Fallimento della diplomazia statunitense in Niger?_di observateurcontinental

Fallimento della diplomazia statunitense in Niger?

09.08.2023

Il nuovo potere politico in Niger – il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) – sta agitando e preoccupando le diplomazie occidentali. In particolare, gli Stati Uniti hanno inviato Victoria Nuland in Niger per salvare le proprie carte geopolitiche. Ma non è stata in grado – a ben vedere – di ottenere ciò che Washington voleva.

Inoltre, la visita del numero due del servizio diplomatico statunitense dimostra che la Francia è il paravento di Washington. Poiché la Francia è stata violentemente presa di mira dalle nuove autorità del Niger, un funzionario statunitense ha dovuto compiere il viaggio per cercare di salvare la partecipazione dell’Occidente in questo Paese del Sahel, dove la Francia ha perso la sua influenza. Quale potrebbe essere il contenuto dell’offerta statunitense?

La sconfitta degli Stati Uniti in Niger? Victoria Nuland, alto diplomatico statunitense, “non ha potuto vedere né Abdourahamane Tiani, il leader dei putschisti, né Mohamed Bazoum, il presidente del Niger, che è ancora sotto sequestro”. “Questa visita diplomatica non ha portato all’inizio di una soluzione”, riferisce RFI. “Spero che terranno la porta aperta alla diplomazia. Abbiamo fatto loro questa proposta. Vedremo”, ha dichiarato Victoria Nuland che, secondo il suo tweet, “si è recata a Niamey per esprimere la sua profonda preoccupazione per i tentativi antidemocratici di prendere il potere e ha chiesto il ritorno all’ordine costituzionale”. Le Figaro riferisce che ha incontrato solo il generale di brigata Moussa Salaou Barmou, il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito”, insieme ad altri ufficiali. Lo stesso quotidiano francese ha aggiunto: “Victoria Nuland ha detto di aver proposto numerose opzioni” per porre fine al colpo di Stato, nonché i “buoni uffici” degli Stati Uniti “se ci fosse la volontà da parte dei responsabili di tornare all’ordine costituzionale”. Victoria Nuland si era appena recata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) “per promuovere la pace nell’est della RDC e il sostegno degli Stati Uniti a elezioni libere ed eque a dicembre”. Prima ancora della RDC, la diplomatica statunitense aveva visitato la Costa d’Avorio perché “gli Stati Uniti e la Costa d’Avorio sono fermamente uniti nella difesa della democrazia, della sicurezza e della prosperità condivisa”.
Il timore dell’alleanza USA-Niger. “Le persone che hanno preso questa decisione (del colpo di Stato) comprendono molto bene i rischi per la loro sovranità di un invito da parte di Wagner”, ha detto Victoria Nuland, secondo Le Figaro, riferendosi al gruppo paramilitare russo Wagner, presente in particolare nel vicino Mali. “Ci sono circa 1.000 soldati americani attualmente di stanza in Niger”, osserva la CNN.

RTL ha riferito che 1.500 soldati francesi sono già in Niger, sotto l’autorità dell’esercito nigerino. I media statunitensi hanno riferito che il generale di brigata Moussa Salaou Barmou ha lavorato per molti anni con le forze speciali statunitensi in Niger. Secondo la CNN, il diplomatico statunitense ha affermato che “alcuni dei complici del colpo di Stato hanno iniziato a impegnarsi” con Wagner, mentre lo stesso media statunitense ha aggiunto che “i funzionari statunitensi hanno affermato che [Wagner], che ha una presenza significativa in Africa, non ha svolto alcun ruolo nell’istigazione al colpo di Stato”.

Gli Stati Uniti sono favorevoli ai negoziati con il Niger. Nonostante gli annunci bellicosi della Francia (Emmanuel Macron non tollererà alcun attacco alla Francia e ai suoi interessi) e dell’ECOWAS di entrare militarmente in Niger, a loro dire per ripristinare la democrazia, la CBS-News osserva che “non è stato immediatamente chiaro cosa faranno i leader dell’ECOWAS” perché “la regione è divisa su un piano d’azione”. Non c’era traccia di forze militari che si stessero radunando al confine del Niger con la Nigeria, il probabile punto di ingresso via terra”.

L’ECOWAS ha tuttavia lanciato un ultimatum ai militari che hanno preso il potere in Niger e ha chiesto che il presidente Mohamed Bazoum sia reintegrato nelle sue funzioni, pena l’intervento armato. In un’intervista a RFI, il capo della diplomazia statunitense, Anthony Blinken, ha dichiarato di voler giocare prima la carta della diplomazia: “La diplomazia è certamente il mezzo preferibile per risolvere questa situazione”.

Già ad aprile, Anthony Blinken aveva espresso la sua “profonda preoccupazione” per le attività di una società militare privata russa in Sudan, mentre i combattimenti continuavano a intensificarsi nel Paese dell’Africa orientale. Gli Stati Uniti non vogliono perdere il Niger e stanno ancora cercando di ribaltare la situazione politica attraverso i negoziati, mentre la Francia ha perso le sue carte geopolitiche. Ma il ritorno del braccio destro di Anthony Blinken dal Niger – Victoria Nuland – sembra dimostrare che sia gli Stati Uniti che la Francia hanno perso potere nel Sahel. La domanda è se i negoziati in Niger tra gli Stati Uniti e le nuove autorità del Paese si basino su un accordo per riconoscere i putschisti se rifiutano la presenza di Wagner nel Paese, come ha detto Victoria Nuland: “Spero che terranno la porta aperta alla diplomazia. Abbiamo fatto loro questa proposta”. Questo potrebbe spiegare – per il momento – perché l’ECOWAS non è intervenuta militarmente, se effettivamente ha la potenza militare per farlo.

Olivier Renault

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La CBDC russa – Esplorare la verità della Banca centrale russa, di SIMPLICIUS THE THINKER

Recentemente ho ricevuto molte richieste di discutere del nuovo Rublo digitale russo, firmato da Putin il 24 luglio. Il Rublo è stato spesso inserito nella categoria dei “CBDC”, con l’idea che Putin sia una sorta di tirapiedi del WEF che aiuta segretamente a realizzare il programma del “Grande Reset”.

Una rapida digressione per chiarire la questione: ormai sappiamo tutti che la precedente designazione di Putin da parte di Klaus Schwab come “Giovane Leader Globale” era in realtà una menzogna:

Il programma Young Global Leader ha un limite di età di 38 anni, da cui l’appellativo “giovane”. Al momento della fondazione del programma, nel 1993, Putin, nato nel 1952, aveva già 41 anni.

Giorni fa, il candidato repubblicano alla presidenza Vivek Ramaswamy ha vinto una causa contro il WEF per averlo erroneamente etichettato come “Young Global Leader”:

Nel suo video spiega l’indignazione:

E ha persino pubblicato una lettera di scuse inviata dal WEF:

Tulsi Gabbard aveva già sofferto dello stesso problema. Era stata inserita in una lista di “Young Global Leaders” senza il suo permesso o consultazione.

Anche se, a dire il vero, Ramaswamy era un promotore di vaccini, un fatto che ora cerca di nascondere pagando per far cancellare questa informazione dalla sua pagina di wikipedia, e Gabbard era un membro del CFR.

In ogni caso, il punto è che Klaus Schwab, come molti dei suoi simili globalisti, infanga abitualmente le persone includendole nei loro circoli senza permesso. È qualcosa da notare e da tenere d’occhio. Premetto che molte delle informazioni relative alla Russia e alle banche centrali, ai CBDC, al Grande Reset, ecc. assumono un aspetto simile: la Russia viene raggruppata senza scrupoli con molte macchinazioni globaliste di cui in realtà non fa parte.

Putin ha incontrato Schwab a San Pietroburgo nel 2019, ma credo che il compito di Putin, in quanto leader, sia quello di incontrare e comportarsi in modo cordiale, almeno in apparenza, con tutti. Ma questo non significa che sponsorizzi ciò che fanno o che sia in combutta con loro. Putin incontra tutti, compreso Kissinger molte volte in passato. Sapete cosa si dice del tenere gli amici vicini e i nemici più vicini: è il modo migliore per capirli e monitorarli. Senza contare che questo era prima della pandemia; dopo, molte cose sono cambiate.

Ma iniziamo con un confronto tra il sistema bancario centrale russo e quello della Federal Reserve statunitense. I sistemi sono molto diversi. Bisogna innanzitutto capire che la Russia è ora ufficialmente “scollegata” dall’ordine bancario occidentale. Non solo è stata tagliata fuori da SWIFT, ma è stata anche espulsa dalla BRI, o Banca dei Regolamenti Internazionali, che è l’istituzione più potente e il nodo centrale dell’intera rete finanziaria globale occidentale.

La BRI è la banca centrale di tutte le banche centrali del mondo e detiene una percentuale di tutte le loro riserve. In effetti, in un nuovo articolo di RT, le disconnessioni vengono addirittura addotte come motivo per la creazione della CBDC russa, in quanto la aiuta a bypassare ulteriormente il braccio finanziario occidentale:

In passato molti hanno accusato il capo della banca centrale russa Elvira Nabiullina di essere una spia dei globalisti. Il problema è che la banca centrale russa non funziona come la cosiddetta Federal Reserve, e non lascia molto spazio allo stesso tipo di cooptazione sindacale da parte di interessi privati che dilaga nel sistema occidentale.

Il funzionamento della Federal Reserve degli Stati Uniti prevede che la banca centrale della Fed, che ha sede a Washington, sia composta da un gruppo di 12 banche regionali, come la Fed di New York, la Fed di Boston, la Fed di Saint Louis, ecc. A questo livello, il sistema appare ancora “federale” piuttosto che privato. Ma ognuna di queste banche associate è in realtà composta, o meglio posseduta, dalle banche private associate, come JP Morgan, Citigroup, Bank of America e altre, che ne hanno acquistato azioni e hanno il compito di nominare il loro Consiglio di Amministrazione. Per chiarire, il Consiglio di Amministrazione di ognuna delle 12 banche regionali della Federal Reserve è eletto dai potentati bancari privati come JP Morgan e altri. A titolo di esempio, ecco un elenco dei principali azionisti della Fed di New York:

I maggiori azionisti della Fed di New York sono le seguenti cinque banche di Wall Street: JPMorgan Chase, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Bank of New York Mellon. Queste cinque banche rappresentano due terzi delle otto banche di importanza sistemica globale (G-SIB) degli Stati Uniti. Le altre tre G-SIB sono Bank of America, azionista della Fed di Richmond, Wells Fargo, azionista della Fed di San Francisco, e State Street, azionista della Fed di Boston.
Questi potentati bancari privati possiedono di fatto la banca della Federal Reserve e ne nominano persino i direttori, e traggono profitto dai dividendi sulle azioni che detengono nella banca della Fed. Questo crea enormi conflitti di interesse. Per esempio, durante il crollo del 2008, la Fed di New York ha naturalmente salvato i suoi maggiori azionisti nonostante le enormi frodi e gli illeciti commessi da queste mega-banche private. Esborsi della NY Fed alle banche che la possiedono:

In secondo luogo, a livello individuale, ci sono infiniti conflitti di interesse per i membri del consiglio di amministrazione delle banche della Fed. Il caso più eclatante è stato quello di Jamie Dimon, che era amministratore delegato della JP Morgan Chase e al tempo stesso faceva parte del consiglio di amministrazione della Federal Reserve di New York. Ma questo è in realtà normale, in quanto i direttori vengono scelti letteralmente tra gli amministratori delegati e altri pezzi grossi delle grandi aziende. Per esempio, ecco il consiglio di amministrazione dal sito web della Fed di New York:

Si noti come ogni membro del consiglio di amministrazione della Federal Reserve di New York sia un amministratore delegato di un’altra grande azienda (IBM, ecc.) o di una grande istituzione finanziaria o banca. Il presidente di ciascuna delle 12 banche della Fed compone il comitato del FOMC della banca centrale della Fed a Washington, che è uno dei principali organi del Federal Reserve System che supervisiona le operazioni di mercato. Ciò significa che questo ramo della Federal Reserve è gestito direttamente dagli amministratori delegati delle principali società, banche, ecc. che agiscono come “consiglio di amministrazione” parallelo al “consiglio dei governatori” della Fed centrale, guidato dal presidente della Fed.

Un altro esempio è il fatto che nel 2008 Stephen Friedman era presidente della Fed di New York e sedeva nel consiglio di amministrazione di Goldman Sachs. Non sorprende che sia riuscito a far ottenere a Goldman Sachs il titolo di “holding bancaria” (in precedenza era solo un hedgefund e non poteva operare come una banca) che le ha permesso di sottrarre avidamente i prestiti a basso costo della Fed. Ci sono molti altri esempi, soprattutto quelli più vecchi, come le opere di Eustace Mullins sul sistema della Federal Reserve.

Il sistema della banca centrale russa non funziona in questo modo. Infatti, la banca centrale russa non è composta da “filiali” e non ha alcun tipo di proprietà privata o aziendale come la Fed statunitense. Ha semplicemente uffici della sede centrale principale in diverse parti della Russia, ma si tratta solo di uffici amministrativi e nulla più. Inoltre, grazie a questa struttura molto semplificata, la banca è amministrata principalmente da un consiglio di amministrazione molto più trasparente, nominato dal presidente russo e dalla Duma di Stato. E soprattutto, questi direttori non sono coinvolti negli stessi conflitti di interesse che sono possibili e dilaganti negli Stati Uniti, ovvero far parte dei consigli di amministrazione di altri grandi conglomerati globalisti e di banche commerciali private.

In realtà, in Russia si può quasi dire che la situazione bancaria sia inversa a quella degli Stati Uniti nel modo seguente. Negli Stati Uniti, le maggiori banche private controllano il governo e la sua politica monetaria grazie al loro controllo diretto sulla Federal Reserve. In Russia, le maggiori banche del Paese, come Sberbank, VTB, ecc. sono in realtà a maggioranza statale. Il che significa che il governo russo detiene la quota di controllo e la voce in capitolo.

Detto questo, Sberbank è guidata da una delle poche persone in cima alla catena alimentare russa che possiamo dire inequivocabilmente essere un globalista a tutti gli effetti, o per lo più: un certo Herman Gref, etnicamente tedesco e apparentemente tirapiedi del WEF. Ha fatto parte del consiglio di amministrazione del WEF in passato, anche se a quanto pare non ne fa più parte nell’era post-Covida, e ha partecipato ai tentativi di introdurre in Russia molti “cambiamenti” sociali avviati e progettati dal WEF.

Quindi, la Russia non è perfetta e ha alcuni semi cattivi che lavorano attivamente nel suo settore finanziario, ma come ho detto, si tratta della Sberbank, una banca semiprivata, non della Banca di Russia, che è la banca centrale russa. Il mio intento non è quello di scagionare questi soggetti, ma semplicemente di sottolineare le altre grandi differenze che rendono la Russia molto diversa dall’Occidente.

Infatti, ciò che è sorprendente per chi è abituato al clientelismo dell’Occidente, è che se si scorre ogni membro del consiglio di amministrazione della Banca di Russia, si noterà che tutti, tranne uno, sono banchieri statali di carriera, economisti o qualche tipo di impiegato statale di carriera. Ciò significa che per la maggior parte della loro carriera hanno lavorato in varie posizioni all’interno della Banca di Russia o di altre istituzioni statali, piuttosto che in fondi speculativi privati, società di investimento, aziende, ecc. come accade spesso nel sistema della Federal Reserve statunitense, dove i direttori del consiglio sono tutti amministratori delegati di aziende al servizio di interessi aziendali.

Nel sistema russo non c’è nulla del genere. È interessante notare che l’unico membro che ha avuto esperienze precedenti al servizio di interessi semi-privati è Alexey Zabotkin, che ha lavorato per il ramo investimenti della banca VTB, sebbene sia a maggioranza statale/pubblica. E non c’è da sorprendersi: anche lui sembra avere una sfumatura più globalista, visto che ha partecipato a eventi legati al WEF e ha parlato delle CBDC da quella che sembrava una prospettiva occidentale di “controllo”. Come ho detto, ci sono alcuni semi cattivi, ma sono una minoranza rispetto all’Occidente.

Inoltre, alcuni hanno documentato quanto profondamente i sistemi bancari di vari paesi occidentali siano stati penetrati dalle vecchie famiglie che si dice controllino l’intero sistema ai vertici, cioè Rothschild e co. Ogni continente è penetrato da loro, per esempio il Sud America ha molti investimenti Rothschild in coordinamento con il Banco Bice e molte altre istituzioni. Ma la Russia è uno dei pochi Paesi in cui non c’è alcuna presenza seria dei Rothschild, a parte un piccolo ufficio che si limita a essere una sorta di avamposto polveroso.

Come lo sappiamo? Per prima cosa, uno dei rapporti annuali ufficiali di Rothschild può essere visto qui. In esso sono elencate tutte le partecipazioni globali e le attività in crescita nei vari Paesi. Noterete che in ogni continente e paese ci sono operazioni forti e in crescita, persino nuove incursioni annunciate in Cina, anche se questo rapporto è ormai datato. Ma in Russia non c’è nulla.

In secondo luogo, Alexandre de Rothschild, capo della divisione Rothschild France, uno dei suoi bracci più potenti, è stato recentemente preso in giro dai comici russi [agenti del GRU] Vovan e Lexus. Nella telefonata in cui fingono di essere Zelensky, Alexandre ammette che la famiglia Rothschild ha un rapporto “fantastico” con il governo ucraino e che lavora fianco a fianco con loro dal 2017. Ma il momento chiave arriva a 1:45, quando “Zelensky” chiede aiuto a Rothschild per raggiungere alcune “élite russe” per i negoziati, e si chiede se Rothschild abbia connessioni di questo tipo in Russia:

Rothschild afferma molto chiaramente di non avere alcun legame in Russia, se non un minuscolo ufficio simbolico, che è stato chiuso all’inizio del conflitto.

“Il nostro coinvolgimento in Russia è stato minimo”.

Direttamente dalla bocca del cavallo.

E, cosa sorprendente, confessa anche che “non abbiamo alcun cliente russo nella nostra divisione di private banking wealth management”.

C’è bisogno di dire altro?

Anche se, a dire il vero, credo che la Russia, come qualsiasi altro Paese, abbia alcuni agenti Rothschild, anche se non realizzano molto o finiscono in esilio. Per esempio, l'”oligarca” Oleg Deripaska era noto per avere legami con Rothschild:

La sua stessa pagina wiki sottolinea quanto sia particolarmente vicino a Nathaniel Rothschild:

Ma Deripaska è il cretino che Putin ha notoriamente paragonato a uno scarafaggio in un video mentre lo umiliava:

Per non parlare dell’ordine di sequestro delle proprietà dell’oligarca dopo l’avvio dell’OMU:

La stampa occidentale, tuttavia, ha continuato a raccontare la presunta vicinanza tra Putin e Deripaska, nonostante Deripaska abbia accusato Putin di “non fidarsi di lui nemmeno con una penna”. In realtà, credo che Putin lo abbia tenuto vicino a volte – pur indebolendolo di fatto, visto che la posizione di Deripaska è scesa dal primo posto tra i più ricchi della Russia durante i giorni di imperversare degli oligarchi, a fuori dalla top 10 – per lo stesso motivo indicato prima: A Putin piace tenere i nemici vicini e le persone più pericolose al guinzaglio; è il modo in cui un manager efficace lavora e monitora il polso di importanti intrighi e correnti sotterranee.

Tornando alle CBDC, molte persone temono le valute digitali per una buona ragione. Io stesso ho scritto un articolo di condanna sulla mia altra newsletter, e sono un antigovernativo/establishment/globalista come pochi. Ma solo gli ignoranti usano generalizzazioni generalizzate per dipingere con un unico pennello ogni espediente apparentemente correlato; ognuno dovrebbe essere esaminato nella sua verità ed essenza.

Il motivo per cui temiamo i CBDC è che vengono usati dal cartello finanziario globalista in un complotto per controllarci, come parte della loro più ampia agenda totalitaria 2030. Ciò avverrebbe, ipoteticamente, in vari modi, consentendo loro di vietare il contante e di utilizzare solo le CBDC tracciabili, nonché di programmare le CBDC in modo da servire gli interessi del capitale finanziario; ad esempio, aumentando la “velocità del denaro” di un sistema bancario, mettendo dei timer sulla valuta, costringendovi a spenderla entro una determinata scadenza anziché accumularla nei vostri risparmi.

Ma ricordate quello che ho appena spiegato: la banca centrale russa non è collegata alle istituzioni finanziarie occidentali e al gigantesco sistema bancario presumibilmente Rothschild del mondo. Il capitale privato e le istituzioni bancarie aziendali non possiedono la banca centrale russa, non hanno alcuna partecipazione o azione in essa, a differenza delle istituzioni occidentali. Pertanto, qualsiasi CBDC creato dalla banca centrale russa serve di fatto solo lo Stato russo. Inoltre, hanno espressamente dichiarato che il Rublo digitale non sostituirà il denaro contante – anche se, è vero, nessuno di noi prende in parola i governi quando si tratta di queste cose, quindi non biasimo nessuno per le sue perplessità.

Ma il governo russo ha una storia di ascolto delle richieste della popolazione migliore di quella occidentale. Per esempio, durante la pandemia il governo si è inizialmente unito al carrozzone delle vaccinazioni e delle relative restrizioni, ma dopo le proteste la maggior parte di esse è stata eliminata. È così che dovrebbe funzionare una sana governance. Nessuno sta suggerendo che i governi debbano essere sempre perfetti e non introdurre mai idee sbagliate, ma ciò che noi cittadini chiediamo è che se le idee sbagliate sono state inventate, dopo aver espresso il nostro rifiuto, vengano rimosse in modo sommario. Il governo russo lo ha fatto finora, almeno per la maggior parte. Rimangono alcune mele marce all’interno della struttura che continuano a spingere certe agende nefaste, che si tratti di vaccinazioni o di certificati digitali, eccetera, ma non si otterrà mai un sistema completamente amichevole a meno che non si istituisca un sistema orwelliano di controllo totale; ci saranno sempre dei cattivi attori.

Ma tornando alla Banca di Russia, alcuni sostengono che nel suo statuto afferma che, come la Federal Reserve degli Stati Uniti, è un’istituzione “indipendente”. È vero, ma la sua definizione di indipendenza è diversa da quella occidentale. Troppe persone inculcate nei paradigmi occidentali cercano di applicarli grossolanamente ai sistemi russi senza comprenderne le sfumature. Lo statuto stabilisce inoltre espressamente che la banca russa è un’istituzione “pubblica” e non privata, ma i detrattori ignorano questa parte. Ricordiamo che la Fed statunitense ammette apertamente di essere “sia privata che pubblica” e di utilizzare un “sistema duale”. Lo potete vedere voi stessi sul loro sito ufficiale: “…una miscela di caratteristiche pubbliche e private”.

Ed ecco il sito ufficiale della Federal Reserve di St. Louis, una delle 12 banche regionali che compongono la Fed statunitense, che dichiara apertamente di essere sia privata che pubblica.

Sulla pagina ufficiale della Banca centrale russa si legge che, pur essendo un’autorità separata, è un’istituzione giuridica pubblica. In realtà, l’articolo 15 della Legge federale sulla Banca centrale stabilisce addirittura che i direttori della BC non possono tenere o aprire conti bancari all’estero.

L’articolo di Forbes dell’inizio di quest’anno sottolinea alcuni dei miei punti, affermando che: “Oggi le banche russe sono per lo più gestite dallo Stato. I maggiori istituti di credito commerciali sono tutti controllati dallo Stato”.

In effetti, l’articolo lamenta il fatto che il capo della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, abbia revocato le licenze a un gruppo di banche commerciali “zombie” o le abbia acquistate sotto il controllo dello Stato, consolidando il potere statale russo sul settore bancario.

“Ci sono due grandi banche russe che possono essere definite private – la prima è Alfa Group e l’altra è la Moscow Credit Bank, anch’essa piuttosto grande, ma era ovvio che nessuna di loro sarebbe stata interessata ad acquistare Otkritie o la National Bank Trust che la banca centrale aveva in offerta. Solo le banche controllate dallo Stato sono acquirenti delle banche che la RCB ha rilevato dal 2017”, afferma. “Penso che la situazione sia stabile ora e che Nabiullina possa influenzare le persone del governo russo a non cambiare nulla. La performance di Nabiullina nel salvare il sistema bancario russo è oggetto di dibattito. Lo ha salvato, ma lo ha messo sotto il controllo dello Stato.
Poi c’è questo dato scioccante:

Nel 2014, in Russia c’erano 923 istituti di credito commerciali. L’anno scorso ne sono rimasti in attività circa 370. I dati di RCB mostrano che oltre 600 banche private hanno perso le loro licenze sotto il mandato di Nabiullina.
Leggete con attenzione:

“Nabiullina ha completamente distrutto il sistema bancario privato della Federazione Russa. A causa delle sue attività, è collassato in un grande sistema bancario statale, controllato dalla stessa Nabiullina e dai suoi collaboratori. Ha svolto le sue attività dal 2013, chiudendo costantemente le banche private”, ha dichiarato una fonte del settore finanziario a Mosca.
Interessante, non trovate? E dato che la Nabiullina è la prescelta di Putin, che è stata il suo precedente consigliere economico personale, possiamo solo supporre che si tratti di un’operazione di Putin in tutto e per tutto, per distruggere l’influenza del cartello bancario occidentale sulla Russia e centralizzare il sistema bancario russo sotto lo Stato, come dovrebbe essere. L’articolo menziona persino come Putin abbia “approvato personalmente” una delle grandi vendite bancarie dichiarate, dando credito a questa prospettiva e supportando anche il fatto che Putin stesse supervisionando il lavoro di scure della Nabiullina sull’industria finanziaria di proprietà e investimento occidentale.

Si noti come la Russia abbia raggiunto il picco del numero di “istituti di credito”, cioè di banche private, durante il crollo post-sovietico senza legge, quando la finanza occidentale ha preso completamente il sopravvento e ha sventrato il Paese. Naturalmente, gli istituti bancari occidentali si sono riversati in Russia come in un selvaggio West. Si noti poi come, dopo l’insediamento di Putin, il numero di questi istituti sia gradualmente diminuito. In effetti, il grafico qui sopra si riferisce solo al 2015 e mostra oltre 600 istituti a quel punto. Attualmente, la Russia è scesa a soli 300 istituti. Capite cosa sta succedendo?

Certo, in Occidente si osserva una tendenza al ribasso simile. Ad esempio, gli Stati Uniti avevano qualcosa come circa 20.000 istituzioni finanziarie negli anni ’80, scese a circa 6.000 nel presente. Tuttavia, ciò è avvenuto a causa dei fallimenti delle banche e delle infinite fusioni, in cui i maggiori conglomerati hanno continuato ad accaparrarsi l’un l’altro per diventare sempre più potenti. Per quanto ne so, non è stato il risultato di una campagna deliberata per eliminare le banche come in Russia.

Naturalmente, citando “esperti finanziari”, l’articolo di Forbes deplora queste mosse, caratterizzandole come una sorta di ritorno della Russia a un “sistema bancario primitivo”, destinato a danneggiare in qualche modo la nazione. Eppure il tempo ha dimostrato la sagacia di queste azioni, dato che la Russia ha appena superato ufficialmente la Germania e si è portata al quinto posto nella classifica mondiale del PIL PPP, e ha alcuni dei migliori numeri economici del mondo, per quanto riguarda l’inflazione, la disoccupazione, il saldo dei conti, il debito rispetto al PIL e molti altri indicatori. È chiaro che stanno facendo qualcosa di buono.

Ma torniamo alle CBDC. Se la CBDC russa è destinata a servire qualche tipo di interesse esterno, di chi è esattamente, se la banca centrale russa non ha alcun legame con il sistema occidentale, a parte i regolamenti commerciali obbligatori tra due Stati e le necessarie conversioni di valuta, ecc. È chiaro che l’industria bancaria russa è molto più sotto il giogo dello Stato che in qualsiasi paese occidentale.

Ho stabilito che la banca centrale russa non è più membro della BRI o del sistema SWIFT, i suoi membri non fanno parte di alcuna società “internazionale” come i direttori delle banche centrali occidentali. Quindi perché i loro CBDC dovrebbero servire istituzioni occidentali o internazionali di qualsiasi tipo? In realtà, non esiste alcun meccanismo che consenta loro di farlo, anche se lo volessero. Nel sistema della Federal Reserve statunitense, il denaro arriva direttamente alle banche commerciali associate, che sono gli azionisti diretti del sistema della Federal Reserve. E come tutti sanno, il consiglio di amministrazione di una società è vincolato ai suoi azionisti. Ciò significa che i membri del consiglio di amministrazione della Fed sono chiaramente incentivati a servire gli interessi dei loro clienti. Certo, si pretende di controllare questo aspetto avendo diverse “classi” di consiglieri, con la classe B, per esempio, destinata a “rappresentare il pubblico”. Tuttavia, come si può vedere nel grafico precedente che ho postato, i direttori di classe B sono ancora amministratori delegati di grandi aziende, per non parlare del fatto che sono ancora “eletti” dalle banche che ne fanno parte. La JP Morgan che elegge l’amministratore delegato dell’IBM come “rappresentante pubblico” esemplare è il massimo dell’assurdità e rappresenta una vera e propria presa in giro del popolo.

Poiché sappiamo che il sistema della Federal Reserve è semplicemente un’estensione delle megabanche internazionali, qualsiasi politica che la Fed istituisce, come l’avvio di un potenziale CBDC, è probabilmente per volere e a beneficio di interessi internazionali che non hanno nulla in comune con i cittadini statunitensi. Ciò significa che i controllori stranieri che possiedono e dettano le politiche della JP Morgan, dell’AIG e così via, spingeranno i CBDC perché ciò giova a loro e alle loro istituzioni segrete della massima piramide che non hanno certo sede negli Stati Uniti.

Come funziona? Per esempio: sappiamo che la Federal Reserve degli Stati Uniti è composta da 12 banche membri della Fed, come la Fed di New York. Ognuna di queste banche è composta da una moltitudine di megabanche private, come JP Morgan e altre, che possiedono le azioni della Fed di New York ed eleggono il suo consiglio di amministrazione all’interno del proprio ambito aziendale, il che significa che le banche della Fed sono interamente controllate da loro.

Ma JP Morgan e altri sono banche statunitensi, direte voi. Quindi devono avere in mente gli interessi dei cittadini statunitensi, giusto? Ma chi possiede JP Morgan? Se si guarda ai veri azionisti istituzionali che possiedono le azioni di controllo di JP Morgan, questi sono BlackRock, Vanguard, ecc. BlackRock è una gigantesca “società”, o meglio un gestore di fondi, che apparentemente ha sede negli Stati Uniti, ma è ovviamente una società internazionale globale. Non solo molti dei suoi consiglieri di amministrazione sono stranieri, come due baroni del petrolio dell’Arabia Saudita, un amministratore delegato canadese, ecc. ma anche alcune delle società che detengono quote di controllo di BlackRock sono straniere, come Temasek, con sede a Singapore.

In secondo luogo, tutte le società e i portafogli gestiti da BlackRock – che sono praticamente tutti – sono di portata internazionale, il che rende BlackRock vincolata a loro e ai loro interessi, non solo ai cittadini statunitensi. Inoltre, per la cronaca: BlackRock è una società quotata in borsa mentre Vanguard non lo è, il che significa che gli azionisti privati di Vanguard sono completamente segreti e non possono mai essere rivelati. Quindi la società che detiene la quota di controllo di BlackRock, e quindi possiede la stragrande maggioranza di tutte le principali banche del pianeta, compresa la Federal Reserve, è a sua volta di proprietà di una cabala “segreta” di azionisti.

Non abbiamo modo di sapere chi siano, ma probabilmente possiamo indovinare. Altri ricercatori, come Mullins e Gary Kah, hanno ristretto il campo ad alcune dinastie bancarie dominanti: Rothschild, Warburg, Goldman Sachs, Rockefeller, Israel Moses Seifs, Lehmans e Kuhn Loebs, Lazard, ecc. E tra l’altro, lo scopo del Federal Reserve Act, famoso per essere stato concepito in segreto sull’isola di Jekyll – almeno secondo esperti come G. Edward Griffin, che ne ha studiato la genesi per oltre 70 anni – era proprio quello di creare un sistema di questo tipo, in cui le poche famiglie più importanti possono formare un cartello per controllare l’industria bancaria insieme, proteggendo i loro interessi dalla concorrenza; in breve, un monopolio tra il loro piccolo sindacato di famiglie dinastiche interconnesse e sposate tra loro.

Tornando al nostro argomento, se si ripercorre la storia di queste proprietà, si arriva a un ambito sempre più internazionalista che ha in mente gli interessi della finanza internazionale. Pertanto, quando un sistema come la Federal Reserve statunitense si basa su queste fondamenta, si può presumere che tutti gli strumenti da essa emessi, come le CBDC, siano stati concepiti in funzione di questi interessi.

Ma dato che la Banca di Russia non ha una proprietà di questo tipo, né azionisti di alcun tipo, né legami con società internazionali, ciò significa che nessuna delle argomentazioni di cui sopra riguarda la CBDC russa. Anzi, si può addirittura sostenere che il CBDC della Banca di Russia sia un’arma contro la finanza internazionale, dato che le altre banche commerciali russe – le poche rimaste – si sono già preoccupate del fatto che il CBDC causerà loro gravi perdite di profitti. Il motivo è ovvio: I cittadini russi che scelgono di aprire conti in “rublo digitale” direttamente presso la banca centrale russa rappresenteranno una perdita di potenziali clienti per le banche commerciali che si contendono quegli stessi conti e depositi. Non me lo sto inventando: questa è stata una preoccupazione reale segnalata dalle banche commerciali, al punto che la Banca di Russia ha dovuto persino rassicurarle ricordando che la maggior parte dei clienti preferirà comunque tenere conti anche presso di loro, dato che i conti in Rublo digitale presso la Banca centrale non matureranno interessi come quelli delle banche commerciali. Pertanto, le persone normali che desiderano ottenere un profitto dai propri risparmi dovranno ancora aprire conti presso le normali banche commerciali. Dall’articolo linkato sopra:

Il lancio del rublo digitale potrebbe portare a un deflusso di 4.000 miliardi di rubli dalle banche russe e a un aumento del costo dei prestiti, secondo la più grande banca del Paese. Sberbank ha valutato i rischi del lancio del rublo digitale e prevede che, dopo la sua introduzione, 2-4.000 miliardi di rubli non in contanti saranno trasferiti dalle banche alla valuta digitale russa, ha dichiarato il vicepresidente del consiglio di amministrazione di Sberbank Anatoly Popov in una conferenza stampa.
Quando si rendono nervose e invidiose le banche commerciali, probabilmente si sta facendo qualcosa di buono.

Questo dimostra che ci sono più argomenti a favore del fatto che la CBDC russa danneggi le banche commerciali private e i loro interessi che non il contrario, alla luce di tutto ciò che ho spiegato sopra, in particolare alla luce delle prove che Putin ha utilizzato Nabiullina e la banca centrale per distruggere e limitare gli interessi delle banche commerciali private in Russia. Certo, è probabilmente un’ipotesi molto lontana dal percorso Putin-5D, ma è anche lontanamente possibile che la Banca di Russia CBDC faccia parte di un piano a lungo termine per strappare completamente il controllo della finanza occidentale/londinese e restituirlo al popolo. Ma un simile piano ipotetico funzionerebbe a lungo termine solo in concomitanza con diversi altri sviluppi critici, come la rivoluzione multipolare Russia-Cina che sconvolge l’intera architettura finanziaria del globo, o almeno la loro sfera, e riporta il mondo a valute sostenute da beni reali. Ma questo sarebbe nel regno dell’improbabilità del livello NESARA-GESARA, almeno per il prossimo futuro. Tuttavia, credo che la tendenza sia quella e tutto dipenderà dalla prossima successione in Russia dopo Putin.

Quindi, questo significa che dovremmo amare e fidarci del CBDC russo? Non necessariamente, io stesso rimango ancora sanamente scettico. Il motivo è che, anche se per ora rimane apparentemente innocuo, tutto può cambiare in futuro. Per esempio, un politico filo-occidentale/liberale potrebbe ipoteticamente succedere a Putin e decidere di riorientare completamente la Russia nella direzione del “Grande Reset”, quindi di trasformare i CBDC in tutto ciò che si temeva che fossero.

Questo non vuole nemmeno essere un’approvazione clamorosa del sistema di banche centrali della Russia o di qualsiasi altra banca centrale, se è per questo. In generale, continuo a essere personalmente critico nei confronti di qualsiasi tipo di istituto bancario di stampo usuraio. Ma quella russa sembra certamente la migliore del lotto. E come ho detto, c’è la possibilità che Putin stia conducendo una lunga crociata personale per riformare lentamente l’intero sistema, con l’obiettivo finale di una vera e propria moneta aurea o garantita da asset, utilizzata dall’intera nascente sfera di resistenza/multipolare rappresentata dai BRICS.

In effetti, una piccola ma interessante notizia è passata sotto silenzio solo pochi giorni fa. Putin ha firmato una legge per una serie sperimentale di “banche islamiche” in quattro regioni chiave della Russia, che hanno una maggiore popolazione musulmana: Daghestan, Cecenia, Bashkiria e Tatarstan. Questa sperimentazione durerebbe due anni, fino al 2025, e vieterebbe l’uso della banca per finanziare tabacco, alcol, armi, gioco d’azzardo, ecc. Soprattutto, vieterebbe l’uso di tassi di interesse in qualsiasi prestito o transazione. Avete letto bene: il divieto di usura. Come si fa a prestare denaro senza un tasso di interesse, o meglio, per quale incentivo? Non ne sono sicuro, ma sembra che abbia qualcosa a che fare con questo, dall’articolo sopra linkato:

Esiste una condizione di condivisione del rischio di profitto e perdita tra la parte finanziatrice e il cliente su transazioni e operazioni finanziarie basate su attività effettive o su transazioni con tali attività. È inoltre necessario identificare le attività effettive alla base della transazione.
È chiaro che il cambiamento globale più epocale che potrebbe verificarsi nel corso della nostra vita sarebbe la dissoluzione del sistema bancario fiat occidentale che ha controllato il mondo per centinaia di anni e sul quale sono stati costruiti i pilastri delle forme più tossiche di capitalismo clientelare. Ma anche, nello specifico, il dollaro come valuta di riserva e il suo conseguente “privilegio esorbitante”, che ha alimentato il modello unipolare del mondo per decenni, scatenando un’ondata di imperialismo sfrenato che ha affogato il mondo in via di sviluppo in oceani di sangue, abbattendo paesi e continenti allo stesso modo, trasformandoli in pozzi di schiavi distrutti, impoveriti e senza legge, come ad esempio la Libia e molti altri.

Il CBDC russo potrebbe essere un’incursione tattica contro questo sistema, come sostengono i suoi progenitori, o sarà cooptato dai poteri forti in un altro strumento di controllo della società? È difficile esserne certi, ma per ora conservo una modesta speranza, per le ragioni illustrate in questo articolo.

Voi cosa ne pensate? Condividete i vostri pensieri qui sotto.


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SVEZIA E FINLANDIA ALLE PORTE DELLA NATO : LEZIONI, TRAPPOLE E FINZIONI, di Hajnalka Vincze

SVEZIA E FINLANDIA ALLE PORTE DELLA NATO : LEZIONI, TRAPPOLE E FINZIONI

Engagement n° 138 Primavera 2023 – 15 marzo 2023
Studio e analisi

L’effetto boomerang per il Presidente Putin della prevista adesione di Helsinki e Stoccolma all’Alleanza Atlantica viene spesso descritto in questi termini: “Mosca voleva la finlandizzazione dell’Ucraina, e otterrà la finlandizzazione di Finlandia e Svezia”. Piuttosto che snocciolare per l’ennesima volta gli elementi dell’equazione già noti – ovvi o di secondaria importanza – è tempo di concentrarsi su ciò che è essenziale, cioè su ciò che si trova, per rimanere nell’universo nordico, sotto la punta dell’iceberg. Cosa rivela, insegna e nasconde il processo di adesione dei due nuovi candidati all’Alleanza? Non c’è da preoccuparsi: su ognuno di questi punti, il principale perdente è la difesa europea.

Qualche lezione di passaggio

Da quasi un anno a questa parte, la moltitudine di relazioni, audizioni e annunci che hanno costellato il processo contiene alcuni dettagli che sono molto più edificanti di quanto questo tipo di esercizio normalmente riveli. Tra i punti di forza che i funzionari della NATO elencano per sottolineare il fatto che i due Paesi nordici saranno “contributori netti” alla sicurezza degli alleati ci sono il gran numero di carri armati, l’esperienza nella difesa del territorio e… il servizio di leva, che non è mai stato sospeso in Finlandia ed è stato ripristinato in Svezia nel 2017. In breve, ciò che dagli anni ’90 ci è stato presentato come antiquato, appartenente alla “guerra di ieri”, oggi è una risorsa. Un buon promemoria, se ce ne fosse bisogno, per non prendere per oro colato tutte le dichiarazioni del momento, a partire dalla retorica concordata intorno all’adesione di Finlandia e Svezia.

L’ostruzione turca che – per ottenere concessioni da Helsinki e Stoccolma, ma anche da Washington – sta ritardando il processo da mesi ha un innegabile vantaggio. Evidenzia il fatto che nessun Paese, nemmeno il partner più stretto della NATO, ha il “diritto di entrare” nell’Alleanza. Al contrario, sono gli Stati membri che hanno, ciascuno individualmente, il diritto di autorizzare o meno l’adesione di questo o quel candidato, secondo i propri calcoli. In questi giorni, tuttavia, si levano voci entusiaste per sostenere che l’Ucraina avrebbe il “diritto” di aderire. O, per dirla un po’ più finemente, come un importante membro del Comitato per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti, Jim Risch: “Qualsiasi Paese che soddisfi le condizioni dovrebbe poter entrare nell’Alleanza”. Ciò che dimentica di dire è che la prima delle condizioni stabilite dall’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico è l’approvazione all’unanimità. C’è da scommettere che non tutti gli alleati vedranno l’ingresso di Kiev come una garanzia di sicurezza.

Un’altra ovvia ragione per cui due Stati membri dell’UE finora neutrali chiedono di entrare nell’Alleanza è la percezione che la clausola di difesa reciproca definita nell’articolo 42(7) dell’Unione sia incredibilmente leggera. Il fatto che si stiano precipitando verso quella che considerano una garanzia molto più solida, ovvero l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica, è un chiaro rifiuto di questa disposizione europea, che è stata tenuta a distanza da Parigi. Ma c’è di peggio. Il relatore dell’Assemblea Nazionale sul tema, Jean-Louis Bourlanges, ha fatto un confronto tra i due, facendo riferimento a esperti del Ministero delle Forze Armate e del Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri. Questi avrebbero “sottolineato che l’articolo 5 è più solido dell’articolo 42.7”, poiché contiene un riferimento esplicito all’uso della forza armata[1].

Se non fosse che tale interpretazione è diametralmente opposta alla posizione tradizionale della diplomazia francese. Finora, Parigi ha sempre sottolineato l’implicita inclusione della forza armata nell’espressione “tutti i mezzi” e l’automaticità dell’impegno previsto dall’articolo 42.7 (gli Stati membri “presteranno aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso” a uno Stato membro attaccato). Ciò era in contrasto con la natura non automatica, sottilmente negoziata all’epoca da parte americana, dell’impegno di cui all’articolo 5: se un alleato viene attaccato, ciascuno degli altri Paesi dell’Alleanza “prenderà le misure che riterrà necessarie”, ovviamente “compreso l’uso della forza armata”. Se confermata, questa inversione di rotta nella visione della Francia avrebbe conseguenze di vasta portata per la difesa europea.

Retorica ingannevole

Questo gioco di specchi distorcenti e di nascondino si estende alle espressioni usate, o non usate, per parlare dell’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza. Il deputato Bourlanges, presidente della Commissione Affari Esteri, contesta persino il termine “allargamento della NATO”[2], che a suo avviso dà un’immagine falsa di un’Alleanza che vuole espandersi. E non riflette adeguatamente il fatto che sono i Paesi che chiedono protezione a “prendere la decisione di aderire all’organizzazione”. Si tratta chiaramente di una battaglia di narrazioni e anche di politica.

Quando si sostiene la necessità di rafforzare la dimensione settentrionale della NATO sulla scia di quello che viene ancora definito il prossimo allargamento, il vantaggio strategico più citato è quello di aggiungere profondità strategica alla difesa del Baltico. Ma dietro a ciò si nasconde una questione molto più ampia: la regione artica. Il corollario è la competizione tra l’UE e l’Alleanza Atlantica. Dopo l’adesione dei due Paesi nordici, sette degli otto Paesi lungo la costa artica saranno membri della NATO, tutti tranne la Russia. L’Unione europea ha formulato la sua politica per la regione nel 2016 e l’ha aggiornata nell’ottobre 2021 da un punto di vista (leggermente) più geopolitico. La NATO, da parte sua, ha avuto difficoltà a definire una strategia per quello che chiama il Grande Nord, ma il rapporto dell’aprile 2021 del Comando per la Trasformazione prevede un ingresso deciso[3]. Di norma, quando un nuovo soggetto o una nuova regione rientra nella sfera di interesse della NATO, gli alleati europei subiscono un’enorme pressione per conformarsi alle priorità stabilite dall’America. Ciò riduce automaticamente il margine di manovra dell’UE.

Certo, secondo le dichiarazioni dei funzionari francesi, l’adesione di Finlandia e Svezia rafforzerà il famoso “pilastro europeo” all’interno della NATO [4], come dimostra il fatto che il numero di Paesi dell’UE passerà da 21 a 23, con la differenza che non sarà più su 30 ma su 32 alleati! D’altra parte, 23 dei 27 Stati membri dell’UE saranno ora anche membri della NATO, con le sole eccezioni di Austria, Irlanda, Malta e Cipro. Per una volta, questo esercizio contabile è importante. Più sono i Paesi dell’UE che non appartengono alla NATO, più c’è motivo di chiedere una separazione tra le due organizzazioni e la possibilità per gli europei di condurre le proprie politiche. D’altra parte, la sovrapposizione sempre più perfetta tra le due mappe serve da pretesto per abolire le barriere tra i due organismi e arruolare l’intera Europa nelle strategie “occidentali” sotto la bandiera della NATO.

Altre bombe ad orologeria

Un “punto inquietante” – per citare il relatore del Senato sulla questione [5] – del memorandum tripartito tra Svezia, Finlandia e Turchia va chiaramente nella direzione del secondo scenario. In cambio della revoca del veto della Turchia nel giugno scorso, i due Paesi nordici “si sono impegnati a sostenere la partecipazione della Turchia alle iniziative di politica di sicurezza e di difesa comune” dell’Unione Europea. L’accesso degli alleati non appartenenti all’UE alla PSDC è sempre stato uno dei temi chiave nei dibattiti transatlantici e un fattore determinante nelle relazioni UE-NATO. Parlando di rischi futuri, meritano attenzione anche altre due questioni: una riguarda le scelte di Finlandia e Svezia, l’altra deriva dal meccanismo stesso di integrazione nell’Alleanza Atlantica.

Il Presidente Putin, che vede Stoccolma e Helsinki come parte del blocco occidentale, ha convenuto che l’adesione è “affar loro”. La linea rossa per Mosca, ha detto, sarebbe il dispiegamento di contingenti e infrastrutture della NATO sul loro territorio, che provocherebbe “una risposta simmetrica”. Tuttavia, secondo le rivelazioni della stampa finlandese, i due Paesi nordici non hanno chiesto esenzioni dalla NATO, a differenza di Danimarca e Norvegia. Il primo ministro finlandese, Sanna Marin, ha ammesso di non aver posto alcuna condizione né sul dispiegamento di contingenti o basi, né sulla presenza di armi nucleari: “Non è nei nostri piani, ma non escludiamo nulla”.

C’è un pericolo più diffuso, ma che è stato osservato nel corso degli anni, nel modo in cui l’appartenenza alla NATO incoraggia il comportamento “free rider”. C’è una grande tentazione di accogliere l’ombrello protettivo americano (la cui durata è un’altra questione) e in cambio offrire solo il minimo indispensabile: eserciti potemkin, partecipazione simbolica alle operazioni, priorità per gli armamenti statunitensi e soprattutto fedeltà politica incondizionata. A lungo andare, lo spirito di difesa si diluisce e il senso di responsabilità scompare. Non a caso il generale de Gaulle decise di ritirare la Francia dalle strutture di comando integrate. Come disse lui stesso: “Ciò che accade nell’integrazione è che il Paese integrato perde interesse per la propria difesa nazionale perché non ne è responsabile. L’Alleanza nel suo complesso perde di conseguenza la sua forza e la sua resistenza”[6] e, per inciso, anche l’intera Europa.

***

[1] Esame e votazione del progetto di legge sull’adesione della Finlandia e della Svezia, Commissione per gli affari esteri, 27 luglio 2022.
[2] Rapporto sull’adesione della Finlandia e della Svezia, di Jean-Louis Bourlanges, Commissione per la difesa nazionale e le forze armate, Assemblea nazionale, 27 luglio 2022.
[3] Strategic Foresight Analysis, Region Perspectives Report on the Arctic, NATO ACT, aprile 2021.
[4] Dichiarazione di Catherine Colonna all’Assemblea nazionale, 2 agosto 2022.
[5] Relazione sull’adesione di Finlandia e Svezia, di Christian Cambon, Commissione Affari esteri, Difesa e Forze armate, Senato, 20 luglio 2022.
[Charles de Gaulle, conferenza stampa dell’11 aprile 1961.

https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/642-

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Questioni strategiche globali rispecchiate dagli eventi in Niger, Elena Kharitonova

Ulteriore conferma di quanto sostenuto dal sito Italia e il mondo in questi ultimi anni. Come via di fuga rimangono l’Algeria, con i suoi giacimenti in via di esaurimento e il forte legame con la Russia e i giacimenti nel Mediterraneo Orientale, scoperti in gran parte dall’ENI ma sulla cui gestione si sono intromessi pesantemente Stati Uniti, Gran Bretagna e, in subordine, Turchia. Il cappio si stringe. Giuseppe Germinario

Questioni strategiche globali rispecchiate dagli eventi in Niger
08.08.2023
Elena Kharitonova
© Reuters
Il 26 luglio 2023 si è verificato un colpo di Stato in Niger, dove un gruppo di soldati della guardia presidenziale guidati dal generale Omar Tchiani ha bloccato l’ufficio del capo di Stato in carica nella capitale dello Stato, Niamey.
Niger, tradotto dalla lingua dei Tuareg sudorientali, significa “grande fiume” o “fiume dei fiumi”. Il Niger è uno dei Paesi più poveri del mondo; il Paese dell’Africa occidentale fa parte dei cosiddetti “Cinque del Sahel”. È un’ex colonia francese senza sbocco sul mare e la maggior parte del suo territorio si trova nel deserto del Sahara. Infine, il Niger fornisce circa il 40% dell’uranio per l’industria nucleare francese. Il Niger si è rivelato oggi centrale per gli interessi strategici di diversi attori globali.

Gli eventi in Niger si sono sviluppati rapidamente. Il 27 luglio, i militari della Guardia presidenziale hanno annunciato la rimozione del presidente Mohamed Bazoum, la chiusura delle frontiere dello Stato, l’introduzione del coprifuoco, la sospensione di tutte le istituzioni del Paese e il divieto di qualsiasi attività dei partiti politici. È stato lanciato un monito contro i tentativi di intervento militare straniero.

Il governo filo-occidentale di Mohamed Bazoum è stato sostituito da quello del generale Abdurrahman Tchiani, che si è dichiarato presidente del Consiglio nazionale per la salvezza della patria. Il principale partito di opposizione del Niger ha espresso il suo sostegno al nuovo governo e migliaia di cittadini hanno marciato verso l’ambasciata francese a Niamey chiedendo la chiusura delle basi militari straniere, americane e francesi. Il nuovo governo ha immediatamente dichiarato la sua posizione anti-occidentale, il suo orientamento anti-coloniale, il suo orientamento verso la sovranità economica e i sentimenti filo-russi nel Paese. Mohamed Bazoum non ha previsto di partecipare al vertice Russia-Africa, aderendo a una posizione filo-occidentale. Dopo essere stato rimosso dalla presidenza, Bazoum ha chiesto agli Stati Uniti di aiutarlo a tornare al potere, dichiarando il suo impegno per i valori democratici.

La valutazione degli eventi da parte delle diverse parti in conflitto è stata diversa. Alla sessione plenaria del Vertice Russia-Africa, apertosi il giorno successivo al colpo di Stato, il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani, ha dichiarato: “Condanniamo fermamente gli eventi in Niger e chiediamo l’immediato rilascio del Presidente della Repubblica del Niger e della sua famiglia”.

Questa posizione è stata sostenuta dall’ECOWAS (la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale), nota per il suo orientamento filo-occidentale. L’ECOWAS ha sospeso tutte le transazioni commerciali con il Niger, ha minacciato di congelare i beni dei militari coinvolti nel colpo di Stato e ha chiuso le frontiere. Secondo le fonti, i rappresentanti di alcuni Paesi dell’ECOWAS si sono dichiarati pronti a fornire truppe per un’operazione militare in Niger. Di fatto, l’ECOWAS ha agito come un pilastro dell’Europa. Il 4 agosto è emerso che i capi dei ministeri della Difesa dei Paesi dell’Africa occidentale avevano adottato un piano di intervento in Niger. Al nuovo governo è stato dato tempo fino al 6 agosto per ristabilire l’ordine costituzionale e ripristinare l’ex presidente. In caso contrario, secondo la Reuters, potrebbero essere inviate truppe in Niger per intervenire.

Tuttavia, questa opinione non riflette le posizioni di tutti i Paesi africani. Mali, Burkina Faso e Guinea hanno dato una valutazione diversa degli eventi in Niger, sottolineando che l’Africa si sta liberando dai dettami occidentali e dalla rapina neocoloniale del continente da parte delle sue ex metropoli. Hanno dichiarato che avrebbero considerato qualsiasi intervento militare negli affari interni del Niger come una dichiarazione di guerra contro di loro. L’Algeria ha adottato una politica analoga, che può essere vista come un serio sostegno alla leadership de facto del Niger.

I Paesi europei hanno condannato il colpo di Stato in Niger. Così, il portavoce del Ministero degli Esteri tedesco Sebastian Fischer ha dichiarato che la Germania, date le circostanze, sospende il sostegno finanziario al Niger (“Abbiamo sospeso tutti i pagamenti di sostegno diretto al governo del Niger”), e ha anche interrotto tutta l’assistenza al Paese, che era stata fornita “per il suo sviluppo”. Anche la Spagna, secondo il Ministero degli Affari Esteri del Regno, ha chiesto al Niger di ripristinare l’ordine costituzionale e ha deciso di sospendere la cooperazione bilaterale.

Subito dopo il colpo di Stato militare, Niger e Francia si sono “scambiati cortesie”: La Francia, che riceveva dal Niger il 40% dell’uranio per la sua industria nucleare, ha sospeso i programmi di sostegno finanziario del Niger fino al ripristino dell’ordine costituzionale nel Paese. Le nuove autorità nigerine, a loro volta, hanno sospeso l’esportazione di uranio e oro in Francia.

I Paesi europei hanno chiesto “il ripristino dell’ordine costituzionale” e “la liberazione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum”. Questa reazione consolidata dei Paesi europei testimonia l’estremo interesse dell’Europa a ripristinare lo status quo in Niger, così come degli Stati africani associati al Niger, che agiscono come un fronte unito – “per” il nuovo governo del Niger e la sua politica anti-occidentale e anti-coloniale, nonché “contro” l’Europa che, nonostante l’indipendenza formale dei Paesi africani, continua a perseguire una politica economica neo-coloniale in Africa.

La situazione sta cambiando rapidamente, quindi passiamo alle tendenze sostenibili.

All’inizio degli anni 2000, i leader dei principali Stati europei erano Jacques Chirac in Francia, Gerhard Schroeder in Germania e Silvio Berlusconi in Italia. Erano uniti dall’idea di sviluppare l’Europa utilizzando la Russia come base per le risorse. Era l’idea della “Grande Europa”, un’Europa “da Lisbona a Vladivostok”. Queste idee furono inizialmente espresse da Charles de Gaulle.

Il successo dello sviluppo del progetto della Grande Europa – la combinazione di risorse russe a basso costo e tecnologia occidentale, l’indipendenza della politica perseguita e l’unità nelle decisioni politiche – rappresentava una minaccia per l’egemonia globale degli Stati Uniti, e l’America intraprese una serie di azioni per neutralizzare questa minaccia.

L’azione più importante per bloccare il progetto della Grande Europa è stata la distruzione dei legami economici e politici tra la Russia e l’Unione Europea. Si presumeva che nel momento in cui i legami economici tra Europa e Russia fossero stati interrotti, gli Stati Uniti avrebbero sostituito gli idrocarburi russi con altre fonti. Da qui l’interesse per il gas naturale liquefatto americano, che viene trasportato da navi cisterna e costa all’Europa molto di più del gas di gasdotto russo.

La strategia americana per eliminare il concorrente e indebolire l’Europa, per bloccare il progetto della Grande Europa, aveva un carattere a lungo termine e un orizzonte di pianificazione che si estendeva per decenni nel futuro. La crescita della produzione di idrocarburi negli Stati Uniti, le pressioni per la fornitura di gas naturale liquefatto americano, il crescente inasprimento dell’ostilità tra la Federazione Russa, l’Unione Europea e il blocco NATO sono anelli della stessa catena.

Qual è il punto di partenza? Qual è la posizione dell’Europa oggi? La fornitura di vettori energetici dalla Russia è stata fortemente ridotta. Il costo di un chilowattora di elettricità in Germania è circa 4 volte superiore al costo di un chilowattora negli Stati Uniti. Di conseguenza, l’economia tedesca (la “locomotiva” tecnologica ed economica dell’Unione Europea) non può competere con le imprese statunitensi ed è costretta a trasferire i propri impianti produttivi dall’Europa all’America. Di fatto, l’Europa ha perso lo status di entità geopolitica che prende decisioni indipendenti. Si può dire che il piano strategico degli Stati Uniti per indebolire l’Europa, iniziato nei primi anni Duemila, stia andando bene. Le posizioni in Africa di Francia ed Europa, che sono state coinvolte nella colonizzazione del continente, si stanno indebolendo e in questi processi si può notare la coincidenza tra le decisioni interne africane, essenzialmente anti-neocoloniali, e gli interessi strategici degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, come spesso accade nella storia, la parte interessata può rimanere nell’ombra, non sempre agisce con le proprie mani e spinge anche gli altri partecipanti per indebolirli reciprocamente.

Allo stesso tempo, la Francia, che genera elettricità con le sue centrali nucleari (utilizzando l’uranio), ha mantenuto in gran parte la sua posizione economica e i suoi vantaggi. Questa circostanza, se ricordiamo la strategia statunitense di indebolire l’Europa ed eliminare virtualmente i concorrenti, fa della Francia un altro obiettivo degli Stati Uniti.

Ricordiamo che il Niger fornisce il 25% di tutte le forniture di uranio ai Paesi dell’UE e oltre il 35% dell’uranio per l’industria nucleare francese. Ora la Francia, di fatto, si trova in una situazione disperata. Per la Francia, la cessazione delle forniture di uranio da parte del nuovo governo nigerino equivale a una dichiarazione di guerra, simile all’incidente di Bailey. Senza l’uranio del Niger, la Francia dovrà affrontare una crisi energetica e un declino dello sviluppo economico, che porteranno a una situazione simile a quella che si sta verificando ora con l’economia tedesca, e creeranno i presupposti per un conflitto armato diretto in Africa.

Quindi, a seguito del colpo di Stato e dell’avvento al potere di un governo antieuropeo in Niger, l’Europa sta perdendo le sue posizioni in questa regione africana. La questione non riguarda solo i minerali (soprattutto l’uranio, senza il quale l’industria nucleare francese potrebbe andare in crisi). Per l’economia francese, la cessazione delle esportazioni di uranio dal Niger è un disastro.

Il punto è anche il blocco di un altro progetto su cui l’Europa, dopo il rifiuto degli idrocarburi russi, aveva riposto grandi speranze. Si tratta del progetto NMGP (Nigeria Morocco Gas Pipeline project), lungo 5.660 km, che, secondo il progetto, è il gasdotto sottomarino più lungo del mondo. Nell’estate del 2018, la National Petroleum Corporation (NNPC) della Nigeria e l’Autorità nazionale per gli idrocarburi e le miniere (ONHYM) del Marocco hanno firmato un accordo di partenariato. Il gasdotto Nigeria-Marocco-Europa, che dovrebbe passare attraverso il territorio del Niger, è un’alternativa alle forniture di gas dalla Russia ed è pensato per sostenere l’economia europea. L’Europa si è affrettata a coinvolgere la Nigeria, rendendosi conto che il suo benessere economico dipendeva da un gas naturale relativamente a buon mercato. Il nuovo governo del Niger permetterà che un gasdotto verso l’Europa passi attraverso il suo territorio, visto il marcato orientamento antieuropeo della sua politica? È un problema.

E qui inizia il divertimento. Con quale figura geometrica, che simboleggia il numero di parti interessate – “giocatori” – abbiamo a che fare? Quali sono le relazioni tra di loro, quali connessioni, paradossi e contraddizioni possiamo osservare nella situazione del colpo di Stato militare in Niger? Consideriamo l’esempio della costruzione del gasdotto NMGP.

Se il gasdotto non viene costruito, o se la sua costruzione viene ritardata o rallentata, chi ci rimette? L’Europa, la cui economia è già in declino senza gli idrocarburi russi. E chi ci guadagna? Il famigerato gas naturale liquefatto (LNG) americano. Il rafforzamento dell’Europa è contrario agli interessi della “nuova madrepatria”, gli Stati Uniti, interessati a bloccare qualsiasi progetto alternativo che possa competere economicamente e/o politicamente con l’America. L’Africa, come ha dimostrato la situazione del colpo di Stato in Niger, non è omogenea. Per quella parte di essa che è interessata a trarre profitto dalla vendita e dal transito del gas attraverso i suoi territori verso l’Europa, non è redditizio. Per quei Paesi africani per i quali la lotta al neocolonialismo e alla sovranità è una priorità, è vantaggioso.

Se in Niger viene ripristinato il precedente governo con la sua politica pro-europea (pacificamente o militarmente, non è ancora noto), aumentano le probabilità che il Paese costruisca un gasdotto. Chi ne beneficia? Sicuramente l’Europa. Chi non ne beneficia? L’America. E l’Africa? Ne trae vantaggio quella parte che si è affidata alla cooperazione con l’Europa a costo della propria sovranità. I Paesi del continente che cercano di difendere la propria sovranità, che vogliono resistere alle strategie neocoloniali – no.

Così, l’Europa, gli Stati Uniti, i Paesi africani europeisti e quelli più interessati alla sovranità stanno entrando nel prossimo round della lotta “anti-neocoloniale”. [È certamente una semplificazione dividere i Paesi africani in filo-occidentali (filo-europei) e anti-occidentali. Pertanto, sottolineiamo che abbiamo in mente solo la situazione specifica e la politica in relazione alla situazione del Niger]. Ma la figura geometrica che abbiamo annunciato ha un’altra faccia, ovvero la Russia. È vantaggioso per la Russia rafforzare le posizioni dell’Europa in Africa? No. Soprattutto nella situazione di massima severità della politica sanzionatoria dell’Unione Europea nel contesto delle decisioni politico-militari anti-russe. Così come l’America non è interessata a rafforzare l’Europa. Nella situazione attuale l’America si comporta in qualche modo come un osservatore esterno, anche se è Washington il principale beneficiario. Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken il 4 agosto ha annunciato una parziale riduzione del sostegno finanziario al Niger, ma questa misura non si applica alle iniziative umanitarie e alimentari. Assistiamo alla paradossale coincidenza degli interessi di Russia e Stati Uniti nell’indebolimento della posizione dell’Europa in Africa. Ma non bisogna illudersi che questo possa servire almeno come base per un partenariato, e non bisogna dimenticare che la Russia per gli Stati Uniti fa parte della stessa “periferia” ribelle che ha dichiarato le sue rivendicazioni di sovranità. L’America è interessata a indebolire le posizioni della Russia in Africa. Inoltre, nell’attuale situazione con il Niger, avremo bisogno di volontà e saggezza non per indebolire, ma per mantenere e rafforzare le nostre posizioni in Africa.

A quali soluzioni africane è interessata la Russia? Tradizionalmente, la Russia ha sempre sostenuto la lotta anticoloniale dei Paesi del continente africano e ora, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Vladimir Putin ha dichiarato il suo sostegno ai Paesi africani nel loro movimento per la sovranità. Così, il desiderio di sovranità del popolo nigerino e il rifiuto di sfruttare le risorse francesi del Paese trovano il sostegno della Russia. Per quanto riguarda i Paesi africani che scelgono la propria strada, esiste una formula eccellente: “problema/i africano/i – soluzione africana”, e la Russia riconosce il diritto dei Paesi africani di fare la propria scelta. Faremo del nostro meglio per diventare un partner forte e affidabile per i Paesi africani, con cui percorrere il loro cammino. E se la Russia rafforza la sua posizione in Niger e nei Paesi della regione con essa consolidati, questo sarà un rafforzamento della sua posizione negoziale e una leva di pressione nella risoluzione di una serie di altre questioni globali acute?

https://valdaiclub.com/a/highlights/strategic-issues-mirrored-by-events-in-niger/?utm_source=newsletter&utm_campaign=376&utm_medium=email

L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos

L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos Compact Magazine
03.08.2023
Un esercito sconfitto e uno distrutto sono due cose diverse. Un esercito semplicemente sconfitto in battaglia può spesso ritirarsi con successo, riformarsi e ricostituire la propria forza, come fece Roma dopo l’umiliazione di Cannae, distruggendo alla fine la sua grande rivale, Cartagine. Ma quando interi eserciti si spezzano, quando perdono la volontà di combattere, anche l’intera nazione può spezzarsi. È quello che è successo ai grandi imperi nella Prima Guerra Mondiale ed è anche il destino che attende l’esercito ucraino.

Come fa una nazione in guerra ad arrivare a un punto in cui i suoi combattenti si rifiutano di combattere?

Parte di ciò che distrugge un esercito è il logoramento, che deriva sia dalle perdite che dai traumi che accompagnano le perdite sul campo di battaglia. Il trauma tra i sopravvissuti li logora. La loro vitalità come forza combattente fuoriesce tanto da coloro che non sono stati colpiti quanto dai feriti, così come continuano a fuoriuscire l’ardore e la speranza, energie da cui dipendono le prestazioni in combattimento.

“Quanto può sopportare un esercito prima di crollare?”.

Quindi, l’attrito è “logoramento”, sia fisico che psicologico. Quanto può essere logorato un esercito prima di crollare? Nell’esercito confederato prestarono servizio circa un milione di persone: 350.000 morirono e altri 200.000 circa furono feriti. Si trattava di un logoramento davvero impressionante – la metà di tutti gli uomini che combatterono – per un esercito che, alla fine, si arrese all’Unione ancora intatto. Il loro capitano si arrese piuttosto che combattere una guerra persa, e i soldati che lo avrebbero seguito all’inferno deposero le armi.

Sempre per contrasto, dal 1914 al 1918, 6 dei 7 eserciti delle grandi potenze si ruppero, provocando ammutinamenti, arrese e rivoluzioni. Le perdite in battaglia furono impressionanti, anche se nessuna si avvicinò all’apocalisse confederata (pari al 5,38% della popolazione del Sud). La Germania perse il 3,1% della sua popolazione, la Francia il 3,6%.

Le perdite, tuttavia, sono solo una parte dell’equazione del logoramento. Con il tempo, prosciugano l’ardore e la speranza che raggiungono il culmine quando la guerra viene dichiarata per la prima volta, prima che venga versato il sangue. Tuttavia, anche un esercito esausto e scoraggiato continuerà a combattere finché i suoi soldati rimarranno impegnati nella causa. Per questo, nella Prima Guerra Mondiale, eserciti che avrebbero subito decine di migliaia di perdite in un solo giorno – la Gran Bretagna ne ha subite 60.000 il primo giorno sulla Somme; l’Italia ne ha perse 350.000 in 17 giorni a Caporetto – hanno in qualche modo continuato a combattere.

Tuttavia, l’impegno si affievolirà e poi fallirà se e quando si verificheranno altri tre fattori. Considerateli come soffi di ritorno negativi, che infiammano la già negativa angoscia del logoramento:

Il primo soffio di ritorno negativo si ha quando una guerra iniziata con grandi speranze sembra improvvisamente non poter essere vinta. Le prime vittorie sono ormai un vecchio ricordo. Si perdono più battaglie di quelle vinte e i costi della battaglia continuano a salire fino alla soglia della sopportazione umana, per poi risalire. Il secondo è quando il sostegno esterno di amici e alleati inizia a svanire. Questo è un fattore negativo particolarmente acuto se il sostegno degli alleati è il fondamento emotivo della fiducia dell’esercito nella vittoria finale. In terzo e ultimo luogo, coloro che hanno iniziato la guerra, coloro che hanno promesso una strada lastricata di vittoria e che hanno giurato che il mondo avrebbe sostenuto l’esercito fino alla vittoria – non importa quanto tempo ci sarebbe voluto – sono sempre più visti come bugiardi e ingannatori. L’esercito, l’intera nazione, è stato tradito dai suoi leader.

Tutto questo si è abbattuto sull’Ucraina nelle ultime sei settimane.

Da quasi un anno non ci sono vittorie, nemmeno sanguinose e debilitanti come nella quarta battaglia di Karkhov. I leader occidentali continuano a professare che il loro sostegno continuerà. Tuttavia, l’Alleanza Occidentale ammette ora di non aver dato agli ucraini abbastanza materiale per ottenere anche modesti guadagni tattici nella loro offensiva sacrificale in corso – e lo sapeva fin dall’inizio. E sempre più spesso i comandanti delle unità ucraine accusano i capi superiori di averli usati semplicemente come carne da cannone per soddisfare i signori della NATO. Non solo plotoni, ma anche unità più grandi si stanno arrendendo alle forze russe. Il morale sta crollando.

Questo è il logoramento che si sta realizzando. Gli imperi caduti nel 1918 – Germania, Austria-Ungheria, Russia e Ottomani – hanno avuto bisogno di quattro anni per arrivare a questo punto. In un terzo di questo tempo, l’Ucraina ha perso il 2,5% della sua popolazione. Questo calcolo equivale a ciò che gli storici sovietici chiamavano “perdite insostituibili”, ossia tutti i soldati che non sarebbero mai tornati nei ranghi.

In realtà, le perdite reali dell’Ucraina potrebbero essere più elevate. Il calcolo delle perdite è un giudizio composito basato su un mosaico di metodologie serie, nonché su incaute ammissioni della NATO, degli ucraini e dei media occidentali, tutte sincronizzate con l’incontestabile misura delle perdite provata nella Prima Guerra Mondiale: la comparazione dei colpi di artiglieria. Ciò ha favorito la Russia rispetto all’Ucraina con un fattore fino a 10 a 1. Se si aggiunge l’inflessibile dedizione delle forze ucraine agli assalti con un alto numero di vittime, e l’altrettanta dedizione della Russia alla “conservazione della forza”, il quadro si presenta del tutto fosco per Kiev. Ora si accumulano nuove prove dell’entità della catastrofe ucraina, provenienti da molti vettori: semplicemente contando i necrologi ucraini o le schede SIM morte.

Ma questo solleva una domanda: Le forze russe sono in condizioni migliori? Sì. Dopo più di 500 giorni, lo sforzo bellico russo beneficia di un numero molto inferiore di perdite irrecuperabili, con un fattore di almeno 5 a 1; la fiducia di tutto l’esercito derivante dalla resilienza nei fallimenti, dal successo nell’adattamento sotto il fuoco e da un’arte operativa in rapida evoluzione; una serie di successi lungo il fronte e un’impennata nello slancio strategico; la sensazione in tutta la nazione che la Russia abbia gli uomini, gli strumenti e l’abilità sul campo di battaglia duramente conquistata per portare a termine il lavoro; e la vista dell’ultimo esercito ucraino, costruito dalla NATO, che brucia davanti ai loro occhi. Ciò che si aggiunge per la Russia, si sottrae all’Ucraina.

Nonostante l’alto numero di vittime dell’Ucraina, alcuni sostengono che la situazione generale sia salvabile. Tuttavia, il bilancio delle vittime è il fattore decisivo, perché le perdite in guerra devono essere confrontate con la salute e la stabilità dell’intera società. L’Ucraina ha quasi il più basso tasso di fertilità al mondo e un grafico di età in salita e in discesa per coorte demografica. In parole povere, gli uomini persi negli ultimi 500 giorni non genereranno una progenie. Ecco perché è importante fare i conti con le “perdite insostituibili” dell’Ucraina. Non sono solo i morti, ma anche i mutilati tra gli uomini che possono far crollare la società. È la spirale in cui è caduta la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale: diverse centinaia di migliaia di uomini hanno perso uno o più arti. Ora sappiamo che l’Ucraina è lo specchio dell’orrore francese. 50.000 ucraini hanno perso uno o più arti, quasi come i 67.000 della Germania nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1914, i francesi erano 39 milioni. Nel 1940 erano 39 milioni.

Nel 1994 l’Ucraina contava 52 milioni di persone. Poi è arrivata la catastrofe: Prima i giovani migliori e più brillanti hanno cercato un futuro migliore nell’Unione Europea e in Russia. Poi il terrore dopo il 2014 ha accelerato il deflusso. Ora la guerra ha di fatto allontanato geograficamente metà della popolazione dalla propria terra. All’inizio del 2022 l’Ucraina era una nazione di circa 33 milioni di abitanti. Oggi, un quarto della popolazione del Paese, già ridotta, è fuggito nell’Unione Europea e un altro quarto si trova negli oblast’ ora russi o risiede come nuovo migrante nella stessa Federazione Russa. Con 20 milioni di abitanti, l’Ucraina è un po’ più grande dei Paesi Bassi e un po’ più piccola di Taiwan.

Tuttavia, in termini di perdite per popolazione, le perdite militari ucraine, dopo più di 500 giorni di guerra, si avvicinano a quelle subite dalla Germania nella Prima Guerra Mondiale in più di 1.500 giorni. Si tratta di un tasso di logoramento catastrofico, aggravato da tutti e tre i cicli di retroazione negativa che possono distruggere un esercito e una nazione. Per tutta la primavera e l’estate, le forze ucraine sono state gettate in battaglia e ridotte al suolo. Entro l’autunno, l’esercito combattente sarà esaurito – il tragico destino dell’Ucraina migliore nel 2023. A settembre, ciò che resta si contorcerà e si piegherà verso la rottura, nel vento implacabile della guerra.

https://www.voiceofeurope.com/the-ukrainian-army-is-breaking-michael-vlahos-compact-mag/?fbclid=IwAR2oLXxM7JgX-H987Pfabe_HtSKOEU91lw0BPDFmaTs5s7HSRUtM7yd1GtU

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Andrey Morozov “Murz” commenta la situazione con KDZ

Qui sotto un piccolo spaccato di paradossale quotidianità descritto dall’interno della macchina militare russa. Da precisare che una macchina militare in moto e in via di trasformazione e adeguamento all’andamento di un conflitto presenta sempre degli aspetti paradossali frutto della complessità e delle dinamiche politiche e di gruppo presenti in essa. Un testo comunque significativo, Giuseppe Germinario

Andrey Morozov “Murz” commenta la situazione con KDZ per i carri armati:

Ecco una grande illustrazione di cosa e chi è ostacolato dai volontari (qui e qui).

La storia per intero è questa.

Parte 1. Seconda metà del 2022.

Un gran numero di carri armati delle prime serie dei modelli T-72, T-64 e T-80 vengono prelevati dai depositi e consegnati alle truppe. Sono rimasti in deposito “fino all’ultimo” proprio perché le prime serie. “A chi serve questa robaccia?”.

Parte 2. Allo stesso tempo.

Mentre al pubblico vengono mostrati servizi di grande effetto su come i carri armati T-62 più vecchi siano usciti dalle fabbriche tutti “a testa in giù”, saldati con contenitori di protezione dinamica, KDZ, molti carri armati T-72, T-64 e T-80 della prima serie passano dal deposito direttamente al fronte. Non solo, sono in condizioni tecniche deplorevoli, che fanno ululare anche un adepto della setta “L’esercito ha tutto” come Shurygin. Non sono dotati di KDZ, il che significa che in combattimento questi carri armati sono impotenti non solo contro i giavellotti o i NLAW, ma anche contro le munizioni convenzionali dei moderni lanciagranate anticarro, contro i quali questa difesa dinamica dovrebbe proteggere.

Parte 3. Inverno 2022-2023.

Le truppe cercano di procurarsi dei contenitori di protezione dinamica presso i servizi di approvvigionamento. In modo regolare, come lo chiamano loro, per ottenere ciò di cui hanno bisogno. Si scopre che le stesse piastre di difesa dinamica, che vengono inserite nei contenitori, sono disponibili. La logica della loro presenza è semplice – anche se le piastre sono semplicemente stoccate nei magazzini e mai messe nei container sui serbatoi (e in tempo di pace non ci sono, perché le piastre sono plastite, esogeno plastificato, esplosivi, che, dopo l’installazione nel KDZ da “ruba e vendi” sono separati solo da due bulloni non sballati, a cui è fissato il container), ogni 10 anni queste piastre hanno una data di scadenza, la plastite perde le proprietà necessarie per il corretto funzionamento, e devono essere sostituite anche nei magazzini. Per quanto riguarda i contenitori, si presume che, una volta montati sul serbatoio, rimangano sul serbatoio per tutta la sua vita. Il fatto che nelle battaglie il carro armato possa perdere i contenitori durante i colpi, e molti di essi, non è previsto. In generale, l’utilità di un equipaggiamento vecchio, ma non ancora economico e, soprattutto, urgentemente necessario per le truppe, è limitata dalla mancanza di contenitori in ferro, che sono montati sui carri armati su barre filettate saldate. La scienza non sa se i contenitori non fossero affatto disponibili in origine (il che è dubbio), o se ce ne fossero pochi e si fossero esauriti, o se tutti o la maggior parte fossero stati rottamati prima della SWO. Le truppe non riescono a procurarsi i contenitori, taki o semplicemente non vanno in battaglia, o vanno a morire senza un cazzo di motivo.

Parte 4. Inverno-primavera 2023.

Il compagno Rodriguez, che dal 2014 è impegnato ad aiutare i difensori del Donbass, dopo aver sentito questa storia dai carristi, si sta assumendo la responsabilità di avviare la produzione di container di difesa dinamica “Contact-1” vicino a Kaluga. Per ogni carro armato sono necessari fino a 300 contenitori di questo tipo. Inizia la produzione, inizia pezzo per pezzo la “vestizione” dei carri armati.

Parte 5. Primavera-estate 2023.

Come nel caso di molte altre esigenze del fronte, la storia della produzione di contenitori dinamici per la difesa viene raccolta dalla gente che vuole che il proprio esercito vinca ed è pronta ad aiutare in ogni modo. Diverse industrie metalmeccaniche e gruppi di volontari iniziano a produrre DDC Contact-1.
Nel tentativo di affrontare questa situazione a livello statale, per così dire, Rodriguez sta facendo in modo che i vertici militari russi inviino un’inchiesta parlamentare sulla questione (vedi questo link all’inizio del post).

Estate 2023, inizio agosto. FINALE (vedi questo link all’inizio del post).

Le truppe ricevono una direttiva urgente dai vertici dell’esercito: “Inviare con urgenza i certificati ufficiali che attestano che tutto è disponibile, i carri armati sono dotati di tutto, non ci sono “balle””. E iniziano le sanzioni contro quei militari che si sono rivolti ai volontari per chiedere aiuto.

Tutto è in ordine. Il certificato inviato ai piani alti che un carro armato “pelato” ha un CDZ proteggerà i carristi dai lanciagranate e dagli ATGM nemici.

Devo dire che si tratta di una vera e propria puttanata, fatta a favore della conservazione delle spalline da parte di un gruppo di portatori di spalline?

Dire che non basta sparare per questo ed è necessario sparare in modo che nessuno si senta piccolo?

Sì, sì, sì. A che serve dirlo? Rodriguez si è limitato a scrollare le spalle dopo l’esito alquanto prevedibile dell'”inchiesta parlamentare” e ha continuato a organizzare la KDZ ai petrolieri.

In realtà, qui c’è una mega illustrazione di chi e come interferiscono i volontari che lavorano per lo Stato.

E sì, la collisione con la realtà dei simulacri, fatta di bugie totali, sarà molto terribile e molto sanguinosa.

Nei commenti a questo servizio di KDZ sul canale di Rodriguez, una persona ingenua si lamenta:

Onestamente, non capisco gli ufficiali delle unità in guerra che creano bei rapporti per compiacere i vertici. Cosa rischiate se non la vostra vita? Qualcosa con la carriera non funzionerà? Avete un atteggiamento infantile nei confronti dei problemi. Al contrario, dovete andare il più possibile al sodo e pretendere ciò che vi spetta. Non è tempo di pace.

In generale, l’uomo ha ragione. In fondo siamo russi, non abbiamo bisogno di vivere. Bene, hai causato il disappunto dei tuoi superiori, bene, sei stato mandato in un battaglione penale (per il travestimento chiamato “Tempesta Z”, dove tutti i koseporov e gli zaletchikov sono indicati e dove i prigionieri sono mandati a combattere), bene, sei morto al prossimo “assalto di carne”. Cosa non ti piace? Non sei russo, ragazzo? Apri l’Enciclopedia della vita russa di Pushkin. L’ho aperta al capitolo 4, prima strofa.

Dove i giorni sono nuvolosi e brevi, nasce una tribù che non ha dolore nel morire.

Petrarca

Perché cazzo non vuoi andare in paradiso, ragazzo? Se non hai vissuto riccamente, non dovresti nemmeno cominciare. Saggezza popolare. Non è il Dipartimento di Stato che ti piscia nelle orecchie.

Vi svelo il segreto della motivazione degli ufficiali di combattimento, che devono sopportare le bugie dei capi. Non è che abbiano “paura di essere presi nella tempesta Z”. È che l’ufficiale ha dei subordinati. I suoi uomini. Persone che ogni giorno e ogni ora rischiano la vita sotto il suo comando, che gli affidano la loro vita. E lui cerca di tenerli al sicuro. Cioè, a volte non li risparmia affatto, pretende di scavare trincee più profonde e di dormire meno la notte, di organizzare postazioni appaiate invece che singole, ma è così che li risparmia. E cerca di capire come combattere per perdere meno uomini. E si rende conto che al suo posto, quando lo metteranno in un’unità di punizione, manderanno qualche stronzo inesperto che li abbatterà sul posto, o uno stronzo in carriera che si farà una stella sulle ossa dei suoi uomini. Per questo accetta, quando è inevitabile, le bugie del superiore sulla situazione al superiore ancora più grande, e porta la realtà alla gente per bocca dei volontari, ai quali si rivolge per chiedere aiuto.

Allo stesso tempo, quando si tratta direttamente dei suoi soldati, delle loro vite e dei loro destini, si alza in piedi e non si lascia smuovere.

Mi permetto un piccolo esempio dalla vita del nostro leggendario combattente, il defunto Alexei Gennadyevich Markov, nome di battaglia “Dobryy”. Un esempio dai tempi degli “accordi di Minsk due volte alternativi”, quando si arrivò davvero, senza scherzi, ad incriminare i soldati e i comandanti della Milizia Popolare che sparavano contro gli ucraini durante il cessate il fuoco, e i “consiglieri” inviati dalla Russia urlavano alle riunioni del consiglio: “So tutto! Siete i primi a sparare! Ho un compagno di studi dall’altra parte, non mi mentirà!!!”. (Come si capisce, a volte c’erano persone che chiedevano tranquillamente dalle ultime file al proprietario di un mutuo militare e ad altri pacchetti sociali delle Forze Armate della RF se volesse andare a prestare servizio con un compagno di studi. Ma non stiamo parlando di un episodio del genere, “Dobry” per lo più sopravviveva a tali passaggi di “non costume” stoicamente, senza commentare).

Quindi il caso era questo. Chiamano “Buono” dal quartier generale dell’Arma.
– C’è stata una sparatoria lì qualche tempo fa, si lamentano gli ucraini. Datemi, – dicono, – uno o due nomi di combattenti per le indagini.
“Ah, quindi i nostri sono stati colpiti e gli Ukrops ora saranno un po’ più tranquilli. È una buona cosa!”. – “Bene” pensa tra sé e sé e risponde:
– Mi dispiace, non ve lo permetterò. Non vi darò i miei uomini “sotto inchiesta”!
– Bene, dateli a me, – piagnucolano dal Corpo, – vi rendete conto che tutte queste indagini sono una stronzata e non succederà nulla. Vi daranno un’ammonizione, o qualcos’altro. Forza, dettate.
– Ok, – dice il comandante, ben consapevole di come questa “stronzata” possa effettivamente finire per il soldato o l’ufficiale che ha “fatto la spia”. – Scrivi. Il tal giorno alla tal ora, in flagrante violazione dell’ordine di cessate il fuoco, il tenente colonnello Markov A.G. ha sparato tre colpi da un lanciagranate anticarro SPG-9 dalla posizione tal dei tali verso il nemico, dopo di che ha sparato 29 colpi da un lanciagranate automatico AGS-17, dopo di che si è spostato alla posizione del mortaio….
[brevi segnali acustici]

Per l’ennesima volta ripeto che i volontari che sono entrati in questa situazione dopo l’inizio della SWO, che il pubblico, che ha scoperto questo lato della vita allo stesso tempo, molto, molto, molto manca di esperienza di lavoro militare-volontario nel Donbass nel 2015-2022. Quelli, per esempio, che erano a Debala, secondo i rapporti della netcentrica presi in tre giorni (in realtà – tre settimane di sanguinoso tritacarne mediocre), non ridono o si meravigliano di questo circo.

“Alcuni fanno il loro lavoro con un pugnale nella schiena, altri svengono dopo aver calpestato un chiodo. Così è la vita” (c) V.V. Kamsha “Winter Rift. Volume 1: Dalle profondità” (serie “Riflessi di Aeternus”)

Андрей Морозов “Мурз” комментирует ситуацию с КДЗ для танков :

Вот вам прекрасная иллюстрация того, чему и кому мешают волонтёры (здесь и здесь).

История полностью выглядит так.

Часть 1. Вторая половина 2022 года.

С хранения поднимается и поставляется в войска большое количество танков старых, ранних, серий моделей Т-72, Т-64 и Т-80. Стояли они на хранении “до последнего” именно по причине того, что ранние серии. “Кому нужно это старьё?”

Часть 2. Тогда же.

Пока общественности показывают бравурные репортажи о том, как массово поднимаемые с хранения ещё более старые танки Т-62 выезжают с заводов все “с ног до головы” обваренные контейнерами динамической защиты, КДЗ, множество танков Т-72, Т-64 и Т-80 ранних серий едут с хранения прямо на фронт. Мало того что в прискорбном тех.состоянии, от которого начинает выть даже такой адепт секты “У армии всё есть” как Шурыгин. КДЗ на них не ставят, то есть в бою эти танки бессильны не только против “Джавелинов” или NLAW, но и против обычных боеприпасов современных противотанковых гранатомётов, от которых эта динамическая защита должна защищать.

Часть 3. Зима, 2022-2023 годов.

В войсках пытаются добыть контейнеры динамической защиты у служб снабжения. Штатным, что называется, образом, получить необходимое. Выясняется, что сами пластины динамической защиты, которые ставятся в контейнеры, в наличии есть. Логика их наличия проста – даже если пластины просто хранятся на складах и никогда не ставятся в контейнеры на танки (а в мирное время их там нет, потому что пластины – это пластит, пластифицированный гексоген, взрывчатка, которую, после установки в КДЗ от “стырить и продать” отделяют только два не ополомбированных болта, на которые закреплён контейнер), каждые 10 лет у этих пластин выходит срок годности, пластит теряет необходимые для правильной работы свойства, и их надо менять даже на складах. По контейнерам же предполагается что как поставили – так они на танке на всю его жизнь. То, что в боях танк может терять контейнеры при попаданиях, причём много, не предусмотрено. В общем, осмысленность пребывания в войсках старой, но всё ещё отнюдь не дешёвой и , главное, позарез нужной войскам, техники упирается в отсутствие железных коробочек, которые крепятся на танках на привариваемые резьбовые шпильки. Не было ли контейнеров изначально вообще (что сомнительно) или их было мало, и они кончились, или их все или большую часть сдали на металлолом до СВО – науке неизвестно. Контейнеры войска получить не могут, таки или просто не идут в бой, или идут и гибнут ни за хрен собачий.

Часть 4. Зима-весна 2023 года.

Товарищ Родригес, занимающийся помощью защитникам Донбасса с 2014-го года, выслушав эту историю от танкистов, взваливает на себя ещё и запуск у себя под Калугой производство контейнеров динамической защиты “Контакт-1”. Для каждого танка таких контейнеров надо до 300 штук. Производство стартует, начинается поштучное “одевание” танков.

Часть 5. Весна-лето 2023 года.

Как и в случае со многими другими нуждами фронта, история с изготовлением контейнеров динамической защиты оказывается подхвачена народом, который желает своей армии Победы и готов помогать всем, чем может. Различные работающие с металлом производства и волонтёрские группы начинают производство КДЗ “Контакт-1”.
В попытке разобраться с этой ситуацией на государственном, так сказать, уровне, Родригес добивается отправки депутатского запроса по данному вопросу к российскому военному руководству (см. вот эту ссылку в начале поста).

Лето 2023 года, начало августа. ФИНАЛ. (см. вот эту ссылку в начале поста.)

В войска от армейского руководства срочно приходит директива “Срочно прислать официальные справки о том, что всё есть, танки всем обеспечены, никаких “лысых” нет”. И начинаются санкции против тех военных, которые обратились за помощью к волонтёрам.

Всё в порядке. Отправленная наверх справка о том, что на “лысом” танке есть КДЗ, защитит танкистов от вражеских гранатомётов и ПТУРов.

Сказать, что это – конченое блядство, творимое в угоду сохранению группой носителей погон оных погон?

Сказать, что за это мало просто расстреливать и надо расстреливать так, чтобы мало никому не показалось?

Ну да, ну да. А толку всё это говорить? Родригес вон просто пожал плечами после немного предсказуемого итога “депутатского запроса” и пошёл дальше организовывать КДЗ танкистам.

Собственно, вот вам меганаглядная иллюстрация того, кому и как именно мешают волонтёры, делающие работу за государство.

И да, столкновение с реальностью симулякров, состоящих из тотальной лжи, оно будет очень страшным и очень кровавым.

В комментариях к этой истории с КДЗ на канале у Родригеса наивный человек сокрушается:

Вот честное слово, не понимаю офицеров из воюющих подразделений, которые лепят красивые доклады, чтобы наверху понравилось. Чем вы рискуете кроме жизни? Что то с карьерой не сложится? Какое то инфантильное отношение к проблемам. Наоборот, нужно максимально лезть в залупу и требовать свое. Чай, не мирное время…

В общем, человек типа прав. Мы ж всё-таки русские люди, нам жить не надо. Ну, вызвал ты неудовольствие начальства, ну отправили тебя в штрафбат (для маскировки называемый “Шторм Z”, куда ссылаются все косепоры и залётчики и куда пригоняют воевать зэков), ну умер ты на очередном “мясном штурме”. Что тебе не нравится? Ты што, мальчик, не русский? А ну-ка Пушкена открыл, энциклопедию русской жизни, на. Открыл на главе 4-й строфе 1-й.

Там, где дни облачны и кратки, родится племя, которому умирать не больно.

Петрарка

Ну и хули тебе, мальчик, в рай-то не охота? Не жили богато, нехер и начинать. Народная мудрость. Не Госдеп в уши нассал.

Раскрываю тайну мотивации боевых офицеров, которые вынуждены смиряться с начальственным враньём. Дело здесь не в том, что им “страшно попасть в “Шторм Z”. Дело в том, что у офицера есть подчинённые. Его люди. Люди, ежедневно и ежечасно рискующие жизнью под его командованием, доверяющие ему свою жизнь. И он старается их беречь. То есть иногда он их совершенно не жалеет, требует копать окопы глубже, а ночью спать меньше, выставляя парные посты вместо одиночных, но этим он их и бережёт. И пытается придумывать как воевать так, чтобы терять поменьше людей. И он понимает. что на его место, когда его засунут в штрафбат, пришлют какого-нибудь долбоёба неопытного, который их положит на ровном месте, или еблана-карьериста, который на костях его людей сделает себе звёздочку. И поэтому он смиряется, когда это неизбежно, с начальственным враньём о ситуации в адрес ещё большего начальства, а реалии доносит до народа устами волонтёров, к которым обращается за помощью.

При этом, когда дело касается его солдат, их жизней и судеб напрямую, он встаёт горой и хер сдвинешь.

Позволю себе небольшой пример из жизни легендарного нашего комбата покойного Алексея Геннадьевича Маркова, позывной “Добрый”. Пример времён “Дважды безальтернативных Минских соглашений”, когда дело реально, без шуток, доходило до уголовок на солдат и командиров Народной Милиции, открывавших ответный огонь по украм во время перемирия, и присланные из России “советники” орали на совещухах: “Я всё знаю! Вы первые стреляете! У меня на той стороне сокурсник по училищу служит, он мне врать не будет!!!” (Как вы понимаете, иногда находились люди, тихонько спрашивавшие с задних рядов у обладателя военной ипотеки и прочего соцпакета ВС РФ, не хочет ли он пойти послужить к сокурснику. Но речь не о подобном эпизоде, “Добрый” такие пассажи “нерастаможенных” в основном переживал стоически, в слух не комментируя.)

Так вот какой был случай. Звонят на штаб “Доброму” со штаба Корпуса.
– У тебя там давеча стрельба была, укропы нажаловались. Дай, – говорят, – одну-две фамилии бойцов для расследования.
“Ага, значит наши попали и укропы теперь немного потише будут. Это хорошо!” – думает про себя “Добрый” и отвечает:
– Извините, не дам. Я своих людей вам “сдавать под расследование” не буду!
– Ну дай, – канючат с Корпуса, – ты же понимаешь, что это всё херня все эти расследования и ничего не будет. Ну выговор влепят, ну ещё что-то. Давай, диктуй.
– Хорошо, – говорит комбат, прекрасно понимая, чем может эта “херня” на самом деле закончиться для бойца или офицера, которого он “сдаст”. – Записывай. Такого-то числа в такое-то время, грубо нарушив распоряжение о прекращении огня, подполковник Марков А.Г. произвёл с позиции такой-то в сторону противника три выстрела из станкового противотанкового гранатомёта СПГ-9, после чего произвёл 29 выстрелов из автоматического гранатомёта АГС-17, после чего, перейдя на позицию миномётчиков…
[короткие гудки в трубке]

В который раз повторюсь – что волонтёрам, которые впряглись в эту лямку после начала СВО, что публике, которая открыла для себя эту сторону жизни в то же самое время, очень, очень, очень не хватает опыта военно-волонтёрской работы на Донбассе в 2015-2022 гг. Те же, например, кто был в Дебале, по отчётам сетецентрически взятой за три дня (в реальности – три недели кровавой бездарной мясорубки), в этом цирке не смеются и не удивляются.

“Одни делают свое дело с кинжалом в спине, другие падают в обморок, наступив на гвоздь. Такова жизнь” (с) В.В. Камша “Зимний излом. Том 1. Из глубин” (серия “Отблески Этерны”)

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?_da Minurne ….il piatto vuoto di Meloni_di Elena Basile

Il colpo di stato in Niger è stato accolto in Europa, in Francia in particolare, con un senso di frustrazione e smarrimento dalle élites dominanti e con un anelito liberatorio di emancipazione dal giogo occidentale da parte degli ambienti di opposizione “sovranista” e “terzomondista”. Ancora una volta il riflesso condizionato di cui sono schiave le élites dominanti, ormai però sempre più arroccate, ha tentato di racchiudere l’evento nello schema fuorviante e strumentale della contrapposizione democrazie/dittature totalitarie. Segno che si vuole rimuovere ancora una volta il fatto che l’introduzione dei regimi democratico-liberali, laddove innestati, in un contesto sociale di natura tribale e clanica, non fa che riprodurre con la forza dei numeri il predominio discriminatorio di clan particolari sugli altri su base tribale. E’ il miraggio che ha ingannato in gran parte a suo tempo le nuove classi dirigenti africane a fine secolo sino a farle ricadere paradossalmente nelle logiche tribali. Segno che si continua, nel mondo occidentale, a glissare per interesse ed ottusità sul fatto che la costruzione di una forma statuale moderna in Africa, rappresentativa della composizione sociale, non può prescindere al contrario da un accordo tra queste componenti e dalla iniziativa di gruppi dirigenti e amministrativi, in primo luogo l’esercito, sul quale costruire un minimo di coesione nazionale. E’ quanto è riuscito a comporre a suo tempo con relativo successo Gheddafi, non ha caso brutalmente e tragicamente estromesso dalla coalizione occidentale nel 2011. Quello, però, è stato solo l’episodio più tragico e dirompente di una politica tuttora perseguita in quel continente dai paesi occidentali, compresa la Francia nell’area francofona. I colpi di stato in Mali, Burkina Faso e, ultimamente, in Niger rappresentano soprattutto una reazione a queste politiche, resa possibile dalla presenza nel continente di numerosi nuovi attori geopolitici in aperta competizione con i tradizionali colonizzatori francesi, inglesi e, in forme diverse, statunitensi; tra di essi senza dubbio la Cina e la Russia, ma anche l’India, la Turchia, Israele e i paesi del Golfo Persico. La presenza russa e cinese, in particolare, poggia su fondamenti politici diversi da quelli occidentali, basati pragmaticamente sull’accettazione dello stato di fatto degli equilibri politici nei paesi africani. Un principio che ha comunque prodotto pesanti attriti in quelle aree, specie con la Cina, nella fattispecie sulla gestione del debito, sullo sfruttamento dei terreni agricoli e sulle modalità di costruzione delle infrastrutture civili; attriti, però, al momento gestibili rispetto al livore suscitato dal retaggio coloniale e neocoloniale dei paesi occidentali. Attriti che le due potenze emergenti sono riuscite sinora a gestire e spesso a risolvere. Sono tutti i paesi occidentali a subire al contrario le pesanti conseguenze di questo anelito emancipatorio; soprattutto, però, la Francia. Se i suoi avversari e nemici dichiarati si sono esposti ormai alla luce del sole in queste dinamiche, non va sottovalutato l’atteggiamento sornione e subdolo degli Stati Uniti, desiderosi di stringere la morsa ed annichilire ogni futura velleità di autonomia dei propri alleati, specie in una prospettiva di confronto multipolare o bipolare. Il Niger ospita la principale base statunitense in Africa e, al momento, gli strali più duri della nuova giunta sono indirizzati alla Francia.

La brama di emancipazione e sviluppo tra i paesi africani è comunque indubbia, come pure l’esigenza di stabilizzazione dei regimi e delle società. Trova alimento ed occasioni nella presenza competitiva di numerose potenze emergenti impegnate ed interessate al continente. Può contare sul diverso approccio offerto da queste rispetto al tradizionale impegno occidentale. Sia la Cina che la Russia puntano piuttosto alla accettazione della situazione interna a quei paesi che ad una azione destabilizzatrice. Influisce certamente la tradizione diplomatica e il retroterra culturale di quei paesi, diversi da quelli occidentali a matrice anglosassone e transalpina. Il protrarsi di questa linea di condotta nel futuro prossimo, più che dal bagaglio culturale e dalla tradizione diplomatica, dipenderà dalle dinamiche geopolitiche interne a quel continente, dall’atteggiamento del mondo occidentale e, principalmente, dalla capacità di conduzione di linee politiche autonome ed indipendenti delle élites locali africane.

Queste hanno visto nell’andamento del conflitto ucraino, nella capacità russa di fronteggiare sul campo la NATO e gli Stati Uniti, nell’alternativa economica, ma sempre più politica, della Cina l’esempio di azione e la possibilità di aprire varchi anche con toni insolenti e spavaldi.

I paesi africani hanno già conosciuto questo potente anelito; ma al successo militare contro le potenze coloniali, non ha fatto seguito nella maggior parte dei casi il conseguimento di una effettiva indipendenza politica ed economica e la costruzione di regimi statuali solidi.

Una eccessiva baldanza ed una eccessiva fiducia verso gli agenti esterni, piuttosto che sulle proprie capacità di ricomposizione e di sviluppo rischia di farli ricadere nello stesso errore e ridiventare terreno di contesa di forze esterne.

Al momento sono i paesi occidentali a guida americana ed alcuni paesi arabi a riproporre in Africa politiche di istigazione alla frammentazione e conflittualità clanica e tribale, gli uni sotto la maschera del diritto individuale, gli altri dell’adesione confessionale. E’ giusto, quindi, che siano il bersaglio principale degli strali. Han voglia, anche alcuni ambienti critici francesi, come sottolineato nel secondo articolo, a lamentare l’ingratitudine degli africani ai servigi offerti dalla Francia. Il poco che le élites francesi hanno saputo offrire alle colonie non è stato un atto di generosità e, soprattutto, è venuto meno con la concentrazione degli investimenti e degli interessi economici occidentali verso la Cina, la quale ha saputo par altro farne ottimo uso. Esattamente la stessa dinamica realizzata dagli Stati Uniti con il Messico e l’intero Sud-America.

Il futuro dei paesi africani, delle Afriche, la loro emancipazione dipende dalla capacità di individuare e praticare i propri interessi e le proprie possibilità di sviluppo in un quadro di coesione sociale praticabile, di una politica demografica assennata e di impostare su di essi le indispensabili relazioni internazionali.

L’Italia avrebbe, in realtà, ancora delle carte residue da giocare sull’onda del credito accumulato negli anni ’60/’70 nel Mediterraneo esteso e nel Nord-Africa. Le sue attuali élites, si fa per dire, e l’attuale Governo Meloni, in buona sintonia con i precedenti, avrebbero alternative concrete da seguire. Lo aveva messo sul piatto Trump a suo tempo, lo ha dimostrato sul campo la Turchia di Erdogan.

Giorgia Meloni ha scelto di spendere questo credito residuo come cortina fumogena di disegni altri e in qualità di mosca cocchiera delle strategie avventuriste e guerrafondaie dei neocon-progressisti statunitensi e dei lirici europeisti al seguito.

Il “piano Mattei” di suo conio è un insulto alla memoria di quella figura. Rappresenta l’icona dietro la quale un intero paese sarà trascinato volente o nolente in questo scacchiere. Lo abbiamo ribadito più volte e in tempi non sospetti. Con quale modalità, per fare cosa, con quali conseguenze saranno gli altri a deciderlo; a meno di improbabili sussulti o eventi catastrofici, a questo punto auspicabili, nella “terra madre”.

Nel frattempo il Senato della Nigeria ha respinto l’opzione militare contro il Niger. La posizione non è ancora ben definita, ma è evidente che se vorranno intervenire, dovranno farlo probabilmente senza maschere.  Gli Stati Uniti hanno inviato in Benin già tre giganteschi C17 carichi di materiale e truppe; hanno chiesto già conto al Presidente nigeriano, favorevole all’intervento, dei ritardi organizzativi dell’operazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?
Macron non si è accorto di nulla con il Niger o, come al solito, ha chiuso un occhio?

Editoriale di Gilles La-Carbona: Segretario nazionale del RPF

La repentinità dell’evento potrebbe indurre a pensare che si tratti della prima ipotesi, ma ancora una volta l’evidenza è ingannevole. In realtà, ciò che sta accadendo in Niger è semplicemente la logica prosecuzione di un processo sostenuto da anni da una politica estera deplorevole, ma accelerato dallo stesso Macron e dalla sua arroganza, costante fonte di disastri diplomatici.

Éléments magazine – Bernard Lugan: “La Françafrique è una leggenda!

Il Niger non si è trasformato in un colpo solo, conquistando tutti i presenti al Quai d’Orsay. Il 21 marzo 2023, Bernard Lugan, specialista dell’Africa, aveva previsto a casa di Bercoff quello che è appena successo, e allora perché non gli avete dato retta? Semplicemente perché va controcorrente rispetto alla doxa di Macron. Come spiega molto chiaramente, “se i nostri attuali funzionari, che sono specialisti, facessero più etnografia invece che ideologia, e se leggessero autori antichi, la Francia eviterebbe di commettere errori”. Ma Macron non apprezza le competenze e non si circonda né di intelligenza né di conoscenza.

Il suo tour in Africa è stato un fiasco, come tutto quello che fa, e anche in questo caso i media bugiardi e sovvenzionati lo hanno coperto, preferendo tenere la verità per sé ed evitare analisi approfondite, per non dover dare l’allarme. Sempre per compiacere, per conservare il denaro pubblico che li sostiene, a spese della realtà. Le menzogne sono ovunque e la verità non si trova da nessuna parte, a meno che non venga bollata come tale da queste agenzie statali. L’Africa vuole emanciparsi, ma rimane impantanata nei suoi problemi economici, etnici e religiosi, nella corruzione e nella dipendenza permanente dalla tecnologia e dagli aiuti occidentali. I cinesi e i russi stanno cercando di sostituire i francesi e gli americani sul campo. Tutto questo fa parte di una schizofrenia che vorrebbe che i francesi abbandonassero l’Africa, mentre molti giovani africani sognano di venire in Europa e in particolare in Francia.

Il recente colpo di Stato in Niger potrebbe essere il primo domino a infrangere le illusioni di potere che persistono, soprattutto per la Francia. La decisione di vietare l’esportazione di uranio e oro in Francia dovrebbe essere un test, perché Macron avrà solo due opzioni: ritirarsi in silenzio e rimpatriare i 1.500 soldati, oppure intervenire. Lui, che sogna la guerra, opterà per la seconda, ma a quale scopo? Burkina Faso, Mali e Mauritania hanno già avvertito che entreranno in guerra a fianco del Niger per difendere i suoi interessi in caso di tentativo di intervento armato straniero. Data la nostra forza militare, non abbiamo più riserve di munizioni, poco equipaggiamento perché destinato all’Ucraina, e le nostre capacità di trasporto e di rifornimento delle truppe sono ridotte al minimo, dato che affittiamo aerei cargo dalla Russia per le nostre proiezioni. I nostri 1.500 soldati faranno fatica a sostenere un conflitto che coinvolge quattro Paesi, magari appoggiati da aziende private. E non dimentichiamo che un altro dei nostri fornitori di uranio è la Russia.

Il resto del mondo si sta svegliando di fronte all’arretramento senza precedenti dell’Occidente, che non è più in grado di imporre altro che vincoli e prepotenze infinite alla propria popolazione. Un fallimento militare in Niger sarebbe una doccia fredda per Macron, oltre che un vestito adatto a lui.

Relazioni Africa-Francia: perché la Francia deve affrontare tanta rabbia in Africa occidentale – BBC News Afrique

La Francia viene espulsa ovunque in Africa e dietro questo rifiuto c’è tutta l’Europa. La domanda è: come si è arrivati a questo? Ripetendo che possiamo essere forti solo in alleanza con altri, abbiamo perso la nostra sovranità e il nostro potere. La formula era valida solo finché la coalizione europea rappresentava qualcosa di serio, una paura reale. Ma la guerra in Ucraina ha rivelato le debolezze della NATO. Circa 50 Paesi non sono riusciti a far indietreggiare la Russia, immaginate se fossimo stati da soli. La Francia non poteva più essere soddisfatta di se stessa, non era nulla secondo le nostre politiche, e doveva fondersi in tutta una serie di organizzazioni favolose senza le quali non potevamo esistere. Questo discorso disfattista conteneva i semi della decadenza. I media lo hanno propagato con forza. Il risultato è lì, non ancora accettato dai nostri cacicchi, ma la realtà dovrebbe aprire loro gli occhi. Coloro che in Francia si ostinano a pensare che dobbiamo dipendere dagli altri per far sentire la nostra voce o per sopravvivere, si sbagliano e ripetono inconsciamente la stanca formula di dire che se le cose andavano male in Francia era perché avevamo bisogno di più Europa. Ora dipendiamo totalmente dalla Commissione europea e nulla va per il verso giusto.

La realtà, tuttavia, è che non possiamo perseguire grandi disegni portando avanti le politiche che conosciamo bene, distogliendo le nostre entrate dalle missioni essenziali. Le nostre risorse sono tutte concentrate sul mantenimento di uno Stato obeso ma in crisi, che sperpera denaro in controsocietà di periferia, in coperture sociali malversate, in molteplici sussidi a organizzazioni con missioni e risultati oscuri e in pessimi piani industriali, che non sono altro che trasferimenti mascherati di denaro pubblico a interessi privati.

L’RPF è favorevole a un vero e proprio audit delle finanze pubbliche. È stato stimato che quasi 40 miliardi di euro sono stati spesi per agenzie fasulle che ingrassano gli amici dei politici e non aggiungono alcun valore. Se a questo si aggiungono i milioni regalati alla stampa, i miliardi persi per sostenere la pletora di dipendenti pubblici europei, l’evasione fiscale per oltre 150 miliardi, le frodi sociali per diverse decine di miliardi, i regali di Macron all’Ucraina e ai vari Paesi che ha visitato, i miliardi generosamente elargiti alle società di consulenza, si ottiene una somma sufficientemente grande per riorientare il bilancio dello Stato e smettere di pensare che la Francia sia solo un piccolo Paese che non riesce a farcela da solo. La Svizzera lo fa bene. Questi temi potrebbero essere ripresi dalle opposizioni, che però sembrano più interessate a vietare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la retorica sul cambiamento climatico o la tassazione degli alloggi ammobiliati per le vacanze, che ad affrontare i problemi reali.

Gilles La-Carbona

2/8/2023

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L’AFRICA IN EBOLLIZIONE (Patrick Becquerelle)
Da diversi anni siamo spettatori di conflitti sia nel nostro Paese che all’estero. La Francia sembra essere nel mirino di diversi Paesi africani. Ecco una riflessione di Patrick Becquerelle basata sulla rivolta nigerina.

Françafrique
Questo continente ricco di materie prime è costantemente dilaniato.
Gli africani rimproverano agli occidentali, soprattutto ai francesi, il loro colonialismo.
Il Mali, il Maghreb e ora il Niger, insieme a molti altri, ci odiano.
Eppure tutti questi popoli si dirigono a flusso continuo verso una Francia “egemonica”.
Ma come è possibile che questo continente dalle innumerevoli risorse sia ancora così
in tale disordine?
C’è da chiederselo quando si vede il numero di africani che vengono a studiare soprattutto in Francia e non tornano mai in patria per trasmettere le conoscenze acquisite ai loro paesi.
Medici, avvocati, scienziati, ingegneri, funzionari pubblici, soldati, ecc.
Oggi si alternano per estrometterci con odio dai loro Paesi.
Eppure la Francia ha permesso loro un certo grado di autonomia, fornendo loro ottime infrastrutture e formando dirigenti che purtroppo non hanno alcuna voglia di costruire una bella Africa.
Non perderebbero il loro patriottismo venendo in Francia?
Perché non lottano per sviluppare il loro Paese?
Noi diamo loro i mezzi per farlo.
In segno di gratitudine, preferiscono trasporre il loro spirito guerriero, l’odio per i francesi e il bellicoso comunitarismo, grazie alla vigliaccheria dei nostri politici.
Ancora una volta, l’Africa sarà il bersaglio della barzelletta, ma la colpa sarà solo sua.
Avrà solo se stessa da incolpare
2 attori/predatori stanno arrivando nel loro continente
-la Russia, con i suoi mercenari wagneriani
-la Cina, con le sue notevoli risorse, soprattutto in termini di potenziale umano.
La tanto criticata egemonia francese impallidisce di fronte a questi due giganti, il cui appetito sarà difficile da contenere il loro appetito bellicoso.
Ancora una volta si dirigono verso la colonizzazione, ma questa volta è più invasiva e priva di qualsiasi democrazia.
La Francia deve, con i mezzi diplomatici e mediatici a sua disposizione, far capire loro che questi due Stati non hanno posto nel mondo. Hanno un solo obiettivo, quello di appropriarsi delle loro ricchezze perché non hanno un contrappeso democratico.
Non rispetteranno né i loro costumi né le loro religioni e non tollereranno alcuna immigrazione nei loro territori.
Dobbiamo ricordare loro questo:
-che le loro scelte avranno gravi conseguenze diplomatiche, finanziarie e migratorie.
-Che molti soldati francesi hanno dato la vita per proteggerli e che non è stato solo per loro stessi e che non è stato solo per il proprio bene.
-Che è un’adulta e che dovrà fare le sue scelte!

Patrick Becquerelle

6/8/2023

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PIANO MATTEI, SOVRANISTI FINTI E ALTRE PRESE IN GIRO, di Elena Basile

La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/08/02/piano-mattei-sovranisti-finti-e-altre-prese-in-giro/7249290/

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Russia Ucraina, il conflitto 42a puntata La complessità del conflitto Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il conflitto sta sempre più assumendo quelle caratteristiche di una guerra di logoramento ed annichilimento che l’esplicita indicazione delle condizioni russe di un accordo lasciava presagire. Sempre più è l’intero territorio ucraino ad essere coinvolto; sempre più probabile che dal conflitto ne uscirà uno stato ridimensionato nei suoi confini e prostrato nelle sue condizioni. Un regime orai sempre più ostaggio dei propri mentori e delle proprie ambizioni scioviniste del tutto disconnesse dalle sue reali capacità operative autonome. Il conflitto ucraino sta svelando al mondo che la NATO a guida statunitense non è invincibile, anche in campo aperto. Una perdita di autorevolezza che muoverà vorticosamente le attuali dinamiche geopolitiche. Giuseppe Germinario il sito www.italiaeilmondo.com ha aperto un canale telegram con una ampia disponibilità di filmati oltre ai consueti articoli ed interviste https://t.me/italiaeilmondo

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La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni dei BRICS, di ANDREW KORYBKO

La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni dei BRICS

ANDREW KORYBKO
3 AGO 2023
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È sempre stato irrealistico immaginare che i BRICS siano un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente e che quindi stanno complottando per rovesciare il dominio del dollaro nel prossimo futuro, come sostengono alcuni dei principali influencer della comunità Alt-Media.

Molti esponenti della comunità Alt-Media (AMC) sono stati fuorviati da alcuni influencer di spicco e hanno immaginato che i BRICS siano qualcosa che non sono. In particolare, pensano che si tratti di un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente, motivo per cui starebbero complottando per dare il colpo di grazia al dollaro in un futuro molto prossimo. Chi condivide osservazioni “politicamente scomode” come quelle contenute nelle analisi che seguono, di solito viene attaccato dall’AMC:

* “Le aspettative popolari sul nuovo progetto valutario dei BRICS dovrebbero essere mitigate”.

* “Il Sudafrica ha dimostrato che il BRICS non è quello che molti dei suoi sostenitori supponevano”.

* “I media alternativi sono sotto shock dopo che la Banca dei BRICS ha confermato di essere conforme alle sanzioni occidentali”.

* Spiegare le differenze tra Cina e India sull’espansione dei BRICS”.

La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni sui BRICS in vista del vertice di questo mese, screditando così la narrazione dei principali influencer dell’AMC. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha recentemente confermato che esistono divergenze tra i suoi membri sull’espansione formale del gruppo, che la Russia è riluttante a condividere pubblicamente la sua posizione ufficiale su questo argomento delicato e che non c’è alcuna possibilità che i BRICS svelino una nuova valuta a breve. Ecco i resoconti della TASS su ciascun punto:

* “‘Esistono sfumature’ tra i membri dei BRICS riguardo alla potenziale espansione del gruppo – Cremlino”.

* “La Russia non si affretterà ad annunciare la sua posizione sull’espansione dei BRICS – Cremlino”.

* “La moneta comune dei BRICS è difficilmente realizzabile in tempi brevi – Cremlino”.

Estrapolandoli nell’ordine in cui sono stati condivisi:

* I BRICS sono effettivamente divisi tra coloro che vogliono cogliere il momento storico espandendo il blocco il più possibile da subito e coloro che ritengono che un ritmo più lento sia più allineato con i loro interessi comuni;

* la Russia sembra essere più favorevole al secondo approccio, altrimenti non si lascerebbe sfuggire l’opportunità di segnare punti politici nei confronti dell’Occidente, pubblicizzando l’espansione dei BRICS per preparare l’opinione pubblica globale a una presunta imminente nuova era di affari geoeconomici;

* e le naturali differenze del blocco tra i suoi diversi membri rendono estremamente improbabile che tutti accettino presto di cedere parte della loro sovranità economica promuovendo attivamente una nuova moneta a scapito delle rispettive valute nazionali.

Nulla di tutto ciò è sorprendente o il risultato dell’influenza occidentale, ma era del tutto prevedibile a causa delle dinamiche interne al gruppo BRICS e delle relazioni dei suoi membri con l’Occidente, che gli osservatori oggettivi comprendono bene ma di cui l’AMC è stata in gran parte all’oscuro, dal momento che alcuni influencer di primo piano hanno distorto e talvolta omesso i fatti relativi per promuovere la loro agenda. Ci sono sempre stati argomenti legittimi a favore e contro la rapida espansione di questo blocco e il ritmo con cui accelera i processi di multipolarità finanziaria.

Ad esempio, un’espansione troppo rapida rischia di indebolire il BRICS, poiché diventerà più difficile raggiungere il consenso, ma non sfruttare l’interesse di altri Paesi a partecipare alle sue attività rischia di sprecare questo momento storico, ergo la necessità di un compromesso come BRICS+. Lo stesso si può dire del ritmo con cui il BRICS accelera i processi di multipolarità finanziaria, dato che tutti i suoi membri, a parte la Russia, sono in rapporti di complessa interdipendenza economico-finanziaria con l’Occidente.

Sulla base di questa osservazione, tutti i membri dei BRICS, pur avendo un interesse comune a diversificarsi dal dollaro e dalla loro sproporzionata dipendenza dal commercio e dagli investimenti occidentali, intendono procedere in modo diverso. Dare un colpo mortale al dollaro e rovinare l’economia occidentale danneggerebbe i loro interessi e, anche se alcuni potrebbero pensare che questo sarebbe comunque utile alla Russia, si sbagliano perché la destabilizzazione economico-finanziaria che ne deriverebbe per Cina e India non è a suo favore.

Di conseguenza, è sempre stato irrealistico immaginare che i BRICS siano un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente e che stiano quindi complottando per rovesciare il dominio del dollaro nel prossimo futuro, come sostengono alcuni dei principali influencer dell’AMC. L’unica ragione per cui questa falsa percezione è diventata virale è che il pubblico di riferimento non ne sapeva di più, dato che coloro di cui si fidavano hanno distorto e talvolta omesso i fatti relativi a questo fenomeno per promuovere la loro agenda.

Se non contrastate, le speranze irrealisticamente elevate che molti in tutto il mondo sono stati indotti a nutrire nei confronti dei BRICS li porteranno inevitabilmente a rimanere profondamente delusi dopo che il vertice del gruppo di questo mese non avrà soddisfatto le loro aspettative, rendendoli così suscettibili di suggerimenti ostili. Una massa critica di sostenitori del multipolarismo potrebbe quindi “disertare” dalle teorie cospirative del “piano scacchistico 5D” sui BRICS per abbracciare quelle “doom & gloom” (D&G) spinte dall’Occidente per demoralizzarli.

Col senno di poi, la Russia avrebbe dovuto gestire in modo proattivo le percezioni sui BRICS per evitare questo scenario con largo anticipo, ma stava dando priorità agli sforzi per proteggere la propria integrità di fronte all’attacco propagandistico senza precedenti dell’Occidente e non aveva abbastanza esperti a disposizione per farlo. Inoltre, fino a poco tempo fa non si era resa conto di quanto fossero imprecise le opinioni di molti sostenitori del multipolarismo su questo gruppo, ancora una volta per lo stesso motivo per cui ha esperti limitati e non può coprire tutto.

Questa intuizione spiega i tardivi tentativi della Russia di correggere queste false percezioni a sole tre settimane dal prossimo vertice. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi per impedire le “defezioni” di alcuni sostenitori del multipolarismo dal campo della cospirazione “5D chess” a quello “D&G”, come si può dire per l’arresto da parte della Russia, il mese scorso, del famigerato teorico della cospirazione “D&G” Igor Girkin, ma è meglio di niente e dimostra che il Cremlino è ora consapevole della minaccia posta ai suoi interessi di soft power da alcune teorie cospirative.

Quelle di Girkin sull’operazione speciale erano “non amichevoli”, mentre le teorie cospirazioniste dell’AMC sui BRICS sono “amichevoli”, ma entrambe manipolano la percezione dei sostenitori della Russia su questioni sensibili, portandoli a diventare sempre più lontani dalla realtà con il passare del tempo. C’è voluto un po’ di tempo, ma la Russia sta finalmente correggendo queste false percezioni e contrastando le teorie cospirative associate, e si spera che faccia tesoro di questo slancio per fare presto lo stesso anche su altre questioni sensibili.

I disaccordi espressi con rispetto e le critiche costruttive ben intenzionate dovrebbero essere sempre incoraggiate, ma distorcere e talvolta omettere i fatti per creare artificialmente una falsa percezione che favorisca un’agenda è inaccettabile e dovrebbe essere sempre contrastato. I principali influencer dell’AMC devono quindi decidere se svolgere il primo ruolo a sostegno degli interessi di soft power della Russia o continuare a svolgere il secondo, rimanendo così gli “utili idioti” dell’Occidente.

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L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO (appunti per una riflessione), di Luigi Longo

Riproponiamo un articolo di Luigi Longo già apparso nel 2017 sul sito, ma ancora attuale alla luce di quanto sta emergendo sulla politica delle infrastrutture portata avanti dal governo italiano. Giuseppe Germinario

L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO

(appunti per una riflessione)

di Luigi Longo

Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente: non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle

armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di comportamento americani penetrano, per il bene come per il male, tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente non appaia.

Raimondo Luraghi

In questo dopoguerra non si capisce più niente, questi americani hanno cambiato tutto […] questi americani ne combinano di tutti i colori.

Antonio de Curtis (Totò)

[…] non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre in abbondanza tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, vivono popoli la cui vita si svolge nella mitezza presso cui la coercizione e l’aggressione

sono sconosciute. Posso a stento crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri delle comunità. Io la ritengo una illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Ella stessa [ Einstein, mia precisazione] osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.[…] finché gli Stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri Stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra.

Sigmund Freud1

1.Una strategia d’attacco. Questo scritto vuole ragionare sul fatto che gli Stati Uniti d’America (USA) stanno sviluppando una strategia d’attacco per bloccare il loro declino di potenza mondiale egemonica e fermare il consolidamento di nuove potenze mondiali (Russia e Cina, in particolare). Così afferma Zbigniew Brzezinski “Nel sistema unipolare ereditato dagli Stati Uniti dopo la fine della guerra fredda, le decisioni prese a Washington determinavano  l’agenda internazionale, dopo 23 anni il contesto è cambiato e quel sistema oggi è giunto alla fine e non potrà più ristabilirsi per tutto il tempo che sarà destinato alla prossima generazione […] Nelle attuali condizioni nessuna delle superpotenze può ottenere l’egemonia mondiale, motivo per il quale gli USA devono scegliere meglio i conflitti ai quali partecipare, visto che le conseguenze di un errore potrebbero essere devastanti […] per gli Stati Uniti è arrivato il momento di comprendere che il mondo contemporaneo risulta molto più complicato ed anarchico di quanto lo fosse negli ultimi anni della guerra fredda, tanto che l’accentuazione dei nostri valori così come la convinzione della nostra eccezionalità  e l’universalismo, sono da considerare quanto meno prematuri da un punto di vista storico”.2

La strategia d’attacco è a tutto mondo3 con particolare riguardo alla Russia che è ancora la seconda potenza militare mondiale e detiene un buon arsenale militare (soprattutto nucleare) risultato della corsa agli armamenti dell’ex URSS, la potenza mondiale dell’altro ex campo del << socialismo irrealizzato>>.

L’Europa (senza distinguere l’Europa come regione geografica comunemente considerata un continente, dall’Unione europea che comprende 28 paesi membri, da quella dell’eurozona che è l’insieme di 18 stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro come valuta ufficiale) assume un ruolo fondante per le strategie americane di penetrazione nei territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est4.

L’Italia, in particolare, svolge una duplice funzione – verso i territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est – sia per quanto riguarda la sua posizione geografica e il suo territorio occupato da basi strategiche USA e USA-NATO5, sia per quanto concerne il suo ruolo di contrasto nell’Unione Europea6 per qualsiasi serio tentativo di costruzione di una minima politica di autonomia7. E’ bene ricordare che non esiste una Europa di nazioni fondate da popoli che si autodeterminano ma di fatto l’Europa si configura come uno spazio geografico incardinato sugli USA e i tatticismi di alleanze di fase, come potrebbe essere il tentativo della costruzione di un asse sostanzialmente geo-economico più che geo-politico tra Parigi-Berlino-Mosca8, lo stanno a dimostrare.

E’ a partire da questa riflessione che leggerò il processo di americanizzazione del territorio italiano ed europeo come l’elemento fondante e strategico della politica egemonica9 americana che pervade anche i territori delle ri-nascenti potenze mondiali, come per esempio la Cina che, per dirla con David Harvey,<< In qualche modo […] imita quello del secondo dopoguerra negli Stati uniti, in cui il sistema di autostrade interstatali, che ha integrato il nord e il sud, e lo sviluppo delle periferie hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere insieme l’occupazione e l’accumulazione capitalistica[…] Anche la strategia degli investimenti in Cina rischia di avviare un percorso parimenti creatore di diseguaglianza. Un treno ad alta velocità fra Shangai e Pechino serve alla comunità degli affari e alla borghesia medio-alta, ma non rappresenta un sistema di trasporto economico che possa riportare a casa per il capodanno cinese i lavoratori provenienti dalle campagne (e non solo, mia precisazione). Allo stesso modo, grattacieli a uso abitativo, comunità recintate, campi da golf per i ricchi e centri commerciali di lusso non aiutano certo a ricostituire una vita quotidiana dignitosa per le masse impoverite.>>10

Gli USA sono una nazione con un forte potere politico, economico, scientifico – tecnologico e culturale ( sono i “quattro settori decisivi del potere mondiale”); hanno l’egemonia in tutte le istituzioni mondiali (le agenzie della governance mondiale: FMI, Banca mondiale, WTO, Nato, eccetera)11; detengono una indiscutibile supremazia militare mondiale12 con la quale creano “desolazione e la chiamano pace”; posseggono una agguerrita e spregiudicata classe dirigente dominante ( gli agenti strategici) figlia di quel grande evento che fu la Guerra civile che << […] era stata un fenomeno importantissimo sì, ma non solo americano. La sua portata mondiale nacque dal fatto che essa fu la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea, il prodromo mal studiato e incompreso dei due conflitti mondiali in cui naufragò quel“ mondo di nazioni” la cui comparsa aveva segnato l’inizio dell’età moderna.>>13; nutrono la convinzione di espandere la pace, la democrazia e la libertà nel mondo ed hanno <<[…] l’arroganza di essere il portatore di una civiltà superiore garantita addirittura da un mandato divino che legittima con la sua elezione inverificabile questa pretesa di superiorità.>>14.

La ramificazione e l’innervamento mondiale del modello economico, sociale, politico, culturale e ideologico degli USA creano enormi vantaggi strategici e di posizionamento nella fase multipolare (lentamente avviata) e nella fase policentrica (nelle accezioni lagrassiane) per la sua ri-affermazione, con un nuovo modello sociale e territoriale scaturito dall’ordine del caos15, a potenza egemone mondiale.

2. La prepotenza americana. Nel 1934 così scriveva Antonio Gramsci:<< Ma il problema non è se in America esista una nuova civiltà, una nuova cultura, sia pure ancora allo stato di << faro >> e se esse stiano invadendo o abbiano già invaso l’Europa: se il problema dovesse porsi così, la risposta sarebbe facile: no, non esiste ecc., e anzi in America non si fa che rimasticare la vecchia cultura europea. Il problema è questo: se l’America, col peso implacabile della sua produzione economica (e cioè indirettamente) costringerà o sta costringendo l’Europa a un rivolgimento della sua assise economico-sociale troppo antiquata, che sarebbe avvenuto lo stesso, ma con ritmo lento e che immediatamente si presenta invece come un contraccolpo della << prepotenza >> americana, se cioè si sta verificando una trasformazione delle basi materiali della civiltà europea, cioè a lungo andare (e non molto lungo, perché nel periodo attuale tutto è più rapido che nei periodi passati) porterà a un travolgimento della forma di civiltà esistente e alla forzata nascita di una nuova civiltà [ corsivo mio].

Gli elementi di << nuova cultura >> e di << nuovo modo di vita >> che oggi si diffondono sotto l’etichetta americana, sono appena i primi tentativi a tastoni, dovuti non già a un << ordine >> che nasce da una nuova assise, che ancora non si è formata, ma all’iniziativa superficiale e scimmiesca degli elementi che incominciano a sentirsi socialmente spostati dall’operare (ancora distruttivo e dissolutivo) della nuova assise in formazione. Ciò che oggi viene chiamato << americanismo >> è in gran parte la critica preventiva dei vecchi strati che dal possibile nuovo ordine saranno appunto schiacciati e che sono già preda di un’ondata di panico sociale, di dissoluzione, di disperazione, è un tentativo di reazione incosciente di chi è impotente a ricostruire e fa leva sugli aspetti negativi del rivolgimento. Non è dai gruppi sociali<< condannati >> dal nuovo ordine che si può attendere la ricostruzione, ma da quelli che stanno creando, per imposizione e con la propria sofferenza, le basi materiali di questo nuovo ordine: essi << devono >> trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità [corsivo mio] >> >>16

Ho riportato questo passo dell’”Americanismo e Fordismo” di Antonio Gramsci perché rappresenta, letto con gli occhiali del lagrassiano conflitto strategico, una visione d’insieme degli agenti strategici egemonici delle diverse sfere della società a modo di produzione capitalistico americana; Antonio Gramsci già vedeva gli USA come la potenza mondiale che con la sua egemonia avrebbe modellato la vita sociale complessiva dell’occidente capitalistico; oggi, possiamo storicamente affermare che essi sono la potenza mondiale vincitrice dello scontro con il blocco cosiddetto comunista rappresentato dall’ex URSS; ma l’illusione di essere diventati l’unica potenza mondiale egemonica è durata quasi un decennio, per gli strateghi dell’“arte criminale” degli agenti dominanti che hanno espresso presidenti come Bill Clinton e George W. Bush.

Il passo surriportato supera la logica economicistica che lo stesso Antonio Gramsci fa poco prima nel descrivere le trasformazioni territoriali ( città e campagna) funzionali al sistema produttivo fordista << […] è stato relativamente facile razionalizzare la produzione e il lavoro, combinando abilmente la forza (distruzione del sindacalismo operaio a base territoriale) con la persuasione (alti salari, benefizi sociali diversi, propaganda ideologica e politica abilissima) e ottenendo di imperniare tutta la vita del paese sulla produzione. L’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell’ideologia >>17

Secondo me occorre ripartire da questo salto gramsciano-lagrassiano per capire il processo di americanizzazione del territorio. Occorre, cioè, una visione dell’insieme della società americana( a partire dalla interpretazione che il grande americanista, Raimondo Luraghi, dà della guerra civile americana come “la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea”) che, attraverso i suoi agenti strategici dominanti, è riuscita a modellare un nuovo sistema sociale egemonico a livello mondiale (un sistema che per carenza di ricerca teorica, pratica e pratica teorica e politica multidisciplinare, continuiamo a chiamare capitalismo18) attraverso l’”arte criminale” della forza ( due guerre mondiali, una guerra fredda e una strategia d’attacco a tutto mondo) e della persuasione, per dirla con l’autore del saggio anonimo pubblicato a Canton nel 1836, perchè << […] al momento non c’è probabilmente criterio più infallibile del grado di civiltà e progresso delle società dell’abilità che ciascuna di esse ha raggiunto nell’”arte criminale”, la perfezione e la varietà dei loro mezzi per la reciproca distruzione e la perizia con cui hanno imparato a usarli >>19

Voglio dire che il suddetto salto apre a re-interpretazioni nuove riguardanti lo sviluppo economico, sociale e territoriale dell’Europa, in generale, e, in particolare, dell’Italia, soprattutto se inquadrate nelle diverse fasi del sistema mondiale capitalistico ( monocentrico, multipolare, policentrico) che sono state lette prevalentemente in una logica economico-sociale20 che privilegiava gli aspetti della produzione, riproduzione e ristrutturazione dei processi produttivi capitalistici ( taylorismo, fordismo, informatizzazione) dove il profitto è letto come l’obiettivo fondante e prioritario con le sue conseguenze sul territorio inteso come spazio omogeneo e vuoto21; nel salto gramsciano-lagrassiano, invece, il sistema sociale d’insieme è interpretato come il conflitto politico, prevalentemente tra agenti strategici pre-dominanti e sub-dominanti, nelle diverse sfere22 che compongono la società tutta, per il potere-dominio e non il profitto che resta fondante ma non prioritario23 per gli stessi agenti che gestiscono, attraverso le articolazioni dei luoghi istituzionali (flessibili o statici), in una situazione di equilibrio dinamico, la società a tutti i livelli ( nazionale e mondiale) con conseguenze sul territorio, inteso come interconnessione tra le relazioni sociali storicamente date e le relazioni naturali; in questo senso i territori sono visti nell’insieme della loro storia economica, politica, sociale e culturale. Le istituzioni (senza proporre qui un’analisi sulla creazione delle istituzioni24) sono i luoghi pubblici territoriali, con diversi pesi gestionali e decisionali, dove materialmente i decisori strategici egemonici realizzano i loro indirizzi di dominio. Le istituzioni sono parti integranti delle strategie dei gruppi dominanti non luoghi esterni alle strategie degli agenti strategici. Con questo non voglio dire che le decisioni strategiche dei gruppi dominanti vengono presi solo nei luoghi istituzionali, esse vengono prese anche nei luoghi esterni. Ma è nei luoghi istituzionali che si esplica prevalentemente il potere egemonico << […] la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale”. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a “liquidare” o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche “dirigente”>>25. I luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, sono luoghi dove ideologicamente (nell’accezione negativa del termine) si espleta la politica dell’interesse generale del Paese26. Il velo dell’interesse generale nasconde i reali interessi del blocco sociale egemone, formato dalla sintesi unitaria degli agenti strategici delle varie sfere sociali, che esplica il dominio sulla società in una condizione di equilibrio dinamico. Così parlò il Re di Brobdingnag a Gulliver << Avete dimostrato con molta chiarezza che quello che si richiede a un vostro legislatore è una buona dose di ignoranza, pigrizia e vizio. Che le vostre leggi sono spiegate, interpretate e applicate da coloro che hanno l’interesse e l’abilità di pervertirle, confonderle, eluderle. Vedo, sì, nella vostra costituzione, qualche aspetto che poteva essere tollerabile, ma ormai è quasi cancellato e la corruzione ha macchiato e deturpato tutto il rimanente >>27.

Le trasformazioni territoriali entrano nei disegni di supremazia degli agenti strategici delle potenze mondiali dominanti ed emergenti e il loro uso si diversifica, assume aspetti prioritari a seconda delle strategie di dominio della fase complessiva mondiale28, non dimenticando che<< la continua ridefinizione del paesaggio geografico del capitalismo è un processo violento e doloroso >>29. Intendo dire che nella fase monocentrica mondiale, quando c’è un coordinamento sia pure non perfetto (non è un teorema geometrico!) di una potenza mondiale, le sfere politico-istituzionale-economico-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso il consenso, possono essere il fascio di luce che illumina le altre sfere ( per usare una metafora marxiana); mentre nelle fasi multipolare e policentrica, dove la potenza mondiale egemonica è in declino ed emergono altre potenze emergenti, le sfere politico-istituzionale-militare-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso la forza, possono assumere il ruolo decisivo che pianifica e coordina le altre sfere.

3. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano. I segni del processo di americanizzazione del territorio, sia europeo, sia italiano, intesi come conseguenza della egemonia del modello sociale americano, che si ramifica in maniera profonda dopo il secondo conflitto mondiale (fine della fase policentrica), con la ricostruzione e il conseguente sviluppo economico e sociale dei Paesi (fase monocentrica), possono essere così delineati per comodità di sintesi:

  • La perdita della impalcatura urbana e territoriale europea.

  • Lo sviluppo quantitativo della città e del territorio (la cultura quantitativa del territorio, la città diffusa, la città infinita, la ruralizzazione delle città, eccetera).

  • Il declino della città e del territorio come patrimonio sociale.

  • Le città e i territori della sicurezza e del controllo.

  • Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership).

  • La militarizzazione delle città e dei territori.

Tratterò brevemente gli ultimi due segni su evidenziati perché li ritengo prioritari in questa fase sociale europea e italiana che vede un aumento di temperatura della fase multipolare per le strategie di attacco degli USA – soprattutto via Siria e Ucraina – nei riguardi della Russia.

Premetto due brevi considerazioni, una storica per comprendere la nascita della potenza mondiale americana; l’altra territoriale per capire la costruzione della sovranità europea.

La prima. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano è un processo che inizia con la dottrina di Monroe30, cioè l’alt dato alle potenze europee di interessarsi al continente America, ovviamente negli interessi degli Stati Uniti e non dell’autodeterminazione dei popoli, e si consolida con la guerra civile americana31, che rappresenta per gli USA la svolta che permetterà loro sia di divenire una potenza mondiale, sia di operare una de-europeizzazione del territorio americano che consentirà la costruzione e la riorganizzazione del territorio (città e campagna), a partire da una propria identità, progettualità, disegno e visione32.

La seconda. La città e il territorio europeo e italiano devono essere oggetto di un processo di de-americanizzazione33 a partire da un progetto di sovranità su cui innestare una strategia di relazioni sociali altre, cioè, <<[…] trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità >> >>.

3.1 TTIP. Il TTIP sarebbe un’immensa zona di libero scambio, corrispondente ad un mercato di più di 800 milioni di consumatori, alla metà del PIL mondiale ed al 40% degli scambi mondiali. Le conseguenze della realizzazione del TTIP sono devastanti sia dal punto di vista economico e sociale (libertà di azione delle multinazionali, ridimensionamento e ristrutturazione delle aziende agricole, peggioramento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, peggioramento delle condizioni ambientali, allineamento delle norme europee alle norme americane, eccetera), sia dal punto di vista territoriale (ridisegno del territorio rurale con conseguenza sul territorio urbano, sul paesaggio, eccetera)34. Di fatto il TTIP ha l’obiettivo di creare un mercato comune <<[…] che dia nuovo impulso alle due sponde dell’Atlantico[…] sembra però [non funzionare perchè] le stime più ottimiste fornite dall’Eurostat, [indicano] per l’Europa un aumento del PIL solamente dello 0.5% mentre per gli Stati Uniti 0,4%. Le stime risultano modeste per un progetto così ambizioso e ciò è dovuto al fatto che i rapporti commerciali tra UE e USA sono già in uno stato avanzato >>35.

In sintesi <<[…] questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc ( multinazionali trans-nazionali, mia precisazione), includerà modifiche ai regolamenti riguardanti la sicurezza dei prodotti alimentari, prodotti farmaceutici, prodotti chimici, ecc; stabilità finanziaria (libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso); nuove proposte fiscali, come la finanziaria tassa sulle transazioni; sicurezza ambientale (ad esempio il diritto di imporre norme più rigorose sulle industrie inquinanti) e così via. I governi non potranno privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto (una parte significativa di ogni economia moderna). Il processo negoziale si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini>>36.

La strategia geo-economica e geo-politica degli USA, attraverso la creazione di una istituzione internazionale qual è il TTIP, mira a formare una grande area economica, che ingloba anche11 paesi che affacciano sul lato del pacifico (Messico, Canada, Cile, Perù, Giappone, Australia, Malesia, Singapore, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) attraverso il TPP (Transpacific Patrnership), per contrastare sia il costruendo asse geo-politico ed economico tra la Cina e la Russia (come futuro epicentro degli equilibri mediorientali ed asiatici) sia per limitare le nuove potenze del Sud ( India, Brasile) e le macro areee regionali economiche ( come per esempio l’area Mercosur in America Latina).

La questione grave è la ulteriore perdita di sovranità degli Stati che compongono la UE (non esiste una Europa politica e militarmente autonoma) in favore degli agenti strategici americani e del declino definitivo di una possibile costruzione di politica europea autonoma capace di agevolare la costruzione di un mondo multipolare come soggetto di relazione sia con l’Occidente sia con l’Oriente. E’ lo smantellamento della << […] Unione Europea a vantaggio di un’unione economica intercontinentale, cioè relegare definitivamente l’Europa ad un grande insieme << oceanico>> separandola dalla sua parte orientale e da qualsiasi legame con la Russia.>>37.

Credo che sia ancora parzialmente valida la riflessione di Costanzo Preve quando affermava che << Per poter perseguire la prospettiva politica, culturale e geopolitica di un’alleanza strategica fra i continenti europeo ed asiatico contro l’egemonismo imperiale americano, prospettiva che ha come presupposto una certa idea di Europa militarmente autonoma dagli USA e dal loro barbaro dominio, bisogna prima (sottolineo: prima) sconfiggere questa Europa, neoliberale (e quindi oligarchica) in economia ed euroatlantica (e quindi asservita) in politica e diplomazia. Senza sconfiggere prima questa Europa non solo non esiste eurasiatismo possibile, ma non esiste neppure un vero europeismo possibile >>38. La parzialità è data dalla mancanza dei soggetti portatori di un progetto per una Europa autodeterminata sia all’interno degli agenti strategici dei dominanti sia all’interno degli agenti strategici dei dominati che vogliono un mondo multipolare fondata sulla maggioranza dei popoli39.

3.2 La militarizzazione delle città e dei territori. Non nascondo che faccio fatica ad immaginare una Europa che si autodetermina avendo sul suo territorio una miriade di basi militari NATO e NATO-USA (la Germania ne ha 70, l’Italia ne ha 111; sono dati da aggiornare ed escludono quelle che non si sanno)40. E’ fuori dubbio che gli USA sono egemoni nella NATO non fosse altro perchè è la potenza mondiale che spende in armamenti più della metà degli interi Stati mondiali (900 miliardi di dollari annui), e il suo presidente Barack Obama ha fatto sapere, in queste giornate europee, che<< […] «aerei Nato pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata a Obama da Napolitano e Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani41>>. Così come è fuori dubbio che le strategie americane di politica estera, che ricalcano il vecchio retaggio da guerra fredda che impone supremazia militare ed economica e strategie regionali tese a proteggere incondizionatamente i Paesi alleati42, porteranno, mano mano che avanzerà la fase multipolare, ad una militarizzazione delle città e dei territori europei che esprime capacità militare, capacità di sicurezza e di controllo, capacità economica in funzione prevalentemente anti Russia. Non è un caso che la NATO non fu abolita una volta imploso il vecchio nemico “comunista”, ma fu rifondata probabilmente per meglio prepararsi ad un cambio di politica estera fondata sugli USA come unica potenza mondiale egemone: la nazione “eccezionale” universale. Oggi, per fortuna mondiale, non è così. La fase multipolare si va delineando e le strategie di politica estera americane fanno fatica a confrontarsi con le nascenti potenze mondiali (soprattutto Russia e Cina).

Ho già trattato, nei miei precedenti scritti, la infrastrutturazione del territorio europeo in funzione della Nato (l’intervento sulla TAV) e le città NATO (i due interventi sull’Ilva di Taranto). Voglio qui aggiungere una riflessione che riguarda la nuova polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda) e approvata all’unanimità dalla Camera e dal Senato all’assemblea di Montecitorio del 14 maggio 2010 (legge n.84 il “Trattato di Velsen”). Per indicare i caratteri principali del Trattato di Velsen riporterò i seguenti passi dell’articolo di Matteo Luca Andriola:<< […] la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale.[…] Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stessa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda […]All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, a tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente[…] Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione»[…] A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrati «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della Ueo che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’Ue o da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missioni umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento» >>43.

Questa nuova istituzione europea di polizia continentale, che fa capo alla NATO, di controllo e sicurezza territoriale, con sede in una città NATO simbolo come Vicenza, trova comprensione in tre direzioni da approfondire: 1. Il ruolo della NATO che non è un ruolo direttamente militare (viene sempre più velato) ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento di territori in funzione di contrasto delle potenze mondiali emergenti, soprattutto la Russia; 2. La perdita della peculiarità territoriale (di città e di territori) europea trova nel modello sociale e territoriale egemonico americano, direttamente e indirettamente tramite l’egemonia nelle istituzioni internazionali, una delle cause fondamentali del suo declino e della sua specificità storica:<< L’Europa si formò con l’emigrazione, l’America con la conquista. Per usare il linguaggio dei geologi, diremo che quella procede da alluvione e questa da azione vulcanica. E’ questo un primo tratto che differenzia la vita europea dall’americana.

Eccone un altro: la civiltà dell’America fu un’opera di governo, un’impresa di Stato, un grande atto amministrativo; quella dell’Europa un’opera anonima, popolare, senza azione legislativa […] Ogni civiltà ha un’opera genuina che è la città. La città è la sintesi di una civiltà, il gesto o il ritmo che traduce la sua anima. Atene è la Grecia, come Roma è l’Impero, Firenze è il Rinascimento, Siviglia è l’anima spagnuola (New York è la modernità:” tutto ciò che è di solido, si dissolve nell’aria”, mia aggiunta)44 >>45; 3.La politica di coesione e la cooperazione territoriale europea è funzionale alla strategia americana per aprire varchi ad Est risucchiando sempre più territori dalla sfera di influenza Russa (ultimo caso: l’Ucraina).

Un esempio: si dice che << Una pluralità di questioni è associata alla coesione territoriale: il coordinamento delle politiche in regioni estese come quella del Mar Baltico, il miglioramento delle condizioni lungo le frontiere esterne orientali, la promozione di città sostenibili e competitive a livello mondiale, la lotta all’emarginazione sociale in alcune parti di regioni più ampie e nei quartieri urbani sfavoriti, il miglioramento dell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’energia in regioni remote e le difficoltà di alcune regioni che presentano determinate caratteristiche geografiche.[…] Il modello di insediamento europeo è unico. In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi, che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell’UE solo il 7% delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25% negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo.

Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell’UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse in quanto evita le diseconomie dei grandi agglomerati e l’elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l’espansione urbana; tali diseconomie assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l’adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli >>46, questo modello così delineato cosa ha a che fare con il TTIP che è la distruzione delle aree rurali e la creazione di squilibri territoriali europei? Cosa ha a che fare con la realtà urbana e territoriale sempre più modellata su quella americana?47

Concludo con le parole del Re di Brobdingnag che sosteneva come <<[…] gli inglesi ( oggi, gli americani, mio aggiornamento) siano la più pericolosa razza di schifosi vermiciattoli cui la natura abbia concesso di strisciare sulla faccia della terra >>48.

Fonte: La foto è tratta dalla copertina del libro: Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

1 Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da: Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI; Film: Totò, Fabrizi e i giovani di oggi, 1960; Sigmund Freud, Perché la guerra?. Carteggio con Albert Einstein, La città del sole, Napoli, 1996, pp. 24-25-28.

2 Le affermazioni di Zbigniew Brzezinski sono tratte da Luciano Lago, Zbigniew Brzezinski: L’egemonia degli USA ha i giorni contati, 2013, www.stampalibera.com. Sul declino degli USA valga per tutti il rimando a Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, il Saggiatore, Milano, 1996; Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Mondadori, Milano, 1999; Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Gianfranco La Grassa, Andrò girovagando, ma per favore seguitemi, quattro puntate, 2013 e Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla crisi, tre parti ( la prospettiva più tradizionale ( economicistica), un ripensamento complessivo, conclusione:la crisi dipende dalla politica), 2013, in www.conflittiestrategie.it.

3 << Nei periodi oramai passati della precedente amministrazione Bush, le Forze Speciali USA erano precedentemente dislocate in ben 60 nazioni sparse per il mondo, nel 2010, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del Washington Post, questo numero si era gonfiato fino a 75. Per arrivare poi nel 2011, quando il portavoce del Comando Operazioni Speciali (SOCOM) Colonello Tim Nye ne annunciò che la presenza si sarebbe allargata a 120 nazioni. Questa cifra oggi è già obsoleta. Nel 2013, le forze d’Elite USA erano dislocate in 134 paesi [ su 194 stati generalmente riconosciuti sovrani a livello internazionale, mia osservazione ] , secondo il colonnello Robert Bockholt dell’Ufficio Relazioni della SOCOM (Comando Operazioni Speciali). Questo aumento del 123% durante l’amministrazione Obama dimostra come, in aggiunta ai conflitti decennali convenzionali ,alla campagna dei droni svolta dalla CIA, alla diplomazia e all’esteso controllo della cybersfera, l’America ha lanciato un ulteriore forma significante di controllo nei paesi esteri >> in Nick Turse, La guerra segreta delle forze USA in 134 paesi, 05/02/2014, www.comedonchisciotte.org.

4 Per restare agli ultimi eventi si rifletta sul ruolo di testa di ponte euroasiatica che svolge l’Europa ( in particolare la Francia e la Germania) nelle strategie USA ( via NATO) nella crisi della Siria e dell’Ucraina e nel progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) che modella sempre più i capitalismi europei sul capitalismo della superpotenza mondiale americana separando sempre di più l’Europa dall’Oriente, riducendo i legami con la Russia e la Cina. Due potenze mondiali che vanno contenute sia applicando un potere forte dove prevale la sfera politico-militare ( la strategia di Zbigniew Brzezinshi per la Russia) sia applicando un potere flessibile dove prevale la sfera politico-economica (la strategia di Henry Kissinger per la Cina). Per approfondimenti si rimanda a Zbigniew Brzezinshi, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011; Franco Cardini, A proposito del cosiddetto “imperialismo russo” ( e della corta memoria dei suoi stigmatizza tori), 9 marzo 2014, www.francocardini.net; Gianfranco La Grassa, Quali possibilità ancora ci si offrono?, 11 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Geab83, Crisi sistemica globale, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Ignacio Ramonet, Pericolo!Accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti, 7 marzo 2014, www.monde-diplomatic.it; Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it ; Lori Wallach, Il trattato transatlantico: un uragano che minaccia gli europei in “Le Monde Diplomatique”, ed. italiana, novembre 2013; Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.

5 << […] l’instabilità dell’Europa centrorientale e dei Balcani, la conflittualità politica del Nord Africa e del Medio Oriente, le minacce al controllo delle risorse energetiche dell’area caucasica e del Golfo, l’accesso alle quali passa per l’Adriatico e per il Mediterraneo, e la libertà di navigazione in quest’ultimo […] fa dell’Italia la “sentinella” dei Balcani e del Medio Oriente[…] La nuova organizzazione di comando della NATO assegna al nostro paese 4 comandi, fra regionali e sub regionali, pari solo a quelli degli Stati Uniti contro, invece, i 2 della Germania – il punto di fuga della guerra fredda – e della Gran Bretagna. E, mentre molte delle basi collocate in altri paesi europei sono in via di smantellamento, la Nato continua a investire in quelle italiane.>> in Marco Clementi, La Nato. Dal mondo diviso in due alla minaccia del terrorismo globale, il Mulino, Bologna, 2002, pag.110.

6 Per queste ragioni gli USA ( specialmente gli ambienti strategici che esprimono Barack Obama) stanno pressando il loro fiduciario Giorgio Napolitano affinché porti a compimento, in tempi brevi, la realizzazione di quel progetto di costruzione ( iniziato nel lontano 1992-‘93 con l’operazione “mani pulite”) di un formale bipolarismo-bipartitismo ( destra e sinistra, termini che non spiegano più niente), di derivazione americana (che nulla ha a che fare con la tradizione politica italiana), armonioso, pratico, affidabile, disponibile e ubbidiente alle strategie USA. Per adesso il suddetto progetto si è fermato all’operatore di marketing politico, Matteo Renzi. Su questi temi si rimanda alla originale e interessante analisi di Gianfranco La Grassa. Segnalo alcuni suoi interventi: Piccole memorie, Pantomima continua, una “Monarchia ecclesiastica” e L’Entrata in campo, 2013, www.conflittiestrategie.it.

7 Si leggano di Giorgio Napolitano il messaggio alla Camera dei Deputati del 22 aprile 2013 ( rielezione a Presidente della Repubblica) e il discorso al Parlamento europeo del 4 febbraio 2014 (omaggio al Parlamento europeo per la rielezione a Presidente della Repubblica) in www.quirinale.it ; si veda il Fiscal Compact adottato dal Parlamento dove tra gli impegni assunti con la legge 23 luglio 2012 n.114 spicca l’obbligo di ridurre al 60% dell’incidenza del debito pubblico sul Pil lungo un arco di vent’anni a partire dal 2015. Per le ricadute devastanti sul Pil rinvio al modello, creato su base ottimista delle variabili considerate, di Giorgio Gattei, Antonino Iero: L’insostenibile rimborso del debito, 11 marzo 2014, www.economiaepolitica.it; per non parlare dei richiami del presidente della Bce, Mario Draghi, e della stessa Bce, attraverso il bollettino di marzo, che sottolineano come l’Italia non si attiene alla: <<… raccomandazione della Commissione del novembre 2013[che] indicava la necessità di ulteriori misure di risanamento per assicurare l’osservanza del Patto di stabilità e crescita (cioè per conseguire l’obiettivo di medio termine di un bilancio strutturale in pareggio nel 2014 e assicurare progressi sufficienti verso il rispetto del criterio per il debito durante la fase di transizione). Finora, tuttavia, non sono stati compiuti progressi tangibili per quanto riguarda la raccomandazione della Commissione. In prospettiva, è importante effettuare i necessari interventi affinché siano soddisfatti i requisiti previsti dal meccanismo preventivo del Patto di stabilità e crescita, soprattutto per quanto riguarda la riconduzione del rapporto debito/PIL su un percorso discendente, come segnalato anche di recente dalla Commissione europea nel contesto dell’esame approfondito sull’Italia >>, Banca Centrale Europea, Bollettino mensile marzo, n.3/2014, pag.86, www.bancaditalia.it.

8 Per una lettura geo-economica si veda l’analisi di Immanuel Wallerstein, Cosa intendono gli Stati Uniti per Europa in “Il Manifesto” del 18 febbraio 2014. Per una conferma ultima della subordinazione dell’Europa alle strategie USA nella crisi Ucraina si rimanda a Manlio Dinucci, Le armi dell’economia, Il Manifesto, 11 marzo 2014; Gianni Petrosillo, La spar(t)izione dell’Europa, 10 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Jacques Sapir, Crimea e diritto internazionale, 11 marzo 2014, www.sinistrainrete.it ( lo scritto non è condivisibile nella sua interezza, soprattutto per quanto riguarda la mancata chiarezza sulla non autonomia dell’Europa dalla strategia USA e sulla politica del divide et impera americana in Europa); Pepe Escobar, Il nuovo grande (rischioso) gioco in eurasia,18 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org.

9 Intendo il concetto di egemonia nella accezione gramsciana prevalente e cioè:<< L’esercizio “normale” dell’egemonia nel terreno divenuto classico del regime parlamentare, è caratterizzato dalla combinazione della forza e del consenso che si equilibrano variamente, senza che la forza soverchi di troppo il consenso, anzi cercando di ottenere che la forza appaia appoggiata sul consenso della maggioranza, espresso dai così detti organi dell’opinione pubblica – giornali e associazioni – i quali, perciò, in certe situazioni, vengono moltiplicati artificiosamente >> in Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 13, Einaudi, Torino, 1975, pag.1638.

10 David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte,Verona, 2012, pp.92-93. E’ da sottolineare con Costanzo Preve, che << la Cina è un paese capitalistico che non tollera il formarsi dei partiti capitalistici soprattutto quelli di tipo americano[…] l’instaurazione di un sistema politico di tipo americano, il che vorrebbe dire praticamente la fine del controllo statale sull’economia cinese e pertanto la totale omogeneizzazione della Cina al sistema capitalistico occidentale>> in Costanzo Preve, Democrazia, oligarchia e capitalismo, intervista di Andrea Bulgarelli, 23/1/2013, www.ariannaeditrice.it.

11 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010.

12 L’ammontare totale della spesa militare mondiale per il 2012 è pari a 1756 miliardi di dollari. Gli USA con una spesa militare, in declino, pari a 684,3 miliardi di dollari (39% di quella mondiale), confermano il loro primato nel settore, seguito dalla Cina con una spesa militare, in forte aumento, pari a 166 miliardi di dollari ( 9,4% di quella mondiale) e dalla Russia con una spesa militare, in forte rialzo, pari a 90.7 miliardi di dollari ( 5,8% di quella mondiale). Cfr SIPRI Yearbook 2013, Armaments,disarmament and International security in www.sipriyearbook.org ; Istituto di Ricerche Internazionali “Archivio Disarmo”, Le spese military mondiali nel 2010 in www.archiviodisarmo.it .

13 Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR Rizzoli, 2013, pp.7-8.; Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana. Da John Brown ad Abraham Lincoln, Bur Rizzoli, Milano, 2013; Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Torino, 1974, Nuova storia universale dei Popoli e delle Civiltà, volume sedicesimo; Nico Perrone fa risalire la ferma determinazione politica della classe dirigente alla dottrina di Monroe del 1823:<< Le risorse interne e quelle dei domini geografici e politici via via acquisiti, sono state gli strumenti materiali per far crescere la grande potenza americana. E dietro tutte le risorse materiali c’è stata sempre la capacità degli americani di sentirlo come proprio quel progetto, e di farlo durare al di sopra di ogni interna divisione politica.[…] Occorrevano anche una chiarezza di obiettivi […] e una ferma determinazione politica, che fossero sostenute da una corale volontà nazionale. Dopo sarebbero venuti la potenza delle armi, il potere economico, la tecnologia, e soprattutto il sapere elevare a dogma di respiro mondiale i propri interessi e il proprio sistema economico-politico >> in Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli, pag.198.

14 Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pp.38-39. Si veda anche Alain de Benoist, L’impero del “bene”. Riflessioni sull’America d’oggi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2004; Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pp.167-172.

15 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003. Rilevo, an passant, che nel citato libro vi è una forte lettura economicistica del dis-ordine mondiale.

16 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2178-2179.

17 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2145-2146. Si veda Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, Torino, 2003, pag.187.

18 Se si esclude il lavoro di forte impronta tecnico-economica del 1941 del passaggio dalla società capitalistica a quella manageriale di James Burnham, La rivoluzione manageriale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.

19 Riportato in Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003, pag.267. Per una applicazione dell’arte criminale da parte degli USA durante la seconda guerra mondiale (liberazione-occupazione dell’Europa) si veda HS, Mondo Criminale – il paradigma “siculoamericano”: gli albori, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano, 2009.

20 E’ da ri-costruire l’analisi storica dell’assenza del territorio nell’analisi marxista: quando esso è stato trattato non si è andato oltre la logica economicistica marxista ma non marxiana (con ciò non voglio esimere Karl Marx dalle sue responsabilità).

21 Si veda David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993; David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998.

22 Le sfere sociali sono astrazioni con cui si cerca di comprendere la realtà (ricordando sempre che la realtà è più avanti noi siamo sempre indietro, come cantava Giorgio Gaber) e sono individuate a seconda delle esigenze teoriche degli studiosi. Per esempio Gianfranco La Grassa ne ha individuato tre (economica, politica, ideologico-culturale); David Harvey ne utilizza sette (le attività tecnologiche e forme organizzative, rapporti sociali, ordinamenti istituzionali e amministrativi, produzione e processi lavorativi, rapporti con la natura, riproduzione della vita quotidiana e della specie, concezioni mentali del mondo).

23 Così interpreto i capitoli ventitreesimo (la legge generale dell’accumulazione capitalistica) e ventiquattresimo (la cosiddetta accumulazione originaria) di Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pp. 753-877 e pp. 879-938. Il potere è la relazione più stupida e terrificante che il genere umano si sia costruito, dalla famiglia allo Stato. William Shakespeare (Re Lear) e Svetonio (Vite dei Cesari) hanno scritto cose memorabili sull’essenza devastante del potere. Tant’è che sin dai tempi antichi tutte le società con le loro istituzioni, storicamente determinate, si sono poste il problema del controllo e del limite del potere attraverso l’equilibrio (il bilanciamento) dei soggetti del potere. La dottrina costituzionale della separazione dei poteri richiede un bilanciamento di poteri fra il ramo esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario. Un bilanciamento flessibile e storicamente dato. Per esempio, << La crisi delle concezioni di nazione prodotta dalla guerra civile (americana, mia precisazione) divenne la base di una nuova scienza politica e giuridica che riposizionò stato, sovranità e diritto pubblico lontano dall’enfasi del XIX secolo su autorità locale, autogoverno e democrazia partecipativa >> in Saskia Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, Bruno Mondadori, Milano, 2008, pag.165.

24 Giuseppe Papagno (1979), Istituzioni in AaVv, Enciclopedia Einaudi, Vol. VII, Torino, Einaudi. Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis, Milano, 2012, pp.195-212. E’ da riflettere, in maniera più approfondita e sistematica, sui meccanismi istituzionali nelle strategie degli agenti dominanti tenendo chiaro due punti: 1. Le istituzioni sono parti integranti del conflitto strategico degli agenti dominanti; 2. La burocrazia è un concetto vuoto, superficiale che non fa capire i processi di produzione, gestione, programmazione utili per raggiungere gli obiettivi strategici dei dominanti (Honorè Balzac qualcosa del genere l’aveva intuito nel suo libro “Gli impiegati”).

25 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1975, volume terzo, quaderno 19, pp.2010-2011.

26 La Costituzione italiana definisce, nella parte seconda, i luoghi territoriali dell’ordinamento della Repubblica: parlamento (camera e senato), presidente della repubblica, governo della repubblica, pubblica amministrazione, organi ausiliari, magistratura, regioni- province- comuni, corte costituzionale.

27 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag 144.

28 Il territorio è articolato, è materiale, è trascendente, è ricco di relazioni umane sessuate e naturali. La sua articolazione è il risultato delle relazioni intese << come unità inscindibile dell’elemento naturale e dell’elemento storico>>. La sua costruzione (il paesaggio) è data dai cicli della natura con le sue leggi (non molto conosciute) e dal modo di produzione e riproduzione sociale (molto aggressivo) che il genere umano sessuato si dà storicamente. I meccanismi della produzione e riproduzione sociale di una società, basata sul modo di produzione capitalistico, non hanno tenuto, non tengono e non terranno conto sia della libera autodeterminazione umana sessuata sia delle leggi e degli equilibri naturali. Si rimanda a Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975; Karl Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma, 1976; Costanzo Preve, Marx inattuale, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.

29 David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998, pag. 227.

30 Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

31 Raimondo Luraghi, La spada e le magnolie, Donzelli, Roma, 2007.

32 Per una introduzione alla costruzione e contrapposizione politica e ideologica della concezione del territorio tra USA e URSS si veda Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp.63-85.

33 Non leggo gli Usa come uno stato canaglia o una superpotenza canaglia alla Noam Chomsky (come fa nel suo “De-americanizzare il mondo”, 8/11/2013, www.comedonchisciotte.com ), ma leggo la de-americanizzazione dell’Europa come un processo che limiti l’egemonia degli USA per agevolare un mondo multipolare, possibilmente basato sull’autodeterminazione dei popoli.

34 Per una comprensione approfondita sulla portata distruttrice del TTIP sulla campagna, si legga l’interessante libro sulla questione agraria mondiale di Silvia Perez-Vitoria, Il ritorno dei contadini, Jaca Book, Milano, 2007. Riporto da I quaderni di Attac di Torino, n.7 – Gennaio 2014 – alcune gravi conseguenze nefaste sul settore agricolo: << L’impresa agricola USA è circa 13 volte più grande della sua omologa europea (169 ettari negli USA rispetto ai 12,6 ettari nella UE) e poiché si è venuta progressivamente concentrando in grandi complessi agroalimentari, gli agricoltori negli Stati Uniti sono oggi appena 2 milioni contro i 13 della UE. Oltre ad essere molto più piccole, le imprese agricole della UE sono anche gravate da norme uniche nel loro genere, riguardanti l’ambiente e il benessere sociale e animale, norme dalle quali sono invece esenti le loro molto più grandi controparti americane. Ecco perché è generalizzata tra gli agricoltori europei la preoccupazione che, se il TTIP aprisse i mercati UE e USA ad un’ulteriore concorrenza, loro non sarebbero più in grado di competere con le controparti USA. Temono infatti che i consumatori europei, che pure richiedono severi limiti nell’uso di pesticidi e il mantenimento dei paesaggi campestri in Europa, scelgano poi di riempire i carrelli della spesa con prodotti USA a buon mercato. Se procedesse come ora previsto, il TTIP potrebbe davvero vanificare il progetto di riforma dell’agricoltura europea su basi più sostenibili dal punto di vista economico, sociale e ambientale, insieme con l’obiettivo di creare circuiti commerciali a filiera corta tra produttori e consumatori, e di rafforzare i sistemi alimentari locali e regionali.

La concorrenza con gli agricoltori americani porterà invece un’accelerazione nella concentrazione dell’agricoltura nelle mani dei grandi gruppi agroalimentari, una diminuzione dei lavoratori agricoli attivi e, di conseguenza, l’aumento della disoccupazione. Come ha rilevato la Commissione Europea nella sua Valutazione di Impatto del TTIP: “In agricoltura, alcune conseguenze di breve periodo di un accordo commerciale USA-UE, possono essere la diminuzione della produzione europea, in particolare in alcuni settori di produzione delle carni… certi comparti agricoli UE potrebbero quindi essere spinti a licenziare i lavoratori.”>>. E’ utile ricordare, per esempio, che il made in Italy agroalimentare è in mano di investitori stranieri (dati Inea-Infocamere) e che l’Italia importa grano americano, messicano e canadese. Abbiamo perso la sicurezza alimentare nazionale, ma questo è un altro ragionamento.

35 Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.

36 Susan George, Poteri occulti. L’intero pianeta è sotto scacco in il manifesto, 4 ottobre 2013.

37 Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it

38 Costanzo Preve, I referendum sulla “Costituzione europea” in Eurasia-rivista di studi geopolitici n.3/2005.

39 Tratterò questa questione all’interno del mio prossimo scritto che avrà il seguente titolo: Il conflitto strategico, una buona base per la costruzione dell’ordine simbolico sessuato. Appunti di riflessione.

40 Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, 29/01/2014, www.millennium.org.

41 Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero in Manlio Dinucci, Quando ci costa la libertà della Nato, il Manifesto, 29/03/2014.

42 Sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si veda l’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.

43 Matteo Luca Andriola, Il trattato di Velsen e l’Eurogendfor, 13/03/2014, www.comunismoecomunita.org.

44 Per la città di New York come simbolo della modernità, si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.

45 Giovanni B. Teràn, La nascita dell’America spagnuola, in Leonardo Benevolo e Sergio Romano, a cura di, La città europea fuori d’Europa, Libri Scheiwiller, Credito Italiano, Verona, 1998, pag.79. Si legga Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano. Civiltà materiale, economia e capitalismo ( secoli XV-XVIII), Einaudi Torino, 1982, volume primo.

46 Commissione delle Comunità Europee, Libro verde sulla coesione territoriale. Fare della diversità territoriale un punto di forza, 6/10/2008, www.europa.eu, pp. 3 e 5.

47 Si veda David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013; Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006; Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.

48 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag.144.

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