Patto per la pace in Vicino Oriente_con Antonio de Martini

Svolta epocale nel Vicino Oriente. Dopo decenni di conflitti, propositi di pace, mediazioni con propositi dichiarati esattamente opposti ai comportamenti concreti, il Vicino Oriente conosce l’eclisse di uno dei protagonisti: gli Stati Uniti. E’ un passaggio in ombra, non una sparizione. Tanto è bastato perché tra due degli attori principali di quell’area, l’Iran e l’Arabia Saudita, si inneschi un processo di regolazione diplomatica delle controversie grazie all’attività di mediazione della Cina.  Una mossa che, portata a buon fine, innescherà un profondo stravolgimento della condizione e delle posizioni in quello scacchiere, a cominciare da Israele e dalla Turchia. Il reietto, l’Iran, ha potuto reggere lo scontro grazie al sostegno discreto di alleati lontani e al sostegno involontario e contraddittorio dell’avventurismo statunitense. Gli si aprono adesso ampi spazi che, gestiti saggiamente, potranno offrire nuova luce sulla reale natura dei conflitti che hanno infestato quell’area. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Dichiarazione trilaterale congiunta del Regno dell’Arabia Saudita, della Repubblica Islamica dell’Iran e della Repubblica Popolare Cinese

Venerdì 1444/8/18 – 2023/03/10

https://www.spa.gov.sa/viewfullstory.php?lang=en&newsid=2433231

 

Riyadh, 10 marzo 2023, SPA — In risposta alla nobile iniziativa di Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, di sostenere la Cina nello sviluppo di relazioni di buon vicinato tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran;

e sulla base dell’accordo tra Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping e le leadership del Regno dell’Arabia Saudita e della Repubblica Islamica dell’Iran, in base al quale la Repubblica Popolare Cinese avrebbe ospitato e sponsorizzato i colloqui tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran;

Partendo dal desiderio comune di risolvere i disaccordi tra loro attraverso il dialogo e la diplomazia e alla luce dei loro legami fraterni;

aderendo ai principi e agli obiettivi delle Carte delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI), nonché alle convenzioni e alle norme internazionali;

Le delegazioni dei due Paesi hanno avuto colloqui dal 6 al 10 marzo 2023 a Pechino – la delegazione del Regno dell’Arabia Saudita guidata da Sua Eccellenza Dr. Musaad bin Mohammed Al-Aiban, Ministro di Stato, Membro del Consiglio dei Ministri e Consigliere per la Sicurezza Nazionale, e la delegazione della Repubblica Islamica dell’Iran guidata da Sua Eccellenza l’Ammiraglio Ali Shamkhani, Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale della Repubblica Islamica dell’Iran.

Le parti saudita e iraniana hanno espresso il loro apprezzamento e la loro gratitudine alla Repubblica dell’Iraq e al Sultanato dell’Oman per aver ospitato i cicli di dialogo che si sono svolti tra le due parti negli anni 2021-2022. Le due parti hanno inoltre espresso apprezzamento e gratitudine alla leadership e al governo della Repubblica Popolare Cinese per aver ospitato e sponsorizzato i colloqui e per gli sforzi profusi per il loro successo.

I tre Paesi annunciano che è stato raggiunto un accordo tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran, che include un accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi e la riapertura delle ambasciate e delle missioni entro un periodo non superiore a due mesi, e l’accordo include l’affermazione del rispetto della sovranità degli Stati e della non interferenza negli affari interni degli Stati. Hanno inoltre concordato che i ministri degli Esteri di entrambi i Paesi si incontreranno per attuare questo accordo, organizzare il ritorno dei loro ambasciatori e discutere i mezzi per migliorare le relazioni bilaterali. Hanno inoltre concordato di attuare l’Accordo di cooperazione in materia di sicurezza tra i due Paesi, firmato il 22/1/1422 (H), corrispondente al 17/4/2001, e l’Accordo generale di cooperazione nei settori dell’economia, del commercio, degli investimenti, della tecnologia, della scienza, della cultura, dello sport e della gioventù, firmato il 2/2/1419 (H), corrispondente al 27/5/1998.

I tre Paesi hanno espresso la volontà di compiere tutti gli sforzi necessari per migliorare la pace e la sicurezza regionale e internazionale.

Rilasciato a Pechino il 10 marzo 2023.

Per la Repubblica islamica dell’Iran

Ali Shamkhani

Per il Regno dell’Arabia Saudita

Musaad bin Mohammed Al-Aiban

Ministro di Stato, membro del Consiglio dei Ministri e Consigliere per la Sicurezza Nazionale

Per la Repubblica popolare cinese

Wang Yi

Membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) e direttore della Commissione Affari esteri del Comitato centrale del PCC

–SPA

15:45 ORA LOCALE 12:45 GMT

SE QUESTO È UN POPOLO, di Marco Giuliani

SE QUESTO È UN POPOLO

Ennesima strage di civili a Gaza per mano di Israele. Il silenzio e la complicità delle grandi potenze

Noi speranzosi, ci siamo spesso domandati come potrà – semmai dovesse avvenire – evolvere in meglio, generando pace, il processo geopolitico mediorientale, e nella fattispecie le tormentate relazioni israelo-palestinesi. In questa prima parte di agosto 2022, però, è ancora un dovere riflettere (amaramente) sul sopracitato argomento storico-politico perché si è appena perpetrata un’ulteriore strage di civili a seguito dell’ennesima “operazione di sicurezza” degli israeliani. Sul campo di Gaza, tra sabato 6 e domenica 7 agosto sono caduti molti bambini e molte donne innocenti, e l’indifferenza dei grandi capi di stato, al contrario di ciò che è successo per gli ucraini, provoca indignazione. Il sentimento di pietas a giorni alterni delle nazioni cosiddette “democratico-liberali” e più sviluppate è ormai arcinoto e diviene tanto più disgustoso quanto più è premeditato.

Allora, facciamo un paio di esempi non troppo a caso: Usa e Italia, che per ovvie ragioni ci interessano di più essendo oggi due governi fratelli e simbiotici anche in fatto di riarmo. La Casa Bianca è l’antico alleato di Israele e da questa variabile indipendente se ne generano altre, altrettanto importanti e decisive. Suddetta condizione garantisce una protezione non solo politica e militare a Tel Aviv, ma genera a sua volta un concatenarsi di elementi per cui l’Occidente Atlantico si senta vincolato a comportarsi di conseguenza, senza intromettersi né esprimersi, neanche dal punto di vista formale. Oppure, quando lo fa, come nel caso della Farnesina dopo gli ultimi attacchi aerei sulla Striscia, sembra mentire al mondo intero e a sé stesso. I morti palestinesi passano in secondo piano, mentre al contempo entra in circolo un meccanismo secondo cui la vittima si trasforma in aggressore, e al contrario, chi invade diviene vittima. La frase fatta, ritrita, pubblicata sui profili social del Ministero degli Esteri italiano, è la solita «condanna per il lancio di razzi verso Israele». Okay, e le oltre 40 vittime palestinesi (e zero israeliane) che significato hanno? Sono state assassinate per scherzo? Il signor Di Maio, mentre si prepara a traslocare, ci spieghi quale tipo di sudditanza malata scaturisce, visto l’artificioso rovesciamento dei ruoli a mezzo stampa, pur di non contravvenire all’amicizia interessata con lo stato ebraico. Che tipo di messaggio invia a quella parte di comunità che non è bene informata sulla annosa questione mediorientale e sul suo sviluppo in divenire? Lo sappiamo, è banale e scontato ripeterlo. Il rapporto del do ut des è sempre attuale, ma in alcune circostanze suona come un lubrico servilismo verso il potente di turno.

Povera Palestina, ridotta a una prigione a cielo aperto che non permette di fuggire a chi tenta di farlo come rifugiato di guerra. Già, neanche questo è consentito a quei cittadini sotto le bombe che attendono di far parte di uno Stato legittimo da circa un secolo. Se questo è un popolo; se lo è, parafrasiamo al plurale il libro di Levi, che tanti strumentalizzano. E allora i potenti della terra intervengano, parlino e condannino, o perlomeno smettano di trafficare in armi ipertecnologiche con Israele, che oramai è tra i paesi più all’avanguardia dal punto di vista militare. Se questo è un popolo, continuare a parlare di guerra è ipocrita, perché Tel Aviv da anni gioca al gatto col topo, ripetendo sempre più frequentemente migliaia di operazioni definite “preventive”, le quali uccidono migliaia di poveracci che con il terrorismo islamico non c’entrano nulla. Se questo è un popolo, tutti i piagnoni che dal divano di casa “abbaiano” – cit. papa Francesco – all’invasione russa in Ucraina (scordandosi del massacro di migliaia di russofoni da parte di Kiev) e si scandalizzano della propaganda del Cremlino (come se dall’altra parte non ci fosse) urlino anche adesso, se hanno un minimo di credibilità; si dissocino dal bagno di sangue che avviene periodicamente presso la Striscia di Gaza. Anzi, facciano prima: siccome è un triste teatrino che oggi va di moda, chiedano ai rispettivi governanti di spedire armi al popolo aggredito in modo che possa difendersi. No, non lo fanno, perché i bambini palestinesi sembrano appartenere a un mondo lontano e forse perché non hanno gli occhi chiari come tanti ucraini. Forse perché sono musulmani? O forse perché POCHI fanno credere a MOLTI che Tel Aviv sia l’unico modello di democrazia del quadrante mediorientale (pensate se non lo fosse…).

Se questo è un popolo, infine, gli venga permesso di accedere agli ospedali quando ha dei feriti da curare, e non vengano sbarrati gli accessi alle autorità sanitarie, come denunciato poche ore fa da Medici senza Frontiere. Sempre se questo è un popolo.

 

MG

 

 

BIBLIOGRAFIA

Televideo Rai, pagina 150 del 07/08/2022 –

Sky TG24, edizioni del 6 agosto 2022 –

 

SITOGRAFIA

Profilo Twitter del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, consultato il 07/08/2022 –

Profilo Facebook di Medici senza Frontiere, pagina consultata l’8/08/2022 –

www.adnkronos.com, pagina del 7 agosto 2022 consultata il 9 agosto 2022 –

www.centrostudiamericani.org, pagina del 9 agosto 2022, consultata il 9 agosto 2022 –

 

 

 

la convivenza difficile tra israeliani e palestinesi_con Gabriele Levy

Cambiano le modalità nel corso dei decenni, ma la natura conflittuale dei rapporti tra israeliani e palestinesi rimane senza soluzione di continuità. Ci sono state occupazioni di terre, opportunismi e tradimenti, conflitti endemici e confronti drammatici dietro una solidarietà di facciata ed una aperta ostilità. La gran parte delle scelte politiche, una volta consolidato lo Stato di Israele, non hanno certo preparato ad una soluzione che non sia una tregua. Il problema essenziale è che sino a quando la realtà politica ed istituzionale palestinese non troverà una corrispondenza accettabile con quella socioeconomica difficilmente potrà sorgere un attore sufficientemente autorevole da poter sostenere uno scontro politico e geopolitico così aspro con la necessaria autonomia e una chiarezza di obbiettivi che renda possibile alla obbligata convivenza nella vita quotidiana quella politica ed istituzionale capace di dare espressione ad un popolo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IO SONO ISRAELE, a cura di Luigi Longo

IO SONO ISRAELE

a cura di Luigi Longo

 

Sul blog di Diego Siragusa (http://diegosiragusa.blogspot.com) è stato pubblicato, il 17/5/2021, uno scritto di Norman Finkelstein (storico e politologo statunitense) con il titolo Io sono Israele. Tutto mi è permesso (con traduzione di Grazia Parolari). Lo ripropongo all’attenzione, con l’aggiunta di un mio inserimento, perché è un interessante sintesi storica di Israele, anche se non condivido l’affermazione in cui si sostiene che Israele ha il potere di controllare la politica americana. No, massima chiarezza: Israele è uno strumento, così come lo è per altri versi la Turchia, delle strategie degli agenti strategici statunitensi nel Medio Oriente, per contrastare il blocco imperniato sulle potenze mondiali in ascesa (Cina e Russia) che condividono un dominio mondiale multicentrico in contrasto con quello monocentrico degli Stati Uniti.

Lo scritto di Norman Finkelstein è apparso in seguito agli scontri tra israeliani e palestinesi (rivolta arabo-palestinese con ruolo particolare di Hamas) di questi giorni conclusosi con un cessate il fuoco dopo 11 giorni di massacri da parte degli israeliani e le ipocrite dichiarazioni di Joe Biden (USA), Antonio Guterres (ONU), di Ursula vor der Leyen (UE) e di Hamas (Palestina). Una buona sintesi delle ipocrisie può essere quella del segretario di Stato statunitense Antony Blinken che si recherà in Medio Oriente nei prossimi giorni e incontrerà le sue controparti “israeliane, palestinesi e regionali” per “lavorare insieme per costruire un futuro migliore per israeliani e palestinesi” (redazione Ansa del 21 maggio 2021).

Avanzerò una breve riflessione che riguarda l’aspetto esterno alla questione israeliano-palestinese (tralasciando l’aspetto interno che ripropongo con un mio scritto del 2014), cioè il ruolo che gli israeliani e i palestinesi hanno all’interno dei due blocchi, in via di configurazione sempre più chiara in questa fase multicentrica, quello euroatlantico imperniato sugli USA e quello euroasiatico imperniato sulla non facile costruzione del coordinamento tra la Cina e la Russia (dottrina Evgenij Primakov, decenni di collaborazione, creazioni di accordi, eccetera), coordinamento che Zbigniew Brzezinski <<a suo tempo aveva fatto risuonare un campanello di allarme prevedendo la creazione o <<l’emergere di una coalizione ostile [con base in Eurasia; N.d.A.] che potrebbe potenzialmente puntare a sfidare l’egemonia americana>>. La natura puramente offensiva della strategia statunitense risulta estremamente chiara da una lettura della terminologia utilizzata da Brzezinski; egli ha definito questo potenziale blocco euroasiatico come una forma di alleanza o controalleanza antiegemonica le cui fondamenta sarebbero in una <<coalizione sino-russa-iraniana>> con i cinesi a fare da baricentro>> (Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna editrice, Bologna, 2014, pag.260).

Gli scontri israeliano-palestinesi di questi giorni sono prova e verifica di scenari di conflitti prossimi futuri nell’area del Medio Oriente, tra i due blocchi succitati, tramite le potenze regionali di Israele (coordinata dagli USA, sia direttamente sia indirettamente via NATO) e dell’Iran (supportata dalla Cina e dalla Russia).

Così leggo gli attacchi israeliani con F-35 su Gaza; a tal fine riporto quanto afferma Manlio Dinucci << Il portavoce delle Forze israeliane Zilberman, annunciando l’inizio del bombardamento di Gaza, ha specificato che «prendono parte all’operazione 80 caccia, inclusi gli avanzati F-35» (The Times of Israel, 11 maggio 2021). È ufficialmente il battesimo di fuoco del caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, alla cui produzione partecipa anche l’Italia quale partner di secondo livello. Israele, che ha già ricevuto dagli Usa 27 F-35, ha deciso lo scorso febbraio di acquistarne non più 50 ma 75. A tal fine il governo ha decretato un ulteriore stanziamento di 9 miliardi di dollari: 7 provenienti dall’«aiuto» militare gratuito di 28 miliardi concesso dagli Usa a Israele, 2 concessi come prestito dalla Citibank statunitense. Mentre i piloti israeliani di F-35 vengono addestrati dalla U.S. Air Force in Arizona e in Israele, il Genio dello US Army costruisce in Israele speciali hangar rinforzati per gli F-35, adatti sia per la massima protezione dei caccia a terra, sia per il loro decollo rapido quando vanno all’attacco. Allo stesso tempo le industrie militari israeliane (Israel Aerospace ed Elbit Systems), in stretto coordinamento con la Lockheed Martin, potenziano il caccia, ribattezzato «Adir» (Potente): soprattutto la sua capacità di penetrare le difese nemiche e il suo raggio d’azione, che è stato quasi raddoppiato. Capacità non certo necessarie per attaccare Gaza. Perché allora vengono impiegati contro i palestinesi i più avanzati caccia di quinta generazione? Perché serve a testare gli F-35 e i piloti in un’azione bellica reale, usando le case di Gaza come bersagli del poligono di tiro. Poco importa se, nelle case-bersaglio, ci sono intere famiglie.

Gli F-35A, che si aggiungono alle centinaia di cacciabombardieri già forniti dagli Usa a Israele, sono progettati per l’attacco nucleare, in particolare con la nuova bomba B61-12 che gli Stati uniti, oltre a schierare tra poco in Italia e altri paesi europei, forniranno anche a Israele, unica potenza nucleare in Medioriente, con un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari. Se Israele raddoppia il raggio d’azione degli F-35 e sta per ricevere dagli Usa 8 aerei cisterna Pegasus della Boeing per il rifornimento in volo degli F-35, è perché si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l’Iran>> (Manlio Dinucci, Gli F-35 bombardano Gaza, il Manifesto, 18/5/2021).

Così leggo la pioggia di razzi (oltre mille) lanciati su Israele; per questo riporto quanto scrive Emanuele Rossi << […] Le azioni militari di questi giorni testimoniano come le forze palestinesi siano cresciute di capacità: sia tattiche che tecniche. La salva di missili che è stata sparata contro il territorio ebraico è evidente che non sia una risposta di indignazione spontanea per le violenze della polizia israeliana ad al Aqsa. C’è un coordinamento e c’è un piano di attacco. Fondamentalmente tutto si basa su quella che viene definita “saturazione”: si sparano tanti, tantissimi razzi contemporaneamente perché in quel modo lo scudo aero israeliano Iron Dome […] non riesce a compiere le intercettazioni. I bersagli diventano troppi, e questo permette di rendere più efficiente l’attacco, nonostante l’altissima efficacia dello scudo israeliano che ha intercettato circa l’80 per cento degli attacchi battezzati pericolosi dal sistema. […] “Il martire Qassem Soleimani ha inviato le armi ai mujaheddin in Palestina”, “Gloria alla Resistenza. Gloria all’Iran”: sui social network gli attivisti palestinesi sono chiari. Per il collegamento simbolico è usato Soleimani, generale dei Pasdaran che ha ideato e gestito la strategia delle milizie e che è finito sotto un Hellfire di un drone americano appena fuori all’aeroporto di Baghdad. Era il gennaio 2020, all’operazione aveva partecipato anche il Mossad, l’Iran aveva reagito all’uccisione di quell’ufficiale mitologico con un barrage di missili contro basi irachene che ospitavano soldati americani (le stesse basi che sono costantemente bersagliate con razzi Katyusha e simili sparati dalle milizie sciite irachene).

Dallo scorso anno, Hamas ha iniziato a propagandare con maggiore intensità il collegamento con l’Iran. La morte di Soleimani e il ricordo del generale sono stati il proxy narrativo usato dal gruppo; e forse l’elemento che ha spinto i Pasdaran ad aumentare il sostegno per vendicarsi contro Israele, accusato di aver condotto una serie di operazioni e di sabotaggio all’interno della Repubblica islamica. I Pasdaran hanno anche intensificato le relazioni con la Saraya al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, che ieri, martedì 11 maggio, ha rivendicato di aver utilizzato nel suo attacco contro Israele una raffica di missili del tipo “Badr 3”. Sono stati usati per colpire Ashkelon — sulla costa mediterranea, appena a nord della Striscia — e sono stati in grado di violare Iron Dome.

Il Badr 3 è un missile di fabbricazione iraniana che per per la prima volta è stato usato nel maggio 2019, quando il braccio militare del movimento ribelle Houthi, “Ansar Allah”, lo ha utilizzato in Yemen. Gli Houthi sono collegati militarmente ai Pasdaran, e hanno uno slogan chiaro: “morte a Israele e siano maledetti gli ebrei”. La Jihad islamica dalla Striscia di Gaza è stato il secondo gruppi armati a utilizzare questo missile.

Il Badr 3 trasporta una testata esplosiva del peso di 250 kg e ha una portata di oltre 160 km. Ha un altro importante vantaggio: non esplode quando colpisce il bersaglio, ma quando è a circa 20 metri sopra l’obiettivo e

massimalizza cosi l’effetto. Spara 1.400 schegge, il che espande la sua capacità di distruggere installazioni e case vicino al punto di esplosione in cui cade. La Saraya al-Quds lo ha modificato per trasportare una testata da 350 kg.

Un’altra analogia con la guerra in Yemen riguarda l’uso del missile anticarro di fabbricazione russa “Kornet”. Sempre la Saraya al-Quds ha rivendicato la responsabilità di un attacco contro un veicolo militare israeliano al confine di Gaza con un missile guidato, dichiarando esplicitamente di aver usato questo tipo di missile. Un ufficiale

israeliano è stato ucciso. In precedenza un altro Korner aveva colpito una jeep civile. Modalità analoghe a quelle usate dagli Houthi dello Yemen contro i mezzi blindati sauditi come dimostra un video pubblicato dalla formazione ribelle nel 2016 — gli yemeniti usano i Kornet in una versione modificata dagli iraniani che chiamano “Dehlavieh”.

Israele ieri sera ha bombardato un deposito di questo genere di missili>>. (Emanuele Rossi, Grazie all’Iran i palestinesi hanno potuto sparare mille razzi su Israele, www.formiche.net, 12/5/2021; sul funzionamento del sistema Iron Dome (cupola di ferro) si rimanda a Stefano Pioppi, Come funziona Iron Dome, il sistema che protegge Israele, www.formiche.net, 12/5/2021).

L’area del Medio Oriente è definita come una regione che abbraccia tre diversi continenti (Asia, Europa ed Africa) e ne fa necessariamente un’area di importanza strategica nel conflitto tra le potenze mondiali sia in declino (USA) sia in ascesa (Cina e Russia). E’ all’interno di questo conflitto che va letto il controllo delle risorse energetiche presenti nell’area (si pensi alla guerra economica statunitense per controllare le risorse energetiche a danno delle economie cinese, russa e iraniana; all’uso geopolitico delle risorse per ridurre le aree di influenza del blocco euroasiatico). Gli USA violano sistematicamente tutti i trattati internazionali (per esempio il TNP, Trattato di Non Proliferazione sulle armi nucleari) per riaffermare con l’arroganza e con la violenza la loro volontà storica di dominio assoluto. Non resta loro che la dialettica delle armi perché le armi della dialettica presuppongono una nuova idea di sviluppo e di società che essi non hanno perché i loro agenti strategici dominanti non fanno più sintesi nazionale e perché tutta la cosiddetta civiltà occidentale è in profonda crisi. Per tutto questo gli USA sono la potenza pericolosa per l’intero sistema mondiale.

Non ci resta che sperare nella affermazione di una lunga fase multicentrica per un equilibrio dinamico tra le potenze per il dominio del mondo con un peso specifico di quelle orientali. Ricordo che stiamo parlando di dominio che è la relazione più stupida che l’essere umano abbia realizzato nello specifico ordine simbolico maschile storicamente dato. Per capire questa semplice ma profonda verità bisogna confrontarsi e ragionare col pensiero femminile, quello in coscienza critica, per un cambiamento dei rapporti sociali cosiddetti capitalistici (delle diverse nazioni) e pensare ad un’altra società, ad altri sistemi di rapporti sociali.

 

 

 

IO SONO ISRAELE. TUTTO MI E’ PERMESSO

di Norman Finkelstein*

 

Io Sono Israele.

Sono venuto in una terra senza popolo per un popolo senza terra. Quelle persone che si trovavano qui, non avevano il diritto di starci, e la mia gente ha mostrato loro che dovevano andarsene o morire, radendo al suolo 400 villaggi palestinesi, cancellando la loro storia.

 

Io Sono Israele.

 

Alcuni dei miei hanno commesso massacri e in seguito sono diventati primi ministri per rappresentarmi. Nel 1948 Menachem Begin era a capo dell’unità che massacrò gli abitanti di Deir Yassin, tra cui 100 donne e bambini. Nel 1953 Ariel Sharon guidò il massacro degli abitanti di Qibya e nel 1982 fece in modo che i nostri alleati massacrassero circa 2.000 palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila.

 

Io Sono Israele.

 

Sono nato nel 1948 nel 78% della terra di Palestina, espropriando i suoi abitanti e sostituendoli con ebrei dall’Europa e da altre parti del mondo. Mentre i nativi le cui famiglie hanno vissuto su questa terra per migliaia di anni non sono autorizzati a tornare, gli ebrei di tutto il mondo sono i benvenuti e ottengono la cittadinanza istantanea.

 

Io Sono Israele.

 

Nel 1967 ho inghiottito le restanti terre della Palestina – Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza – e ho posto i loro abitanti sotto un dominio militare opprimente, controllando e umiliando ogni aspetto della loro vita quotidiana. Alla fine, dovrebbe essere chiaro per loro che non sono i benvenuti e che farebbero meglio ad unirsi ai milioni di profughi palestinesi nelle baraccopoli del Libano e della Giordania.

 

Io Sono Israele.

 

Ho il potere di controllare la politica americana. La mia Commissione per gli Affari Pubblici Israeliani americana può creare o distruggere qualsiasi politico di sua scelta e, come vedete, fanno tutti a gara per accontentarmi. Tutte le forze del mondo sono impotenti contro di me, comprese le Nazioni Unite, poiché ho il veto americano per bloccare qualsiasi condanna dei miei crimini di guerra. Come Sharon ha detto in modo eloquente, “Controlliamo l’America”.

 

Io Sono Israele.

 

Influenzo anche i media mainstream americani e troverai sempre le notizie su misura per me. Ho investito milioni di dollari nelle pubbliche relazioni e la CNN, il New York Times e altri hanno svolto un ottimo lavoro nel promuovere la mia propaganda. Guarda altre fonti di notizie internazionali e vedrai la differenza.

 

Io Sono Israele.

 

Vuoi negoziare la “pace !?” Ma non sei intelligente come me; negozierò, ti permetterò di avere i vostri comuni, ma io controllerò i vostri confini, la vostra acqua, il vostro spazio aereo e qualsiasi altra cosa importante. Mentre “negoziamo”, ingoierò le vostre colline e le riempirò di insediamenti, popolati dai più estremisti dei miei estremisti, armati fino ai denti. Questi insediamenti saranno collegati a strade che non potrete usare e sarete imprigionati nei vostri piccoli Bantustan, circondati da posti di blocco in ogni direzione.

 

Io Sono Israele.

 

Ho il quarto esercito più forte del mondo, in possesso di armi nucleari. Come osano i tuoi figli affrontare la mia oppressione con le pietre, non sai che i miei soldati non esiteranno a sparargli in testa? In 17 mesi, ho ucciso 900 di voi e ne ho feriti 17.000, per lo più civili, e ho il mandato di continuare, poiché la comunità internazionale rimane in silenzio. Ignora, come me, le centinaia di ufficiali di riserva israeliani che ora si rifiutano di esercitare il mio controllo sulle tue terre e sul tuo popolo; le voci della loro coscienza non ti proteggeranno.

 

Io Sono Israele.

 

Vuoi la libertà? Ho proiettili, carri armati, missili, Apache e F-16 per annientarti. Ho messo sotto assedio le vostre città, confiscato le vostre terre, sradicato i vostri alberi, demolito le vostre case e ancora chiedete libertà? Non hai ricevuto il messaggio?

 

Non avrai mai pace, o libertà, perché IO SONO ISRAELE

 

*Norman Gary Finkelstein (New York, 8 dicembre 1953) è uno storico statunitense.

Storico e politologo statunitense, Norman Gary Finkelstein ha compiuto i suoi studi nella Binghamton University di New York, poi nell’École pratique des hautes études di Parigi, conseguendo infine un dottorato in Scienze Politiche all’Università di Princeton. Ha insegnato nel Brooklyn College, nell’Hunter College, nella New York University e infine nella DePaul University a Chicago (fino al settembre del 2007).

Figlio di sopravvissuti ebrei del ghetto di Varsavia e poi del campo di concentramento di Auschwitz, Finkelstein si mise in luce con i suoi scritti relativi al conflitto arabo-israeliano e grazie alle polemiche suscitate dalla sua critica per ciò che egli chiama «L’industria dell’Olocausto»: termine col quale indica le organizzazioni e le personalità ebraiche (in particolare il Congresso ebraico mondiale o Elie Wiesel) che, a suo parere, hanno strumentalizzato la Shoah a fini politici (per sostenere la politica israeliana) o mercantili (ottenere indennizzi finanziari da parte della Germania e della Svizzera.

 

 

 

Il mio inserimento

 

Dalla introduzione del libro di Norman G. Finkelstein, L’industria dell’olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei, BUR, Milano, 2004, pp.9-10 e 15-16.

 

Questo libro si propone di essere un’anatomia dell’industria dell’Olocausto e un atto di accusa nei suoi confronti. Nelle pagine che seguono, dimostrerò che <<l’Olocausto>> è una rappresentazione ideologica dell’Olocausto nazista*. Come la maggior parte delle ideologie, mantiene un legame, per quanto labile, con la realtà. L’Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe. Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di <<vittima>>, e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano. Aggiungerei che coloro che godono di questa immunità non sono sfuggiti alla corruttela morale che di norma accompagna. Da questo punto di vista, il ruolo di Elie Wiesel come interprete ufficiale dell’Olocausto non è un caso. Per dirla francamente, non è arrivato alla posizione che occupa grazie al suo impegno civile o al suo talento letterario: Wiesel ha questo ruolo di punta perché si limita a ripetere instancabilmente i dogmi dell’Olocausto, difendendo di conseguenza gli interessi che lo sostengono.

[…] Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m’indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia è che è stato usato per giustificare la politica criminale dello Stato d’Israele e il sostegno americano a tale politica. Ma c’è anche un motivo personale. Ho infatti a cuore che si conservi la memoria della persecuzione della mia famiglia. L’attuale campagna dell’industria dell’Olocausto per estorcere denaro all’Europa in nome delle <<vittime bisognose dell’Olocausto>> ha ridotto la statura del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo. Ma anche tralasciando queste preoccupazioni, resto convinto che sia importate preservare l’integrità della ricostruzione storica e lottare per difenderla. Alla fine di questo libro sostengo che nello studio dell’Olocausto nazista possiamo imparare molto non solamente riguardo ai <<tedeschi>> o ai <<gentili>>, ma a noi tutti. Eppure penso che per fare questo, cioè per imparare sinceramente dall’Olocausto nazista, occorre ridurre la sua dimensione fisica ed enfatizzarne quella morale. Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo non alla sofferenza degli ebrei, ma all’accrescimento del loro prestigio. E’ da tempo che dobbiamo aprire il nostro cuore alle altre sofferenze dell’umanità: questa è la lezione più importante impartitami da mia madre. Non l’ho mai sentita dire: <<Non fare paragoni>>. Lei li fece sempre. Certo si devono fare distinzioni storiche, ma porre distinzioni morali tra la <<nostra>> sofferenza e la <<loro>> è a sua volta un travisamento morale. <<Non potete mettere a confronto due sventurati>> osservò Platone << e dire quale dei due sia più felice.>> Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre fu sempre: siamo tutti vittime dell’Olocausto.

 

* Nel testo, con l’espressione <<Olocausto nazista>> si fa riferimento all’evento storico, con il termine <<Olocausto>> alla sua rappresentazione ideologica.

 

 

 

UNA RIFLESSIONE E UNA DOMANDA A PROPOSITO DI << DUE POPOLI DUE STATI>>.

di Luigi Longo

La riflessione che pongo necessiterebbe di un lungo racconto sull’uso del territorio (meglio sarebbe spazio) nel conflitto tra Israele e la Palestina, a partire dal 1948 anno di proclamazione formale dello stato di Israele. Mi limito qui a constatare che si tratta di un conflitto tra un aggressore, Israele, che sta malvagiamente ridimensionando un popolo palestinese che cerca di resistere e di difendere legittimamente i residui territori a propria disposizione che non possono più formare una nazione.

La questione avanti posta va vista nei giochi strategici che le potenze mondiali (soprattutto gli USA) hanno fatto, fanno e continueranno a fare per ottenere l’egemonia dell’area mediorientale, tutto storicamente dato.

La riflessione è: non ci sono più le condizioni territoriali per la creazione di due popoli e due stati. La politica territoriale di Israele, con lo strumento delle colonie e con tutta la sua strumentazione scientifica e tecnica (che non è mai neutrale, è bene ricordarlo), di fatto non permette più di parlare di due stati e di due popoli, ma bensì di uno stato per gli israeliani e di enclave per i palestinesi. Usando un linguaggio lagrassiano direi che storicamente gli agenti sub-dominanti della sfera politica, della sfera religiosa, della sfera militare e della sfera istituzionale-territoriale hanno avuto un ruolo fondamentale nel concentrare il popolo palestinese in enclave e distruggere l’idea stessa di una loro nazione con un territorio, una istituzione, delle risorse, una storia e una cultura propri.

Esiste un popolo israeliano con uno stato, gestito da agenti strategici sub dominanti spietati e insaziabili di potere e di egemonia, che è una pedina fondamentale (fino a poco tempo fa) degli USA e delle loro strategie mediorientali nella scacchiera del conflitto per l’egemonia mondiale.

Esiste un popolo palestinese rinchiuso in enclave le cui condizioni di vita sono sempre più difficili e al limite della sopravvivenza (almeno per la maggioranza della popolazione).

Una domanda ora sorge spontanea: perché si continua a lanciare missili innocui su Israele sapendo delle conseguenze inenarrabili sulla popolazione palestinese (donne, bambini e anziani, i numeri dei morti della guerra in atto lo stanno a dimostrare)?

Avanzo un dubbio: siamo sicuri che i gruppi dominanti del popolo palestinese (con le loro articolazioni in forze politiche: OLP, Hamas, eccetera) non utilizzano ideologicamente l’obiettivo dei <<due popoli due stati>> per le loro strategie di potere e di egemonia per meglio posizionarsi, sia negli accordi di pace sia nelle strategie complessive delle potenze mondiali, con i gruppi strategici egemonici sub dominanti (israeliani e non solo) e dominanti ( USA e non solo) in questa crisi d’epoca di chiaro avvio della fase multipolare?

Se rimaniamo nella dialettica << due popoli due stati >> non riusciamo a capire i rapporti sociali e le trasformazioni sociali che avvengono in quell’area nevralgica del medioriente. E non riusciremo mai a capire perchè si lanciano missili innocui su Israele, ritorsivi e autodistruttivi per la maggioranza dei palestinesi.

 

Gaza-Israele, le parti in commedia_con Antonio de Martini

Dopo mesi di tensione accumulata per i tanti problemi e contenziosi irrisolti si è riacceso lo scontro aperto tra componenti della comunità israeliana e di quella palestinese. E’ stato sufficiente per riaprire il gioco delle parti nel quale tutti gli attori politici hanno trovato convenienza ad attizzare il fuoco. Ma il gioco da quelle parti è particolarmente pieno di imprevisti e può sfuggire facilmente di mano_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vh325z-gaza-israele-le-parti-in-commedia.-ne-parliamo-con-antonio-de-martini.html

 

UN RAMADAN CON PROSPETTIVE ?_di Antonio de Martini

UN RAMADAN CON PROSPETTIVE ?
Ormai abbiamo doppiato i cento giorni di Biden ( e anche di Draghi) senza fatti clamorosi.
Entrambi hanno preferito impostare azioni di respiro piuttosto che cedere alle richieste dei rispettivi uffici stampa in cerca di scoop.
Specie nel Vicino Oriente, si assiste a una inedita stagione di incontri senza clamori.
Stati Uniti e Iran si sono finalmente incontrati al tavolo negoziale dopo quarantadue anni di dispetti, ripicche e assassinii reciproci.
Una delegazione saudita si è recata la settimana scorsa a Damasco per incontrare personalmente Assad dopo dieci anni di guerra diretta e feroce. Il 26 in Siria si vota.
Quattro milioni di persone vorrebbero tornare a casa.
L’Oman dopo essere stato ostracizzato – anche con blocco e sanzioni- dai sauditi e dagli UAE, ha ripreso con vigore la mediazione per far cessare il conflitto yemen-Arabia Saudita-UAE che entra nel settimo anno.
Turchia ed Egitto, dopo anni di silenzio si sono incontrati a Bagdad, come Sauditi e Iraniani in cerca di intese.
I contendenti sono tutti palesemente stanchi di questa ultradecennale partita senza vincitori e si stanno tutti rendendo conto che la gente di ogni paese ha smesso di credere alle narrative dei rispettivi governi.
I due protagonisti piu esagitati del Vicino Oriente – Mohammed ben Salman e Netanyahu- si sono auto emarginati con errori – anche interni- clamorosi e gli USA hanno colto il destro per riprendere l’iniziativa e allontanare la prospettiva di un qualsivoglia accomodamento mediato dalla Russia che li avrebbe di fatto emarginati dal processo di « appeasement » imposto dalla pandemia.
Non si può parlare di cooperazione globale e contemporaneamente combattersi localmente e senza risultati.
Unica nota stonata tra le iniziative in atto, é la squadra navale inglese più agguerrita di sempre, dai tempi delle Falkland, in navigazione verso l’Estremo Oriente con l’ammiraglia «Queen Elisabeth».
Speriamo sia un altro errore di Johnson e non la preveggenza di Albione.
Tra pochi giorni ci sarà la fine del mese sacro di Ramadan e la festa di aid al fitr che coinvolge l’intera area.
Cesserà il digiuno e la meditazione e vedremo se tanta attività preparatoria darà frutti e di che genere.
Ci sono enormi capitali e enormi speranze e enormi stanchezze.

Israele, la sua realtà vista da un israeliano_con Gabriele Levy

Israele è una realtà complessa e originale nello scacchiere mediorientale. E’ un oggetto di contesa, ma anche un pretesto di contesa tra i paesi che lo circondano. Dalla sua fondazione è un attore che si è imposto di fatto, ma negli ultimi decenni, in particolare dalla caduta del blocco sovietico, è un protagonista riconosciuto da una parte sempre più larga di stati e comunità arabe. Il cammino verso un definitivo riconoscimento reciproco è però ancora irto di ostacoli ed incognite in un quadro nel quale le opzioni militari assumono ancora grande spazio assieme a processi di convivenza ed integrazione_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vf2nxj-la-realt-di-israele-vista-da-un-israeliano-con-gabriele-levy.html

LA PACE DI ABRAMO, di Antonio de Martini

Anche se per la verità gli esponenti politici da assassinare in contemporanea cominciano ad essere un po’ troppi. Gli accordi sanciscono comunque la frattura definitiva dei paesi arabi con l’Iran e molto facilmente con la Turchia piuttosto che il sodalizio con Israele_Giuseppe Germinario
LA PACE DI ABRAMO
Si tratta di un nuovo reality show col quale Trump pensa di vincere le elezioni a novembre?
Come noto, Abramo era un estraneo in Palestina proveniva dall’odierno Irak ( Ur di Caldea) come sua moglie Sara.
Si arricchì facendola prostituire ( lo dice la Bibbia) e facendosi pagare con pecore e capre, ma importò dalla Mesopotamia il monoteismo e la pratica della circoncisione.
Il nome dell’accordo di pace tra Bahrein, l’UAE e Israele è quindi stato scelto in base alla notorietà statunitense del personaggio, ma il contenuto degli accordi non è stato divulgato, dato che non c’è mai stato un contenzioso tra loro.
Storici accordi di pace tra Israele e suoi vicini con cui ha invece effettivamente guerreggiato ci sono gia stati: nel 1979 con l’Egitto di Saadat ( poi ucciso) e nel 1994 con la Giordania ( uccisero re Abdallah – bisnonno dell’attuale re- nel 1948 quando si accordò segretamente con gli israeliani).
Nessuno di questi accordi di pace ebbe impatti positivi sulla pace nella regione, ma, negativi, sulla salute dei firmatari.
Si capisce quindi il motivo per cui nessun rappresentante saudita e nessun regnante di Bahrein ( Ahmed ben Issa al khalifa di Bahrein e Mohammed ben Zayed al Nayhan dell’UAE ) fosse presente allo “ storico evento”. Le firme “ arabe” le hanno messe i ministri degli esteri.
Le grandi attese furono deluse anche il occasione degli accordi di Oslo ( tra palestinesi e Israeliani) in cui l’ucciso di turno fu il premier israeliano Isaac Rabin.
Ci sarà certamente – oltre alla prospettiva di vendere qualche F 35 – qualche contratto di tecnologie di sicurezza del polo elettronico israeliano e il possibile vantaggio militare che Israele avrà avvicinato all’Iran le basi di partenza della propria aeronautica verso l’Iran.
Vedremo chi morirà per primo stavolta.

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO, di Antonio de Martini

Qui sotto una serie di considerazioni di Antonio de Martini sulla situazione del Libano. Lo scritto, aggiornato, in parte già riportato su questo sito, è di circa otto anni fa, ma torna di grande attualità alla luce dei movimenti in corso in quella regione al netto dei grandi limiti e azzardi che anche la classe dirigente iraniana, in buona compagnia dei tanti suoi avversari, ha compiuto_Giuseppe Germinario

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO

di antoniochedice

Il mio amico Nachik Navot, del cui patriottismo non è lecito dubitare, ha lasciato il servizio come vice capo del Mossad e che ormai temo non sia più tra noi perché non risponde più alle mie  mail,( ora dovrebbe sfiorare il secolo..)mi regalò due articoli che pubblicai sul mio blog. www.corrieredellacollera.com  il 6 luglio 2012 egli scrisse parole lucide sulla situazione mediorientale che conosceva bene essendo stato in servizio anche in Iran e in India.

Ecco il link al suo articolo che consiglio di leggere

https://corrieredellacollera.com/2012/07/06/fortress-israel-la-sindrome-dell-olocausto-e-il-senso-della-vera-sicurezza-senza-cui-non-ce-pace-di-nachik-navot/

Una delle considerazioni, a mio avviso più più importanti che ci ha lasciato, è che se Israele vorrà ottenere una pace duratura, dovrà liberarsi della “ sindrome della Fortezza Israele” e crearsi nuove motivazioni e azioni per vivere in armonia coi suoi vicini.

Questa sindrome è frutto di una imposizione altrui dato il trattamento inumano europeo inflitto agli ebrei con l’Olocausto. Gli Israeliani si sentono assediati, da tutti e per sempre, e si comportano di conseguenza. Peccando spesso di “overeaction” aggiungo io.

E’ comprensibile, che  questa situazione abbia avuto implicazioni culturali negative sullo sviluppo iniziale  dello Stato di Israele ma,  il numero di israeliani e membri delle Diaspore consapevoli che vada superata, cresce ogni giorno di più.

Ho deciso di fare riferimento a Nachik ( diminutivo di Menachem) per introdurre la pedina “ Israele” nel tragico gioco della crisi libanese, dove a tutta prima – e in questa fase- sembrerebbe assente perché il proscenio  è occupato dall’ambasciatrice statunitense Dorothy Shea cui piace molto il ruolo di Proconsole e ha l’empatia di un celenterato.

I libanesi hanno dovuto più volte ricordarle l’esistenza della Convenzione di Vienna del 1969 con cui si conveniva il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi ospitanti.

Oggi il Libano, unico paese del vicino e medio oriente a guida cristiana ed economia liberista, vive una profonda crisi morale, politica ed economica causata in parte dalla diluizione della identità culturale di cui tutti si dicono fieri a parole, e in parte dalle pressioni di una violenza inusitata esercitata dalla amministrazione americana che ha il duplice scopo di promuovere la firma  di

un trattato di pace con Israele ( dai tempi di Sadat nessuno vuole firmare senza che sia prima conclusa la pace coi palestinesi, a pena la morte) e di rassicurare l’alleato circa il  concreto pericolo incombente rappresentato dal partito Hezbollah che conta su un elettorato del 50% della popolazione, dispone di  un esercito ben addestrato di ventimila uomini e trentamila riservisti  e di un arsenale missilistico inizialmente composto da missili obsoleti ( Zelzal 2 e 3) che grazie ad un ammodernamento artigianale, alla possibilità di lancio da mezzi mobili e al loro numero,  si ritiene possano distruggere il grosso delle infrastrutture israeliane concentrate su un territorio circoscritto e mescolate con la popolazione.

Si tratta di un dilemma che nessun governo può accettare. Israele, nato per difendere gli ebrei, sarebbe il solo paese in cui la loro vita sarebbe a continuo repentaglio.

L’ANTEFATTO

Rubricare come “organizzazione terroristica” un partito politico che prende il 50% dei voti alle elezioni politiche, non è stata la scelta più intelligente dell’amministrazione USA in un’area in cui scelte intelligenti non ne fa da almeno un trentennio.

Ma andiamo per ordine lasciando da parte il contenzioso palestinese che ci porterebbe ad allargare troppo questa esposizione e che è il convitato di pietra di ogni situazione in quest’area.

1Nel 1975 scoppiò a Beirut , per ragioni che non interessano in questa sede, una guerra tra i palestinesi rifugiati in Libano e una fazione politica locale che si allargò a tutte le componenti politiche  e tribali dell’area.

La guerra , durò fino al 1990 circa, fece centomila vittime e scosse dalla fondamenta quella che era la società più progredita e cosmopolita del mondo arabo. Ogni fazione si trovò degli sponsor politici e militari, ottenne sovvenzioni al punto che- in piena guerra- la lira libanese si apprezzò sul dollaro. L’esercito mantenne la neutralità ( che risultò preziosa per la ricostruzione della concordia nazionale)  e si assisté al paradosso che combatterono tutti tranne i soldati.

2 Presi dalla sindrome “ Fortress Israel” i militari di Tsahal immaginarono una operazione suscettibile di allargare i confini nord del paese spingendo via le popolazioni di confine  che non ostacolavano i guerriglieri palestinesi e le loro incursioni.

Obbiettivi strategici:  bonificare l’area, impadronirsi delle sorgenti del fiume Litani, liberare il fianco del Giabal Druso ( una setta eterodossa dell’Islam che collabora da sempre con gli israeliani al punto di fornire una brigata all’Esercito), mostrare di voler annettere il territorio del sud Libano ed eventualmente rilasciarlo in cambio di un formale trattato di pace.

L’operazione  lanciata nel 1982 chiamata “ Pace in Galilea” mirava anche  a dare sicurezza ai kibbutz della alta Galilea esposti ai blitz palestinesi, ebbe successo militare ma si risolse in un fallimento politico completo. Nessuno degli obbiettivi fu raggiunto, nemmeno parzialmente, anche per gli eccessi di violenza commessi come la strage di Sabra e Châtila.

https://corrieredellacollera.com/2012/09/18/obama-punisce-israele-sharon-ha-ordinato-e-voluto-la-strage-di-sabra-e-chatila-ingannando-gli-u-s-a-se-netanyau-non-lascia-obama-potrebbe-rincarare-la-dose-con-unaltra-accusa-terribile-l/

Israele si trattenne però una fascia frontaliera di dieci km facendo così nascere un movimento di resistenza non significativo da parte di una organizzazione caritativa già esistente chiamata Hezbollah e creata per scopi assistenziali da due religiosi, l’Imam Moussa Sadr e Monsignor Grégoire Haddad, cristiano di rito greco ortodosso.

Israele evacuò la zona a seguito di pressioni USA, ma Hezbollah si vantò – con mentalità tipicamente orientale- di essere all’origine della ritirata con le sue imprese.

Fu l’inizio della gestazione dell’Hezbollah che oggi conosciamo.

Negli anni, la  placida assistenza ai partigiani palestinesi, divenne azione  sistematica  fino al punto da indurre l’Esercito israeliano a progettare un’altra, più circoscritta, sortita  fuori della

“ Fortress Israel” per dare una lezione ai “contadini”. E questo fu il secondo errore di cui tratteremo più tardi.

La principale conseguenza della fine della guerra in Libano fu la cessazione degli aiuti finanziari da parte di tutti i partecipanti indiretti che avevano – con gli stipendi ai combattenti – sostenuto il corso della lira libanese.

Deflazione lampo e disoccupazione generale.

IL DOPOGUERRA

Unici a mantenere attivi, riconvertendoli,  i finanziamenti furono gli iraniani ( avevano piegato i francesi con un ennesimo attentato e questi si decisero a restituire 700 milioni del miliardo di dollari anticipato dallo scià per dotarsi di tecnologia nucleare che L’Ayatollah Khomeini aveva bollato come empia in una fatwa, e chiesto la restituzione dell’anticipo).

Isolati dagli USA a seguito dei noti eventi rivoluzionari, gli iraniani ruppero l’accerchiamento cercando di far leva sul proletariato sciita ed allargando il giro anche visivamente: cento euro al mese se Ali si fa crescere la barba ( segno di pietas), altri cento se tua moglie si mette il velo; duecento se obblighi  anche tua figlia a fare altrettanto….

Un padre di famiglia sbarcava il lunario e il partito di Allah ( Hezbollah) fungeva da ufficiale pagatore e beneficiario di una palpabile crescita di immagine che contrastava la narrativa dell’isolamento.

L’intesa politica, il controllo del partito da parte degli elementi sciiti, e la fornitura di armi furono le logiche conseguenze della intesa anti crisi.

Gli occidentali curavano l’élite e l’Iran il sottoproletariato.

L’élite viaggiava per il mondo e il sottoproletariato scavava bunker.

Quando gli israeliani, a seguito di un ennesimo sconfinamento con sparatoria, attaccarono credendo di fare una passeggiata militare di rappresaglia, dovettero ritirarsi con perdite e il generale di brigata israeliano comandante della spedizione, fu rimosso. Rimediarono con un bombardamento.

Fu cosi che Hezbollah passò dalla millanteria levantina al rango di unica potenza militare che aveva battuto gli israeliani in campo aperto.  Divenne, con un estorto consenso governativo, una sorta di Stato nello stato con l’incarico di gestire eventuali proxy war contro Israele senza coinvolgere il governo legale.

L’inizio della guerra in Siria – un altra guerra di aggressione esterna presa per guerra civile-  ha offerto a Hezbollah l’opportunità di rodare i suoi soldati e di agire di concerto ad altri volontari cristiani che sono intervenuti a sostegno dei cristiani di Siria minacciati fin nella decapoli dove risiedono dai tempi di Cristo di cui parlano ancora la lingua aramaica.

Furono i diecimila volontari di Hezbollah a liberare le colline del Kalamoun che riaprirono le comunicazioni tra Damasco e il Libano e determinarono l’esito delle battaglie in corso.

LA SITUAZIONE POLITICA ATTUALE

Sono in corso pressioni politiche, giornalistiche e finanziarie sul presidente della Repubblica, il generale Michel  AOUN  e su suo genero Gebran BASSIL ( fino a poco fa ministro degli Esteri) .

Le pressioni USA sul Libano mirano a costringere l’Esercito Libanese a confrontarsi con l’Hezbollah, che è più numeroso, più esperto, collaudato in combattimento e meglio armato ad onta delle dichiarazioni del generale Frank Mckenzie che da Washington incoraggia moderatamente allo scontro,  in supporto all’ambasciatrice che attribuisce la crisi monetaria sul cambio del dollaro  all’Hezbollah, dicendo però che gli USA sono pronti ad aiutare qualora Hezbollah venga “ allontanato dal governo”, il che è già stato fatto, istallando un governo tecnico giudicato però insoddisfacente.

La diplomatica da la colpa della crisi  “ alla corruzione praticata da decenni”. Questa dichiarazione è contraddittoria con la consapevolezza che il Libano, appunto per decenni,  è stato prospero al punto di essere definito “ la Svizzera del Medio Oriente” e con il fatto – noto a chiunque abbia letto un libro – che la corruzione impera nell’area – e non solo- da almeno due millenni, al punto di essere contemplata dal codice di Hammurabi.

LA SITUAZIONE MILITARE OGGI

LA MINACCIA A ISRAELE

Sembra che le modifiche artigianali ai vecchi missili iraniani ZELZAL 2 del costo di poche migliaia di dollari, consistano nell’inserimento di un sistema di guida cinese, l’adozione del navigatore  GLONASS , il GPS russo, in aggiunta a quello occidentale e un arsenale già pronto di circa 200 missili ribattezzati Fateh 100 siano all’origine dell’allarme rosso Israeliano.

Circa un anno e mezzo fa, una pioggia di missiletti lanciata in Galilea su località disabitate di Israele, ha permesso di capire che il sistema originale antiaereo “ Iron Dome” possa al massimo acquisire ed abbattere da 150  a 200 intrusi volanti su 250 lanciati contemporaneamente.

Valutazioni di Stato Maggiore attribuiscono a Hezbollah una capacità massima di lancio di poco più di mille missili in un giorno.

Inviarne 400 assieme metterebbe in crisi lo Stato maggiore  israeliano che sarebbe costretto a scegliere se difendere prioritariamente le infrastrutture strategiche ( la raffineria di Haïfa, gli aeroporti, l’impianto nucleare di Dimona, Il quartiere generale dell’Esercito, o le basi principali di Tsahal a Kyria o Tel Nof ,  Nevatim e Hatzor.) oppure la popolazione finora rimasta sostanzialmente indenne da urti militari importanti.

Gli israeliani valutano che la portata di 250 km , il carico esplosivo oscillante tra i 500 e i 900 kg, produrrebbero danni non riparabili anche quanto a sicurezza della popolazione esposta in gran parte alla tentazione di far uso della seconda nazionalità che molti hanno conservato. Israele mancherebbe alla sua missione di protezione degli ebrei sul suo territorio e la bilancia demografica, già sospettata di essere, deficitaria diverrebbe palesemente fallimentare.

Hezbollah ha insomma messo a punto un “ Game Changer” del quadro geopolitico.

Di qui l’esigenza di eliminare il pericolo per Israele e ristabilire l’equilibrio per gli USA.

LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE

ISRAELE

La partita di scacchi in corso é così configurabile: Israele può scegliere di ricorrere alla sindrome “ Fortress Israel” – anche per distrarre dalla crisi economica interna, facendo passare in seconda fila l’annessione della valle del Giordano e  potenziando così la sua leadership- e organizzare una sortita nucleare contro l’Iran e/o contro Hezbollah, approfittando della fase pre elettorale americana (tutti i blitz iniziati dagli israeliani sono stati fatti in questa fase pre elettorale), ma pagherebbe un prezzo valutabile in 300/400 missili sui suoi obbiettivi vitali concentrati in un fazzoletto di territorio, col pericolo che i piloti al ritorno dalla loro missione rischierebbero di non ritrovare né la base di partenza e forse neppure la famiglia.

L’Iran si troverebbe, dopo uno scontro mortale, ad aver cavato le castagne dal fuoco all’Arabia Saudita, il suo rivale storico.

Lo scontro, non conviene a nessuno. Si ripeterebbe la certezza della MAD (Mutual Assured Destruction ) che animò la guerra fredda.

La soluzione del dilemma sembra essere stata stata individuata con la stessa logica del 1982 che ha portato al fallimento della operazione “ pace in Galilea”: costringere Il governo libanese a scontrarsi con Hezbollah chiedendo al governo di disarmarlo e cacciarlo dalla maggioranza di coalizione che governa il paese. ( Nasrallah,  il loro capo, non è un chierichetto e sa che la cacciata dalla maggioranza sarebbe solo l’inizio, quindi resisterebbe fin dal primo cenno).

IL LIBANO

Gli esiti grotteschi delle primavere arabe, l’indefinito protrarsi della guerra in Yemen,la “sirizzazione” della Libia, la penetrazione incruenta della Russia nel fianco destro della NATO, il ripudio delle organizzazioni internazionali promosse dall’America che tutti amavamo,  la perdita della leadership mondiale per gli innumeri errori in Medio Oriente  – e negli States col COVID e la questione razziale – hanno ridotto la credibilità e il prestigio di mediatori dei diplomatici e politici USA a livelli impensabili solo dieci anni fa.

Non potendo accettare tutte le “ istruzioni” ricevute, il Libano  ha trovato una soluzione di compromesso: fuori tutti dal governo che viene affidato a un tecnico assistito da tecnici.  Piiché i tecnici sono neutrali a favore o contro qualcuno, il problema si è riproposto e lo zio Sam ha applicato ala cura russa ( – 50% del rublo in due settimane)  e quella turca ( – 50 % del valore della lira turca in due settimane). Oggi  con la lira libanese si ottengono dollari a 10.000 contro uno; le banche concedono accesso limitato ai conti per 30 dollari al giorno e la popolazione ha il 50% di disoccupati, erogazione limitata di acqua e elettricità e scontri di piazza.

Le pressioni sul Presidente sono diventate attacchi personali e metà della popolazione attribuisce ogni colpa a Hezbollah, l’altra metà all’America.

L’ARABIA SAUDITA

Il regno sta affrontando – e perdendo- una guerra calda in Yemen e una fredda col Katar e l’Oman. Ha già perso la guerra di Siria ed è in preda a convulsioni interne a livello della élite e di famiglia reale, mentre l’”unrest” di Al Kaida e della provincia est sciita a influenza iraniana.

Far tornare al potere Saïd Hariri  – il premier libanes che ha scatenato lo show-down con le sue dimissioni che avrebbero dovuto essere brevi e vittoriose – è per il Crownprince un affare di vita o di morte. Nella sua ottica malata, Mohammed ben Salman ha bisogno che il LIbano firmi la pace con Israele per poi poterla firmare anche lui è dare il via al piano Marshall per la penisola araba che dovrebbe portare alla pace generale  per tutti e lui al trono di Riad.

Ha un sistema di sicurezza impeccabile, ma la perfezione non è di questo mondo.

GLI USA

Anche Trump e Pompeo devono affrontare un difficile dilemma :

1: continuare a bulleggiare  selvaggiamente con sistemi di macelleria sociale – il Libano, forti dell’ottenuto, complice, inspiegabile, silenzio Vaticano- un piccolo paese che ha creato l’alfabeto e il commercio internazionale, da sempre amico dell’Occidente che ospita pacificamente un numero di profughi pari alla propria popolazione e sul quale si scaricano tutte le tensioni del Levante.

2: aiutare Israele a capire che è il momento di uscire dalla “Fortress Israel” con tutte le garanzie di una mediazione internazionale decisa e con le idee chiare di cui gli USA siano primi tra pari.

3: Affrontare l’aléa di una ennesima guerra in cui potranno annientare l’Iran e il Libano, ma il loro alleato israeliano subirà tutti i colpi e regnerà su un cimitero.

LA SIRIA

Esausta e vittoriosa  deve fare i conti con l determinazione USA che insiste nelle sanzioni e nell’aiuto a curdi e turchi per tenerla occupata e ha rincarato la dose inserendo la moglie di Assad- ASMA- nella lista dei criminali d punire con le sanzioni. Lei che pochi mesi fa è uscita da una feroce lotta contro il cancro ed è sempre stata lontana dalla politica e vicina al marito.

La viltà di questo atteggiamento mostra quanto gli USA siano disperati e a corto di idee: peggio di una battaglia perduta contro una fragile donna che aveva rifiutato le migliori cure russe pur di non lasciare il suo popolo e suo marito. La Siria distrutta nelle infrastrutture e nel commercio, ha ancora carte da giocare: dai rifornimenti a Hezbollah, ai tunnel segreti per entrare in Israele e al finanziamento di una intifada ben più cruenta in caso di annessione della valle del Giordano.

HEZBOLLAH

E forte nel suo territorio; rispettato da tutti perché “ fa quel che dice e dice quel che fa”,

In caso di attacco potrà contare sull’appoggio diretto di Iran e Siria e quello indiretto di Cina, Indonesia e Russia, ma anche dei palestinesi della striscia di Gaza e in una Intifada palestinese .

Ma sopratutto nei missile FATEH 100 e nel coltello che ogni arabo sa manovrare con maestria specie nelle notti senz luna.

Intanto il Libano, preda di stupidi privi di scrupoli, Domanica 5 luglio si farà sentire : tutti i libanesi alle sette ora Italia e nove ora di Beirut, in contemporanea su Facebook, you tube e in tutte le TV locali faranno sentire a tutto volume la loro voce di resistenza. Sintonizzatevi su

https://www.facebook.com/BaalbeckInternationalFestival/live/

Oppure

https://www.youtube.com/watctch?v=KQ0K8UE651E&feature=YouTube.be 

Il regno dell’accusa, di Caroline B. Glick

In Israele dinamiche politiche sorprendentemente analoghe a quelle italiane_Giuseppe Germinario

tratto da https://www.israelhayom.com/opinions/the-reign-of-the-prosecution/?fbclid=IwAR3EDe8ElnwocYexy8IJ3CpCHlptCjV5AdhlQ9TujIkUHtp19XPqVUQ3BWc

In Israele giovedì mattina, i politici erano la grande narrazione. Il presidente di Israele Beitenu, Avigdor Lieberman, era il cattivo che aveva tenuto in ostaggio il paese per quasi un anno mentre nutriva il suo disturbo narcisistico della personalità.

L’ultimo fiore all’occhiello della sinistra, il Partito Blu e Bianco, è tutta la prospettiva politica un tempo vibrante che può mettere insieme ora che ha perso la sua ideologia. Con il suo Dio della pace ucciso da attentatori suicidi e missili e le sue statue di socialismo schiacciate dal peso delle società governative fallite, tutto ciò che resta della sinistra è Blu e Bianco. Il partito poggia su due assi: distruggere il primo ministro Benjamin Netanyahu ed eternizzare il regime dei burocrati non eletti di Israele.

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La polena del partito – Benny Gantz – era tentata di unirsi a un governo di unità con Netanyahu che le avrebbe garantito l’incarico di primo ministro in un accordo di avvicendamento. Ma i suoi compagni non glielo avrebbero permesso. Unirsi a un governo con Netanyahu sarebbe un tradimento della loro vera ragione di esistere. Quindi, purtroppo, se ne è andata.

E poi c’era Netanyahu stesso. Giovedì mattina, i suoi sostenitori hanno scosso la testa frustrati e i suoi nemici hanno battuto le mani in allegria alla vista del più grande statista israeliano, il leader che il pubblico vuole mantenere in carica, incapace di formare un governo.

La conversazione sui politici israeliani è durata meno di 24 ore.

Alle quattro del pomeriggio, l’ufficio del procuratore generale Avichai Mandelblit annunciò che alle 7:30 di sera avrebbe annunciato la sua decisione di incriminare Netanyahu. Il messaggio di fondo era cristallino: il giorno dopo Gantz restituì il suo mandato per formare un governo al presidente Reuven Rivlin dopo che non era riuscito a ottenere un numero sufficiente di partner della coalizione per costruire un governo; Mandelblit disse che non aveva senso parlare se Israele andrà alle nuove elezioni a marzo.

Gli elettori non decidono nulla. Lo fanno gli avvocati. I politici sono irrilevanti. Le uniche persone che contano in Israele oggi sono gli avvocati non eletti che gestiscono il paese.

Ma allora lo sapevamo già. E il fatto che – come previsto – Mandelblit abbia annunciato solennemente che stava accusando Netanyahu con tre accuse di violazione della fiducia e un’accusa di corruzione era nella migliore delle ipotesi destabilizzante. Il gioco era finito, se mai fosse stato giocato, a febbraio.

Lo scorso febbraio, al culmine della prima campagna elettorale dell’anno, quando Netanyahu e i suoi partner della coalizione di destra stavano conducendo in tutti i sondaggi con ampio margine, Mandelblit ha preso il passo senza precedenti – e legalmente dubbioso – di annunciare la sua intenzione di accusare Netanyahu di tali reati – in attesa di udienza preliminare. Nel momento in cui ha fatto il suo annuncio, la destra ha iniziato a scivolare nei sondaggi. Il leader aveva parlato. E non avevamo il diritto di interrogarlo. Il fulcro della campagna di Blue and White convergeva attorno alla “raccomandazione” di Mandelblit. La sinistra aveva un grido di battaglia e un motivo per votare. Il collo di Netanyahu era sul ceppo.

Da quando Mandelblit ha proferito le sue “raccomandazioni”, lui e i suoi compagni sono stati gli unici attori politici con qualsiasi facoltà di parola. I nostri attuali leader eletti sono diventati attori del regime degli avvocati. L’annuncio di Mandelblit giovedì lo ha appena reso ufficiale.

Con il plauso dei media corrotti di Israele, negli ultimi tre anni i nostri signori legali hanno eroso tutti gli aspetti del potere politico in Israele, e nel processo – non che a loro importasse – hanno corrotto il sistema legale di Israele da cima a fondo. Dall’inizio alla fine, la loro persecuzione criminale contro Netanyahu è stata una parodia di ogni norma nelle società democratiche governate dallo stato di diritto. Registrazioni e trascrizioni sapientemente curate e completamente distorte degli interrogatori ad opera della polizia di Netanyahu, sua moglie, suo figlio e i suoi consulenti sono state sistematicamente diffuse ai media. Il fatto che ogni simile falla fosse un’azione criminale non aveva importanza. Gli avvocati di Netanyahu hanno presentato richiesta dopo richiesta di Mandelblit per ordinare un’indagine sulle fughe criminali di informazioni. Tutte furono sommariamente e con disprezzo respinte.

Mentre le indagini proseguivano in crescendo, sotto la supervisione del procuratore Shai Nitzan, gli investigatori della polizia hanno coartato i consiglieri più stretti di Netanyahu per costringerli a diventare testimoni contro il primo ministro di maggior successo e ammirato che Israele abbia mai avuto. Gli investigatori hanno minacciato l’ex portavoce di Netanyahu Nir Hefetz che avrebbero distrutto la sua famiglia e lo avrebbero fatto fallire se non avesse accusato Netanyahu. Alla fine sono riusciti a romperlo dopo averlo incarcerato in una cella di prigione infestata da pulci per 15 notti, negandogli il sonno e le cure mediche e portando una giovane donna che conosceva in una stanza degli interrogatori accanto a lui e poi minacciando di distruggere la sua famiglia.

Nelle prime fasi delle indagini, l’allora ispettore generale della polizia Roni Elshech ha lanciato teorie cospirative demenziali, prive di fondamento e francamente pazze su Netanyahu, inclusa l’affermazione di aver assunto investigatori privati ​​per seguire gli investigatori della polizia. Elshech ha quindi fatto di tutto per impedire al governo di nominare un suo successore mentre si avvicinava alla fine del suo mandato. Ancora oggi, più di un anno dopo, Israele non ha un ispettore generale di polizia.

Quindi, naturalmente, c’è Mandelblit stesso. Mandelblit, che afferma di non aver saputo dell’abuso dei testimoni, ha quindi rifiutato di indagare sulle accuse. E Mandelblit che ha promesso – dopo aver pubblicato le sue “raccomandazioni” per l’accusa al culmine della campagna elettorale – che si sarebbe avvicinato all’udienza pre-processuale di Netanyahu con una mente aperta. Quella promessa si è rivelata una falsità quando il procuratore capo Liat Ben Ari lasciò l’udienza due giorni prima per portare la sua famiglia in un safari in Sudafrica. Non vorrebbe che una piccola cosa come il destino legale del Primo Ministro le rovinasse la possibilità di vedere gli elefanti.

Lo stesso Mandelblit ha rifiutato di indagare su Ben Ari quando sono emerse le registrazioni il mese scorso che mostravano che aveva presentato una falsa deposizione a un tribunale in relazione a una causa intentata contro di lei da un ex avvocato subordinato.

Quindi, naturalmente, c’è la sostanza delle accuse stesse. L’accusa che Netanyahu abbia accettato una bustarella si basa sull’idea inventata che la copertura mediatica positiva di un politico è corruzione. L’idea che la copertura della stampa possa essere considerata corruzione non esiste da nessuna parte nel mondo democratico. Nessun pubblico ministero al mondo ha mai accusato – o indagato – un politico o un’organizzazione mediatica di aver commesso corruzione con la fornitura di una copertura positiva. Gli alti giuristi americani sono apparsi davanti a Mandelblit nell’udienza di accusa di Netanyahu (evidentemente poco seria) per avvertirlo che perseguire accuse di corruzione contro i politici per aver ricevuto una copertura positiva è una ricetta per distruggere la libertà di stampa e la democrazia stessa.

Ma poi, questo è il punto cruciale di tampinare Netanyahu con i crimini inventati. Ora che Netanyahu è stato accusato di corruzione – e per inciso, non ha mai nemmeno ricevuto una copertura positiva dall’organo mediatico concentrato su di lui – ogni politico che si schiera dalla parte cattiva degli avvocati suderà freddo ogni volta che un giornalista scrive qualcosa di carino su di lui .

Dopo che Mandelblit fece il suo annuncio in prima serata, Netanyahu si impegnò a lottare per la sua libertà e per il ripristino della democrazia israeliana e dello stato di diritto. Nel suo discorso di giovedì sera, ha lanciato un appello appassionato ai suoi “dignitosi” rivali politici per unirsi a lui in questa lotta.

Se alcuni politici dubitano che la lotta di Netanyahu sia la loro lotta, non dovrebbero guardare oltre l’annuncio della procura della scorsa settimana che stava aprendo una revisione, prima di un’indagine penale – del ruolo di Gantz nel cosiddetto “Affare di quinta dimensione”. La Quinta Dimensione era una start-up diretta da Gantz. La sua vendita per $ 14 milioni presumibilmente violò le procedure standard.

Forse Gantz non ha fatto nulla di male. Ma poi, Netanyahu viene accusato di crimini che in realtà non esistono. Quindi non importa. Il messaggio è chiaro Ogni politico è in balia dei pubblici ministeri. Esci dalla linea e diventerai un sospetto criminale prima di poter dire “abuso della giustizia”.

È certamente vero che la sinistra condivide l’odio dei procuratori nei confronti di Netanyahu. Blue and White esiste per distruggerlo. Ma tutti i politici di sinistra – e Liberman – che stanno celebrando oggi devono capire che il Netanyahu che amano odiare è il loro migliore amico e difensore oggi. Se Netanyahu viene dichiarato colpevole di crimini inventati allo scopo di distruggerlo, la loro oca verrà cucinata insieme alla sua.

I politici possono renderci felici o tristi, frustrati o infuriati. Ma oggi, nell’Israele post-democratica, non importa. La scorsa notte Netanyahu ha chiesto una “indagine sugli investigatori”. A meno che i nostri funzionari eletti non uniscano le forze per seguire la sua chiamata, loro – e gli elettori che li hanno eletti – non saranno mai più rilevanti.

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