LA GUERRA COME POLITICA DEGLI USA a cura di Luigi Longo

LA GUERRA COME POLITICA DEGLI USA

a cura di Luigi Longo

La distruzione dei territori siriani, in particolare della provincia di Idlib, da parte degli USA, tramite le diverse sigle dei Jihadisti, non si ferma. Si va dall’attacco chimico ad Idlib da parte del gruppo Tahrir as-Sham (il nuovo nome di Al Nusrah) per addossare la colpa al governo di Damasco con pronta dichiarazione del Dipartimento di Stato statunitense che vede i“ […] segnali che il regime di Assad potrebbe ripetere il suo uso di armi chimiche, incluso un presunto attacco di cloro nella Siria nord-occidentale la mattina del 19 maggio 2019 […] Stiamo ancora raccogliendo informazioni su questo incidente, ma ripetiamo il nostro avvertimento: se il regime di Assad usa armi chimiche, gli Stati Uniti e i nostri alleati risponderanno rapidamente e in modo appropriato […] la colpevolezza del regime di Assad negli orribili attacchi di armi chimiche è innegabile”. Alla distruzione di migliaia di ettari di grano per affamare la popolazione (la risorsa grano come arma di guerra) ad opera dell’Isis con l’intervento dell’ONU (a servizio degli Stati Uniti d’America) che insinua la mano del governo di Assad dietro i campi di grano bruciati.

L’obiettivo statunitense è l’asse Iran-Siria come configurazione di una potenza regionale egemone nel Medio Oriente (a danno dei loro sicari israeliani) da sottrarre all’area di influenza russa e cinese sempre più in coordinamento tra di loro. Sullo sfondo il conflitto tra le potenze mondiali per l’egemonia: gli USA per un dominio monocentrico, la Russia e la Cina per un dominio multicentrico.

Per quanto sopra riporto l’articolo di Leone Grotti, Siria. L’Isis brucia i campi di grano e affama la popolazione di Idlib apparso su www.tempi.it del 11/6/2019 e una sintesi dell’intervista rilasciata da Noam Chomsky curata da Salvo Ardizzone con il titolo Chomsky spiega l’ostilità degli USA verso l’Iran uscita su www.ilfarodelmondo.it del 12/6/2019.

 

 

 

SIRIA. L’ISIS BRUCIA I CAMPI DI GRANO E AFFAMA LA POPOLAZIONE DI IDLIB

Leone Grotti

 

La Stampa spiega come i jihadisti utilizzano il cibo come «arma di guerra». Ma l’Onu porta avanti la sua guerra dell’informazione e accusa in modo surrettizio l’esercito di Bashar Assad

 

 

La provincia siriana di Idlib è controllata da decine di migliaia di ribelli e jihadisti. Eppure, quando le Nazioni Unite hanno dato settimana scorsa la notizia che «migliaia di ettari di campi» di grano sono stati bruciati, ha accusato dei generici «combattenti». L’Onu ha aggiunto poi che la zona interessata è quella dove il governo di Bashar Assad appoggiato dalle truppe russe sta attaccando. L’insinuazione su chi stesse utilizzando il cibo come «arma di guerra» era evidente.

 

È L’ISIS A BRUCIARE I CAMPI

 

Oggi, a una settimana di distanza, l’inviato a Beirut della Stampa, Giordano Stabile, racconta però un’altra storia. Non è il regime di Assad che affama volontariamente la popolazione, ma l’Isis. Scrive Stabile:

«All’inizio gli incendi sono stati collegati all’offensiva governativa lanciata alla fine di aprile nella provincia di Idlib. Un giornale critico con il regime come «Asharq al-Wasat» ha scoperto però che il grosso degli incendi è stato applicato da gruppi jihadisti che volevano impedire ai contadini di vendere il raccolto al governo. Damasco offre 185 lire siriane per ogni chilo di frumento, un prezzo allettante. La reazione è stata spietata. Secondo «Asharq al-Wasat» nel mese di maggio fra i 15 mila e i 20 mila ettari di campi coltivati a cereali sono andati in fiamme nelle zone controllate dai ribelli e dai curdi»

 

GUERRA DELL’INFORMAZIONE

 

Il conflitto siriano è entrato nel suo nono anno e la provincia di Idlib è l’ultima roccaforte jihadista in Siria. Ma l’Onu e la comunità internazionale non sembrano stanchi di pubblicare notizie false o tendenziose per orientare l’opinione pubblica a riguardo. I jihadisti non si fanno scrupoli ad affamare la popolazione di Idlib su cui esercitano ancora il controllo pur di protrarre la guerra. I civili usati come scudi umani sono una triste realtà a Idlib.

Eppure un’importante fetta della stampa mondiale e degli organi internazionali continuano a difendere in modo inspiegabile ribelli e terroristi islamici. Persino il Washington Post, che non è mai stato tenero con Assad, ha riportato le testimonianze di contadini che si sono visti i campi bruciati dall’Isis solo perché hanno osato vendere il proprio grano al governo per guadagnarsi da vivere. In Siria è cominciato l’ultimo capitolo di una guerra estenuante, ma la guerra dell’informazione non accenna a finire.

 

 

 

CHOMSKY SPIEGA L’OSTILITÀ DEGLI USA VERSO L’IRAN

a cura di Salvo Ardizzone

 

Noam Chomsky, il noto storico e filosofo americano, spiega che gli Usa sono ostili verso l’Iran perché non possono accettare uno stato indipendente in Medio Oriente. In un’intervista, Chomsky ha dichiarato che l’establishment e i media Usa considerano la Repubblica Islamica il Paese più pericoloso del pianeta perché sostiene i movimenti della Resistenza come Hezbollah e Hamas.

Secondo la narrazione bugiarda di Washington, l’Iran è una doppia minaccia, perché sarebbe il principale sostenitore del terrorismo e i suoi programmi nucleari costituirebbero una minaccia esiziale per Israele, una minaccia talmente grave da aver costretto gli Usa a posizionare un sistema antimissile sui confini russi per proteggere l’Europa dalle (inesistenti) testate nucleari iraniane, malgrado non si comprenda come e perché la leadership della Repubblica Islamica avrebbe dovuto lanciare un simile attacco, dando agli Usa l’opportunità d’incenerirla un attimo dopo.

Chomsky ha denunciato la mistificazione statunitense, affermando che nella realtà il cosiddetto sostegno iraniano al terrorismo si traduce nel supporto dato a Hezbollah, il cui crimine principale è di essere il solo deterrente contro un’altra rovinosa invasione israeliana del Libano, e ad Hamas, colpevole di aver vinto una libera elezione nella Striscia di Gaza, un crimine che ha suscitato immediate e severe sanzioni, oltre ad aver portato gli Usa a tramare per scalzarla dal governo della Striscia.

Lo storico ha continuato affermando che le colpe principali per cui Hezbollah e Hamas sono considerate organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti, risiedono nella loro ferma opposizione all’espansionismo aggressivo del regime israeliano; i sionisti hanno sempre aspirato al Grande Israele, o Terra Promessa, che secondo Theodor Herzl si sarebbe dovuto estendere dal Nilo all’Eufrate, da buona parte della Turchia alla Penisola Arabica. Se non ci fossero stati i movimenti di Resistenza come Hezbollah o Hamas, i sionisti si sarebbero impadroniti di gran parte del Medio Oriente.

Riagganciandosi a questo, Chomsky ha spiegato che l’inconciliabile ostilità di Usa e Israele nei confronti dell’Iran sta nel fatto che essi non possono tollerare una potenza indipendente in una regione che essi pretendono di dominare. Per questo la Repubblica Islamica non può essere perdonata per aver rovesciato il regime dittatoriale insediato da Washington nel 1953.

Lo studioso americano ricorda che allora un colpo di Stato ordinato dagli Usa e messo in atto dalla Cia ha rovesciato Mohammad Mossadeq, il Primo Ministro iraniano colpevole agli occhi dell’Occidente di voler nazionalizzare le risorse petrolifere dell’Iran e usarle per far progredire il Paese. Una colpa grave che ha spinto l’Inghilterra (allora padrona di quel petrolio) a chiedere l’aiuto degli Stati Uniti che diedero il via all’Operazione Ajax, ufficialmente ammessa dalla Cia 60 anni dopo; fu la fine della prima esperienza democratica in Iran e l’inizio del risentimento del Popolo iraniano verso le ingerenze americane.

Ma gli Usa non si limitarono a questo, Chomsky ricorda che per 26 anni Washington ha sostenuto Reza Pahlavi, un brutale dittatore che regnava torturando e uccidendo ogni oppositore grazie alla Savak, la sua polizia segreta. Tuttavia, malgrado il costante appoggio degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente al regime sanguinario, nel 1979 il Popolo iraniano, sotto la guida dell’Ayatollah Khomeini, è riuscito a far crollare il potere dei Pahlavi.

Nel descrivere la costante ostilità statunitense verso l’Iran, lo storico americano ha affermato che negli ultimi 60 anni non è passato un giorno senza gli Usa non si accanissero contro gli iraniani: a parte il colpo di stato ed il sostegno a un dittatore descritto nel peggiore dei modi da Amnesty International, dopo il rovesciamento di Pahlavi ci fu l’aggressione che Washington condusse attraverso Saddam Hussein; a causa di essa, nel corso di una guerra durata 8 anni, centinaia di migliaia di iraniani sono stati uccisi, molti di essi con armi chimiche, senza che nessuno protestasse.

Chomsky ha ricordato che gli Usa intervennero apertamente al fianco di Saddam Hussein, allora considerato uno strettissimo amico da Reagan, tanto che l’attacco iracheno all’Uss Stark, che causò la morte di 37 marinai Usa, fu seguito solo da un blando richiamo. Saddam era un dittatore utile per gli Usa ed essi tentarono anche d’incolpare l’Iran per le stragi di curdi che egli commise con i gas. Più tardi, George Bush padre invitò negli Stati Uniti ingegneri nucleari iracheni per formarli alla produzione di ordigni nucleari che minacciassero l’Iran senza “sporcare” Washington. E naturalmente, ha continuato lo studioso, Washington è stata la causa prima e determinante delle sanzioni contro l’Iran, che nei fatti gli Usa mantengono ancora oggi.

Nella sua analisi Chomsky ha denunciato la retorica anti iraniana di Trump, che critica l’Iran ma si accosta ai peggiori regimi repressivi; mentre egli compiva il suo viaggio in Medio Oriente, la Repubblica Islamica ha tenuto le sue elezioni, evento impensabile nell’Arabia Saudita che l’ospitava, il Paese che è la fonte del wahabismo che avvelena la regione e il mondo islamico. Ma non è solo il Presidente ad essere ostile all’Iran, lo è tutta l’Amministrazione in quanto espressione dell’establishment.

Nel descrivere l’Arabia Saudita, il maggior alleato mediorientale degli Usa e nemica giurata dell’Iran, Chomsky l’ha descritta come una dittatura brutale e repressiva, dove i diritti umani vengono calpestati, ma un luogo dove Trump si sente a proprio agio. A Riyadh, il Presidente americano ha stipulato accordi per 320 Mld di dollari, essenzialmente enormi forniture di armi per la felicità dell’industria degli armamenti, ma le conseguenze immediate sono state il via libera agli “amici” sauditi a continuare le loro atrocità in Yemen, e ad isolare il Qatar, colpevole di voler essere troppo indipendente.

Ancora una volta è principalmente l’Iran il motivo: il Qatar condivide con la Repubblica Islamica un enorme giacimento di gas naturale ed intrattiene con essa rapporti commerciali e culturali, cosa intollerabile per i sauditi (e per gli Usa).

Nella sua analisi Chomsky ha tratteggiato le ragioni profonde dell’irriducibile ostilità che gli Usa hanno verso l’Iran, e i tanti crimini che nel corso di sessant’anni hanno perpetrato nei confronti del Popolo iraniano per tentare di dominarlo; un atteggiamento che permea l’establishment statunitense e che è praticamente impossibile sradicare. Un atteggiamento a cui si somma la dichiarata inimicizia di Israele, che vede nella Repubblica Islamica e nella Resistenza che essa sostiene i suoi peggiori nemici, coloro che gli sbarrano la strada al dominio della regione, e che minacciano l’esistenza stessa dell’entità sionista e il permanere della sua occupazione della Palestina.

 

 

SALAMINA A ROVESCIO SUL 28° PARALLELO_Antonio de Martini e Pierluigi FAGAN

 

Salamina a rovescio di Antonio de Martini

 

Quasi mezzo millennio prima di Cristo, l’imperatore SERSE I organizzò una spedizione al confine estremo del regno.

I greci, che all’epoca erano il LIMES, si coalizzarono contro il gigante asiatico avanzante.

Temistocle , dopo aver incassato una sonora batosta sul mare, si arroccò dietro l’isolotto di Salamina -come Leonida alle Termopili dove un gruppetto di spartani tenne in scacco le fanterie persiane e vendette cara la pelle- e si sistemò a difesa.

Con la stessa tattica dieonida , nello stretto tra l’isola e il mare, Temistocle inflisse una battuta d’arresto alla flotta del gran re enormemente superiore e difficile da manovrare in spazi ristretti .

Facendo pagare ogni singola avanzata a caro prezzo, i greci guadagnarono tempo, fidando nella indisponibilità di Serse a restare troppo a lungo ai margini del suo impero a dar la caccia a quattro mangiatori di olive.

In caso di attacco USA , i persiani useranno la stessa tattica di Temistocle, tanto più che i due gruppi da battaglia della V e VI flotta , si sono già infognati in aree prive di spazi di manovra: il gruppo “Keasarge” ha superato lo stretto di Hormuz e si è inoltrato nella trappola.

Per uscire, dovranno passare a tiro anche di sasso dalle coste iraniane.

L’altro gruppo di battaglia ( sempre una portaerei ( Lincoln ) , una nave appoggio zeppa di Marines e patrioti che fanno la prima apparizione antiaerea da nave, più naviglio di scorta ) attende l’ordine di iniziare la lotta, ma è anch’esso incastrato nel mar rosso tra bab el mandeb e Suez.

A tiro dei guerriglieri houti e dei loro sofisticati droni.
Tutti a tiro di missile da entrambe le sponde che costeggiano.

Questo dispiegamento arrogante è la migliore garanzia che lo scontro non ci sarà. Nessuno è stupido fino a questo punto.

Si stanno impostando e propagandando incidenti veri e presunti – come quelli dell’articolo AP che ho allegato- , ma senza conseguenze, a meno di errori – voluti o no – di qualche zelota.

Le grida di allarme servono a condizionare i protagonisti politici e saggiare i tempi tecnici di reazione dell’avversario.

In caso di scontro reale i persiani, nel peggiore dei casi, affonderanno almeno una portaerei e naviglio minore, senza contare la pioggia di missili che lanceranno su Israele di cui – coi missili da Gaza nei giorni scorsi – hanno saggiato l’operatività del sistema anti missile Iron Dome.

Cinque anni fa, durante una manovra coi quadri nella zona del golfo persico tenutasi al Pentagono, i “ nemici” rappresentati da un ammiraglio in pensione noto per la sua indipendenza di giudizio, affondò ( coi barchini) quattro navi USA. Uno smacco per lo stato maggiore della Marina USA sia pure ad opera di un collega “ Maverick “.

Chissà se al presidente lo hanno detto.

 

 

ESTATE AL 28°N PARALLELO di Pierluigi FAGAN.

 

Il costante conflitto che accompagnerà la difficile transizione al mondo multipolare, sembra voler convergere nello spazio e nel tempo in un punto particolare dello spazio-mondo.

Da più parti, si nota che:

a) gli americani stanno dislocando una portaerei in direzione del Golfo Persico. Hanno già mosso altre navi da guerra, rifornito di bombardieri le basi intorno all’Iran, nonché disseminato batterie missilistiche ed anti-missilistiche. In più Bolton a Pompeo, non passano giorno senza qualche buona parola incendiaria verso l’Iran. Altri sostengono che in USA si nota grande fermento operativo pre-bellico ;

b) Trump annuncia ulteriori sanzioni all’Iran che si sommano alle precedenti, dopo aver ulteriormente stretto il cordone di divieto alle relazioni con l’Iran tra cui quelle italiane e greche prima permesse. Dopo aver del tutto isolato Teheran dagli europei, è ora la volta dei tre compratori di energie fossili iraniane ovvero Turchia, India e Cina. Gli iraniani hanno dato due mesi di tempo a gli altri firmatari del precedente accordo teso a bloccare lo sviluppo atomico dell’Iran, per dare segni di vita. In assenza di un chiaro atteggiamento di conferma dell’accordo che isolerebbe gli USA, Rouhani ha fatto sapere che riprenderà l’arricchimento dell’uranio, ma è molto probabile abbia già iniziato ;

c) infatti Israele segue Bolton e Pompeo annunciando di imminenti attentati sciiti tra Gaza ed obiettivi americani in Medio Oriente mentre l’Egitto ha bloccato petroliere iraniane a Suez;

d) davanti a gi EAU, qualcuno ha sabotato petroliere saudite che hanno preso fuoco;

e) Isis si ripresenta in Kashmir e nel sud del Pakistan a Gwadar, terminale della Via della Seta cinese, accendendo l’irredentismo del Belucistan. Anche lo Sri Lanka e lo stesso Kashmir rientrano nelle rotte logistiche della Via della Seta cinese. In Iran, invece, c’è un porto strategico per le proiezioni esterne dell’India.

Naturalmente torna di moda la classica minaccia di autoaffondamento di navi dismesse in un punto particolarmente basso dello stretto di Hormuz da parte iraniana che rappresenterebbe un Armageddon petrolifero-finanziario dalle conseguenze terribili per l’intera economia-mondo, in particolare asiatica.

Con Trump non si sa mai se sta a suo modo trattando e quanto è disposto ad andare fino in fondo se la trattativa non andasse all’esito sperato o se “questa volta è diverso”. Una cosa pare certa, come ogni estate, la temperatura dalle parti del 28° parallelo, tenderà a salire. Da seguire …

Lluch De Sa Font Infatti credo che la carta vincente sarà a giugno quando presenterà il suo piano di pace per la Palestina, in cui si dice verrà coinvolto Hamas e, se va in porto, sarà utile ad una rielezione. Certo che i potenti nemici che ha in casa e all’estero faranno il possibile per mettere i bastoni fra le ruote…

 

 

TROPPE TRUPPE MARISCIÀH di Antonio de Martini

 

(Trump ha comunque smentito la presenza e anche l’intenzione di schierare i 130.000 uomini a meno di una pesante provocazione dell’Iran, definendo una fake la notizia del NYT_A dire il vero gli attori locali interessati a trascinare gli USA in guerra sono però almeno due._ https://news.yahoo.com/trump-denies-planning-send-120-000-troops-counter-161151316.html?fbclid=IwAR3kizBenzZV93nvAV2HZiES4EC6i9BZkJETXExb0NEhMEWGgaaWNDRd2nM Giuseppe Germinario)

 

A partire dal 1991 resta impresso in mente un dato costante sull’esercito degli Stati Uniti: esiste una forza armata che potremmo definire “ territoriale “ e un’altra che chiamerei “ forza mobile” composta da 120/130.000 uomini che è il vero ferro di lancia dell’US Army.

La forza territoriale presidia e occupa basi e territori sfoggiando un apparato logistico impressionante e ben alimentato. Questa aliquota, in continua crescita, fa la parte del leone nel bilancio della Army.

Centinaia di basi nel mondo dove la forza aerea e la Marina possono contare di fare sosta, rifornimento o riposo. Da dove si può far partire una spedizione, ma di dubbia efficacia combattiva.

Lo sforzo strategico di tutti i presidenti che si sono succeduti da Eisenhower in poi è consistito nel cercare di erodere questa posta di bilancio a favore dell’aliquota “ combattente” da impiegare sul campo.

Obama aveva cercato di creare reparti speciali da aggiungere al “ corpo combattente” puntando sulla estrema specializzazione di 30.000 uomini in battaglioni capaci di operare a 360 gradi. Trump ha scelto diversamente.

Trump ha fatto la scelta di aumentare il bilancio in termini assoluti senza capire che la macchina finanziaria del Pentagono – di terra e di mare- non sarà mai sazia per definizione e assorbirà qualsiasi cifra venga stanziata perché la normale amministrazione è fatta così dappertutt: è onnivora.

Comunque la si giri, lo Stato Maggiore non riesce a mettere in campo più di 130.000 uomini realmente disponibili per il combattimento.

È il brillante corpo corazzato che ha vinto le due campagne irachene, ma si è rivelato incapace di domare gli Afgani nemmeno per un momento. Che lamenta di essere impantanato a Kabul e alla frontiera messicana. Che inizia a logorarsi in West Africa.

Oggi lo S.M. USA ha nuovamente messo a disposizione del Presidente questo contingente e lo ha bardato con due corpi di combattimento della marina e i missili antiaerei Patriots in versione navale, ma l’avversario Iran è un’altra cosa.

L’Iran, nella guerra 1980/88 contro l’Irak, ha perso settecentomila uomini senza batter ciglio e ha la natura e la storia e la geografia dalla sua parte.

Il suo territorio è vasto ( quasi sei volte l’Italia) e montagnoso quanto basta, il 60% della popolazione è nomade ad onta degli sforzi dello Scià Ali Reza per sedentalizzare gli abitanti.

Non può essere piegato dai bombardamenti come la Jugoslavia perché non ha industrie leader o grandi infrastrutture da abbattere; non può essere “ridotta allo stato pastorale,” perché lo è già in buona parte; non può essere parcellizzata perché è un paese di grande omogeneità culturale con minoranze sostanzialmente leali; dispone di via di fuga, non bloccabile, attraverso il Caspio. Con centotrentamila uomini possono dirigere il traffico, ma non invadere ne presidiare, ne condurre con successo uno sbarco dimostrativo.

Un bombardamento – anche agli impianti petroliferi- otterrebbe una doppia replica e nessun risultato.

Ha amici potenti ( Russia, Cina, Turchia, India) e nemici impopolari ( Israele) ; controlla il 30% flusso dei prodotti petroliferi destinati all’Europa.

Anche i peggiori avversari degli Ayatollah – come la casa imperiale rifugiatasi negli USA o qualche ex primo ministro parcheggiato a Parigi – si sono rifiutati di prendere parte al coro anti iraniano.

La comunità israelita all’interno ( presente con continuità da tremila anni) o la diaspora benestante di Francia e California all’estero ( da 40 anni) prenderebbero posizione contro ogni intervento mirante a destabilizzare un paese che da cinque secoli non ha mai attaccato nessun vicino.

Unici alleati degli USA i mujaheddin al Khalk – gli ex giovani comunisti del 1979 già nell’elenco USA delle organizzazioni terroriste – oggi “ graziati” e parcheggiati da Obama in Albania dopo aver organizzato qualche assassinio di “ scienziati atomici” che possono fare qualche sanguinoso attentato ma nulla di più.

Voler attaccare durante il Ramadan sarebbe il colmo della provocazione psicologica e dell’improntitudine.

A parte la rappresaglia contro Israele che metterebbe in crisi i rapporti interni agli USA, creerebbe una immediata reazione tra un miliardo e mezzo di mussulmani nel mondo e il braciere del focolaio afgano rischierebbe di estendersi al subcontinente indiano ( Pakistan e India mussulmana).

Alla Casa Bianca dovrebbero proprio decidersi a cambiare pusher.

NUOVE INFLUENZE, di Antonio de Martini

Ormai imminenti le elezioni in Israele e tutti sembrano collaborare affinché Netanyahu mantenga la sua posizione alla testa del governo.

L’Egitto, che accetta di acquistare sottomarini da Israele e addirittura dal solo Netanyahu, in maniera da sistemare una pericolosa inchiesta poliziesca a carico del Premier.

Trump, che interviene con la dichiarazione unilaterale che attribuisce le alture del Golan a Israele, in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite del 1967 .

l’Iran, contribuisce mettendo la sordina alle periodiche dichiarazioni apocalittiche anti Israele. Si è letteralmente azzittato e sta ritirandosi dalle zone della frontiera tra Siria e Israele.

Hamas che lancia un petardo ( “sette feriti”) che consente al Premier di assumere misure militari atte a oscurare la fama bellica del concorrente Ganz.

Più notevole ed efficace, Putin che si impegna in prima persona assieme al capo di SM russo Guérassimov, nella ricerca e ritrovamento delle spoglie del capo carro Zachary Baumel, caduto nella pianura della Bekaa ( territorio libanese controllato da Hezbollah) il 10 giugno del 1982 .

Questa operazione – che Netanyahu ha definito “ storica” non si sarebbe potuta concludere senza la collaborazione attiva di Hezbollah ( che ha rinunziato a contropartite e restituito le spoglie e gli effetti personali), dell’Esercito siriano (che ha recuperato il corpo ), dei militari russi ( che hanno consegnato le spoglie avvolte nella bandiera nazionale agli israeliani attraversando la frontiera).

Tanto coordinamento , in una zona in cui si sono sbranati tra loro fino a poche settimane fa, non è frutto di un improvviso attacco di umanità, ma rivela che sono in corso negoziati fruttiferi per tutti e che nessuno vuole cambiamenti tra gli interlocutori.

Anche i media hanno contribuito attirando l’attenzione sulla crisi di Libia dove nulla si è in realtà mosso.

Positivo, con ogni evidenza, il ruolo a tutti Azimuth della Russia in questa mediazione con tutte le parti in causa e che ha saputo mettere a frutto anche la massiccia presenza dei propri emigrati in Israele.

Intelligente la scelta di Assad che ha evidentemente deciso di dimenticare le oltre cento incursioni aeree sulla Siria
durante il recente conflitto ( opzione possibile solo grazie al fatto che non deve affrontare elezioni ne a breve ne a lungo termine).

Attendista la posizione turca che ha congelato il contenzioso coi curdi alla frontiera siriana ( e non ha preso la solita difesa di Gaza) rinunziando a irrigidimenti soldateschi che gli avrebbero potuto fruttare qualche votarello alle elezioni della scorsa domenica.

Un periodo di tregua politico e militare così corale in tutta l’area nel vicino Oriente non si registrava da decenni.

Resta a vedere se le speranze pre elettorali saranno onorate o faranno la fine di quelle che vengono solitamente fatte intravvedere a noi poveri mortali.

Nullo il ruolo dei sauditi, dell’Europa e degli inglesi in tutt’altre faccende affaccendati.

Saltati a piè pari il nostro contingente ( attorno al quale tutto si è svolto) e il Vaticano.
Eppure il traffico di spoglie mortali sarebbe una tradizionale specialità della casa.

TRUMP PRESTO A CANOSSA ?, di Antonio de Martini

Pochi commentatori enfatizzano che le recenti elezioni in Turchia erano meramente amministrative e nessuno ha spiegato cosa è successo realmente.
Hanno preferito raccontare di “ ridimensionamento” dell’ AKP il partito di Erdogan il tiranno.

Le cose non stanno così.

Alle elezioni politiche precedenti al tentato colpo di stato del luglio 2016 – di cui fui l’unico a prevedere data e protagonisti nel meno visto dei miei interventi su you tube- gli Stati Uniti decisero di non appoggiare il partito laico e kemalista ( CHP) per promuovere un più ossequiente cartello di curdi, omosessuali, halevi e minoranze varie convinti di riuscire a scardinare la maggioranza del partito di Erdogan a suon di dollari.

Ci riuscirono in buona parte facendogli perdere una settantina di deputati, subito rimpiazzati da una alleanza a destra, che assicurò ugualmente una maggioranza di governo.

Gli USA avevano rifiutato di appoggiare il partito kemalista – tradizionale avversario dei “ clericali” perché troppo nazionalista e non obbediente quanto un avvocaticchio di provincia che fu spacciato dai soliti media internazionali per un grande leader.

L’annunziata recessione turca nel 2017 ha segnato un +7,6% mentre noi saremmo in crescita al +0,2%……

Questa volta, mossi dalla disperazione per il golpe fallito di cui sono accusati e dalla lobby delle armi che vede con terrore l’apparire sul mercato del sistema antiaereo russo AS 400 che rischia di fare “l’en plein” come il mitra Kalashnickov che ha ottenuto oltre 90 % del mercato mondiale delle armi portatili, sono venuti a più miti consigli ed hanno accettato – in questa tornata sperimentale amministrativa- di non sostenere cartelli raccogliticci e la Turchia è tornata al bipartitismo che le è naturale.

Il famoso cartello democratico “ froci&co” è praticamente scomparso, lo stesso partito curdo si è ridimensionato, mentre i seguaci di ATATURK , che in politica estera sono sempre più spesso in armonia col presidente, hanno ripreso fiato e spazi politici.

A Ankara, La capitale creata da Ataturk , la borghesia impiegatizia è tornata a casa e eletto il candidato kemalista.

Sapendo che a Istanbul i contendenti erano testa s testa, Erdogan – ex sindaco – si è lasciato convincere a promettere la riconversione del museo di Santa Sofia in moschea.

Troppo poco per convincere i clericali estremi e troppo tard (48 ore) i per galvanizzare i seguaci.

Adesso i media che riprendono fedelmente i temi dei think tank americani, fingono speranzosi che Erdogan “ capisca e si riavvicini all’occidente”.

In realtà, il governo turco si irrigidirà , insisterà a polemizzare con gli USA, Cipro e Israele ( la Grecia, irritata dal flirt con gli israeliani, ha invece ufficialmente riconosciuto non meglio specificati “ diritti” turchi sui giacimenti dell’Egeo) , confermerà l’acquisto degli AS400 russi e appoggerà con maggior fermezza l’Iran nella sua lotta contro le sanzioni.

Il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha fatto un impietoso elenco delle contrastanti dichiarazioni americane sulla Siria e sulla Turchia, in pratica rendendo noto che ormai considerano interlocutore il solo Trump.

Se vuole esca allo scoperto e chiarisca di chi è amico e alleato nel Vicino Oriente, oppure salterà tutto il quadro strategico tra Il Cairo e Kabul.

Questo non lo ha detto, ma lo ha fatto capire chiaramente.
Il capo è stufo di parlare coi camerieri, anche se tedeschi.
E il CHP – che condivide già le scelte di politica estera di Erdogan potrebbe dargli ragione e entrare in coalizione.

Condizionando la collaborazione a un rinnovato sforzo verso la Unione Europea che potrebbero essere loro a gestire.

Ridislocamenti nel Vicino Oriente_traduzione di Roberto Buffagni

I documenti mostrano che gli  Stati Uniti stanno espandendo in modo massiccio la loro presenza presso la base aerea della Giordania tra screzi Turchia e Iraq

 

Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario

http://www.thedrive.com/the-war-zone/25955/docs-show-us-to-massively-expand-footprint-at-jordanian-air-base-amid-spats-with-turkey-iraq?fbclid=IwAR3zI3kGt38ssi7CDAA-gW7OsGq_vouy7lXathP3CV-743SSvz7Zr4V–3w

Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.

di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019

Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.

 

Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.

 

I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.

 

Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

Google Earth

A satellite image of Muwaffaq Salti Air Base as of May 2017.

USACE

An annotated satellite image of Muwaffaq Salti Air Base, showing the locations of the various planned upgrades.

Il piazzale attrezzato per gli aerovelivoli di quasi 28.000 mq. con annesso spazio di carico e scarico di 3700 mq., sarà abbastanza grande da ospitare fino a due aerei da carico C-17 Globemaster III e uno C-5 Galaxy contemporaneamente. Ciò consentirà il movimento di grandi quantità di personale, munizioni, carburante e altri materiali all’interno e all’esterno della base, il che sarebbe fondamentale per le operazioni aeree di lunga durata.

 

Muwaffaq Salti potrebbe anche fungere da punto di trasbordo, con squadre che trasferiscono il carico su aeromobili più piccoli, come il C-130 Hercules, per spostarsi verso altre sedi operative in altre parti della regione. I C-17 hanno anche la capacità di operare da piste di atterraggio non rinforzate. Il piano di costruzione degli Stati Uniti a Muwaffaq Salt comprende anche un “hot point” di carico  di quasi 26.000 mq. sul lato nord della base per lo scarico rapido e il caricamento di materiale da aerei in transito.

USAF

C-17s at an undisclosed location supporting US operations against ISIS in Iraq and Syria in 2018.

Nella parte meridionale della base, gli Stati Uniti prevedono anche di aggiungere un piazzale attrezzato 41.000 mq. per il recupero del personale e le operazioni speciali. Questo avrà spazi di parcheggio dimensionati per l’airlifter C-130J-30 di della misura maggiore, ma molto probabilmente sarà la sede di distaccamenti di operazioni speciali MC-130. Ci sarà anche spazio per quattro rotori inclinabili Osprey CV-22B.

 

Gli MC-130 dell’Air Force possono fungere da navi cisterna per i CV-22, contribuendo a estendere la loro portata e dando alle forze operative speciali la capacità di spostare rapidamente piccole unità e carichi da e verso i siti dispersi nella regione, o di appoggiare attacchi aerei su specifici obiettivi . Inoltre, gli Ospreys hanno un vantaggio di velocità rispetto agli elicotteri tradizionali, nonché varie contromisure elettroniche e altri sistemi di autodifesa e capacità di volo a bassissima quota (NOE), che consentono all’aereo di raggiungere rapidamente l’area obiettivo e ridurre la sua vulnerabilità alle difese ostili.

 

Come tali, i CV-22 in Giordania potrebbero essere chiamati per inserire rinforzi, esfiltrare i feriti o le forze sotto il fuoco, eseguire missioni di ricerca e soccorso (CSAR) e altre funzioni di recupero del personale. Il CASR è una considerazione particolarmente importante per le operazioni aeree sostenute e una in cui gli Stati Uniti hanno opzioni storicamente limitate nella regione. Ad esempio, al momento, le forze armate statunitensi hanno reparti in Kuwait, Iraq e Turchia per fornire quel tipo di capacità in Iraq e in Siria.

USACE

A more detailed breakdown of the personnel recovery/special operations forces apron, showing the C-130J-30- and CV-22-sized parking spaces.

Il cosiddetto grembiule “CAS / ISR” sarà di gran lunga la più grande aggiunta singola, coprendo quasi 125.000 mq. Ciò consentirà agli Stati Uniti di costruire tre dozzine di spot con rivestimenti protettivi e tettoie, tutti dimensionati per caccia F-15 o F-16, nonché pere gli aerei d’ attacco terrestre A-10. Ci sarà un altro piazzale con quattro spot per MQ-9 Reapers, oltre a più shelter chiusi, ciascuno in grado di ospitare due dei droni, anch’essi collegati a quest’area.

Sebbene descritto come CAS / ISR focalizzato per scopi di pianificazione edilizia, ciò darebbe agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare Muwaffaq Salti per estese operazioni di combattimento aereo. L’aereo che questo piazzale  può ospitare può eseguire pattugliamenti aerei di combattimento, interdizione e varie altre missioni.

USACE

A closer look at the CAS/ISR apron with the MQ-9 shelters at the top and additional parking spaces for those drones to the right.

Il dimensionamento degli spazi di parcheggio potrebbe consentire lo spiegamento di altri jet da combattimento, anche da servizi diversi dall’aeronautica militare statunitense, a seconda delle necessità. Nel settembre 2018, l’Air Force ha condotto uno schieramento temporaneo di caccia stealth Raptor F-22 dalla base aerea di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti a Muwaffaq Salti, insieme al personale di supporto in un aereo cisterna KC-10 Extender.

Questo è qualcosa che potrebbe diventare più comune e richiedere meno supporto esterno, con gli aggiornamenti dell’infrastruttura. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti gestisce anche una forza di risposta alle crisi terrestri con calabroni F / A-18C / D, tra gli altri velivoli, che potrebbero utilizzare le strutture ampliate.

The video below shows the F-22s from the Air Force’s 380th Air Expeditionary Wing deploying to an “undisclosed location” September 2018.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

USAF

A US Air Force F-16C Viper taxies at Muwaffaq Salti during the multi-national Falcon Air Meet in 2011.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

Sebbene l’Iraq sia stato citato come il paese più probabile per accogliere le unità che si ritirano dalla Siria, la Giordania potrebbe facilmente essere un’altra opzione, e già ospita una significativa presenza militare americana. Oltre a ciò, alcuni membri del parlamento iracheno erano irritati dal fatto che Donald Trump non si fosse incontrato personalmente con il primo ministro Adil Abdul-Mahdi durante la sua visita a sorpresa nel paese nel dicembre 2018.

 

I membri dell’attuale governo di coalizione in Iraq, che sta anche cercando di migliorare le relazioni con l’Iran, hanno richiesto un ritiro completo delle forze americane dal paese. Qualunque sia l’esito di questo particolare contrasto, esso potrebbe limitare la capacità delle forze armate statunitensi di utilizzare le basi in quel paese in futuro.

 

L’espansione di Muwaffaq Salti potrebbe ridurre la necessità di altre sedi operative regionali, che sono diventate negli ultimi anni sempre più politicamente insostenibili, in generale. Quando il piano generale divenne pubblico per la prima volta nel 2017, arrivò in un momento in cui c’erano anche preoccupazioni significative sulla continuità della base aerea di Al Udeid in Qatar, che è la più grande base aerea americana del Medio Oriente ed è stato un hub centrale per le operazioni nella regione e oltre per decenni. Puoi leggere di più su quanto sia vitale questa base per l’esercito americano qui.

Sfortunatamente, il Qatar rimane invischiato in un importante dissidio politico con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche e bloccato il paese economicamente. Tuttavia, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha firmato un memorandum d’intesa con i funzionari del Qatar per avviare piani per espandere significativamente Al Udeid, anche durante una visita nel paese il 13 gennaio 2019.

US Department of State

US Secretary of State Mike Pompeo, at center in suit, arrives in Qatar on Jan. 13, 2019.

“Siamo tutti piùforti quando lavoriamo insieme”, ha detto Pompeo in una conferenza stampa, in cui ha anche affermato che la disputa di quasi 20 mesi tra il Qatar e altri paesi della regione si è “trascinata troppo a lungo”. L’alto diplomatico è ora in Arabia Saudita e, tra le altre cose, probabilmente continuerà a sostenere una risoluzione della situazione.

 

Oltre a ciò, Muwaffaq Salti si trova a circa 1.000 miglia da Al Udeid, rendendolo mal posizionato per essere un sostituto di quella base. Sembra più probabile che la principale forza trainante dell’espansione in Giordania sia le tensioni a lungo latenti tra Stati Uniti e Turchia. Nonostante entrambi siano membri della NATO, entrambi i paesi si sono allontanati a causa di una serie di dispute, tra cui la decisione della Turchia di acquistare missili S-400 dalla Russia, i crescenti legami di Ankara con Mosca in generale, e il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi curdi in Siria, che le autorità turche considerano terroristi.

USAF

A-10 Warthog ground attack aircraft arrive at Incirlik Air Base in Turkey to support operations against ISIS in 2015.

 La Turchia e gli Stati Uniti sono anche coinvolti in una disputa su Fethullah Gülen, un ex alleato politico del sempre più dittatoriale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ora vive in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. Le autorità turche accusano Gülen di aver architettato un tentato colpo di stato del 2016 contro Erdoğan, ma gli Stati Uniti hanno finora negato, adducendo l’insufficienza di prove.

 

La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.

 

Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

 

 

Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.

 

Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in ​​Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.

 

…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.

 

Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri  sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.

 

 

Il Pendolo di Erdogan, di Antonio de Martini

Turchia: nuove grane con le FFAA. Due generali (Temel comandante delle Truppe operanti in Siria e Irak e Barut comandante la IV brigata Commandos) sono stati esonerati e assegnati a compiti burocratici.

Ambienti filo occidentali si stanno affannando a illustrare divergenze strategiche tra militari e governo, ma – mentre queste spiegherebbero l’avvicendamento di Temel, non collimano con l’allontanamento di un semplice comandante di brigata- si ipotizza una ambizione politica dei due che disponevano dei mezzi e del carisma che sono mancati ai golpisti del 2016.

Altri analisti mormorano di una intenzione dei militari di forzare la mano al governo che procederebbe, a loro avviso, con troppa cautela nelle sue ambizioni territoriali e indugia ad attaccare i curdi. I militari vorrebbero approfittare per debellare i curdi di YPG mentre il governo avrebbe mire sul territorio siro-iracheno.

Da seguire, perché ogni volta che Erdogan sente odore di golpe , si avvicina a Putin e comunque sempre dai russi dipende il “ via libera” verso Mossul .

È proprio per scongiurare questa intesa che gli USA avrebbero deciso di rallentare la loro ritirata dalla Siria e il Senato si appresta a censurare la scelta di Trump alla riapertura dei lavori.

La posizione di forza di Putin consiste nella sua capacità di giocare su tutti i tavoli, mentre gli USA non riescono a interagire che con Israele i cui interessi peraltro iniziano a distinguersi.

Il Consigliere della Casa Bianca Bolton è a Ankara mentre la capa della CIA è , contemporaneamente, a Istanbul per tamponare i “ leaks”sul caso Khassoghi che ormai fanno parte del balletto diplomatico del Levante e che mettono in forse i 110 miliardi residui di ordinativi sauditi alla industria militare USA.

GLI STATI UNITI NEL VICINO ORIENTE. ORDINI E CONTRORDINI_intervista ad Antonio de Martini

Trump ha annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan. Putin ha sostenuto la scelta dell’amico Donald “sempre che riesca a darvi corso”. Un annuncio che ha innescato un ulteriore conflitto all’interno dello staff presidenziale, con le dimissioni del generale Mattis e certamente accelererà le dinamiche già convulse nel Vicino Oriente. Al provvedimento, sempre che abbia seguito, farà certamente da contrappeso qualche compensazione alle vittime designate di questa scelta: parte dei curdi sul campo di battaglia, l’Arabia Saudita di Ben Salman nel contesto geopolitico di quell’area. Non di meno la scelta assume un carattere dirompente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=-BUnvgcHFR4&feature=youtu.be

 

SALOMON ON THE POTOMAC. IL PERICOLO SI AVVICINA, di Antonio de Martini

 SALOMON ON THE POTOMAC

Gli USA in Siria erano alleati coi turchi ( NATO) contro il governo siriano; coi curdi contro il daesch e con gli insorti siriani contro Assad.

Problema: i turchi sparavano ai curdi ; i curdi del PKK ai curdi YPG ( Peshmerga) e ai turchi; gli USA contro il daesch che però rifornivano e i siriani sparavano a tutti tranne che agli iraniani che sparavano a chiunque, ma venivano bombardati dagli israeliani.

La Turchia la scorsa settimana ha annunciato che intende ripulire la riva orientale dell’Eufrate fino a Mossul dai curdi di ogni orientamento sparando a chiunque porti insegne curde – come ad esempio i “ consiglieri” USA frammisti si Peshmerga. Lunedì ha annunziato che il dispiegamento delle truppe era pronto e attendevano “ l’ordine politico”.

Problema N 2 : che fare se i turchi sparano agli americani ? Denunciare l’alleanza atlantica ed espellere la Turchia o tradire – sarebbe la quinta volta in trenta anni- i curdi in generale e i Peshmerga in particolare?

Dopo attenta meditazione, Trump ha deciso che la guerra ai jihadisti del daesch era conclusa vittoriosamente e che gli americani potevano quindi ritirarsi dalla Siria.

Così, in un solo colpo, ha tradito i curdi di ogni colore, i residui ribelli siriani del FDS (forze siriane democratiche) e il residuo di immagine che gli USA avevano nel Vicino Oriente.

Conseguenze prevedibili sulla situazione irachena, sull’embargo all’Iran e sulla sorte di Fetullah Gulen, il predicatore considerato l’ispiratore del golpe del 2016 contro Erdogan che potrebbe essere estradato entro breve.

E sui rapporti israelo curdi dato che Israele è il “ main sponsor “ dei curdi.
Dulcis in fundo, ha di fatto ammesso che il daesch è da tempo
una “ quantité négligeable « e che gli USA stavano in Siria principalmente per costituire una minaccia alla sua indipendenza e a Assad.

La narrativa USA sulla Siria costruita dal 2005 politicamente e dal 2011 militarmente, non esiste più.

IL PERICOLO SI AVVICINA

Il Pentagono ha notificato al Congresso USA di aver approvato una vendita da parte della Raytheon di missili antiaerei Patriot alla Turchia per un importo di 3,5 miliardi di dollari.

Il contratto non è firmato, la vendita incerta, ma l’approvazione del Pentagono è definitiva.

Ora la scelta sta ad Ankara.

Le truppe USA ( in pratica una brigata di 2.000 uomini con mezzi pesanti) ha ricevuto ordine di abbandonare il territorio siriano ( andranno probabilmente in Irak) al più presto e il personale diplomatico americano ha ricevuto ordine di evacuazione.

Il portavoce dello SM turco ha annunziato che i Peshmerga che rimarranno sulla riva orientale dell’Eufrate “ verranno sepolti nelle loro buche”.

Anche qui la scelta sta ad Ankara.

Al quadro del rinnovato idillio tra Trump e Erdogan manca solo la consegna di Fetullah Gulen legato mani e piedi.

Certo, il Pentagono ha anche contraddetto il Presidente dichiarando che “ l’ISIS non è stato ancora sconfitto” e tacendo eloquentemente circa il futuro dei Peshmerga.

La ragione l’ho detta nel post di ieri: gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere l’alleato NATO che assicura basi e tenuta del fianco destro dell’alleanza che fronteggia la Russia.

Ovviamente non possono permettersi nemmeno di ignorare che con l’iniziativa diplomatico militare russa, lo schieramento è stato aggirato e Putin si è insinuato a Cuneo tra la Turchia e l’Arabia Saudita e gli Emirati.

Manovra speculare a quella americana che dalle basi afgana e irachena chiudono in una morsa l’Iran.

I prossimi trenta giorni saranno decisivi e dipenderanno dalle scelte di Erdogan tra est e ovest.

Ecco perché Putin nella conferenza stampa di fine anno ha evocato lo spettro della guerra nucleare: ricorda ai turchi che , comunque, l’impatto del primo urto toccherà a loro.

PRIMATO ENERGETICO E GEOPOLITICA, di Gianfranco Campa

PER LA PRIMA VOLTA DOPO 70 ANNI GLI STATI UNITI HANNO ESPORTATO PIÙ PETROLIO DI QUANTO NE ABBIANO IMPORTATO.

 In un articolo che abbiamo pubblicato su Italia e il Mondo lo scorso Giugno (http://italiaeilmondo.com/2018/06/10/2155/ ), abbiamo annunciato come gli Stati Uniti siano diventati il primo produttore di Petrolio, Idrocarburi e gas naturale al mondo.

Ebbene la settimana scorsa la EIA, cioe la U.S.Energy Information Administration (https://www.eia.gov/), l’agenzia federale, parente del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che si occupa di collezionare, analizzare e disseminare  tutti i dati pertinenti alle importazioni, esportazioni e produzione su carbone, petrolio, gas naturale, energia elettrica, energia rinnovabile e nucleare, ha divulgato dati importantissimi che dimostrano la crescente potenza energetica degli Stati Uniti.

E ormai confermato che gli Americani sono diventati la potenza energetica principale al mondo e l’ultimo tassello nel consolidamento di questa epocale trasformazione si è avuto nell’ultimo semestre del 2018; per la prima volta dal 1949, cioè quando il presidente Harry Truman era ancora in carica alla Casa Bianca, quasi 70 anni fa, le importazioni nette settimanali di petrolio greggio e prodotti petroliferi sono scese a meno 211.000 barili al giorno (bpd) a fronte di un’impennata delle esportazioni di greggio con il record settimanale di oltre 3,2 milioni di bpd. In altre parole gli Stati Uniti sono diventati esportatori netti di energia, hanno esportato più di quanto abbiano importato.

Sempre secondo i dati forniti dalla EIA, le importazioni nette di petrolio negli Stati Uniti hanno raggiunto un picco nel 2005 di oltre 14 milioni di barili al giorno e da allora sono sono costantemente scese fino a raggiungere, la settimana scorsa il livello più basso mai registrato. Durante questo periodo, la produzione di petrolio negli Stati Uniti è più che raddoppiata, trasformando gli Stati Uniti nel più grande produttore di petrolio e gas naturale del mondo, avanti all’Arabia Saudita e alla Russia.

Questa trasformazione energetica è dovuta a molti fattori, ma soprattutto all’uso della fratturazione idraulica (fracking) conseguente alla perforazione orizzontale che ha permesso di sfruttare i giacimenti del Shale Gas (gas da argille). Il miracolo energetico degli Stati Uniti deve essere quindi ricercato nello sfruttamento dello Shale Gas, ma non solo.

Un altro fattore importante nel determinare la rivoluzione energetica americana va vista nel programma di riforme del presidente Trump. Programma teso a stimolare la crescita economica eliminando regolamenti federali eccessivi e onerosi cha hanno alleggerito l’impatto burocratico nell’industria in generale ma energetica in particolare. Grazie alle politiche di sostegno dell’industria energetica, i produttori di shale continuano a stabilire risultati record, in primis riducendo i costi di estrazione e di conseguenza aumentando l’input di produzione, al punto tale che anche se il costo a barile dovesse scendere a 40 dollari, i produttori americani non perderebbero la loro competitività.

L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) ha, in gran parte, dettato il mercato del petrolio negli ultimi 50 anni. L’Agenzia internazionale per l’energia, tuttavia, ha recentemente stimato che gli Stati Uniti rappresenteranno quasi il 75% della crescita della produzione petrolifera mondiale da qui al 2040. L’Energy Information Administration prevede che il Shale Gas, solo nello stato del Texas rappresenterà il 50% di tutta la nuova produzione mondiale di petrolio nei prossimi cinque anni. Spinti da questi livelli di produzione, nel 2017, l’economia del Texas è cresciuta più velocemente di qualsiasi altro stato americano, a confronto, fino a due volte e mezzo in più rispetto al PIL registrato all’epoca dell’amministrazione Obama. C’e` di piu! Nel 2017 la produzione di Shale Gas associata a tutta quella del comparto energetico statunitense, ha alimentato la crescita del settore manifatturiero, soprattutto in Texas dove ha significativamente superato la media nazionale. L’aumento della produzione energetica americana ha creato nuovi posti di lavoro, posti di lavoro altamente remunerati. Ma non è solo il Texas a beneficiare di questa rivoluzione energetica; anche stati come la Pennsylvania, il North Dakota, il New Mexico, il Colorado e tanti altri hanno fruito economicamente del boom energetico Americano. I grandi giacimenti nella regione del bacino Permiano, nel Texas e nel Nuovo Messico, passando per la riserva Bakken nel North Dakota, un “serbatoio”  petrolifero di circa 200 mila miglia quadrate di estensione,  fino alla formazione della Marcellus in Pennsylvania, hanno contribuito al miracolo energetico degli Stati Uniti. Come se tutto ciò non bastasse il Dipartimento degli Interni americano ha annunciato, il 6 dicembre scorso, la scoperta del più grande giacimento di petrolio e gas mai visto. Il giacimento è situato nel cosiddetto Wolfcamp Shale e sovrasta il Bone Spring Formation in Texas nonchè nel bacino Permiano del Nuovo Messico. Si stima che il nuovo giacimento contenga 46,3 miliardi di barili di petrolio, 281 trilioni di metri cubi di gas naturale e 20 miliardi di barili di gas naturale per un valore stimato in trilioni di dollari. (https://www.doi.gov/pressreleases/usgs-identifies-largest-continuous-oil-and-gas-resource-potential-ever-assessed )

Secondo l’API (American Petroleum Institute) (https://www.api.org/) per bocca del suo vicepresidente, Erik Milito, ha dichiarato che:  “L’industria petrolifera e del gas naturale statunitense continua a essere all’avanguardia, portando grandi benefici economici, inclusi investimenti e posti di lavoro, in varie comunità sparse per il paese, oltre naturalmente a energia abbordabile e affidabile.. Il Nuovo Messico, per esempio, nel 2015,  beneficiò di oltre 90.000 nuovi posti di lavoro sostenuti dal 13% del suo PIL derivante dall’industria del petrolio e del gas naturale…Tecnologie avanzate e alti standard industriali consentono all’industria petrolifera e del gas naturale di esplorare e sviluppare in modo sicuro e responsabile sia onshore che offshore..”

 

La differenza principale tra produzione tradizionale di petrolio e quella dello Shale Gas è la diversità di accesso alla produzione che, invece delle grandi compagnie petrolifere, vede come attori principali le piccole e medie imprese energetiche. In altre parole i proprietari terrieri trasformati da mandriani a milionari dell’energia nel giro di pochi anni. Una Arabia Saudita agli antipodi; lì i proprietari di dromedari si sono trasformati in sceicchi del petrolio, mentre qui in USA, i Cowboy delle praterie del Dakota in imprenditori del settore energetico.

La notizia che gli Stati Uniti sono diventati esportatori netti di petrolio per la prima volta dopo quasi 70 anni è stata oscurata, la scorsa settimana, dall’incontro dell’OPEC a Vienna, dove i 15 membri e la Russia hanno deciso di tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili per i primi sei mesi del 2019.

Gli Stati Uniti erano esclusi dal summit tra i produttori OPEC e non OPEC; ciononostante l’influenza del paese a stelle e strisce sui mercati petroliferi globali è destinata inevitabilmente a rafforzarsi e ad oscurare il cartello petrolifero , come afferma anche l’International Energy Agency (IEA) che nel suo ultimo rapporto ha dichiarato  “Mentre gli Stati Uniti non erano presenti a Vienna, nessuno può ignorare la loro crescente influenza…”  All’incontro dell’OPEC insomma c’era un convitato di pietra, mai nominato, non invitato, ma inevitabilmente presente, soprattutto nei pensieri dei partecipanti al vertice: gli Stati Uniti. Se l’ombra degli Stati Uniti non bastasse, si aggiungono ai dolori dell’OPEC anche la notizia che il Qatar si ritirerà dall’organizzazione. Intervenendo ad una conferenza stampa, il ministro dell’Energia del Qatar, Saad al-Kaabi, ha dichiarato che il paese si ritirerà dall’OPEC dal primo  gennaio 2019, ponendo fine a un’adesione che dura da più di mezzo secolo.

E chiaro che il boom energetico americano crea una serie di problematiche a livello geopolitico non indifferenti. L’OPEC è in fase di declino, gli analisti mettono in discussione la rilevanza a lungo termine del cartello petrolifero in un contesto storico dove gli Stati Uniti assumono un ruolo sempre più importante in quel mercato. Il rapporto tra Stati Uniti e resto del mondo , in particolare gli stati arabi del golfo, verrà senza dubbio influenzato da queste nuove dinamiche economiche-energetiche. Il futuro verrà rimodellato in parte dai cowboys delle praterie americane, trasformati in magnati del petrolio. Se sia una cosa positiva o meno ce lo dirà solo il tempo.

Nel frattempo gli Stati Uniti, ormai secondi al mondo dopo la Cina nel campo delle rinnovabili, stanno comunque sviluppando la produzione alternativa di energie rinnovabili a dispetto della nomea generale diffusa.

Il settore delle energie rinnovabili ha continuato a crescere significativamente nel 2018 nonostante alcune storture di natura burocratica e fiscale. L’innovazione tecnologica legata alla produzione e allo stoccaggio di queste energie sta compiendo passi significativi e progressivi.

Nel frattempo la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo climatico di Parigi, provocò, all’epoca, indignazione tra i politici, la comunità internazionale e gli ambientalisti, definendola una scelta di isolazionismo pericoloso per l’ambiente e di conseguenza per l’umanità.

L’American Enterprise Institute (AEI) analizzando i dati a disposizione, ha pubblicato un grafico che indica come gli Stati Uniti sono leader mondiali nella riduzione di emissioni di carbonio. Dal 2005 le emissioni annue di biossido di carbonio sono diminuite di 758 milioni di tonnellate. Nello stesso periodo, per l’intera comunità Europea, le diminuzioni sono state di 770 milioni di tonnellate. Nel 2017 le emissioni di carbonio negli Stati Uniti sono diminuite di oltre 42 milioni di tonnellate, questo nonostante l’uscita dall’accordo di Parigi. Tra il 2005 e il 2017 le emissioni di anidride carbonica sono diminuite del 12,4% su base assoluta e del 19,9% su base pro-capita. In contrasto la Cina, firmataria di Parigi, si è confermato il paese con le emissioni inquinanti più alte del mondo, emettendo nel 2017, il più alto numero di carbonio nell’atmosfera, accoppiati con l’India hanno rappresentato quasi la metà del totale delle emissioni globali di carbonio.

Qui sotto i link illustrativi delle tendenze in atto:

https://www2.deloitte.com/us/en/pages/energy-and-resources/articles/renewable-energy-outlook.html?fbclid=IwAR0Im0ARrlxluB5oeasJkixoA1zDXvA_yg60cob9WfGO7Rcxw787it4YJO8

https://capitalresearch.org/article/u-s-achieves-largest-decrease-in-carbon-emissionswithout-the-paris-climate-accord/?fbclid=IwAR2m6YBCj0ISubdVrdXF5ryF4Kqpt_8TBdfAxtI-fYLeLDOBZobLC0PNv3A

https://capitalresearch.org/article/u-s-achieves-largest-decrease-in-carbon-emissionswithout-the-paris-climate-accord/?fbclid=IwAR2kJ9xraYo19Lr4eaq30wn_Xa-hF5rl_D149i3Lpz5tZXe6ClFTPfmbvhU

NB_ Il traduttore di google offre una traduzione attendibile in caso di necessità

Uyghur: nuovi fronti ad Oriente, a cura di Giuseppe Germinario

Uyghur: Il Partito Islamico del Turkestan, in rotta verso la globalizzazione della lotta, con un focus prioritario, Cina e buddisti.

Fonte: Madaniya, René Naba , 03-12-2018

Questo interessante articolo rivela ormai un dato di fondo. La pressione occidentale rimane costante nelle zone grige, lungo i margini dei confini degli avversari strategici, ma con due pesanti incognite: l’esistenza di zone di contesa lontane  da quei bordi, marginalmente in America Latina e soprattutto in Africa; l’accerchiamento non più di un solo paese, la Russia, ma di un altro colosso, la Cina, suscettibile di produrre e consolidare un sodalizio inedito al centro del continente asiatico con una possibile opzione del terzo gigante, l’India. Come vero collante di questo possibile esito, più che l’insorgenza del movimento islamico integralista prospettata dal saggista, un mero strumento e corollario, potrebbe fungere l’acceso, inedito e feroce confronto politico in corso apertamente da ormai due anni negli Stati Uniti e la conseguente incapacità di individuare ed affrontare con una politica coerente l’avversario geopolitico principale. A  quel punto ci si dovrà chiedere chi saranno alla fine in realtà gli accerchiati. Buona lettura_Giuseppe Germinario

1 – Turchia e Stati Uniti, padrini nascosti della PIT

Dopo otto anni di presenza in Siria, in particolare nel nord, nella zona di Aleppo-Idlib, il movimento jihadista del Turkestan si appresta a dare un impulso trans-regionale alla lotta, al di là della Siria , con obbiettivo prioritario: la Cina.
Tale almeno è la sostanza del discorso mobilitatore del predicatore Abu Azzam Zir tenuto in occasione del Festival Fitr nel mese di giugno 2018, mettendo in evidenza la “ingiustizia” subita dal Turkestan nei suoi due versanti, il versante occidentale ( Russia) e il lato orientale (Cina).

Tuttavia, il progetto TIP potrebbe essere vanificato, da un lato, dal maggiore coinvolgimento della Cina nella guerra siriana e, dall’altro, dalla possibile modifica della precedente relazione strategica tra la Turchia e gli Stati Uniti, due ex soci della guerra fredda, ora in conflitto.
Secondo il discorso del predicatore di Abu Zir Azzam, la mobilitazione verso la Siria è stata congelata. Il Partito islamista del Turkestan (PIT) si prepara a lanciare la Jihad contro i buddisti. I jihadisti uiguri in Siria rimarranno sul posto fino a quando la loro missione non sarà completata, ma le nuove reclute verranno inviate su altri fronti.

Nel giugno 2017, la Turchia e gli Stati Uniti, i padrini occulti PIT, hanno incoraggiato questo orientamento con il pretesto di preservare i combattenti di questa formazione per assegnarli ad altri teatri di operazioni contro gli avversari degli Stati Uniti coagulatisi all’interno dei BRICS (Cina e Russia), polo di protesta per l’egemonia americana nel mondo.

2- La duplicità della Turchia: verso una zona turca in Siria sul modello di Cipro del Nord?

Ansioso di preservare i suoi allievi, “Hayat Al Tahrir Cham”, già Jabhat Un Nosra sotto filiale di Al Qaeda, in particolare gli uiguri del partito islamista del Turkestan, strattonati d’altronde tra alleanze conflittuali, il neoislamista Recep Tayyip Erdogan -Membro del gruppo di Astana (Russia, Iran, Turchia), allo stesso tempo membro della NATO, ha proposto la costruzione di una grande area per ospitare i jihadisti in una zona sotto l’autorità della Turchia per procedere alla cernita tra i gruppi islamici inclusi nella lista nera del terrorismo jihadista e raggruppate sotto la sigla VSO (opposizione siriana convalidato dal Ovest). Un’operazione in linea di principio per consentire all’esercito turco per separare il bene dal male secondo lo schema della NATO.

In altre parole, per liberare i siriani pentiti e per tenere i combattenti stranieri (ceceni, uiguri) sotto il gomito per introdurli di contrabbando in altri teatri di operazioni.

Approfittando del dispiegamento delle forze Usa nel nord della Siria nel perimetro della base aerea di Manbij, così come nella zona di Idlib, la Turchia ha approfittato di questa fase preliminare dell’offensiva per spostare  i suo sostenitori, per lo più uiguri e al Moharjirine (migranti) sotto “Hayat Tahrir come Ham” tendenza salafita jihadista; il gruppo è stato incluso nella lista nera del terrorismo dalle Nazioni Unite nel 2013.
Il presidente russo Vladimir Putin ha dato la sua approvazione alla proposta turca al vertice di Sochi del 17 settembre, ansiosa di preservare la nuova alleanza con la Turchia di fronte a una guerra ibrida da parte degli Stati Uniti.

Il bracconaggio della Turchia è la carta principale della Russia nei suoi negoziati con la coalizione occidentale al punto che Mosca sembra così ansiosa di incoraggiare questa sconnessione strategica dell’asse Turchia Stati Uniti, sino a promettere la consegna del sistema balistico SSS 400 per il 2019.
Ankara spera, nel frattempo, conservando la maggior parte della sua forza di interdizione nella zona, con un obiettivo di fondo teso allo sviluppo nella zona di Idlib di un’enclave turca sul modello della Repubblica turca di Cipro. Per fare questo, si prevede di condurre un cambiamento demografico nella zona in modo da formare una sorta di barriera umana con cittadini siriani sotto la sfera d’influenza dei Fratelli Musulmani considerati come de facto sotto la propria autorità. In questa zona l’ambizione era di concentrare un terreno fertile jihadista da poter gestire secondo le esigenze della propria strategia.
Il DMZ concesso temporaneamente in Turchia si estende su una fascia ampia oltre 15 km lungo il confine siriano-turco nella zona di Idlib, che copre l’area di dispiegamento delle forze curde sostenute dagli Stati Uniti.

Con la disposizione di Sochi, la Russia ha voluto dare tempo per testare le reali intenzioni della Turchia tra cui il modus operandi che utilizza per eliminare, se non almeno neutralizzare “Hayat Al Tahrir Cham”, in conformità con le raccomandazioni dell’ONU che considera “terrorista” il franchise di Al Qaida in Siria.

Manna per la Turchia, la decapitazione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul, 2 ottobre 2018, ha permesso ad Ankara l’avvio della campagna mediatica metodica contro l’Arabia Saudita per assicurare il ritiro di Riyadh dalla gestione del dossier siriano e chiedere, allo stesso tempo, l’inclusione dei jihadisti protetti nella commissione di redazione della futura costituzione siriana dalla quale erano stati precedentemente esclusi.

Il presidente Erdogan ha fatto della guerra in Siria una questione personale, che lo costringe a una certa rigidità sotto pena di sconfessione, non riuscendo a raggiungere un duplice obiettivo: la garanzia di interessi turchi in progetti di ricostruzione in Siria e soprattutto la neutralizzazione politica e militare dei curdi siriani, i protetti degli alleati americani. Una quadratura di un cerchio in modo vizioso che porta la Turchia ad esercitare un ampio strappo al punto di rottura … .. fino al punto di smembramento.

Sulla duplicità della Turchia nella guerra siriana, vedi questi collegamenti:

3- Terminologia marxista come vestizione legale al punto di svolta

L’abito ideologico della svolta del PIT è stato tratto dalla terminologia marxista. Al termine di un dibattito interno di diversi mesi, gli avvocati di questa formazione hanno deciso di dare una dimensione globale alla loro lotta privilegiando il nemico vicino (Cina) a quello lontano (Siria).
La concorrenza giurisprudenziale è stata stabilita tra i prescrittori rivali Abdel Rahman Al Chami, vicino a Jabhat An Nosra, la frangia siriana di Al Qaida e Abdel Halim Al Zarkaoui, vicino a Daech.

– Il discorso mobilitante di Azzam Abu Zir
Il predicatore ha fatto un’irruzione politica sostenuta da un discorso militante in onda in occasione del Festival Fitr nel mese di giugno 2018, mettendo in evidenza la “ingiustizia” subita dal Turkestan nei suoi due versanti , il versante occidentale (Russia) e il versante orientale (Cina). Facendo appello al boicottaggio commerciale della Cina, ha elencato gli abusi storici subiti dagli uiguri cinesi, citando lo “stupro di musulmano” e “l’obbligo di mangiare carne di maiale.”

“Il partito islamico del Turkestan si sta preparando per la Jihad contro i buddisti”, questo link per gli arabi

3- La guerra siriana, il rivelatore del PIT

Se la guerra siriana ha elevato Hezbollah al rango di stratega e spinto la formazione sciita al ruolo di interlocutore diretto del comando militare russo, allo stesso tempo ha rivelato il Partito islamico del Turkestan, come parte del campo jihadista nel campo di battaglia della Siria settentrionale, al confine con la Turchia.

La battaglia per la conquista di Aleppo, nel dicembre 2016, ha così conferito a Hezbollah il ruolo di stratega statuale piuttosto che semplice esecutore della strategia iraniana, un attore maggiore militare contro Israele e la Siria. Anticipando le risposte jihadiste, non esitando a condurre battaglie di strada, la pulizia degli edifici più pulito, Hezbollah ha avuto la consacrazione dei suoi piani di battaglia condotti per otto anni in Siria  nelle accademie militari russo. Un successo ottenuto a costo di pesanti sacrifici.

Il rovescio della medaglia. Diversi leader della formazione, tra cui Moustapha Badredddine, il capo dell’ala militare di Hezbollah, Jihad Mughniyeh, il figlio del fondatore del l’ala militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, Samir Kintar, ex doyen di prigionieri politici arabi in Israele hanno perso la vita in Siria. Nel campo avverso il comandante Abu Omar Saraqeb che ha guidato la più grande coalizione di ribelli e jihadisti in Siria, responsabile della conquista di Jisr Al Shughour, anche, è morto nel teatro delle operazioni come pure Omar Al Shishani, il comandante jihadista del Fronte Nord.

4- Rafforzamento della presenza militare russa e l’importante svolta strategica della Cina nel Mediterraneo

Dal suo intervento militare diretto a sostegno del presidente siriano Bashar Al Assad, la Russia ha aumentato significativamente la sua presenza in Siria, dove ora ha due basi; la base aerea di Hemeimine, a sud-est della città di Lattaquieh e l’importante base navale di Tartous.

Rompendo il monopolio delle aree detenute dalla NATO nella zona dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il sistema di difesa russo include missili da crociera, batterie dei missili S.400 TRIUMPH, con base a Hemeimine, il cui raggio di  azione copre l’intero Mediterraneo orientale (Siria, Turchia, Cipro, Libano Israele), garantendo la protezione di fatto non solo dello spazio aereo della Siria, ma anche della zona di schieramento di Hezbollah nel Libano meridionale.

Allo stesso tempo, la Cina ha stabilito due punti di ancoraggio nel Mediterraneo; Tartous (Siria) e Cherchell (Algeria); una svolta strategica importante del Regno di Mezzo in quest’area dall’inizio dei tempi.

5 – Cina: la Siria, un ricettacolo per il terrorismo globale

Il fermento Jihadista-Uighur in Siria e in paesi lontani dalla Cina ha indotto Pechino, nel marzo 2018, a schierare con discrezione truppe in Siria con il motivo ufficiale di tutoraggio di reparti dell’esercito siriano fornendo loro supporto logistico e medico.
Pechino ha giustificato questo atteggiamento proattivo con la sua connessione ideologica con il potere baathista a causa della sua natura secolare, così come con la presenza nel nord della Siria di un grande contingente di combattenti uighuri.

In tal modo, la Cina mira a fronteggiare i jihadisti Uighur, che vuole neutralizzare dal loro possibile ritorno in Cina, a conferma quindi dei legami tra separatisti islamici nelle Filippine e nel Mayanmar e i gruppi islamici che operano in Siria, come dimostra l’arresto di agenti dello Stato islamico (Daesh) in Malesia nel marzo 2018, a Singapore nel giugno 2018.

La fase di graduale inserimento della Cina nel teatro siriano, dove ha già ottenuto impianti navali nel campo di applicazione della base navale russa di Tartus mira consolidare la sua posizione tra i tre maggiori investitori e finanziatori della ricostruzione in Siria assieme a Russia e Iran.

Oltre a Tartous, la Cina ha costruito la sua prima base navale all’estero in Gibuti nel 2017. Adiacente al porto Doraleh e alla zona libera di Gibuti – costruito dalla Cina-tale base dovrebbe ospitare inizialmente 400 uomini. Ma, secondo diverse fonti, sono circa 10.000 gli uomini che potrebbero stabilirsi lì entro il 2026, quando l’esercito cinese trasformerà questo enclave in un avamposto militare della Cina in Africa.

In seguito all’inaugurazione della base navale cinese a Gibuti, una nave portacontainer gigante ha scaricato materiale per i progetti di ricostruzione siriani il 17 agosto nel porto di Tripoli (Nord Libano).

Con una lunghezza di 300 metri, per una larghezza di 40 metri, la nave portacontainer “Nerval”, appartenente alla società francese CGM-CMA, ha scaricato migliaia di contenitori di materiali dalla Cina e dall’Indonesia, per essere trasportati lungo la rotta verso la Siria.

In sovrapposizione, la Cina ha partecipato alle manovre navali russe al largo del Mediterraneo all’inizio di settembre, le più importanti manovre della flotta russa nella storia navale mondiale. Ha inviato truppe in Siria, per la prima volta nella sua storia nel marzo 2018, per sostenere le forze del governo siriano durante la conquista di Idbib, tra l’altro decrittando le comunicazioni tra i jihadisti uighur al fine di neutralizzarle.

Per quanto riguarda la Cina, la Siria funge da ricettacolo del terrorismo globale, anche per l’interno cinese. Ansioso di alleviare lo sforzo russo e sostenere lo sforzo bellico siriano, la Cina ha concesso un aiuto militare da 7 miliardi di dollari alla Siria le cui forze combattono nella battaglia di Aleppo, i jihadisti uiguri (musulmani di lingua turca nella Cina nord-occidentale), dove circa 5.000 famiglie, quasi quindicimila persone, si trovano ad est di Aleppo.

6- La problematica uigura

L’uso degli uiguri da parte degli americani risponde al loro desiderio di avere una leva contro Pechino, in quanto “la Cina e gli Stati Uniti sono impegnati, a lungo termine, lungo una rotta di collisione.

I precedenti storici indicano che una potenza in ascesa e un potente in declino sono vocati principalmente a confronto “, dice l’ex primo ministro francese Dominique de Villepin, soprattutto in un momento in cui la fase diplomatica internazionale è in fase di transizione verso un mondo post-occidentale. L’obiettivo di fondo è quello di contrastare l’implementazione della “2a strada della seta”.

Musulmani turcofoni, gli Uighur vivono nella provincia di Xinjiang nel lontano occidente della Cina, al confine con otto paesi (Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Tagikistan, Pakistan e India). Molti uiguri hanno combattuto in Siria sotto la bandiera del Turkistan Islamic Party (Sharqi Turkestan), alias Xinjiang, una lotta armata separatista il cui obiettivo è la creazione di uno “Stato islamico Uighur” nello Xinjiang.

I combattenti uyghur sono stati assistiti dai servizi di intelligence turchi per il loro trasferimento in Siria attraverso la Turchia. Questo ha generato tensioni tra i servizi intelligence turchi e cinesi di intelligence con la Cina preoccupata per il ruolo dei turchi nel sostenere i combattenti uiguri in Siria e per il supporto che potrebbero fornire per i prossimi combattimenti nello Xinjiang.

La comunità uigura in Turchia conta 20.000 membri, alcuni dei quali lavorano per l’Associazione di solidarietà e istruzione del Turkestan orientale, che fornisce aiuti umanitari ai siriani e viene osservata dalla Cina. Un video dell’IPO di gennaio 2017 afferma che la sua brigata siriana ha combattuto con il fronte di al-Nusra nel 2013 nelle province di Raqqa, Hassakeh e Aleppo.
Nel mese di giugno 2014, il gruppo jihadista ha formalizzato la propria presenza in Siria: la sua brigata sul posto, guidata da Abu al-Ridha Turkestani, un interlocutore arabo, probabilmente un siriano, ha sostenuto un attacco suicida a Urumqi nel maggio 2014 e un attacco VBIED in Piazza Tiananmen nell’ottobre 2013.

Il gruppo ha giurato fedeltà al mullah Omar dei talebani. Ventidue uiguri sono stati detenuti a Guantanamo Bay e rilasciati per mancanza di prove. Seguendo l’esempio di Emirato islamico del Caucaso, il cui ramo siriano operava sotto Jaysh Muhaajireen Wal-Ansar, il PIT ha creato la sua propria filiale in Siria, che opera in collaborazione con Jabhat Un Nosra tra le province di Idlib e Latakia.

7 – L’ambiente jihadista dell’India e il suo passaggio verso Israele.

La distruzione dei Buddha di Bamiyan da parte dei Talebani nel marzo 2001, sei mesi prima del raid dell’11 settembre contro i simboli della superpotenza americana, era un innesco che porta l’India ad abbandonare la sua tradizionale politica di amicizia con il Paesi arabi, in particolare l’Egitto, suo principale partner nel Movimento dei non allineati, per avvicinarsi a Israele.

L’ambiente jihadista in India ha anche portato i suoi leader ad avvicinarsi agli Stati Uniti in un contesto segnato dalla scomparsa del partner sovietico, insieme ad un aumento della cooperazione sino-pakistana che ha portato al trasferimento di tecnologia nucleare a Islamabad e il lancio di un programma nucleare pakistano con sussidi sauditi.

La nuova alleanza con Stati Uniti e Israele è stata suggellata sulla base di una convergenza di interessi e un approccio sostanzialmente simile di paesi che si presentano come democrazie che condividono la stessa visione del mondo plurale, avendo lo stesso nemico comune, “Islam radicale”.
Il riavvicinamento ad Israele ha determinato una normalizzazione delle relazioni israelo-indiano nel 1992 materializzato nella prima visita di un leader israeliano a New Delhi nel 2003, nella persona del primo ministro Ariel Sharon, anno dell’invasione americana dell’Iraq.

La terza potenza regionale con Cina e Giappone, l’India è in una posizione ambivalente nel mantenere stretti legami con le superpotenze per mantenersi nelle prime fila della leadership mondiale, senza allentare i suoi legami. con il Terzo Mondo, di cui è stata a lungo uno dei leader. La sua presenza nei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) risponde a questa logica.

Gli Uiguri, dalla memoria degli osservatori, non sono mai morti per la Palestina. Ma molti sono stati contro la Siria, seguendo una deviazione settaria dalla loro ideologia.

Agli occhi degli strateghi del Pentagono, la strumentalizzazione dell’irredentismo uighur dovrebbe avere lo stesso effetto destabilizzante sulla Cina del jihadismo ceceno sulla Russia di Putin. Ma un possibile aumento del Partito islamico del Turkestan potrebbe avviare una redistribuzione delle carte; le principali vittime potrebbero essere gli stessi jihadisti uiguri, come gli islamisti in Siria.

A voler servire troppo come “carne di cannone” di mercenari in combattimenti decisi da sponsor motivati esclusivamente dalla ragion di stato, il destino degli ausiliari è inevitabilmente segnato: tacchino ripieno di un gigantesco inganno.

8 La defezione di tre paesi musulmani alleati dell’Occidente

Di fronte a una tale configurazione, il Pakistan, pyrotecnico vigile del fuoco del jihadismo globale per decenni sembrava avviare una drastica revisione delle sue alleanze, rinunciando al suo precedente ruolo di guardia del corpo della dinastia wahhabita per un ruolo più gratificante di partner della Cina, potenza planetaria in via di realizzazione, attraverso il progetto OBOR. Due altri paesi musulmani, una volta alleati dell’Occidente, hanno seguito le sue orme: Malesia e, probabilmente, nel medio termine, la Turchia colpita da sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti.

Se l’ipotesi del movimento jihadista antibuddhista dovesse materializzarsi, essa potrebbe avviare una gigantesca  tettonica a placche sino a suggellare un’alleanza de facto tra la Cina e l’India, i due stati continenti di Asia, non musulmani, per sconfiggere l’idra islamista che si aggira intorno a loro.

Fonte: Madaniya, René Naba , 03-12-2018

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