IL SUPER MALUS, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL SUPER MALUS

Sul super bonus si è scatenato un dibattito, che non tiene conto tuttavia di una circostanza di rilievo decisivo, applicata ad una fattispecie per certi aspetti nuova, o almeno non abituale.

Andiamo per ordine.

Milton (e Rose) Friedman scrivevano sull’errore dello Stato assistenziale (in Liberi di scegliere), che consisteva in un fatto fondamentale, ovvero che “Quando si spende, si può spendere il proprio denaro o quello altrui; e si può spendere per se stessi o a favore di qualcun altro. Combinando queste due coppie di alternative si ottengono quattro possibilità”. Se si spende denaro proprio a proprio favore la scelta è la migliore possibile perché “si ha un forte incentivo sia a economizzare sia a ottenere tutto il valore possibile da ogni dollaro che si spende”. Quando si spende  a favore di qualcuno denaro proprio “si ha lo stesso incentivo a economizzare della I categoria, ma non lo stesso incentivo a ottenere il pieno valore del proprio denaro, almeno secondo il giudizio del destinatario” anche perché non si hanno tutte le relative informazioni. Se si spende a proprio favore denaro altrui, non si ha alcun incentivo ad abbassare il costo, ma solo quello ad ottenere il valore.

Quando poi si spende per altri denaro di altri  “si ha poco incentivo sia a economizzare sia a cercare di dare al proprio ospite ciò al quale egli può attribuire il massimo valore”.

Normalmente le ultime due categorie di spese sono quelle praticate dalle pubbliche amministrazioni, secondo il modello usuale che l’amministratore (ma anche il legislatore) spende denaro di altri (i governati-contribuenti).

Nel super bonus invece il modello è invertito. È il contribuente-committente che decide la spesa, attribuita poi (come sempre) alle pubbliche finanze, cioè ai contribuenti. Il che ha, come si legge sui giornali, portato a ristrutturare il 4% degli immobili, la cui spesa è stata pagata dal 100% dei contribuenti.

Il meccanismo è perciò inusuale ma presenta lo stesso inconveniente di quello generalmente praticato, e che sta a “monte” della distinzione tra pubblico e privato, governanti e governati: che chi spende quattrini degli altri è portato a spenderli male.

Perché per fare un calcolo corretto costi/benefici occorre che ambedue siano sopportati dalla stessa persona. Anche quando si finanzia, con vari sistemi un’impresa privata, con quattrini pubblici – che è il caso più vicino a quello del super bonus e spesso praticato – il risultato può (e spesso è) lo stesso: a un profitto privato corrisponde un esborso pubblico, di guisa che, a valutarli entrambi, risulta un cattivo affare.

Questo al di là delle considerazioni, spesso fatte dai politici: ritorni fiscali (ma sono solo parte delle spese pubbliche), inefficienza della p.a. (verissimo, ma da curare altrimenti), corruzioni (non manca mai), “giustizia contributiva” e così via.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Il sistema produttivo italiano. Una prima carrellata su vizi e virtù Con il professor Marco Pugliese

Con questo video avvieremo un approfondimento sulle virtù e sui limiti del sistema produttivo italiano, mettendolo in relazione soprattutto con le caratteristiche, le capacità e le ambizioni della nostra classe dirigente e del nostro ceto politico e con il contesto geopolitico, in particolare europeo e statunitense. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Covid 19, come prima più di prima_intervista al dottor Giuseppe Imbalzano

La crisi pandemica prosegue senza soluzione di continuità. La sequela di provvedimenti poco coerenti tra di loro, la logica raffazzonata che guida i comportamenti e informa le direttive, la sovrapposizione di funzioni rischiano di neutralizzare quel poco di iniziative più lucide intraprese dal nuovo governo. Il fattore tempo è cruciale per un paese in una condizione di emergenza dai tempi indefiniti. Un vero e proprio ossimoro che rischia di dilapidare le residue risorse e i residui fattori di coesione indispensabili a consentire una ripresa quantomeno accettabile. La crisi pandemica ha messo completamente e contemporaneamente a nudo le troppe debolezze di un paese ormai sempre più esposto passivamente alle intemperie politiche interne e geopolitiche. E’ qualcosa di più serio di un complotto e di un piano preordinato da soggetti ben individuati o quantomeno individuabili; è una situazione di stallo e di degrado opera di una classe dirigente decadente impegnata a perpetuarsi a scapito di gran parte del nostro paese. E’ in questo contesto e con questo presupposto che si inseriscono i complessi giochi e gli enormi interessi politici di destabilizzazione, periferizzazione, colonizzazione e di degrado socioeconomico._Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

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AIUTANTI, SOPPORTATI, NEMICI_di Teodoro Klitsche de la Grange

AIUTANTI, SOPPORTATI, NEMICI

Tra i (modesti) vantaggi che le emergenze politiche, economiche e sociali possono arrecare, c’è quella di chiarire e porre in evidenza caratteri (e funzionamento) di regolarità politiche già evidenziate dalla dottrina. Così è per il Covid 19.

I sostegni dispensati dal governo Conte-bis – e in parte anche dall’attuale – dividono il grosso della popolazione italiana in tre macro-gruppi: coloro che vivono di uno stipendio pubblico/pensione, garantiti al 100%. Anzi tenuto conto delle chiacchiere sullo smart working pubblico (così diverso da quello privato), anche caratterizzato da una sostanziale identità di retribuzione a fronte di una prestazione più comoda, spesso ridotta e talvolta inesistente. Poi i dipendenti privati, con garanzie inferiori ai pubblici (tuttavia estese – causa pandemia – a quelli che non l’avevano). Infine i lavoratori autonomi, rimasti , in gran parte o totalmente senza tutela o con ristori minimi (Conte) ovvero con modesti (ma più diffusi) sostegni (Draghi).

A giustificare trattamenti così radicalmente differenziati, la retorica mainstream si è servita di tutti gli espedienti. Il primo, l’oscuramento (non parlarne e gonfiare le altre notizie). Poi la mistificazione – come enfatizzare le regole e dimenticare le (vastissime) eccezioni. Così ad esempio, i ristori ai lavoratori autonomi che non si applicavano ai pensionati (o agli iscritti) degli enti di previdenza privati (cioè a quasi tutti). Anche le usuali litanie: ce lo chiede l’Europa… siamo i più bravi ad affrontare l’emergenza (se non fosse per…qualche migliaia di morti in più degli altri) hanno trovato la propria consueta collocazione nei discorsi di propaganda.

È mancata invece totalmente l’applicazione generale e omogenea (se non identica) di quello che è uno dei principi costitutivi di qualsiasi comunità politica, ancor più se democratica, quello di solidarietà politica, sociale, economica collocato nell’art. 2 della Costituzione “più bella del mondo” (ossia tra i doveri fondamentali).

Ancorché il dovere di solidarietà abbia una funzione costitutiva delle comunità, non è quel che qui m’interessa considerare, ma è la conferma della teoria (da ultimo espressa) da Gianfranco Miglio su classe, organizzazione (e sintesi) politiche. Scrive Miglio che se configuriamo la sintesi politica come una sfera “abbiamo un nucleo centrale costituito dalla classe politica, mentre intorno si ha una classe dirigente con certi rapporti di osmosi rispetto ai ‘seguaci indifferenziati’ e, dall’altra parte, rispetto al nucleo che costituisce la classe politica stessa” e prosegue “i politologhi ritengono che fra classe politica in senso stretto e seguaci in senso lato si situi una fascia che alcuni chiamano «classe dirigente» e altri «classe politica secondaria»”; “oltre alla guerra contro il nemico, la classe politica svolge una funzione verso i propri seguaci… nei riguardi del nemico ci si attende una ‘rendita politica’ il vivere a sue spese”.

Il primo servizio reso  dalla classe politica, dopo la protezione dal nemico, “è una funzione di tutela della pace interna, che consente la sopravvivenza, mediante lo scambio, degli aggregati. Ogni aggregato vive dello scambio ‘privato’, del rapporto di ‘contratto-scambio’, di mercato ed è in attesa di rendite politiche”; il criterio di distinzione tra le une e le altre è che “nella rendita di mercato è elevata l’aleatorietà. Mentre la ragione per la quale vengono appetite le rendite politiche è data dal fatto che sono garantite”; il mezzo per approvigionarsene è la costrizione “All’esterno abbiamo le rendite politiche vere e proprie, costruite mediante un prelievo coercitivo: tutti i cittadini devono pagare le imposte, devono corrisponderle secondo un criterio proporzionale”; tali tributi “ vengono riversati come paghe pubbliche ai partiti politici, cioè a coloro che vivono al loro interno, quindi nella pubblica amministrazione”. Nella quale “Interessa piuttosto ottenere la paga pubblica. Quando si sente dire: «È meglio andare a fare il pubblico funzionario, perché almeno non ti licenziano mai», è perché la paga è garantita”: le rendite pubbliche (e così le paghe pubbliche) tendono alla garanzia assoluta del reddito, anche se “si tratta di paghe modeste in genere nel caso di paghe pubbliche garantite, laddove il sistema politico funzioni”. Basse ma non aleatorie, invece nel caso dei redditi di mercato, non c’è (teoricamente) un “tetto”, ma c’è l’aleatorietà. Nel dividere le prestazioni all’interno della sintesi politica occorre distinguere: vi sono cittadini che prestano una fedeltà passiva (scrive Miglio), cui vengono (di solito) erogati una prestazione generica, l’assicurazione dell’efficacia dell’obbligazione necessaria a “scambiare beni e prestazioni e quindi a sopravvivere”. Doveri fondamentali che, specie il secondo, sono assai compromessi dalla sgangherata burocrazia della Repubblica.

C’è poi una seconda categoria “che si crea nel caso dei seguaci attivi, cioè gli ‘aiutanti’ del potere politico. Costoro prestano ai capi politici una fedeltà attiva, ossia atti e comportamenti continuati, per far sì che coloro che detengono il potere lo conservino”, ai quali è garantita, almeno, una paga pubblica[1].

Ma, scrive il politologo lombardo “c’è una terza categoria (terza fascia) di seguaci: quelli ai quali si estorcono le risorse per erogare le paghe politiche. Sono i seguaci che potremmo definire dominati…A costoro normalmente la classe politica dà una protezione che possiamo definire ‘negativa’. È la protezione nei riguardi di se stessi: consiste nel garantire la sopravvivenza… Costoro, in cambio della sopravvivenza, devono prestare un tributo. Nei sistemi politici dei giorni nostri c’è la possibilità di un’osmosi continua fra questi due strati, tra la prima e la terza fascia, per cui di volta in volta il seguace ‘non attivo’, quello che non fa politica, può diventare temporaneamente un seguace dominato soggetto a tributo” (il corsivo è mio).

Cosa, della situazione attuale, può ricondursi, con qualche adattamento alla tripartizione di Miglio? Nel lungo periodo (cioè prima dell’emergenza pandemica) i connotati della divisione erano più sfocati (a parte le nebbie della propaganda, che contribuiscono a ciò). Così l’inefficienza della burocrazia, parte necessaria dell’aiutantato (anche se spesso non ritenuta tale), che invece ora è evidenziata perfino da coloro che hanno contribuito a renderla tale, con nomine, norme e direttive, per cui le rendite dalla stessa percepita appaiono ancor più sproporzionate alla produttività della stessa. Così per le prestazioni rese ai seguaci non attivi, come (ancora) quelle delle pubbliche amministrazioni e della giustizia. A tale proposito nel celebrare l’anno giudiziario 2021 i responsabili dei principali uffici giudiziari hanno informato che la già scarsa produttività della giustizia italiana è calata, causa pandemia, di quasi un terzo. Ma ancor più, le misure prese per fronteggiarla, hanno confermato l’intenzione ostile verso i lavoratori autonomi almeno di una frazione della classe politica; quella che si autorappresenta come “sinistra” o “centrosinistra”. La combinazione di chiusure forzate (per lo più necessarie) e ristori minimi o inesistenti, mostra (almeno) il totale disinteresse verso le condizioni di vita di buona parte degli italiani, e la (radicale) differenza rispetto agli altri, il cui trattamento, rispetto all’emergenza, è di gran lunga più favorevole.

Tale contestazione consente da un lato di confortare le considerazioni del politologo lombardo che le rendite politiche sono fattore decisivo della collocazione e dal trattamento delle classi all’interno della sintesi politica; dall’altro che la regolarità dell’amico-nemico non è limitata al campo esterno alla sintesi (cioè al rapporto con altra sintesi, ovvero, per lo più Stati esteri), ma si proietta anche all’interno, come d’altra parte, rilevato già da Schmith, e, più in generale, dal pensiero politico, soprattutto realista (Machiavelli compreso).

In conclusione: se ora appare evidente che buona parte del popolo italiano scende in piazza per affermare il proprio diritto all’esistenza economica e sociale (se non addirittura fisica), questa non è che la reazione ad una intenzione ostile (v. Clausewitz) che parte della classe politica, quella che è stata quasi sempre al governo negli ultimi dieci anni, ha manifestato e praticato, prima più occultamente e misuratamente, ora in modo più evidente e smisurato. Per cui se a tale intenzione ostile, si reagisce da parte dei dominati in modo più energico e manifesto, non se la possono prendere con i dissidenti attivi.

In fondo vale per ogni conflitto quel che Francisco Suarez pensava per la guerra: bellum defensivum semper licitum; chi si difende e difende la propria esistenza politica, economica e sociale non fa nulla di illecito.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] V. “Quale migliore, più concreta, immediata e palpabile garanzia esiste se non quella di una paga pubblica, di uno stipendio garantito politicamente? Comunque andranno le cose, comunque andrà il mercato e si evolverà la situazione economica, la paga verrà ricevuta. Al limite, la garanzia verrà assicurata anche stampando moneta non sorretta da un corrispettivo di valore e quindi si estorceranno risorse all’intera comunità per poter disporre  dei segni monetari necessari al pagamento della paga politica” Lezioni di politica, Scienze della politica, Bologna 2011, p. 334.

IL MORBO INFURIA IL CERVELLO MANCA, di Antonio de Martini

IL MORBO INFURIA IL CERVELLO MANCA
Di tutta la pubblicistica di guerra sull’Italia – e ne ho letta- la frase che mi è rimasta più impressa l’ha scritta il feldmaresciallo Kesserling comandante delle truppe tedesche impegnate in Italia.
La cosa che lo aveva meravigliato di più del nostro paese, era stato il fatto che l’Italia avesse affrontato e gestito il secondo conflitto mondiale senza aver promulgato leggi – nemmeno una- per aumentare la produzione bellica o comunque per ottimizzare l’impiego delle proprie risorse dato il radicale mutamento della situazione economica, militare, alimentare di sicurezza della popolazione.
Adesso si profila il bis di tanta scelleratezza.
Esistono ancora reperti idiotici della burocrazia come il “certificato antimafia” e quello di “ esistenza in vita” .
Sarebbe utile l’armonizzazione tra il “ confinement” e la pubblica illuminazione e/o garantire non solo la proprietà pubblica, ma la gratuità dell’acqua che si conferma motore della igienizzazione generale. Quasi un medicinale.
L’abolizione dei circenses comunali tipo l’estate romana nella mia città e la destinazione dei fondi ad altri impieghi.
La riorganizzazione – come un tempo – di corsi d’ istruzione pubblica da parte della RAI che continua a fare gare di qualità tra ristoranti chiusi e proposte di viaggi in Patria e fuori.
Non si pensa alla requisizione di alberghi per togliere dalle strade i senza fissa dimora che possono divenire innocenti veicoli del contagio.
Può in governo prescrivere come salvavita le abluzioni mentre migliaia di cittadini non dispongono dell’acqua ?
Manca la riorganizzazione della CRI ( croce rossa italiana ) che anche durante la guerra si distinse per l’abnegazione dei singoli e l’inettitudine della dirigenza ( in prigionia mio padre ricevette in tutto un solo pacco nominativo : dalla croce rossa tedesca. Da quella italiana ricevette, come ebbe a dirmi “ un amato cazzo”.)
Per adesso si fanno piccoli decreti come la riapertura delle librerie, senza linee guida per l’igienizzazione dei locali e dei libri, per l’assembramento delle persone nelle strettoie dei corridoi che inibiscono perlopiù il distanziamento tra individui ecc.
Si prevede l’azzeramento della nostra industria turistica per almeno un anno, ma non la cassa integrazione per gli addetti degli enti turistici locali e nazionali.
Non si rivedono le norme regolatrici dei servizi cemeteriali prima che si trovino ad affrontare le emergenze che già si profilano.
Manca ancora il riconoscimento della malattia – o decesso- per ragioni professionali di infermieri e medici per il COVID.
La revisione delle polizze assicurative per non lasciare i singoli in balia degli uffici legali di aziende prive di scrupoli.
Non si pensa a sfruttare l’eccezionalità del momento per lanciare un condono e riformare una fiscalità grottesca.
Se pensano di rastrellare nuovi fondi con inasprimenti di tasse provocheranno una rivolta cruenta.
Non si pensa a ridurre i prezzi dei farmaci riducendo l’aggio che i farmacisti hanno del 33% , percentuale unica al mondo.
Si pensa invece a litigare su chi ha firmato o meno un accordo di dieci anni fa e se il premier ha o meno diritto di criticare gli oppositori.
Il virus ha colpito anche il cervello ?

Mario Draghi, la sua potenza di fuoco_ con Antonio de Martini

Mario Draghi è ripiombato sulla scena politica. Salutato come un salvatore; etichettato come un esponente della grande finanza, delle lobby finanziarie, dei poteri finanziari. Un abito troppo stretto per un vero decisore politico o, nel minore dei casi, a stretto contatto con i decisori, con gli strateghi. Draghi è tornato in Italia per sistemare le cose, non per galleggiare. E’ diverse spanne sopra gli altri attori. Che poi ci riesca, sarà tutto da vedere.

L’Italia è un paese troppo importante per essere lasciato completamente alla deriva; è un tassello fondamentale per bilanciare la posizione di Francia e Germania; è una piattaforma imprescindibile per influire nell’area mediterranea. I pochi a non rendersene conto sono gli italiani e la quasi totalità del suo ceto politico. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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Il Conte dimezzato! La crisi di governo sul proscenio e dietro le quinte_ con Piero Visani

La crisi del Governo Conte e la gestazione di un vero e proprio ribaltone si percepiva nell’aria da tempo ma senza segnali evidenti almeno sino alle recenti elezioni europee. La gestione delle nomine in sede UE, l’azione dei singoli magistrati, la virulenza e la grossolanità, al limite dello sciacallaggio, della campagna elettorale del M5S hanno segnato un solco che Salvini, in maniera inopinata, ha reso invalicabile. Sino ad ora tra i pochi aspetti positivi, se non l’unico, dell’avvio di questa crisi è la fine del balletto degli equivoci e delle ambiguità. La classee dirigente protagonista di questa trama si sta rivelando non all’altezza della gravità della situazione e ancora poco consapevole della natura delle forze in campo e del conflitto esistenziale in essere. Ne parliamo con Piero Visani

NAVI CORSARE A LAMPEDUSA, con Augusto Sinagra

Il dispositivo con il quale il Giudice Alessandra Vella ha sollevato da ogni responsabilità penale il Capitano Carola Rackete e l’equipaggio della Sea Watch 3 ha aperto una voragine nella diga, già di per se precaria, posta dal Governo a contenimento dei flussi migratori via mare. Un provvedimento costruito, a detta di numerosi giuristi, su argomentazioni mal costruite e peggio argomentate, ma dalle implicazioni pesantissime. Una deligittimazione del potere esecutivo; un ingresso a gamba tesa dell’arbitro nel campo di gioco politico; un invito alle varie ONG, appollaiate intorno al teatro degli sbarchi, a forzare la mano all’esecutivo. Una figura terza la quale fa fatica a nascondere la propria attrazione fatale verso una delle parti. 

Un confronto politico che si sta trasformando in conflitto istituzionale per il momento tra esecutivo e organi giudiziari, ma che inizia ad estendersi agli organi di polizia e di sicurezza. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

i meriti del Governo Conte_ In appendice le implicazioni della tragedia del crollo del Ponte Morandi a Genova, di Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/2018/08/20/costruttori-di-ponti-di-giuseppe-germinario/

Siamo a poco più di due mesi dal varo inaspettato del Governo Conte. Inaspettato almeno per gran parte dei collaboratori di Italia e il Mondo, compreso chi scrive. Una sorpresa dettata dal diverso punto di vista da cui siamo partiti noi nel tentativo di individuare le tendenze culturali e politiche di fondo che stanno portando ad una destrutturazione e ad una ricomposizione delle forze politiche rispetto a quello adottato dai protagonisti in campo sulla base di esigenze tattiche immediate suggerite dalla contingenza delle scelte e dei comportamenti. Una discrasia ben illustrata da Roberto Buffagni nella sua ultima cristallomanzia. L’epilogo sorprendente è stato certamente assecondato se non proprio indotto da una particolare congiunzione astrale che ha ispirato le mosse partigiane e suicide del Presidente della Repubblica e riesumato il residuo spirito di sopravvivenza di un ceto politico, sconfitto elettoralmente e in drammatico debito di credibilità, fermatosi appena in tempo sul precipizio del peggior trasformismo. Tanto più che un eventuale accordo del PD piuttosto che di Forza Italia con il M5S avrebbe richiesto il sacrificio plateale di Berlusconi e di Renzi, le anime e le colonne portanti dei due partiti.

L’istinto di sopravvivenza e il predominio del punto di vista tattico dei personaggi in campo non sono però sufficienti a giustificare e determinare l’epilogo.

Un orizzonte più definito e più profondo può essere senz’altro offerto partendo dall’alto, puntualizzando il grande e inedito attivismo e l’inusuale impegno mediatico profuso dai promotori delle due internazionali o presunte tali, quella globalista guidata da George Soros già ampiamente consolidata e quella sovranista impersonata da Steve Bannon, entrambi americani. Un punto di osservazione che meriterà una apposita riflessione.

In questo articolo si partirà piuttosto dal punto di vista degli attori nazionali e dalle dinamiche più o meno calcolate innescate dai loro atti.

Il grande gioco geopolitico è certamente al di fuori della portata del nuovo governo, come del resto dei precedenti ormai da parecchi decenni a questa parte.

Non è un caso che il Segretario di Stato americano Pompeo, nel suo viaggio preparatorio del recente incontro con Putin in Finlandia, oltre alla Gran Bretagna abbia toccato solo Roma; nel suo incontro capitolino ha incontrato Conte, Di Maio e Salvini, dedicando a quest’ultimo le maggiori attenzioni e sottolineando con reiterata fermezza che l’intero ambito dei rapporti con la Russia, comprese le sanzioni, deve essere gestito in prima persona dalla presidenza americana.

Ciò non ostante il Governo si avvia a fungere da vera e propria cartina di tornasole in grado di mettere quantomeno a nudo l’ipocrisia, la precarietà e le debolezze del contesto nazionale e di quello euromediterraneo.

Su alcuni temi secondari, rispetto agli interessi ed indirizzi strategici, ma molto importanti rispetto ai processi di formazione dell’opinione pubblica e della coesione sociale, è già possibile verificare l’impronta e l’impatto iniziale dell’azione politica. Appunto perché secondari, sono ambiti nella cui azione si possono acquisire maggiori margini di autonomia.

 

IMMIGRAZIONE

Il primo banco di prova scelto dal Governo si è rivelato un pieno successo. Gli sbarchi sono crollati drasticamente. Si vedrà per quanto tempo. Attualmente le organizzazioni sono impegnate a cercare percorsi alternativi verso paesi più accondiscendenti oppure a riorganizzare le traversate in modo da arrivare direttamente ai punti di sbarco. Ci vorrà tempo per ritessere le fila di una organizzazione ormai abituata da anni ai salvataggi facili se non addirittura commissionati. Una volta ripristinata non farà però che innalzare il livello di scontro sempre che auspicabilmente il Governo riesca a mantenere la giusta determinazione.

Rimane il problema della gestione dei rimpatri e delle grandi sacche di lavoro nero e di malaffare. Ci vorrà tempo, i recenti fatti di Macerata, Moncalieri e Foggia dovrebbero riuscire a dare una ulteriore spinta; non mi pare che ci siano grandi movimenti organizzativi in proposito. Rimangono purtroppo alcuni punti oscuri da risolvere come il comportamento di ampi settori di comando della Marina Militare particolarmente propensi alle politiche di “accoglienza”.

È sul piano europeo che sembrano raggiunti i migliori risultati politici, sia pure ancora interlocutori. La richiesta di condivisione della gestione ha messo a nudo la spaccatura netta latente tra gli stati nazionali; gli accordi su base volontaria hanno rivelato una volta di più che l’Unione Europea consiste fondamentalmente in un accordo solvibile tra stati nazionali e il surrettizio passaggio dai cosiddetti “rapporti di cooperazione rafforzata” a quelli “su base volontaria” non fanno che accentuare questo aspetto e questa divaricazione dai propositi unitari. La solidarietà su base volontaria si sta rivelando in tutta la sua ipocrisia nei tentativi di rifilare le maggiori quote ai paesi dai governi per qualche motivo più accondiscendenti, come quello spagnolo. Una soluzione che si rivelerà presto una mina vagante in grado di destabilizzare ulteriormente quel Governo già fragile. Rimangono la meschineria sempre più sciatta della leader tedesca dei “volonterosi” impegnata più che altro a tentare di rifilare ai paesi europei originari di prima accoglienza gli ultimi arrivi indesiderati e le rodomontate di Macron, imperterrito nelle sue politiche di destabilizzazione nel Mediterraneo pressoché a costo zero per il suo paese. Può rivelarsi, quello della solidarietà europea, nel medio termine un boomerang che arrivi ad alimentare e legittimare i flussi migratori illegali e incontrollati. Un argomento che verrà affrontato nell’articolo che esaminerà il futuro del Governo Italiano dal punto di vista delle dinamiche geopolitiche.

RAI E SISTEMA DI INFORMAZIONE

Le elezioni del 4 marzo e la formazione a giugno del nuovo governo hanno accelerato un processo di stretta normalizzazione del sistema di informazione tradizionale.

Già prima delle elezioni l’ipotesi di un governo costruito sull’asse Renzi-Berlusconi era servita da guida agli indirizzi editoriali del Gruppo Mediaset e dei quotidiani legati al gruppo.

Con la svolta politica di primavera quella ipotesi è rimasta sorprendentemente all’ordine del giorno. La7 ha accentuato scandalosamente e sfacciatamente, specie nelle ore serali, la propria partigianeria filopiddina; Mediaset da par suo ha epurato i propri staff con il benservito a Belpietro, uno dei due esempi di editori autonomi in Italia e Giordana affidando la redazione di un canale in quota renziana.

La nomina di Marcello Foa a consigliere d’amministrazione, in predicato di diventare Presidente della RAI, ha rappresentato il classico significativo intoppo nella realizzazione del progetto. La canea e la sollevazione di scudi del vecchio establishment politico e dell’universo mediatico sono impressionanti. Mettere in discussione così rozzamente l’integrità, la capacità professionale e l’attitudine alla funzione di garante di un tale professionista, senza alcuno scrupolo nella rimozione di condolidati rapporti di lavoro ultradecennali, ha rivelato il legame simbiotico del sistema informativo con i centri di potere sempre meno credibili e sempre più smarriti. Anche su questo il comportamento del “liberale” Berlusconi è emblematico sia dello stato dell’arte che della statura dei personaggi.

La stampa e la televisione non detengono più il monopolio dell’informazione e della formazione dell’opinione pubblica, ma sono ancora uno strumento importante e con una gerarchia precisa che consente una manipolazione controllata. Le reti di informazione e socializzazione telematiche sono canali alternativi sino ad ora efficaci anche se caotici e pletorici, quindi dispersivi e propensi a creare nicchie. I sistemi di manipolazione, legati per lo più al controllo dei server centrali di trasmissione e gestione dei dati, sono indiretti e sofisticati, legati alla manipolazione degli algoritmi che decidono della facilità di accesso. Strumenti al di fuori della portata di azione dei ceti politici periferici i quali devono accontentarsi di attività di disturbo e di segnalazione, il più delle volte pretestuosa. Anche qui la via della censura e dell’oscuramento si sta aprendo con minori vincoli legali e possibilità di contrasto delle decisioni. La recente chiusura di infowars, negli USA, rappresenta un primo grave segnale; le ricadute di credibilità sui gestori delle reti sono però molto pesanti.

Sta di fatto che la vicenda ha contribuito a mettere a nudo il complesso sistema di relazioni e manipolazione del sistema informativo e a far venire allo scoperto le reti coperte di collusione.

IL DECRETO DIGNITA’

È forse il provvedimento dalle implicazioni più significative in grado di mettere in evidenza le debolezze di fondo delle due forze politiche e la loro capacità di superarle.

Se con il “job act” Renzi ha voluto sancire una prova di forza con il sindacato, indebolendone strutturalmente la capacità di contrattazione collettiva e di gestione dei contenziosi individuali, con la limitazione e giustificazione dei contratti determinati e la reintroduzione dei voucher presenti nel “decreto dignità” il sindacato è rimasto paradossalmente ai margini anche in un tentativo di avanzamento dei diritti dei lavoratori dipendenti. È proprio il concetto di autonomia sindacale ed autonomia contrattuale, quindi delle modalità di contrattazione, così come imposto dalla CISL ed acquisito da tempo ormai dalle due altre organizzazioni, che sta venendo meno. I tempi di un intervento legislativo diretto sulla questione della rappresentanza e della titolarità dei diritti di contrattazione, sino ad ora prerogative gelosamente detenute dalle associazioni sindacali, sono ormai maturi. Le ragioni sono oggettive, legate ad una frammentazione del mercato del lavoro difficilmente gestibile con i tradizionali strumenti di azione sindacale; sono anche soggettive, con un gruppo dirigente autoreferenziale, legato sempre a doppio filo con il vecchio ceto politico e sempre meno rappresentativo di una base sindacale dagli orientamenti politici sempre più incompatibili e lontani da essi.

Il merito dei provvedimenti legati ai lavori occasionali e ai contratti a tempo determinato colgono un problema reale. Da una parte la presenza di lavori occasionali e la necessità di una loro copertura assicurativa e previdenziale cui associare in qualche maniera il riconoscimento di una pensione sociale oggi concessa indiscriminatamente e oggetto di clamorose speculazioni assistenziali specie tra gli immigrati. Dall’altra il fatto della estensione abnorme del contratto a tempo determinato anche in settori ed aziende nei quali l’oggettività di un rapporto continuativo è lapalissiana. La canea organizzata in maniera scontata da Forza Italia e settori di Confindustria e apparentemente paradossale dal PD rivela il carattere ormai opportunistico, retrivo e reazionario di queste forze, tanto più evidente in quanto permangono i pesanti limiti imposti dal job act in materia di giusta causa nei licenziamenti individuali e di regolamentazione delle procedure dei licenziamenti collettivi. Un atteggiamento che dice tutto sulla incapacità di queste forze di proporre una rinascita qualitativa del paese. L’illusione d’altro canto permane ben riposta nella speranza che sia la mera regolamentazione normativa a risolvere il problema della diffusione del lavoro precario e illegale.

Dal versante delle imprese il provvedimento coglie un altro punto debole delle precedenti politiche, quello delle delocalizzazioni e dell’uso opportunistico degli incentivi agli insediamenti. Si tratta però ancora di un atteggiamento passivo utile a contenere gli atteggiamenti predatori. L’aspettativa implicita è che ciò creerebbe spazi all’arrivo di imprenditoria cosiddetta sana. Anche su questo l’opposizione ha rivelato un atteggiamento del tutto supino alle dinamiche di mercato. Rimangono però i limiti della mancanza di una politica economica attiva che punti allo sviluppo di nuova e più grande imprenditorialità radicata nel paese e di nuovi settori da costruire e ricostruire prima che scompaia definitivamente la memoria e il patrimonio di conoscenze. Eppure nel mondo sono ormai numerosi i paesi emersi dal sottosviluppo con queste politiche. Gli stessi Stati Uniti stanno ripensando drasticamente politiche di tutela del patrimonio tecnologico, di compartecipazioni che favoriscano l’imprenditoria locale che per altro sono state liberale in modo selettivo.

QUI PRO QUO

In realtà il ceto politico emergente, presente soprattutto nei due partiti di governo fatica ancora a pensare che non esistono classi, ceti e settori sociali portatori di per sé di innovazione, distruzione creativa e di emancipazione, fossero anche i settori imprenditoriali più dinamici o gli ambienti sociali più precarizzati. Una fatica legata all’infatuazione persistente verso le politiche “dal basso” e verso le virtù innate del popolo sia nella sua versione democraticista che federalista strisciante.

Il sentore di questo limite per fortuna inizia a serpeggiare in settori di questo ceto politico emergente, nella Lega molto più che nel M5S.

L’ipotesi di riorganizzazione della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) orientata al finanziamento della media e piccola industria rappresenta un indizio di tale presentimento più che una consapevolezza. Ma è un obbiettivo ancora estemporaneo che prescinde da un piano di rientro dall’estero del debito nazionale, di recupero ad uso interno della raccolta del risparmio, di creazione di un apparato tecnico in grado di progettare e gestire le grandi opere pubbliche e i processi di industrializzazione e formazione di imprenditoria completamente distrutto e disperso negli anni ’90, dopo il pesante degrado subito negli anni ’80. Manca la consapevolezza del ruolo strategico della grande industria nei settori di punta e dell’importanza del controllo e della riorganizzazione degli apparati pubblici e statali con una definizione chiara delle gerarchie.

Una consapevolezza paradossalmente più presente e razionale all’estero visto che mi è capitato di leggere alcuni articoli di riviste specializzate americane che sostenevano la progettazione anglo-italiana dell’aereo multiruolo Tempest, alternativo a quello franco-tedesco, anche per consentire la sopravvivenza del patrimonio tecnologico nell’avionica di Finmeccanica. Si tratta certamente di un sostegno interessato, ma quantomeno rivelatore della ben maggiore consapevolezza altrui dei problemi di casa nostra.

Manca soprattutto, con l’eccezione di una cerchia ristretta di consiglieri di Salvini e della componente più ostracizzata dei tecnici al governo, la contezza del fatto che dovessero essere perseguite in maniera più o meno coerente queste politiche si troveranno a scontrarsi con il nocciolo duro della trama delle politiche e delle normative e prassi comunitarie le quali vanno ben al di là dei limiti di deficit e degli obblighi di rientro del debito.

Non solo! Saranno dinamiche le quali, se messe in atto, faranno emergere allo scoperto all’interno stesso dei due partiti le componenti pronte a rimpolpare quelle forze reazionarie, per il momento disorientate, tese allo statu quo del paese.

Nel M5S sull’immigrazione sono già sorte le prime voci “autorevoli” di dissenso, sulle grandi opere infrastrutturali la fronda si presenta ben più minacciosa e determinata, mentre il grande supervisore alternativo, da mesi in viaggio negli Stati Uniti, illuminato dai suoi incontri con esponenti del Partito Democratico americano e da esponenti della Silicon Valley, gli stessi del Renzi di cinque anni fa, confortato dal lauto contratto con Mondadori non esita a richiamare sulla retta via. Nel federalismo strisciante e surrettizio possono trovare spazio le forze disgregatrici nella Lega nonché sostenitrici della riproposizione classica del centrodestra.

Un processo in divenire durante il quale saranno le aspre condizioni di conflitto a temprare e formare le forze più determinate, ma largamente inesperte secondo ricomposizioni ancora tutte da decifrare. Nel contesto geopolitico, soprattutto l’avvento di Trump, ha aperto nuovi spazi che non permarranno ancora per molto nell’attuale incertezza; in questi ambiti il Governo ha ritrovato un dinamismo quasi sconvolgente rispetto alla palude remissiva cui ci avevano abituati i precedenti. Un dinamismo però ancora ampiamente subordinato alle strategie altrui e soggetto quindi alla mutevolezza capricciosa delle decisioni e degli eventi. Un aspetto che affronteremo nel prossimo articolo.

IL CROLLO DEL PONTE MORANDI A GENOVA

Durante la stesura dell’articolo è piombata la tragedia del crollo del ponte di Genova. Non si può certo definire un evento e un ambito minore. Si tratta probabilmente di un evento di gran lunga più dirompente dei fatti connessi alla morte di Pamela Mastropietro a Macerata e al sottobosco e coperture che faticano ad emergere in quell’ambiente. Le sole conseguenze economiche e sociali sono di per sé drammatiche e rischiano di condannare tragicamente uno dei poli del vecchio triangolo industriale e la logistica del Nord-Italia. Da questo evento, se ben gestito politicamente, potranno emergere visivamente le condizioni e le collusioni che hanno consentito il sopravvento, l’affermazione e l’alimento dagli anni ’90 della classe dirigente che ha ridotto in queste condizioni il paese. Una classe dirigente che ha subordinato come mai in altre momenti della storia dell’Italia unita il paese agli interessi e alle contingenze politiche esterni; una classe dirigente che ha contribuito a trasformare definitivamente la quasi totalità della grande imprenditoria privata in un consorzio parassitario ed assistenziale grazie alle privatizzazioni soprattutto di Telecom e delle reti di comunicazione e dei servizi; ha distrutto e abbandonato gran parte del ridotto ceto manageriale nazionale costruito in oltre quarant’anni e esposto alla speculazioni e agli istinti di una rete commerciale predatoria buona parte dei ceti medi produttivi dell’agricoltura e della piccola industria. Il muro isterico di difesa eretto intorno a Società Autostrade dalla stampa e dai partiti attualmente all’opposizione rivelano il nervo scoperto da una simile tragedia. Le risposte di Conte, Toninelli e Di Maio sembrano dettate dall’istinto e dall’indole tribunizia. Il retaggio antindustrialista e contrario alle grandi opere pesa nella credibilità del M5S. Chiedere la decadenza immediata della concessione ha certamente un effetto mediatico immediato ma rischia di trascinare, alla luce dei testi conosciuti e pubblici dei capitolati di concessione, in un contenzioso e una diatriba esposta ai polveroni e alle manipolazioni. Meglio sarebbe arrivare ad una sorta di commissariamento dei servizi di controllo ispettivo di Ministero dei Trasporti e ANAS, a un rapido censimento delle opere da risanare, ad un risanamento a tempi stretti della rete a carico dei concessionari con la spada di Damocle del ritiro delle autorizzazioni. Porterebbe alla resa dei conti nel gruppo societario e allo sfilacciamento in poco tempo della rete di relazioni e cointeressenze che hanno tenuto in piedi questo sistema grazie alla drammatica riduzione dei margini di rendita prossimi venturi. Solo disarticolando quel sistema si potrà poi infierire e porre nel frattempo le basi politiche e tecnico-organizzative di una rifondazione. Potrebbe essere il momento giusto per recuperare nello Stato e negli apparati quelle leve indisponibili, ma sino ad ora silenti, a protrarre lo stato di fatto e indispensabili a dare corpo ai programmi e alle migliori intenzioni.

Con una avvertenza. I tempi e i contenuti della comunicazione devono essere dettati dagli uomini di governo piuttosto che da organi di informazione in evidente debito di vendite e credibilità. Se non si riesce a gestire dignitosamente questo figurarsi quali difficoltà potranno sopraggiungere a tenere la nave con il profilarsi delle nubi cupe d’autunno tanto più che l’ombrello trumpiano rischia di essere ulteriormente indebolito dalle prossime elezioni d’autunno e dalle vicende giudiziarie prossime venture. Le inchieste giudiziarie in corso, l’attentato alla sede della Lega di Treviso sono solo dei preavvisi di una tempesta che punta alla reinvestitura esterna sotto mentite spoglie di una vecchia classe dirigente capace solo di attendere gli eventi e a maggior ragione ancora più nefasta per il paese che verrà.

 

 

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