IDEE CON LE RADICI_di Pierluigi Fagan

IDEE CON LE RADICI. Era il 2013 quando feci uscire sul mio blog, un articolo a ripresa e promozione di una vecchia idea strategica formulata a suo tempo da Alexandre Kojève, russo trapiantato in Francia, in favore di quello che lui chiamava “Impero latino”. Un articolo di Giorgio Agamben di qualche mese prima, lo aveva riportato all’attenzione. Da allora promuovo questa idea, più o meno in solitaria. Ma giovedì prossimo, qualcosa che accenna a questa idea diventerà fatto, dal momento che Macron verrà a Roma a firmare quello che pare si chiamerà “Trattato del Quirinale”, un trattato come quello di Aquisgrana firmato con la Merkel nel 2019, di “collaborazione rinforzata” tra Francia e Germania. Ma questa volta tra Italia e Francia. Vediamo meglio la faccenda.
Il primo punto è: di quale disegno fa parte questa strategia? Kojève oltre ad esser stato il più influente interprete di Hegel in quel di Francia, con famosi seminari a cui pare si formarono Raymond Queneau, Georges Bataille, Raymond Aron, Roger Caillois, Michel Leiris, Henry Corbin, Maurice Merleau-Ponty, Jean Hyppolite , Éric Weil e Jacques Lacan (ma vi passarono a volte anche André Breton e Hannah Arendt), era anche alto funzionario del Ministero di Economia e Finanza, nonché poi sospettato di esser un agente sovietico. In tale veste di alto funzionario produce nel 1945 il documento originario cui abbiamo fatto cenno, indirizzato a De Gaulle. La tesi del franco-russo era che la Francia, doveva porsi la domanda su quale sarebbe stato il suo posto nel mondo da lì in poi. Questa domanda poteva avere diverse risposte, ma prima di vedere quali, bisognava pesare la sua potenza poiché qualsivoglia gioco in ambito internazionale o geopolitico, presuppone la forza per poterle metterle in atto. La forza della Francia era costituzionalmente inadeguata quindi doveva esser rinforzata, ma come?
L’idea di Kojève che per questo motivo Agamben segnalava al tempo, era di osservare quelle che Platone chiamava: le nervature dell’essere. Platone diceva che il macellaio, nel tagliare la carne, seguiva sua segreta conoscenza delle muscolature e nervature perché non puoi tagliere ciò che tiene assieme o metter assieme ciò che non ha trama connettiva. Kojève quindi ne deduceva che le nervature dell’essere di Europa, indicavano una area culturale di relativa omogeneità all’intero della sfera latina. Era una constatazione linguistica, quindi culturale, quindi geo-storica. In un comune ambito tale definito dalla geografia che non segna ma indica, non a caso si è sviluppata una storia comune e quindi molteplici interrelazioni che hanno sedimentato una cultura comune, a partire dall’origine romana antica.
L’idea piaceva ad Agamben e debbo dire anche a me, perché consistente ovvero dotata di radici concrete e non solo volontà astratta. E la cosa aveva grande attualità perché nel 2013 così come negli anni ’90 che portarono a Maastricht, ancora fino ad oggi, le nervature dell’essere che si osservano nel pensare ai processi di formazione di potenza allargata ai confini degli storici Stati-nazione in Europa, seguivano e seguono altre nervature. Per lo più di interesse economico o come nel caso dell’asimmetrica diarchia Francia-Germania, logiche di problematico vicinato competitivo. Kojève invece, stratega geopolitico che a lungo sviluppò relazioni di pensiero con Leo Strauss e Carl Schmitt, anche quando nel dopoguerra quest’ultimo era ostracizzato dato il suo passato mischiato al nazismo, non seguiva parametri contingenti pur importanti, ma le nervature dell’essere e queste erano cultura depositata nella geostoria. Va ricordato che nel ’45, per i francesi, si trattava di capire da che parte volgersi dato che era noto si stesse formando l’alleanza di ferro anglo-americana che poi portò al Patto Atlantico. In quella alleanza, la Francia non avrebbe avuto alcun ruolo, oltre a non avere alcuna nervatura dell’essere in comune. Men che meno con la Germania.
L’idea di Kojève, quindi, era di natura prettamente geopolitica, non politica contingente o tantomeno economica, era strategica non tattica. Ed il sottostate di geopolitica è nella geostoria. Si possono far sistemi di ordine superiore con coloro con i quali c’è del pregresso “in comune”, altrimenti anche la più brillante delle strategie di convenienza, naufraga per eccesso di eterogeneità. Le ragioni che portano a far matrimonio longevo e resistente non sono della natura con cui scegliamo amici ed amiche o partner sessuali. Notoriamente, molte unioni tra soci, essendo basate sulla convenienza contingente, naufragano perché fatte per unirsi nella buona sorte, non reggono alla cattiva sorte. Pe reggere alle ingiurie della cattiva sorte, ci vogliono nervature dell’essere. Queste non garantiscono, ma la loro assenza garantisce altresì il fallimento di qualsiasi unione, come quella europea che di nervature dell’essere ne ha tante e non certo in favore di un affare a 27 stati a meno che di “affare” non si vogli dare il significato mercantile.
Se quindi l’idea apparteneva alla categoria geopolitica ovvero la politica estera da svolgere partendo dalle costituzioni geostoriche, a cosa era finalizzata nel concreto? A quale domanda doveva cercar risposta? La domanda era data dalla constatazione che la Francia era una ex-potenza, retrocessa a media potenza, la potenza dominante in Occidente era il nuovo asse anglo-americano, la Germania era a pezzi ma con i tedeschi non si sa mai, poi cerano i sovietici e sullo sfondo lontano c’erano le preoccupazioni di scenario già note ai primi del Novecento, il Giappone, l’Asia e sia mai la Cina se si fosse risvegliata come ebbe a notare Napoleone a suo tempo. Ai primi del Novecento, verso la fine della Seconda guerra mondiale, viepiù nei successivi settanta anni e così ancora oggi e in prospettiva da qui al 2050 e solo perché al 2050 le variabili esplodono e non si possono fare previsioni sensate, il quadro geopolitico è mondiale. Con grandi potenze che sviluppano grandi vantaggi competitivi e quindi forza per giocare il gioco di equilibrio in un mondo sempre più complesso. La domanda era quindi: come acquisire maggior forza da trasformare in potenza per rimanere in gioco in una ambiente sì competitivo secondo logica a cui appartiene l’argomento ovvero la geopolitica che si basa sulla geostoria?
Che si voglia pensarlo come “Impero” o Stato federale o Unione confederale o semplice poligono di relazioni privilegiate, non v’è dubbio che l’ambito latino ha consistenza geostorica, quindi potenzialmente geopolitica. Semplice.
Come si vede il ragionamento è semplice e se fosse vero che Kojève era davvero un sovietico infiltrato, risultava consistente, logica e conveniente anche per i russi poiché che la logica multipolare fosse più promettente di quella bipolare o dei deliri unipolari quali poi vedremo a fine anni ’90 con le balzane idee sul “Nuovo Secolo Americano”, era nelle cose. Un ambito latino oggi, con 200 milioni di persone, varrebbe un soggetto di buon peso, la terza economia al mondo, un seggio all’ONU con armamento atomico, molti punti di forza e senz’altro altrettanti di debolezza su cui lavorare. Ma poiché poggiato su nervature dell’essere, ci si potrebbe lavorare e potrebbe funzionare.
In questi anni, questa idea mi è toccato discuterla con schiere di avversanti. Ma il problema era che non erano avversari di idee ma di categorie. Ad esempio, coloro che ignorano la geostoria e parlano di queste cose perché si sono risvegliati da poco con qualche eccitata attenzione alla geopolitica che a loro ricorda tanto Risiko un gioco senz’altro divertente, ma che dà una falsa idea della logica geopolitica reale. Coloro che si sono svegliati di recente scoprendo il concetto di sovranità, ma non hanno strumenti culturali per declinarlo non nell’astratto ma nel concreto dei suoi vari assi. Coloro che ignorano, come molti ancora oggi continuano ad ignorare, tanto in campo “europeista” che “sovranista”, il doppio problema dell’impossibilità che l’UE diventi un soggetto geopolitico ed il problema del nanismo dello Stato-nazione europeo nato nei contesti del XVI secolo quando il mondo era tutto in Europa ed eravamo 80 milioni e non 500, il mondo era di 450 milioni e non 7,8 miliardi andanti a 9,7 nel 2050. Coloro che si sono fatti una dimensione intellettual-politica partendo dall’Unione europea che non è un costrutto di logica geopolitica, ma geoeconomica. O peggio coloro che trattano il mondo complesso partendo da un solo paio di lenti molate negli studi monetari, seguiti da quelli altri che leggono solo fatti attinenti al neo-liberismo. Poi ho incrociato mentalità per lo più tattiche che leggono qualche articolo su Internet e così pensano di poter aver voce su argomenti di strategia quando al massimo l’avranno di tattica. O quella simpatica schiera di gente che non è in grado di pensare costruttivamente e specializzati in critica trovano loro godimento nel notare solo le cose che non vanno in una strategia perché inabili a pensarne un’altra. Ad esempio “Ah ma la Francia ci vuol dominare” oppure “Ah ma il nostro Nord ha interessi strutturali con la Germania” oppure “Ah ma gli US non ce lo faranno mai fare” o anche “Ma perché dar retta a questi inciuci tra Macron e Draghi che odiamo cordialmente?” fino a quei pazzerelli che dicono “Ah no, buona idea ma va allargata a tutto il Mediterraneo”. Tutti costoro non hanno idee diverse dalle mie e da quella in oggetto, sono in categoria diverse, economiche, ideologiche, finanziarie, sottodotate culturalmente, contingenti, idealistiche, possiamo discuterne per anni ma mai ci intenderemo perché parliamo di cose diverse, che partono da presupposti diversi, in ambiti diversi, con logiche diverse.
Firmare un patto su quindici cartelle che diranno tante belle cose ma nessuna concreta, a vaghi fini di “amicizia privilegiata” può sembrar poco. Ma a chi scrive, invece, dicono che le idee hanno radici o meno e se hanno radici hanno potenzialità di germogliare e poi fiorire. In tempi di desertificazione del pensiero e dell’azione politica, non è poco.
[Il mio primo articolo sul tema, altri ne seguirono: https://pierluigifagan.wordpress.com/…/leuro-nostrum/…]

Mali e Libia: “Meno elezioni, più etnografia e ciascuno troverà il proprio rendiconto”, di Bernard Lugan

Considerazioni illuminanti, per altro già ribadite, di Bernard Lugan a proposito di Mali e Libia. A maggior ragione per l’Italia, visto il suo crescente coinvolgimento in posizione gregaria in questa area così prossima e strategica, sia dal punto di vista geografico che da quello dell’approvvigionamento energetico e dei flussi migratori. Lasciamo perdere, per il momento l’intreccio di relazioni economiche, altrettanto importanti, ma improponibili in condizione di guerra endemica. Un coinvolgimento in particolare al fianco della Francia, in chiara difficoltà in tutta l’area, con l’aggiunta clamorosa dell’Algeria. La Francia, appunto, un paese “fratello-coltello” che non ha esitato a sferrare un colpo distruttivo, ai danni dell’Italia in Libia, pensando di subentrarvi, in realtà aprendo ulteriori varchi a Turchia e Russia. Si ritorna sul luogo del delitto riproponendo la visione manichea di imposizione della “democrazia” in un contesto che richiede altre modalità di ricomposizione delle fratture; in caso di temporaneo e formale successo non farà che rendere endemica la condizione di guerra civile. Dobbiamo rassegnarci ai “successi” dei profeti dell’Occidente? Buona lettura_Giuseppe Germinario
Un breve comunicato stampa riassuntivo per fissare un punto fermo. Dal 2011 nel caso della Libia, e dal 2013 in quello del Mali – vedi i resoconti dei numeri di Afrique Réelle e i miei comunicati stampa – , lavorando solo sull’unico reale, annuncio ciò che accadrà a livello globale in entrambi i paesi. In tutta umiltà, i fatti sembravano darmi ragione:
1) In Mali siamo in presenza di due guerre, quella dei Tuareg al nord e quella dei Peul al sud. In entrambi i casi, la questione non è primariamente religiosa perché l’islamismo è solo la superinfezione di ferite etno-razziali millenarie. Nel nord la chiave del problema è detenuta da Iyad Ag Ghali, storico leader delle precedenti ribellioni tuareg. Quest’ultimo è però da tempo sostenuto dall’Algeria, come lo confermano i recenti incontri che ha appena avuto con i servizi algerini.
Fin dall’inizio, non dovremmo, come ho costantemente suggerito, arrivare a un’intesa con questo leader Ifora con cui abbiamo avuto contatti, interessi comuni, e la cui lotta è identitaria prima di essere islamista? Per ideologia, rifiutando di prendere in considerazione le costanti etniche secolari, coloro che fanno la politica franco-africana consideravano al contrario che fosse lui l’uomo da massacrare… Molto recentemente, il presidente Macron ha ordinato ancora una volta alle forze di Barkhane di eliminarlo. E questo proprio nel momento in cui, sotto il patrocinio algerino, le autorità di Bamako stanno negoziando con lui una pace regionale…
Anche il conflitto nel sud (Macina, Liptako e la cosiddetta regione dei “Tre Confini”) ha radici etno-storiche. Tuttavia, lì si svolgono due guerre. Uno è l’emanazione di grandi frazioni dei Fulani e il suo insediamento avverrà parallelamente a quello del nord, attraverso un negoziato globale. L’altro, su base religiosa, è guidato dallo Stato Islamico.
L’errore francese è stato quello di globalizzare la situazione quando era imperativo regionalizzarla. In tal modo :
1) Parigi non ha voluto vedere che l’EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) e l’AQIM ( Al-Quaïda per il Maghreb islamico ) hanno obiettivi diversi. L’EIGS, che è attaccato a Daesh, mira a creare in tutta la BSS (Sahelo-Saharan Band), un vasto califfato transetnico che sostituisca e includa gli attuali Stati. Dal canto suo AQIM essendo l’emanazione locale di grandi frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, ovvero i Tuareg a nord e i Peul a sud, i suoi capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Peul Ahmadou Koufa, hanno principalmente obiettivi locali e non sostengono la distruzione degli stati del Sahel.
2) Parigi non ha voluto vedere che, il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per il BSS, ucciso dalle forze francesi, ha cambiato radicalmente i dati del problema. La sua eliminazione diede autonomia al Tuareg Iyad ag Ghali e al Peul Ahmadou Koufa. Dopo quelle degli “emiri algerini” che avevano a lungo guidato Al-Qaeda nella SSB, quella di Abdelmalek Droukdal ha segnato la fine di un periodo, al-Qaeda non più governata da stranieri, da “arabi”, ma da “regionali”. “. Tuttavia, questi capi regionali hanno obiettivi etnoregionali radicati in un problema millenario nel caso dei Tuareg, laico in quello dei Peul. La mancanza di cultura dei leader francesi ha impedito loro di vederlo. Da qui l’attuale impasse. Tuttavia, avrebbero potuto pensare a ciò che scrisse il Governatore Generale dell’AOF nel 1953: “Meno elezioni e più etnografia, e ognuno troverà qualcosa di suo gradimento ” …
Tuttavia, per i leader francesi, la questione etnica è secondario o addirittura artificiale. Lo “specialista” che mi era succeduto all’EMS di Saint-Cyr Coëtquidan dopo che ne ero stato licenziato, non aveva paura di dire e scrivere che l’approccio etnico è un “c…. “. Con tale formazione in superficie, i nostri futuri capisezione furono quindi costretti a prepararsi alla loro proiezione nella BSS con la lettura clandestina del mio libro Les guerres du Sahel des origines à nos jours , opera costruita appunto dai corsi che tenni al L’Ecole de Guerre e l’EMS prima della mia cacciata…
2) In Libia dove la questione è prima di tutto tribale – e non etnica -, e dove la guerra insensata ispirata da BHL ha portato allo scioglimento delle confederazioni tribali, quindi nell’anarchia, ho spiegato fin dall’inizio che la soluzione risiede nella ricostruzione del sistema politico-tribale un tempo costruito dal colonnello Gheddafi. Inoltre, non ho mai smesso di sostenere che l’unico che può rimetterlo insieme è Seif al-Islam Ghedhafi, suo figlio. Per un semplice motivo: attraverso suo padre, fa parte delle alleanze tribali della Tripolitania, e attraverso sua madre, di quelle della Cirenaica. Attraverso di essa può quindi rinascere l’ingranaggio tribale su cui poggia tutta la vita politica del Paese. Tutto il resto è solo un’artificiosa patina politica europea-centrica.
Secondo alcune fonti, Seif al-Islam Gheddafi, sostenuto dal Consiglio tribale, starebbe valutando di candidarsi alle prossime elezioni. Dove e quando potrebbe annunciare la sua candidatura? Dalla Libia o da un paese del Maghreb?

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan .

Perché le rivolte in Medio Oriente falliscono?_ Di  Hilal Khashan

Perché le rivolte in Medio Oriente falliscono?

I governi della regione hanno escogitato un sistema per schiacciare qualsiasi seria richiesta di cambiamento.

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Le rivolte del 2010-11 contro i regimi arabi autocratici hanno sbalordito il mondo. Gli oligarchi al potere nella regione erano noti per reprimere sistematicamente anche le più piccole manifestazioni di malcontento pubblico. Quando la rivolta in Tunisia si è verificata nel dicembre 2010, si è diffusa quasi istantaneamente, dal Marocco sull’Oceano Atlantico al Bahrain sul Golfo Persico. Commentatori politici stupiti hanno parlato dell’ascesa della tigre sunnita dormiente e dell’alba della democrazia in tutta la regione. Ma l’euforia non durò a lungo. Il Deep State arabo, con la sua macchina di coercizione e la sua rete di alleati locali, ha represso le proteste e schiacciato ogni tentativo di rovesciare i regimi. L’ingerenza straniera e la mancanza di una visione condivisa da parte degli attivisti arabi hanno anche contribuito a garantire che i disordini pubblici non avrebbero minacciato la sopravvivenza del regime.

primavera araba
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Macchinario di coercizione

Tra gli anni ’30 e ’60, organizzare un colpo di stato di successo in Medio Oriente era relativamente facile. Anche un piccolo gruppo di ufficiali dell’esercito potrebbe rovesciare un regime; avevano solo bisogno di comandare truppe sufficienti per impadronirsi del palazzo presidenziale o reale, del ministero della difesa e del ministero delle comunicazioni per controllare le articolazioni del sistema politico. In Iraq ci sono stati sei colpi di stato negli anni ’30, uno (un fallito golpe filo-nazista) nel 1941 e molti altri negli anni ’50 e ’60. La Siria ha visto tre colpi di stato nel 1949 e più negli anni ’50 fino al 1970. L’Egitto e la Libia hanno avuto rispettivamente un colpo di stato nel 1952 e nel 1969.

Ma nel 1970, l’era della sovversione del governo terminò, tranne che in Sudan, che subì un colpo di stato nel 1989. I governanti militari arabi avevano finalmente imparato come prevenire i tentativi di rovesciamento rafforzando la loro presa sull’esercito e sulla società. In Egitto, gli ufficiali che organizzarono il colpo di stato del 1952 istituirono il Consiglio del Comando Rivoluzionario sotto la guida di Gamal Abdel Nasser. Negli anni successivi divenne più sofisticato, adottando il titolo di Consiglio Supremo delle Forze Armate. In Siria, il presidente Hafez Assad ha epurato l’esercito e posto in posizioni di comando colleghi ufficiali alawiti, che controllavano le forze armate e nominavano funzionari leali per controllare il sistema politico. In Iraq, Saddam Hussein, salito al potere con un colpo di stato del 1968, ha eliminato brutalmente tutta l’opposizione all’interno del partito Baath al potere alla fine degli anni ’70 e ha fatto affidamento esclusivamente sul sostegno degli arabi sunniti della sua città natale di Tikrit per mantenere il controllo. Come altri governanti arabi, Saddam creò una forza speciale, chiamata Guardia Repubblicana, che divenne la componente più potente e fidata dell’esercito. In Libia, Moammar Gheddafi, che ha rovesciato la monarchia nel 1969, ha creato i reggimenti di Gheddafi per prevenire controcolpi e rivolte religiose militanti.

In Iran, dopo aver ispirato la Rivoluzione Islamica nel 1979, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini non si fidava dei militari e ordinò che i suoi massimi comandanti fossero giustiziati e molti altri licenziati. Khomeini mise in dubbio la lealtà dell’esercito, che aveva abbandonato lo scià dopo aver ucciso migliaia di manifestanti in quello che divenne noto come il Black Friday nel settembre 1978. Khomeini concentrò quindi la sua attenzione sulla formazione di un’unità d’élite delle forze armate chiamata Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica come così come la milizia Basij, un ramo dell’IRGC – entrambi responsabili della difesa del regime dalle minacce esterne e interne.

I governanti della regione avevano stretto un patto con la loro gente: il governo avrebbe provveduto ai bisogni di base del pubblico in cambio della loro disponibilità a rimanere fuori dalla vita politica. Ai cittadini sono stati essenzialmente promessi alloggi a basso costo, alimenti di base sovvenzionati, cure mediche gratuite e istruzione attraverso il college. Coloro che non hanno accettato l’accordo, tuttavia, hanno subito una punizione severa. In questo modo, sono stati costretti a consentire ai regimi di mantenere il potere ultimo virtualmente incontrastato.

I regimi repubblicani arabi hanno anche stabilito solide alleanze interne per aiutare a contenere eventuali disordini potenziali. In Siria, Hafez Assad ha cooptato la classe imprenditoriale sunnita a Damasco e Aleppo e ha dato loro mano libera nella gestione dell’economia. Ha messo sunniti in posizioni di governo di primo piano, anche se sotto l’occhio vigile dei lealisti alawiti. Suo figlio Bashar ha portato avanti la sua eredità, cooptando le tribù arabe sunnite nella regione di Jazeera per tenere a bada i curdi e dare legittimità al suo regime. Ha anche liberalizzato l’economia siriana e ha collaborato con la classe imprenditoriale sunnita. In Egitto, il presidente Hosni Mubarak ha permesso alle forze armate di essere coinvolte nell’economia. La firma degli accordi di Camp David nel 1978, la fine della guerra con Israele e l’assassinio del presidente Anwar Sadat da parte delle truppe dell’esercito rinnegate convinsero Mubarak a occuparsi dell’esercito con questioni economiche per evitare che tramasse per rovesciarlo. Anche in Arabia Saudita, il regime ha chiuso un occhio davanti agli ufficiali che intraprendono opportunità di affari e guadagnano commissioni. In Iran, gli ayatollah hanno gareggiato con la business class dei bazar senza sfrattarli dal mercato. Hanno anche introdotto sussidi alimentari, anche se l’economia ha sofferto a causa delle sanzioni statunitensi.

Negli ultimi anni, tuttavia, la stagnazione economica della regione ha ridotto la gamma dei sistemi di welfare del governo per la maggior parte dei paesi del Medio Oriente, portando spesso a disordini pubblici. I regimi hanno compensato la loro ridotta capacità di provvedere alle loro popolazioni aumentando il loro uso di tattiche coercitive a livelli senza precedenti.

Paesi potenzialmente instabili
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Opposizione divisa

I leader autoritari della regione – siano essi repubblicani, monarchici o rivoluzionari islamici – hanno distrutto le società civili dei loro paesi, trovando varie giustificazioni per la loro repressione dell’opposizione. I leader arabi e iraniani hanno accusato le voci dissenzienti di agire per conto dell’imperialismo occidentale e del sionismo. Dopo la schiacciante sconfitta dell’Egitto nel 1967, Nasser represse tutte le critiche, affermando che nessun individuo dovrebbe distrarsi dagli sforzi per liberare il territorio occupato. In Iraq, Saddam ha ritratto i dissidenti sciiti come agenti iraniani. Poi, quando le milizie filo-iraniane hanno preso il potere dopo l’invasione statunitense nel 2003, hanno respinto le richieste dei sunniti di un equo accordo di condivisione del potere, definendoli agenti degli Stati Uniti, del sionismo e dei movimenti islamici radicali.

Allo stesso tempo, le forze di opposizione non sono riuscite a presentarsi come un blocco unito. In Iran, i riformisti articolano programmi diversi. In Iraq, coloro che chiedono il cambiamento attraversano lo spettro politico per includere comunisti, nazionalisti, gruppi arabi sunniti tradizionali e sadristi, sostenitori del religioso sciita anticonformista iracheno Muqtada al-Sadr. Sadr è in disaccordo con le milizie filo-iraniane, ma è anche attento a non inimicarsi Teheran, suggerendo che molti movimenti sciiti sono sostenuti dall’Iran.

Poco dopo l’inizio della rivolta siriana, i gruppi contrari al regime hanno iniziato a organizzarsi in Europa e in Turchia, tenendo numerosi incontri lì per cercare di concordare una nuova forma di governo per sostituire il regime di Assad, se fosse crollato. Alla fine, non sono riusciti a mettersi d’accordo su nulla. In Egitto, i movimenti che hanno partecipato alla rivolta per rovesciare Mubarak avevano poco in comune. Ciò ha spianato la strada ai militari per facilitare l’elezione del candidato dei Fratelli Musulmani Mohammad Morsi, in modo che potesse accelerare la sua eventuale estromissione. L’esercito era intenzionato a sbarazzarsi di lui, credendo che la sua visione del mondo fosse incoerente con la sua visione dell’Egitto. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha radunato tutti i movimenti della società civile contro Morsi nel luglio 2013 e lo ha rovesciato. Ha poi messo a tacere questi movimenti, ribellandosi ai liberali e ai laici.

Inizialmente, sembrava che la rivolta in Tunisia fosse l’unica riuscita negli stati arabi. A tempo debito, tuttavia, anche questo non è riuscito a innescare alcun vero cambiamento. Le forze politiche emerse nel Paese dopo la caduta del governo del presidente Zine El Abidine Ben Ali si sono rafforzate, togliendo spazio politico a Ennahda, primo partito a formare un governo dopo le proteste. Alla fine, la politica tunisina ha raggiunto un’impasse e il pubblico è diventato disincantato dalla politica di partito. Anche il presidente politicamente indipendente, Kais Saied, ha seguito un percorso che assomigliava a quello dei precedenti governanti autocratici.

Intervento Straniero

L’ultimo fattore che ha portato alla fine delle rivolte arabe è stata l’ingerenza straniera. In Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti erano allarmati dalla caduta di Mubarak e dall’ascesa della Fratellanza. Dopo che Morsi fu rovesciato, diedero ad Abdel-Fattah el-Sissi miliardi di dollari per sostenere il suo regime. In Siria, gli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti non volevano vedere il crollo del regime di Assad. In effetti, le loro politiche in Siria differivano poco da quelle di Russia e Iran, il cui sostegno ha assicurato che il governo di Assad rimanesse al potere. In Libia, gli attacchi aerei della NATO hanno distrutto la macchina militare di Gheddafi, ma l’ingerenza straniera di Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Turchia ha mantenuto il paese diviso e in subbuglio. Nello Yemen, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno contribuito a sconfiggere una rivolta e poi hanno intrapreso una guerra contro i ribelli Houthi, che inizialmente hanno abilitato prima di rivoltarsi contro di loro. Le probabilità sono che lo Yemen sarebbe scivolato nell’anarchia anche senza l’intervento straniero, ma i suoi vicini arabi hanno certamente aggiunto benzina sul fuoco. In Bahrain, la maggioranza sciita oppressa ha guidato una rivolta nel febbraio 2011, che è stata sedata dai sauditi. Hanno distorto le richieste di equità e giustizia dei bahreiniti presentandole come parte di uno stratagemma iraniano per destabilizzare il paese.

La regione è lungi dall’essere pronta per insurrezioni di successo e le comunità politiche con un senso di visione nazionale devono ancora emergere. La risoluzione dei problemi interstatali in sospeso della regione, come le questioni curda e palestinese, deve precedere qualsiasi cambiamento interno. Comprensibilmente, i paesi aspirano a usare le proprie capacità economiche e tecnologiche per esercitare la propria influenza. Tuttavia, l’ideologia politica avvolta nel determinismo religioso è una ricetta per perpetuare il conflitto e bloccare le prospettive di sviluppo economico e politico.

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Lo stato della questione del Sahara, di Bernard Lugan

Nel 1956, quando il Marocco riconquistò la sua indipendenza, doveva ancora completare la sua riunificazione territoriale. La sua sovranità infatti era stata ripristinata solo sulle due ex zone dei protettorati francese e spagnolo, il che significava che diverse province o parti del paese dovevano ancora essere recuperate. Al nord, Sebta, Melilla, le isole Jaafarin, al sud, Ifni, Tarfaya, Saquia el Hamra e Oued ad Dahab, tutto sotto la sovranità spagnola.

 

Il signor Allal el Fassi, leader del partito nazionalista lstiqlal (Indipendenza), era stato molto chiaro su questo argomento il 27 marzo 1956 quando aveva dichiarato che: “Finché Tangeri non sarà liberata dal suo status internazionale finché il deserti spagnoli del sud, finché il Sahara da Tindouf ad Atar, finché i confini algerino-marocchini non saranno liberati dalla loro tutela, la nostra indipendenza rimarrà zoppa e il nostro primo dovere sarà quello di continuare l’azione per liberare la patria e unificarlo. Perché la nostra indipendenza sarà completa solo con il Sahara”. A tal fine, il sultano Mohammed V aveva dato il suo sostegno allo svolgimento nel marzo 1956 del Congresso della Saquia el Hamra dove diverse migliaia di rappresentanti di tutte le tribù della regione avevano proclamato la loro marocchinità. Nel giugno 1956 il Rguibat imbraccia le armi e nel novembre 1957 praticamente tutto il Sahara spagnolo è sotto il controllo dell’ALN, ad eccezione di tre punti di resistenza: Villa Cisneros, El Ayoun (Laâyoune) e Cape Juby (Capo Bojador, Boujdour). Questo sviluppo della situazione ai confini dell’Algeria, dove l’esercito francese stava combattendo l’FLN algerino, non poteva lasciare indifferente lo stato maggiore francese ed è per questo che, insieme alle autorità spagnole, fu deciso un intervento congiunto nel febbraio 1958. Fu Operazione Swab che ha cambiato i dati dei problemi nel Sahara Occidentale perché le tribù più impegnate nella lotta per l’attaccamento della regione al Marocco sono poi andate in esilio in territorio marocchino. Tuttavia, questi rifugiati erano al centro del problema della creazione delle liste elettorali per il referendum sull’autodeterminazione nel Sahara occidentale. Nel 1962, il re Hassan II chiese al Comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite di inserire Ifni e il Sahara occidentale nell’elenco dei territori da decolonizzare. Nel 1964 e nel 1965, l’ONU sostenne la rivendicazione marocchina e invitò la Spagna ad aprire immediatamente i negoziati. Il 20 dicembre 1966 l’Assemblea Generale chiese a Madrid di restituire l’area di Sidi Ifni al Marocco e di organizzare, sotto gli auspici dell’ONU, un referendum nel Sahara occidentale. La Spagna si arrese a Ifni nel 1969, ma la spinosa questione del Sahara occidentale rimase irrisolta. Il 23 luglio 1973, i presidenti Boumediene d’Algeria, Ould Daddah di Mauritania e re Hassan II si incontrarono ad Agadir per definire un piano d’azione comune sulla questione del Sahara occidentale. Durante questo vertice sono state espresse in pieno giorno le opposte posizioni del Marocco e dell’Algeria: – La posizione di Rabat è stata chiara: in cambio del riconoscimento dell’esistenza della Mauritania da un lato e del suo confine con l’Algeria dall’altro, Algeri e Nouakchott doveva sostenere il desiderio del Marocco di recuperare il “suo” Sahara. Il Marocco ha accettato l’autodeterminazione solo a condizione che il ballottaggio avvenga o al ritorno della regione al Marocco o al mantenimento dello status quo spagnolo. – L’Algeria, che voleva invece uno “Stato sahariano” indipendente, vedeva nell’autodeterminazione un mezzo per ottenere questa indipendenza. Le soluzioni possibili erano quattro:
1) Attaccamento e integrazione in Marocco. 2) La divisione del territorio tra Marocco e Mauritania. 3) La costituzione di un’entità da definire sotto la triplice influenza di Marocco, Algeria e Mauritania. 4) La costituzione di uno Stato sahariano indipendente. Madrid ha applicato le risoluzioni Onu, in particolare quella relativa al referendum, ma in un senso non in linea con le opinioni marocchine.

Il 20 agosto 1974, re Hassan II si oppose ufficialmente al referendum indetto dalla Spagna perché, per lui, non c’era motivo di sottoporre al voto un territorio marocchino e ciò per staccarlo definitivamente dal Marocco. Quindi, il 17 settembre 1974, in questo contesto di situazione bloccata, il sovrano marocchino ha presentato la controversia marocchino-spagnola alla Corte internazionale di giustizia. Il 16 settembre 1975, quest’ultimo rese noto il suo parere: – Il Sahara occidentale non era una “terra nullius” al momento della sua colonizzazione da parte della Spagna poiché il territorio: – La Corte ha riconosciuto: “(…) l’esistenza, al tempo della colonizzazione spagnola, dei legami legali di fedeltà tra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale”. – La Corte ha ammesso: “(…) che le peculiarità dello Stato marocchino nascevano anzitutto dai fondamenti stessi del potere in Marocco, di cui il vincolo religioso dell’Islam e quello di fedeltà costituivano, più che la nozione di territorio, il due elementi fondamentali”. Legalmente in una posizione di forza, il re Hassan II cercò un modo per costringere il governo spagnolo a negoziare con lui. Ha quindi immaginato di riunire 350.000 volontari di cui 35.000 donne, in rappresentanza di tutte le province, regioni e città del Marocco, per coinvolgerli in una marcia pacifica verso il Sahara occidentale. Era la “marcia verde” che iniziò giovedì 6 novembre 1975 e che riunì diverse centinaia di migliaia di manifestanti in un’abbondanza di bandiere marocchine. Madrid ha accettato il fatto compiuto e il 14 novembre è stato firmato l’accordo tripartito Spagna, Marocco e Mauritania. Prevede la spartizione dell’ex colonia spagnola tra Marocco e Mauritania. In Marocco la parte settentrionale, cioè la Saquia el Hamra e in Mauritania la parte meridionale o Oued ad Dahab. Per il bene di una soluzione globale, il Marocco aveva quindi accettato di abbandonare la parte meridionale del Sahara occidentale alla Mauritania per allearsi con Nouakchott. La concessione, che era cospicua, fu però capita solo perché la Mauritania era diventata amica del Marocco. Tuttavia, l’Algeria e il Polisario cercarono di opporsi alla nuova situazione e nell’ex territorio spagnolo scoppiarono pesanti combattimenti. Nella zona marocchina l’esercito reale è riuscito a contenere gli assalitori ma non è stato lo stesso nel sud dove è stato surclassato l’esercito mauritano, cosa che ha costretto il Marocco ad intervenire. Per l’Algeria, infatti, non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica, chiudendo così tutti gli sbocchi del Sahara algerino a ovest e all’oceano. La sua politica era quindi semplice: contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano che ha il diritto di autodeterminarsi in modo da creare un mini stato sahariano sul quale Algeri potrebbe esercitare il controllo. di protettorato. Per raggiungere questo obiettivo, l’Algeria agisce in due direzioni: 1) Contestando l’accordo tripartito del 14 novembre 1975, non riconoscendo: “ai governi di Spagna, Marocco e Mauritania ogni diritto di disporre del territorio del Sahara e del destino di la sua gente; per questo considera nulla la Dichiarazione di Principi presentata dalla Spagna e non conferisce alcuna validità alle sue disposizioni”. (Lettera del rappresentante permanente dell’Algeria all’ONU, 19 novembre 1975. 2) Dare al Polisario i mezzi militari che gli permettano di condurre una vera guerra. Prima contro la Mauritania per destabilizzare il governo, poi, poi, contro il Marocco. Algeri ha beneficiato per la prima volta del sostegno spagnolo.

Madrid ha così denunciato l'”espansionismo marocchino” e ha avanzato l’idea dell’autodeterminazione del “popolo sahariano”. Poi, dopo la “Marcia Verde” e il ritiro spagnolo, l’Algeria è rimasta sola contro il Marocco. Poiché la sua azione politica e diplomatica non aveva avuto i risultati sperati, l’Algeria diede al Polisario i mezzi militari che gli mancavano e patrocinò una “Repubblica Araba e Democratica del Sahara” (RASD) che fu proclamata all’inizio del mese di febbraio 1976 e portò al fonte battesimale dell’Algeria, il cui interesse regionale era triplice: politico, economico [2] e strategico [3]. Per Algeri non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica e chiudesse così tutti gli sbocchi dal Sahara algerino all’oceano. La sua politica era quindi quella di contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e di sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano avente diritto all’autodeterminazione, in modo da creare un mini-stato sul quale potesse esercitarsi. sorta di protettorato. Il 25 ottobre 1977 un’azione spettacolare del Polisario portò al rapimento di ostaggi europei a Zouératen in Mauritania e il Marocco si trovò costretto ad intervenire per evitare il crollo dell’esercito mauritano. Il 10 luglio 1979, un colpo di stato rovesciò il presidente mauritano Mokhtar Ould Daddah che fu sostituito dal colonnello Ould Mohamed Salek. Pochi giorni dopo, al 16° vertice dell’OUA tenutosi a Monrovia, la Mauritania ha fatto sapere che si stava dissociando dal suo alleato marocchino e ha votato una risoluzione che chiede un referendum nel Sahara. Poi, il 5 agosto 1979, ad Algeri, alla presenza di quattro ministri algerini, fu firmato un accordo di pace in base al quale la Mauritania abbandonò ufficialmente la parte del Sahara che occupava, ovvero l’Oued ed Dahab ribattezzato Tiris El Gharbia. Di fronte a quello che considerava un rischio di esca, il Marocco ha poi fatto sapere che il territorio abbandonato dalla Mauritania era storicamente parte del regno marocchino. L’11 agosto l’esercito marocchino ne prese possesso e il 14 agosto i rappresentanti delle tribù di Oued ed Dahab giunsero a Rabat per giurare fedeltà al re Hassan II. Il Sahara occidentale era tornato completamente marocchino, ma le tensioni con l’Algeria, retrobase del Polisario, non cessarono mai. Inoltre, nel 1980, il Marocco decise di costruire un muro lungo 2700 chilometri proteggendo il territorio dai raid motorizzati lanciati dal Polisario dall’Algeria, che consentirono all’esercito marocchino di riprendere l’iniziativa sul terreno. La questione del Sahara occidentale è stata ancora una volta fortemente risolta nel 2020 e nel 2021. Nel febbraio 2020, durante il 33° vertice dell’Unione africana (ULA), e quando era appena stato investito alla guida dell’Algeria, il sig. Abdelmadjid Tebboune, è chiaramente in linea con la continuità della politica algerina nei confronti del Sahara marocchino. Poi, il 9 e 10 febbraio 2021 al vertice dell’Unione africana tenutosi ad Addis Abeba, il suo presidente, il sudafricano Cyril Ramaphosa. Questo fermo sostegno della RASD e del Polisario si è basato sul capo della Commissione per la pace e la sicurezza dell’UA, il diplomatico algerino Smail Chergui, anch’egli impegnato nella causa della RASD, per cercare di bloccare i progressi diplomatici. degli interessi marocchini. Per il sostegno della RASD e del Polisario c’era davvero un’emergenza, la RASD avendo visto il suo appoggio sciogliersi come neve al sole. Infatti, ancora riconosciuto da 70 Stati membri delle Nazioni Unite alla fine del XX secolo, la RASD è oggi riconosciuta solo da 24, di cui 12 in Africa, ovvero Algeria, Angola, Botswana, Nigeria, Etiopia, Mozambico, Mauritania, Namibia, Sudafrica , Uganda, Tanzania e Zimbabwe. All’interno dell’UA, il Marocco ha un forte sostegno.

Per la cronaca, nel novembre 1985, il regno si ritirò dall’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) quando questa organizzazione riconobbe ufficialmente la RASD. Nel 2017, dopo 3 decenni di assenza, il Marocco è tornato nell’UA insieme a una politica africana attiva illustrata dagli importanti tour del re Mohammed VI nel 2016 e nel 2017 [4]. Nel tentativo di silurare la diplomazia marocchina, all’inizio del 2021, nell’estremo sud del territorio marocchino, il Polisario ha tagliato la strada che collegava il Senegal e la Mauritania al Mediterraneo prima di essere respinto dall’esercito marocchino. Poiché il Polisario ovviamente non ha agito di propria iniziativa, era chiaro che l’Algeria l’aveva ingaggiato per testare la volontà marocchina. Tanto più che il 27 febbraio 2021, ampiamente riportato dall’APS, l’agenzia di stampa ufficiale algerina, il Polisario ha celebrato il 45° anniversario della RASD in una cornice direttamente ereditata dalle celebrazioni marxiste degli anni 70. Totalmente emarginato, il Polisario, una sorta di cumulo di testimonianze delle lotte antimperialiste di un tempo, sarebbe poi sopravvissuto solo grazie allo stillicidio dei servizi algerini.

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Le ragioni della crisi franco-algerina, di Bernard Lugan

L’Algeria ha appena richiamato per consultazione il suo ambasciatore a Parigi, poi ha deciso di chiudere il suo spazio aereo agli aerei francesi  per i rifornimenti di Barkhane. La ragione? Semplice calcolo elettorale o vera e lodevole consapevolezza, il presidente Macron che, fino ad allora, parlava della colonizzazione come di un “crimine contro l’umanità”, ha sorprendentemente solo mostrato “viriltà” denunciando il cuore del “Sistema” che pompa la sostanza dell’Algeria dal 1962 Due punti della dichiarazione presidenziale hanno letteralmente ulcerato i leader algerini:

1) I predatori che governano l’Algeria sopravvivono attraverso uno squarcio di memoria mantenuto da una falsa storia.

2) L’esistenza dell’Algeria come nazione è discutibile poiché è passata direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Tuttavia, i vertici di Algeri non denunciano mai il primo.

Il presidente Macron leggerebbe dunque il mio libro Algeria, la storia al posto , un libro inviato all’Eliseo in occasione della pubblicazione del deplorevole “rapporto Stora”, e in cui la falsa storia algerina è smantellata in dieci capitoli? Si potrebbe davvero pensarlo poiché, l’Algeria vive effettivamente al ritmo di una falsa storia sostenuta da un’associazione di sanguisughe, l'”Organizzazione nazionale dei Moudjahidines” (ONM), i “veterani”. Tuttavia , come ha affermato l’ex ministro Abdeslam Ali Rachidi, “tutti sanno che il 90% degli ex combattenti, i mujaheddin , sono falsi” (El Watan, 12 dicembre 2015). Ho così dimostrato, sempre nel mio libro, che i mujaheddin erano in realtà cinque volte meno degli algerini che combattevano nelle file dell’esercito francese.

Nel 2008, Noureddine Ait Hamouda, vice RCD (Raggruppamento per la cultura e la democrazia), si è spruzzato questo falso storico e il mito dei 1,5 milioni di morti causati dalla guerra di indipendenza. Una cifra che tutti gli algerini seri considerano del tutto fantasiosa, ma che permette al “Sistema” di giustificare il numero surrealista di vedove e orfani, ovvero 2 milioni di titolari della tessera mujaheddin e beneficiari, tra cui ¾ sono falsi…
Questi falsi mujaheddin che vivono della rendita commemorativa nata dalla falsa storia, beneficiano del 3° bilancio dello Stato, subito dietro a quelli dell’Istruzione e della Difesa. Perché, “originalità” algerina , e contrariamente alla legge naturale che più si avanza nel tempo, meno c’è gente che ha conosciuto Abd el-Kader…, in Algeria, invece, più passano gli anni, e più il numero degli “ex combattenti” aumenta… Così, alla fine del 1962-inizio 1963 , l’Algeria aveva 6.000 mujaheddin identificati, 70.000 nel 1972 e 200.000 nel 2017…

Come guardare in faccia la storia quando, in Algeria, a sei decenni dall’indipendenza, si ottiene ancora la tessera di ex mujaheddin sulla semplice dichiarazione di immaginari “fatti d’armi”? Il motivo è che i suoi titolari così come i loro beneficiari ricevono una pensione statale, beneficiano di prerogative, godono di prebende e hanno privilegi. Questa carta permette anche di ottenere una licenza taxi o alcolici, agevolazioni di importazione, in particolare auto esentasse, riduzioni del prezzo dei biglietti aerei, agevolazioni creditizie, posti di lavoro riservati, possibilità pensionamento, avanzamenti più rapidi, priorità abitative ecc.
In queste condizioni, qualsiasi messa in discussione della falsa storia porterebbe alla rovina dei prebendiers e alla morte del “Sistema”. Per questo i leader algerini si sono sentiti direttamente presi di mira dalle affermazioni del presidente Macron.
 
La situazione economica, sociale, politica e morale in Algeria è così catastrofica che migliaia di giovani senza speranza tentano l’avventura mortale dell’haraga , la traversata del Mediterraneo. Quanto al “Sistema”, totalitario e impotente allo stesso tempo, messo alle strette dalla strada in un vicolo cieco, è a bada. Ridotto a espedienti e basse manovre, per cercare di creare un diversivo, per questo, completamente diplomaticamente isolato e tagliato fuori dalla sua stessa popolazione, ordinò una doppia offensiva, sia contro il Marocco, da qui la rottura delle relazioni diplomatiche con Rabat ( vedi il numero di ottobre di Real Africa) e contro la Francia. Una corsa suicida a capofitto.

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Il contenzioso tra Algeria e Marocco_di Bernard Lugan

La quasi totalità delle classi dirigenti e del ceto politico africani hanno esaurito da tempo il grande credito acquisito con le lotte di liberazione dalla colonizzazione protrattesi sino agli anni ’70. Hanno tentato la costruzione di stati nazionali sul modello illuministico-occidentale prescindendo dalla realtà clanica e tribale che nel continente, tranne un paio di significative eccezioni, aveva impedito la costruzione di una qualche forma statuale. L’implosione del blocco sovietico ha messo completamente a nudo i limiti di questi tentativi di costruzione fondati su una limitazione geografica arbitraria dettata dal retaggio amministrativo e geopolitico coloniale; ha spinto le classi dirigenti autoctone dominanti a rifugiarsi sempre più apertamente di volta in volta nella logica tribale, nella distribuzione parassitaria delle rendite, nella riproduzione di forme di dipendenza neocoloniale. La classe dirigente algerina per alcuni decenni si è conquistata sul campo ed ha goduto del maggior prestigio politico tra i popoli africani; ha saputo mettere a frutto le rivalità ed il contrasto di interessi tra i paesi europei, in primo luogo tra Francia e Italia, e la benevolenza interessata degli Stati Uniti e della Unione Sovietica per conquistare l’indipendenza prima e ottimizzare le rendite da idrocarburi e da metano. Due fattori strategicamente importanti ma che non sono stati sufficienti, da soli, a costruire uno Stato ed una nazione. Il tempo, per altro, non pare offrire una seconda possibilità visto il progressivo esaurimento delle risorse energetiche. L’Algeria è diventata alla fine uno dei tanti drammatici fattori di crisi e di instabilità nell’area mediterranea e subsahariana che non tarderà a riverberarsi inesorabilmente anche sull’Italia sia per la posizione geografica che per la dipendenza energetica del Bel Paese, ostaggio da troppo tempo di una classe dirigente talmente amorfa, smarrita ed ottusa da dilapidare il patrimonio di credibilità ed autorevolezza acquisita negli anni ’60 e ’70 con Mattei e seguito. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La crisi che ha covato tra Algeria e Marocco da parecchi anni, è scoppiata clamorosamente il 24 Agosto 2021quando Algeri ha annunciato la rottura unilaterale delle sue relazioni diplomatiche con Rabat. Poi il 22 settembre, in un’escalation politica, il governo algerino ha deciso di chiudere il suo spazio aereo agli aerei marocchini e a tutti
quelli registrati in Marocco.
Questa rottura tra i due paesi è una semplice tensione che annuncia una grande contrattazione regionale, o potrebbe essere l’esatto opposto, considerata come una vigilia
del ricorso alle armi?
In Algeria, dove nulla è detto chiaramente, tutto si basa sul non detto. Or dunque,
a fine agosto il ministro degli Esteri algerino si è lasciato sfuggire il vero motivo della crisi, dichiarando che la disputa algerino-marocchina risale all’anno 1963. Nella “guerra delle sabbie ”, quindi che ha opposto i due paesi e che ha visto una vittoria militare marocchina. Un’umiliazione che ancora perseguita Algeri.
Il cuore del problema è proprio quello dei confini tra le due nazione. Per creare l’Algeria, un paese che non è mai esistito, la Francia infatti ha smembrato il Marocco su tutto il suo confine orientale, rimuovendo diverse regioni storicamente marocchine, che siano Tindouf, Gourara, Tidikelt e altre, come spiegato e mappato in questo numero.
A questo si aggiunge la questione del Sahara occidentale, immensità strappata al Marocco dalla colonizzazione spagnola. Tuttavia, per i marocchini, questa è la loro “Alsazia-Lorena”,
mentre gli algerini vorrebbero la creazione di uno “Stato Saharawi” a loro asservito e che vieterebbe al Marocco di avere una linea costiera di diverse migliaia di chilometri da Tangeri nel nord sino al confine con la Mauritania a sud.
Hubert Védrine, ex capo della diplomazia francese ha riassunto brillantemente la questione dicendo che: “(…) il contenzioso del Sahara è un affare nazionale per il Marocco e un affare di identità per l’esercito algerino “.
Affare di identità, anzi, tanto più dell’attuale capo di gabinetto algerino, il generale Saïd Chengriha, ex comandante della Terza Regione Militare, quella che ha per cuore il Tindouf, esattamente di fronte al Marocco, il quale nutre un’avversione risaputa nei confronti dei suoi vicini marocchini. Quanto alle sue simpatie per il Polisario non occorre cercare ulteriori conferme.
Ad un’Algeria “senza sbocco sul mare”, infossata in questo mare chiuso che è il Mediterraneo, risulta insopportabile prendere atto che il Marocco al contrario, dispone di un immenso fronte marittimo oceanico tale da aprire il regno al “mare aperto” atlantico e all’Africa occidentale. Mai l’Algeria accetterà di ammettere questa realtà geostrategica. È lì il fondo del problema.
In queste condizioni, il rischio è che, messa alle strette dai suoi colossali problemi interni, l’Algeria, paese in bancarotta dopo essere stata saccheggiata coscienziosamente dai suoi dirigenti dal 1962, decida una fuga in avanti suicida a capofitto verso l’uso delle armi.

Bernard Lugan.

COLPO DI STATO A TUNISI. L’EGITTO TORNA IN GIOCO, LA LIBIA TREMA. GLI USA TORNANO ALLA RAGIONE. di Antoniodicechedice_di Antonio de Martini

COLPO DI STATO A TUNISI. L’EGITTO TORNA IN GIOCO, LA LIBIA TREMA. GLI USA TORNANO ALLA RAGIONE.

di Antoniodiceche

TRA APPLAUSI COMPLIMENTI E QUALCHE IPOCRISIA SI DELINEA IL PROSSIMO DECENNIO.

Proprio ieri ho rilasciato una intervista di un’ora a “ ITALIA E MONDO” in cui sostenevo che a Tunisi c’era stato un colpo di stato in piena regola ( durante il fine settimana, con coprifuoco ed esautoramento di ogni potere che non fosse quello presidenziale, con l’appoggio dell’Esercito) e che fosse ispirato dall’Egitto che segna così il suo ritorno sulla scena del MENA ( Middle East and North Africa) dopo otto anni passati a leccarsi le ferite della ” Primavera araba”.

http://italiaeilmondo.com/2021/08/02/tunisia-vicina-e-lontana_con-antonio-de-martini/

Nemmeno a farlo apposta, il Presidente egiziano ABD EL FATTAH AL SISSI – lo riferisce il ministro degli Esteri algerino LAMDANE LAMAMBRA, citato dal JERUSALEM POST e da REUTER Canada– domenica ” full support for Tunisian President KAIS SAIED“.

L’esperienza insegna che quando un capo di Stato approva l’operato di un collega in tempo reale significa che erano già d’accordo. E in questo caso, ad essere d’accordo era anche il Ministro degli Esteri Algerino e gli USA visto che la REUTER ( Canada mi raccomando) era , provvidenzialmente, sul posto.

Sempre secondo la tradizione, MOHAMMED LASSAAD DAHECH ha sostituito il presidente dellaTV pubblica, destituito dall’incarico, assieme ad un buon numero di altri dirigenti.

Il coprifuoco é stato in un primo tempo fissato in dieci ore quotidiane e poco dopo , come segno di calma già acquisita, accorciato di tre: ora si sta a casa dalle 10 alle 17 e se sono previsti divieti assoluti di riunioni all’aperto e al chiuso, la ragione addotta é….il COVID19 che imperversa.

Sono stati fatti anche arresti di due Deputati del partito AL KARAMA -alleato di ENNAHDA e filo islamista anch’esso- previamente spogliati dell’immunità: MAHER ZID e MOHAMMED AFFES.

Il segretario del partito – Seifeddine Makhlouf – ha spiegato che sono a disposizione della giustizia militare ( segno che saranno imputati di sostegno alla guerriglia che imperversa nella zona del passo Kasserine), mentre il deputato YASSINE AYARI del piccolo movimento ” Speranza e Lavoro” é stato arrestato per aver criticato il Presidente della Repubblica.

L’abile RACHID GHANNOUCHI – leader di ENNAHDA e protegé della Francia- temendo evidentemente sorte analoga, sì é fatto ricoverare in ospedale dove era stato ricoverato il mese scorso per COVID- ( é anche presidente della Camera) in una intervista all’Agenzia ufficiale francese AFP ha lamentato “la mancanza di dialogo e avvertito che in mancanza di un accordo sulla formazione del nuovo governo ” inviteremo il popolo tunisino a difendere la sua democrazia”. Poi, al giornale saudita “AL ARABIYA”ha soggiunto che il ritorno della violenza in Tunisia minaccia l’Europa. Più chiaro di così…

Tra gli arrestati, non poteva mancare anche un giudice: BASHIR AKREMI, accusato di contiguità con la guerriglia per aver “tenuto nel cassetto” dei dossier riguardanti islamisti. L’accusa proviene ” da gruppi che si occupano di diritti umani”.

Intanto il Presidente, infaticabile, ha chiamato al telefono tutte le banche invitandole a ridurre immediatamente i tassi di interesse, pubblicato un elenco di 125 tunisini che si sarebbero illecitamente arricchiti – con tanto di cifre accanto a ciascun nome – inviandoli a restituire spontaneamente quanto rubato a pena di imprigionamento.

Poi, deposta la cornetta e nominato un suo consigliere responsabile del ministero dell’interno( prima nomina fatta dopo tante destituzioni) l’ha impugnata per rassicurare il Presidente algerino, ABD EL MAJID TEBBOUNE – collaborano assieme contro la guerriglia transfrontaliera nella zona di Kasserine- che ” La Tunisia é sulla via di ristabilire la democrazia e il pluralismo e che presto saranno prese importanti decisioni”. Il solerte presidente algerino ce lo ha confidato su Facebook.

La telefonata più lunga é stata quella con JAKE SULLIVAN Consigliere per la sicurezza nazionale ( NSC)che per una buona ora ha confermato la fiducia nella Democrazia Tunisina e saldezza delle sue istituzioni esprimendo ” Swift return to Tunisia democratic path” e la solite amenità di circostanza.

Nella realtà, gli unici preoccupati per la situazione tunisina sono i libici: é un chiaro monito di come andrà a finire a casa loro se la situazione non si stabilizzerà con le prossime elezioni, ma a questo proposito é entrato a gamba tesa il Presidente turco TAJIP ERDOGAN che in un lungo colloquio con Presidente del Consiglio Nazionale libico MOHAMMED MENFI ha confermato la necessità di “stringere i legami tra i due paesi” a questa uscita ha fatto eco il generale KHALIFA BELKASIM HAFTAR che ha inneggiato “al golpe – pardon al colpo – inferto ai Fratelli mussulmani”.

Solidarietà tra militari.

Il Nord Africa, da Porto Said a Orano é, finalmente, nuovamente sotto controllo – tripoli tra poco- che scongiurano per i loro paesi, l’avvento di fanatici islamisti che, al massimo, potranno sfogarsi un pò in Europa.

Tunisia vicina e lontana_con Antonio de Martini

L’area mediterranea si sta riconfermando focale nelle dinamiche geopolitiche. Sta attirando nuovamente l’attenzione e le bramosie di potenze di ogni taglia e di qualche ambizione. Non lo fosse, sarebbe comunque la prossimità della quale dovrebbe occuparsi attivamente la classe dirigente appena avveduta di un paese come l’Italia, posto al suo centro geografico. Non è purtroppo così e lo è sempre meno in quest’ultimo ventennio. Dopo il disastro della Libia, la complicità fallimentare in Siria, l’impegno al seguito altrettanto incolore e disastroso in Iraq, Afghanistan, la prossima avventura in Mali le polveri si sono riaccese in Tunisia. Non solo manchiamo di ogni iniziativa, ma rifuggiamo dagli spazi e dagli inviti pressanti offerti dai protagonisti del grande gioco, in primis gli Stati Uniti, così attivi ma sempre più riluttanti a partecipare sul campo in prima persona. Lo hanno compreso tutti ormai. Una ignavia della quale il paese pagherà un prezzo sempre più salato, sacrificando il patrimonio acquisito con secoli di relazioni più o meno pacifiche, ma quasi sempre proficue. Non siamo soli lungo questo percorso, ma non è un’attenuante. L’Italia lo sta perseguendo nel silenzio, la Francia con la sua connaturata prosopopea. Farà più rumore di noi nella caduta, ma il fondo è simile. Antonio de Martini sembra inizialmente girare troppo al largo del problema; si è rivelato al contrario il modo migliore per centrare chiaramente le questioni. Buon ascolto_Germinario Giuseppe

https://rumble.com/vkn2jj-tunisia-vicina-e-lontana-con-antonio-de-martini.html

 

 

PEGASUS: Una manovra antimarocchina e antifrancese?_di Theatrum Belli

Nei giorni scorsi è apparsa anche sui quotidiani italiani la notizia di una azione di spionaggio condotta dai servizi marocchini ai danni di personaggi politici europei, in particolare francesi; tra di essi il Presidente Macron. Come al solito, nessuna analisi critica del lancio informativo. Qui sotto un articolo pubblicato da Theatrum Belli, una rivista digitale collaterale ad ambienti militari francesi. Giuseppe Germinario

Il Marocco è accusato di essersi infiltrato nei telefoni di personaggi pubblici marocchini e stranieri, tramite software informatici Primo fra tutti il ​​cosiddetto affare Pegasus e le accuse mosse il 18 luglio 2021, in particolare dal sito di estrema sinistra Forbidden stories (che come il suo nome non indica è un sito francese che significa “storie proibite” ) e vecchi nemici del Marocco come Amnesty International o Mediapart, invita a una prima riflessione. Vale a dire che lo spionaggio è vecchio quanto il mondo e che più di recente non c’è stato un tale clamore quando gli Stati Uniti, gli israeliani, i cinesi, i tedeschi oi russi sono stati coinvolti in attività terroristiche spionaggio contro leader francesi o di altro tipo. Ad esempio, i servizi degli Stati Uniti (in particolare, la National Security Agency ) si sono recentemente affidati ai cavi di telecomunicazioni danesi per spiare i leader europei ( France Info , 31 maggio 2021). Il caso Jonathan Pollard ha rivelato che Israele ha usato una spia per spiare i leader statunitensi…

Saremmo quindi tentati di dire “molto rumore per nulla”. Tanto più che in questo caso non è proprio niente visto che, secondo molti esperti, siamo in presenza di una manovra anti-marocchina, volta a destabilizzare questo Paese ea ledere l’eccellenza dei rapporti franco-marocchini. Perché ci si può chiedere se anche la Francia non sia vittima di questa campagna che avvantaggia solo gli avversari, i concorrenti ei nemici dei nostri due paesi. In ogni caso, il Marocco ha reagito condannando energicamente il persistere di una campagna mediatica falsa, massiccia e maligna contro di esso e sporgendo denuncia. 

Una manovra anti-marocchina?

Infatti, leader politici come il presidente della Commissione Affari Esteri, Difesa e Forze Armate del Senato, Christian Cambon , hanno denunciato il 21 luglio 2021 una ”  campagna di stampa diffamatoria volta a destabilizzare il Regno del Marocco”.

Il presidente Cambon aggiunge: ”  quando si fanno delle accuse, bisogna assumersi la responsabilità delle prove … fino a prova contraria, queste sono solo storie che si trascinano regolarmente “siamo nell’assurdo. Anzi, è chiaro che queste accuse sono montaggi, e quindi non abbiamo prove, e fino ad ora non ne avevamo mai avute  ”.

Dal canto suo, la senatrice di Parigi, Catherine Dumas , ha messo in dubbio, lo stesso giorno, una certa disinformazione che circola: ”  Sappiamo benissimo che tutto questo non avviene per caso “.

Madame Catherine Morin-Desailly, vicepresidente del gruppo di amicizia Francia-Marocco ed ex presidente della Commissione Cultura e Comunicazione del Senato, sottolinea che Internet è diventato un “nuovo terreno di confronto globale dove forze oscure, paesi che non vogliono che i buoni rapporti di eccellenza tra Marocco e Francia possano interferire per trasmettere accuse. Secondo il senatore, ”  bisogna essere estremamente sospettosi della manipolazione delle forze esterne  “.

Bernard Squarcini, ex capo dell’intelligence interna francese (DCRI, ora DGSI) ha dichiarato alla radio Europa 1 di non “credere troppo” alle accuse contro il Marocco. Secondo Squarcini, “E’ (un’accusa) troppo facile. Il Marocco è partner della Francia”.

Le autorità marocchine non hanno mai cessato di esigere prove in merito alle accuse mosse contro il Regno; questa è anche la posizione di diversi esperti internazionali che chiedono a Forbidden Stories e agli accusatori del Marocco di fornire prove a sostegno delle loro accuse.

Così, la giornalista investigativa americana, Kim Zetter, è sorpresa sul suo account Twitter ( @kimZetter ) per la mancanza di fonti per Forbidden Stories . Denuncia anche il trattamento di alcuni media. Il ricercatore di criptovalute Nadim Kobeissi osserva che le prove di Amnesty International e Fordidden Stories sono “quasi inesistenti” ( @Kaepora ). L’esperta di sicurezza informatica norvegese Runa Sandvik, capo della sicurezza informatica del New York Times , rileva “incoerenza”  nelle accuse riportate dai media e Forbiden StoriesAnnota sul suo account Twitter ( @runasand ) che “Quindi nessuno sa, finora, da dove provenga la lista da cui è stato fabbricato lo scandalo del Progetto Pegasus per attaccare il Marocco, in particolare”.

Come proclamato dall’avvocato francese del Marocco che ha sporto denuncia in Francia contro le due associazioni all’origine del caso, “degli accusatori, gli stessi responsabili di questo progetto e gli stessi media di Forbidden Stories diventano gli accusati. . Se insistesse, il loro silenzio sulle prove di ciò che affermano confermerebbe la loro colpevolezza”. Me Olivier Baratelli ha quindi rilasciato due citazioni dirette per diffamazione contro Amnesty International e Forbidden Stories. L’avvocato ha precisato che lo Stato marocchino “desidera che si faccia luce sulle false accuse di queste due organizzazioni che avanzano elementi senza alcuna prova concreta e dimostrata”.

Basta vedere chi è in linea contro il Marocco per capire che c’è un complotto. I gruppi di estrema sinistra (trotskisti, comunisti) che sono ben organizzati e che controllano in parte associazioni di propaganda come Amnesty International o Forbidden Stories odiano particolarmente il Marocco che, durante la Guerra Fredda, si è schierato chiaramente con il Mondo Libero. , è una monarchia e guida, sotto la guida del re Mohamed VI, una dinamica politica africana.

È anche chiaro che la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità del Marocco sul suo Sahara ha creato tensioni con i nemici del Regno, in primo luogo il regime algerino.

Una manovra antifrancese?

Tutto ciò spiega l’instancabilità mirata di alcuni media e gruppi politici francesi nei confronti del Marocco. Infatti, questi noti agitatori agiscono contro la Francia e secondo un’agenda estera anche se una certa stampa impegnata può trasmettere pettegolezzi e accuse non provate mentre Marocco e Francia affrontano molte sfide, in particolare sul piano di sicurezza e sulla lotta contro terrorismo, che sono più importanti dei corridoi rumorosi.

Come ha nuovamente affermato il presidente della Commissione Affari Esteri, Difesa e Forze Armate del Senato: “Il  Marocco è un partner strategico e siamo grati che l’azione, sotto la guida di Sua Maestà il Re, ci porti nel Sahel, dove la Francia è molto coinvolto e cerca di combattere il terrorismo e il jihadismo che hanno fatto tanti danni. Apprezziamo molto il supporto molto efficace fornitoci dal Marocco  ” .

Quello che dicono molti esperti e osservatori imparziali è che la Francia è nel mirino del rimbalzo. Conosciamo i legami tra i servizi tedeschi e certi ambienti di sinistra, convertiti in ambientalisti, che conducono una lotta accanita contro il nucleare francese e non perdono occasione per pugnalarci alle spalle. Ma non sono gli unici. Questo caso arriva mentre il Marocco sta negoziando importanti acquisti di armi e ovviamente questo non servirà gli interessi francesi.

Sappiamo bene che il Marocco è un partner essenziale della Francia, che sa di essere uno Stato serio e competente nella lotta al terrorismo.

Is fecit cui prodest

Conosciamo il vecchio adagio giuridico secondo cui il criminale è colui al quale il delitto avvantaggia ( Is fecit cui prodest). È quindi necessario scoprire chi beneficia del crimine per trovare il colpevole. In questa materia, diversi piccoli gruppi militanti e stati hanno interesse a cercare di avvelenare le relazioni franco-marocchine e attaccare il Marocco o la Francia, o entrambi.

Tra i piccoli gruppi ci sono ovviamente quelli dell’estrema sinistra che nutrono un vero e proprio odio verso il Regno del Marocco. Non stupisce quindi che la vicenda sia lanciata da movimenti vicini a questi ambienti e largamente ripresi da alcuni media sempre pronti a fare una brutta partita contro Rabat.

Anche i venditori di armi industriali degli Stati Uniti, di Israele o di paesi meno importanti come l’Italia hanno interesse ad aggiungere benzina sul fuoco nel tentativo di minare la cooperazione franco-marocchina. Gli Stati Uniti di Biden hanno dimostrato quanto poco apprezzino la Francia durante il recente tour europeo di Biden nel giugno 2021, dove ha incontrato tutti coloro che contano (Vladimir Putin, Boris Johnson, la regina d’Inghilterra, Angela Merkel) ma non il presidente francese Emmanuel Macron. Sappiamo anche che gli Stati Uniti sono un importante venditore di armi in Marocco e che non vedono di buon occhio la presenza francese in questo Paese e, più in generale, in Africa.

L’Italia dal canto suo punta a vendere le fregate antisommergibili FREMM al Marocco e Fincantieri (sostenuta dal governo italiano) non dispiacerebbe vedere il suo concorrente francese Naval Group escluso dal mercato come è avvenuto recentemente in Indonesia ed Egitto.

Se la Spagna social-sinistra (il PS locale è alleato con i radicali del PODEMOS) di Sanchez non ha ovviamente i mezzi per infastidire profondamente i suoi vicini marocchini e francesi, non è questo il caso della Germania che è in delicatezza con il Marocco e che non perde occasione per danneggiare una Francia che considera, dopo la Brexit britannica, l’unico concorrente nell’Unione europea. In ogni caso, questo caso mostra che la Francia è vittima quanto il Marocco di queste accuse infondate. Se, come sottolinea Pierre Razoux su Les Échos del 23 luglio : “C’è preoccupazione tra i marocchini verso una parte dell’élite francese sospettata di benevolenza verso i fratelli musulmani e l’islam politico e quelli considerati troppo vicini agli ambienti algerini” , va detto che né il governo francese né il governo marocchino vogliono che le cose si deteriorino tra i due paesi.

Naturalmente, il regime algerino non ha mancato di sfruttare le accuse dei suoi amici di estrema sinistra contro il Marocco. Algeri ha anche avuto il coraggio di “condannare questo  inammissibile  attacco sistematico alle libertà fondamentali”. Per fortuna, questa vicenda arriva quando le relazioni tra i due Paesi sono state particolarmente tese nelle ultime settimane a causa dei maggiori aiuti del regime algerino ai separatisti del Polisario , delle innumerevoli provocazioni anti-marocchine e mentre Algeri richiamava il suo ambasciatore a Rabat a causa della disputa sul Sahara marocchino. Certo, Algeri – la cui politica è molto ambigua – non vede bene la solidità dei legami tra i servizi di intelligence francesi e marocchini, in particolare nella lotta al jihadismo nel Sahel.

In ogni caso, il Marocco è ancora una volta al centro di una telenovela che è “fantascienza”. Va ricordato che questo stesso consorzio di testate ha raccolto, nel luglio 2020, informazioni da Amnesty International secondo cui il cellulare di un giornalista – condannato il 19 luglio a sei anni di reclusione per aver messo in pericolo la sicurezza interna dello Stato – aveva stato infettato da Pegasus. Ma questa falsa informazione non è stata corroborata da alcuna prova…

Rischieremmo di aspettare a lungo – e invano – le prove di Forbidden Stories e Amnesty International in questo nuovo caso se non fosse per la denuncia presentata a Parigi, a nome del Marocco, poiché le associazioni coinvolte ( Amnesty International e Forbidden Stories ) hanno, come fa notare Olivier Baratelli, “dieci giorni, secondo la legge del 1881 sulla libertà di stampa, per fornire le prove che hanno o che non hanno”. 

Deve essere chiaro che i media avrebbero interesse a verificare informazioni prive di prove e di elementi tangibili, prima di pubblicare qualsiasi cosa sulla semplice fede di associazioni impegnate e con obiettivi loschi il cui obiettivo è sabotare i rapporti di buon vicinato che il Marocco mantiene con alcuni paesi compresa la Francia. 

André BENOIST

https://theatrum-belli.com/pegasus-une-manoeuvre-anti-marocaine-et-anti-francaise/

la convivenza difficile tra israeliani e palestinesi_con Gabriele Levy

Cambiano le modalità nel corso dei decenni, ma la natura conflittuale dei rapporti tra israeliani e palestinesi rimane senza soluzione di continuità. Ci sono state occupazioni di terre, opportunismi e tradimenti, conflitti endemici e confronti drammatici dietro una solidarietà di facciata ed una aperta ostilità. La gran parte delle scelte politiche, una volta consolidato lo Stato di Israele, non hanno certo preparato ad una soluzione che non sia una tregua. Il problema essenziale è che sino a quando la realtà politica ed istituzionale palestinese non troverà una corrispondenza accettabile con quella socioeconomica difficilmente potrà sorgere un attore sufficientemente autorevole da poter sostenere uno scontro politico e geopolitico così aspro con la necessaria autonomia e una chiarezza di obbiettivi che renda possibile alla obbligata convivenza nella vita quotidiana quella politica ed istituzionale capace di dare espressione ad un popolo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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