Sbagliando s’impara Prima sconfitta, prime riflessioni_di Roberto Buffagni

Sbagliando s’impara

Prima sconfitta, prime riflessioni

 

La trattativa ancora in corso con l’UE segna la prima sconfitta del governo gialloverde. Le sconfitte sono sempre istruttive: usiamola per sbagliare meno e costruire le condizioni della vittoria.

Perché abbiamo perso?

Abbiamo perso perché abbiamo cercato lo scontro sul terreno più favorevole all’avversario, e in condizioni d’inferiorità. Una descrizione dei fatti più che condivisibile è questa di Giorgio La Malfa[1]. Il terreno più favorevole alla UE è il terreno delle regole, dei trattati e della loro “interpretazione autentica”, vulgo la risultante dei rapporti di forza interstatali e interni agli organismi UE, espressa nel linguaggio della razionalità strumentale in un reticolo inestricabile di norme. Il governo è andato a trattare sulla base di due presupposti incompatibili: a) regole, trattati e loro “interpretazione autentica”, sono legittimi benché discutibili e riformabili, come tutto è discutibile e riformabile b)  rivendicando la propria legittimità in quanto espressione della sovranità popolare.

Legittimità A, legittimità B

La legittimità A è la legittimità della UE. Essa si fonda sulla rivendicazione del possesso monopolistico di Tecnica e Scienza, nelle loro varie specificazioni di tecnica e scienza giuridica, economica, politica, etc. In parole povere, l’UE fonda la propria legittimità sulla garanzia scientifica che essa sola sa assicurare “libertà, pace, benessere e progresso per il maggior numero possibile”, in un inedito insediamento al posto di comando politico della razionalità strumentale, weberianamente intesa e ideologicamente declinata in scientismo, utilitarismo, liberalismo (in percentuali variabili). Questa è la legittimità di principio della UE. La sua legittimità di fatto è il fatto nudo e crudo che esiste da un tempo non lungo ma neppur brevissimo, e che la sua esistenza produce effetti più che considerevoli. Che siano buoni o cattivi è materia opinabile: buoni per alcuni, cattivi per altri.

La legittimità B è la legittimità del governo italiano. Essa si fonda sul consenso elettorale della maggioranza degli italiani. Questa è la sua legittimità di principio, ma anche la sua legittimità di fatto, perché è revocabile alle prossime elezioni politiche nazionali.

L’incompatibilità fra legittimità A e legittimità B non è minore dell’incompatibilità fra il principio legittimante l’ancien régime – voto per ordine, conforme la tripartizione indoeuropea tra oratores, bellatores e laboratores –  e il principio democratico e nazionale, voto per testa dei cittadini, che il Terzo Stato rivendicò nella seduta degli Stati Generali di Francia del 6 maggio 1789.

Sul piano ideale, il conflitto tra queste due fonti di legittimità mette in questione le radici stesse della civiltà europea e della modernità occidentale, schierandole in campi avversi sul Kampfplatz filosofico-politico. Sul piano pratico, il conflitto precipita in una domanda molto semplice: “chi ha l’ultima parola?”

A prima vista, la risposta a questa domanda è: “ha l’ultima parola chi dispone della forza maggiore”. Non è una risposta errata, ma è incompleta, perché la forza può presentarsi in molte forme. Nei rapporti tra Unione Europea e governi, il rapporto di forza non viene deciso dalla forza militare. L’Unione Europea non ne dispone, ma i governi che ne fanno parte, che pur ne dispongono, non vogliono né possono farne uso: non possono, perché l’uso della forza militare contro un’entità che ne è affatto priva e alla quale si aderisce formalmente è un atto di barbarie che ha costi politici insostenibili (perdita pressoché totale di consenso e legittimazione morale).

Nei rapporti fra Unione Europea e governi, ha l’ultima parola chi decide la grammatica e la sintassi del linguaggio all’interno del quale non solo l’ultima, ma tutte le parole prendono senso.

“Quando uso una parola, ” disse Humpty Dumpty in tono piuttosto sdegnato, “essa significa esattamente quello che voglio – né di più né di meno.”

 “La domanda è, ” rispose Alice, “se si può fare in modo che le parole abbiano tanti significati diversi.”

  “La domanda è, ” replicò Humpty Dumpty, “chi è che comanda – tutto qui.”[2]

 

Chi ha l’ultima parola

Un governo che tratta con l’Unione Europea entra in una camera per il condizionamento operante, o “Skinner box”.[3].

1 Skinner Box

 

 

Una camera per il condizionamento operante consente agli sperimentatori di studiare il comportamento, addestrando la cavia a compiere certe azioni, (es., spingere una leva) in risposta a stimoli specifici, quali una luce o un segnale sonoro. Quando la cavia esegue correttamente il comportamento prescritto, il meccanismo della camera gli consegna del cibo, o un’altra ricompensa. In certi casi, il meccanismo infligge una punizione in caso di risposte scorrette o omesse. Per esempio, per testare il funzionamento del condizionamento operante sugli invertebrati, gli psicologi usano uno strumento denominato heat box, “scatola bollente”. La forma è analoga a quella della Skinner box, ma la scatola è composta di due lati: uno può mutare temperatura, l’altro no. Appena l’invertebrato passa sul lato che può mutare temperatura, la scatola viene riscaldata. Alla fine, l’invertebrato sarà condizionato a restare sul lato che non si può scaldare.

Tra le applicazioni commerciali di maggior successo della Skinner box, le slot machines, o le macchine per videopoker. Il successo commerciale di slot machines e videopoker dipende dal fatto che più a lungo si gioca, più si è destinati a perdere (= successo commerciale per i fabbricanti, insuccesso per i consumatori).

 

Uomini e topi

Un giorno, qualcuno pose a Skinner la domanda: “Che differenze ci sono tra gli uomini e i topi?”. Da scienziato qual era, per rispondere alla domanda Skinner organizzò un esperimento con i suoi studenti. Si costruirono due labirinti identici, uno per i topi e uno per gli umani. La ricompensa, posta al centro del labirinto, era un pezzo di formaggio per i topi e una ricompensa in denaro (5 $) per gli umani.

Risultato: Skinner scopre che  non ci sono differenze nei tempi di apprendimento tra umani e topi. Nel giro di una giornata, entrambi sono in grado di trovare la ricompensa. Ma Skinner non si accontenta, e perfeziona l’esperimento. Elimina le ricompense dai labirinti, e ripete l’esperimento con gli stessi partecipanti: stessi uomini, stessi topi. Tutti gli umani si prestano a ripetere l’esperimento, contro una percentuale del 70% dei topi. Al terzo giorno senza ricompensa, solo il 30% dei topi ripercorre il labirinto, contro il 100% degli uomini. Dopo una settimana senza ricompense, nessun topo entra più nel labirinto, mentre un numero considerevole di uomini ancora va in cerca dei 5 dollari. Dopo un mese, c’è ancora qualche uomo che vaga nel labirinto in cerca della ricompensa.[4]

Differenza tra uomini e topi: gli uomini immaginano, sperano e si illudono; i topi, no. Come diceva Wittgenstein: “Niente è così difficile come non ingannare se stessi.”

 

“Come mi riesce difficile vedere ciò che è davanti ai miei occhi!”[5]

La trattativa tra governo italiano e UE è andata così, proprio come in una Skinner box. Siamo partiti per spezzare le reni a Bruxelles sventolando dai balconi un 2,4% tricolore, e siamo finiti a trattare affannosamente nel cuore della notte su quanti centimetri di fregatura avremmo dovuto alloggiare nelle più intime cavità del nostro corpo. Risultato (ancora indeterminato mentre scrivo): più meno gli stessi centimetri di fregatura che ci saremmo presi se fossimo stati zitti e buoni, e senza promettere nulla, senza sventolare tricolori e percentuali, senza invocare sovranità popolari e nazionali, avessimo fatto un po’ di modesto tira e molla per telefono e ci fossimo accontentati del risultato senza fare tante storie.

A chi mi contesterà che sono ingeneroso e impietoso, che è facile criticare in poltrona e difficile agire sulla linea del fuoco, rispondo che non a caso ho usato la prima persona plurale “noi”. Noi vuole dire anch’io: anch’io ho sbagliato e sottovalutato l’avversario anzi il nemico, e anch’io subisco questa sconfitta, che non è decisiva o addirittura irrimediabile, ma che lo può diventare se non cerchiamo, tutti, di trarne insegnamento per il futuro.

Il primo insegnamento da trarre da questa sconfitta è: non incoraggiare la tendenza a illudersi, nostra personale e del popolo italiano. E’ il lato in ombra della più bella e unica facoltà dell’uomo, quella che lo distingue dai topi: la capacità di immaginare e di sperare, ed è tanto funesta quanto immaginazione e speranza sono provvidenziali. Modestia e serietà, non rodomontate.

Il secondo insegnamento è: il livello principale dello scontro è metapolitico. Questa è una guerra coperta “che non osa dire il suo nome”, tra nemici che si parlano nel linguaggio dell’amicizia, tra padroni e servi che si parlano come pari. Il compito metapolitico principale è trasformarla in guerra aperta, dove sia possibile chiamare pubblicamente, faccia a faccia, nemico il nemico, padrone il padrone. E’ una battaglia difficile e lunga, prima si comincia meglio è. Quindi, se le forze politiche al governo intendono sopravvivere e raggiungere i loro obiettivi, diano vita a centri studi e think tank, facciano del loro meglio per influenzare e ingrandire la piccola parte di accademia che non è pregiudizialmente avversa, attirino intellettuali di valore e prestigio, e non mettano professori di ginnastica al MIUR e opportunisti in posizioni apicali dell’industria culturale.

Il terzo insegnamento è: sabotare la Skinner box. Sabotare la Skinner box prima di doverci rientrare (accadrà presto). Sabotare la Skinner box vuol dire: dotarsi degli strumenti legislativi e delle competenze necessarie per disattivare alcuni dei meccanismi punizione/ricompensa della UE, ad esempio abolendo il pareggio di bilancio sciaguratamente inserito in Costituzione. Non è il mio campo di competenza, ma per fortuna i competenti non mancano: per esempio, Luciano Barra Caracciolo[6], che non dubito abbia elaborato una lista delle più urgenti modifiche legislative indispensabili per migliorare i rapporti di forza tra governo italiano e UE. Sta al governo, basta telefonargli o andarlo a trovare in ufficio.

Il quarto insegnamento è un corollario del terzo: i voti sono munizioni, senza armi le munizioni non servono. Le armi decisive per lo scontro con l’UE sono i provvedimenti di legge che ci consentono di sabotare la Skinner box.

Il quinto insegnamento è: senza strategia, la tattica si risolve in opportunismo, a volte fortunato ma più spesso no. Strategia vuol dire: individuare l’obiettivo fondamentale da raggiungere, e commisurarvi i mezzi operativi per conseguirlo. Per i gialli, l’obiettivo fondamentale può essere la piena occupazione. Per i verdi, l’obiettivo fondamentale può essere la tutela delle imprese che operano principalmente sul mercato interno italiano. Sono due obiettivi compatibili, benché soggetti alle inevitabili frizioni tra imprenditoria e forza lavoro e alla divisione Nord-Sud. Costituiscono dunque una solida base per la possibile coesione del governo. Se questi sono i loro obiettivi fondamentali, si chiedano i gialli e i verdi se è possibile conseguirli all’interno della UE e dell’euro, e si diano una risposta. Secondo me no, ma quel che importa è decidere e trarne le conseguenze. In assenza di decisione, la Skinner box predispone l’arrivo del “momento Tsipras”, come cortesemente anticipato dal sen. Monti.

Conclusione

Per concludere, prendo in prestito una citazione a un politico rivoluzionario[7] per il quale non nutro simpatia ideologica, ma che qualcosetta ha pur combinato: “la frase rivoluzionaria sulla guerra rivoluzionaria può causare la rovina della rivoluzione”. Che cos’è la frase rivoluzionaria? “parole d’ordine magnifiche, attraenti, inebrianti, che non hanno nessun fondamento sotto di sé”. Come commenta l’amico Alessandro Visalli, al quale sto rubando queste ultime righe[8], le parole d’ordine sono ‘magnifiche’ perché contengono solo “sentimenti, desideri, collera, indignazione”, ma niente altro. Quando si pronunciano ‘frasi rivoluzionarie’… “si ha paura di analizzare la realtà oggettiva…se non sai adattarti, se non sei disposto a strisciare sul ventre, nel fango, non sei un rivoluzionario, ma un chiacchierone”. Ciò non significa che piaccia, ma che “non c’è altra via” che tenere conto della realtà; la “rivoluzione mondiale”, che prevedrebbe di abbandonare la costruzione del socialismo intanto dove concretamente si può tentare, per Lenin arriverà pure, ma, scrivendo nel 1918, “per ora è solo una magnifica favola, una bellissima favola”; dunque crederci nell’immediato significa che “solo nel vostro pensiero, nei vostri desideri superate le difficoltà che la storia ha fatto sorgere”.

Ciò che va fatto è del tutto diverso, dice il vecchio rivoluzionario russo: bisogna “porre alla base della propria tattica, anzitutto e soprattutto, l’analisi precisa della situazione obiettiva”.

[1] https://www.quotidiano.net/commento/deficit-pil-1.4344583

[2] LEWIS CARROLL (Charles L. Dodgson), Through the Looking-Glass (1872) , capitolo VI. Trad. mia.

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/Operant_conditioning_chamber#Skinner_box

[4]  Richard Bandler e John Grinder, Frogs into Princes: Neurolinguistic Programming,  Real People Pr, 1981 https://www.amazon.it/Frogs-into-Princes-Linguistic-Programming/dp/0911226184

[5] E’ un’altra citazione di Ludwig Wittgenstein.

[6] Si veda ad esempio questo suo scritto: https://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/la-presunta-supremazia-del-diritto.html

[7] Vladimir I. Lenin, Rivoluzione in occidente e infantilismo di sinistra, ed. Riuniti, 1974

[8] https://tempofertile.blogspot.com/2018/12/circa-marco-bascetta-una-formula-di.html

LA PIATTAFORMA DEI “GILET GIALLI”, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto la piattaforma rivendicativa, tradotta in italiano, del movimento dei “gilets jaunes”. Il manifesto ha tutte le caratteristiche di una sommatoria corrispondente al fondersi progressivo di istanze e movimenti diversi e giustapposti. Parlare di movimento spontaneo, però, appare un ennesimo cedimento all’inguaribile e sterile romanticismo politico. Gli impulsi dal basso sembrano, anzi sono senz’altro prorompenti e incontenibili; sono alla ricerca di una guida. L’impressione è che siano raccolti dall’iniziativa promossa da gruppi esterni all’establishment francese, sia di governo che di opposizione; al di fuori quindi del loro controllo e della loro percezione, ma che sono in via di coordinamento.Se riusciranno ad avere addentellati importanti all’interno degli apparati di sicurezza e ad accompagnare un percorso per il momento parallelo al dibattito che sta investendo, piuttosto che il Front National, la componente repubblicana dello schieramento politico, colpita duramente, anche giudizialmente, durante le primarie presidenziali di tre anni fa, ma non sgominata, potranno conquistarsi un futuro duraturo. Il pericolo di “golpe”, ventilato dal Governo di Macron, è senz’altro strumentale e pretestuoso, serve a giustificare eventuali atti di forza del nostro Iupiter a rischio di spodestamento; rivela però implicitamente l’esistenza di un movimento carsico che sta cercando la via per emergere. La proposta di nomina del Generale De Villiers, inviso a Macron, a capo del governo, apparentemente astrusa dal contesto “spontaneo” del movimento, vale forse più di mille congetture complottistiche. 

Nota a margine_ Dovesse all’attuale Governo Conte mancare la capacità, il coraggio e la determinazione per condurre in prima persona il confronto e lo scontro con la Commissione Europea e con i centri politici nazionali europei che la sostengono, abbia esso almeno l’accortezza di prendere tempo. Che siano magari gli altri, nella fattispecie aggiunta i francesi, a toglierci una parte delle castagne dal fuoco, pur con tutti i pegni che saremmo costretti a pagare in futuro in forme diverse dalle attuali_Giuseppe Germinario

ANCORA UNA NOTA_PRIMA CHE IL GALLO CANTI. di Pierluigi Fagan https://www.facebook.com/pierluigi.fagan?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARBMM9e7oV9qkI1KWBvzeBq-lZZ8Gy80s0DQo9D7wYTAR6sHHflqVSo70egs1TkwmK0XHDbecNppaDT1&hc_ref=ARRuj9ryOiA7Z1iXNNXNAaMldbz8f9sAEt1Ltb-btEZnaZhW6E5Zj9LKUubugXEf3yc&fref=nf Una volta tanto un commento ex ante. Sono tutti in attesa di vedere come si svolgerà il saturday bloody saturday francese. Vorrei introdurre una variabile d’analisi prima che accadano i fatti. Il filmato di ieri su gli studenti a Mantes-la-Jolie inginocchiati e con le mani in testa, è figlio di un eccesso repressivo poliziesco spontaneo o non spontaneo? Davvero ci sono responsabili delle forze dell’ordine che hanno trovato normale mettere ragazzi in ginocchio e poi farli filmare col clima che si respira nel Paese? C’è forse qualcuno in Francia che ha interesse a che oggi succeda l’ira-di-dio? C’è forse qualcuno che ha avuto interesse a far circolare voci su “tentativi di colpo di stato”, poliziotti uccisi, assalti da rivolta ottocentesca? Macron ha parecchi nemici, sociali e politici e non si può escludere che nelle forze armate ci sia qualcuno che ha interesse ad esacerbare la situazione? E’ un confine precario quello tra spontaneità ed eterodirezione, ne sappiamo ben qualcosa noi in Italia se pensiamo a gli anni ’70. Vedremo …

LE BALLE SUI “GILET GIALLI”, a cura di Giorgio Ballario https://www.facebook.com/giorgio.ballario/posts/10218026905052107

Questa è la piattaforma rivendicativa del composito movimento dei “gilets jaunes”. Una protesta dilagante che i mezzi d’informazione italiani continuano a presentare come una generica “protesta contro il rincaro di carburanti”.
Eppure, leggendo i punti del documento, si vede che c’è molto di più. Moltissimo. Poi si può essere d’accordo o no, pensare che gran parte di queste rivendicazioni siano antistoriche o poco attuabili, ma bollare il fenomeno come semplice rivolta contro il caro-carburante è estremamente miope. O forse sarebbe meglio dire colpevolmente miope?

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• Eliminazione del crescente fenomeno dei senzatetto con una lotta senza quartiere alla povertà.

• Più progressività nelle imposte sul reddito, vale a dire più scaglioni.

• SMIC (il salario minimo francese) a 1.300 euro netti.

• Promuovere le piccole imprese nei villaggi e nei centri urbani. Fermare la costruzione di grandi aree commerciali intorno alle principali città che uccidono le piccole imprese. Più parcheggi gratuiti nei centri urbani.

• Ampio piano di isolamento termico delle abitazioni per promuovere interventi ecologici facendo al contempo risparmiare le famiglie.

• Tasse: che i grandi (MacDonald, Google, Amazon, Carrefour, ecc.) paghino TANTO e i piccoli (artigiani, piccole imprese) poco.

• Lo stesso sistema di sicurezza sociale per tutti (compresi gli artigiani e le partite IVA). Fine della RSI (piano sociale per i lavoratori indipendenti).

• Il sistema pensionistico deve rimanere solidale e quindi socializzato. Nessun pensionamento a punti (In Francia è stata introdotta una riforma del sistema pensionistico che prevede il calcolo in base a un sistema di punti. Ogni anno l’importo dei contributi versati in relazione ad uno stipendio o ad un reddito di riferimento viene convertito in punti, a seconda del valore di acquisto unitario del punto applicabile all’esercizio in questione).

• Fine dell’aumento delle tasse sul carburante.

• Nessuna pensione inferiore a 1.200 euro.

• Qualsiasi rappresentante eletto avrà diritto al salario medio. Le spese di trasporto saranno monitorate e rimborsate se giustificate. Diritto al buono per il ristorante e ai chèque-vacances (simili ai ticket usati da noi come retribuzioni.

• I salari di tutti i francesi, nonché delle pensioni e delle indennità devono essere indicizzati all’inflazione (tipo la nostra vecchia scala mobile).

• Proteggere l’industria francese: proibire le delocalizzazioni. Proteggere il nostro settore industriale vuol dire proteggere il nostro know-how e il nostro lavoro.

• Fine del lavoro distaccato. È anormale che una persona che lavora in territorio francese non benefici dello stesso stipendio e degli stessi diritti. Chiunque sia autorizzato a lavorare in territorio francese deve essere alla pari con un cittadino francese e il suo datore di lavoro deve contribuire allo stesso livello di un datore di lavoro francese.

• Per la sicurezza del lavoro: limitare ulteriormente il numero di contratti a tempo determinato per le grandi aziende. Vogliamo più CDI (contratti a tempo indeterminato).

• Fine del CICE (Credito d’imposta per la competitività e l’occupazione). Usare questi soldi per il lancio di un’industria automobilistica francese a idrogeno (che è veramente rispettosa dell’ambiente, a differenza della macchina elettrica).

• Fine della politica di austerità. Smettiamo di rimborsare gli interessi sul debito dichiarati illegittimi e iniziamo a rimborsare il debito senza prendere i soldi dai poveri e dai meno poveri, ma perseguendo gli $80 miliardi di evasione fiscale.

• Affrontare le cause della migrazione forzata.

• I richiedenti asilo siano trattati bene. Dobbiamo loro alloggio, sicurezza, cibo e istruzione per i minori. Collaborare con l’ONU affinché i campi di accoglienza siano aperti in molti Paesi del mondo, in attesa dell’esito della domanda di asilo.

• Che i richiedenti asilo respinti siano rinviati al loro Paese di origine.

• Che sia implementata una vera politica di integrazione. Vivere in Francia significa diventare francese (corso di francese, corso di storia francese e corso di educazione civica con certificazione alla fine del corso).

• Salario massimo fissato a 15.000 euro.

• Creare lavoro per i disoccupati.

• Aumento dei fondi per i disabili.

• Limitazione degli affitti. Alloggi in affitto a costi più moderati (soprattutto per studenti e lavoratori precari).

• Divieto di vendere le proprietà appartenenti alla Francia (dighe, aeroporti, ecc.)

• Mezzi adeguati concessi al sistema giudiziario, alla polizia, alla gendarmeria e all’esercito. Che gli straordinari delle forze dell’ordine siano pagati o recuperati.

• Tutto il denaro guadagnato dai pedaggi autostradali sarà utilizzato per la manutenzione di autostrade e strade in Francia e per la sicurezza stradale.

• Poiché il prezzo del gas e dell’elettricità è aumentato in seguito alle privatizzazioni, vogliamo che siano nuovamente nazionalizzati e che i prezzi scendano in modo significativo.

• Cessazione immediata della chiusura di piccole linee di trasporto, uffici postali, scuole e degli asili nido.

• Pensare al benessere dei nostri anziani. Divieto di fare soldi sugli anziani. L’era dell’oro grigio è finita. Inizia l’era del benessere grigio.

• Massimo 25 studenti per classe dalla scuola materna alla dodicesima classe.

• Risorse adeguate destinate alla psichiatria.

• Il referendum popolare deve entrare nella Costituzione. Creare un sito leggibile ed efficace, sotto la supervisione di un organismo di controllo indipendente in cui le persone possano presentare una proposta di legge. Se questo disegno di legge ottiene 700.000 firme, questo disegno di legge dovrà essere discusso, completato e modificato dall’Assemblea Nazionale, che avrà l’obbligo (un anno dopo il giorno in cui sono state ottenute le 700.000 firme) di inviarlo al voto di tutti i francesi.

• Ritorno a un termine di 7 anni per il Presidente della Repubblica. L’elezione dei deputati a due anni dall’elezione del Presidente della Repubblica ha permesso di inviare un
segnale positivo o negativo al Presidente della Repubblica sulla sua politica. Ha aiutato a far sentire la voce della gente.

• Pensionamento a 60 anni e per tutti coloro che hanno lavorato usando il fisico (muratore o macellaio per esempio) diritto alla pensione a 55 anni.

• Un bambino di 6 anni non si mantiene solo, continuazione del sistema di aiuto PAJEMPLOI (servizio sociale dedicato all’infanzia attualmente valido fino ai 6 anni di età) fino a quando il bambino ha 10 anni.

• Promuovere il trasporto di merci su rotaia.

• Nessuna prelievo alla fonte.

• Fine delle indennità presidenziali per la vita.

• Vietare ai commercianti di pagare una tassa quando i loro clienti usano la carta di credito. Tassa sull’olio combustibile marino e sul cherosene.

[Il documento originale si trova a questo link dell’Huffington Post francese: https://www.huffingtonpost.fr/…/les-gilets-jaunes-publien…/…]

EUROPA E STATI NAZIONALI complessità e debolezze. Intervista a Piero Visani

Con questa seconda intervista ci intratteniamo con Piero Visani sul tema dell’Unione Europea e degli stati nazionali. In particolare ci soffermiamo sulle apparenze e sulla sostanza delle relazioni e dei conflitti che stanno regolando la condizione del continente_Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=n0RWcrdxTGM&feature=youtu.be

carte buone e carte false del Governo Conte, di Giuseppe Germinario

L’avvento del Governo Conte ha provocato una reazione pressoché immediata generalmente diffidente se non negativa, tranne poche eccezioni, negli ambienti intellettuali e nei centri decisionali del paese. Una diffidenza ed una negatività amplificata in modo abnorme dalla partigianeria e dalla faziosità della quasi totalità del sistema mediatico.

Sul conservatorismo, sulla sciatteria, sulla autoreferenzialità di gran parte dei centri intellettuali, tutti ben posizionati nel sistema, tanto sensibili alle sirene d’oltralpe quanto avulse dalla situazione del paese, il blog si è espresso più volte e continuerà ad esprimersi; in particolare sull’inadeguatezza e il carattere reazionario delle chiavi di interpretazione che continuano ad offrire.

L’oggetto dell’articolo non è questo, bensì gli argomenti e il contesto offerti dalle opposizioni esterne e ormai anche interne al Governo nella loro opera costante di denigrazione.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE

L’azione avventurista più eclatante è stata il varo del documento programmatico per il 2019. Una sfida aperta alle regole e soprattutto alle ipocrisie della condotta dell’Unione Europea. Una violazione ostentata degli accordi e dell’itinerario di rientro dal deficit e dal debito che scatenerà contro una nazione fragile ed esposta i Moloch più terribili.

Il Moloch dei mercati, in particolare quello finanziario, sempre pronti a sanzionare con gli interessi i trasgressori del rigore fiscale e a negare il credito ai potenziali insolventi. La spada di Damocle del ’92 e del 2011 è lì che incombe angosciante. Il dio mercato però questa volta appare incerto, anzi diviso; la sentenza appare di conseguenza contraddittoria. Lo spread sale, a volte scende; tarda a decollare. C’è chi vende, chi svende ma anche chi compra in quantità massicce. Il manipolo onnipotente della finanza, attribuito del potere di decisione dei destini del mondo appare percorso da strategie diverse; strategie che sembrano sempre più ricalcare le divisioni e le aggregazioni nel contesto internazionale e le fibrillazioni nell’agone politico americano. La certezza di una mitologia e di una rappresentazione del dominio e delle contrapposizioni globaliste che finalmente si incrina.

Il Moloch della BCE, pronta a inondare o a lesinare di valuta e di acquisti il mercato dei titoli secondo i propri voleri e i dettami del duo franco-tedesco; a premiare o punire quindi i più indisciplinati e riottosi, i reprobi; la Grecia prima e l’Italia dopo in particolare. Peccato che, a dispetto delle dichiarazioni e dei rimbrotti unidirezionali di Mario Draghi, a chiedere la protrazione del “quantitative easing” siano di fatto non soltanto il reprobo italico additato al pubblico ludibrio, ma la gran parte delle banche centrali degli stati europei in una fase di debiti e deficit galoppanti e di stagnazione se non proprio di recessione incipienti.

Il Moloch della Commissione Europea. Gli antichi splendori della Commissione sono ormai un ricordo sempre più lontano. La condizione di relativo equilibrio tra le potenze europee fondatrici, l’allargamento repentino ai paesi dell’Europa Orientale, concomitante a quello della NATO, la supervisione attenta della leadership americana ne garantivano una relativa autonomia operativa nel ruolo di mediatrice. L’ascesa della Germania, la creazione di una sua sfera diretta di influenza in Europa Orientale parallela e sovrapposta a quella strategica degli Stati Uniti, l’assunzione del ruolo di intermediario e gabelliere tra la potenza egemone e il pulviscolo degli stati almeno per le competenze proprie dell’Unione ne hanno sminuito progressivamente il ruolo sino alla parodia della gestione Junker. La conseguente ascesa del Consiglio Europeo e della diarchia Franco-Tedesca hanno reso sempre meno credibile la funzione di arbitro secondo regole per altro affatto squilibrate.

È una questione di tempo!

La Commissione dovrà essere intransigente verso il capro espiatorio che ha ostentato la trasgressione degli accordi capestro e transigere ancora verso le violazioni surrettizie dei sodali del patto. Non dovesse riuscire più in questa schizofrenia con qualche gioco di prestigio o con il sacrificio del governo italiano perderà definitivamente l’autorevolezza residua o il residuo sostegno del sodalizio politico. Il muro frapposto al documento italiano non è il bastione insormontabile, ma l’ultimo argine di una probabile deriva. Lo hanno affermato i leader stessi dei paesi minori più esposti nella intransigenza: se si cede, la volontà di costruzione europea cadrà nei singoli paesi, compresi i più autorevoli. Una dichiarazione di forza che è una prova di debolezza. Una intransigenza manifestata per conto terzi da quei piccoli paesi, tra questi Olanda, Austria e Irlanda, i quali hanno più praticato il dumping fiscale.

La reazione e la replica al documento del Ministro Savona, pervenuto a fatica e solo dietro sollecitazione dell’estensore negli uffici della Commissione Europea, sono state al riguardo eloquenti: il silenzio. Quel documento evidenziava il carattere nefasto delle politiche di austerità, stigmatizzava la scelta improvvida di fondazione della moneta unica precedente una politica di riequilibrio delle economie nazionali, auspicava una politica comunitaria espansiva con un accentramento conseguente di competenze, specie negli investimenti e nella gestione del bilancio; ne riconosceva però nell’immediato del contesto politico europeo l’irrealizzabilità. Rivendicava quindi, conseguentemente, una omogeneizzazione dei regimi fiscali nazionali e un ritorno delle “politiche di fiscalità nazionali”; nella fattispecie politiche di investimenti pubblici anche in deficit. Un europeista come Savona aveva mostrato finalmente il Re Europa nudo con tutti i suoi difetti e le sue storpiature, così come Salvini ha rapidamente messo a nudo quel re sul tema dell’immigrazione.

Una partita, quindi, dall’esito molto più aperto di quanto sia prospettato e auspicato dalla grande informazione. Non si tratta di un duello tra due contendenti; piuttosto di una zuffa con molti attori, pronti a cambiare schieramento e celare gli obbiettivi reali e con molti altri ingombranti osservatori interessati, alcuni in prima linea altri nella penombra; tutti impegnati ad influenzare l’esito del confronto.

IL FRONTE INTERNO

Il fronte interno si sta muovendo secondo dinamiche analoghe. Le apparenze ci mostrano un governo arroccato nella propria cittadella e assediato, asfissiato da forze soverchianti ben attrezzate, ben radicate nei vari apparati statali e nei centri decisionali e di formazione dell’opinione pubblica.

Sono tutti lì a denunciare la scarsità di investimenti rispetto all’entità delle spese assistenziali; a stigmatizzare l’errore cosciente sulla stima di sviluppo al 1,5% quasi a sottendere la responsabilità governativa della prossima probabile recessione, in realtà dalle dinamiche internazionali che vanno al di là degli ambiti domestici; a confidare parossisticamente nelle divisioni insanabili della maggioranza e nella incompetenza e inesperienza della classe dirigente in via di formazione.

Tutti, però, evitano accuratamente di rispondere alla domanda fondamentale che li qualificherebbe o meno come forze, politiche ed istituzionali, nazionali credibili: sono disponibili e sino a che punto a sostenere un confronto e uno scontro serrato almeno nell’agone europeo e nel Mediterraneo?

Eludere questa risposta connota queste forze come assedianti temibili ma privi del sostegno morale e logistico in loco; costrette, al pari delle forze imperiali, nel migliore dei casi a sostenersi grazie a lunghe e precarie catene di rifornimento. Una condizione da truppe di occupazione piuttosto che da forze liberatorie. Una condizione propedeutica ad ulteriori frammentazioni e divisioni.

È la condizione perfetta che potrebbe consentire ancora per qualche tempo alle forze politiche al governo di gestire le proprie evidenti divisioni in modo da raccogliere contemporaneamente le istanze di governo e di opposizione.

La schizofrenia, caratteristica comune anche ai governi immediatamente precedenti, è una peculiarità di questo governo.  Argomento già trattato ampiamente in altri articoli.

Il campo di applicazione è vasto: si passa dalla politica delle grandi infrastrutture, al ruolo della magistratura, alle questioni ambientali.

Il reddito di cittadinanza probabilmente ne è l’emblema. Il provvedimento poggia su due assunti fasulli: che la disoccupazione sia soprattutto un problema di formazione; che la disoccupazione abbia le stesse caratteristiche e le stesse ragioni nella variegata geografia del paese. Sino a quando si continuerà a parlare di disoccupazione e non di “disoccupazioni” la retorica vincerà sul pragmatismo, favorendo la fuga verso l’assistenzialismo e l’incomprensione, tra i tanti, del fenomeno di quella parte consistente di personale qualificato, compreso quello immigrato, che preferisce migrare all’estero. Una retorica nella quale si sono rifugiate tutte le forze politiche; tutte! Un tema, altrimenti, che sarebbe dirimente; che implicherebbe tutta una serie di politiche e di volontà, compresa la creazione di nuove imprese e formazione di imprenditori. Un tema che, trattato con coerenza, rischierebbe di mandare in fibrillazione irreversibile le politiche comunitarie di stampo liberista e il reticolo di norme europee che regolano le attività e gli investimenti.

Il termine schizofrenia sottende la convivenza di propositi opposti e difficilmente conciliabili; di propositi, quindi, anche accettabili e significativi. A spulciare documenti e provvedimenti quesi ultimi non mancano; e l’opera certosina e discreta di settori della pubblica amministrazione sta cercando di dare loro corpo.

Si legge il proposito di difesa delle imprese impegnate nel complesso militare e nell’industria strategica residua, anche se i tagli successivi sembrano poi contraddire in parte le intenzioni. Si inizia a ricostruire un sistema di agenzie e di centri nazionali in grado di fungere da supporto tecnico e indirizzo nell’attuazione dei programmi di investimento specie delle amministrazioni periferiche e locali. Un tentativo molto più strategico di quanto possa apparire. Un modo per indebolire quel legame diretto tra amministrazioni locali e strutture e agenzie comunitarie che contribuisce a logorare la funzione di indirizzo e controllo dello Stato Centrale. Si sta operando per riprendere almeno il controllo pubblico delle reti, in particolare le telecomunicazioni, dopo le sciagurate privatizzazioni. Si sta cercando di riprendere il controllo dell’esposizione del debito pubblico con l’emissione di titoli collocati direttamente tra i risparmiatori al dettaglio.

Sono indirizzi ancora estemporanei, portati avanti sottotraccia e ancora privi di un disegno organico. Un disegno che implicherebbe la ripresa di temi strategici come la ridefinizione delle competenze tra stato centrale e amministrazioni locali; la gestione del rilevante risparmio nazionale; la riconduzione nei ranghi dell’azione giudiziaria. Tutti temi che stridono ancora con le suggestioni della democrazia dal basso del M5S e le concezioni originarie del federalismo della Lega ancora ben presenti nelle due formazioni e connaturate nel M5S.

Limiti che rivelano la durezza di un confronto più interno alle forze di governo che tra queste e le opposizioni. Una ruvidezza cui non corrisponde una chiarezza sufficiente di obbiettivi e di strategie; un sordo contrasto che potrà risolversi probabilmente solo con il completamento della trasformazione surrettizia della Lega in partito nazionale e con la spaccatura di un M5S logorato dove sta però prendendo piede una componente più realista. Vedremo cosa comporterà il prossimo ritorno del Messia pentastellato, di Di Battista anche se le frecce in faretra si stanno rivelando sempre più spuntate. Qualcuno si deciderà finalmente a chiedergli conto delle sue frequentazioni americane, specie in California e dei suoi stage di apprendimento.

IL PARADOSSO INTERNAZIONALE

Paradossalmente gli impulsi migliori e più promettenti sembrano provenire dal contesto internazionale. Questo Governo viene continuamente tacciato di un avventurismo che lo sta sospingendo nell’isolamento più totale. In realtà l’isolamento e l’inconsistenza del peso geopolitico del paese si è compiuto silenziosamente a partire dalla guerra civile nella ex-Jugoslavia e dalla riunificazione tedesca. L’Italia ha perso quasi ogni influenza in Europa Orientale, compresi i Balcani e ha incrinato la sua credibilità e il suo prestigio nel Mediterraneo in questi ultimi trenta anni. Una chiusura a Nord-Est che la sta sospingendo volente o nolente verso il Mediterraneo e il Nord-Africa. La chiusura del cerchio avrebbe potuto completarsi con la guerra e la defenestrazione di Gheddafi in Libia. Da lì, invece, è iniziato fortunatamente il declino di Obama e l’emersione della vanagloria francese. Oggi l’America di Trump, per relegare almeno momentaneamente il multilateralismo, destrutturare il sistema di relazioni fondato su organismi sovranazionali e rifondare un sistema di alleanze più agile ed efficace e soprattutto più sostenibile, ha bisogno di ripristinare i rapporti tra stati nazionali e ridimensionare le potenze regionali che hanno lucrato all’interno della propria sfera di influenza. In Libia, per altro, si è creato una terra di nessuno dove le malefatte clintoniane hanno offerto le possibilità di accordo tra Trump e Putin a scapito di Francia e Turchia. Il terreno ideale per offrire all’Italia la possibilità di ritorno e di azione. Un invito colto con una certa sapienza dal Governo Conte con la gestione della recente conferenza. Più discreto, ma altrettanto efficace, almeno per il momento, la copertura nel contenzioso europeo. Come pure le boccate di ossigeno offerte dal complesso angloamericano a Finmeccanica e Fincantieri. In politica, più che in altri ambiti però, ogni sostegno e ogni collaborazione non sono disinteressati e nemmeno garantiti e stabili nel tempo. Il confine tra la capacità di cogliere le opportunità offerte e la condanna a cadere sotto nuove forme di servitù e subordinazione, simili alle precedenti, è sempre labile e poco definito. Un dilemma che le classi dirigenti nazionali hanno dovuto affrontare più volte a partire dal conseguimento dell’unità. Qualche volta con esito soddisfacente, altre incorrendo in un destino drammatico o poco lusinghiero. L’armistizio estivo tra l’Amministrazione di Trump e la Commissione Europea deve fungere da campanello di allarme. Il rinvio dell’innalzamento delle barriere doganali ai danni della Germania è costata qualche concessione ai tedeschi e il sacrificio molto più significativo su importazioni di prodotti agricoli a scapito dell’Italia.

L’ipotesi di puntare rapidamente ad una condizione di neutralità vigile può essere prematura; richiede ben altre condizioni e una classe dirigente in grado di sostenere un confronto così duro. Tentare almeno un patto con il diavolo che consenta di recuperare il controllo almeno del sistema finanziario, con la riacquisizione di Generali e UNICREDIT e magari la gestione della rete commerciale che apra uno sbocco più garantito dei prodotti agricoli nel mercato nazionale, ambiti economici attualmente in mano ai francesi e in parte ai tedeschi, potrebbe essere un obbiettivo già alla portata dell’attuale Governo, così come quello in atto sulla TIM nel settore delle telecomunicazioni. L’importante è riuscire a resistere alle pressioni di una armata probabilmente più sgangherata di quanto possa apparire ma sempre pronta a trovare nuovi corifei e nuovi tromboni. Il Corriere della Sera, ancora una volta, si è offerto diligentemente nella funzione di benpensanti servili. Giornalisti come Federico Fubini, da capostipiti, hanno decisamente scelto la loro missione: quella di ventriloqui del magnate filantropo Soros. (vedere per credere:  https://2018.festivaleconomia.eu/-/di-quale-europa-abbiamo-bisogn-1  ). La loro credibilità, però, sta crollando fortunatamente assieme alle vendite dei loro fogli. Uno spazio in più del quale approfittare

 

 

LA PEGGIORE DI TUTTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA PEGGIORE DI TUTTE

È implicito (sempre) ed esplicito (molto spesso) che, quando le èlite del centrosinistra italiano si lagnano del governo del cambiamento, sono persuase che il loro modo di governare era il migliore e che il popolo italiano è stato irriconoscente a dar loro il benservito.

In realtà tale convinzione desta stupore, dati i risultati economici più che mediocri della classe dirigente della seconda repubblica, centrodestra compreso (anche se responsabile minore); e il perché lo spieghiamo.

Devo premettere di non essere convinto che la struttura economica determini le sovrastrutture (non sono marxista); e, di conseguenza non ritengo che il progresso o il regresso di una comunità si misuri (solo) in termini economici piuttosto che politici, culturali, morali, tecnici. Ritengo il dato economico non determinante ed esclusivo, ma comunque molto importante, e che abbia quanto meno il vantaggio di potersi esprimere in numeri, meno soggetti a manipolazioni e valutazioni soggettive (se i conti sono fatti onestamente).

Fatta questa premessa possiamo dividere le classi dirigenti, ovvero le èlite, la classe politica, (e anche la formula politica) dall’unità in poi in quattro “fasi”: la monarchia liberale (1861-1911), il regime fascista (1922-1943); la “prima repubblica” (1946-1994); la “seconda repubblica” (1994-2018), e  vedere quanto in ciascun periodo si sia incrementato il PIL individuale, indice privilegiato del benessere.

Orbene nella monarchia liberale l’incremento del PIL pro-capite fu dello 0,6% annuo, più modesto nell’ ‘800, molto più deciso nel periodo giolittiano (1,6% annuo).

Nel periodo fascista l’incremento continuò; anche se fu abbassato dalla depressione del 29-32 (-7,2%) e dalle guerre, soprattutto quella d’Etiopia (-4,3%) il  risultato, fino al 1939 fu di un aumento di circa il 50% rispetto al 1919. Con la seconda guerra mondiale si ridusse di quasi la metà.

L’età d’oro del PIL pro-capite fu quella della “prima repubblica”: l’aumento nel periodo fino al 1973 si attestò sul 5,3% annuo; dal 1973 al 1994 in un più modesto – ma rispettabile – 2.5% annuo.

Nella seconda repubblica la musica purtroppo cambiava: ad un modestissimo aumento dello 0,3% annuo, faceva riscontro un incremento del prelievo fiscale, anche in brevi periodi di PIL pro-capite in picchiata, come nella crisi del 2008-2014 in cui il calo è stato del 12,8%.

Resta il fatto che durante la “Seconda repubblica” i risultati, in termini di benessere, sono stati i peggiori di tutti i periodi politici in cui abbiamo suddiviso la storia dell’Italia unita.

Pertanto, non si capisce perché l’elettorato italiano non avrebbe dovuto concludere che i cattivi risultati non dovessero dipendere (se non totalmente, in buona parte) dalla mediocrità – politica e culturale – della classe dirigente. Semmai desta stupore la pazienza e la mansuetudine di un popolo che sopporta per un quarto di secolo l’inconsistenza di élite gàrrule e autoreferenziali.

Certo queste rispondono: noi siamo stati i più buoni. Abbiamo aiutato banche straniere e italiane, migranti africani e mediorientali, e soprattutto i tax-consommers, ossia la corte dei miracoli che prospera sul bilancio pubblico. Bilancio che Giustino Fortunato, oltre un secolo fa, definiva “la lista civile della borghesia parassitaria”, e che tale è – in larga parte – rimasto.

Buonismo, angelisme, legalitarismo sono le derivazioni odierne che servono ad occultare i risultati della classe dirigente in via di detronizzazione (il vertice – in gran parte – già licenziato, l’aiutantato no), sotto il profilo economico la peggiore, sia nel tempo che nello spazio, tenuto conto che nello stesso periodo 1994-2018 i risultati economici dell’Italia sono stati i peggiori sia dell’UE che dell’eurozona.

Onde spiegare ad un italiano indigente, a un “esodato”, ad un creditore della P.A. (e così via) che i sacrifici sopportati sono stati disposti per bontà d’animo verso migranti ecc. ecc., è assai difficile perché non si giudica sul criterio gnoseologico vero/falso o con quello etico (già più “vicino”) buono/cattivo ed è quindi irrilevante (o poco rilevante). Perché funzione della politica è proteggere la comunità e il di essa benessere e così gli interessi (pubblici) di questa e dei cittadini, come sostenuto da secoli di pensiero politico realista, da Machiavelli e Hobbes a Meinecke e Schmitt, passando per Richelieu e Federico il Grande (tra i tanti).

Fare della politica una litania di buone intenzioni è funzionale soprattutto ad individuare l’avversario in colui che non manifesta altrettanta devozione; al momento, soprattutto Salvini, che “devoto” non è ed è soddisfatto di non esserlo: ma, piuttosto, ricorda ogni giorno di difendere gli interessi degli italiani.

Speriamo che lui e Di Maio li perseguano con la stessa coerenza ed efficacia di altri governi europei, non di quelli italiani che li hanno preceduti.

Teodoro Kltsche de la Grange

CONSIGLIO AI ROSICONI, di Teodoro Klitsche de la Grange

CONSIGLIO AI ROSICONI

Prima del 4 marzo l’establishment politico e culturale di sinistra stigmatizzava l’ “incultura, l’inesperienza e la rozzezza” dei populisti, in specie dei grillini.

Il tormentone è aumentato a dismisura con la vittoria elettorale e il varo del governo pentaleghista; anche la carriera accademica di un mite premier come Conte è stata passata al setaccio e così sono stati svelati alcuni peccatucci (veniali), ricorrenti in ogni percorso accademico. Allo stesso è stata poi addebitata l’inesperienza, considerato che, praticamente era rimasto sempre fuori dai giri che contano; e probabilmente questa è stata la principale ragione che ha indotto a nominarlo. Una compromissione plurilustre col potere, che è a giudizio dell’establishment capalbino, un titolo comporta, cosa di cui i suddetti non si rendono conto, anche quella con lo sfascio della seconda repubblica: pessima presentazione per l’elettorato pentaleghista. Tant’è. I rosiconi hanno forse rimosso, ma più probabilmente rimpiangono, i bei tempi in cui trovavano comode e confortevoli nicchie nei bilanci pubblici. E per gente che spesso ha fatto dell’interesse individuale (proprio) la regola dell’agire universale, il venir meno di queste, ovviamente addolora.

Così il movimento cinque stelle appare, nell’immaginario di Capalbio – ed in parte lo è – come un’armata Brancaleone: un insieme disordinato di emarginati dal potere e dalla cultura, rozzi, ignoranti (e opportunisti), guidati da un comico.Inadatti a governare, come a discutere e brillare nei salotti.

Come detto qualcosa di vero c’è, ma occorre non trascurare come, in primo luogo, il livello della classe dirigente negli ultimi trent’anni ha avuto uno scadimento geometrico (nel senso della radice quadrata): un Di Maio steward, è stato preceduto da una Fedeli, ministro dell’istruzione, la quale in comune con Benedetto Croce, aveva di non essere laureata. Purtroppo per lei, i connotati comuni col filosofo si riducevano a quello. Quanto poi abbia contribuito al declino di qualità dei parlamentari, il tentativo ricorrente (e “vincente”) delle diverse leggi elettorali, di farli nominare dai vertici dei partiti più che scegliere dalla base elettorale è sicuramente influente e da valutare nel senso che non sempre è il popolo a sbagliare.

Ma quel che più importa è notare come sia in politica che in quel mezzo della politica che è la guerra, è la qualità del nemico a determinare quella del combattente.

Facciamo un esempio.

Pareto ironizzava su Napoleone III°, perché incerto e (addirittura) ingenuo, tuttavia all’immagine dell’Imperatore (per i postumi) ha contribuito d’esser stato sconfitto – ed aver perso il trono – da un genio della politica come Bismarck e da una perfetta macchina da guerra come l’esercito prussiano. Che giudizio avrebbero formulato i posteri se a sconfiggerlo e detronizzarlo fosse stato un politico di mezza tacca alla guida dell’esercito del Lussemburgo? Anche a Francesco Giuseppe che perse quasi tutti i domini italiani dell’Impero in pochi anni, contribuì non poco di aver avuto come avversario un altro genio come Cavour: e morì circondato dall’affetto e dalla considerazione dei sudditi. Lo stesso avviene per la guerra: il nome di Scipione è noto a tutti perché sconfisse Annibale – il più grande condottiero dell’antichità – a Zama; nessun ricorda il nome dei consoli (Salinatore e Nerone) che qualche anno prima avevano vinto Asdrubale (il fratello meno dotato di Annibale) al Metauro, battaglia non meno decisiva di Zama. Sconosciuti come i consoli suddetti sono i nomi di quei generali delle potenze europee che nel XIX secolo conquistarono tutta l’Africa, debellando le orde tribali autoctone.

Pertanto la spocchia della sinistra conferma, non volendo, due circostanze.

La prima che se l’armata Brancaleone dei grillini  (oltretutto poco “aiutata” e dotata di mezzi) ha vinto la “gioiosa macchina da guerra”, ciò significa che gli italiani ne avevano così piene le scatole di questa da preferire un insieme di ….sfigati a tanto brillante accademia. Chi è ridotto male spera nei salvatori meno probabili, che preferisce a coloro in gran parte responsabili di averlo rovinato.

La seconda che se tale armata Brancaleone, povera di mezzi e appoggi, li ha ridotti così a mal partito vuol dire che non erano poi così bravi, intelligenti ed efficienti. Non sono Bismarck né Scipioni, ma dei Dumford o Baratieri (sconfitti il primo dagli Zulu, il secondo dagli abissini). E per la loro immagine sarebbe bene ne tenessero conto.

Teodoro Klitsche de la Grange

PREDICHE E PREDICATORI, di Antonio de Martini

PREDICHE E PREDICATORI

Stasera 17 settembre, la RAI – il TG1- ha mostrato il Presidente della Repubblica inaugurare all’isola d’Elba, l’anno scolastico di una scuola.

E’ la venisettesima volta in trenta giorni che l’esimio Presidente si scaglia, con sguardi di odio e solenni parole, contro l’odio che viene sparso tra gli italiani.

Il tema , per la venisettesima volta quest’anno, è costituito dalle leggi razziali varate dal fascismo – la parte ” ruffiana” psicologicamente prigioniera della Germania – nel luglio del 1938.

Le leggi razziali non ci sono più, anzi la Repubblica ha rimediato alle esclusioni varando apposita legge che ha allungato i limiti di età degli impiegati statali di cinque anni in modo da consentire il recupero delle carriere.

E’ in virtù di questa legge _ del governo centrista- che Pacciardi potè far nominare il Generale Liuzzi a capo di Stato Maggiore dell’Esercito per ben cinque anni.

Sono passati ottanta anni dalle leggi e settantacinque dalla loro abolizione, senza che nessuna autorità ne facesse uso in pubbliche cerimonie , compresi gli immediati predecessori Napolitano e Scalfaro e Cossiga.

Ci si limitava alla commemorazione delle stragi di Sant’Anna di Stazzema , alle fosse ardeatine e al campo di concentramento di San Saba e un paio di volte ai fratelli Cervi ( in occasione di un film sul tema).

Questo martellamento comunicazionale nell’estate del 2018 ha certamente una sua ragione e non è giustificato da una captatio benevolentiae verso la colonia ebraica italiana che non supera i cinquantamila soggetti nemmeno contando i gatti di casa.

Gli stessi rappresentanti delle comunità ebraiche si sono distinti in positivo per la sobrietà dei tre interventi compiuti in Tv.

Poiché a pensar male si fa peccato, ma generalmente si coglie nel segno e dacché sarei già un peccatore incallito e – peccato più, peccato meno – non ci faccio caso, azzardo una ipotesi fondata sul ragionamento e non sulle emozioni che ormai troppi politici evocano..

Quando si insiste con tanta ripetitività nella comunicazione e si continua a parlare di odio senza indicare gli untori, deduco che il discorso del Presidente mira a suscitare emotività e non ragionamenti di tipo etico o paralleli politici che si lasciano alla immaginazione delle famiglie riunite a cena.

Signor Presidente,

Ritengo che qualcuno, nel suo entourage e con legami esteri non effimeri, miri, con questo martellamento, a suscitare reazioni, non solo politiche ( e già questo sarebbe un fatto molto grave) contro la comunità ebraica italiana per poter mettere in stato di accusa ( se si scatena la fantasia malata di qualche psicolabile) una delle componenti del governo e facilitare lo sganciamento dell’altra compagine da un governo che rischia la popolarità paradossale quanto le pare, ma popolarità.

A conferma di questo mio giudizio temerario, il TG 1 ha presentato un filmato che si armonizza con questa ipotesi, risuscitando Buttiglione, D’Alema e Bossi e dedicando loro un servizio al ” patto della crostata” con cui Bossi fu convinto a far cadere il governo Berlusconi. In più si è soffermato sulle immagini di Scalfaro che stringe la mano a Bossi al Quirinale.

Per chi, come me, ha fatto comunicazione per tutta la vita, le immagini e l’ossessiva ripetizione del discorsetto falso-pacificatore sono sufficentemente eloquenti. Ma ho anche un’altra esperienza fatta seguendo la politica.

Nelle immediate viglie elettorali degli anni cinquanta e sessanta, ignoti imbrattavano di catrame le tombe del cimitero ebraico, il quotidiano ” Il Tempo” , che aveva fino allora tirato la volata alla destra, cambiava repentinamente orientamento e raccomandava di votare per la Democrazia Cristiana. Posso rispolverare anche altri ricordi del genere che spero non dover fare per carità di Patria.

Si, signor Presidente, in Italia c’è chi predica odio, da sempre. Ma non era mai successo che il pulpito fosse posto tanto in alto.

tripoli bel suol d’amor; con scarsa intelligence_ di Antonio de Martini

La situazione in Libia è sempre più convulsa con gruppi armati di qualche centinaio di miliziani sostenuti dal Ras della Cirenaica Haftar che ormai minacciano seriamente la posizione del Presidente senza terra Serraj. La sorniona Russia, Francia, Gran Bretagna ed Egitto da una parte, Italia dall’altra in nome del governo universale. Gli Stati Uniti lì a guardare dopo aver innescato il caos. Il Governo Conte si trova a gestire una posizione italiana sempre più debole, frutto dell’ignominia e del servilismo senza contropartite dei precedenti Governi, a cominciare da quello Berlusconi. Una delle due pagine più vergognose, quella della Libia, della politica estera repubblicana. Continua però ad annaspare legato ad una ipotesi ormai del tutto compromessa ed inagibile. Nel frattempo Saif, figlio di Muammar Gheddafi, proprio lui, gode di un consenso crescente tra la popolazione e le tribù, è componente della tribù libica più numerosa, è l’unico esponente in grado di ritentare una conciliazione e la ricostruzione di quel paese. Un fatto rilevato ormai da tempo da gran parte della stampa mondiale, ma non da quella nostrana. Osservando la zona degli scontri, tra l’altro, è molto probabile che sia lui stesso, più o meno direttamente, ad avere un ruolo importante nell’attuale colpo di forza. L’Italia, tra i cinque protagonisti dello scempio libico, è il paese comunque meno compromesso e che ha conservato non ostante tutto forti legami soprattutto con quella. Cosa si aspetta? Oppure quel declino e quell’insipienza, presente ormai anche nei settori nevralgici dello Stato, sono realmente irreversibili come sembra paventare Antonio de Martini? PrimaBuona lettura_Giuseppe Germinario

TRIPOLI: COSA PUO’ FARE IL GOVERNO ITALIANO PER FERMARE L’AGGRESSIONE.

1) Costituire un “gabinetto ristretto” composto dal ministro degli Affari Esteri, Difesa, Interno, Industria e Giustizia.

2) chiedere alle Nazioni Unite di dichiarare una NO FLY ZONE su Tripoli e la Tripolitania e dare mandato all’Italia della esecuzione.

3) stabilire una azione di PEACE ENFORCEMENT ( non è il caso di parlare di peace Keeping, visto che la pace non c’è)

4) Concentrare le necessarie forze aeree nella base di Ghedi ( da cui partirono gli aerei francesi per l’attacco a Gheddafi). Inviare la portaerei Cavour nelle acque della Cirenaica con adeguata scorta.

5) Chiedere all’ONU di ordinare il congelamento delle royalties petrolifere a tutte le parti in causa fino alla cessazione delle ostilità.

6) Far dichiarare fuori legge il comandante di questa bravata ed emettere un mandato di cattura internazionale a suo carico.

7) chiedere la mediazione della Lega Araba prima di iniziare i bombardamenti degli aggressori che sono privi di aeronautica.

Il tutto richiederebbe non più di due giorni durante i quali basterebbero le nostre forze speciali a tenere a bada gli aggressori. Se gli USA non appoggiassero la nostra azione in seno al Consiglio di sicurezza ( o la Francia) tirarne le conseguenze. Ovviamente differenti nei singoli casi.
La somma di queste minacce messe tempestivamente in atto, ci riscatterebbe agli occhi dei libici e ristabilirebbe gli equilibri nel mediterraneo centrale.

La Francia ha una portaerei che potrebbe andare negli annali accanto al ritrovamento della Tomba di Tutankamon per il numero di avarie subite, non oserebbe muoversi nemmeno a titolo dimostrativo.

Il governo potrebbe approfittarne per isolare gli oppositori in un clima di Unione nazionale senza compiere gesti al di fuori della nostra portata e in perfetto allineamento con la posizione tenuta dalla NATO nel 2011 contro Gheddafi che però non sparava.
Le nzioni Unite che hanno riconosciuto il governo Serraj, non potrebbero che approvare.

CHI E’ D’ACCORDO INOLTRI LA RICHIESTA AL SUO DEPUTATO.

TRIPOLI , CONTE, TRUMP E LE FIGURE DI MERDA

Sono almeno un paio di anni che continuo a scrivere che Haftar è un bandito stupido e cattivo ma sostenuto dagli inglesi e Serraj non è sostenuto nemmeno dalla moglie, è disprezzato da tutti i libici e il fatto che sia sostenuto dalla “comunità internazionale” come stranazzano i giornali, non conta nulla. Come a nulla è servito il viaggio dell’avv. Conte a Washington per chiedere aiuto.

Adesso ci sfogheremo contro la Francia e nessuno penserà a chiedere i danni erariali ai responsabili di queste scelte demenziali di sostenere un bischero insidiato da un generale da operetta che fu sconfitto persino dal CHAD.

E’ dello scorso mese l’incontro con la richiesta di sostegno fatta a Trump dal primo ministro Conte. Promesse da marinaio o millanterie?
In entrambe le ipotesi vanno fatte considerazioni appropriate.

a)L’appoggio di Washington non ha prodotto risultati apprezzabili, se c’è mai stato.
.
b) Contare sull’appoggio americano equivale a farsi predire il futuro da Vanna Marchi e questa è una lezione da ritenere anche per le politiche europee e militari.

c) Essere investiti dal Presidente della Repubblica non basta a dare credibilità a un quidam de populo. Anni fa , negli incontri importanti, andavano assieme Presidente e Primo Ministro per significare che l’Italia intera mirava al risultato e non alla foto per il curriculum..

d) Mettendo come capo centro informazioni per la Libia un sottufficiale della Guardia di Finanza affiancato da una trentina di ragazzotti di buona volntà, sappiamo dettagli sugli approvvigionamenti, ma non abbiamo un quadro geopolitico affidabile.

e) Se a questa situazione critica aggiungiamo che il Ministero della Difesa è stato gestito da due pie donne negli ultimi anni, il quadro sarebbe completo se non andasse detto anche che il fatto di aver messo a capo del servizio segreto un ufficiale specializzato in paghe e contributi non è stato il massimo della vita.

Leggo sui giornali che verrà sostituito. Troppo tardi e potremmo finire dalla padella nella brace se non ci si mette un ufficiale di Stato Maggiore serio e capace di abolire tutte le indennità che hanno attirato nugoli di persone motivate economicamente ma digiune di tutto.

Il fatto stesso che si voglia mettere a capo del DIS ( il coordinamento tra servizio interno ed estero) l’attuale capo della polizia ( “perché sta simpatico a Conte”) fa pensare che l’attenzione è verso il pettegolezzo interno oppure c’è necessità di evitare la pubblicazione di dossier imbarazanti. Niente a che vedere con l’interesse nazionale.

Fino a che non si troverà una intesa col figlio di Gheddafi e con Gheddafiddam ( cugino-tesoriere) al Cairo, continueremo a fare figure da cornuti e mazziati.

Un ammaestramento da trarre, c’è e non è secondario: quando si è in presenza di un governo imbelle, un premier appeso al nulla e una situazione di disordine endemico, bastano trecento uomini in gamba per decidere le sorti di una guerra.

Lo dice anche Tolstoj in guerra e pace, anche se parla di ” un reggimento”. Ma quelli, erano tempi eroici.

LA SCELTA PER IL SERVIZIO SEGRETO.

Il servizio segreto condivide col PD due caratteristiche: l’aver cambiato nome troppo spesso e la densità di comunisti nelle sue file.

La posizione di capo del servizio è di quelle che possono dare grandi tentazioni sia economiche ( il capo dispone di un bordereau di milioni di cui non deve rendere conto a nessuno) che politiche.

Casa Savoia che ha molte pecche, ha il pregio di aver – nei secoli – imparato a gestire il capitale umano.
A capo del servizio andava sempre un colonnello di Stato Maggiore che per vari motivi non poteva essere ricevuto a corte ( omosessuale, separato, ecc) ed aveva la carriera compromessa.
L’amministratore dei beni personale di V.E.II era …un repubblicano.

Con la Repubblica, veniva scelto un colonnello, che a fine triennio tornava nell’esercito per seguire la normale carriera.
Il generale de Lorenzo, vendendo a Gronhi una storiella che lo rese insicuro, ottenne prima una legge che equiparasse il comando del SIFAR a comando di Divisione e poi di Corpo d’Armata e ottenendo la riconferma per troppi anni.
Usò il bordereau per comprarsi quasi tutti i giornalisti che interesavano e tutto il sistema degenerò.

La necessità di apportare cambiamenti provocò la turnazione tra le tre armi ( che oggi sono quattro…) e presto la Marina fevce la parte del leone con l’ammiraglio Henke, Casardi ecc.

nel periodo Berlusconi, si riuscì a scendere di un ulteriore gradino con la nomina di un ufficiale della Guardia di Finanza ( Pollari) di cui si ricorda ” la carica dei seicento” finanzieri che immise nei ruoli e la sua triplice richiesta di decretare la Stato di Assedio perché aveva saputo da fonte certa che stavano per ccommettere un attentato nel sottopasso di Villa Borghjese per far crollare tutta piazza di Spagna.

Per fortuna fu smentito da De Gennaro ( a capo della polizia) e Mori ( SISDE) e non se ne fece nulla.

Chi pensasse che eravamo giunti all’ultimo gradino della professionalità, può ricredersi: Alberto Manenti, ufficiale addetto alle paghe del servizio diventa capo della Divisione “non proliferazione” ( comprensibile in un paese dotato di armi nucleari) e fornisce al servizio inglese “la prova” che il Niger sta vendendo uranio a Saddam. E’ falso e gli americani ci hanno fatto un film ” Fair Game”.

E’ la prova che scatena la guerra. Con questa gabola, gli USA soino grati agli inglesi per il favore fatto loro e questi, cavallerescamente accreditano la bufala al servizio italiano che fa la figura di merda.
.
Invece di mandarlo a casa, Alberto, come lo chiamano gli amici, viene nominato capo servizio che dopo un periodo in cui si è chiamato SID, poi SISMI, adesso diventa AISE.

La fiaba del ragioniere addetto alle paghe che diventa capo del servizio segreto infiamma le fantasie e il capo della stazione CIA di Roma, si dimette e , dopo aver fatto da mediatore nell’acquisto di software da una chiacchierata ditta americana, viene preso come consulente del servizio. Manco il KGB in Polonia ai bei tempi con Rokossovsjy.

Adesso siamo alla nuova scelta, ma non va cercato un semplice capo servizio, anche se questo sarebbe comunque un progresso.

.Va trovato un Riformatore che elimini ogni indennità aggiuntiva che attira i raccomandati avidi e incapaci; che elimini personaggi stranieri dai vertici dell’organizzazzione; che eviti le forti spese che implica il passaggio degli uffici a Piazza Dante nei già suontuosi locali della Cassa Depositi e Prestiti e che non si spaventi all’idea di contrastare gli avversari degli interessi italiani con ogni mezzo lecito e non.

E che dopo un triennio vada via anche se merita le più alte ricompense. Possono sempre farlo Consigliere di Stato.

Chi può fare una riforma tanto profonda in così poco tempo?

Faccio i nomi:

a) Mario Buscemi, attualmente consigliere di Stato e generale di Corpo d’Armata che ha predisposto la riforma della Difesa riuscita senza probelmi e comandato la brigata in Albania
( operazione Alba) e in Kurdistan con gli USA.

b) Il prefetto Giovanni De Gennaro, già capo della polizia, che Berlusconi e PD hanno liquidato dalla presidenza di Finmeccanica con un pretesto ( la condanna per i fatti di Genova). Con loro credo abbia il dente avvelenato e servirebbe con lealtà ed efficacia.

Mario Mori; generale di Corpo d’Armata e giù capo del SISDE che si intende- lo ha dimostrato- di intelligence e di malavita e magistratura. Ha il senso dello Stato a la grinta del carabiniere..

Tutti e tre avrebbero la piena collaborazione dei corpi di provenienza e l’esperienza necesaria a fare quel che serve in tempi brevi:
Il resto è camomilla al coleroso

Giuseppe Conte, Avvocato degli Italiani? Badi a Vincere a Genova_ di Piero Laporta

tratto da http://www.pierolaporta.it/giuseppe-conte-avvocato-degli-italiani-badi-a-vincere-a-genova/

Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio stanno compiendo errori strategici gravi, tuttavia ancora rimediabili, a patto di dare un’immediata sterzata al modo di fronteggiare il crollo del ponte di Genova.

La politica e il potere si reggono su due pilastri: le risorse e il consenso. Quest’ultimo è più fragile del ponte genovese e, come si sa,  mutevole di suo. Esiste tuttavia un elemento che – ben più d’ogni altro – determina repentini mutamenti del consenso: il sangue, la morte di innocenti. Tutte le rivoluzioni cominciarono a causa di guerre con spargimento di sangue innocente, per stragi  di popolazioni inermi o altre analoghe sconcezze.

Da mezzogiorno del 14 agosto, quando crollò il ponte Benetton a Genova, il sangue di 43 innocenti, schiacciati dal calcestruzzo malato è stato come un cannoneggiamento di gente inerme: chiunque sia in buona fede s’è reso conto che negli ultimi venti anni sono state svendute non solo le ricchezze dell’Italia ma anche le vite dei cittadini. Quel crollo è tuttora in grado di scatenare uno tsunami da travolgere e distruggere definitivamente, cancellarli dalla scena politica, il Partito Democratico e Forza Italia, primi responsabili dello sfascio e del crollo dell’Italia. Ebbene, questo governo è stato deviato, frenato prima che lo tsunami si scatenasse.

Mercoledì 15 agosto – il giorno successivo alla catastrofe genovese – 170 migranti erano nelle acque maltesi. Alle 3.40 della notte qualcuno – senza consultare il governo – ha dato uno strano ordine a due unità della Guardia Costiera italiana, affinché intervenisse a 17 miglia nautiche da Lampedusa per caricare i migranti. Circa cinque ore dopo, alle 8.20, è intervenuta nave Diciotti che ha imbarcato 177 migranti, all’insaputa del governo.

Se le due motovedette si fossero dirette – come è stato sempre fatto in casi analoghi – verso Lampedusa in condizioni di sicurezza, si poteva accendere il solito contenzioso con Malta e attendere la composizione da parte dell’Unione Europea. È arrivato invece l’ordine di trasferire i migranti sulla Diciotti e questa, portandosi a Catania, si è messa sotto l’occhio delle telecamere del mondo. È giunta a Catania, senza entrare nei porti di Pozzallo e Augusta, sui quali vige la competenza delle procure di Ragusa e Siracusa, note in passato per posizioni tolleranti verso l’immigrazione. Chi ha consigliato di andare a Catania sapeva che Luigi Patronaggio, procuratore capo di Agrigento, aveva pianificato di recarsi nel capoluogo etneo, per un’ispezione a bordo della Diciotti? All’ispezione è conseguita l’indagine per sequestro di persona, sostenibile proprio dalla procura di Agrigento.

In altri termini, dal giorno successivo al disastro di Genova, le prime pagine, invece di concentrarsi sui 43 morti ammazzati dal ponte crollato, sono state condivise con la Diciotti e Patronaggio. A  partire dal 18 agosto, dopo quattro giorni dal crollo, sfumate le cronache dei funerali, la Diciotti ha cancellato il crollo di Genova.

Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, questo è dilettantismo grottesco, neppure scusabile con l’inesperienza di governo.

Si dirà che il governo non vuole esporsi ad accuse di sciacallaggio. Le accuse di sciacallaggio sono arrivate comunque, intanto però il governo – mettendo in ombra il disastro genovese, a vantaggio della Diciotti – trascura l’interesse dello Stato, trascura l’interesse delle 700 famiglie di sfollati, trascura l’interesse delle famiglie dei 43 morti ammazzati.

Il governo, smetta di autocompiacersi per gli applausi ai funerali. Il governo smetta di lamentarsi per l’indagine a carico d’un suo ministro, mentre nessun indagato risulta dopo il crollo del ponte. Vogliamo scoprire oggi che certa magistratura fa politica? Questo non toglie che si debba agire con la risolutezza imposta dalla situazione e consentita dal potere governativo e politico, più vasto di quanto sia stato dispiegato sinora. Se Patronaggio prevale è solo responsabilità dell’autorità politica, in quanto controparte inerte. Il governo smetta di porre in cima alla sua agenda vicende artefatte come quelle della Diciotti; vicende artefatte a dodici ore dal crollo, facendosi prendere per i fondelli in modo elementare. Il governo proceda piuttosto e senza indugio a nominare un collegio di difensori, costituendosi parte civile e invitando ad associarsi come parti civili le famiglie degli sfollati, quelle dei morti, il comune di Genova e tutti i cittadini e le imprese in qualche modo coinvolti nel disastro.

Solo un gruppo di pressione siffatto può ottenere il risultato di controllare l’operato della magistratura genovese, risalendo alle responsabilità, per esigere risarcimenti non solo da Autostrade, ma da tutti i ministri delle infrastrutture, dai capi di governo e dalle burocrazie corresponsabili del disastro.

La concessione ad Autostrade è uno degli aspetti del problema, ma non è “il problema” nella fase di indagine sulle responsabilità. Alla magistratura genovese l’onere di stabilire se il disastro sia colposo o doloso. Il disastro tuttavia rimane: è un dato di fatto incancellabile, qualunque cosa dicano e facciano i ministri delle Infrastrutture da Antonio Di Pietro a Graziano Del Rio. Il governo ha il dovere verso se stesso, verso lo Stato e verso tutte le vittime, sopravvissute e non, di fare tutto il possibile perché, sotto l’occhio d’un collegio di esperti difensori, il diritto e la giustizia coincidano e siano salvaguardati. Di certo tale salvaguardia non ci sarà se si rimane inerti mentre si fanno affiorare documenti come la lettera – pubblicata da L’Espresso e sequestrata(!) dalla procura – datata 28 febbraio 2018, con la quale la Autostrade avvertiva il ministero delle Infrastrutture e il Provveditorato alle opere pubbliche di Genova sullo stato critico del viadotto. Deve essere chiaro che tale documento non alleggerisce la posizione di alcuna delle parti in causa, tutt’altro.

Il consenso, come s’è detto, può essere cancellato repentinamente dal sangue, dalla morte di innocenti. Questo può accadere, anzi accadrà senz’altro, per quanti abdichino al dovere di difendere efficacemente quel sangue e quegli innocenti. L’unica vittoria efficace sarà l’individuazione dei responsabili e il risarcimento a loro carico di tutte le vittime del viadotto di Genova. Altro che profughi, Diciotti e Patronaggio. Se ne ricordi chi entrò a palazzo Chigi autonominandosi “avvocato degli italiani”. www.pierolaporta.it

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