele non chiede, impone. Al-Sisi ha risposto schierando l’esercito al valico di Rafah. È una mossa disperata per difendere non solo i confini, ma la propria legittimità.

 

Quando il nemico ti chiede di accogliere milioni di rifugiati, non sta offrendo aiuto. Sta preparando la tua fine.

 

Israele e Turchia, con obiettivi diversi ma complementari, stanno preparando un doppio cappio: destabilizzare Al-Sisi con la minaccia interna dei Fratelli Musulmani e con quella esterna della pressione umanitaria palestinese.

La nostra prossima inchiesta in arrivo si occuperà di queste dissonanze e svelerà il ruolo unilateralmente velenoso del rapporto di pessimo vicinato tra i player del Medio Oriente, oltretutto svelando come la reputazione del sovrano più genuflesso e “Badogliano” dell’area abbia, anche questa volta, giocato un ruolo determinante, confermando che l’occasione rende auto assolto anche il traditore fedelmente seriale. Ironicamente, pertanto sia opera ardua, questo presupposto potrebbe assegnare per disperazione le attenuanti generiche alla catastrofica alleanza dei Curdi stretta con “l’altare di Baal” chiamato Stati Uniti.

In definitiva, l’ascesa dell’auto-proclamato “Idlibistan” non può essere considerata un evento isolato o fortuito. Al contrario, essa appare come il risultato di un ben orchestrato sistema di convergenze tattiche, progettato per destabilizzare l’asse sciita e rafforzare l’influenza di potenze come Turchia e Qatar, con il tacito sostegno di servizi euro-atlantici. Le prossime settimane saranno probabilmente decisive per capire se questa convergenza evolverà in un’escalation ancora più ampia, aggravando le già precarie condizioni di un Medio Oriente in perenne crisi.

Prossimamente assisteremo alla nascita embrionale del piano Neo-Ottomano tanto atteso dal grande manovratore di Ankara; il momento tanto atteso dai Fratelli Mussulmani per lavare l’onta successiva alla primavera araba. Questa realtà sottolinea come HTS non sia solo un fenomeno locale, ma il risultato di un intreccio globale di dinamiche geopolitiche, errori di calcolo e convergenze di interessi. Un “califfato” armato, ben organizzato e determinato, che ora si configura come un nuovo polo di potere nella regione, con risvolti difficili da prevedere, ma certamente destabilizzanti.

Chi osserva con attenzione sa che quello che si vede è solo una frazione di quello che accade, e se non si collegano i fili tra eventi apparentemente scollegati si rischia di perdere il senso del quadro più grande. Israele ed Egitto, dopo un periodo lungo di distensione quasi cortese , oggi sono due attori in collisione su più fronti, e questa frizione si manifesta su scenari molto distanti, ma profondamente connessi: Gaza, il Sinai e il Corno d’Africa. La radice è chiara: il rifiuto di Al-Sisi di accogliere i palestinesi in fuga da Gaza, a fronte delle proposte israeliane di 8 miliardi di dollari. Questo “no” di Al-Sisi è stato interpretato da Tel Aviv non solo come una sfida politica, ma come un ostacolo alla sua strategia di lungo termine. Israele non dimentica e non perdona, e quando i propri interessi sono bloccati, reagisce in anticipo. Le ultime mosse israeliane nel Corno d’Africa sono la manifestazione concreta di questa risposta della quale ci occuperemo nella prossima inchiesta contemporanea sulle filiere logistiche degli armamenti made in Giordania.

La Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD), imponente progetto idroelettrico sul Nilo Azzurro, rappresenta non solo un’ambizione nazionale etiope, ma anche un nodo cruciale nelle dinamiche geopolitiche regionali. L’Egitto, fortemente dipendente dal Nilo per le sue risorse idriche, percepisce la GERD come una minaccia esistenziale, temendo che il suo riempimento e funzionamento possano compromettere l’approvvigionamento idrico e, di conseguenza, la stabilità economica e sociale del paese. Nonostante anni di negoziati, non è stato raggiunto un accordo vincolante tra Egitto, Sudan ed Etiopia sulla gestione della diga, e il completamento del quarto riempimento da parte dell’Etiopia nel settembre 2023 ha ulteriormente inasprito le tensioni, con il Cairo che ha definito l’azione “illegale” e unilaterale.

In questo contesto, l’interesse di attori regionali come Israele e la Turchia aggiunge ulteriori strati di complessità. Israele ha mostrato un crescente interesse nel rafforzare i legami con l’Etiopia, offrendo assistenza tecnologica e supporto diplomatico. Questo coinvolgimento può essere interpretato come una strategia per aumentare la propria influenza nella regione e per bilanciare le relazioni con l’Egitto. D’altro canto, la Turchia, sotto la leadership di Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di espandere la sua presenza in Africa orientale attraverso accordi economici e cooperazione militare, mirando a consolidare la sua posizione come potenza regionale.

È interessante notare che sia l’Egitto che l’Etiopia hanno recentemente aderito ai BRICS, un gruppo di economie emergenti che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. L’adesione ai BRICS potrebbe offrire a entrambi i paesi una piattaforma per negoziare e risolvere le loro divergenze in un contesto multilaterale, sfruttando le opportunità economiche e diplomatiche offerte dal gruppo. Tuttavia, la Turchia, pur avendo espresso interesse ad aderire ai BRICS, non è ancora membro a pieno titolo, il che potrebbe limitare la sua influenza nelle dinamiche interne al gruppo.

Alla luce di queste dinamiche, emerge una domanda cruciale: le manovre di Israele e Turchia nel contesto della GERD sono semplici mosse tattiche per aumentare la loro influenza regionale, o fanno parte di una strategia più ampia per mettere sotto pressione l’Egitto, già indebolito economicamente, e ridurre il suo ruolo nel conflitto siriano?

HTS e il “Califfato Siriano”

Con la rapida avanzata di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e il crollo del regime di Assad, il panorama del nord-ovest siriano si è trasformato in un mosaico frammentato, dominato da questa potente formazione jihadista. HTS, sotto la guida di Abu Mohammad al-Julani, ha consolidato il controllo su Damasco e gran parte della Siria settentrionale, aprendo la strada a un progetto di “califfato siriano” che si presenta come una minaccia diretta alla stabilità regionale.

Le risorse militari di HTS appaiono impressionanti e non sono il risultato solo di saccheggi o appropriamenti locali. Diverse fonti indicano come parte dell’arsenale sia riconducibile ad armamenti provenienti da reti clandestine di traffico, con armi leggere e munizioni che avrebbero origini giordane. Secondo alcune ricostruzioni, le armi destinate originariamente ad attori legittimi durante le fasi iniziali del conflitto — comprese quelle fornite tramite programmi occidentali di supporto ai ribelli moderati — sarebbero finite nelle mani di HTS, alimentando la loro capacità bellica.

Premetto che indugerò sulla figura del Fidel dei Sunniti e sul ruolo giordano in vista di un’inchiesta che seguirà a breve. Alcuni analisti, e parzialmente concordo con loro, reputano inconsistente la “massa” cinetica militare degli islamisti per uno strike completo delle forze di Assad. Io penso sia parzialmente vero. Né senza l’ammorbidimento sotterraneo delle forze di intelligence avverse, né senza i “partners” finanziatori dell’operazione si sarebbe potuto fare jackpot.

Con onestà intellettuale ammetto che probabilmente è buona responsabilità — di cui un buon 50% riconducibile all’embargo e al furto di risorse Usa e turco — dell’ormai disciolta Repubblica Siriana, da troppi anni pallido simulacro del sogno baathista della dinastia fondata da Assad padre, umiliato anche dopo la morte dal carosello macabro degli jihadisti sul suo sepolcro, dato alle fiamme dopo aver “canniBaalizato” i marmi preziosi.

Un rito pagano che i più occulti esoteristi, seguaci di Aleister Crowley, avranno celebrato in qualche dimora vittoriana dello Lincolnshire o dondolando nel patio “bianchissimo” di fronte alle colonne in stile coloniale di qualche esclusiva villa d’oltreoceano (con buona pace dei complottisti, senza se e senza ma, di YouTube).

Approfondisco per apportare fonti alle mie affermazioni e rendere l’idea della difficoltà oggettiva di far fronte a limitazioni realisticamente draconiane.

 

Sanzioni Occidentali (Make Siria poor, again and again)

 

Le misure adottate dai Paesi occidentali nei confronti del governo siriano si configurano come una strategia di pressione multilivello, con effetti profondi e spesso devastanti sull’economia nazionale e sulla capacità del regime di mantenere il controllo politico e militare. Tali provvedimenti, combinati a una situazione geopolitica già compromessa, hanno contribuito a delineare uno scenario di fragilità sistemica.

In primo luogo, spicca l’isolamento quasi totale della Banca Centrale Siriana dal circuito finanziario internazionale, una misura che ha bloccato le capacità di finanziamento del governo, riducendo drasticamente la possibilità di avviare progetti di ricostruzione o di ammodernare le forze armate. Questa limitazione si accompagna al congelamento dei beni e dei conti correnti riconducibili a l’élite politica e militare del regime, indebolendo ulteriormente le reti clientelari che storicamente costituiscono una delle colonne portanti del potere in Siria.

Un ulteriore colpo è stato inferto dalla proibizione di importare petrolio e relativi derivati, una misura che ha impedito a Damasco di convertire i proventi degli idrocarburi in valuta pregiata. La Siria, tradizionalmente dipendente dalle esportazioni petrolifere, si è trovata costretta a dipendere in misura crescente dagli aiuti esterni, con una progressiva riduzione delle sue capacità di autofinanziamento.

A rendere ancora più complicata la gestione del conflitto interno e della crisi economica vi sono le restrizioni imposte sull’export di tecnologie “dual use”. Questi vincoli limitano l’accesso a componenti essenziali per la manutenzione e l’ammodernamento delle Forze Armate, dei sistemi d’arma e degli apparati di sorveglianza elettronica. Il risultato è un esercito sempre meno efficace, con infrastrutture logistiche che si avvicinano progressivamente al collasso.

Il quadro è ulteriormente aggravato dalle sanzioni secondarie, che penalizzano chiunque intrattenga rapporti con soggetti siriani già colpiti dalle misure internazionali. Questo meccanismo alimenta un effetto domino di deterrenza che scoraggia potenziali partner commerciali e diplomatici, isolando ulteriormente il Paese.

Secondo diversi report (U.S. Department of the Treasury – Syrian Sanctions Program; Council of the European Union – Syria: EU Sanctions; HRW – Syria: Impact of Sanctions), tali disposizioni hanno eroso progressivamente le risorse del governo siriano, compromettendo il mantenimento delle strutture militari e amministrative.

A fronte di ciò, la capacità di contrastare le milizie jihadiste e di gestire le dinamiche interne è stata drasticamente ridotta. In questo contesto, è emerso un assetto bellico frammentato, in cui attori esterni e forze jihadiste hanno trovato terreno fertile per espandere la loro influenza, colmando il vuoto lasciato dal regime.

Le sanzioni, concepite per indebolire un regime già isolato, hanno così finito per accentuare una spirale di instabilità. Se da un lato hanno limitato la capacità di manovra del governo di Assad, dall’altro hanno contribuito a lasciare campo aperto alle potenze regionali e alle milizie jihadiste, aggravando una situazione che si presenta oggi come uno dei nodi geopolitici più complessi del Medio Oriente.

 

Fonti documentali delle sanzioni alla Repubblica Araba Siriana

  • U.S. Department of the Treasury – Syrian Sanctions Program

Documenta le disposizioni in vigore, comprese le sanzioni secondarie e il “Caesar Act”.

  • Council of the European Union – Syria: EU sanctions

Elenca i diversi atti normativi dell’UE contro funzionari e comparti industriali siriani.

  • HRW (Human Rights Watch) – Syria: Impact of Sanction

Analisi dell’effetto delle misure sul tessuto sociale ed economico siriano, incluse le criticità per l’accesso a beni di prima necessità.

La Russia e il Ritiro: Tra Pragmatismo e Nuove Opportunità

Il rapido crollo del governo di Bashar al-Assad ha imposto alla Russia una ricalibrazione delle sue strategie in Siria. Di fronte a un panorama geopolitico mutato, Mosca ha avviato un ritiro ordinato dalle basi avanzate, ridistribuendo le sue forze verso il mare e le due basi principali. Questo ridimensionamento sembra rispondere non solo a necessità operative, ma anche al chiaro intento di evitare un coinvolgimento prolungato e infruttuoso in un conflitto che sta sfuggendo a qualsiasi controllo centralizzato.

Le immagini satellitari hanno documentato smontaggi logistici di infrastrutture militari, incluso il trasferimento di elicotteri dalle basi avanzate a Hmeimim. Contemporaneamente, i voli degli Ilyushin Il-76, aerei cargo pesanti, continuano a imbarcare mezzi blindati, artiglieria e altri equipaggiamenti pesanti, segnalando un’azione pianificata e sistematica di ripiegamento. Questo movimento non rappresenta un abbandono totale della Siria, ma piuttosto una razionalizzazione delle risorse, con l’obiettivo di concentrare la presenza russa nei punti nevralgici e ridurre al minimo l’esposizione a rischi non necessari.

Parallelamente, alcune fonti anonime suggeriscono che Mosca stia mantenendo canali di comunicazione discreti con Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) per garantire che non si verifichino incidenti fortuiti che potrebbero innalzare la tensione. Sebbene tali contatti non siano confermati ufficialmente, appaiono coerenti con l’approccio pragmatico del Cremlino, che preferisce prevenire eventuali provocazioni piuttosto che dover rispondere con azioni militari in un momento in cui le priorità russe sembrano essere altrove.

Un Capitolo Libico per Mosca?

La domanda che emerge è inevitabile: la Russia sta preparando un nuovo capitolo operativo in Libia? Con il generale Khalifa Haftar che continua a offrire ospitalità strategica alle forze russe, la Libia rappresenta un’opportunità unica per Mosca. In un contesto relativamente meno caotico rispetto alla Siria e con evidenti prospettive economiche legate ai giacimenti energetici, il teatro libico potrebbe essere la nuova priorità per il Cremlino. Un disimpegno graduale dalla Siria potrebbe essere interpretato non come una sconfitta, ma come un riallineamento strategico, che riflette la volontà di concentrare le risorse russe su contesti dove esiste un ritorno geopolitico più immediato e gestibile.

La ritirata verso Tartus e Hmeimim non è solo una necessità logistica, ma una scelta strategica. Con Assad fuori dai giochi e la frammentazione del territorio siriano ormai conclamata, la permanenza prolungata in Siria rischierebbe di trasformarsi in una trappola logorante. Ogni giorno in più aumenta la probabilità di episodi fortuiti o provocazioni intenzionali, che potrebbero costringere Mosca a risposte che non è in grado di sostenere senza conseguenze politiche o militari.

Il ritiro russo, dunque, non è un segnale di debolezza, ma di pragmatismo. Analizzeremo nei prossimi approfondimenti i retroscena e quella inesauribile predisposizione all’adattamento liquido della cultura diplomatica e militare di Mosca e della sua ineluttabile tradizione nell’implementazione dei piani B. Se la Libia diventerà davvero il prossimo teatro operativo per la Russia, il Cremlino dovrà dimostrare di aver imparato dalla complessa esperienza siriana, trasformando il disimpegno in un’opportunità per rafforzare la propria influenza in una regione altrettanto strategica.

In Libia, la Russia ha saputo costruire una presenza strategica significativa, rafforzando i legami con il Generale Khalifa Haftar, figura centrale dell’Esercito Nazionale Libico (LNA). Le sue forze, ufficiali o meno, sono state coinvolte nel consolidamento del controllo su aree chiave come Bengasi e la Mezzaluna Petrolifera, regioni cruciali per le ricchezze energetiche del paese. Attraverso basi operative come Al-Jufra, Mosca ha garantito un punto di appoggio nel cuore del conflitto libico, utilizzando la Libia non solo come piattaforma per proiettare influenza nel Mediterraneo, ma anche come nodo di accesso a risorse e rotte strategiche.

In verità qualcosa mi suggerisce che le due basi principali della Siria siano ancora sul tavolo e la grande saggezza pragmatica combinata a una buona dose di opportunismo , cammuffato da scaltrezza di Mosca potrebbe ancora salvare il salvabile , distribuendo l’equipaggiamento e gli uomini dragati dalle basi minori abbandonate nella zona Orientale del paese verso le coste Libiche.Vedremo se sarete voi a pagarmi la birra o , sarò io a finire rovinato per aver perso la scommessa.

 

Uno scenario possibile ?

L’ipotesi di un coordinamento segreto per lanciare l’offensiva jihadista da Idlib dopo l’intesa di cessate il fuoco fra Israele e Hezbollah è forse la parte più inquietante di questa vicenda, suggerendo che l’orologio della guerra in Siria non abbia mai veramente smesso di ticchettare e che a detta di molti era già stata progettata da tempo. Indizio è il tempismo maniacale considerando la crisi dell’“ancien régime” sul fronte del Donbass dove tutte linee rosse immancabilmente superate suggeriscono che anche questo tavolo secondario in verità non sia altro che una conseguenza di quello principale, nel quale sono in gioco anche le nostre insignificanti vite di questa partita con il nostro daemon più oscuro.

In questa partita di texano chiamata “Il pranzo di Babele”, dove tra gambler immortali, cabalisti e bluffatori emuli di Ataturk, credo che alla fine, come la mia esperienza di giocatore di poker, solito nel contare le carte mi insegna, vince chi non gioca.

Sono sicuro che avrete capito chi stia aspettando la mano giusta. Ma da qualche tempo, timidamente, il banco ha smesso di vincere, quasi sempre.

Anarmygeddon 23

 

Fonti, riferimenti, storici e media agency

  • Al-Masdar News – aggiornamenti quotidiani sulla situazione siriana.
  • Syria Live Map – piattaforma di mappatura in tempo reale dei conflitti.
  • Andrei Kolesnikov, “Io, comandante Wagner” – testimonianza parziale su Wagner in Siria.
  • Elijah J. Magnier – analisi e reportage su Hezbollah e conflitti nel Levante.
  • Moon of Alabama (MoA) – osservazioni e discussioni sulle dinamiche internazionali in Siria.
  • BBC Monitoring / Reuters – notizie sulle visite di Hakan Fidan, Ronen Bar e Mark Rutte ad Ankara.

 

Link citati:

  1. Aljazeera: Filling of Grand Ethiopian Renaissance Dam

https://www.aljazeera.com/news/2023/9/10/filling-of-grand-renaissance-dam-on-the-nile-complete-ethiopia-says

  1. ISPI Online: Egitto sotto pressione da Gaza al Corno d’Africa

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/egitto-sotto-pressione-da-gaza-al-corno-dafrica-184375

  1. Geopolitica.info: Relazione Turchia-Israele Erdogan

https://www.geopolitica.info/relazione-turchia-israele-erdogan/

  1. Focus on Africa: Turchia in Etiopia come accesso all’Africa

https://www.focusonafrica.info/etiopia-lavanzata-della-turchia-come-accesso-per-lafrica/

  1. Notizie Geopolitiche: Etiopia, tensioni con l’Egitto per la diga GERD

https://www.notiziegeopolitiche.net/etiopia-crescono-le-tensioni-con-legitto-per-la-diga-gerd/

  1. Il Sole 24 Ore: Turchia verso i BRICS

https://www.ilsole24ore.com/art/turchia-siamo-stati-invitati-essere-partner-brics-AGzG206

  1. CESI Italia: La Turchia e i BRICS

https://www.cesi-italia.org/it/articoli/la-turchia-verso-i-brics-prospettive-e-opportunita-economiche

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SITREP 16.12.24: Il negoziato si affievolisce mentre l’Ucraina perde altro territorio, di Simplicius

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Lo scorso venerdì la Russia ha nuovamente lanciato una serie di devastanti attacchi alla rete energetica, dimostrando ancora una volta che l’ultima campagna è in realtà una campagna sistematica per disattivare la rete dell’Ucraina piuttosto che una sorta di ritorsione

Gli attacchi sono stati seguiti da notizie immediate secondo cui ben il 70% dell’Ucraina era senza corrente, almeno temporaneamente. Sembra che ad ogni attacco il sistema si stia indebolendo, ma non si sa se potrà mai “collassare” completamente, né se la Russia abbia intenzione di farlo – al contrario di portarlo solo sull’orlo del baratro.

Nonostante Gerasimov abbia dichiarato di aver parlato con il capo dello Stato Maggiore Charles Brown e che gli attacchi ATACMS siano stati immediatamente interrotti in territorio russo, l’Ucraina ha di fatto lanciato un altro attacco ATACMS su Taganrog, tra Mariupol e Rostov. Forse è possibile che l’avvertimento di Gerasimov abbia davvero portato a una moratoria, ma Zelensky ha deciso di “testare i limiti” delle linee rosse di entrambe le parti. Dopo tutto, l’obiettivo (geolocalizzazione: 47.23737, 38.86234) si trova a pochi chilometri dal confine ucraino e costituisce a malapena “territorio russo”. Perché sprecare un ATACMS “a lungo raggio” per colpire a una profondità così bassa, a meno che non si sperasse di sedersi su due sedie e provocare senza irritare troppo i propri “partner”?

In ogni caso, il Ministero della Difesa ha dichiarato di aver subito danni trascurabili, poiché gli ATACMS sono stati abbattuti e deviati dall’EW.

Trump ha ora dichiarato che permettere il lancio di ATACMS in Russia è stato un grosso errore:

Ora che ci avviciniamo sempre di più al mandato di Trump, l’Ucraina cerca di ottenere qualsiasi vantaggio propagandistico possibile. Ora si dice persino che Zelensky abbia intenzione di lanciare un’altra “offensiva natalizia” in qualche zona remota del confine russo, forse a Bryansk o altrove nella regione di Belgorod. Ci sono “affermazioni” di aumenti ucraini con foto di un nuovo “segno tattico” sui veicoli.

Non è la prima volta che le Forze armate ucraine espongono un nuovo segno tattico – un quadrato bianco – nella zona di confine della regione di Kursk. Simili segni hanno iniziato a comparire circa 10 giorni fa.

A questo proposito, le voci sorte di recente su una presunta nuova offensiva ucraina pianificata nella regione russa di confine – di nuovo a Kursk, poi nelle regioni di Bryansk o Belgorod – sono ulteriormente alimentate.

Vale la pena ricordare che prima dell’invasione della regione di Kursk, le Forze Armate ucraine hanno condotto importanti operazioni di informazione volte a fuorviare il comando russo sulle loro vere intenzioni, quindi non vale ancora la pena di trarre conclusioni di vasta portata sulla base dei dati emergenti.

Il problema è che questi sono già stati colpiti, come si può vedere sopra, quindi è discutibile che siano stati risparmiati per qualche nuova operazione. In secondo luogo, le nuove brigate di riserva della serie 150 che Zelensky stava mettendo insieme per le operazioni future sono state funestate da problemi. Un nuovo rapporto ha evidenziato come 1000 uomini abbiano già disertato la 155esima di questa serie, per non parlare della conferma che le brigate sono già state utilizzate solo per colmare le lacune in aree critiche del teatro del Donbass.

Detto questo, i canali ucraini continuano a diffondere voci secondo cui la prossima offensiva raggiungerà addirittura Mosca:

Mentre i russi pensano di vincere, noi stiamo preparando una forza d’attacco incredibilmente potente. Le nostre battaglie di ricognizione a Belgorod e Kursk, in seguito alle quali abbiamo ucciso molti orchi e catturato molto territorio, sembreranno a tutti solo un riscaldamento. Questa volta raggiungeremo la città di Kursk a giudicare dalla potenza di combattimento e dalla quantità e qualità di carri armati, droni e aerei. Sarà molto, molto doloroso e amaro per la Russia. Faranno schifo.

Mosca sarà raggiungibile.Non vi darò una tempistica per non rovinarvi la sorpresa. Ma gli ordini sono già stati dati.

 Posta ucraina

Una valutazione più realistica e basata sui fatti è stata data da un importante canale russo:

L’Arcangelo delle Forze Speciali scrive della preparazione delle Forze Armate dell’Ucraina per l’offensiva nelle direzioni di Kursk e Belgorod.

Nella città di Shostka, nella regione di Sumy, recentemente dovevano arrivare i rinforzi delle Forze Armate dell’Ucraina – circa 13 mila persone. Tuttavia, il gruppo è scomparso a metà strada verso Shostka e le sue tracce si sono perse nella regione. Inoltre, per tutto il mese di novembre e dicembre, i media mostrano filmati del trasferimento di reparti con attrezzature provenienti dai Paesi della NATO: “Bradley”, autoblindo dalla Svezia, “Striker”, “Leopard”. Non si sa nemmeno dove si depositi questo equipaggiamento. In Polonia e Romania sono stati accumulati da 24 a 34 F-16 che stanno già volando da lì per intercettare i nostri missili da crociera. È chiaro che li stanno conservando per un debutto di massa.
Indirettamente, a giudicare dal piccolo consumo di missili ATACMS, Storm Shadow e SCALP che hanno attaccato la regione di Kursk e Taganrog, questi missili si accumulano. Considerato tutto ciò, nonché le gelate più vicine alla fine del mese e il congelamento del suolo, l’attacco APU è previsto in pieno inverno.

La Russia, d’altra parte, si dice che stia costruendo nuove forze d’attacco in direzione di Zaporozhye:

⚡️Fonti ucraine riferiscono che l’esercito russo sta spostando forze, tra cui carri armati e altri veicoli blindati, dalla penisola di Crimea alla regione di Zaporizhia in preparazione di una nuova offensiva che dovrebbe iniziare nel prossimo futuro.

Per non parlare del Gauleiter della regione di Zaporozhye che ha annunciato una pausa nella costruzione di una scuola sotterranea vicino a Orekhov e Gulyai-pole sulla linea di Zapo a causa della minaccia di una nuova offensiva russa.

Due nuovi articoli del NYT prevedono i prossimi mesi:

Il primo sostiene che la guerra finirà sicuramente nel 2025, indipendentemente da chi sarà eletto presidente. Questo perché entrambe le parti starebbero “esaurendo le truppe”. Tuttavia, mentre non vengono fornite prove per l’affermazione russa, l’autore rivela che le agenzie di intelligence prevedono che sarà l’Ucraina a “esaurire presto i soldati”:

Questa è una cattiva notizia per l’Ucraina. Le forze russe stanno avanzando a est. Hanno anche recuperato parte del territorio russo che l’Ucraina ha conquistato la scorsa estate. L’Ucraina dispone ancora di armi, ma le sue truppe sono in gran parte sparpagliate. Le agenzie di intelligence pensano che presto finiranno i soldati.

In effetti, è interessante notare che Putin ha appena annunciato in un nuovo discorso che la Russia ottiene ancora 1.000 arruolamenti militari al giorno:

Belousov lo ha confermato affermando che il numero totale di arruolamenti per il 2024 è di 427.000 unità. Diviso in 12 mesi, il totale è di circa 35.600 arruolamenti mensili:

▪️Nel 2024, le truppe russe hanno liberato quasi 4,5 mila chilometri quadrati di territorio occupato dalle Forze armate ucraine.

▪️Sarà creato un ambiente informativo integrato per il processo decisionale a livello tattico.

▪️Dall’inizio del 2024 sono entrate in servizio a contratto oltre 427 mila persone.

▪️Rispetto al 2022, l’esercito russo riceve 7 volte più carri armati, 3 volte più veicoli da combattimento di fanteria e veicoli corazzati per il trasporto di personale e 23 volte più droni.

▪️Le grandi basi dovrebbero essere sostituite da una rete stratificata di magazzini.

▪️È necessario garantire la protezione degli arsenali e delle basi di rifornimento nel raggio d’azione delle armi delle Forze armate ucraine.

▪️Nel 2025 dovrebbe essere costituito un nuovo ramo delle forze armate, le truppe dei sistemi senza pilota.

Si noti che in precedenza ha anche menzionato una nuova iniziativa per la Russia di decentralizzare le sue basi nel raggio d’azione degli armamenti NATO come gli ATACMS, convertendo tutto in una vasta rete di magazzini e depositi di munizioni dislocati in avanti.

L’autore afferma che questo sforzo è già iniziato e che in futuro si procederà a una totale riconcettualizzazione della distribuzione della logistica e dello stoccaggio sul fronte:

L’articolo successivo, dal titolo simile, racconta favole simili sulle perdite russe solo per attutire il colpo della loro tesi principale, ovvero che l’Ucraina ha una grave carenza di soldati e si sta avviando a perdere il conflitto:

L’articolo non trova essenzialmente alcuna soluzione, concludendo che solo gli Stati Uniti, in qualità di garanti militari delle condizioni dell’Ucraina, consentirebbero a quest’ultima di uscire con una parvenza di sicurezza, ma ammettono che ciò non è probabile. Trump cerca di spostare le forze militari in Asia, lasciando l’Ucraina come problema dell’Europa, un’Europa troppo divisa politicamente per avere qualche possibilità di garantire o assicurare qualcosa.

In breve: l’intero commentario occidentale è a corto di idee, rassegnato a ripetere gli stessi stanchi tropi sulle presunte perdite russe e sui prezzi elevati dei cavoli che sicuramente “devasteranno” l’economia russa da un momento all’altro.

Il fatto è che la Russia sta conquistando sempre più territorio e gli attacchi dell’Ucraina al territorio russo stanno diventando sempre più inefficaci. La settimana scorsa è stato lanciato un altro massiccio attacco con i droni al ponte di Kerch in Crimea, ormai dimenticato e che non ha attirato nemmeno un titolo di giornale perché le difese russe hanno facilmente sventato tutti gli oggetti ostili.

A parte questo, l’unico fattore interessante è stato il continuo tentativo dell’Ucraina di innovare e cambiare i suoi attacchi. Questa volta i droni navali erano armati con mitragliatrici in grado di colpire gli elicotteri di risposta russi:

Gli attacchi dell’Ucraina stanno semplicemente fallendo e non stanno causando danni duraturi in nessun luogo perché la Russia si sta adattando troppo rapidamente a tutto. Solo qualche raffineria viene occasionalmente colpita, riempiendo il cielo di pennacchi neri da prima pagina. Ma gli incendi delle cisterne di stoccaggio del petrolio vengono generalmente spenti e riparati rapidamente, senza pensarci due volte.

Un articolo di Foreign Policy dimostra ancora una volta che l’Ucraina non ha alcun potere quando si tratta dei suoi padroni:

L’autore suggerisce agli Stati Uniti di negoziare con la Russia per conto dell’Ucraina, per evitare che Zelensky e co. incendino prematuramente i negoziati con richieste irrealistiche.

Ammette inoltre che entrambe le parti hanno questioni che non partono e che è improbabile che i negoziati funzionino comunque. Per la Russia, lo stazionamento di “truppe di pace” straniere è altrettanto o peggiore dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. E per l’Ucraina, gli Stati Uniti costringeranno l’AFU ad abbandonare il territorio attualmente detenuto a Zaporozhye, Kherson, ecc. che la Russia richiede come parte delle sue condizioni, sarà una richiesta impossibile – cosa che io stesso ho ripetuto molte volte.

Sottolinea inoltre che i Paesi europei stazionerebbero truppe solo se gli Stati Uniti garantissero di sostenerli militarmente nel caso in cui tali truppe venissero attaccate dalla Russia – uno scenario che l’autore ritiene improbabile, visti i forti segnali di Trump che si oppongono a tali possibilità.

Tuttavia, tutto ciò che ho sentito dai russi mi dice che questo è altrettanto inaccettabile per Mosca quanto l’adesione alla NATO stessa e renderebbe quindi impossibile un accordo. Inoltre, i Paesi europei accetterebbero di inviare le loro truppe solo se avessero una garanzia ferrea da parte di Washington che gli Stati Uniti interverrebbero se venissero attaccati.Questo, in effetti, rimanda la decisione a Washington, non a Kiev, né a Bruxelles, né a Varsavia, né a Parigi.

Un nuovo articolo della Reuters conferma che la Polonia ha rifiutato categoricamente le proposte di Macron di inviare congiuntamente truppe di pace:

Come tale, si può chiaramente vedere che i “negoziati” sono del tutto inattuabili. Altri dati globali concordano:

Sul fronte, le forze russe continuano a guadagnare, anche a Zaporozhye, dove è previsto il debutto della più ampia offensiva rivendicata.

Le unità russe hanno rioccupato Novy Komar a nord, dopo che l’Ucraina ha cacciato la prima unità di ricognizione che vi aveva stabilito un punto d’appoggio una settimana o due fa:

A sud, Makarovka è stata quasi interamente accerchiata e Blagodatne è stata catturata. I canali ucraini legati all’esercito scrivono con urgenza del deterioramento della situazione, e alcuni affermano che Velyka Novosilka potrebbe non resistere altre due settimane.

Velyka Novoselka

Continuano i combattimenti nei pressi di Rozdolne e nella zona di Novy Komar.

Per un po’ c’è stata parità, ma il nemico ha aggiunto riserve operative in quell’area e sta di nuovo cercando di assaltare attivamente.

L’occupante è riuscito a ripristinare parzialmente le sue posizioni a Novy Komar.

La situazione più pericolosa è ora nella stessa Velyka Novoselka, dove il nemico sta cercando di riconquistare le posizioni perse e di avanzare ulteriormente.

I nostri soldati si stanno impegnando al massimo per rallentare il movimento e contrattaccare quando possibile.

Più a sud, l’occupante sta aumentando i suoi sforzi e si sta raggruppando per catturare Makarivka, Storozhevo e Vremivka.

Da Blagodatne, il nemico ha attraversato il fiume Mokry Yaly e vuole circondare la guarnigione di Makariv.

Ci sono anche tentativi di avanzare lungo il nostro fianco destro verso Novoselka.

Il nemico è ancora al culmine della sua offensiva, quindi è difficile dire se il villaggio di Velyka Novosilka, insieme alla testa di ponte, sarà tenuto anche per le prossime 2 settimane.

 La Posta Ucraina

Sul fronte di Kurakhove la situazione è ancora peggiore. L’intera steppa a sud-est di Kurakhove è crollata, e ora praticamente l’intera città è stata conquistata, tranne la sezione industriale a ovest che contiene la centrale elettrica di Kurakhove:

Vista sul lato sinistro della mappa, la spinta di Zelenovka minaccia di tagliare completamente l’ultima via di rifornimento di Kurakhove. Da Suriyak:

Con la conquista di Zelenivka, l’esercito russo si troverebbe a tre chilometri dall’autostrada H-15 Zaporizhzhia – Donetsk, mettendo in grave pericolo le forze schierate nel distretto di Kurakhove e la città. Si prevede che il movimento di avvolgimento si svilupperà nei giorni successivi da sud verso questa strada. Nel frattempo, le truppe russe continueranno a spingere le truppe ucraine verso ovest dalla centrale elettrica e a nord del bacino idrico.

I canali ufficiali ucraini scrivono:

A nord di lì, le forze russe continuano a espandere la linea principale verso Pokrovsk in previsione di un eventuale assalto completo alla città-fortezza:

Situazione sul fronte di Pokrovsk: L’esercito russo ha compiuto nuove avanzate a ovest di Novotroits’ke, a sud di Dachenske & a sud-ovest di Pushkine. Inoltre, le forze russe hanno compiuto una serie di avanzate a ovest di Krasnyi Yar lungo la ferrovia verso Myrnohrad.

A Toresk le forze russe continuano ad avanzare strada per strada e ora controllano la maggior parte della città:

Infine, anche a Kursk si registrano guadagni, ma si procede molto più lentamente perché Zelensky continua a rifornire questo saliente con le maggiori riserve, per non parlare delle truppe meglio addestrate e più esperte. Di conseguenza, la Russia sta subendo perdite molto più consistenti a Kursk rispetto a molte altre aree, ma probabilmente impallidisce rispetto alle perdite dell’Ucraina, di cui si può vedere un assaggio qui e qui. Nel suo precedente discorso Belousov ha riferito che l’Ucraina ha subito 560.000 vittime totali solo nel 2024, di cui oltre 40.000 a Kursk:

Tenete presente che 560k compresi i feriti ammonterebbero probabilmente solo a circa 120-150k KIA, che potrebbero ammontare a 12k morti al mese. Questo potrebbe rappresentare altri 10-12k disabili. Dato che Le Monde ha riferito che in autunno il reclutamento dell’Ucraina si aggirava intorno ai 20k al mese, ciò significa che l’Ucraina sta subendo una perdita netta di truppe, ma non ancora catastrofica:

Sul versante ottimistico, la perdita netta potrebbe essere di 4-5k mensili, il che richiederebbe molti mesi per raggiungere l’esaurimento di centinaia di migliaia di persone.

La Russia, invece, secondo Putin, ne recluta ancora 30.000 al mese. La mia migliore stima delle attuali perdite russe è di 100-200 morti al giorno, con oscillazioni: a volte un po’ meno, a volte di più. Questo genererebbe 4500-6000 morti al mese e probabilmente 10-12k perdite permanenti totali al mese (compresi gli invalidi), che in teoria dovrebbero essere facilmente coperte dalle mobilitazioni, mantenendo un guadagno netto.

Qualcuno potrebbe chiedersi, a proposito, perché le truppe nordcoreane siano necessarie a Kursk se la Russia sta facendo “così bene” con il rifornimento di truppe. È una buona domanda, ma la mia opinione personale è che i potenziali contingenti nordcoreani non hanno tanto a che fare con il rifornimento di truppe quanto con la Russia che consolida e formalizza gli accordi di partenariato strategico con la Corea del Nord come dimostrazione di forza contro la NATO. È il modo in cui la Russia mostra l’approfondimento dei legami come deterrente, come se volesse inviare un messaggio: vedete, se ci invadete, noi saremo uniti e diventeremo il vostro peggior incubo.

Ci sono prove a sostegno di questa tesi: Ricordiamo che un anno fa, i rapporti sostenevano che varie altre nazioni avevano praticamente implorato di inviare le loro truppe per assistere la Russia. La Siria e diverse nazioni africane erano tra queste, così come lo Yemen, ma la Russia le ha rifiutate tutte. Se avesse avuto un così disperato bisogno di truppe, avrebbe fatto uno sforzo molto maggiore per reclutare da tutti questi Paesi.

In secondo luogo, le truppe nordcoreane potrebbero benissimo essere state inviate su richiesta di Kim, non della Russia. Questo perché Kim, vedendo l’aumento delle provocazioni e delle aggressioni contro la Corea del Nord, era probabilmente interessato a far fare esperienza di combattimento reale alle proprie truppe, in modo che queste potessero ritornare e reinserire il tutto in una struttura militare più ampia. Dato che tra i due Paesi era già in corso un accordo strategico più ampio, Putin ha probabilmente acconsentito, poiché si trattava di un’operazione vantaggiosa per entrambe le parti. Dopotutto, se la Russia fosse stata davvero disperata di truppe, avrebbe potuto fare appello alla Bielorussia, suo partner dell’Unione.

Ultima notizia:

Alla TV ucraina, il giornalista Yuriy Butusov ammette che l’AFU sta subendo perdite molto maggiori rispetto alla Russia sul fronte di Kurakhove, dato che la posizione di accerchiamento è così sfavorevole e fa sì che le unità ucraine in ritirata vengano colpite da ogni lato:

“Le perdite in questa direzione sono critiche.Non possiamo difendere posizioni così svantaggiose data la superiorità numerica e di munizioni del nemico”, ha dichiarato Yuriy Butusov, caporedattore di censor dot net. Secondo lui, la situazione si è aggravata circa un mese fa. L’unica via di rifornimento è sotto costante attacco. Il Deepstate e i giornalisti militari avvertono del rischio di accerchiamento, ma le Forze Armate dell’Ucraina negano le informazioni sul rischio di accerchiamento delle truppe ucraine nei pressi di Kurakhovo. Il gruppo operativo-strategico delle forze “Khortytsia” ha dichiarato che le unità ucraine stanno mantenendo la linea.]


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SOTTO A TIK TOK – Golpe Romeno ? Georgia Colorata -TRACCE DI CLASSE -SEMOVIGO – GERMINARIO-

Le democrazie a suon di colpi di stato; il bene imposto; la comunicazione che sostituisce l’informazione. Cambia la grammatica dell’esercizio del potere in Europa, ma cadono con essa le maschere che legittimano l’operato delle élites europee. Sempre più evidente che il conflitto politico che affligge gli Stati Uniti si allargherà qui in Europa e avrà nelle attuali élites europee e presenti in Europa uno dei capisaldi delle proprie politiche oltranziste, guerrafondaie e di tragica regressione economica e sociale. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Religione liminale, di Tree of Woe

Religione liminale

Alcune riflessioni su una possibile teologia per la civiltà enea

14 dicembre

Un mese fa, il mio saggio The Dawn of a New Civilization esplorava l’emergere di un nuovo zeitgeist, uno spirito eneico che sorge per sostituire l’ethos faustiano in declino. Chiamato così in onore di Enea, l’eroe che fuggì dalle rovine di Troia per fondare una nuova Roma, lo spirito eneico bilancia l’ambizione cosmica di trascendere i confini della Terra con la grave comprensione della fragilità dell’umanità.

Laddove l’anima faustiana vede i cieli come una frontiera senza limiti da conquistare, l’anima enea vede nei cieli sia la speranza che la paura per l’umanità. Comprende che l’umanità si trova a un passaggio precario, di fronte alla scelta esistenziale di ascendere o perire. Il simbolo eneo, l’arco, rappresenta questa dualità: una struttura che si eleva a grandi altezze ma che poggia sulle fondamenta duali del passato e del presente.

Il concetto di civiltà enea è stato, ovviamente, immediatamente messo in discussione da coloro che sono certi che l’umanità è e sarà per sempre confinata sulla Terra, che ciò che ci attende è un futuro umile caratterizzato da esaurimento delle risorse, scarsità di energia e degrado tecnologico. Il mio saggio sulla sfida enea ha riassunto le difficoltà che gli eco-catastrofisti prevedono. Il saggio successivo di Ahnaf Ibn Qais, Proem for All Post-Dark Age Civilizations sosteneva che i profeti di sventura avrebbero inevitabilmente avuto ragione; mentre il Proemio al futuro eneo di Fabio Minarco sosteneva che i profeti di sventura avrebbero potuto sbagliarsi.

Credo che questi saggi, che offrono contrasti così netti tra ottimismo e pessimismo, speranza e orrore, problemi e prospettive, servano da introduzione del tutto appropriata alla visione del mondo enea. Stando su una soglia liminale, la civiltà enea non può dare per scontato un progresso infinito come inevitabile, ma deve riconoscere il pericolo dell’inazione e il rischio sempre presente del declino.

Ma nessuna civiltà, nessuno zeitgeist può essere pienamente compreso sul piano materiale. Una visione del mondo è costruita su più della somma delle risorse a sua disposizione. Oswald Spengler, in The Decline of the West , ha postulato che l’anima di una civiltà si manifesta attraverso la sua architettura, la sua comprensione temporale e, soprattutto, la sua religione.

È a quest’ultimo che ci rivolgiamo ora.

Le credenze religiose delle grandi civiltà

L’anima originaria dell’Occidente era quella apollinea. La visione del mondo apollinea vedeva l’ascesa e la caduta delle civiltà come cicli naturali e inevitabili caratterizzati da una ripetizione armoniosa governata dall’ordine naturale. I pensatori apollinei furono i primi ad articolare come gli affari umani fossero vincolati dagli stessi cicli che governano il mondo naturale. Polibio sviluppò la teoria dell’anaciclosi , il ciclo dei regimi politici, in cui la monarchia si trasforma in tirannia, l’aristocrazia in oligarchia e la democrazia in governo della massa prima che il processo ricominci. Aristotele, nella sua Politica , esplorò una dinamica simile, sostenendo che i sistemi politici si evolvono naturalmente attraverso cicli, con ogni forma di governo (monarchia, aristocrazia e politica) incline alla degenerazione nella sua controparte corrotta: rispettivamente tirannia, oligarchia e democrazia.

L’anima apollinea esprimeva questa nozione di un cosmo armonioso e delimitato nella sua religione e architettura. I suoi templi, con le loro forme equilibrate e simmetriche, riflettevano un mondo definito da cicli finiti, dove la grandezza umana prosperava entro i limiti della natura.

La visione del mondo dei Magi, che succedette a quella apollinea, era fondata sulla rivelazione di un’unità divina che guidava la storia in una narrazione sacra verso un’inevitabile conclusione della volontà di Dio. La fede dei Magi, sia essa sotto forma di escatologia cristiana o di sottomissione islamica, era intrisa di una certezza fatalistica: la volontà di Dio sarà fatta, sia attraverso la provvidenza divina ( Deus Vult ) o un decreto inesorabile ( Insha’Allah ). Questa visione del mondo promuoveva un profondo orientamento interiore, una fiducia che il proprio ruolo fosse quello di allinearsi al piano divino piuttosto che di forgiare nuovi percorsi.

L’anima dei Magi orientò così il suo pensiero religioso verso l’interno, verso l’unità della divinità nascosta nel cosmo. Le cupole simboleggiavano il mistero racchiuso del divino, e il tempo era percepito come una narrazione sacra, che conduceva alla rivelazione divina.

La visione del mondo faustiana domina oggi. Opera con un’arrogante fiducia nella capacità umana radicata nel presupposto calvinista che essere tra gli Eletti si rivela attraverso il successo mondano, tale che il successo serve sia come prova del favore divino sia come mandato per uno sforzo incessante. Questa convinzione, centrale nell’etica del lavoro protestante, lega la convalida spirituale al conseguimento materiale, promuovendo una spinta inflessibile a conquistare e innovare.

L’anima faustiana trova quindi nella religione una giustificazione per un impegno infinito. Le sue cattedrali gotiche e i suoi grattacieli svettanti esprimono un’aspirazione inflessibile verso il divino, riflettendo la sua concezione sconfinata di spazio e tempo. Per l’uomo faustiano, il tempo è lineare e infinito, un percorso di progresso perpetuo verso un più grande successo derivante da un’ambizione illimitata.

E che dire dell’anima enea che succederà a quella faustiana?

Enea, come lo descrive Virgilio, non è una figura di ambizione illimitata, ma piuttosto una figura di dovere e devozione. Porta gli dei di una città caduta sulle rive di un nuovo inizio. È tragicamente consapevole che il futuro che costruisce deve tenere conto delle rovine del passato. Enea non è Faust, e il suo spirito eneico non si abbandona alla fantasia faustiana di un progresso infinito; ma non accetta nemmeno la caduta di Troia come un prodotto inesorabile della sua ascesa. Enea fonda una nuova civiltà nello spazio liminale tra le aspirazioni del progresso lineare e la realtà del declino ciclico.

Oggi, l’uomo eneo vede in meraviglie come l’intelligenza artificiale sia la promessa di un progresso tecnologico sia lo spettro del Grande Filtro. Guarda la cintura degli asteroidi e la riconosce sia come una preziosa cornucopia di ricchezze sia come un pericoloso arsenale di armi apocalittiche che l’universo potrebbe scagliarci contro. Gode dell’abbondanza dei nostri prodotti industriali, ma teme che i fragili ecosistemi della Terra non possano sostenerli. Per la civiltà enea, la questione non è solo se l’umanità può raggiungere la grandezza, ma se può sopravvivere per raggiungerla.

Questa prospettiva temperata si estende necessariamente alla visione religiosa del mondo dello spirito eneico. Le religioni apollineo, magico e faustiano presumono tutte la certezza : l’apollineo nell’eterno ritorno, il magico nell’inevitabilità divina e il faustiano nel progresso senza fine.

L’anima enea, tuttavia, crede che il destino umano non sia garantito: la volontà di Dio potrebbe non essere fatta sulla Terra come in Cielo. La sopravvivenza e lo scopo ultimo dell’umanità rimangono precari, sospesi tra la possibilità di trascendere i confini della Terra e la plausibilità del fallimento e del collasso.

Diffidente nei confronti del ciclismo apollineo, critico nei confronti del fatalismo dei maghi, ma scettico nei confronti della sicurezza faustiana, lo spirito eneico accetta la fragilità delle proprie aspirazioni, pur continuando ad aspirare.

L’uomo eneo riconosce che l’azione è essenziale per la sopravvivenza, ma il risultato rimane inconoscibile. Questo riconoscimento dell’incertezza promuove un’umiltà assente nell’arroganza faustiana e una vigilanza attiva contro la compiacenza dei Magi. L’anima enea comprende che né la sottomissione passiva alla volontà divina né la fede cieca nel potenziale umano sono sufficienti per la sopravvivenza della civiltà.

Invece, richiede un impegno dinamico con il mondo, che bilanci coraggio con cautela e ambizione per il futuro con riverenza per il passato. Per l’anima enea, la lotta per resistere diventa una forma di adorazione, un riconoscimento del dovere dell’umanità di agire, anche se il percorso da seguire rimane avvolto nel mistero e nell’incertezza.

Quale religione, se ce n’era una, poteva incarnare quest’anima enea?

Una teologia ipsistariana della civiltà enea

Per una coincidenza imprevista – o forse per il funzionamento subconscio della mia mente – la mia ricostruzione speculativa della teologia ipsistaria sembra offrire una teologia che risuona con la visione del mondo eneica.

Ricorda che l’ipsistarianismo (come l’ho ricostruito) offriva due percorsi per l’anima. Un’anima che avesse raggiunto l’eccellenza in vita, dopo la morte, sarebbe salita ai ranghi degli eroi, dei semidei o degli dei, diventando un guardiano o un intercessore per coloro che continuavano la loro esistenza umana. Un’anima che non fosse riuscita a raggiungere la virtù eroica in vita non era né condannata all’inferno né condannata all’oblio, ma semplicemente reincarnata, tornando al ciclo della vita per un altro round di lotta.

Questa duplice struttura rispecchia la posizione liminale della visione del mondo eneica. Proprio come la visione del mondo eneica accetta la possibilità che la civiltà possa continuare la sua ascensione lineare o subire un declino ciclico e una possibile rinascita, così anche la teologia hypsistariana posiziona l’anima di ogni uomo alla morte come se si trovasse a un passaggio dove sia l’ascensione a un piano superiore che il ritorno ciclico a quello inferiore sono possibilità.

Inoltre, l’ipsistarianismo nega ampiamente la possibilità di una salvezza, di un’illuminazione o di un nirvana eternamente garantiti. L’anima eroica può vacillare sul cammino, cadendo dalle sue altezze ascendenti di nuovo sulla terra. Plutarco scrive:

Ma ad alcune di queste anime capita che non mantengano il controllo di se stesse, ma cedano alla tentazione e siano nuovamente rivestite di corpi mortali e abbiano una vita fioca e oscura…

L’aldilà hypsistarian è quindi perpetuamente liminale , anche dopo la morte rimane pieno di scelte che possono portare a progresso o caduta. È simultaneamente lineare nel consentire la theosis e ciclico nel consentire caduta e reincarnazione.

L’ipsistarianismo si allinea quindi bene con lo spirito eneico. Entrambi riconoscono la posizione precaria dell’umanità. Entrambi sottolineano la necessità di impegnarsi per l’eccellenza pur rimanendo consapevoli che il successo non è garantito e che il risultato più probabile non è quello più ottimistico. Il viaggio dell’ipsistarianismo, come il destino dell’eneo, non è un percorso rettilineo verso l’alto, ma una serie di prove che lo pongono continuamente sulla soglia di qualcosa di più grande, o peggiore.

Ora, lasciatemi fermarmi qui per riconoscere la natura altamente speculativa sia della mia teologia dell’Ipsistarianesimo sia del mio concetto dello spirito eneico stesso. La prima è una ricostruzione immaginaria che ho sviluppato da prove frammentarie e salti abduttivi. Il secondo rimane un ethos emergente, non ancora pienamente realizzato e forse mai realizzato. Al momento entrambi questi sistemi di pensiero non sono altro che castelli di carte costruiti in cima a cime ventose. Sono reali come l’Arco di St. Louis sulla luna.

Ciononostante, vedo la luce scintillante della religione enea emergere forse dal luogo più improbabile di tutti: la scienza.

La vita prima della vita dopo la morte

Come ho scritto in precedenza , la mia progressione filosofica è passata dall’ateismo fisicalista al teismo post-fisicalista , una posizione che ho raggiunto dopo una considerevole ricerca filosofica e scientifica . Tale ricerca mi ha portato a scoprire l’enorme corpus di prove della realtà delle esperienze di pre-morte (NDE) e dei ricordi di vite passate che è stato raccolto dai ricercatori del settore.

Una delle prime indagini scientifiche sulle NDE è stata il libro del 1975 di Raymond Moody Life After Life , in cui Moody ha riportato i resoconti di cento persone che hanno sperimentato una coscienza continua dopo la morte. Il libro di Moody è stato seguito dal bestseller del 2009 del dott. Jeffrey Long, Evidence of the Afterlife . Long ha raccolto così tanti resoconti di NDE che ha affermato “attualmente ci sono più prove scientifiche della realtà delle esperienze di pre-morte di quante ce ne siano su come trattare efficacemente certe forme di cancro”. Dott. Bruce Greyson ha condotto una revisione degli ultimi cinque decenni di ricerca nel suo libro del 2021 After , e anche lui ha concluso che le NDE erano esperienze reali di continuazione della coscienza dopo la morte.

Più di recente, il progetto AWAreness during REsuscitation (AWARE) del dott. Sam Parnia ha fornito prove sostanziali della persistenza della coscienza oltre la morte clinica. Lo studio completo di Parnia, pubblicato nell’ottobre 2023 su Resuscitation , ha esaminato oltre 2.000 casi di arresto cardiaco in 15 ospedali e ha scoperto che quasi il 40% dei sopravvissuti ha descritto una qualche forma di consapevolezza durante la rianimazione. Questi resoconti includevano ricordi dettagliati di eventi accaduti mentre erano clinicamente morti, il che suggerisce che la coscienza può esistere indipendentemente dall’attività cerebrale misurabile.

Allo stesso modo, i ricercatori che esplorano i fenomeni dei ricordi di vite passate hanno documentato migliaia di casi in cui gli individui ricordano vividi dettagli di vite passate. Questi ricordi spesso includono nomi, luoghi ed eventi verificati in seguito tramite indagini storiche. Alcuni individui hanno persino mostrato tratti fisici, fobie o talenti inspiegabili se non attraverso la lente della continuità tra le vite.

La prima documentazione rigorosa di questi fenomeni è stata pubblicata nel libro di Stevenson del 1966 Twenty Cases Suggestive of Reincarnation and Life Before Life . Il dott. Stevenson ha poi pubblicato il libro del 1987 Children Who Remember Previous Lives . Il bestseller del 2005 Life Before Life , scritto dal dott. Tucker, amplia ulteriormente la ricerca. Il fondamentale trattato del 2009 del dott. Edward Kelly Irreducible Mind: Towards a Psychology for the 21st century , che ho citato in molti articoli precedenti, approfondisce la tesi della validità della memoria delle vite passate e Kelly si basa ulteriormente su tali scoperte nel suo libro del 2023 Consciousness Unbound: Liberating Mind from the Tyranny of Materialism .

Perché questo è importante? Lo spirito eneo è, in parte, uno spirito scientifico, uno spirito che aspira a far progredire la conoscenza dell’uomo. Una religione enea deve, quindi, necessariamente essere compatibile con le scoperte della scienza.

I profondi viaggi spirituali descritti da Parnia et. al offrono prove scientifiche che alcune anime possono progredire verso stati di esistenza superiori e persino (come afferma l’Ipsistarianismo) fungere da guide o angeli tutelari per coloro che sono ancora in vita. Se Moody, Long, Greyson e Parnia hanno ragione, allora c’è, di fatto, vita dopo la morte.

Allo stesso modo, i ricordi di vite passate descritti da Kelly et. al offrono prove scientifiche che altre anime possono reincarnarsi e che i ricordi, le lezioni e le esperienze di una vita possono essere trasferiti nella successiva. Se Tucker, Stevenson e Kelly hanno ragione, allora c’è, di fatto, vita prima della vita.

Nel complesso, le prove scientifiche delle NDE e dei ricordi di vite passate ci consentono di dedurre l’esistenza di una vita dopo la morte dopo la vita, di un aldilà che accoglie sia l’ascensione che la rinascita; di un aldilà che non garantisce la salvezza eterna né condanna le anime alla dannazione infinita, all’oblio o alla ripetizione. ¹ Le prove ci consentono di formulare una visione metafisica che non è né dogmaticamente assicurata né fatalisticamente rassegnata.

E tutto questo è esattamente la visione eneo-ipsistaria che ho descritto sopra.

E il cristianesimo?

Senza dubbio molti di voi che leggete questo saggio sono (con la o minuscola) cristiani ortodossi di una confessione o di un’altra. Come tali, probabilmente siete piuttosto scettici sui resoconti “scientifici” delle NDE e dei ricordi di vite passate. Dopo tutto, le esperienze raccontate da coloro che hanno avuto NDE non sempre sono in linea con gli insegnamenti della chiesa cristiana sotto tutti gli aspetti, mentre le esperienze raccontate come ricordi di vite passate sono del tutto eterodosse.

Ti capisco. Non ti biasimo per il tuo scetticismo! Perché, allora, penso che dovresti prendere sul serio questi fenomeni? O, almeno, perché li prendo sul serio?

Come capita, l’argomento delle NDE è uno con cui ho una familiarità ravvicinata, quasi di prima mano. Mia moglie Amy ( dei cui problemi di salute ho scritto in precedenza ) ha avuto due esperienze di pre-morte. Entrambe le esperienze erano di comunione con Dio. Nessuna delle due esperienze, tuttavia, era in linea con le sue aspettative cristiane preesistenti: ciò che ha sperimentato non era esattamente ciò che le era stato insegnato ad aspettarsi in Chiesa. Le sue NDE l’hanno quindi messa di fronte a un dilemma spirituale: se le sue NDE erano del tutto veritiere, allora alcune delle sue convinzioni religiose non erano del tutto accurate. Ha concluso, come la maggior parte di coloro che hanno esperienze di NDE, che le esperienze erano reali. Ha aggiornato la sua teologia per adattarla alla sua esperienza e non si è mai voltata indietro. ² Il suo spirito è stato fortificato dalla sua esperienza diretta della divinità e attribuisce alle sue NDE il merito di averle dato la serenità per sopportare la sua malattia durata decenni.

Le sue NDE mi hanno messo di fronte, ateo e fisicalista di lunga data, a un dilemma completamente diverso. Se avevo ragione sul fatto che il mondo fosse puramente fisico e privo di divinità – e sinceramente pensavo di averla – allora le sue esperienze dovevano essere assurdità deliranti, la sua speranza di una vita dopo la morte un’illusione egoistica e la sua sofferenza, come ogni cosa nel cosmo, un risultato insignificante di forze impersonali. È stato questo dilemma a innescare la mia ricerca di alternative al fisicalismo. Ciò che ho letto nel corso di tale ricerca mi sembra essere essenzialmente in linea con l’esperienza descritta da mia moglie. Anch’io credo che le sue esperienze siano reali.

Ho avuto altri amici che hanno avuto esperienze di pre-morte distintamente cristiane; uno di loro, l’autore John C Wright, è stato così commosso dalla sua NDE che ha abbandonato il suo ateismo durato una vita e si è convertito al cattolicesimo romano. Non c’è quindi alcuna ragione implicita per cui un cristiano debba negare le NDE in generale .

Naturalmente, le esperienze di Amy e John non sono altro che un altro insieme di aneddoti online, proprio del tipo che il dott. Parnias ha già documentato migliaia di volte. Non mi aspetto che vi convincano, ma solo che riconoscano che hanno contribuito a convincere me.

Per quanto riguarda la reincarnazione, non posso affermare di averne né prove di prima né di seconda mano. La menziono solo perché la sua esistenza è implicita sia nel pensiero eneano-ipsistario sia negli studi del dott. Tucker e Stevenson. Detto questo, credo che la reincarnazione, come le NDE, possa essere accolta da una lente che rimane fondamentalmente cristiana. ³

Il dott. Bruce Charlton (che ho citato in precedenza ) ha scritto ampiamente sulla reincarnazione. In un articolo dell’ottobre 2018, il dott. Charlton ha scritto :

Sebbene la maggior parte dei cristiani apparentemente non abbia questo atteggiamento, personalmente trovo difficile rifiutare del tutto l’idea della reincarnazione… principalmente perché (sembra) che la maggior parte delle persone, per gran parte della storia umana, abbia creduto nella realtà di una o dell’altra forma di reincarnazione; inoltre, molti dei pensatori più moderni che rispetto di più credono nella reincarnazione, apparentemente per esperienza personale direttamente intuita.

Il dott. Charlton continua offrendo una serie di saggi ponderati che discutono diversi modi in cui la possibilità della reincarnazione potrebbe essere accolta all’interno della religione cristiana. Il suo saggio del novembre 2018 ” Who Gets Resurrected ” sembra il più pertinente qui:

Se è vero che solo i seguaci di Gesù risorgono, allora questo… significa che la resurrezione è scelta, è volontaria; e quindi la resurrezione non è forzata né imposta… Coloro che non credono in Gesù, o che non lo amano e non desiderano seguirlo, o che non vogliono la Vita Eterna in un mondo (celeste) di amore e creazione, questi Non risorgono, ma torneranno invece alla vita spirituale (come abbiamo iniziato; prima di incarnarci nella mortalità terrena).

Ciò concorda con le credenze di molte religioni non cristiane (Induismo, Buddismo e altri paganesimi) che vedono la vita post-mortem in termini di ritorno al mondo spirituale.

Apre anche la possibilità della reincarnazione , che è stata probabilmente la credenza comune della maggior parte degli esseri umani per gran parte della storia umana. Il Quarto Vangelo insegna che la reincarnazione è una possibilità, quando discute se Giovanni Battista fosse uno dei profeti dell’Antico Testamento reincarnato…

Potremmo anche ipotizzare (e sarebbe un’ipotesi se non fosse confermata dalla rivelazione) che il mondo contenga una miscela di mortali appena incarnati e una parte di reincarnati che non hanno accettato Gesù nelle vite precedenti ma sono tornati (presumibilmente per scelta) per offrire ulteriori possibilità.

Ma ancora una volta, sembra intrinseco al cristianesimo che ogni teosi superiore avvenga per scelta…

Il dott. Charlton chiama la sua scuola di pensiero “Cristianesimo romantico”. Sebbene si debba ammettere che il suo Cristianesimo romantico non sia in completo accordo con nessuna particolare denominazione esistente del Cristianesimo, è comunque indiscutibilmente cristiano. Tuttavia è un tipo di Cristianesimo che ha un posto per ciò che è meglio negli insegnamenti spirituali di altre religioni e che è piuttosto in linea con lo spirito eneico in qualche modo. ⁴ Forse qualcosa di simile a questa sintesi potrebbe guidare l’Occidente in avanti in quello che Nelson Elliott ha chiamato “alt-ecumenismo” nel suo guest post The Woodland .

Il futuro eneo è incerto – e quindi eneo

Se questa sintesi, o la più ampia visione del mondo enea stessa, prenderà infine forma resta incerto, una conclusione appropriata dato che l’ethos enea stesso abbraccia la precarietà del futuro. Tutto ciò che si può dire con sicurezza è questo: se lo spirito enea arriva a definire una nuova civiltà, la sua visione religiosa del mondo rifletterà il suo carattere liminale, mescolando ambizione e cautela, ascensione e rinnovamento, infinito ed eternità, linearità e circolarità.

Quando ho iniziato a scrivere questo saggio, non ero certo che l’avrei pubblicato. Si addentra piuttosto profondamente nel personale, nell’eterodosso e nello speculativo, a un livello che mette persino me a disagio. Ma lo spirito eneo, se esiste davvero, esiste per ricordarci che i più grandi successi dell’umanità non nascono dalla certezza, ma dal coraggio di agire nell’incertezza, sempre al confine tra passato e futuro, tra tempo ciclico e possibilità infinite.

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1

Per ragioni di spazio ho escluso un terzo strato di prove, quello derivante dall’uso di enteogeni per indurre stati di coscienza liminali. Fortunatamente un uomo con un pubblico più vasto di quanto io potrò mai godere ha già fatto il duro lavoro. Che si tratti di discutere di come gli psichedelici abbiano influenzato la religione con Michael Pollan , Jordan Peterson o Michael Malice , o di raccontare esperienze psichedeliche con Rob Lowe o Nikki Glaser , o discutendo di coscienza e psichedelici con Brian Greene , Joe Rogan ha (ri)impostato la linea di base per la realtà dell’esperienza post-fisica. Un ateo non può più semplicemente asserire il materialismo riduzionista senza essere messo in discussione; troppe persone hanno sperimentato direttamente qualcosa di “di più”.

2

Mentre scrivevo questo articolo ho chiesto ad Amy di descrivere le sue NDE. Ha detto: “Sentivo Dio tutto intorno a me ma non Lo vedevo né Lo sentivo. Non avevo i miei sensi. Non avevo affatto un corpo. Ma i corpi mi sembravano irrilevanti. Dio comunicava con me ma non era parlando e io non “sentivo” le Sue parole. Il Suo messaggio era semplicemente nella mia mente. Mi ha dato qualcosa che va oltre la comprensione umana: pace perfetta, amore perfetto, gioia perfetta. Ho capito che veniamo sulla Terra per un’esperienza e poi torniamo a casa”.

3

Per essere onesti, penso anche che l’ipsistarianesimo nel suo complesso potrebbe probabilmente essere accolto in un contesto cristiano. Ho notato nel mio articolo originale quanto facilmente il cristianesimo “pop” possa essere accolto; si potrebbe anche raggiungere un cristianesimo più rigoroso, sebbene di una varietà semi-pelagiana. La Chiesa ipsistariana di Dio Altissimo risultante sarebbe probabilmente molto più compatibile con la visione del mondo del mio lettore tipico di qualsiasi cosa offerta dagli odierni vescovi lesbici della Chiesa anglicana locale. Lascerò questo dibattito per un saggio futuro.

4

Non voglio mettere parole in bocca al Dott. Charlton (che stimo moltissimo), quindi rimando i lettori interessati al suo blog. Mi limiterò a richiamare l’attenzione sulla sua teoria, ispirata da Owen Barfield, secondo cui la coscienza dell’uomo si è evoluta nel tempo, tanto che ora si trova su una soglia o spazio liminale in cui deve intraprendere un nuovo tipo di partecipazione al cosmo.

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per comprendere l’attuale crisi politica e di civiltà e per il sorgere dell’Epifania Strategica di un nuovo Risorgimento _ Di Massimo Morigi

Dies Natalis Solis Invicti vel Solstizio d’Inverno: Settimio Severo, Caracalla, Eliogabalo, Alessandro Severo, Lenin, Gramsci,  Mazzini, Pacciardi e Spadolini per comprendere l’attuale crisi politica e di civiltà e per il sorgere dell’Epifania   Strategica   di   un   nuovo     Risorgimento

 

Di Massimo Morigi

 

 

 

       

        Narra Cassio Dione nella sua “Storia romana” che Settimio Severo poco prima di spirare lasciò la seguente raccomandazione ai suoi due figli Geta e Caracalla i quali si dovevano, secondo le sue intenzioni, spartire il potere imperiale dopo la sua dipartita: «Non siate in disaccordo, arricchite i soldati, disprezzate chiunque altro.»

        Ora se il primo punto fu ampiamente disatteso, Geta e Caracalla vivevano nello stesso palazzo imperiale sul Palatino, Caracalla odiava Geta, evitavano quindi accuratamente di incrociarsi nelle stesse stanze e, il 1° febbraio del 212 d.c., Caracalla fece assassinare  da un gruppo di centurioni il fratello che non fu risparmiato anche  se per sfuggire ai suoi assassini si era  gettato nella braccia della madre Giulia Domna e sembra  addirittura che Caracalla si unì personalmente a costoro nello sferrare i colpi mortali al figlio avvinghiato alla madre, gli altri due punti della raccomandazione, soprattutto nella parte di arricchire i soldati e in subordine, di disprezzare chiunque altro (cioè il Senato, che per quanto riguarda il popolo Caracalla fu amato soprattutto in ragione delle sue notevolissime spese pubbliche, si veda l’edificazione delle gigantesche terme che  portano il suo nome e  si veda anche il suo famoso editto, la Constitutio Antoniniana o Editto di Caracalla,  emanato più che per amore delle genti che vivano sul territorio dell’impero,  per cercare di  rimediare a questo gigantesco sforzo finanziario attraverso l’allargamento della base impositiva, allargamento conseguenza diretta della concessione attraverso l’editto   della cittadinanza romana a tutti coloro che, fatta qualche eccezione, vivevano nel vasto impero), si può dire che Caracalla e soprattutto gli imperatori che seguirono alla fine della dinastia dei Severi (ultimo della dinastia Alessandro Severo, che cercò, senza successo, di ridurre le spaventose spese militari e fu per questo assassinato nel 235 d.c. dai suoi stessi soldati nel corso di una campagna contro le tribù germaniche), si attennero rigorosamente  alle parole riferiteci da Cassio Dione.

        Del resto l’involuzione del periodo denominato dagli storici dell’ ‘anarchia militare’ seguita alla fine della dinastia dei Severi che va dal 235 al 283 d.C. caratterizzato da ininterrotte guerre civili e dalla totale obliterazione del potere senatorio era già totalmente in nuce nell’idea del paradigma di potere immaginato e messo in atto da Settimio Severo, il quale al posto di princeps si attribuì il titolo di dominus ac deus, volendo con ciò non solo sottolineare la sua totale supremazia sul Senato ma anche, sul modello delle monarchie ellenistiche, la sua natura divina (gli storici hanno definito questa mutazione come passaggio del potere imperiale dal principato alla dominatio, volendo con ciò segnalare l’assoluta preminenza  – in seguito alla ridefinizione del potere imperiale attuata da Settimo Severo che volle rivestire per sé una natura completamente divina e questa caratteristica del potere imperiale non fu più rinnegata ma anzi accentuata da tutti i suoi successori – dell’imperatore sul Senato).

In buona sostanza, a partire da Settimio Severo si assiste ad un progressivo ed anche molto rapido degrado della forma politica dello Stato romano che vede il totale annullamento del potere e della dignità giuridica del Senato a cui però non segue la creazione di nuovi centri di potere politico giuridicamente normati ma semplicemente la crescita metastatica di un potere, quello imperiale, basato unicamente sulla forza militare e sulla capacità di imporre con l’uso diretto della violenza la propria volontà, il tutto poi giustificato semplicemente dalla natura divina dello stesso potere imperiale. (Sorprende che ancor oggi ci si chieda perché crollò l’impero: dopo Settimio Severo l’espressione apicale dello Stato romano non aveva più una forma politica  giuridicamente normata, perché anche se l’imperatore aveva attributi divini e questa condizione avrebbe potuto essere il fulcro per la costituzione di un nuovo tipo di Stato, mancò sempre il riconoscimento giuridico del principio della successione dinastica, e anche se i vari imperatori cercarono sempre di mettere in atto questo meccanismo e imporre questo principio, la successione, in pratica, fu sempre determinata dalla forza delle armi e non da un principio giuridico riconosciuto e universalmente accettato. E non si comprendono queste dinamiche della fine dell’impero romano, perché la situazione in cui viviamo, cioè l’evaporazione della forma pubblica del potere politico, è esattamente la situazione in cui vive il c.d. occidente c.d. democratico e quindi è meglio non comprendere il passato perché se no si rischia di comprendere il presente.)

        Veniamo quindi ad oggi ed esaminiamo innanzitutto quanto successo nelle elezioni rumene, il cui esito è stato annullato  dalla c.d. Corte costituzionale  di quel paese  adducendo come pretesto che le elezioni erano state potentemente condizionate da influencer filorussi. Ora il punto non è tanto sottolineare la risibilità delle motivazioni di questo colpo di Stato (è proprio nella natura delle contese elettorali essere plasmate dai c.d. opinion leader, interni o esteri che siano, e chi ha una visione della decisione dell’elettore che deve essere scevra da influenze di qualsiasi tipo  che non siano un meditato ragionamento dia allora una spiegazione del perché si fanno le campagne elettorali, che non sono certo esemplate sul metodo maieutico di Socrate per far fuoruscire dall’interno della coscienza dell’elettore la scelta su cosa è il bene e l’utile per sé e per la comunità dove vive) ma quanto all’estero, nel c.d. occidente c.d. democratico, non si sia assolutamente sottolineata la risibilità di questa motivazione e ciò è dovuto semplicemente al fatto che la progressiva militarizzazione di queste società in funzione antirussa e imperialista sta sbriciolando le vecchie ideologie e forme del potere rappresentativo-informativo-mediatiche che, se prima avevano fra i punti salienti della loro narrazione  ad uso del dominio delle masse la rule of law e la divisione dei poteri, ora non hanno altro  da offrire che la divinizzazione di un potere militare rispetto al successo del quale nel combattere la Russia e a consolidare il declinante imperialismo anglo-americano tutto il resto scompare e l’annullamento delle elezioni rumene è perfettamente compatibile con questa nuova forma espressiva  e modalità  operativa di potere, che nella sua parte pubblica rappresentativo-informativo-mediatica ha optato per il suicidio immolandosi sull’altare del Moloch del potere industriale-finanziario-militare.

        La stessa cosa dicasi per la caduta della repubblica siriana governata  da Bashar al-Assad, dove i mezzi di comunicazione mainstream non sottolineano  il fatto che coloro che ora assumono il potere sono gli stessi jihadisti terroristi dipinti in passato  –  e a ragione – come il male assoluto (e se proprio si vuole esagerare nell’accennare a questa scomoda verità, viene formulato il pio desiderio che ora essi, forse, sono cambiati e che da cattivi sono diventati buoni e quindi redenti: vecchio schema tratto dalla nostra tradizione religiosa ma che funziona sempre, a quanto pare o almeno così sperano questi incantatori di serpenti) e addirittura, se viene evidenziato il ruolo della Turchia in tutta la vicenda, non viene assolutamente detto del ruolo svolto da  istruttori ucraini a fianco dei jihadisti e visto i problemi che ha oggi l’Ucraina con un guerra contro la Russia che si sta concludendo in maniera catastrofica, è veramente molto arduo pensare ad un’iniziativa automa da parte di costoro ma è  molto più logico e sensato pensare ad una missione in ambito Nato, di cui gli ucraini, pur non facendone parte, sono i diligenti esecutori, anche se dalle loro parti avrebbero ben altro cui pensare e cercare di rimediare.

 

        In sintesi, si può affermare che anche nel nostro c.d. occidente si sta passando da una fase di principato, dove il predominio del potere economico-finanziario e dell’apparato militare industriale era celato ma anche in qualche misura bilanciato rispetto agli altri poteri  dalla narrazione democratica sulla rule of law e sulla divisione dei poteri, ad una sempre più accentuata fase di dominatio, dove il potere militare –  e, in simbiosi, quello industriale-finanziario  – è, de facto, un potere con attributi divini e assolutamente prevalente sugli altri sempre più immiseriti centri di potere politico pubblico-rappresentativo ed informativo.

        E non è nemmeno troppo ardito pensare che non ci verrà risparmiata nemmeno una bella anarchia militare, perché sarebbe veramente molto ingenuo sperare che un potere militare divinizzato senza regole e senza freni e senza nulla che gli si opponga, a sua volta non trovi occasione per spezzettarsi e generare guerre civili all’interno delle varie nazioni del c.d. occidente e anche fra queste le une contro le altre armate (giusto l’insegnamento di Lenin che in “Imperialismo fase suprema del capitalismo” descrive come la fase monopolistica del capitalismo produca conflittualità fra i vari cartelli monopolistici, così il sorgere di nuovi e totalitari cartelli industrial-militari e finanziari non potrà che condurre ad una sempre più accentuata conflittualità sociale all’interno delle nazioni e fra le nazioni stesse che attraversano questa fase. Per ora tutti uniti contro la Russia e contro la Cina sotto l’insegna della Nato e in nome dell’occidente, ma quando sarà chiaro che il nemico non potrà essere vinto e si affermerà definitivamente un mondo multipolare, “Che fare?”…).

Concludo con un’osservazione sulla costruzione di forze che si oppongano a questo degrado politico, civile e culturale e lo faccio con un ragionamento che parte dalla mia storia politica e di come questa storia politica abbia influenzato i miei studi. Politicamente nasco repubblicano e partendo da questo ho sempre pensato e penso tuttora che il Risorgimento italiano se ha un lascito da offrire per la costruzione di queste forze di rinnovamento sia proprio il pensiero e l’operato di Giuseppe Mazzini: come operato perché Mazzini seppe dare una cristallina testimonianza di fede e sacrificio personale nella nascita e potenzialità dell’Italia (mutuando dal linguaggio religioso, egli fu quindi l’archetipo del santo e martire della nazione italiana), come pensiero perché egli sempre concepì l’Italia come un tutt’uno organico che è proprio la visione che oggi, al di là delle espressioni retoriche, manca alle varie e variamente confliggenti forme del potere politico-partitico-mediatico, fra l’altro declinanti ed in decomposizione in ragione del sopravanzante e divinizzato potere militare.

        Per rimanere all’Italia e sempre alla mia storia personale, l’odierno partito repubblicano, a parte il non trascurabile fatto che politicamente è rimasto un’espressione sempre più fioca ed irrilevante di flebili appartenenze locali che continuano a riprodursi non in ragione dell’espressione di un momento politico ma in ragione del voler sentimentalmente prorogare fino alla sfinimento una tradizione politica familiare sotto l’insegna dell’edera che ormai non ha più nulla di autenticamente politico, esso, ancor prima dell’odierna fase involutiva finale, ha subito negli ultimi decenni, a partire dagli inizi degli anni Sessanta, un sempre maggior allontanamento pratico e sentimentale dalla figura di Mazzini, a tal punto che oggi Mazzini è veramente solo una figurina di Epinal buona solo a qualche stanco volo retorico, un allontanamento il cui segno è oggi una sorta di retorica  all’insegna di un finto progressismo che, al posto degli originari slogan di natura tecnocratica sulle riforme di struttura che all’inizio degli anni Sessanta avevano di fatto spodestato nel partito  la retorica e l’immaginario romantico-mazziniano, ha ora sposato una versione sfocata ed annacquata, timida e piccolissimo-borghese (in sintesi: una versione a là Fantozzi) dell’ideologia woke (siamo veramente lontani milioni di anni luce dalla versione Spadolini del PRI, dove il professore e storico fiorentino cercò, sebbene in un’osservanza strettamente atlantista di stampo pacciardiano prima e lamalfiano poi  – ma su l’atlantista di ferro Randolfo Pacciardi andrebbe aperto un discorso a parte che verrà ripreso in altro contributo, perché egli fu anche un convintissimo  mazziniano ed anche preveggente rispetto all’inevitabile degrado della forma politica dell’Italia uscita dal secondo conflitto mondiale –, di far rinascere l’afflato romantico-sentimentale del Risorgimento ponendo al centro di questa rappresentazione l’operato eroico di Giuseppe Mazzini, e però contemporaneamente, operazione veramente finissima e lungimirante, cercando di costruire un’ideologia laica fondata sull’apostolo genovese che si sbarazzasse una volta per tutte dell’anticlericalismo del partito. Purtroppo i fedeli ma anche residui  repubblicani odierni sono tuttora anticlericali, anzi wokisti anche se di un wokismo imparaticcio e fantozziano di derivazione radical-diessina e il Tevere più largo, cioè il sogno spadoliniano di un definitivo compimento, con ampia soddisfazione e utilità per  le due parti, del programma cavouriano di libera Chiesa in libero Stato non ha, al momento,  più molto significato visto il sorgere totalitario del nuovo potere finanziario-militare-industrale).

        A parte la sua irrilevanza politica quindi, l’attuale partito repubblicano nei suoi dirigenti e nella sua base è la formazione politica meno adatta a comprendere le caratteristiche dell’attuale crisi di civiltà di passaggio dal principato basato su una narrazione democratica che poggiava sul rispetto formale da parte del potere economico-finanziario-militare dei poteri politico-partitico-mediatici e all’interno di questi secondi su una autonoma articolazione fra questi tre momenti del potere pubblico, alla dominatio diretta e spudorata degli appartati tecnocratico-militari su ogni altra forma di potere politico pubblico, i quali non solo risultano annichiliti ma anche nelle loro residue e parodistiche manifestazioni totalmente dimentichi della loro originaria suddivisione e reciproca autonomia (esemplare il caso della Romania dove la Corte costituzionale con cavilli neppure di natura giuridica ma di natura pseudopolitica annulla la libera e giuridicamente vincolante libera espressione del popolo), e si presenta quindi più un ostacolo che una risorsa, se assunto come una possibile forma di positive evoluzioni, per la rinascita di un pensiero e di una azione autenticamente mazziniani che sappiano far rivivere, in quest’epoca di dominatio e di conseguente idolatria delle forme militari, le forme ideali e di azione del Risorgimento, contrassegnate nella parte democratico-mazzinianana da un empito romantico che intendeva unire in un tutt’uno organico il popolo al fine della costruzione di una nazione e Stato italiani che fossero la compiuta espressione di questa sintesi olistica (il Dio e Popolo di Mazzini altro non era che la formulazione teologica di questa agognata unione, la Repubblica era quindi per  Mazzini la sola forma politica possibile non in un teoretico  disprezzo verso il privilegio di nascita dei regnanti ma per il semplice motivo che solo un Res Publica poteva garantire questa sintesi organica del popolo e non certo il rapporto dall’alto verso il basso fra i sudditi ed il regnante).

        Se preso però come il segnalatore d’incendio di una possibile e pubblica contraddizione che poggi le sue basi sulla natura romantico-mazziniana delle sue origini oggi totalmente obliterata, il PRI può ancora svolgere un suo ruolo per la fuoruscita dell’Italia dal compiuto peccato del rinnegamento della sua epifania strategica che cercò di manifestarsi nel Risorgimento, e così forse il Dio e popolo mazziniano potrà avere, contro ogni dominatio degli apparati finanziario-tecnologico-militari e contro la loro de facto idolatria tributagli dal c.d. occidente, ancora una parola da dire nella storia.

        L’alternativa a questa fuoruscita da questa idolatria è, a livello di ideologia woke, il proliferare dell’Eliogabalo di massa (rammentiamo che Eliogabalo fu l’imperatore adolescente che successe a Caracalla e che per caratteristiche personali e perché già Dio imperatore e quindi reputandosi al di sopra di qualsiasi giudizio umano e convenzione sociale si dedicò alla più ridicole e disgustose dissolutezze per poi essere ucciso assieme a sua madre Giulia Soemia dai pretoriani l’11 marzo del 222 d.c.) e a livello di vero potere il compiuto peccato del definitivo affermarsi del potere assoluto (cioè legibus solutus) degli apparati finanziario-industriale-militari cui non potrà che seguire la fase dell’anarchia militare cioè di dissoluzione tumultuosa  del corpo politico  dei vari paesi del c.d. occidente ad opera di un potere finanziario-industriale-militare che ha travolto tutto il resto ma che, per la sua natura violenta e prevaricatrice, non riesce a trovare una sua composizione interna, sia prendendo la forma questa anarchia militare di una diuturna aggressione esterna dei paesi del c.d. occidente per fermare la multipolarizzazione del scenario geopolitico  mondiale e quindi contro ogni espressione internazionale che si opponga alla dominatio degli suoi apparati finanziario-industriale-militari.

        In effetti, il Dio e popolo di Mazzini e il Risorgimento tradito di Antonio Gramsci sono lezioni che, per quanto rivestite di una diversa forma espressiva, hanno profondissime ed intime analogie, veri e propri sotterranei e tellurici intrecci e richiami quantistici, che vale proprio la pena di disseppellire per far illuminare dalla luce del sole le prime pietre da sgrossare per la costruzione del soggetto politico inteso al  sorgere dell’Epifania Strategica  del nuovo Risorgimento di cui abbiamo qui cercato di dire. Ora e sempre.

 

P.S.  Il compito che ci si propone nei prossimi  contributi è quindi l’affioramento archeologico dei resti di un partito che nella sua parabola è emblema e testimonianza di quello che, alla luce delle odierne disperanti condizioni dell’Italia, ho altrove già definito ‘fallimento del Risorgimento’, un fallimento di cui Giuseppe Mazzini ed Antonio Gramsci furono le due coscienze più avvertite. Questo affioramento verrà effettuato attraverso la ricostruzione delle figure di personaggi del partito repubblicano che vissero intensamente il credo mazziniano e che furono vite spese con la massima eroica intensità nello sforzo   per far   sì che il Risorgimento non fosse un fallimento. E la rappresentazione di  questa loro intima e pubblica totalizzante dimensione, altro non è che il tentativo di operare l’ Aufhebung non solo del partito repubblicano ma, molto più importante, del Risorgimento, quest’ultimo lo sviluppo storico-dialettico per il quale sia Gramsci che Mazzini, nonostante le loro cocenti sconfitte, dedicarono la  vita. Walter Benjamin non ha mai inteso il suo balzo di tigre a ritroso nel tempo come un atto archeologico e antiquario ma come la fondamentale mossa del nano nascosto sotto la scacchiera che dava movimento all’infallibile fantoccio in veste da turco giocatore di scacchi  per far resuscitare   le forme espressive del passato e con queste rendere giustizia, costituendoli e creandoli presenze vive fra di noi, nonostante la damnatio memoriae imposta dai vincitori,  gli sconfitti e travolti  dalla storia. Un piccolo benjaminiano   atto messianico, quindi,  di giustizia poetica e perciò di  rinascita del quale, anche se solo da apprendista forza del passato, si cercherà  di dare  prova nei prossimi contributi.

 

Massimo Morigi,  Dies Natalis Solis Invicti vel Solstizio d’Inverno anno 2024 

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I pezzi iniziano a cadere lentamente al loro posto nella “Nuova Siria”, di Simplicius

I pezzi iniziano a cadere lentamente al loro posto nella “Nuova Siria”.

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Il mondo attende con il fiato sospeso la risoluzione della situazione siriana, e il modo in cui le forze di “opposizione” intendono bilanciare l’insieme di poteri e interessi stranieri per creare una parvenza di nazione unita. Molto probabilmente non funzionerà affatto, anche se stanno facendo un buon tentativo iniziale.

Nell’ultimo grande rapporto ho parlato delle potenze in lizza, di come Israele e Turchia siano ora destinati a scontrarsi escatologicamente sulla Palestina e sul Levante. Erdogan lo ha lasciato intendere in un nuovo discorso, in cui ha improvvisamente lamentato tutti i territori che la Turchia ha perso all’inizio del XX secolo:

Dà via l’intera partita, impiantando i ricordi nella mente dei suoi seguaci, ricordando loro che la Siria ‘dovrebbe’ appartenere davvero alla Turchia. Questa è la lenta e graduale preparazione alle cose che verranno, di cui ho parlato. Infatti, qualcuno ricorderà che già l’anno scorso avevo scritto che il destino della Turchia, come quello di tutti gli imperi del passato, consiste nel perseguire una riunificazione irredentista.

Ricordiamo che per certi versi la Turchia ha ragione: anche se Erdogan può non piacerci, non si può sostenere che la Turchia sia stata massacrata dalle potenze europee con la prova di Sykes Picot.

Ma ora si stanno formando due narrazioni fortemente opposte. Da un lato, molte dichiarazioni e video testimoniano che la Siria controllata dall’HTS è diventata una sorta di proxy di Israele, mentre un diluvio di nuove prove mostra che la Turchia sta lentamente fortificando la sua posizione di futuro egemone della regione.

La prima, dalla TV turca:

Non rendetelo così ovvio!

Poi, non appena Damasco è caduta, il direttore del MIT – l’equivalente turco della CIA -, Ibrahim Kalin, è stato visto fare visita a Jolani, visitare Damasco e rendere omaggio all’antica moschea degli Omayyadi.

Diversi video hanno mostrato Jolani agire come autista personale di Kalin, portandolo in giro per Damasco con una scorta armata. Foto di Jolani al volante

Video con Kalin visto sul sedile del passeggero mentre gli spettatori sono scioccati dal fatto che Jolani gli faccia da autista:

Pensateci: Jolani come autista personale del capo della massima agenzia di intelligence turca, senza contare che Kalin è stato consigliere personale di Erdogan ed è membro del suo partito AK.

Quindi, lo scagnozzo personale di Erdogan sta già pedinando Jolani, sussurrandogli all’orecchio: cosa può significare? E che cosa dice delle voci secondo cui l’HTS avrebbe già da tempo tagliato i ponti con la Turchia, e lo stesso vale per l’SNA/FSA/TFSA?

Senza contare che sono apparsi altri video di “ribelli” che dichiarano che il prossimo obiettivo sarà Israele:

Ma all’altro capo dell’equazione, Israele ha invaso Quneitra, assicurando quella che sostiene essere una zona cuscinetto:

La presenza di carri armati israeliani Merkava Mark 4 nella città di Umm Batna, nell’area rurale di Quneitra, nel sud della Siria.

Guardate come appare impacciata la preside del MSM, costretta a riferire di un’evidente invasione illegale da parte di Israele, che i suoi produttori l’hanno obbligata a descrivere con un “linguaggio neutrale”:

Sai, questo tipo di linguaggio:

I carri armati israeliani sarebbero stati avvistati a soli 15 km dai confini di Damasco, mentre altre fonti sostengono che siano a 40 km: nessuno sembra sapere con precisione dove si trovino, cosa che suppongo Israele abbia fatto di proposito:

Anche parte del sud di Daraa sarebbe stata catturata:

Le forze israeliane hanno catturato al-Khalidiyah, Rwihinah e le alture di Mughr al-Meer, in direzione di Daraa, nel sud della Siria.

All’inizio della giornata, le truppe israeliane sono entrate nell’ex base dell’Esercito arabo siriano a Tall ash-Sham, ma si sono ritirate un paio d’ore dopo.

276 kmq di Siria sono sotto il controllo di Israele (escluso il Golan).

Ora, ci sono tutti i tipi di storie e video che sostengono che Netanyahu stia corteggiando le tribù druse della regione – qui raffigurato all’improvviso mentre lecca i piedi allo sceicco Mowafaq Tarif, il leader spirituale dei drusi in Israele:

Diversi altri video ritraggono membri drusi che chiedono a Israele di annettere la loro regione per “proteggerli” dall’HTS. Se fosse vero, questo sarebbe un ovvio stratagemma per Israele per annettersi la maggior parte di Quneitra, ma il problema è che molti di questi video sono stati smentiti.

Da uno dei video:

ISRAELE SI PRENDE DI PIÙ: Anche il leader druso di al-Suwayda, nel sud-ovest della Siria, ha emesso una risoluzione a nome del suo villaggio! “Non accetteremo di vivere sotto il dominio dei ribelli, che sono identici all’ISIS, vogliamo vivere sotto il dominio israeliano e diventare parte di Israele” .

Il “leader druso” di al-Suwayda si è rivelato essere un druso israeliano, che vive in Israele; e il consiglio tribale druso di Hader avrebbe emesso una smentita, quindi è difficile sapere con certezza da che parte stiano andando le cose al momento.

Tuttavia, secondo quanto riportato in questo video, i coloni israeliani stavano già allestendo una nuova missione illegale nella zona:

Stampa e studio del Sefer HaTanya nella nuova casa Chabad nel villaggio di Hader, nella zona liberata di Hashan (Siria). Questo è il nostro intero Paese! Conquistate e insediatevi!

È difficile dire se quanto sopra sia una sorta di trovata o di provocazione religiosa, o una seria conferma che i coloni israeliani stanno già mettendo radici ancestrali nel territorio siriano recentemente annesso. …

Un altro video ritrae un rappresentante dell’FSA che elude in modo molto contorto una domanda su Israele che sta bombardando una Siria ora sotto l’egida della sua banda HTS e FSA.

È chiaro che viene loro impartito l’ordine di non “agitare le acque” o di non agitare le piume quando si tratta di Israele e delle loro future relazioni.

E un altro video mostra uno studioso israeliano che afferma che l’HTS aprirà un’ambasciata a Gerusalemme:

Mordechai Kedar, studioso israeliano: “Sono in contatto con persone di alto livello dell’HTS….. apriranno un’ambasciata israeliana a Damasco e Beirut, e apriranno un’ambasciata a Gerusalemme”.

*Mordechai Kedar è uno studioso israeliano ed ex ufficiale dei servizi segreti dell’IDF con oltre 25 anni di esperienza, specializzato in media arabi e affari mediorientali. Docente presso la Bar-Ilan University, è riconosciuto per la sua esperienza nella cultura islamica, nella politica araba e nel conflitto israelo-arabo.

Anche Jolani è stato protagonista di una nuova breve clip in cui sembra che gli sia stata posta una domanda sulla guerra con Israele, rispondendo che il Paese “non è pronto per un’altra guerra e non ha intenzione di entrarvi”:

È innegabilmente criptico. Anche lui si morde la lingua e si ha la sensazione di un serpente che aspetta il suo momento nell’erba. Sa che Israele ha il sopravvento, per ora, finché l’HTS e la Turchia non riusciranno a creare una sorta di struttura statale unificata. Naturalmente, c’è la teoria che Jolani stesso sia controllato dal Mossad e quindi sotto il controllo di Israele, ma non ne sono così sicuro.

Commentatore Aaron Zelin è d’accordoleggi le parti importanti in grassetto:

lol tutti i pagliacci che dicono che questo video di Jawlani ora significa che Israele è dietro HTS. A differenza degli idioti di questo sito, non è un suicida, ha letteralmente appena visto Israele distruggere Hamas e Hizballah l’anno scorso. Due gruppi percepiti come più forti di HTS il 6 ottobre 2023.

Se seguiste davvero l’HTS sapreste che è pro-Palestina e anti-Israele. Ha sostenuto gli attacchi missilistici di Hamas prima del 10/7 e ha sostenuto l’attacco del 10/7 stesso. Ha elogiato sia Haniyah che Sinwar. All’inizio di quest’anno, l’HTS ha organizzato una grande fiera sulla Palestina e sulla storia palestinese in solidarietà con la Siria occidentale. Molti hanno rimproverato a Jawlani di aver presumibilmente rinunciato alla lotta contro il regime negli ultimi 4,5 anni e di essersi accontentato di starsene tranquillo a Idlib. Sappiamo tutti cosa è successo da allora. Non aspettatevi che faccia qualcosa che distrugga ciò che è stato appena conquistato. Se ha intenzione di fare qualcosa contro Israele, gli darei un orizzonte temporale di almeno 5-10 anni. L’HTS ha bisogno di consolidare la Siria, poi di ricostruire il Paese e le sue forze armate, e quindi di proporre un piano dal suo punto di vista. Ma è più facile dire certe cose quando non si sa nulla dell’HTS o della sua storia.

Quanto detto sopra è vero: si tratta di un piano turco a lungo termine per riconquistare il Levante – anche se ci vorranno 20-50 anni o giù di lì.

Anche se Jolani a un certo punto ha preso ordini da Israele, è più probabile che sia una mina vagante che sa semplicemente come giocare al gioco dei troni per placare i principali responsabili, cullandoli in un falso senso di sicurezza nello stesso modo in cui ha cullato Assad.

Israele, ovviamente, è troppo astuto per farlo. È ovvio che sospettano che Jolani andrà – o è già andato – a rotoli: ecco perché Israele ha ora effettuato massicci bombardamenti eliminando praticamente tutto ciò che l’SAA possedeva in precedenza. Tutte le difese aeree, i mezzi navali, i blindati e gli aerei dell’aviazione sono stati violentemente smantellati in modo che HTS non possa requisire i potenti resti militari del SAA.

Si dice che HTS abbia rilasciato decine di migliaia di prigionieri dell’ISIS e di altri jihadisti che ora si uniranno all’esercito “rivoluzionario”. Con il tempo, sotto la lenta modellazione turca, potranno essere allineati a una nuova causa – e la distruzione pianificata della moschea di Al-Aqsa non sarà di loro gradimento, per non dire altro.

Va detto anche che siamo stati nuovamente smentiti dai preoccupati che per anni hanno sostenuto che la Russia stava “tradendo la Siria” “permettendo a Israele di colpire la Siria”. Il fatto che Israele sia riuscito solo ora a distruggere le risorse dell’ASA dimostra chiaramente che Israele non ha osato colpire direttamente l’ASA sotto l’egida della Russia. Gli attacchi sono stati effettuati su beni dell’IRGC, che la Russia non aveva alcun accordo o obbligo di proteggere allo stesso modo. Occasionalmente ci sono stati dei collaterali siriani indiretti, ma per la maggior parte Israele non ha colpito direttamente l’ASA. Ora, nel momento in cui Israele ha il permesso di farlo, ha distrutto tutto.

Interessante è anche ciò che ha rivelato, sfatando un altro mito a lungo sostenuto. La distruzione delle difese aeree siriane da parte di Israele negli ultimi due giorni ha indotto i funzionari israeliani ad avvertire che Israele è ora in grado di attaccare l’Iran senza ostacoli:

L’aeronautica israeliana ritiene ora di essere in grado di condurre operazioni sicure sullo spazio aereo siriano dopo aver raggiunto la superiorità aerea nell’area.

Secondo i media israeliani, il rapido smantellamento delle capacità militari siriane consente ora all’occupazione di utilizzare lo spazio aereo siriano per colpire l’Iran a lungo raggio. La difesa aerea siriana era descritta come una delle più forti della regione. Tuttavia, con la caduta del governo del precedente regime, l’occupazione israeliana ha rapidamente violato la sovranità siriana e ha lanciato una vasta campagna aerea sul Paese.

Che strano. Ricordo che alcuni sostenevano che Israele può facilmente aggirare le difese siriane con i suoi F-35 “stealth”, tra le altre cose? Ma in realtà sembra che Israele fosse terrorizzato dall’idea di sorvolare la Siria, come ho affermato per anni, delineando più volte le precise rotte di attacco utilizzate dalla IAF, che in genere passavano per la Giordania, attraverso l’Iraq o nella Siria orientale controllata dagli Stati Uniti. Ho ripetutamente parlato di come Israele invece spari i missili da dietro la catena del Monte Libano, in modo che i suoi jet da combattimento possano rapidamente “nascondersi” dietro la montagna per uscire dal raggio d’azione dell’AD siriana; ora capiamo perché questo era assolutamente necessario.

Attaccare l’Iran?

Questo ci porta alla parte successiva del piano.

Dopo aver eliminato l’AD siriano, Israele minaccia ora di colpire gli impianti di lavorazione nucleare dell’Iran, in particolare tra le affermazioni che l’Iran inizierà ad accelerare l’arricchimento come deterrente tardivo dopo che il suo “proxy” siriano è stato rimosso dalla scacchiera:

Non sorprende che ora Trump sostenga il piano:

Il team di transizione del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump sta valutando le opzioni per colpire l’Iran, compreso un attacco diretto ai suoi impianti nucleari, hanno dichiarato fonti al Wall Street Journal a condizione di anonimato.

Naturalmente, questo fa parte delle teorie secondo cui Stati Uniti e Israele hanno davvero ottenuto una vittoria importante in Siria, mettendo l’Iran al suo posto e si presume che ora non sia più in grado di sostenere Hezbollah, che fungeva da deterrente per Israele. In precedenza, se Israele avesse colpito duramente l’Iran, quest’ultimo avrebbe potuto attivare Hezbollah per bombardare le città israeliane con lanci massicci di razzi. Ora, non avendo modo di rifornire Hezbollah, l’Iran potrebbe essere messo in scacco, permettendo a Israele e agli Stati Uniti di decapitare l’Iran impunemente.

Ma ricordiamo che l’Iran ha ancora gli Houthi, che erano il principale deterrente contro l’assistenza degli Stati Uniti stessi a Israele in un attacco di questo tipo, dato che hanno ripetutamente messo fuori gioco la flotta di portaerei statunitense nel Mar Rosso. Senza contare le nuove notizie di nuovi accordi e consegne di nuove armi all’Iran da parte della Russia, in particolare di Su-35 per difendersi dai jet israeliani.

Ora che la Turchia sta per diventare l’attore dominante, si sta delineando un nuovo piano: si dice che una grande recrudescenza dell’ISIS sia destinata a colpire vaste aree dell’Iraq, nelle regioni di Tikrit e Mosul. Le forze irachene starebbero scavando grandi trincee lungo tutto il confine. Ci sono solo due possibilità: o la Turchia li sta attivando per destabilizzare e indebolire gli Stati Uniti e i curdi, oppure gli Stati Uniti – o meglio la CIA e i suoi collaboratori – stanno attivando l’ISIS per assicurarsi che gli Stati Uniti abbiano una giustificazione per occupare la regione a tempo indeterminato e che il governo iracheno non abbia scuse per cacciare gli Stati Uniti dall’Iraq, come previsto.

Dal momento che le potenze della regione si contendono il dominio, sarebbe un errore supporre che l’HTS e i vari gruppi ribelli non abbiano alcun potere nell’equazione. Proprio come una fazione dei bolscevichi rivoluzionari, una volta inizialmente sotto il controllo di interessi più grandi, dopo aver preso il potere ha acquisito un potere e ha immediatamente iniziato a respingere molti dei suoi precedenti “benefattori”. Allo stesso modo qui, è troppo presto per supporre che HTS o Jolani siano interamente “talpe del Mossad” o sotto il totale controllo turco. Ci sono ancora possibilità che la situazione vada completamente a sinistra, ed è la ragione per cui HTS e co. cercano di mantenere relazioni diplomatiche con tutti i soggetti coinvolti, inclusa la Russia, per il momento – al fine di mantenere le loro opzioni aperte nel caso in cui una parte o l’altra li pugnali alle spalle.

Tuttavia, è nel lungo periodo che la Turchia ha la possibilità di assumere il maggior controllo, allineando le forze rivoluzionarie al suo più ampio progetto neo-ottomano come baluardo contro la Grande Israele. Ma la Turchia avrà il suo bel da fare perché Israele è probabilmente ben consapevole delle traiettorie in gioco e farà del suo meglio per rimanere in vantaggio, in particolare quando si tratterà di catturare il maggior numero possibile di “territori cuscinetto” per tenersi al sicuro da future invasioni se i jihadisti dovessero accettare la loro nuova missione.

La Russia dovrà probabilmente collaborare con la Turchia, forza dominante nella regione, per garantire qualsiasi tipo di sicurezza alle sue basi. Sebbene gli attuali colloqui sembrino puntare ad “accordi” per il mantenimento delle basi da parte della Russia, non ci si può fidare, soprattutto con i minacciosi video apparsi online di droni ribelli che osservano le basi russe a pochi metri di distanza. Possono stare in agguato e in qualsiasi momento infliggere un colpo paralizzante alle forze russe semplicemente per un “capriccio”.

Ecco:

Ritengo quindi che la situazione sia molto più ingannevolmente pericolosa per la Russia di quanto possa sembrare ovvio. Solo la Turchia potrà garantire una vera protezione, così come le pattuglie congiunte russo-turche sono rimaste indenni nel nord-est del Paese. Ma, naturalmente, questo lascerebbe la Russia più legata alla Turchia in modi sempre più scomodi, ed è per questo che è importante che la Russia crei le proprie connessioni indipendenti.

L’ovvio catalizzatore immediato sarebbe rappresentato dalle forniture di grano russo alla Siria, che finora hanno alimentato la Siria quasi da sole. Ma l’Impero ha già iniziato a tentare di tagliare fuori la Russia:

Le forniture di grano russo alla Siria sono state sospese a causa dell’incertezza sul nuovo governo e dei ritardi nei pagamenti, hanno dichiarato venerdì fonti russe e siriane, mentre due navi che trasportavano grano russo per la Siria non hanno raggiunto le loro destinazioni.

È chiaro che le dimensioni di questi giochi si allargheranno, poiché la Russia potrebbe essere costretta a “ridurre” ulteriormente le capacità di trasporto del grano ucraino come risposta al nuovo gioco dell’Occidente.

Infine, il Consiglio Atlantico, tagliato fuori dalla CIA, ha scritto un nuovo schema per il futuro della Siria:

Riassunto dal canale Two Majors:

Consiglio Atlantico: Un progetto per una “nuova Siria”

Il Consiglio Atlantico, alias il think tank della NATO, ha pubblicato un “progetto di ricostruzione” per la Siria. Sebbene il documento sia incorniciato dai soliti luoghi comuni sulla democrazia e sul cambiamento, contiene alcuni riconoscimenti sorprendenti che meritano di essere analizzati:

– Il piano sottolinea che la ricostruzione della Siria deve essere multinazionale, affermando che nessuna entità può governare efficacemente senza dipendere quasi totalmente dagli aiuti stranieri.

– Questo riflette un cambiamento significativo: sebbene non sia dichiarato apertamente, l’AC sembra riconoscere che ora operiamo in un mondo multipolare in cui il dominio unilaterale dell’Occidente non è più fattibile.

Cosa significa questo:

– Sfruttare questo quadro multinazionale è essenziale per garantire che la ricostruzione della Siria eviti i fallimenti visti in Iraq e Afghanistan.

– È interessante notare che la Russia viene inclusa come partner necessario in questo processo – un’ammissione implicita della sua influenza e indispensabilità nella regione.

Ma aspettate… Naturalmente, il Consiglio Atlantico insiste sul fatto che gli Stati Uniti debbano guidare, come ci si aspetta da un organismo allineato alla NATO. Tuttavia, anche questo ruolo di leadership è inquadrato all’interno di una coalizione più ampia, segnalando una rottura rispetto all’approccio “America-alone” dei decenni passati. Si tratta di un sottile ma significativo riconoscimento dei limiti dell’egemonia occidentale e della necessità di condividere le responsabilità negli affari globali.

H/T: Two Majors

Naturalmente, in linea con i “piani di ricostruzione” del Consiglio Atlantico, Al-Qaeda ha ora annunciato il passaggio da un’economia pianificata dallo Stato a una “liberalizzazione del mercato” per “attrarre investimenti stranieri”:

Ormai conoscete il gioco.

Mi chiedo quale parte dell’economia di libero mercato permetta agli Stati Uniti di continuare ad occupare abusivamente i giacimenti petroliferi nell’est: il nuovo governo HTS continuerà a chiudere un occhio su questo mentre professa una Siria “nuova, libera e prospera ” per il popolo?

Forse la luna di miele non durerà a lungo, visto che a Damasco sono già scoppiate proteste contro Jolani, accusato a quanto si dice di essere debole nei confronti dei curdi a cui è stato permesso di prendere Deir ez-Zour; non è facile essere un re.

Per la Russia resta un momento di attesa e di osservazione, e per ora è necessario giocare passivamente. Alastair Crooke ha avuto una buona intervista con il giudice Napolitano, dove ha spiegato le sue opinioni su cosa è successo esattamente, e se si è trattato di una “perdita” importante per la Russia:

Lui non la pensa così e ritiene che, semmai, Assad abbia preso le distanze dalla Russia e dall’Iran, che hanno distrutto la Siria.

Penso che la Siria fosse destinata a cadere, perché non c’è nulla che una potenza come la Russia possa fare per sostenere perpetuamente un paese circondato da nemici da ogni lato. Immaginate il Donbass, ma con i Paesi Baltici che lo confinano a nord, l’Ucraina a ovest e altri paesi NATO a sud e a est. Perfino la Russia difficilmente sarebbe in grado di aiutarla in uno scenario del genere. Come qualcuno ha detto di recente, perdere la Siria, per ora, è la perdita di un Cavaliere, mentre la NATO che perde l’Ucraina a favore della Russia è la perdita di una Torre.

Un analista ucraino ci lascia con queste riflessioni sulla Siria:

La nostra propaganda gioisce per gli eventi in Siria, ma nessuno ha preso in considerazione il fatto che la Russia sta rilasciando fino a 40 mila unità militari e di aviazione , che saranno dispiegate nella regione di Kursk e nel Donbass. Il Cremlino è in pieno svolgimento e si sta preparando per una guerra prolungata, che potrebbe portare alla perdita di nuove aree e sollevare la questione dell’esistenza stessa dell’Ucraina. Considerando il fatto di difficili negoziati con il team di Trump e il desiderio degli Stati Uniti di uscire dalla guerra nel nostro paese, abbiamo prospettive molto tristi per noi.


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Il barattolo delle mance resta un anacronismo, un esempio arcaico e spudorato di doppio guadagno, per coloro che non riescono proprio a fare a meno di elargire ai loro umili autori preferiti una seconda, avida dose di generosità.

 

La Russia ha schivato un proiettile scegliendo saggiamente di non allearsi con l’ormai sconfitto Asse della Resistenza, di Andrew Korybko

Putin ha fatto la scelta giusta, che è sempre stata guidata dal suo calcolo razionale di ciò che era nell’interesse oggettivo della Russia come Stato, non a causa dell'”influenza sionista” come alcuni nella comunità Alt-Media ora pretendono ridicolmente di diffamarlo dopo essersi arrabbiati perché non ha mosso un dito per salvare la Resistenza.

L’Asse della Resistenza a guida iraniana è stato sconfitto da Israele. L’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 ha provocato la punizione collettiva di Israele contro i palestinesi di Gaza, che ha messo in moto una serie di conflitti che si sono estesi al Libano e alla Siria. Israele ha anche bombardato lo Yemen e l’Iran. Le leadership di Hamas e di Hezbollah sono state distrutte, portando a un cessate il fuoco in Libano, mentre il governo di Assad è stato appena rovesciato da un blitz terroristico sostenuto dalla Turchia che ha interrotto la logistica militare iraniana a Hezbollah.

Questi risultati erano già abbastanza sorprendenti per chi ha creduto all’affermazione del defunto Nasrallah secondo cui “Israele è più debole di una tela di ragno“, ma molti sono rimasti scioccati dal fatto che si siano verificati senza che la Russia abbia mosso un dito per salvare la Resistenza, con la quale pensavano si fosse alleata contro Israele molto tempo fa. Questa seconda falsa idea passerà all’infamia come una delle più riuscite psy-op mai condotte contro la Comunità dei media alternativi (AMC) e, ironia della sorte, dai suoi stessi influencer di spicco.

È stato spiegato all’inizio di ottobre “Perché le false percezioni sulla politica russa verso Israele continuano a proliferare“, che i lettori dovrebbero rivedere per maggiori dettagli, ma che può essere riassunto come i principali influencer dell’AMC hanno detto al loro pubblico ciò che pensavano volessero sentire per motivi di interesse personale. Tra questi, la generazione di peso, la promozione della propria ideologia e/o la sollecitazione di donazioni da parte di membri del pubblico ben intenzionati ma ingenui, a seconda della personalità coinvolta.

L’analisi precedente elenca anche cinque analisi correlate sulla politica russa verso Israele dall’inizio delle guerre dell’Asia occidentale, tra cui questa “Clarifying Lavrov’s Comparison Of The Latest Israeli-Hamas War To Russia’s Special Operation“, che a sua volta rimanda a diverse decine di altre. Tutti fanno riferimento anche a questo rapporto del maggio 2018 su “President Putin On Israel: Citazioni dal sito web del Cremlino (2000-2018)“. Tutti questi materiali si basano su fonti ufficiali e autorevoli russe per giungere alle loro conclusioni.

Essi dimostrano che Putin è un fiero filosemita da sempre che non ha mai condiviso l’ideologia antisionista unificante della Resistenza, esprimendo invece sempre un profondo rispetto per gli ebrei e lo Stato di Israele. Di conseguenza, in qualità di decisore finale della politica estera russa, ha incaricato i suoi diplomatici di trovare un equilibrio tra Israele e la Resistenza. A tal fine, la Russia non prese mai le parti di nessuno dei due e rimase sempre neutrale nelle loro dispute, comprese le guerre dell’Asia occidentale.

Il massimo che ha fatto personalmente è stato condannare la punizione collettiva di Israele nei confronti dei palestinesi, ma sempre nello stesso modo in cui ha condannato il famigerato attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Per quanto riguarda la Russia, il massimo che ha fatto è stato ripetere la stessa retorica e condannare occasionalmente gli attacchi di Israele contro l’IRGC e Hezbollah in Siria, con i quali la Russia non ha mai interferito. Non ha mai cercato di dissuaderli o di intercettarli, né di fare rappresaglie in seguito, né di dare alla Siria le capacità e autorizzazioni per farlo.

Questo era dovuto al meccanismo di deconfliction che Putin e Bibi avevano concordato a fine settembre 2015 poco prima dell’operazione siriana. Non è mai stato confermato per ovvie ragioni diplomatiche, ma queste azioni (o meglio la loro mancanza) suggerivano che Putin riteneva che le attività anti-israeliane dell’Iran in Siria rappresentassero una legittima minaccia per Israele. Per questo motivo, la Russia si è sempre tenuta in disparte ogni volta che Israele ha bombardato l’Iran in quel paese, ma a volte si è lamentata perché gli attacchi di Israele violavano formalmente il diritto internazionale.

È un fatto oggettivamente esistente e facilmente verificabile che l’opposizione della Russia alle attività regionali di Israele, siano esse a Gaza, in Libano, in Siria, nello Yemen o in Iran, è sempre rimasta strettamente confinata all’ambito politico delle dichiarazioni ufficiali. Nemmeno una volta la Russia ha minacciato di sanzionare unilateralmente Israele, né tantomeno ha accennato lontanamente a un’azione militare contro di essa come punizione. La Russia non vuole nemmeno designare simbolicamente Israele come “Stato ostile”, anche se questo è dovuto al fatto che non rispetta le sanzioni statunitensi e non vuole armare l’Ucraina.

Qui sta un altro fatto che la maggior parte dell’AMC ignorava o negava: Israele non è il burattino degli Stati Uniti, altrimenti avrebbe già fatto queste due cose molto tempo fa. Spiegare questo aspetto, così come il motivo per cui l’amministrazione Biden ha cercato di destabilizzare e rovesciare Bibi, va oltre lo scopo del presente articolo, ma questa analisi qui approfondisce i dettagli e cita articoli correlati. Il punto è che i legami russo-israeliani rimangono cordiali e che i due sono ben lontani dai nemici che alcuni pensavano.

Non ha quindi mai avuto senso immaginare che Putin, che si considera un consumato pragmatico, avrebbe bruciato il ponte che ha personalmente investito quasi un quarto di secolo del suo tempo a costruire con Bibi tra le loro due nazioni. Dopo tutto, Putin si è vantato nel 2019 che “russi e israeliani hanno legami di famiglia e amicizia. Si tratta di una vera e propria famiglia comune; posso dirlo senza esagerare”. Quasi 2 milioni di russofoni vivono in Israele. Consideriamo Israele un Paese russofono”.

Parlava davanti alla Fondazione Keren Heyesod, una delle più antiche organizzazioni lobbistiche sioniste del mondo, durante la sua conferenza annuale a Mosca quell’anno. Ogni volta che i membri dell’AMC sono stati messi di fronte a questi fatti “politicamente scomodi” provenienti da fonti ufficiali e autorevoli, come il sito web del Cremlino, hanno elaborato una teoria cospirativa del “piano scacchistico a 5D”, sostenendo che egli stava solo “psicologizzando i sionisti”. I principali influencer hanno anche “cancellato” in modo aggressivo chiunque ne avesse parlato.

Il risultato finale è stato che queste false percezioni delle relazioni russo-israeliane, così come le opinioni dello stesso Putin su questo argomento, hanno continuato a proliferare incontrastate attraverso l’AMC, dando così l’impressione di essere segretamente alleati con l’Iran a causa dei loro presunti ideali antisionisti condivisi. Questa nozione è diventata un dogma per molti membri dell’AMC e di conseguenza si è trasformata in un assioma delle relazioni internazionali. Chiunque sostenesse il contrario veniva tacciato di “sionista”.

Dopo che la Russia non ha mosso un dito per salvare la Resistenza, è ormai noto che non sono mai stati realmente alleati. Alcuni di coloro che ancora non riescono ad accettare di essere stati ingannati da fidati influencer dell’AMC che li hanno ingannati per motivi di interesse personale (influenza, ideologia e/o richiesta di donazioni) ora ipotizzano che la Russia abbia “tradito” la Resistenza e si sia “venduta ai sionisti”, anche se la Russia non è mai stata dalla parte di nessuno dei due. Se non si scrollano presto di dosso la loro dissonanza cognitiva, si staccheranno ulteriormente dalla realtà.

A posteriori, la Russia ha schivato un proiettile scegliendo saggiamente di non allearsi con l’Asse della Resistenza, ormai sconfitto, perché avrebbe inutilmente rovinato le sue relazioni con Israele, vincitore indiscusso delle guerre dell’Asia occidentale. Putin ha fatto la scelta giusta, che è sempre stata guidata dal suo calcolo razionale di ciò che era nell’interesse oggettivo della Russia come Stato, non a causa dell'”influenza sionista” come alcuni nell’AMC ora pretendono ridicolmente di diffamarlo dopo essersi arrabbiati perché non ha mosso un dito per salvare la Resistenza.

Le conseguenze di tutto ciò sono molteplici: 1) Putin e i suoi rappresentanti non giocano a “scacchi a 5D”, ma dicono sempre ciò che intendono veramente; 2) la Russia non è anti-israeliana né anti-sionista, ma non è nemmeno anti-iraniana né anti-resistenza; 3) l’AMC è piena di ciarlatani che, per motivi di interesse personale, dicono al loro pubblico tutto ciò che pensano di voler sentire; 4) il loro pubblico dovrebbe quindi chiedere loro conto delle menzogne sulle relazioni russo-israeliane e russo-resistenziali; 5) l’AMC richiede una riforma urgente.

Sembra che il Cremlino abbia segnalato ai media nella sua “sfera di influenza” di astenersi per ora dal pubblicare previsioni sullo scenario peggiore, mentre i diplomatici del loro Paese cercano di scongiurare una crisi ancora peggiore.

La reazione dei media russi finanziati con fondi pubblici al cambio di regime in Siria è molto diversa da quanto la maggior parte delle persone si sarebbe potuta aspettare dopo aver avvertito in precedenza che ciò avrebbe potuto portare a una crisi terroristica senza precedenti. Tali preoccupazioni erano giustificate poiché Harat Tahrir al-Sham (HTS), sostenuto dalla Turchia, è designato come gruppo terroristico e in origine faceva parte di Al Qaeda. Tuttavia, le reazioni di questi organi di stampa sono state sorprendentemente calme, il che suggerisce il desiderio di giocare tutto a orecchio per mantenere l’influenza russa lì.

RT ha pubblicato due editoriali molto stimolanti dopo il crollo epico dell’Esercito arabo siriano (SAA) e la fuga codarda di Assad da Damasco che vale la pena di esaminare in questo contesto. Il primo è di Murad Sadygzade, presidente del Middle East Studies Center e Visiting Lecturer presso la Higher School of Economics di Mosca, e risponde alla domanda ” Perché la Siria è caduta così velocemente e cosa succederà dopo? ” Ha iniziato richiamando l’attenzione sull’ingerenza straniera, ma poi si è immerso nei dettagli interni.

Questo approccio è degno di nota poiché finora era stato molto raro che i media russi finanziati con fondi pubblici parlassero delle numerose carenze del governo di Assad, ma Sadygzade le ha affrontate candidamente:

“Un punto di svolta fondamentale si è verificato quando Assad ha perso il sostegno anche di coloro che lo avevano sostenuto per anni. Le difficoltà economiche, le sanzioni e un crescente senso di disperazione hanno portato molti a credere che il cambiamento fosse inevitabile, anche se ciò fosse avvenuto a costo della distruzione. L’errore strategico dell’élite al potere, scommettere su una soluzione militare al conflitto ignorando il dialogo politico, sia a livello nazionale che internazionale, ha infine lasciato Assad vulnerabile ad avversari determinati e ben organizzati.”

Il secondo editoriale di RT è la ripubblicazione di un articolo dell’analista politico di Gazeta.ru Vitaly Ryumshin dal titolo ” Il crollo di Assad stava arrivando: tutti hanno semplicemente distolto lo sguardo “. Ecco i punti salienti:

“La Siria di Assad marciva dall’interno da anni. Il paese era bloccato in una crisi umanitaria ed economica perpetua, con il 90% dei siriani che viveva in povertà e malnutrizione diffusa. Famiglie disperate hanno contratto prestiti solo per comprare cibo ma non sono riuscite a restituirli. Le interruzioni di corrente hanno paralizzato persino Damasco, a volte lasciando la capitale al buio per 20 ore al giorno. I prezzi dell’elettricità sono saliti alle stelle fino al 585% solo nella primavera del 2024, spingendo una popolazione già indigente ancora più in profondità nella disperazione.

Il governo di Assad non ha offerto soluzioni, solo una crescente repressione. Sotto sanzioni schiaccianti, Damasco non è riuscita a ottenere prestiti esteri e, con i suoi giacimenti petroliferi sotto il controllo curdo-statunitense, non c’era più nulla da commerciare. Nemmeno il traffico di droga illecito della Siria, un tempo una salvezza, è riuscito a tappare i buchi nelle finanze statali. I profitti sono spariti nelle tasche dei signori della guerra e dei trafficanti, non nella tesoreria dello Stato.

Nel frattempo, l’esercito sottopagato e demoralizzato di Assad, dissanguato da anni di guerra civile, continuava a disintegrarsi. Per un periodo, i proxy iraniani come Hezbollah sostennero le sue forze, ma entro il 2024, avevano spostato la loro attenzione sulla lotta contro Israele. I tentativi di trascinare ulteriormente la Russia nel pantano siriano fallirono. Mosca, impegnata altrove, non aveva alcun interesse a salvare Assad.”

Ryumshin ha anche fatto riferimento due volte al governo di Assad come a un “regime” in frasi consecutive, scrivendo che “Nel sud e nel sud-est, cellule ribelli dormienti si sono sollevate, sferrando un colpo finale contro il regime svuotato di Assad. Domenica, le forze di opposizione hanno preso d’assalto Damasco da diverse direzioni. Bashar al-Assad, il cui regime ha resistito a oltre un decennio di guerra civile, è finalmente caduto dal potere”. È un cambiamento sorprendente nella politica editoriale di RT che non abbiano sostituito quella parola precedentemente tabù prima di ripubblicare.

Forse hanno ascoltato ciò che il loro corrispondente senior e giornalista veterano della guerra siriana Murad Gazdiev ha detto loro in un’intervista, dove ha concluso che ” il governo di Assad è caduto a causa della corruzione, della mancanza di organizzazione e della motivazione “. Ha un decennio di esperienza nel coprire questo conflitto, quindi il suo post-mortem sul governo di Assad dovrebbe essere preso molto seriamente. Anche la TASS finanziata pubblicamente ha pubblicato la parola “regime” in un titolo sulla Siria martedì in un correlato visibile cambiamento di politica.

Il giorno prima, avevano descritto il capo di HTS come un ” leader dell’opposizione armata ” senza fare riferimento alla taglia di 10 milioni di dollari sulla sua testa per crimini legati al terrorismo o persino al suo legame con tali gruppi. TASS ha anche riferito di come ” l’ambasciata siriana stia operando come al solito sotto una nuova bandiera “, il che implica l’accettazione tacita (qualificatore chiave) da parte di Mosca di questo cambio di regime nel senso di continuare a riconoscere quei diplomatici siriani come rappresentanti ufficiali del nuovo assetto di governo a cui è consentito continuare a lavorare.

La loro rassegna stampa dell’articolo di Vedomosti sul futuro delle basi militari russe in Siria aggiunge contesto al motivo per cui sembra che sia stata fatta questa tacita accettazione. Ibragim Ibragimov, un ricercatore presso l’Istituto di economia mondiale e relazioni internazionali dell’Accademia russa delle scienze, ha detto loro che “non escludo che presto apparirà un nuovo formato di cooperazione tecnico-militare e che gli istruttori militari russi svolgeranno un ruolo nella creazione di un nuovo esercito siriano”. Sarebbe una svolta intrigante degli eventi.

Potrebbe non essere così inverosimile come alcuni pensano, a patto che ci sia la volontà politica e le giuste condizioni per farlo funzionare, quest’ultima delle quali richiederebbe all’opposizione antigovernativa non terrorista (NTAGO) di separarsi dai gruppi e dalle figure designate come terroristi. Inoltre, tali gruppi e figure dovrebbero dimostrare di aver cambiato i loro modi, proprio come hanno cercato di fare i talebani da quando sono tornati al potere a metà del 2021 per riconquistare la fiducia della Russia e cercare di far revocare le restrizioni alla cooperazione con loro.

A tal fine, un progresso significativo nell’implementazione della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del dicembre 2015 farebbe molta strada, cosa che Assad si è rifiutato di fare per ragioni che vanno oltre lo scopo di questa analisi. La bozza di costituzione scritta in russo che è stata svelata durante il primo vertice di Astana nel gennaio 2017 potrebbe anche essere ripresa per servire da modello per la riforma costituzionale che questa risoluzione obbliga la Siria a intraprendere. Assad l’aveva ufficiosamente bocciata a causa delle concessioni che gli era stato chiesto di fare.

A giudicare da quanto detto dal capo della delegazione dell’opposizione armata siriana ai colloqui di Astana a Sputnik e dal presidente della Syrian Negotiation Commission a RT , queste due piattaforme NTAGO riconosciute a livello internazionale vogliono mantenere relazioni positive con la Russia. Ciò potrebbe spiegare perché il leader del nuovo governo siriano ad interim, Mohammed al-Bashir, è stato descritto da TASS come qualcuno che “si è unito alle unità armate antigovernative supportate da finanziamenti esteri” invece del solito rappresentante straniero.

Riflettendo sui resoconti dei media russi finanziati con fondi pubblici sul cambio di regime in Siria, sembra quindi che il Cremlino abbia segnalato a quegli organi di informazione nella sua “sfera di influenza” di astenersi per ora dalla pubblicazione di previsioni sullo scenario peggiore, mentre i diplomatici del loro paese cercano di scongiurare una crisi ancora peggiore. Il peggio potrebbe ancora venire, ma non si è ancora verificato e potrebbe ancora essere prevenuto, da qui l’importanza che rimangano calmi e ricambino i messaggi positivi del nuovo assetto di governo.

Una confluenza di interessi spiega le sue azioni, ma queste stesse azioni hanno anche alcune conseguenze indesiderate.

Israele ha portato a termine una delle più grandi operazioni di attacco della sua storia dopo aver lanciato quasi 500 attacchi nella Siria post-Assad, appena conquistata da un gruppo di “ribelli” guidati dal gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham (HTS), precedentemente noto come Al Qaeda in Siria. L’obiettivo è quello di creare una “zona di difesa sterile“, a tal fine l’IDF si è avvicinato alla zona cuscinetto delle Alture del Golan ed è avanzato lungo il confine siro-libanese, finendo a pochi chilometri di distanza da Damasco.

L’operazione è in corso ed è possibile che Israele si spinga oltre, sia più in profondità in Siria e/o magari fiancheggiando il Libano per reinvadere Hezbollah da dietro le linee di difesa che ha costruito. Non si può nemmeno escludere che Israele espanda la sua porzione annessa delle Alture del Golan per includere la porzione siriana e perfino le aree successive. Inoltre, Israele potrebbe armare i vicini drusi per creare uno Stato cliente nel sud della Siria, anche se questo non dichiarerà mai l’indipendenza. Tutto questo fa avanzare il piano della “Grande Israele”.

Il Rappresentante Permanente russo all’ONU Vasily Nebenzia condanna “la continua aggressione di Israele contro la Siria”, anche se si può argomentare che la “smilitarizzazione” della Siria post-Assad da parte di Israele impedisce l’invio di armamenti strategici di epoca sovietica e russa in Turchia e poi in Ucraina. I “ribelli” e i terroristi non sono comunque in grado di utilizzarli senza un addestramento approfondito, per cui, se non fossero stati distrutti, avrebbero potuto passarli ai loro patroni occidentali come pagamento per il loro sostegno.

La perdita di queste attrezzature e la possibilità che gli ex membri dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), addestrati ad utilizzarle, possano unirsi alle nuove forze armate come parte degli sforzi di “ricostruzione della nazione” in corso, crea un’interessante opportunità tecnico-militare per la Russia. TASS ha riportato quanto Ibragim Ibragimov, ricercatore presso l’Istituto di Economia Mondiale e Relazioni Internazionali dell’Accademia delle Scienze russa, ha dichiarato a Vedomosti all’inizio di questa settimana.

A suo avviso, “non escludo che presto apparirà un nuovo formato di cooperazione tecnico-militare e che gli istruttori militari russi svolgeranno un ruolo nella creazione di un nuovo esercito siriano”. Potrebbe essere questa possibile opportunità a spiegare la risposta contenuta dei media russi finanziati con fondi pubblici al cambio di regime siriano che è stato analizzato qui. La spiegazione è che la Russia potrebbe voler rimpiazzare questi prodotti, di cui il nuovo assetto al potere ha bisogno, quindi è reciprocamente vantaggioso rimanere cordiali per il momento.

Pertanto, potrebbe risultare che la “smilitarizzazione” della Siria post-Assad da parte di Israele serva inavvertitamente a perpetuare la presenza militare della Russia, anche se potrebbero verificarsi altri sviluppi non correlati per garantire il suo ritiro graduale ma dignitoso, come alcuni osservatori prevedono possa essere inevitabile. È anche interessante chiedersi perché Israele abbia aspettato fino ad ora per distruggere tutti gli armamenti strategici della Siria e non l’abbia fatto prima. La risposta sembra essere che Israele non si sentiva minacciato da Assad quanto da HTS.

Nonostante il decennale stato di guerra ufficiale tra i loro Paesi, Assad era considerato più prevedibile e, dopo l’intervento della Russia, più gestibile. Dopo tutto, solo in un’occasione eccezionale all’inizio del 2018 l’SAA ha abbattuto un jet israeliano, mentre in tutte le altre occasioni gli attacchi di Israele contro l’IRGC e Hezbollah sono rimasti impuniti. Ciò è dovuto al fatto che Assad era più razionale degli estremisti dell’HTS, in quanto non era disposto a rischiare la distruzione della Siria solo per il bene dell’Iran e degli Hezbollah.

I suoi successori, tuttavia, sono guidati dall’ideologia e abbracciano un concetto contorto di “martirio”, quindi non si può escludere con certezza che un giorno cercheranno di imparare a utilizzare gli armamenti strategici di epoca sovietica e russa che hanno ereditato per lanciare un attacco devastante contro Israele. Qualunque equipaggiamento sostitutivo che il nuovo assetto al potere potrebbe ricevere, dalla Russia o da chiunque altro, dovrà presumibilmente essere preapprovato da Israele per questo motivo, altrimenti sarà distrutto.

Allo stesso modo, si può quindi concludere che gli Stati Uniti non hanno considerato una minaccia per i loro interessi il fatto che i Talebani si siano impadroniti di circa 24 miliardi di dollari di attrezzature americane durante la riconquista dell’Afghanistan, altrimenti le avrebbero distrutte tutte prima. Una ragione potrebbe essere che pensavano che i Talebani avrebbero potuto espandersi in Asia centrale. In ogni caso, il contrasto tra la reazione di Israele alla conquista della Siria da parte dell’HTS e quella degli Stati Uniti alla conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani è schiacciante.

Mettendo insieme tutte le osservazioni precedenti, la campagna “shock and awe” di Israele in Siria è guidata da: 1) una percezione di minaccia molto più forte nei confronti di HTS che di Assad; 2) il desiderio di avanzare obiettivi strategico-militari in Libano e in Siria; 3) un possibile revisionismo territoriale secondo il piano del “Grande Israele”. Le conseguenze non intenzionali sono che: 1) il fiasco afghano di Biden sembra ancora peggiore di prima; 2) le attrezzature pesanti siriane non arriveranno in Ucraina; 3) la Russia potrebbe mantenere la sua presenza militare in Siria.

In fin dei conti, quello che è successo è stato un disastro e nessun osservatore onesto può negarlo, ma non si dovrebbe nemmeno cercare di far passare la colpa alla Russia come ha fatto Trump nei suoi post.

Trump ha pubblicato due post finora su Russia e Siria al momento della pubblicazione di questa analisi. I suoi messaggi completi possono essere letti qui e qui , ma di seguito sono riportati gli estratti pertinenti in quanto pertinenti a quei due. Ecco cosa ha scritto nel suo primo post:

“La Russia, poiché è così legata all’Ucraina, e con la perdita di oltre 600.000 soldati, sembra incapace di fermare questa marcia letterale attraverso la Siria, un paese che ha protetto per anni. È qui che l’ex presidente Obama si è rifiutato di onorare il suo impegno di proteggere la LINEA ROSSA NELLA SABBIA, ed è scoppiato l’inferno, con la Russia che è intervenuta. Ma ora sono, come forse lo stesso Assad, costretti ad andarsene, e potrebbe essere in realtà la cosa migliore che possa capitare loro. Non c’è mai stato un grande vantaggio in Siria per la Russia, se non quello di far sembrare Obama davvero stupido.”

Ed ecco cosa ha scritto nel secondo:

“Assad se n’è andato. È fuggito dal suo paese. Il suo protettore, la Russia, la Russia, la Russia, guidata da Vladimir Putin, non era più interessato a proteggerlo. Non c’era motivo per cui la Russia dovesse essere lì in primo luogo. Hanno perso ogni interesse per la Siria a causa dell’Ucraina, dove circa 600.000 soldati russi giacciono feriti o morti, in una guerra che non sarebbe mai dovuta iniziare e che potrebbe continuare per sempre. Russia e Iran sono in uno stato indebolito in questo momento, uno a causa dell’Ucraina e di una cattiva economia, l’altro a causa di Israele e del suo successo in combattimento.”

Come si può vedere, entrambi fanno riferimento alle affermazioni ucraine secondo cui la Russia avrebbe subito oltre 600.000 vittime, il che è solo un punto di propaganda a buon mercato in questo contesto per sottolineare il suo impegno per l’operazione speciale. Anche la priorità della Russia alle sue operazioni militari contro l’Ucraina rispetto a quelle antiterrorismo in Siria è menzionata in ogni post. A differenza delle cifre delle vittime citate da Trump, questo è per lo più accurato, ma ha comunque dato una svolta negativa affermando che la Russia era incapace di fermare la marcia dei terroristi.

La realtà è che la Russia avrebbe potuto ipoteticamente dirottare alcune delle sue Forze aerospaziali dal fronte ucraino a quello siriano, ma sarebbe stato uno spreco di risorse poiché l’Esercito arabo siriano (SAA) ha ceduto intere città senza combattere. Le bombe possono fare solo fino a un certo punto in un conflitto come questo, quando le forze di terra sono in ultima analisi necessarie per vincere la guerra e mantenere la pace. Se l’SAA non avesse combattuto per salvare la Siria, allora la Russia non avrebbe speso risorse aggiuntive per questo.

Sebbene sia vero che la Russia ha protetto la Siria per anni, ha anche incoraggiato Assad a implementare la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del dicembre 2015, che richiedeva riforme politiche di vasta portata come la promulgazione di una nuova costituzione e lo svolgimento di elezioni supervisionate dall’ONU. Per quanto riguarda il primo imperativo, la Russia ha persino redatto una costituzione per la Siria per aiutare in questo, sebbene Assad l’abbia respinta con aria di sfida a causa delle sue numerose concessioni . Col senno di poi, l’ultimo disastro avrebbe potuto essere evitato se avesse accettato quel piano.

Pertanto, mentre la Siria è stata indiscutibilmente vittima di un’aggressione sostenuta dall’estero e orchestrata in primo luogo dalla Turchia, il colpo di grazia che ha posto fine alla Repubblica araba siriana è stato in larga misura inavvertitamente facilitato da nessun altro che Assad stesso. La Russia ha salvato la Siria alla fine del 2015 perché voleva impedire la creazione di un buco nero di instabilità da cui i terroristi avrebbero potuto minacciarla. L’intervento non è mai stato pensato per salvare Assad personalmente e mantenerlo al potere indefinitamente.

All’epoca, la SAA stava ancora combattendo per il paese, motivo per cui la Russia li ha assistiti con le sue Forze aerospaziali per supportare le loro operazioni di terra. La Russia ha anche dato per scontato che Assad avrebbe ricambiato il favore di aver salvato il suo stato facendo i compromessi politici richiestigli in seguito, come quelli che la sua bozza di costituzione per la Siria menzionata in precedenza comportava, non importa quanto dolorosi potessero essere. Ciò che è finito per accadere è stato del tutto diverso da ciò che la Russia si aspettava.

Invece di rafforzarsi durante i cessate il fuoco che la Russia ha aiutato a mediare e preparare difese adeguate attorno alle principali città del paese nel caso in cui tali cessazioni delle ostilità fossero state interrotte bruscamente, l’SAA si è indebolita, si è atrofizzata e si è trasformata in un guscio di se stessa . Quanto ad Assad, è diventato più arrogante e presumibilmente ha fatto più affidamento sul sostegno iraniano per proteggersi dallo scenario in cui la Russia avrebbe ridotto parte del suo sostegno come mezzo per incentivarlo a fare concessioni politiche.

Il risultato finale è stato il disastro appena avvenuto, in cui Assad e l’SAA hanno consegnato il paese ai terroristi senza combattere, lasciandosi persino alle spalle l’equipaggiamento russo che avevano catturato e che probabilmente passeranno al loro protettore turco, che probabilmente lo consegnerà agli Stati Uniti per studiarlo. Assad non ha nemmeno rivolto la parola alla sua nazione una volta ed è fuggito dalla capitale senza dire una parola. Lui e le sue forze armate si sono comportati in modo molto vergognoso, ma la Russia gli ha comunque concesso asilo perché non tradisce i suoi amici, come ha detto un diplomatico di alto rango .

Per quanto riguarda cosa accadrà alla presenza militare russa in Siria, non è chiaro se il post di Trump sulla sua “espulsione forzata” si avvererà, sebbene siano circolati alcuni resoconti di rispettabili milblogger russi che suggeriscono che un ritiro graduale ma dignitoso potrebbe essere nelle carte. In tal caso, potrebbe complicare la logistica militare delle PMC russe in Africa, visto che le sue basi siriane sarebbero state utilizzate per aiutare questo, ma potrebbero emergere delle alternative in Nord Africa ( Libia ) e/o in Africa nord-orientale ( Sudan ).

Questa analisi qui ha sostenuto nel fine settimana che la Russia potrebbe rimanere in Siria anche se le nuove autorità le chiedessero di andarsene, forse arrivando persino a sostenere la creazione di uno stato costiero indipendente. Da allora, tuttavia, gruppi designati come terroristi sono entrati nella costa senza alcuna resistenza locale. Ciò potrebbe portare a minacce molto serie per i militari russi se a quei gruppi venissero affidati dagli Stati Uniti l’incarico di cacciare con la forza la Russia per sostituire la sua base navale con una americana .

Potrebbe quindi essere meglio per la Russia tagliare le perdite, lasciare che altri gestiscano la Siria ed evitare le complicazioni logistiche militari che la Turchia e la Siria post-Assad potrebbero creare se si rifiutassero di consentire alle Forze aerospaziali russe di transitare nel loro spazio aereo e minacciassero di abbattere i loro aerei. Ovviamente resta da vedere cosa accadrà, ma questa sarebbe la spiegazione più convincente se ciò accadesse nonostante tutto il sangue e i tesori che la Russia ha investito in Siria dal 2015 a oggi.

L’Iran ha investito molto più sangue, e lui e i suoi alleati Hezbollah erano noti per avere una presenza militare molto più grande sul campo, quindi la loro partenza apparentemente inevitabile dalla Siria post-Assad (se non è già avvenuta) sarebbe stata molto più dannosa per i loro interessi e prestigio. Si può anche sostenere che avrebbero potuto fare di più della Russia per salvare la Siria se l’SAA avesse effettivamente combattuto per difendere il loro paese e Assad non si fosse nascosto a causa della loro presenza sul campo molto più grande.

Anche in quello scenario, tuttavia, le loro capacità sarebbero state molto limitate a causa di quanto sono stati indeboliti dalle loro guerre dell’Asia occidentale con Israele. Alla fine della giornata, quello che è successo è stato un disastro e nessun osservatore onesto può negarlo, ma non dovrebbero nemmeno cercare di farla passare come colpa della Russia come ha fatto Trump nei suoi post. La SAA è principalmente da biasimare per non aver resistito ai terroristi perché avrebbero potuto rovesciare Assad se avesse dato loro ordini di ritirata con cui non erano d’accordo.

Assad si è dimostrato un alleato molto inaffidabile e, a posteriori, sembra che stesse sfruttando la Russia e l’Iran per rimanere al potere indefinitamente senza rispettare i compromessi a cui era legalmente obbligato in base alla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Deve assumersi la piena responsabilità come capo di stato per quanto accaduto, ma probabilmente inventerà una teoria del complotto per assolvere se stesso da ogni colpa, così come faranno i suoi surrogati pro-resistenza nella comunità dei media alternativi, le cui bugie su di lui e l’SAA sono state appena smascherate.

La Siria post-Assad è sull’orlo di un collasso totale che potrebbe trasformarla nel più grande focolaio di terrorismo del mondo se questo processo non verrà rapidamente scongiurato.

Il crollo epico dell’Esercito arabo siriano (SAA) negli ultimi dieci giorni e la fuga vigliacca di Assad da Damasco domenica mattina presto annunciano l’alba di una nuova Siria. Il rischio più immediato è che l’intero paese crolli proprio come Afghanistan, Iraq e Libia prima di lui. Ciò potrebbe creare un buco nero di instabilità da cui potrebbero emergere innumerevoli minacce terroristiche globali. Ecco cosa deve accadere per impedire alla Siria post-Assad di sperimentare quel futuro oscuro:

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1. L’esercito e i servizi di sicurezza devono rimanere intatti

I tre precedenti casi di collasso dello Stato sono stati caratterizzati dallo scioglimento dell’esercito e dei servizi di sicurezza poco dopo il successo dei loro piani di cambio di regime sostenuti dall’estero. Nel caso della Siria, la SAA esiste ancora come istituzione, anche se si sta ritirando chissà dove, forse sulla costa a maggioranza alawita. È quindi imperativo che non crolli e cooperi con l’opposizione antigovernativa non terrorista (NTAGO) per garantire che tutto non vada fuori controllo.

2. La riforma politica deve iniziare senza indugio

Lavrov ha ripetutamente sottolineato durante la sua intervista al Doha Forum di sabato che il governo siriano e il NTAGO devono implementare immediatamente la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di fine 2015, che richiede drastiche riforme politiche come una nuova costituzione ed elezioni supervisionate dall’ONU. È stato il rifiuto di Assad di scendere a compromessi con il NTAGO a portare in ultima analisi a questo disastro. Il primo ministro Jalali, tuttavia , a quanto si dice, fungerà da leader ad interim durante la transizione politica, il che è un segno positivo.

3. La bozza di Costituzione russa deve essere ripresa

Verso la fine del mese scorso è stato valutato che una delle ” Cinque ragioni per cui la Siria è stata colta di sorpresa ” è perché Assad ha respinto la bozza di costituzione scritta in Russia dal primo vertice di Astana del gennaio 2017, che è stata criticata in modo costruttivo e dettagliato qui all’epoca. Con lui fuori dai giochi, le molteplici concessioni che questo documento chiedeva a Damasco di fare potrebbero finalmente diventare realtà, e potrebbero persino essere portate oltre quanto i suoi autori avessero inizialmente previsto date le nuove circostanze.

4. Le minoranze alawite e curde devono essere protette

La costa alawita rimane per ora fuori dal controllo dei terroristi Hayat Tahrir al-Sham (HTS) sostenuti dalla Turchia, così come il nord-est controllato dai curdi sostenuti dagli Stati Uniti, entrambe minoranze delle quali devono essere protette dai jihadisti. A tal fine, il suddetto documento potrebbe gettare le basi per un’ampia autonomia federalizzata di tipo bosniaco che potrebbe portare la costa a cadere sotto la “sfera di influenza” della Russia, così come il nord-est se Trump ritirasse le forze statunitensi da lì come RFJ Jr. ha affermato di voler fare.

5. Il governo ad interim deve mantenere le basi russe

E infine, la Russia può aiutare il governo siriano ad interim a combattere contro i terroristi proprio come ha aiutato Assad a fare dal 2015 in poi, quindi deve permettergli di mantenere le sue basi a tale scopo. Il loro ritiro lascerebbe lo stato siriano indifeso e la costa a maggioranza alawita alla mercé di HTS. Infatti, poiché l’intervento della Russia in Siria è stato guidato da motivazioni antiterrorismo, potrebbe rifiutarsi di ritirarsi con pretesti di sicurezza nazionale e forse creare uno stato costiero indipendente per legittimare la sua continua presenza.

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La Siria post-Assad è sull’orlo di un collasso totale che potrebbe trasformarla nel più grande focolaio di terrorismo del mondo se questo processo non verrà presto evitato. Il modo più efficace per impedire che ciò accada è seguire i cinque consigli di questa analisi. Qualsiasi cosa di meno aumenterebbe notevolmente le possibilità che si verifichi lo scenario peggiore, ma anche in quel caso, la Russia potrebbe comunque mitigare parte del danno se continuasse a bombardare i terroristi in Siria e supportasse la creazione di uno stato costiero indipendente.

Devono decidere se approvare o meno la nuova proposta di legge che vieta la glorificazione di Bandera, il che potrebbe comportare pesanti conseguenze politiche, indipendentemente da ciò che faranno alla fine.

La coalizione liberal-globalista al potere in Polonia ha recentemente adottato un approccio molto più duro nei confronti dell’Ucraina rispetto all’opposizione conservatrice-nazionalista durante il suo periodo al potere, per le ragioni che sono state spiegate qui . In poche parole, i liberal-globalisti vogliono fare appello al sentimento patriottico prima delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, poiché sperano di sostituire il leader conservatore-nazionalista uscente con uno dei loro. Ciò può accadere realisticamente solo giocando la carta ucraina.

Tuttavia, l’opposizione li ha appena sfidati a dimostrare le loro credenziali nazionaliste, presentando una proposta di legge che proibisce la glorificazione di Bandera, rendendola illegale come lo è attualmente glorificare il nazismo, il fascismo e il comunismo. I lettori possono saperne di più sui dettagli qui . Visto che non controllano il parlamento, l’unico modo per far passare questa proposta di legge è che i membri della coalizione liberal-globalista al potere la sostengano. Ci sono argomenti convincenti sul perché potrebbero o meno farlo.

Quanto al motivo per cui potrebbero accettare questa proposta, rafforzerebbe la percezione delle loro nuove credenziali nazionaliste che stanno coltivando con cura in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo. L’approvazione di questa legge potrebbe anche rafforzare la loro richiesta che l’Ucraina riesumi e seppellisca correttamente i resti delle vittime del genocidio della Volinia come requisito per la Polonia di avanzare la richiesta di adesione all’UE del suo vicino. Potrebbe anche precludere il quid pro quo che Kiev sta implicando per Varsavia per proteggere i “memoriali” dell’OUN in Polonia.

D’altro canto, potrebbero opporsi a questo per timore che rovinerebbe irreparabilmente i rapporti con l’Ucraina e creerebbe così spazio per la Germania per accelerare la sostituzione dell’influenza sempre più perduta della Polonia lì. Un altro motivo per non votare a favore è che l’UE potrebbe riprendere la sua pressione sulla Polonia, che la coalizione al potere è stata in grado di allentare nell’ultimo anno, con il pretesto dei “diritti umani” che i rifugiati ucraini che glorificano Bandera potrebbero essere deportati per “aver esercitato la loro libertà di parola”.

I loro calcoli si riducono quindi a se ritengono che valga la pena rischiare legami peggiori con l’Ucraina e l’UE in cambio di una spinta in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo e di ulteriori pressioni su Kiev affinché rispetti finalmente la sua richiesta di genocidio in Volinia. È sicuramente un dilemma e uno in cui l’opposizione conservatrice-nazionalista ha magistralmente piazzato i suoi oppositori liberal-globalisti, poiché i primi ne traggono vantaggio indipendentemente da ciò che i secondi alla fine decidano di fare.

Se i loro oppositori saranno d’accordo con questa proposta di legge, allora potranno rivendicare il merito di averla introdotta, mentre opporvisi dissiperebbe l’illusione che la coalizione al governo sia sincera con le sue nuove credenziali nazionaliste. Qualunque conseguenza porti una decisione, come un peggioramento dei legami con l’Ucraina e l’UE se venisse approvata o l’Ucraina che rimane titubante nel risolvere la disputa sul genocidio della Volinia alle condizioni della Polonia se fallisse, verrebbe attribuita interamente ai liberal-globalisti invece che all’opposizione.

Resta da vedere cosa faranno i liberal-globalisti, ma i conservatori-nazionalisti li hanno inaspettatamente costretti a decidere fino a che punto spingersi con la carta ucraina e se sono disposti ad affrontare le possibili conseguenze di assumere una posizione veramente patriottica su questo. L’unica ragione per cui questo argomento viene sollevato ora è a causa delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, ma è meglio che questa politica venga promulgata anche per tali ragioni politicamente egoistiche piuttosto che non essere promulgata affatto.

Ecco l’intervista completa che ho rilasciato a FM Shakil di VOA Cina su questo argomento, estratti della quale sono stati pubblicati nel loro rapporto dell’8 dicembre intitolato “中国在巴基斯坦和阿富汗之间进行调解以保护自身利益能成功吗?”

1. Qual è la sua prospettiva sugli interessi particolari della Cina in Afghanistan e sulle motivazioni delle sue iniziative durature per promuovere la pace e la stabilità nella regione?

La Cina prevede di espandere il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) verso nord, in Afghanistan e da lì in poi nelle repubbliche dell’Asia centrale, per dare nuova vita a questo megaprogetto in stallo, ma i suoi piani sono ostacolati da legami afghano-pakistani molto tesi. Queste tensioni sono dovute al peggioramento del dilemma di sicurezza tra di loro a causa del presunto patrocinio dei talebani afghani (“talebani”) nei confronti del Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP, “talebani pakistani)” e dei loro timori di un avvicinamento del Pakistan agli Stati Uniti.

Islamabad considera il TTP un gruppo terroristico, così come Washington, mentre Kabul teme che il Pakistan possa consentire agli USA di usare il suo spazio aereo per effettuare attacchi antiterrorismo in Afghanistan. Data la loro asimmetria militare convenzionale, i talebani potrebbero fare affidamento su il TTP come mezzo non convenzionale per ristabilire l’equilibrio con il Pakistan. Il TTP, tuttavia, è anche sospettato di allearsi con militanti baloch come il Baloch Liberation Army (BLA) che Pakistan, Cina e Stati Uniti considerano terroristi.

Questi stessi militanti designati come terroristi hanno intensificato gli attacchi dall’agosto 2021, prendendo di mira specificamente i lavoratori cinesi e gli investimenti correlati al CPEC. Dal punto di vista della Cina, aiutare ad alleviare il dilemma della sicurezza afghano-pakistana potrebbe portare a meno attacchi contro i suoi cittadini e progetti, consentendo così La rinascita del CPEC in Pakistan e la sua potenziale espansione in Afghanistan se i legami bilaterali migliorano. Considerando che il CPEC è il progetto di punta della Belt & Road Initiative (BRI), questo è molto importante per la Cina.

2. L’influenza del Pakistan a Kabul è diminuita nonostante il suo significativo coinvolgimento nell’addestramento, nell’armamento, nell’accoglienza, nel sostegno e nell’ascesa al potere dei talebani?

Il dilemma della sicurezza afghano-pakistana precedentemente descritto esisteva anche prima che i talebani riprendessero il controllo del paese, ma è stato esacerbato dopo lo scandaloso cambio di governo di Islamabad dell’aprile 2022, che è stato percepito da quel gruppo come un’operazione di cambio di regime filoamericana. Ciò ha portato al fatto che facessero maggiore affidamento sul TTP come contrappeso a quello che si aspettavano sarebbe diventato il miglioramento delle relazioni tra Pakistan e Stati Uniti, con tutto ciò che avrebbe potuto comportare per la loro sicurezza, come è stato spiegato.

Di conseguenza, i talebani ruppero con i loro protettori pakistani, che ritenevano avessero tradito la loro causa comune di rimozione dell’America dalla regione. D’altro canto, il Pakistan riteneva che fossero stati i talebani a tradire per primi la loro causa comune non rompendo i legami con il TTP dopo essere tornati al potere, cosa che si riteneva fosse dovuta al loro ritorno ai loro modi estremisti. Vale anche la pena di menzionare che l’Afghanistan non riconosce la linea Durand e che in Pakistan vivono più pashtun che in Afghanistan.

Questi ultimi due fattori sono rimasti tradizionalmente un punto dolente nelle loro relazioni e sono stati sfruttati da diversi governi afghani in passato. I talebani oggigiorno si considerano un’organizzazione ibrida nazionalista-religiosa dopo aver espulso le truppe americane dal paese, quindi ha senso che avrebbero dato priorità alla risoluzione di queste due questioni a loro favore per rafforzare le loro credenziali nazionaliste. Ciò rappresenta una minaccia esistenziale per il Pakistan, tuttavia, e spiega i suoi legami migliorati con gli Stati Uniti.

3. Quali potrebbero essere le cause o le intenzioni che hanno allineato i talebani ultraconservatori con i comunisti cinesi? Quali sono le somiglianze condivise tra i due?

Nonostante oggigiorno si considerino un’organizzazione ibrida nazionalista-religiosa, i talebani non vedono alcuna contraddizione nel cooperare con i comunisti cinesi atei, poiché hanno interessi comuni. L’Afghanistan ha disperatamente bisogno di investimenti stranieri per ricostruire la sua economia e offrire opportunità per migliorare la vita della sua gente, mentre la Cina è interessata a esplorare nuove rotte commerciali eurasiatiche e ad esplorare opportunità di risorse come i minerali essenziali dell’Afghanistan, per un valore stimato di 1 trilione di dollari.

La Cina è anche il tradizionale partner strategico del Pakistan, quindi i talebani potrebbero aspettarsi che possa esercitare un’influenza positiva sul vicino per tenere gli Stati Uniti a distanza di sicurezza durante il loro riavvicinamento post-Imran Khan. Nel caso in cui ciò abbia successo, la Cina potrebbe essere ulteriormente incentivata a tentativo in cambio di contratti privilegiati per l’estrazione mineraria, allora il dilemma della sicurezza afghano-pakistana potrebbe essere risolto più a favore di Kabul, o almeno questo è ciò che i talebani potrebbero aspettarsi.

Estratti di questa intervista sono stati ripubblicati nel rapporto di VOA China dell’8 dicembre intitolato “ 中国在巴基斯坦和阿富汗之间进行调解以保护自身利益能成功吗? ”

I loro legami tecnico-militari stanno cambiando, ma questo non avviene a spese della loro partnership strategica e certamente non a causa dell’influenza straniera, che sia americana o cinese. È uno sviluppo naturale che si allinea con le tendenze multipolari.

La visita del ministro della Difesa indiano Rajnath Singh in Russia questa settimana mette in luce i legami di difesa in evoluzione di questi partner strategici decennali. A marzo era già stato spiegato come ” le relazioni russo-indiane stanno andando oltre la loro precedente centralità militare “, mentre l’India cerca di riequilibrare il suo enorme deficit commerciale causato dal petrolio attraverso maggiori esportazioni verso la Russia. È stato anche fatto riferimento alle ultime tendenze del SIPRI nel rapporto sui trasferimenti internazionali di armi su come l’India stia importando meno armi dalla Russia rispetto a prima.

Tuttavia, l’analisi ha anche valutato che la Russia è pronta a diventare il partner preferito dell’India per il “Make In India” per l’assistenza alla produzione nazionale di equipaggiamento militare, cosa a cui un rapporto pubblicato da RT nella data della visita di Singh ha dato credito. Intitolato ” Da acquirente a fornitore: il complesso militare-industriale dell’India è in ascesa “, menziona come ciò abbia assunto la forma dei fucili Kalashnikov AK-203 prodotti in India e dei missili da crociera supersonici BrahMos, entrambi esportabili.

Allo stesso tempo, tuttavia, la Russia sta ancora producendo alcuni articoli in patria, come le fregate multiruolo con missili guidati stealth . È stata la consegna della settima di queste fregate che la Russia ha costruito per l’India a fungere da occasione per la visita di Rajnath. Secondo un funzionario di alto rango dell’amministrazione presidenziale russa, l’ottava sarà completata in Russia entro l’anno prossimo, mentre la nona e la decima saranno costruite in India. Ha anche affermato che i due paesi hanno più di 200 progetti di difesa in corso.

C’è stato anche un recente aumento negli acquisti indiani, poiché la stessa cifra ha affermato che “la quota dell’India nell’esportazione di armi e hardware russi è aumentata del 15% solo negli ultimi sei mesi”. Questa percentuale crescerà ulteriormente dopo la conclusione del loro presunto accordo per la fornitura da parte della Russia del suo sistema radar a lungo raggio della serie Voronezh all’India, il cui costo stimato è di circa 4 miliardi di dollari. Può tracciare missili balistici e aerei fino a 8.000 chilometri di distanza e consoliderà il crescente status militare dell’India.

Se abbinati agli S-400, le ultime due batterie di cui la Russia prevede di consegnare all’India l’anno prossimo per completare l’ordine precedente di quest’ultima, l’India avrà un sistema di difesa aerea di livello mondiale in grado di contrastare le minacce convenzionali provenienti dai vicini Cina e Pakistan. Sebbene Delhi abbia sistemato i suoi problemi con Pechino a fine ottobre, appena prima del vertice BRICS di Kazan , la sua leadership non si sottrarrà alle sue responsabilità di sicurezza nazionale trascurando di prepararsi a qualsiasi possibile evenienza.

Per quanto riguarda il teatro occidentale delle potenziali operazioni, questo è sempre stato l’obiettivo principale dell’India, ma la disfunzione interna del Pakistan a partire dal postmoderno aprile 2022 colpo di stato in corso (che include anche una brusca crisi economica e un altrettanto brusco aumento del terrorismo ) l’ha costretta a concentrarsi verso l’interno. Tuttavia, l’India non sta correndo alcun rischio e di conseguenza schiererà i suoi S-400 e l’eventuale sistema radar a lungo raggio della serie Voronezh nelle direzioni di entrambi i vicini, il che evidenzia il ruolo della Russia nel garantire la sicurezza dell’India.

Ciò conferma anche che l’attuale partnership strategica della Russia con la Cina e l’intenzione di coltivarla con il Pakistan non vanno a scapito delle sue relazioni con l’India. Questi due mantengono e vogliono ottenere di conseguenza legami strategici con la Russia nonostante questa armi l’India fino ai denti contro di loro, sebbene le motivazioni di Mosca siano quelle di rafforzare le capacità di deterrenza di Delhi e non incoraggiarla a passare all’offensiva contro l’uno o l’altro, cosa che non farebbe mai. Questa è un’altra realtà strategica regionale.

Unendo insieme i tre elementi – la Russia che garantisce la sicurezza dell’India, le sue diverse relazioni con la Cina e il Pakistan che non vanno a scapito di quelle con l’India, e l’accettazione del ruolo della Russia nell’armare fino ai denti il loro avversario – gli osservatori possono comprendere meglio le complessità delle relazioni internazionali moderne. Tutti e quattro i paesi fanno parte di quella che la Russia chiama la maggioranza mondiale , che ha un interesse comune nell’accelerare i processi di multipolarità, ma rientrano chiaramente in due gruppi separati.

Cina e Pakistan sono i tradizionali avversari dell’India, mentre la Russia è il suo partner tradizionale e, mentre il commercio della Russia con la Cina è più grande di quello con l’India, la Russia fa affidamento sull’India come mezzo per evitare preventivamente una dipendenza potenzialmente sproporzionata dalla Repubblica Popolare. Di conseguenza, la differenza tra loro si concentra sul loro rapporto con l’India e questa osservazione richiama ulteriormente l’attenzione sul ruolo crescente di quel paese nel rimodellare l’ordine globale mentre la transizione verso la multipolarità accelera.

Tornando al tema dell’evoluzione dei legami di difesa russo-indiani, le affermazioni sensazionalistiche dei media occidentali in vista del viaggio di Singh, secondo cui l’India si sarebbe allontanata dalle armi russe, sono state smascherate come nient’altro che resoconti ritardati e decontestualizzati sul rapporto SIPRI della scorsa primavera. I loro legami tecnico-militari stanno cambiando, ma questo non a scapito della loro partnership strategica e certamente non a causa di influenze straniere, siano esse americane o cinesi. È uno sviluppo naturale che si allinea con le tendenze multipolari.

La Russia sta ricalibrando il suo equilibrio all’interno del triangolo RIC.

Reuters ha riferito che la Russia ha accettato di fornire all’India quasi mezzo milione di barili di petrolio scontato al giorno per 10 anni in un accordo che vale 13 miliardi di dollari all’anno ai prezzi odierni e ammonta allo 0,5% della fornitura globale. Segue la visita del ministro della Difesa Singh a Mosca, dove ha elogiato la loro amicizia definendola ” più alta della montagna più alta e più profonda dell’oceano più profondo ” e precede il viaggio di Putin in India l’anno prossimo. Si tratta di un accordo storico con molte implicazioni, le cinque più significative delle quali sono le seguenti:

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1. Fatturato affidabile e crescita accelerata

La Russia riceverà entrate di bilancio affidabili mentre la crescita dell’India accelererà grazie all’importazione su larga scala di petrolio scontato, consentendo così alla prima di gestire meglio la pressione delle sanzioni mentre la seconda si avvicinerà al suo obiettivo di diventare la terza economia mondiale a un ritmo più veloce. Questo accordo decennale crea anche una solida base per diversificare dalla finora incentrata sulla militarità della loro partnership strategica , ed è possibile che alcuni dei profitti futuri della Russia possano essere reinvestiti all’interno dell’India.

2. Il perno energetico della Russia nell’Asia meridionale

La tendenza sopra menzionata fa parte del perno energetico dell’Asia meridionale della Russia, che include anche le dimensioni afghane e pakistane che sono state elaborate qui in termini di contesto più ampio. Il Cremlino intende prevenire in via preventiva una dipendenza potenzialmente sproporzionata dalla Cina, affidandosi al mercato dell’Asia meridionale, con l’India al centro, come contrappeso. RT ha informato in modo importante il suo pubblico che “Il nuovo accordo, a quanto si dice, rappresenta circa la metà delle esportazioni di petrolio via mare di Rosneft dai porti russi”.

3. L’OPEC+ probabilmente non se ne preoccuperà poi così tanto

Oilprice.com ha scritto che l’accordo “potrebbe causare attriti tra i membri dell’OPEC+, poiché la Russia invade la quota di mercato dei produttori del Golfo in India”, ma mentre la Russia è ora il principale fornitore di petrolio dell’India con circa un terzo del suo fabbisogno, ciò lascia ancora gli altri due terzi da riempire all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, la Russia non è il loro concorrente nei mercati ASEAN, europeo o giapponese, i leader di quei due regni del Golfo hanno ottimi legami personali con Putin e anche le loro relazioni bilaterali con la Russia sono strette.

4. Non è previsto che Trump sanzioni l’India

Il mese scorso è stato valutato che ” Trump può riparare il danno che Biden ha arrecato ai legami indo-americani ” grazie al suo team indofilo in arrivo, motivo per cui non ci si aspetta che sanzioni l’India per questo accordo storico. Il suo grande obiettivo strategico è quello di ” s-unire ” Russia e Cina per contenere più efficacemente quest’ultima, a tal fine è nell’interesse degli Stati Uniti che la Russia faccia più affidamento sull’India come contrappeso alla Cina. Se impone sanzioni legate al petrolio, potrebbe essere alla Cina per ridurre la fornitura russa , non all’India.

5. Le richieste di prezzi stracciati della Cina si sono ritorte contro

I prezzi stracciati che la Cina avrebbe iniziato a richiedere dopo febbraio 2022 in cambio della conclusione di un accordo sul gasdotto Power of Siberia 2, negoziato da tempo, hanno scioccato i decisori politici russi, poiché si sono conformati ai resoconti occidentali finora incredibili sulla natura sfruttatrice di quel paese. Di sicuro, le relazioni sono a un livello storicamente alto e il commercio bilaterale non è mai stato migliore, ma questa amara esperienza ha portato il Cremlino a preferire l’India alla Cina come partner energetico più strategico della Russia.

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Lo storico accordo petrolifero russo-indiano è una nuova pietra miliare nella partnership strategica decennale di questi due. Dimostra che le loro relazioni sono durature e in espansione nonostante le pressioni esterne. Altrettanto importante, smentisce anche le speculazioni secondo cui la Russia si sta orientando verso la Cina a spese dell’India nel triangolo RIC, che costituisce il nucleo dei BRICS e della SCO. Al contrario, la Russia ora si sta chiaramente orientando verso l’India, anche se questo non è a spese della Cina e non lo sarà mai.

Molto dipende dal fatto che le truppe antiterrorismo dell’Etiopia saranno autorizzate a rimanere in Somalia l’anno prossimo, dal rapporto tra il nuovo presidente del Somaliland e il primo ministro etiope e dal riconoscimento del Somaliland da parte di Trump (e in caso affermativo, a quali condizioni).

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha sfidato le aspettative convincendo il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud (HSM) ad accettare una dichiarazione congiunta per risolvere la loro disputa che dura da un anno. Il memorandum d’intesa dell’Etiopia con il Somaliland all’inizio dell’anno, in cui Addis prometteva di riconoscere la redichiarazione di indipendenza di Hargeisa e di concederle partecipazioni in almeno una compagnia nazionale in cambio dell’accesso militare-commerciale al porto, è stato visto dalla Somalia come una minaccia.

La Somalia ha reagito con un’azione di sabotaggio su un nuovo conflitto regionale, che le è servito da pretesto per concludere un accordo sulla sicurezza costiera con la Turchia – che è anche in ottimi rapporti con l’Etiopia – e poi formare un asse militare con i rivali egiziani ed eritrei dell’Etiopia. Con l’evolversi di questi eventi, la Somalia ha iniziato a separarsi ulteriormente, mentre gli Stati del Puntland, del Sud-Ovest e del Jubaland prendevano le distanze dal centro federale a causa di divergenze costituzionali e di sicurezza.

La nuova dichiarazione congiunta mira a gestire le suddette tensioni, a riparare le relazioni bilaterali e a rafforzare il Governo Federale della Somalia (FGS). Entrambe le parti riconoscono “sovranità, unità, indipendenza e integrità territoriale” dell’altra. Hanno inoltre concordato di “rinunciare e lasciarsi alle spalle le differenze e le questioni controverse”. Un altro punto importante è che “la Somalia riconosce i sacrifici dei soldati etiopi all’interno delle missioni dell’Unione Africana”.

La cosa più importante è che “hanno deciso di avviare negoziati tecnici in buona fede” in modo che l’Etiopia possa “godere di un accesso affidabile, sicuro e sostenibile da e verso il mare, sotto l’autorità sovrana della Repubblica federale di Somalia”. Questi termini hanno portato a speculazioni sul fatto che l’Etiopia stia de facto abbandonando il suo MoU con il Somaliland e hanno coinciso con il rapporto di Semafor del giorno precedente su come “Una Casa Bianca di Trump sembra pronta a riconoscere il Paese più nuovo del mondo“.

Prima di analizzare la fattibilità della dichiarazione congiunta etiopico-somala mediata dalla Turchia, è necessario chiarire alcuni fatti al riguardo. In primo luogo, la Somalia ha fatto marcia indietro rispetto alla sua precedente posizione di non negoziare con l’Etiopia senza che il suo vicino abbia prima formalmente abbandonato il MoU. In secondo luogo, nella nuova dichiarazione congiunta non c’è alcun riferimento al MoU, quindi l’Etiopia non lo ha abbandonato. In terzo luogo, la scadenza di marzo per l’avvio dei negoziati tecnici significa che questi inizieranno durante l’era Trump 2.0.

Di conseguenza, la dichiarazione congiunta può essere vista più come una concessione da parte della Somalia che dell’Etiopia, soprattutto perché la riaffermazione da parte di quest’ultima della “sovranità, unità, indipendenza e integrità territoriale” della prima – che i critici considerano una concessione – è in realtà uno stato di fatto attuale. Per spiegare, il MoU non si è ancora tradotto in un accordo ufficiale con cui l’Etiopia riconoscerà il Somaliland, il che significa che l’Etiopia tecnicamente riconosce ancora il Somaliland quando si tratta di Somalia.

Dopo aver chiarito e spiegato questi punti delicati, è ora il momento di valutare la fattibilità della dichiarazione congiunta. Le tre variabili principali sono: se la Somalia cambierà idea e lascerà che le forze antiterrorismo etiopi rimangano in qualche modo l’anno prossimo, invece di chiederne la partenza come previsto in precedenza (anche se potrebbero non andarsene anche se glielo si chiedesse); i rapporti del nuovo presidente del Somaliland con Abiy; e se (e se sì, a quali condizioni) Trump riconoscerà o meno il Somaliland.

Per quanto riguarda il primo punto, l’analista regionale Rashid Abdi ha riferito di come il Ministro degli Esteri somalo sembri ora fare marcia indietro sulla possibilità implicita nella dichiarazione congiunta che le forze etiopi rimangano nel Paese l’anno prossimo, suggerendo che ciò sia dovuto alle pressioni della base hardline dell’HSM. Se all’Etiopia viene ancora chiesto di partire, Addis potrebbe sostenere che questo tradisce la parte della dichiarazione congiunta in cui si parla di “rinunciare e lasciarsi alle spalle le differenze e le questioni controverse” per sospendere gli ulteriori negoziati.

Per quanto riguarda la seconda, il capo dell’ufficio turco del Middle East Eye, con sede nel Regno Unito, Ragip Soylu ha scritto che “il nuovo presidente del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdullahi, secondo quanto riferito, è meno disponibile verso Abiy rispetto al suo predecessore”. Resta da vedere se si tratta di un’illusione del punto di vista di quel giornale e/o del suo capo ufficio o di un riflesso accurato della realtà, ma non è la prima volta che si fanno speculazioni di questo tipo. Questo potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro del MoU e della dichiarazione congiunta.

E infine, se Trump deciderà di riconoscere il Somaliland, potrebbe offrirgli un accordo molto migliore di quello che potrebbe offrire l’Etiopia e quindi spingere Addis ad allontanarsi dal MoU e ad avvicinarsi alla dichiarazione congiunta, oppure questo potrebbe essere coordinato con l’Etiopia – e forse l’India e persino gli Emirati Arabi Uniti – per rivoluzionare la regione. Nessun osservatore può prevedere con certezza cosa accadrà a questo proposito, se non valutare che potrebbe diventare la variabile più importante nel determinare quale di questi due accordi si affermerà.

Tenendo conto di questi punti, la fattibilità della dichiarazione congiunta etiopico-somala mediata dalla Turchia è discutibile, ma è prematuro speculare sul suo futuro. Per il momento, rappresenta una concessione somala volta a smorzare le tensioni regionali in vista del Trump 2.0, anche se la base integralista dell’HSM potrebbe farla deragliare prima che la sua parte abbia la possibilità di raccoglierne i frutti. Per questo motivo, i sostenitori del MoU dovrebbero astenersi dal giudicare e aspettare pazientemente di vedere come si evolverà la situazione.

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PROVE GENERALI DI GUERRA MONDIALE, di Michele Rallo

Le opinioni eretiche

di Michele Rallo

 

 

PROVE GENERALI

DI GUERRA MONDIALE

 

 

Mi rendo conto di avere sbagliato. Per eccesso di ottimismo. A febbraio scrivevo che ci attendevano dieci mesi terribili – da allora alle elezioni presidenziali americane – durante i quali il Deep State di Washington avrebbe tentato il tutto per tutto per scongiurare l’eventualità che, con la prevedibile vittoria di Donald Trump, venisse interrotto il cammino verso la terza guerra mondiale. Sarebbe avvenuto di tutto – preconizzavo – compreso un attentato a Trump e la provvidenziale uccisione dell’attentatore, comprese le forzature più o meno gentili per fare ritirare Biden, comprese tante altre cose… Sarebbe avvenuto di tutto – «e non solo in America» precisavo – pur di evitare la vittoria di Trump e, in ogni caso, per impedire che questi, se eletto, potesse metter fine alla guerra della NATO contro la Russia.

Orbene, sbagliavo. Perché – mi rendo conto adesso – i tentativi disperati per giungere ad una terza guerra mondiale sarebbero continuati per alcuni mesi: e non solo fino all’insediamento di Donald Trump (a Dio piacendo il 20 gennaio 2025), ma ancòra fino a quando il nuovo Presidente non sarà riuscito a cambiare i vertici dei servizi segreti e di alcuni centri decisionali del Pentagono e del Dipartimento di Stato. E immagino che l’iter non sarà semplice né rapido, tra veti incrociati, sgambetti parlamentari, scandali a orologeria ed altre porcheriose americanate.

Quei vertici sono, infatti, il braccio armato del “Complesso militar-industriale” e dell’altissima finanza dell’anglosfera (USA e Inghilterra in primis). Il braccio – cioè – che prepara la nuova guerra mondiale: da combattersi rigorosamente in Europa, lontano dall’altra costa dell’Atlantico, come la precedente: anche quella preparata e propiziata da lor signori. Checché ne dica la vulgata odierna; come dimostro – mi si perdoni la citazione autopromozionale – nel mio nuovo libro, dedicato alla storia politica e diplomatica del 1939.

Ma torniamo a noi. Anche nel lasso che ci separa dalla sperata rivoluzione nei servizi americani e negli alti gradi della macchina militare e diplomatica, potrà avvenire di tutto e di più. Compreso un altro attentato a Trump; o forse anche al suo vice, quel giovane James David Vance che sembra destinato a succedere a The Donald (e che diventerebbe automaticamente Presidente se Trump venisse eliminato).

Orbene, i primi episodi – gravissimi – di questa lunga vigilia (diciamo: ancòra tre o quattro mesi?) sono già avvenuti. Sono due i più clamorosi, tralasciando i minori. Mi riferisco all’annullamento delle elezioni in Romania ed alla distruzione della Siria.

Procediamo con ordine. Cominciamo dalla Romania. Si è votato per il primo turno delle elezioni presidenziali il 24 novembre. Il risultato (ufficialmente “a sorpresa”, ma in verità preconizzato da diversi addetti ai lavori) ha visto arrivare al primo posto il concorrente nazionalista Calin Georgescu, contrario al sempre più massiccio (e pericoloso) coinvolgimento della Romania nelle grandi manovre della NATO contro la Russia.

Apriti cielo: USA e UE hanno levato alti gemiti su un risultato – nettissimo – che secondo lor signori sarebbe stato propiziato dalla Russia tramite… Tik-tok. Come se gli Stati Uniti non entrassero a  gamba tesa in tutte le competizioni elettorali dell’orbe terraqueo, spandendo a piene mani le bugìe del “politicamente corretto”, ivi comprese le versioni di comodo sull’andamento delle guerre in corso. Le versioni russe, invece, sono rigorosamente bandite, soprattutto in Europa, pena l’accusa di “propaganda putiniana”.

Torniamo alla Romania. Il fatto era che i sondaggi – quelli veri, rigorosamente celati ai comuni mortali – prevedevano che al secondo turno il candidato nazionalista avrebbe stravinto (secondo una fonte addirittura col 63% contro il 37%), la qualcosa avrebbe stroncato sul nascere il progetto – già in fase avanzata – di costruire in Romania la più grande base americana in Europa, in funzione provocatoriamente anti-russa.

Ecco dunque che, a quel punto, la diplomazia americana è scesa in campo con un piglio che è difficile non definire mafioso. Il Dipartimento di Stato ha dichiarato: «Ci saranno gravi impatti se la Romania si allontana dall’Occidente». Ove “Occidente” era chiaramente un sinonimo di “guerra”. Sùbito dopo interveniva l’ambasciata americana a Bucarest, sollecitando perentoriamente una “inchiesta approfondita” sul primo turno presidenziale.

Il governo rumeno si precipitava sùbito a ordinare rigorose verifiche del voto, che però hanno certificato la correttezza delle risultanze elettorali. Ecco allora la carta di riserva: la Corte Costituzionale è accorsa scodinzolando a dichiarare nullo il primo turno presidenziale, inibendo così anche il secondo turno; e ordinando inoltre che le nuove elezioni non si tengano in tempi rapidi, ma dopo un tot di mesi che consentano alla Sigurantza (che ha una lunga esperienza di queste cose, dai tempi di Ceausescu e prima ancòra) di trovare le prove della ingerenza russa. Per loro stessa ammissione, quindi, le prove attualmente non ci sono; ragion per cui la decisione gravissima di annullare le elezioni sarebbe stata presa senza alcuna prova, sulla base soltanto delle lamentazioni di una potenza straniera.

Stessa operazione – sia detto per inciso – era stata tentata poche settimane prima in Georgia, all’indomani delle elezioni che avevano visto la sconfitta del fronte bellicista. Ma lì non si era trovata una Corte Costituzionale disposta a fare il lavoro sporco.

E veniamo al secondo fatto clamoroso: la miracolosa avanzata dell’ISIS (comunque riverniciata) in Siria, con un “esercito di insorti” armato e attrezzato – chissà da chi? – come  una formidabile macchina da guerra, tale da sbaragliare in una settimana o poco più l’esercito regolare di una nazione di media grandezza. Stessa operazione di quella fallita dieci anni fa per l’intervento della Russia; intervento che non si è potuto ripetere adesso, essendo Mosca in tutt’altre faccende affaccendata.

Chi c’è dietro “l’esercito degli insorti”? Solamente la Turchia – come sostengono certi compiacenti organi d’informazione – per scongiurare il pericolo di uno Stato curdo che potrebbe sorgere ai suoi confini? Certamente no. Altri e ben altri sono i padrini e i finanziatori dell’operazione. Probabilmente gli israeliani, per grandi disegni geo-strategici e comunque per interrompere le vie di comunicazione dall’Iran agli Hezbollah libanesi. E probabilmente, assai probabilmente gli americani, per indebolire la Russia che in Siria ha delle preziose basi militari.

Quanti seguono le vicende internazionali ricorderanno certamente che dieci anni fa, quando l’ISIS tentò di impadronirsi di Siria e Irak, si disse da più parti che a investire fiumi di denaro per mantenere e armare lo “Stato Islamico” fossero gli americani e alcuni loro alleati arabi. Ipotesi più che credibile. Anche perché una operazione del genere richiede l’impiego di cifre colossali. Cifre che, ieri come oggi, i turchi – stretti in una crisi economica profondissima – non possono neanche sognarsi.

No, cannoni e dollaroni arrivano da un’altra direzione. Così, se l’Europa dovesse riuscire a evitare una guerra mondiale, dovrà comunque fare i conti con uno Stato terrorista ed esportatore di terrorismo a pochi passi da casa.

Già, perché la “grande alleata” a stelle e strisce è la più pericolosa nemica dell’Europa. Anche se gli europei non l’hanno ancòra capito.

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MATTEI E OLIVETTI – IL FUTURO INCERTO DELL’INDUSTRIA ITALIANA – PIERGIORGIO ROSSO-MARCO PUGLIESE

 

L’Italia è stata, in particolare dagli anni ’50 e, non ostante i pesanti colpi ricevuti dagli anni ’90 sino ad oggi, ancora rimane un grande paese industriale. Ha, però, sofferto sin dagli albori, negli anni ’30, di due grossi handicap che ne hanno regolarmente impedito il consolidamento e un salto di qualità definitivo: il limite di attenzione e sostegno ad uno sviluppo della cultura industriale che sappia far coesistere la nostra plurisecolare tradizione umanistica e la creatività scientifica e l’intraprendenza forgiatasi sin “dall’età dei comuni”; l’incapacità di consolidare il ruolo della grande industria complementare e a sostegno della rete di piccola e media attività, caratteristica peculiare del nostro apparato economico. Eppure, la nostra costituzione fonda proprio sul lavoro la propria ragione d’essere. Cosa impedisce alle nostre famiglie imprenditoriali e, soprattutto, alla nostra classe dirigente e al nostro ceto politico di assegnare la giusta priorità a questo ambito? Tenteremo di analizzare ed offrire alcune risposte credibili con il contributo di Marco Pugliese e Piergiorgio Rosso. Il sito Italia e il mondo ha già trattato l’argomento alcuni anni fa. Tra i vari contributi, qui una intervista a Giorgio Panattoni, già dirigente ed amministratore delegato di società del gruppo Olivetti: https://italiaeilmondo.com/?s=giorgio+panattoni Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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